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MASTER in ANALISI E TEORIA MUSICALE A.A.

2018-19
Teorie percettive e cognitive (Prof. Mario Baroni)

II LEZIONE: EMOZIONALITÀ E SIGNIFICAZIONI IN MUSICA

1. Lo studio delle emozioni in musica

Nella dispensa precedente avevo paragonato l’ascolto all’analisi della partitura. In sostanza
l’attenzione puntava soprattutto sulle strutture che possiamo percepire e ricordare durante l’ascolto.
Ma l’ascolto non è fatto solo di percezione delle strutture. Durante l’ascolto c’è ben altro : nel
momento in cui si ascolta musica si creano infatti processi interrelati di natura emozionale e
intellettiva. C’è un articolo [Kreutz, Schubert, Mitchell 2008] che dopo aver analizzato
accuratamente i comportamenti di un numero cospicuo di soggetti conclude che durante l’ascolto
due diversi “stili cognitivi” emergono: c’è chi ascoltando tende a “empatizzare”(a far prevalere
aspetti emotivi) c’è che piuttosto preferisce “sistematizzare” e a far prevalere procedimenti logici.
Ma in tutti gli esperimenti d’ascolto le risposte sistematiche e le risposte emotive sono sempre state
inscindibilmente intrecciate.
Però anzitutto dobbiamo ora capire meglio che cosa si può intendere con il termine di emozione, e
come la musica può manifestare eventuali emozioni. Il problema della natura delle emozioni (come
quello della percezione discusso ieri) ha, soprattutto in musica, una storia millenaria, nata in Grecia,
poi ripresa nell’Europa medioevale e moderna E la sua storia non è solo europea: pensiamo ai raga
indiani. La fortuna del tema delle emozioni musicali nel campo della psicologia scientifica è però
esplosa in anni relativamente recenti, soprattutto dall’inizio del nostro secolo.
In un libro del 2010 Sloboda e Juslin riassumono efficacemente le teorie dominanti nel campo delle
emozioni musicali. Da quell’articolo traiamo notizie sui due modi principali (anche se non
esclusivi) di avvicinarsi al problema: vengono chiamati approccio “categorico” e approccio
“dimensionale”.
Nell’approccio categorico le emozioni sono definite concettualmente: sono le categorie emozionali
“di base” (basic emotions) : p. es. gioia, rabbia, tristezza, paura, disgusto; ma sul loro numero e
sulla loro scelta esistono elenchi diversi e alternativi. Questa teoria ha dietro le spalle l’idea che
l’emozionalità sia uno degli strumenti a cui la specie umana deve la sua sopravvivenza: in atti a) si
trovano in tutte le culture; b) vengono riconosciute introspettivamente come sentimenti; c) si
manifestano precocemente nei bambini; d) hanno chiari pattern fisiologici; e) esistono, anche nei
primati; f) hanno espressioni facciali e vocali ben distinguibili.
Per l’approccio dimensionale il modello più noto è quello a due dimensioni. Di norma l’approccio
dimensionale viene espresso con un grafico come quello che faccio vedere qui sotto: in un grafiuco
dimensionale le emozioni sono distribuite in un cerchio diviso da due linee, una orizzontale e una
verticale, che creano quattro quadranti. In alto si collocano le emozioni che si manifestano con il
massimo di attività ed energia (arousal in inglese) e in basso con il minimo; la dimensione
orizzontale si riferisce invece alla loro valenza (valence), ossia alla positività o negatività. Il
massimo di negatività si trova di solito nei quadranti di sinistra e di negatività in quelli di destra.
Nei due quadranti più alti stanno le emozioni più energiche, sia positive nella parte destra, sia
negative nella sinistra, entrambe via via meno “attive” man mano che si avvicinano alla parte bassa.
Nei due quadranti inferiori si trovano le emozioni meno energiche anch’esse divise fra piacevolezza
e spiacevolezza. In questo caso il contenuto delle etichette emozionali (vedetene alcune nel grafico
in inglese, che ho preso dal libro prima citato) non è dato da una definizione a parole, ma dalla
collocazione spaziale dell’etichetta.
La musica si adatta particolarmente all’approccio dimensionale, prima di tutto perché le sue
caratteristiche ritmiche e dinamiche sono legate alla presenza di maggiore o minore energia. Ma
anche la valenza positiva o negativa può avere aspetti legati al suono, dal punto di vista dei timbri,

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delle armonie, della texture o del registro. Ad esempio suoni stridenti o dissonanti o molto densi e
profondi – di colore cupo– sono di solito associati a valenze negative, mentre suoni consonanti, di
densità trasparente, di dinamica morbida, di registro più alto si associano a valenze positive.

Nella musica strumentale di cui qui soprattutto stiamo parlando, un musicista sensibile riesce a
trovare dosaggi ed equilibri sapienti fra arousal e valence e trasformazioni suggestive fra un
dosaggio e l’altro. Per di più questi equilibri dimensionali hanno il vantaggio di non essere
necessariamente legati a una definizione semantica, a una etichettatura verbale. È vero che possono
esistere anche musiche tendenzialmente “violente” o “tristi” o “gioiose” cioè musiche verbalmente
etichettabili, ma è vero anche che l’emozionalità musicale può essere presente e ben avvertita da un
ascoltatore anche se egli non sa dire a parole di che tipo di emozione si tratti. Anzi, direi che la
maggioranza delle emozioni musicali ha proprio questo carattere di innominabilità.

2 Il tempo, l’attesa e l’emozione


Le emozioni musicali comunque si presentano e agiscono durante il flusso temporale dell’ascolto.
L’analisi del tempo musicale collegato alla presenza di aspetti emozionali è stata particolarmente
sviluppata nella cosiddetta “teoria delle attese”. La genesi della teoria sta in un libro famoso di
Leonard Meyer scritto ormai molti decenni fa e tradotta anche in italiano: Emotion and meaning in
music 1956:
Nel suo libro Meyer (che ha ovviamente ha a disposizione solo gli studi psicologici del primo 900)
parte dall’idea che uno stimolo emozionale genera una “tendenza verso qualche cosa” cioè spinge
verso comportamenti direzionati e dotati di obiettivi. Se esistono ostacoli che impediscono o
rendono difficile il realizzarsi della tendenza intervengono reazioni emozionali ulteriori (qui fa
l’esempio di un fumatore che trova tutti i negozi chiusi)

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Una condizione emozionale con queste caratteristiche è tipicamente presente in musica poiché la
dinamica tendenziale della musica (in particolare di quella tonale) coincide appunto con la
direzionalità verso obiettivi da raggiungere. Le strutture della tonalità ruotano attorno all’esistenza
e al raggiungimento di appoggi tonali (organizzati secondo gerarchie di forza) e la “tendenza verso
qualcosa” può venire ostacolata da successioni tonali o armoniche interrotte o devianti. Che
generano ulteriori attese per risolvere le difficoltà poste dall’ostacolo.
Per Meyer questo tipo di emozionalità è una condizione esclusiva della musica: mentre le parole
con cui esprimiamo comunemente le nostre emozioni servono a comunicare concetti, in musica,
dove non esistono concetti le emozioni musicali sono necessariamente interne alla sintassi musicale
stessa
Un altro caso studiato da Meyer è quello che lui chiama gap/fill : le melodie procedono di solito per
intervalli relativamente piccoli, ma se a un certo punto la melodia si lancia in qualche intervallo più
ampio (e a creare appunto un gap) si crea immediatamente la tendenza a “riempire” (to fill) il vuoto.
Anche questa tendenza può venire ostacolata creando attese tensive per il ritardo nel riempimento.
Il massimo dell’attenzione è riservato comunque da Meyer ai procedimenti d’arrivo dell’attesa
iniziata, cioè ai procedimenti di chiusura (alle diverse forme di cadenza). Le sue osservazioni sulle
cadenze (di cui parla in libro successivo) sono attentissime a mettere a fuoco la funzione con cui
parametri diversi (melodici, armonici, tonali, metrici, ritmici, dinamici) possono contribuire a creare
attese e a favorire soluzioni, tanto più interessanti per l’ascoltatore, quanto più ricche e
imprevedibili. Il fenomeno del gap/fill è stato poi analizzato sistematicamente dal suo allievo
Eugene Narmour in un libro dedicato alla melodia (Narmour 1990) e a quei procedimenti che
anziché usare il termine “attesa” venivano definiti più precisamente come processi di implicazione/
realizzazione.
Le proposte iniziali di Meyer sono state dunque sviluppate con sottolineature diverse nei decenni
successivi. Nel 2006 uno psicologo già menzionato (David Huron) ha esaminato dettagliatamente,
sulla base di una sterminata bibliografia, la psicologia delle attese come fenomeno esistenziale
generale, applicabile anche alla musica. L’attesa è una particolare forma di emozione. Il fine
biologico dell’attesa è quello di preparare l’organismo a qualche cosa che sta venendo e che
implicherà reazioni da parte del soggetto: L’organismo si prepara a questo futuro immediato tramite
attenzione per l’evento e una messa in moto dell’organismo (arousal).
La sua teoria ha individuato diversi stati emozionali relativi all’attesa che egli descrive in termini
neurofisiologici e che si verificano prima e dopo l’evento: fra i molti possibili stati emozionali che
si verificano dopo l’evento egli esamina ad esempio quelli che si verificano quando l’evento non
corrisponde agli schemi prefissati d’attesa messi in moto dal soggetto e dunque genera “sorpresa”.
Un risultato sorprendente genera a sua volta altre tensioni emotive legate alle valutazioni cognitive
che il soggetto mette in moto per capire l’emozione della sorpresa e per decidere, intuitivamente o
razionalmente, come comportarsi. Aspetti di questo genere possono verificarsi ovviamente anche
nel campo delle attese musicali.

3 Emozioni e processi di significazione in musica


La psicologia delle attese è tendenzialmente interna alla sintassi musicale, ma altri studiosi hanno
sottolineato il fatto che non sempre l’emozionalità musicale è interna alla musica, e che anzi in
genere le emozioni musicali sono di natura esistenziale, ossia sono esterne, o extra-musicali.
A questo punto, però, si profilano dubbi. Mentre per il linguaggio parlato è relativamente facile
affrontare problemi di natura esistenziale perché le parole possiedono i concetti necessari a farlo,
come si può dire la stessa cosa per la musica in cui non esistono facoltà lessicali? Il presente
paragrafo è dedicato appunto a una possibile risposta a questo problema.
Inizierò ricordando come spesso la musica venga utilizzata per evocare immagini di oggetti o di
eventi del mondo che si manifestino in forme acustiche: fin dal medio evo voci di uccelli (es. il
cucù), ma in secoli successivi anche altri eventi più complessi come i suoni di un’onda o di una
tempesta, e così via. Spesso viene utilizzato semplicemente qualche singolo parametro: ad es. il

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ritmo per alludere al trotto di un cavallo o la tromba per alludere a battaglie. Processi di questo
genere rendono possibile alludere musicalmente a oggetti o vicende del mondo: ciò evidentemente
non significa affermare che la musica sia dotata di significati, ossia che un certo insieme di tratti
strutturali “voglia dire” cavallo , onda o tempesta, come se quei tratti fossero una parola. Tuttavia
quell’insieme di tratti evoca, cioè richiama alla mente, una immagine extra-musicale (cavallo, onda,
tempesta e un quantità d’altre immagini che la fantasia dei compositori ha proposto e il consenso
degli ascoltatori ha confermato). Richiamare alla mente significa anche lasciare ampi margini di
sfumature: l’immagine non è un concetto quindi non ha mai una definizione precisa, da
vocabolario. La “significazione” in musica, cioè l’evocazione di tratti extramusicali del mondo, è
caratterizzata da questi limiti oggettivi.
In casi di questo tipo, ovviamente, possono venire contemporaneamente evocati anche aspetti
affettivi legati a quell’immagine: ad esempio la simpatia per l’uccello si concreterà in suoni (ritmi,
procedimenti melodici o armonici o timbrici) che lo presentino con grazia, e la stessa cosa si può
dire per tratti di solenne nobiltà che vengano riservati ai cavalli o alle trombe, oppure tratti di
terrore riservati alle tempeste.
Abbiamo appena visto come la musica, attraverso risorse di vario tipo possa creare opportune
situazioni emozionali (mescolanze fra valence e arousal) che vengono naturalmente applicate anche
all’evocazione di immagini del mondo. Un arousal violento con caratteristiche di valence negativa
(emozione di terrore) potrà essere associato facilmente a timbri, tessiture, ritmi, andamenti
melodici, in sostanza a strutture musicali, che per ragioni di simiglianze interne possano evocare
l’immagine dei suoni di una tempesta. Alcuni parlano a questo proposito di “imitazione” di eventi
naturali. In conclusione, si può dire che processi di evocazione di immagini , insieme a processi di
espressione emotiva possono utilizzare entrambi, in coerenza fra loro, la duttilità della grammatica
sonora che permette a un compositore di costruire oggetti musicali “che parlano del mondo”. E si
deve aggiungere infine che questi oggetti musicali, per essere incorporati in uno stile devono essere
riconosciuti, accettati e condivisi dagli ascoltatori: la comunicazione musicale (come del resto
anche quella verbale e qualsiasi altro tipo di comunicazione) implica sempre necessariamente un
rapporto fra emittenti e riceventi di un messaggio.
Un diverso aspetto della questione riguarda i rapporti della musica con la parola (musiche cantate) e
della musica con il gesto (danze o musiche d’opera) Ma non tratterò di questi problemi che fanno
parte di altri corsi del Master. Mi limiterò nel mio corso a parlare esclusivamente di musiche
strumentali.
A questo punto si può anche rendere ragione dei due tipi di emozionalità a cui abbiamo prima
accennato: una emozionalità interna alla musica (illustrata per esempio dalla teoria delle attese), e
una esterna, di natura esistenziale, per mezzo della quale la musica riesce a evocare aspetti del
mondo con le emozionalità ad essi correlate.
Questa distinzione fra aspetti della musica “intrinseci” ed “estrinseci” è presente e variamente
discussa nel pensiero musicologico ed assume un ruolo importante anche nelle ricerche sulla
significazione musicale. Aggiungo infine che le teorie che ho esposto in questo paragrafo non sono
unanimemente condivise dal mondo musicale e musicologico: si tratta di teorie sulla musica come
linguaggio che si stanno sviluppando e maturando da molti decenni ma che trovano ancora
opposizioni e resistenze delle quali è necessario tener conto.

4. La teoria dei topics (o argomenti del discorso musicale)


Il rapporto fra le teorie emozionali e i processi di significazione ha avuto un momento di particolare
fioritura negli ultimi trent’anni del secolo scorso quando le teorie del segno (nate da riflessioni sul
linguaggio) hanno dato vita a una disciplina chiamata semiotica.
In breve il segno, secondo una definizione classica (più volta riveduta e perfezionata) è stato
definito come “qualche cosa” che “sta per” qualche cosa “d’altro”. La parola tavolo “sta per” o
“vuol dire”, ovverossia “serve a indicare” il concetto di tavolo o in qualche caso anche l’oggetto
tavolo (che sono cose ovviamente diverse dalla parola tavolo).

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Ma nella comunicazione umana i “segni” non sono solo parole: possono essere, gesti, oppure
oggetti, oppure anche musiche: E non si tratta di differenze da poco poiché un “segno-musica”,
come ben sappiamo, è sostanzialmente diverso da un “segno-parola” o da un semaforo che regola il
traffico. Sta di fatto che la “semiotica” musicale ha grandemente contribuito per molti anni alla
riflessione sulla natura della musica come strumento di comunicazione.
Oggi prenderemo in considerazione un esempio significativo di semiotica applicata alla musica. Un
musicologo americano (Leonard Ratner) e un semiologo scozzese (Raymond Monelle), negli ultimi
decenni del secolo scorso hanno proposto una teoria che hanno chiamato Topic theory, dove il
termine Topic si può tradurre in italiano come “argomento del discorso”.
In sostanza si è osservato che la musica del 18° secolo (che Ratner ha identificato con la musica
dello “stile classico”) ha sviluppato una sorta di thesaurus di “figure caratteristiche” che lui ha
chiamato “topic”: si sono introdotti nella musica strumentale degli stilemi che “significavano”
qualche cosa e per convenzioni condivise evocavano immagini del mondo.
Propongo ora un piccolo elenco di esempi di topics: si parla nella teoria (ma si parlava anche nei
documenti storici del Settecento) di stile arioso, di stile brillante, di musica da caccia, di musica
pastorale, di andamenti da minuetto, gavotta, marcia militare o stile severo. Ognuno di questi topics
“evocava” nella mente dell’ascoltatore un frammento di mondo con tutte le sue connotazioni
emotive. Lo stile “arioso” ricordava il modo con cui la musica teatrale con arie più o meno dolci o
più o meno enfatiche raffigurava i sentimenti dei personaggi che le cantavano e questi sentimenti (o
anche i tratti caratteriali di un immaginario personaggio) potevano emergere nel diverso contesto di
un brano strumentale. E anche gli altri topics funzionavano in modo analogo. Per di più, ognuna di
queste etichette, per poter essere individuata e riconoscibile doveva essere sempre sufficientemente
definita dalle strutture musicali (armonie, ritmi, aspetti melodici) che la caratterizzavano. Il che non
significa che queste strutture dovevano essere rigorosamente costruite in un unico modo (si può
ribadire che non erano “parole”), ma dovevano avere alcuni tratti caratterizzanti che potevano
essere costruiti anche in modi estremamente diversi. Ci sono infiniti esempi di stile strumentale
arioso e ovviamente anche infiniti dubbi sul fatto che un certo esempio possa essere definito o meno
come “arioso”.
Ratner parlava di “stili musicali tratti fuori dal loro contesto originario e collocati in un contesto
diverso” e sottolineava che nel periodo classico la musica strumentale utilizzava esplicitamente e
consapevolmente quest’uso. In sostanza esistevano convenzioni d’ascolto dei topics che erano non
solo ben conosciute dai dai compositori, ma anche accettate e condivise dai loro ascoltatori: di fatto
erano convenzioni verificate intersoggettivamente.
Negli studi sui Topics e soprattutto in un volume recente (Mirka 2014), si discutono
approfonditamente anche gli scritti musicali del 600 e del 700 , in particolare tedeschi, che hanno
preso in considerazione e accuratamente descritto i vari tipi di produzione di senso musicale che poi
la “teoria dei topics” avrebbe modernamente ridiscusso. Un esempio può essere quello delle
applicazioni musicali delle meditazioni sugli affetti elaborate da Cartesio oppure delle innumerevoli
teorie sulla retorica. Un esempio significativo è quello di Mattheson, che propone un’analogia fra la
natura motoria delle emozioni (quella che oggi si chiamerebbe “arousal”) e il movimento della
musica che egli chiama “movimento dell’anima”. Il volume ricorda anche che spesso alcuni teorici
del Settecento, quando parlavano del principio dell’imitazione, distinguevano, per la musica,
l’imitazione delle passioni dall’imitazione di oggetti, che allora veniva spesso chiamata “pittura
musicale”.

5. Dal Settecento a oggi: rapporti dialettici fra analisi e ascolto


La teoria dei Topics si riferisce alla pratica della musica strumentale nel 700. Le tradizioni della
monodia e della polifonia vocale avevano i loro contesti solidi nell’opera e nella musica per la
chiesa. Era però nato da poco il nuovo genere della musica strumentale. Si era affermato in Italia,
ma aveva trovato terreno fertile soprattutto nelle aree di lingua tedesca. Nell’ascolto e nella pratica

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di questa musica senza parole e senza gesti cominciarono a nascere problemi sulla sua funzione e
sul suo significato.
Si era diffusa fra i filosofi del Settecento l’idea che la musica strumentale, in mancanza di finalità
precise e codificabili, avesse il suo scopo specifico nel diletto dell’orecchio e questo, per il
razionalismo filosofico di quel secolo, significava che nella gerarchia delle arti il posto della musica
fosse considerato del tutto secondario. In Germania tuttavia stava cominciando a nascere l’idea che
le arti avessero una loro autonomia funzionale rispetto alle altre attività teoriche o pratiche,
un’autonomia che, in termini filosofici, prese il some di estetica : l’Aesthetica di Baumgarten fu
pubblicata nel 1750.
Verso la fine del secolo l’estetica musicale si stava affermando in maniera drastica se è vero ciò che
racconta un’antropologa di oggi (DeNora 2008) su ciò che accadeva a Vienna nell’ultimo decennio
del Settecento: il barone van Swieten gran rappresentate del potere imperiale, raro conoscitore di
J.S. Bach e amico di Mozart e di Beethoven, quando in sala durante un concerto qualcuno
chiacchierava, si alzava in piedi, e lo fissava con sguardo severo, e il suo sguardo bastava a
intimorire il malcapitato chiacchierone. Senza alcuna dichiarazione ufficiale era nata una sorta di
sacralità laica della musica strumentale, la cui funzione era puramente estetica. L’ascolto aveva in
se stesso la sua finalità.
L’ Ottocento cameristico e sinfonico tedesco, in base alla sua straordinaria fantasia inventiva, ma
anche in base alla sua nuova funzione estetica, acquista presto il peso internazionale della
modernità, e trascina gradualmente attorno al suo prestigio tutte le altre culture musicali europee. In
questo nuovo contesto romantico e borghese (post rivoluzionario) si afferma anche il principio
dell’originalità individuale che diventa il cardine di tutta l’estetica romantica.
A questo punto le consuetudini evidenziate dalla topic theory per lo stile classico e funzionali a
un’epoca in cui la regola condivisa prevaleva sull’iniziativa personale, non scompaiono, ma
cambiano natura: il principio della comunicazione basato su figure d’emozione e di significazione
extra-musicale dilaga senza freni nell’inventiva romantica. A questo punto i possibili topics non
sono più individuabili e catalogabili perché non stanno più in un’ area numericamente limitata. Il
principio che li aveva fatti nascere non è più governato da un rapporto equilibrato fra compositori e
ascoltatori appartenenti alla stessa cerchia sociale: il consumo musicale si è aperto, i concerti sono
diventati pubblici e i compositori non rispondono più ai gusti del loro padrone, ma rispondono di se
stessi in una sorta di agone concorrenziale in cui l’originalità individuale, e spesso l’infrazione
deliberata alla regola, è diventata un nuovo principio di stile.
Così l’intera categoria sociale degli artisti acquisisce gradualmente un prestigio intellettuale prima
impensabile. Si creano distinzioni fra gli artisti mercantili e gli artisti puri e nasce il mito di
un’aristocrazia dell’intelletto le cui opere sono anche sfide alla mediocrità dei gusti piccolo
borghesi di quell’epoca. E l’innovazione non si riduce semplicemente ai caratteri dello stile, ma si
estende anche ai principi di valore sociale. La musica strumentale romantica riesce a evocare un
campo assai esteso di fatti e situazioni esistenziali ed extra-musicali e l’infrazione alle regole
stilistiche diventa automaticamente anche infrazione alle regole di comportamento sociale. La
Sinfonia Fantastica di Berlioz , che fu composta tre anni dopo la morte di Beethoven, può essere
considerata un esempio emblematico della nuova situazione. Si direbbe che da allora comincino ad
affermarsi i sintomi di quella che nel Novecento si chiamerà “avanguardia”.
Wagner poi, con la sua campagna contro la tradizione operistica commerciale, con la sua
irresistibile forza inventiva e con la sua capacità di imporre il suo pensiero d’artista anche negli
ambienti più esclusivi della nuova aristocrazia ottocentesca che abbondantemente lo finanzia,
diventa un punto di riferimento per l’intellettualità dell’ epoca. E anche le innovazioni strutturali del
suo linguaggio musicale diventano modelli insostituibili.
I mutamenti storici epocali del linguaggio musicale vengono vissuti entusiasticamente, ma anche
problematicamente, dalla musicologia che nel corso dell’Ottocento si venne affermando come
scienza. In quest’epoca i musicologi sentirono il dovere di spiegare, i segreti della nuova musica:
nacque in quegli anni l’analisi musicale intesa nel senso moderno del termine . Guido Adler negli

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anni Ottanta teorizzò l’esistenza di un nuovo campo di studio specifico che egli chiamò
“musicologia sistematica” contrapponendola a quella “storica”. Col passare degli anni si comincia
anche a evidenziare la differenza fra due modi di analizzare il linguaggio musicale: l’analisi delle
strutture si fa sempre più ricca e più specialistica, mentre l’interpretazione delle significazioni e
delle emozioni musicali resta sempre a livelli fondamentalmente intuitivi. Solo nel secondo
dopoguerra si cominciano a creare in alcune discipline (linguistica, semiotica psicologia) condizioni
che aprono un nuovo settore di studi: quello dell’interpretazione del senso musicale.

ELENCO DI ALCUNI TERMINI-CHIAVE DA MEMORIZZARE:


Approcci categorico/ dimensionale; arousal/ valence; aspetti intrinseci/ estrinseci; gap/ fill ;
implicazione /realizzazione; musicologia sistematica; segno, semiotica; significazione; topic.

ALCUNE INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE SUI TESTI CITATI

T. De Nora, Culture and Music, in The SAGE Handbook of Cultural Analysis, Los Angeles 2008.
Trad. it, in L’ascolto a scuola a cura di M. Baroni, Quaderni della SIEM 1-2 (2013)

D. Huron, Sweet anticipation. Music and the psychology of expectation, The MIT Press, Cambridge
Mass. 2006

P. Juslin & John Sloboda (eds.), Handbook of music and emotion. Theory, research, applications,
Oxford University Press 2010

G. Kreutz, E. Schubert, L.Mitchell, Cognitive styles of music listening, « Music Perception» 26/1,
2008

L.B.Meyer Emotion and meaning in music, The University of Chicago Press 1956, trad.it.
Emozione e significato nella musica, Il Mulino, Bologna 1992

D. Mirka (ed.), The Oxford handbook of topic theory, Oxford University Press, 2014

E. Narmour ,The analysis and cognition of basic melodic structures. The implication/realization
model, University of Chicago Press 1990.

L. Ratner, Classic Music: Expression, Form, and Style , New York, Schirmer, 1980

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