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ANTONIO PETAGINE

COME UNA DONNA DI RARA SAGGEZZA


Estratto dal volume:
IL DE IMMORTALITATE ANIMAE DI PIETRO POMPONAZZI
PIETRO POMPONAZZI E LA PSICOLOGIA DI TOMMASO D’AQUINO
TRADIZIONE E DISSENSO

Atti del Congresso internazionale di studi


su Pietro Pomponazzi
Mantova 23-24 ottobre 2008

A cura di
MARCO SGARBI

FIRENZE
L E O S. O L S C H K I E D I T O R E
MMX
ANTONIO PETAGINE

COME UNA DONNA DI RARA SAGGEZZA


IL DE IMMORTALITATE ANIMAE DI PIETRO POMPONAZZI
E LA PSICOLOGIA DI TOMMASO D ’AQUINO

1. PREMESSA

Nel dibattito storiografico di questi ultimi decenni, il pensiero psico-


logico di Pomponazzi è rimasto al centro di un vivo interesse, rinvigorito
dall’opportunità di affiancare, ai testi già editi al tempo dell’autore, nuovi
materiali, derivanti dall’edizione o quanto meno dalla trascrizione degli
inediti derivanti dal suo insegnamento accademico. Cosı̀, dopo i lavori di
Fiorentino, Ferri e Douglas,1 sono stati senza dubbio gli studi di Nardi e
di Poppi a fornire quegli inquadramenti che ancora oggi appaiono indi-
spensabili per approcciare adeguatamente il pensiero pomponazziano.
Nella ricostruzione offerta da Nardi, il pensiero psicologico di Pom-
ponazzi si sviluppa secondo una parabola evolutiva che, nell’arco di poco
più di un decennio – culminante con la scrittura del Tractatus de immorta-
litate animae – si è mossa in due direzioni fondamentali: una, di tipo ese-
getico, avrebbe visto Pomponazzi giungere progressivamente al rifiuto
dell’idea che fosse stato Averroè a fornire la genuina esegesi della dottrina
psicologico-noetica di Aristotele; la seconda, di tipo teoretico, avrebbe
portato Pomponazzi a rompere gli indugi del primo periodo della sua
carriera, giungendo finalmente alla tesi che fosse stato Alessandro di Afro-

1 Cfr. F. FIORENTINO , Pietro Pomponazzi. Studi storici su la scuola bolognese e padovana del

secolo XVI con molti documenti inediti, Firenze, Le Monnier, 1868 (rist. anast. Napoli, La Scuola
di Pitagora, 2008); L. FERRI, La psicologia di Pietro Pomponazzi secondo un manoscritto inedito
dell’Angelica di Roma, Roma, 1876 [estratto dagli «Atti della Reale Accademia dei Lincei»,
CCLXXIII, s. 2a, v. III, p. III, 1876, pp. 333-584]; A.H. DOUGLAS, The Philosophy and Psy-
chology of Pietro Pomponazzi, a cura di C. Douglas, R.P. Hardie, Cambridge, CUP, 1919 (rist.
anast. Hildesheim, Olms, 1962).

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disia a fornire la soluzione filosofica più convincente, oltre che l’esegesi


più persuasiva della psicologia aristotelica.2 Questa parabola evolutiva, e
le incertezze che l’avrebbero caratterizzata, possono essere comprese, se-
condo Nardi, tenendo presente la peculiare difficoltà che il problema del-
l’immortalità portava con sé, all’interno della concezione tipicamente ari-
stotelica dell’intelletto umano.3
Poppi ha invece trovato eccessivo parlare di evoluzione del pensiero
di Pomponazzi.4 Se di mutamento si può parlare, lo si può fare più per la
sua esegesi di Aristotele, che per le sue opzioni filosofiche, costantemente
segnate, invece, da una fondamentale «scelta materialistica».5 È proprio il
suo «aristotelismo puramente fisicista» a impedirgli di trovare delle solu-
zioni credibili a problemi di importanza capitale per l’esistenza umana,
come quello dell’immortalità; tali questioni richiederebbero, secondo
Poppi, ben altre aperture speculative.6 Sulla scorta di Poppi, anche Pine
ha ritenuto che il pensiero di Pomponazzi manifesti una sostanziale unità,
adombrata, solo in talune circostanze, dall’onesta ammissione di avere
elaborato soluzioni che mantengono tensioni irrisolte, forse irrisolvibili

2 Cfr. B. NARDI , Studi su Pietro Pomponazzi, Firenze, Le Monnier, 1965, in particolare

pp. 149-203. Analogamente, Di Napoli distingue un primo periodo, quello anteriore al De


immortalitate, caratterizzato dalla ‘scepsi dell’immortalità’, e un secondo, quello della ‘teoresi
della mortalità’, caratterizzato dall’intreccio di botta e risposta in cui, dopo la stesura del Trac-
tatus, Pomponazzi verrà coinvolto. Cfr. G. DI NAPOLI, L’immortalità dell’anima nel Rinasci-
mento, Torino, SEI, 1963, pp. 227-338.
3 «Il problema dell’immortalità dell’anima presenta cosı̀ per lui una difficoltà tutta par-

ticolare, che è la ragione vera delle sue oscillazioni: da un lato, l’intelletto nella sua natura
‘non dependet a corpore ut subiecto’ (tanto siamo lontani dal materialismo!), ma dall’altro
‘dependet a corpore ut obiecto’, perché senza immagini sensibili niente intenderebbe; ossia
ha una natura diversa dal corpo, ma è sempre legato a questo sı̀ da non poterne fare a meno»
(B. NARDI, Studi su Pietro Pomponazzi, p. 184).
4 Cfr. A. POPPI , Saggi sul pensiero inedito di Pietro Pomponazzi, Padova, Antenore, 1970,

pp. 25-26, 46-92.


5 Cfr. ivi, pp. 18, 90-91.

6 «La sostituzione infatti di Averroè con l’interpretazione materialistica di Alessandro

non era certamente in grado di appagare il dubbio profondo sul significato dell’esistenza
umana da cui egli era preso soprattutto. Incapace di uscire dal cerchio dialettico di un insod-
disfacente aristotelismo puramente fisicista, scontento dei suoi autori, del suo sapere e del sa-
pere di tutti, il Pomponazzi compensava queste frustrazioni sfogando il suo malumore con
uno sbrigliato e molto spesso scurrile dileggio nei confronti di Aristotele, dei suoi maestri,
dei colleghi e degli stessi studenti [...]. Ma l’abilità esegetica, un certo sfoggio erudito sugli
interpreti medievali, l’incalzante ironia non potevano sostituire quell’apporto critico e co-
struttivo che è essenziale per sollevare un pensatore sul proprio tempo e proporlo come sem-
pre attuale anche ai secoli futuri» (ivi, pp. 21-22).

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all’interno del paradigma aristotelico che egli ha adottato; soluzioni in


ogni caso incompatibili con un’autentica adesione alla fede cristiana, di
cui pur Pomponazzi fa esplicita professione.7
Al di là dunque della maggiore o minore efficacia con cui si può ascri-
vere al pensiero psicologico di Pomponazzi una certa parabola evolutiva,
per Poppi il punto decisivo sembra stare nel fatto che le difficoltà in cui
Pomponazzi incappa, più che imputabili alla tradizione peripatetica in se
stessa, dipendano dalle ristrettezze delle sue proprie scelte speculative.8 Se
dunque, a partire da Renan, la figura di Pomponazzi poteva venire esal-
tata, per l’idea di avere fornito coraggiose ed originali prefigurazioni del-
l’immagine moderna dell’uomo,9 Poppi intendeva al contrario ricollocare
il pensiero pomponazziano nell’alveo più proprio della tradizione scola-
stica del suo tempo, tradizione che pur avendo mantenuto le categorie
della scolastica medievale, sembrava però averne perso la forza e la vita-
lità, chiudendosi cosı̀ in una «custodia miope e letteralistica dell’enciclo-
pedia scientifica aristotelica».10 La fama del De immortalitate animae sembra
perciò dipendere, più che da elementi di intrinseco valore filosofico, dal-
l’avere emblematicamente rivelato le effettive difficoltà in cui si dibatteva
lo «smarrito stuolo di filosofi e teologi cristiani del momento».11 E certa-

7 Cfr. M. PINE, Pietro Pomponazzi: Radical Philosopher of the Renaissance, Padova, Ante-

nore, 1986, in particolare pp. 358-363.


8 Siamo quindi lontani anche dal senso per cui Kristeller definiva quello di Pomponazzi

un ‘sincretismo’. Anziché nell’abituale accezione negativa, Kristeller usava questo termine per
sottolineare la volontà di Pomponazzi di non lasciarsi rinchiudere in un’univoca e ristretta li-
nea speculativa: è la sua onestà intellettuale che lo spingeva a non nascondere le aporie del
paradigma aristotelico con cui si misurava, e nemmeno a ripiegare passivamente sull’autorità
di un grande filosofo come Aristotele e su quella dei suoi insigni interpreti, come Alessandro,
Averroè o Tommaso d’Aquino. Cfr. P.O. KRISTELLER, Two Unpublished Questions on the Soul of
Pietro Pomponazzi, «Medievalia et Humanistica», IX, 1955, pp. 76-101: 83; ID., Aristotelismo e
sincretismo nel pensiero di Pietro Pomponazzi. Lezione conclusiva del 25º Anno Accademico del Centro
per la Storia della tradizione aristotelica nel Veneto, Padova, Antenore, 1983, pp. 1-23: 22-23.
9 «Pomponat [...] représente réellement la pensée vivante de son siècle. C’est la person-

nalité de l’âme humaine, c’est l’immortalité, c’est la providence et toutes les vérités de la re-
ligion naturelle qui sont mises en cause, et deviennent dans le Nord de l’Italie l’objet du dé-
bat le plus animé. Tout en expliquant Aristote et Averroès selon la règle, Pomponat sut
intéresser la jeunesse et philosopher en vérité. Paul Jove parle avec admiration de la variété
de ton qu’il savait déployer dans ses leçons: ce n’est plus un scolastique, c’est déjà un homme
moderne» (E. RENAN, Averroes et l’averroı¨sme. Essai historique, Paris, Calman-Levy, 19258,
p. 354). «Io ho prescelto il Pomponazzi – scriveva Fiorentino – come il più nuovo, il più
ardito, il più serio di tutto quel periodo» (F. FIORENTINO, Pietro Pomponazzi, p. 7).
10 A. POPPI , Saggi sul pensiero inedito di Pietro Pomponazzi, p. 19.

11 Cfr. ivi, p. 18.

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mente – conclude Poppi – scuotimenti di questo genere sono salutari,


perché permettono ad una cultura filosofica e teologica di ripensare la
consistenza dei propri presupposti e delle proprie soluzioni.12
Nell’elaborazione della dottrina psicologica pomponazziana, il con-
fronto con il pensiero di Tommaso d’Aquino non si è certo presentato
come un affare secondario, sia prima che dopo il De immortalitate animae.
Già nelle testimonianze del suo insegnamento accademico, misurarsi con
la dottrina di Tommaso risultava un momento fondamentale della discus-
sione; 13 nell’Apologia e nel Defensorium,14 Pomponazzi non mancherà di
tornare di sovente, nel rispondere alle obiezioni che gli vengono poste,
proprio sulla posizione dell’Aquinate e sulla sua capacità di restituire fe-
delmente la dottrina Aristotele.15 Nel quadro delle diverse opere psicolo-

12 «Se un merito possiamo e dobbiamo quindi ascrivere al Pomponazzi, questo non

consiste tanto, a nostro parere, nelle posizioni conclusive da lui raggiunte, per le quali è stato
fino ad ora aureolato con il mito della ‘‘modernità’’, quanto, piuttosto, nel fermento di rot-
tura, di inquietudine, in una parola, di problematicità, che l’opera sua più famosa del 1516
come le altre successive e, in modo ancora più notevole, lo stesso insegnamento orale, hanno
immesso nella speculazione stagnante e dogmaticamente arroccata del momento, determi-
nando uno scotimento salutare per un balzo in avanti del pensiero filosofico e teologico»
(ivi, p. 25). Cfr. su questa linea, anche E. GILSON, Autour de Pomponazzi. Problématique de l’im-
mortalité de l’âme en Italie au début du XVIe siècle, «Archives d’Histoire Doctrinale et Littéraire
du Moyen Âge», XXXVI, 1961, pp. 163-279. Nella direzione di un più consapevole con-
fronto tra la concezione pomponazziana dell’anima e l’elaborazione moderna della soggetti-
vità si veda il lavoro di J. WONDE, Subjekt und Unsterblichkeit bei Pietro Pomponazzi, Struttgard-
Liepzig, Teubner, 1994, in partic. pp. 214-234.
13 Cfr. le ricognizioni di Nardi, in B. NARDI , Studi su Pietro Pomponazzi, pp. 171-174,

188-189, 192-193, 195-197, 236, 245, 262-265, 269-271; P. POMPONAZZI, Corsi inediti del-
l’insegnamento padovano, II, q. 2, a cura di A. Poppi, Padova, Antenore, 1970, pp. 28-29; 34-
35, 44-45, 54-56; ivi, q. 3, pp. 65-68, 74, 81-89; 91-92; P.O. KRISTELLER, Two Unpublished
Questions, pp. 90-91, 93, 95-97, 99-101. Si tenga presente anche la centralità, nella forma-
zione accademica del mantovano, di Francesco Securo di Nardò, titolare della cattedra via
Thomae all’Università di Padova, frequentata da Pomponazzi a partire dal 1484. Cfr. B. NARDI,
Studi su Pietro Pomponazzi, pp. 113-114. Secondo Di Napoli, l’analisi congiunta del materiale
edito con quello inedito dimostra un sempre maggiore interesse di Pomponazzi nel misurarsi
con la psicologia di Tommaso. Cfr. G. DI NAPOLI, L’immortalità dell’anima, p. 239. Sull’in-
fluenza e sull’autorevolezza del pensiero di Tommaso all’interno del panorama rinascimentale
italiano, cfr. P.O. KRISTELLER, Thomism and the Italian Thought of the Renaissance, in E.P. MA-
HONEY (ed.), Medieval Aspects of Renaissance Learning. Three Essays by Paul Oskar Kristeller,
Durham, Duke Univ. Press, 1974, pp. 29-91.
14 Per l’Apologia, cfr. P. POMPONAZZI , Tractatus acutissimi, utillimi et mere peripatetici, Ve-

netiis, haered. O. Scoti, 1525 [rist. anast. Casarano, 1995], pp. 52r-75v; per il Defensorium,
cfr. ivi, pp. 81r-108r.
15 Soprattutto dalle ricostruzioni di Gilson e Pine emerge che proprio questo è stato

uno degli elementi centrali su cui Pomponazzi ha spronato le intelligenze dei propri critici.

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giche pomponazziane, è però il De immortaliate animae quella in cui il


confronto con la psicologia di Tommaso assume una centralità davvero
peculiare. Si tenga anche presente che in nessun’altra occasione Pompo-
nazzi espliciterà come intento fondamentale dell’opera quello di esprime-
re la propria personale opinione facendo innanzitutto i conti con quella
di Tommaso.16
Agli occhi di Pomponazzi, la proposta dell’Aquinate risultava dotata
di una duplice pretesa: a livello esegetico, Tommaso aveva fornito un’in-
terpretazione di Aristotele alternativa tanto a quella di Averroè quanto a
quella di Alessandro d’Afrodisia; a livello speculativo, Tommaso aveva
elaborato una complessiva concezione dell’anima umana in cui l’immor-
talità individuale appariva come conclusione raggiungibile a livello filoso-
fico, basandosi eminentemente sulla dottrina di Aristotele. La noetica ari-
stotelica, presentando l’intellettualità come un carattere ‘separato’ da ciò
che è proprio delle facoltà puramente sensibili, rende possibile concepire
l’anima umana come ‘separabile’ dal corpo; 17 d’altro canto, l’intrinsecità

Cfr. E. GILSON, Autour de Pomponazzi, pp. 212-216, 247-250, 263-277; M. PINE, Pietro Pom-
ponazzi: Radical Philosopher of the Renaissance, pp. 130-135, 150-151, 188-189, 230-231. Gil-
son giungerà a dire che se un ruolo positivo si può ascrivere alla querelle sull’immortalità del-
l’anima che Pomponazzi ha provocato, esso consiste nell’aver portato alla consapevolezza
– riscontrabile emblematicamente nella posizione di Javelli – di una ‘‘filosofia cristiana’’ che
non pretenda ‘‘di tirare dal solo Aristotele ciò che non si può ottenere che da san Tommaso
d’Aquino’’. Cfr. E. GILSON, Autour de Pomponazzi, p. 277.
16 Cfr. P. POMPONAZZI , Tractatus De immortalitate animae, prooemium, a cura di G. Gen-

tile, Messina-Roma, Principato, 1925, pp. 5-6 (faremo sempre riferimento a questa edizione
per citare il testo latino del trattato). Nardi già aveva indicato che sarebbero state talune af-
fermazioni, fatte durante le lezioni sul De coelo a cui era presente, a suscitare in Gerolamo
Natale il desiderio – ricordato nel proemio del trattato – che il maestro tornasse sulla que-
stione dell’immortalità, in particolare sulla dottrina di Tommaso. Cfr. B. NARDI, Studi su Pie-
tro Pomponazzi, pp. 193-199. Tiziana Suarez-Nani ha avanzato l’ipotesi che Gerolamo rap-
presentasse un gruppo di tomisti. Cfr. T. SUAREZ-NANI, Dignità e finitezza dell’uomo: alcune
riflessioni sul «De immortalitate animae» di Pietro Pomponazzi, «Rivista di storia della filosofia»,
L, 1995, pp. 7-30: 10. Critica nei confronti di questa ipotesi, si è invece mostrata Perrone
Compagni, cfr. V. PERRONE COMPAGNI, Introduzione a P. POMPONAZZI, Trattato sull’immortalità
dell’anima, a cura di V. Perrone Compagni, Firenze, Olschki, 1999, p. V. Rimane in ogni
caso chiara l’idea che il proemio intende esprimere: la psicologia tommasiana viene prospettata
come il centro di gravitazione intorno a cui l’intero trattato si dovrà muovere.
17 Cfr. TOMMASO D ’AQUINO , Quaestiones disputatae de anima, q. 14, resp., in Opera Omnia

iussu Leonis XIII P. M. edita, t. XXIV/1, ed. B.C. Bazán, Roma-Paris, Comm. Leonina -
Cerf, 1996, pp. 126-127, ll. 186-240; ivi, ad 8-10, p. 128, ll. 310-324; ID., In II Sent.,
d. 19, q. 1, a. 1, sol., ed. P. Mandonnet, t. II, Paris, P. Lethielleux, 1929, pp. 482-483;
ivi, ad 4, pp. 483-484; ID., Quaestiones disputatae de quolibet, X, q. 3, a. 2, resp., in Opera Omnia
iussu Leonis XIII P. M. edita, t. XXV/1, cura et studio Fratrum Praed., Roma-Paris, Comm.

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del legame con il corpo, quale emerge dalla definizione aristotelica di ani-
ma, non permette di concepire il compimento definitivo di ciò che è for-
ma sostanziale senza ciò di cui è forma sostanziale.18 In virtù di queste
considerazioni, la resurrezione della carne e il godimento della vita eterna
appaiono certamente come verità rivelate, ma si configurano ad un tem-
po come realizzazioni del tutto conformi alla natura stessa dell’uomo. Ri-
velazione, aristotelismo e ricerca schiettamente razionale potevano, sulle
corde tommasiane, suonare sinfonicamente la stessa musica; i pronuncia-
menti del Concilio Lateranense V parevano dare a una tale operazione la
sua definitiva consacrazione istituzionale.19
Immergendosi in questo scenario, Pomponazzi fornisce nel De immor-
talitate un giudizio della dottrina psicologica di Tommaso che appare pa-
radossale: tra le diverse posizioni filosofiche prese in esame, quella dell’A-
quinate viene descritta costantemente come la più difficile da difendere;
eppure, la tesi tommasiana dell’immortalità è l’unica che merita un assenso
pieno; essa è l’unica vera.20 Non sembra difficile sciogliere questo parados-
so: Tommaso viene costantemente accusato da Pomponazzi di avere inde-
bitamente introdotto le istanze rivelate nel campo filosofico, pretendendo
cosı̀ di esibire una verità di ragione, laddove invece la conclusione è dimo-
strabile solo a partire da premesse di fede. Stando cosı̀ le cose, la conclu-
sione di Tommaso è chiaramente l’unica vera, ma paga il prezzo di non
poter essere considerata una posizione difendibile filosoficamente.21
Riconosciuto questo, rimane da chiedersi se il confronto che Pompo-
nazzi instaura con la psicologia di Tommaso venga adeguatamente con-
siderato, se lo si colloca prevalentemente all’esterno dei valori schietta-

Leonina - Cerf, 1996, pp. 132-133, ll. 67-89; ID., Summa contra Gentiles, II, c. 79, in Opera
Omnia iussu Leonis XIII P. M. edita, t. XIII, cura et studio Fratrum Praed., Roma, Typ.
R. Garroni, 1918, pp. 498-499; ID., De unit. intell., c. 1, in Opera Omnia iussu Leonis XIII P. M.
edita, t. XLIII, cura et studio Fratrum Praed., Roma, Ed. di San Tommaso, 1976, pp. 289-314:
p. 298, ll. 600-653. Cfr. ARISTOTELE, De anima, III, c. 4, ed. Bekker, 429b1-5.
18 Cfr. TOMMASO D’AQUINO , In III Sent., d. 5, q. 3, a. 2, ad 4, ed. M.F. Moos, t. III,

Paris, P. Lethielleux, 1933, p. 207; ID., In IV Sent., d. 43, q. 1, a. 1B, corpus, in Opera Omnia
ut sint in Indice Thomistico, curante R. Busa S.I., Frommann, Holzboog, 1980, p. 630; ID.,
Summa Theologiae, I, q. 89, a. 2, ad 1, in Opera Omnia iussu Leonis XIII P. M. edita, t. V, cura
et studio Fratrum. Praed., Roma, Typ. Polyglotta, 1889, p. 375; ID., S. Theol., Ia-IIae, q. 4,
a. 5, ad 5, in ivi, t. VI, Roma, Typ. Polyglotta, 1891, p. 43; ID., Quaestiones Disputatae De
Potentia, q. 5, a. 10, resp., ed. P.M. Pession, Torino-Roma, Marietti, 1965, pp. 1-276: 156.
19 Sulla bolla Apostolici regiminis, cfr. G. DI NAPOLI , L’immortalità dell’anima, pp. 220-226;

L. BIANCHI, Pour une histoire de la «double vérité», Paris, Vrin, 2008, pp. 119-149.
20 Cfr. P. POMPONAZZI , De immortalitate, c. VIII, p. 30; ivi, c. XV, pp. 118-119.

21 Cfr. A. POPPI , Saggi sul pensiero inedito di Pietro Pomponazzi, pp. 44-45.

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mente filosofici che il professore mantovano ha preteso di far valere. Nel-


l’oscillazione tra ‘averroismo’ e ‘alessandrismo’ che caratterizza la sua ese-
gesi di Aristotele, come pure nel fermo rifiuto di ogni forma di dualismo
antropologico, le soluzioni filosofiche tipiche della psicologia di Tomma-
so non hanno esercitato proprio alcun ruolo? Per comprendere le opzioni
più propriamente pomponazziane, sarebbe forse irrilevante tematizzare il
modo in cui il mantovano legge, interpreta e si misura con la pagina tom-
masiana?
Oltre ad essere apparso un lettore attento dei testi di Tommaso,22
Pomponazzi nel De immortalitate animae assegna alla psicologia dell’Aqui-
nate una posizione del tutto peculiare, tra quelle che pretendono di giu-
stificare filosoficamente l’immortalità dell’anima. Nei suoi confronti, infatti,
Pomponazzi non si limita a contrapporsi risolutamente, rifiutandola in toto
e rinviando magari, per brevità, a più dettagliate e magistrali confutazioni
prodotte da altri autori, come fa negli altri casi. Non pochi studiosi hanno
osservato che Pomponazzi, più che opporsi irriducibilmente alle tesi di
Tommaso, abbia piuttosto eccepito la sua pretesa di tirare certe conclu-
sioni da premesse che, a ben vedere, potrebbero essere legittimamente
usate per giustificare ciò a cui Tommaso si oppone.23
Quello che vorremmo realizzare nello spazio consentitoci per questo
nostro lavoro è raccogliere questi suggerimenti e mettere sistematicamen-
te a tema il ruolo giocato da certe istanze tommasiane negli argomenti
che Pomponazzi elabora in favore della mortalità dell’anima, per come
essi si presentano nella parte più schiettamente psicologica del De immor-
talitate.24 Potremo cosı̀ osservare con quale sistematicità – e non senza

22 Cosı̀ scrive Perrone Compagni: «Pomponazzi si muove con grande familiarità tra i

testi originali e i commenti ad Aristotele di Tommaso ed è perciò in grado di offrire un’e-


sposizione esauriente, informata e, nel complesso, obiettiva della dottrina tomistica» (V. PER-
RONE COMPAGNI , Introduzione a P. POMPONAZZI, Trattato, p. XXXV ).
23 Cfr. G. DI NAPOLI , L’immortalità dell’anima, p. 252; A. POPPI , Saggi sul pensiero inedito di

Pietro Pomponazzi, pp. 77-79, 85, 87; J.L. TRELOAR, Pomponazzi’s Critique of Aquinas’ Argu-
ments for the Immortality of the Soul, «The Thomist», LIV/3, 1990, pp. 453-470; J. WONDE,
Subjekt und Unsterblichkeit, pp. 102-108. Perrone Compagni ha sottolineato che nel De immor-
talitate tale strategia di ‘ribaltamento’ vale non solo per le dottrine, ma anche per l’esegesi di
Aristotele fornita da Tommaso: l’immortalità dell’anima – osserva efficacemente la Perrone
Compagni – può risultare, in forza dell’analisi pomponazziana, «una forzatura ideologica che
il Tommaso teologo ha imposto ad un testo che il Tommaso interprete aveva perfettamente
compreso» (V. PERRONE COMPAGNI, Introduzione a P. POMPONAZZI, Trattato, p. XVII).
24 Ci riferiamo cioè ai primi dodici capitoli del trattato. Riguardo ai capitoli successivi, è

Pomponazzi stesso ad avvisarci che cambierà registro: mentre fino ad allora aveva presentato
gli argomenti attraverso cui la tesi della mortalità dell’anima poteva risultare filosoficamente

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ANTONIO PETAGINE

maestria – il professore mantovano abbia usato ‘Tommaso contro Tom-


maso’. È seguendo fino in fondo istanze tommasiane che si arriverebbe
infine a dare torto a Tommaso. L’affermazione che Pomponazzi pone
nel mezzo dell’ottavo capitolo del trattato, secondo cui le premesse fon-
damentali dell’antropologia tommasiana dovrebbero più ragionevolmen-
te condurre alla conclusione opposta a quella che Tommaso pretende di
tirare, verrebbe ad assumere il valore di una vera e propria dichiarazione
di intenti, che investe l’intera operazione dialettica contenuta nei primi
dodici capitoli del De immortalitate animae.25
Se questa nostra lettura si mostrerà corretta, potremo allora valorizzare
un carattere dell’elaborazione psicologia pomponazziana che è forse rima-
sto un po’ in ombra nelle più importanti e recenti sintesi storiografiche
sul suo pensiero: l’avere fornito, nel De immortalitate, una difesa della mor-
talità dell’anima i cui elementi costitutivi si possono rintracciare all’inter-
no delle più peculiari soluzioni di Tommaso d’Aquino.

2. LA CRITICA ‘TOMISTA ’ ALLE POSIZIONI DI AVERROÈ E DI PLATONE

Pomponazzi si confronta direttamente con le tesi di Tommaso soltan-


to a partire dal settimo capitolo. Nell’architettura di un trattato in cui, per
esplicita dichiarazione, il punto sta proprio in che cosa il maestro manto-
vano pensi della posizione di Tommaso, questa collocazione potrebbe ap-
parire strana.26 Eppure, la posizione di un tale elemento ‘architettonico’
non è affatto incoerente con l’intento, già espresso nel proemio, di met-
tere al centro il confronto con Tommaso. Se è vero infatti che Pompo-

più forte di quella dell’immortalità, i capitoli XIII e XIV cercano di mostrare che alcune ‘se-
rie’ obiezioni alla tesi mortalista sono in realtà ovviabili. Cfr. P. POMPONAZZI, De immortalitate,
c. XIII, p. 80. Ci sembra evidente dunque il passaggio, nel capitolo XIII, da una strategia
‘offensiva’ ad una ‘difensiva’. È specificatamente della prima che noi intendiamo occuparci
in questo nostro lavoro.
25 Cfr. P. POMPONAZZI , De immortalitate, c. VIII, p. 30. Lasciamo perciò a studi successivi

la possibilità di realizzare una più ampia ricognizione del ruolo che ha giocato nella psicologia
pomponazziana il confronto con la posizione di Tommaso, soprattutto sottoponendo ad un
esame più dettagliato le discussioni che animano l’Apologia e il Defensorium. Per potere svol-
gere al meglio un tale compito, uno studio come quello che offriamo ci appare, in ogni caso,
un passaggio necessario.
26 Suarez-Nani notava ad esempio che la parte dedicata alla concezione psicologica di

Averroè è cosı̀ ampia che si può pensare che fosse la sua confutazione l’obiettivo polemico
primario del trattato. Cfr. T. SUAREZ-NANI, Dignità e finitezza dell’uomo, p. 10.

— 48 —
COME UNA DONNA DI RARA SAGGEZZA

nazzi procede confutando innanzitutto la prospettiva averroista e quella


platonica, è altrettanto vero che, in entrambi i casi, il fattore determinante
e risolutivo è rappresentato da ciò che Tommaso sostiene. Il confronto
con l’Aquinate non è iniziato insomma con il settimo capitolo, ma è
ben presente fin dalle prime battute; la discussione di averroismo e plato-
nismo, coniugato al rinvio alle pagine tommasiane per una loro compiuta
confutazione,27 è destinata a generare un preciso effetto dialettico: sono
ragioni ‘tomiste’ quelle per cui averroismo e platonismo sono da respin-
gersi; saranno quelle medesime ragioni ‘tomiste’ che impediranno a
Tommaso di costruire coerentemente una dottrina filosofica dell’immor-
talità dell’anima.28
Pomponazzi afferma che sia Averroè, sia Temistio, come avrebbe det-
to lo stesso Tommaso fino al De unitate intellectus,29 partono dall’idea che
l’intelletto è immateriale e non mescolato e giungono a considerarlo on-
tologicamente separato dal corpo e unico per tutta la specie umana. Nella
prospettiva averroista, sono quindi immaterialità e non mescolanza a fon-
dare l’incorruttibilità (e l’unità) dell’intelletto.30 Pomponazzi spiega che si
avrebbe ragione a porre una tale separatezza dell’intelletto se e soltanto se
l’intelletto desse prova di un’operazione del tutto indipendente dal corpo;
ma è proprio questo che risulta difficile da dimostrare: il pensare umano
infatti – cosa di cui qualunque uomo può fare esperienza personalmente –
si compie in congiunzione con il fantasma.31
Non si può non notare che, proprio in questo punto, in cui il fine da
raggiungere è la confutazione della posizione di Averroè, la strategia che

27 Cfr. su questo aspetto, le osservazioni di V. P ERRONE C OMPAGNI , Introduzione a

P. POMPONAZZI, Trattato, pp. XVI-XVIII; XXXII-XXXIII.


28 Questo aspetto è stato efficacemente messo in luce in M. PINE , Pietro Pomponazzi:

Radical Philosopher of the Renaissance, pp. 90-91.


29 TOMMASO D ’AQUINO , In II Sent., d. 17, q. 2, a. 1, sol., ed. P. Mandonnet, pp. 424-

425; ID., Quaestione disputatae De Veritate, q. 18, a. 5, ad 8, in Opera Omnia iussu Leonis XIII
P. M. edita, t. XXII/2, cura et studio Fratrum Praed., Romae ad Sanctae Sabinae, 1972,
pp. 548-549, ll. 312-354. Nel De unitate invece, Averroè viene accusato di avere posto un’in-
terpretazione scorretta delle parole di Temistio, come di altri commentatori di Aristotele,
portandolo indebitamente dalla sua parte. Cfr. TOMMASO D’AQUINO, De unit. intell., c. 2,
ed. Leonina, p. 301, ll. 1-65; ivi, c. 5, p. 314, ll. 386-396. Pomponazzi nel Defensorium mo-
strerà di avere preso coscienza del cambiamento di opinione che caratterizza l’interpretazione
tommasiana della dottrina di Temistio. Cfr. P. POMPONAZZI, Defensorium, c. 4, p. 82r.
30 P. POMPONAZZI , De immortalitate, c. III, pp. 9-10.

31 «Cum autem istud sit de quo est quaestio, quomodo certificabit Averrois, animam

esse immortalem, praecipue cum dicat Aristoteles, quod necesse est, intelligentem phantasma
speculari, et quilibet homo hoc experitur in se ipso?» (ivi, c. IV, p. 16).

— 49 —
ANTONIO PETAGINE

Pomponazzi mette in campo risulta del tutto simile a quella elaborata, per
lo stesso fine, da Tommaso d’Aquino. È per Tommaso infatti che l’am-
missione di una qualsiasi dipendenza dell’intelletto nei confronti delle po-
tenze sensibili e del corpo, per quanto soltanto ut obiecto, basta per rende
inconcepibile una sua separatezza ontologica.32
L’insistenza con cui Pomponazzi legge le parole di Aristotele del pri-
mo libro del De anima – se l’intelletto è immaginazione o non avviene
senza immaginazione, allora non è separabile 33 – è del tutto in linea
con l’istanza che Tommaso stesso fa valere nella sua polemica antiaverroi-
stica: contro chi pretende di dimostrare che l’intelletto non può essere
parte dell’anima che informa il corpo, Tommaso osserva che è proprio
per potere compiere l’atto di intellezione nel suo modo proprio, ossia
in modo ‘umano’, che il nostro intelletto si radica nella medesima anima
in cui sono presenti le facoltà sensibili.34 L’intelletto mostra quindi da se
stesso di avere bisogno di una relazione con le altre potenze dell’anima
tale da rendere impensabile una sua separazione ontologica da esse.35
Inoltre, Tommaso ha più volte puntualizzato che l’intelletto ha bisogno
dei fantasmi anche quando l’intellegibile è già posseduto in atto nell’in-

32 «Modo ad inseparabilitatem concludendam sufficit, secundum Aristotelem, quod vel

sit virtus organica, vel si non organica, saltem quod sine obiecto corporali non possit exire in
opus. Dicit enim textu 12 primi De anima, quod sive intellectus sit phantasia sive non sit sine
phantasia, non contingit ipsum separari» (ibid.). Cosı̀ Tommaso, nella Summa contra Gentiles:
«Quaecumque sunt separata secundum esse, habent etiam separatas operationes: nam res sunt
propter suas operationes, sicut actus primus propter secundum; unde Aristoteles dicit, in I De
anima, quod, si aliqua operationum animae est sine corpore, quod possibile est animam separari.
Operatio autem intellectus possibilis indiget corpore: dicit enim Philosophus, in III De anima,
quod intellectus potest agere per seipsum, scilicet intelligere, quando est factus in actu per
speciem a phantasmatibus abstractam, quae non sunt sine corpore. Igitur intellectus possibilis
non est omnino a corpore separatus» (TOMMASO D’AQUINO, S. c. G., II, c. 60, ed. Leonina,
pp. 421-422).
33 Cfr. P. POMPONAZZI , De immortalitate, c. IV, p. 16; ARISTOTELE , De anima, I, c. 1, ed.

Bekker, 403a8-10.
34 Cfr. in particolare TOMMASO D’AQUINO, S. c. G., II, c. 70, ed. Leonina, p. 450.

35 «Super omnes autem has formas invenitur forma similis superioribus substantiis etiam

quantum ad genus cognitionis, quod est intelligere: et sic est potens in operationem quae
completur absque organo corporali omnino. Et haec est anima intellectiva: nam intelligere
non fit per aliquod organum corporale. Unde oportet quod illud principium quo homo in-
telligit, quod est anima intellectiva, et excedit conditionem materiae corporalis, non sit to-
taliter comprehensa a materia aut ei immersa, sicut aliae formae materiales. Quod eius ope-
ratio intellectualis ostendit, in qua non communicat materia corporalis. Quia tamen ipsum
intelligere animae humanae indiget potentiis quae per quaedam organa corporalia operantur,
scilicet imaginatione et sensu, ex hoc ipso declaratur quod naturaliter unitur corpori ad com-
plendam speciem humanam» (ivi, c. 68, ed. Leonina, p. 441).

— 50 —
COME UNA DONNA DI RARA SAGGEZZA

telletto possibile. Congiunto alle facoltà sensibili e al corpo come parte


della medesima anima, l’intelletto umano non ha bisogno dei fantasmi
soltanto all’avvio del processo cognitivo: l’intelletto pensa sempre insieme
ai fantasmi.36
Se è vero che Tommaso accetta di considerare l’intelletto umano co-
me l’infima tra le sostanze spirituali, è altrettanto vero che egli non lo
considera come una sostanza in sé completa che entri in seconda battuta
a contatto con il corpo: esso è pur sempre una potenza, per quanto im-
materiale, dell’anima-forma. L’uomo di Tommaso, dice giustamente Ba-
zán, non è uno spirito incarnato, ma un composto ilemorfico, per quanto
– in virtù del concetto di forma sostanziale sussistente – di un genere sco-
nosciuto allo stesso Aristotele.37 Solo l’unità ilemorfica permette di rico-
noscere che l’uomo stesso, e l’uomo intero, pensa tramite la facoltà intel-
lettiva: la strategia antiaverroista che Tommaso costruirà nel De unitate
intellectus non si fonda forse proprio sulla difesa di questo assunto?
Sulla base della condivisione con Tommaso di queste istanze antia-
verroistiche la pretesa tommasiana di dimostrare l’immortalità dell’anima
apparirà problematicamente fondata su un elemento in fin dei conti
‘averroista’: quel medesimo intelletto umano che per il suo costante bi-
sogno dei fantasmi per pensare non può essere inteso come una sostanza
separata, risulta però separabile dal corpo dopo la morte, per il fatto di
essere ‘averroisticamente’ del tutto immateriale. Questa conclusione vie-
ne tirata a partire dal fatto che l’intelletto umano è sı̀ bisognoso del cor-
po, non come soggetto in cui pensare, ma solo per i fantasmi che l’im-
maginazione gli procura.38 In breve, quello stesso bisogno dei fantasmi

36 «Fantasia autem est ‘motus a sensu secundum actum’. Patet autem ex hoc falsum esse

quod Auicenna dicit quod intellectus non indiget sensu postquam acquisiuit scienciam; ma-
nifestum est enim quod, etiam postquam aliquis habet habitum sciencie, necesse est ad hoc
quod speculetur quod utatur fantasmate; et propter hoc per lesionem organi impeditur usus
sciencie iam acquisite» (ID., Sentencia libri De anima, l. 3, c. 7, in Opera Omnia iussu Leonis XIII
P. M. edita, t. XLV/1, cura et studio Fratrum Praed., Roma-Paris, Comm. Leonina - Vrin,
1984, p. 236). Cfr. anche ID., Q.D. De ver., q. 18, a. 8, ad 4, ed. Leonina, p. 559, ll. 136-147;
ID., Q. D. De Pot., q. 3, a. 9, ad 22, ed. P.M. Pession, p. 68.
37 Cfr. B.C. BAZÁN, The human soul: form and substance? Thomas Aquinas’ critique of eclectic

Aristotelianism, «Archives d’Histoire Doctrinale et Littéraire du Moyen Âge», LXIV, 1997,


pp. 95-126: 123.
38 Cfr. TOMMASO D ’AQUINO , In II Sent., d. 19, q. 1, a. 1, ad 6, ed. P. Mandonnet, p. 484;

ID., Quaestiones disputatae de quolibet, X, q. 3, a. 2, resp. e ad 1, ed. Leonina, p. 133, ll. 108-
135; ID., S. c. G., II, c. 79, ed. Leonina, p. 498; ID., Q. D. De an., q. 14, ad 14, ed. B.C.
Bazán, p. 129, ll. 343-348; ID., De unit. intell., c. 1, ed. Leonina, p. 299, ll. 681-719; AVER-
ROÈ, Commentarium Magnum in Aristotelis De Anima Libros, l. III, § 5, ed. F. Stuart Crawford,

— 51 —
ANTONIO PETAGINE

che viene usato per inchiodare l’averroismo all’evidenza della non sepa-
ratezza dell’anima umana, diventa poi l’argomento per dimostrare che
l’anima è separabile. Buttato fuori dalla porta, l’elemento averroista della
separatezza verrebbe cosı̀ fatto rientrare dalla finestra, facendo valere
un’autonomia ontologica di cui, contro Averroè, Tommaso avrebbe in-
vece mostrato l’insostenibilità.39
Anche la discussione della posizione platonica all’interno del trattato
trova forse la sua più propria chiave di lettura se viene collocata all’inter-
no della messa a fuoco della fondamentale difficoltà di come, nella con-
cezione tommasiana, venga fatta valere la separatezza dell’intelletto per
fondare l’immortalità dell’anima. La critica alla posizione platonica può
colpire per la sua sbrigatività e per il fatto che quello discusso da Pom-
ponazzi non è altro che il ‘Platone di Tommaso’, quando ormai egli po-
teva possedere strumenti di esegesi dei testi platonici ben più ricchi.40
Perrone Compagni ne conclude che Pomponazzi, nel De immortalitate,
non risulta mosso tanto dal desiderio di misurarsi con il Platone storico,
quanto piuttosto dall’esigenza di «preparare il terreno per la demolizione
dell’edificio tomistico: in questa prospettiva, la presentazione semplificata
del platonismo come giustapposizione di anime diverse è funzionale ad
introdurre l’accusa di ‘platonizzare’, che più avanti verrà formulata con-
tro Tommaso».41
Pomponazzi sembra dunque prendere in considerazione il platonismo
quanto gli basta per consolidare la propria ‘tommasiana’ opposizione ver-
so ogni concezione antropologica che non consideri come rigorosamente
ilemorfico il rapporto tra anima intellettiva e corpo. Egli può cosı̀ aderire
sostanzialmente alla linea polemica già di Tommaso, che investe – si badi –
non solo l’interpretazione del rapporto tra anima e corpo ut motor, ma

Cambridge (Mass.), The Mediaeval Academy of America, 1953, pp. 387 sgg.; ivi, § 9,
pp. 422-423, ll. 35-69; ivi, § 18, pp. 438, ll. 41-51; § 36, pp. 480 sgg.
39 Cfr. P. POMPONAZZI , De immortalitate, c. IV, pp. 20-22; ivi, c. VIII, pp. 32-33. Scrive

opportunamente Perrone Compagni: «La discussione di Averroè offre infatti a Pomponazzi


una doppia occasione: da una parte, la possibilità di mettere subito in luce i motivi che sono a
suo avviso fondamentali e qualificanti nella trattazione aristotelica sull’anima e che gli servi-
ranno, in seguito, per fondare la sua spiegazione; dall’altra l’occasione di suggerire un punto
di contatto teorico tra le concezioni apparentemente diverse di Averroè e di Tommaso e di
anticipare, attraverso la puntigliosa critica del primo, l’analoga critica che, su quel punto spe-
cifico, rivolgerà al secondo» (V. PERRONE COMPAGNI, Introduzione a P. POMPONAZZI, Trattato,
p. XXIV).
40 Cfr. ivi, pp. XXX-XXXI .

41 Cfr. ivi, p. XXXII .

— 52 —
COME UNA DONNA DI RARA SAGGEZZA

anche la tesi della pluralità delle forme sostanziali nell’uomo.42 A tal fine,
Pomponazzi rimarca, nel testo del De immortalitate, la bontà della riflessio-
ne che l’Aquinate propone circa la reciproca interferenza tra gli atti delle
diverse facoltà dell’anima umana e il parallelo che Aristotele offre tra la
sussunzione delle anime l’una nell’altra e il modo in cui le figure geome-
triche sono l’una virtualmente contenuta nell’altra.43
Mentre nella critica ad Averroè Tommaso ha potuto dimostrare che
l’intelletto, nell’esercizio della sua attività più propria, non è separato dalle
altre potenze e dal corpo, nei capitoli IV-V viene principalmente difeso
l’esser forma da parte dell’anima umana, aspetto che comporta, come
Pomponazzi ricorderà più avanti, l’impossibilità di definire hoc aliquid nul-
l’altro che il composto stesso di anima e corpo.44 Il professore mantovano
non si stancherà infatti di dire che per potere giustificare filosoficamente
l’immortalità dell’anima umana, ben più coerentemente Platone la con-
siderava non la forma del corpo, ma una sostanza che ne fa uso.45
Queste assunzioni consentono a Pomponazzi di produrre un notevole
effetto dialettico: nella pagina del De immortalitate sembra essere proprio
Tommaso a spalancare la porta a quell’«aristotelismo puramente fisicista»
che secondo Poppi provoca le irrisolvibili tensioni del pensiero pompo-
nazziano. Il Tommaso destruens presente nei primi sei capitoli del De im-
mortalitate appare come il campione della confutazione di ogni forma di
mediatezza tra l’anima intellettiva e il corpo: da quella derivante dalla net-
ta separazione di intelletto e corpo, tipica di Averroè e di Platone, fino a
quella più mitigata, ma pur sempre da rifiutarsi, presente nell’ilemorfismo
‘corretto’ e ‘corrotto’ con la tesi della pluralità delle forme sostanziali. È
seguendo Tommaso, che l’anima umana non può che apparire diretta-

42 «Hic autem modus, secundum utrumque membrorum, a Divo Thoma, in prima

parte Summae et in multis aliis locis impugnatur, et, mea sententia, abunde et manifeste. Si
enim homo non componeretur ex materia et forma, sed ex motore et moto, tunc anima
et corpus non maiorem haberent unitatem quam boves et plaustrum. Multaque alia incom-
moda sequuntur, quae ab eo adducuntur. Ponere autem pluralitatem formarum substantia-
lium in eodem composito, ut asserit secundum membrum, hoc ab Aristotele et a multis Pe-
ripateticis videtur alienum» (P. POMPONAZZI, De immortalitate, c. VI, pp. 24-25).
43 Cfr. ivi, p. 25; su questo aspetto, cfr. anche J. WONDE , Subjekt und Unsterblichkeit,

p. 101.
44 Cfr. P. POMPONAZZI , De immortalitate, c. VIII, p. 39; ivi, c. IX, pp. 51-53. Pomponazzi

fa ‘tommasianamente’ valere questo elemento anche contro Contarini, in ID., Apologia, I,


c. 1, f. 54r.
45 Cfr. P. POMPONAZZI , De immortalitate, c. VIII, p. 39; I D., Apologia, I, c. 1, f. 54v, ivi,

c. 7, ff. 64v-65r.

— 53 —
ANTONIO PETAGINE

mente, immediatamente e organicamente immersa nella materia: a partire


da qui, ogni paradigma psicologico che avrebbe potuto giustificare una
qualunque forma di separabilità e di autonomia dell’anima dal corpo ri-
sulterà insostenibile.
Ci sembra che sia proprio questo elemento a gettare luce su un’asser-
zione presente a più riprese nell’Apologia e nel Defensorium: la differenza
più significativa tra Tommaso e i puri peripatetici sta per Pomponazzi
nel fatto che, pur venendo assunta in entrambi casi l’idea che l’anima
non sia una sostanza separata, ma sia intrinsecamente legata al corpo,
Tommaso, in quanto cristiano, che lo confessi o meno, mette in gioco
una possibilità ignota ad Aristotele, che non si può realizzare a livello na-
turale, e che si palesa invece nel sacramento eucaristico: grazie ad un in-
tervento diretto e straordinario di Dio, gli accidenti del pane, che posso-
no inerire solo alla sostanza del pane, possono esistere inerendo ad un
soggetto diverso dal pane. Secondo Pomponazzi, è solo pensando a quel
tipo di intervento miracoloso che si può sostenere che l’anima umana
– forma sostanziale la cui natura è quella di inerire ad un composto corrut-
tibile, quale è questo ben determinato corpo – possa essere immortale.46
Se non è eccessiva l’enfasi che già in questa parte del trattato abbiamo
posto nel confronto che Pomponazzi instaura con Tommaso, si può al-
lora avanzare un’ipotesi anche riguardo al ‘silenzio’ in cui il Pomponazzi
del De immortalitate animae avvolge la posizione di Alessandro di Afrodisia,
di cui pur non ha mancato di saggiare altrove gli argomenti.47 Perché in-
vocare il pagano Alessandro quando è il ‘divino Tommaso’ a fornirgli tut-
te le armi dialettiche necessarie per costruire e difendere la propria posi-
zione? Ubi maior, minor cessat: all’interno del De immortalitate animae, è nel
Tommaso che insiste su una rigorosa unità ilemorfica dell’uomo e che
squalifica abunde et manifeste ogni residuo dualistico, che Pomponazzi
può ritrovare, con ancor maggiore effetto, ciò che altrove ha apprezzato

46 Cfr. P. P OMPONAZZI , Apologia, I, c. 1, f. 53v; ivi, f. 54v; f. 58v; I D ., Defensorium, c. 6,

f. 85r. Cfr. E. GILSON, Autour de Pomponazzi, pp. 247-248.


47 Per i riferimenti alla posizione di Alessandro precedenti al De immortalitate, cfr. P.O.

KRISTELLER, Two Umpublished Questions, pp. 86-88, 91; P. POMPONAZZI, Corsi inediti dell’inse-
gnamento padovano, II, q. 1, pp. 7-21; ivi, q. 2, pp. 28, 60. Cfr. in merito P.O. KRISTELLER,
Aristotelismo e Sincretismo, p. 7; A.H. DOUGLAS, The Philosophy and Psychology of Pietro Pompo-
nazzi, p. 62; B. MOJSISCH, Einteilung, in P. POMPONAZZI, Abhandlung über die Unsterblichkeit der
Seele, ed. B. Mojsisch, Hamburg, Felix Meiner Verlag, 1990, p. XXXI; J. WONDE, Subjekt und
Unsterblichkeit, p. 95, nota 73; V. PERRONE COMPAGNI, Introduzione a P. POMPONAZZI, Trattato,
pp. LIX-LXVII.

— 54 —
COME UNA DONNA DI RARA SAGGEZZA

della posizione di Alessandro. Si potrebbe addirittura notare che è lo stes-


so Tommaso a suggerire nel De unitate intellectus che, emendata dalla let-
tura ‘perversa’ di Averroè, l’autentica posizione di Alessandro avrebbe
potuto essere molto vicina alla propria.48
In forza dunque di queste assunzioni polemiche schiettamente tom-
masiane, Pomponazzi può ben dire, all’inizio del settimo capitolo, che
«abbiamo confutato in tutti i suoi aspetti l’interpretazione che suppone nel-
l’uomo una distinzione reale tra l’intellettivo e sensitivo».49 Verrebbe da
dire che il tradizionale uso del plurale presenti qui un valore non pura-
mente formale: la pulce Pomponazzi, fino ad ora, più che andare contro
l’elefante Tommaso,50 si è fatta clandestinamente – e abilmente – traspor-
tare tra le sue pieghe.

3. CONTRO TOMMASO: LA METAFORA DELLA DONNA DI RARA SAGGEZZA

Quando Pomponazzi pone mano al settimo capitolo, riassume la dot-


trina tommasiana in cinque punti fondamentali:
1. Il principio intellettivo e quello sensitivo costituiscono nell’uomo una
medesima anima;
2. Tale anima unitaria è simpliciter immortale, mentre è mortale secundum
quid;
3. L’anima umana è forma e non motore del corpo;
4. Le anime sono numericamente distinte, secondo il numero degli uo-
mini;
5. Le anime cominciano ad esistere simultaneamente ai corpi di cui sono
forma. Poiché però l’anima umana è immateriale e incorruttibile, essa
non deriva dalla generazione, bensı̀ viene direttamente creata da Dio.51

48 Cfr. TOMMASO D’AQUINO, De unit. intell., c. 2, ed. Leonina, p. 302, ll. 93-107.
49 «Cum itaque universaliter reiectus est modus, qui intellectivum et sensitivum in ho-
mine distingui realiter, existimat, reliquum est, ut intellectivum et sensitivum in homine sint
idem» (P. POMPONAZZI, De immortalitate, c. VII, p. 26; la traduzione è quella di Perrone Com-
pagni: ID., Trattato, c. 7, p. 24. Corsivo nostro).
50 Il riferimento a se stesso come ‘pulce’ e a Tommaso come ‘elefante’ è contenuta in

P. POMPONAZZI, De immortalitate, c. VIII, p. 42.


51 Cfr. ivi, c. VII, pp. 26-27. Come hanno notato diversi studiosi, per quel che riguarda

il secondo punto, appare difficile rintracciare in Tommaso l’espressione che Pomponazzi ri-
porta. Tuttavia, il mantovano sembra rendere in modo sostanzialmente corretto il fatto che
secondo Tommaso l’anima sia di per sé immortale, cosı̀ che la morte la coinvolge solo in un

— 55 —
ANTONIO PETAGINE

Come è noto, Pomponazzi dichiara di essere perfettamente d’accordo


con la prima dottrina, ma di nutrire delle perplessità sulle altre quattro.52
Un dissenso vero e proprio lo esprimerà verso la seconda e verso l’ultima
parte della quinta, in cui si pretende di concludere l’origine per creazione
dell’anima umana. Verso le altre dottrine, Pomponazzi parte a ben vedere
da un fondamentale assenso, che ha già espresso laddove ha costruito la
propria opposizione ad ogni interpretazione non ilemorfica del rapporto
tra anima e corpo. Rispetto quindi alla concezione dell’anima-forma (ter-
zo punto), alla molteplicità di anime umane della medesima specie (quar-
to) e all’origine dell’anima concomitante con la generazione corporea
(prima parte del quinto), Pomponazzi, più che opporsi, sembra mosso
dal desiderio di produrre alcuni necessari chiarimenti e di esibire la pro-
blematicità, per non dire l’incoerenza, di alcune considerazioni che Tom-
maso avrebbe legato a tali assunzioni, quasi che non avesse voluto percor-
rere fino in fondo la strada che pure aveva giustamente imboccato.53
Come Tommaso, Pomponazzi ritiene infatti che l’anima sia forma del
corpo, ma non concede che le si possa riconoscere la capacità di trascen-
dere del tutto la dimensione corporea.54 Inoltre, se contro Averroè Tom-

certo senso, in quanto cioè investe il corpo, che è la sua materia, ma non può toccarla in se
stessa, in quanto forma. Cfr. J. WONDE, Subjekt und Unsterblichkeit, pp. 104-105; V. PERRONE
COMPAGNI, Introduzione a P. POMPONAZZI, Trattato, pp. XXXV-XXXVI; J.T. EBERL, Pomponazzi
and Aquinas on the Intellective Soul, «The Modern Schoolman», LXXXIII, 2005-2006, pp. 65-
77: 66; TOMMASO D’AQUINO, S. Theol., IIa-IIae, q. 164, a. 1, ad 1-2, in Opera Omnia iussu
Leonis XIII P. M. edita, cit., t. X, cura et studio Fratrum Praed., Roma, Typ. Polyglotta,
1899, pp. 334-335; ID., Q. D. De anima, q. 2, ad 1, ed. Leonina, p. 19, ll. 328-333; ivi,
q. 11, ad 13, p. 103, ll. 352-357; ID., Exp. Super Job ad litt., c. 30, in Opera Omnia iussu Leonis
XIII P. M. edita, t. XXVI, cura et studio Fratruim Praed., Romae ad Sanctae Sabinae,
1965, p. 163, ll. 235-249.
52 P. POMPONAZZI , De immortalitate, c. VIII, p. 30.

53 Già Fiorentino notava al riguardo che «ricondotte ai principali capi le conclusioni

dell’Aquinate, il Pomponazzi prende a combatterne alcuni. In altri abbiamo visto ch’ei si ac-
cordassero, come nella immanenza dell’intelletto nell’anima umana, nella sua moltiplica-
zione, e nella medesimezza sostanziale dell’intendimento e del senso. La discrepanza si ridu-
ceva dunque al capo dell’immortalità, ché in quanto all’immaterialità, da prima non eran
molto discosti, benché di poi il dissidio si fosse sempre più fatto maggiore» (F. FIORENTINO,
Pietro Pomponazzi, pp. 164-165).
54 «Tertium dictum est, quod talis anima est vere forma hominis, et non tantum ut mo-

tor. Huic quidem dicto consentio, si ponitur materialis; verumtamen, si ponitur immaterialis,
ut ipse dicit, non videtur esse notum. Oportet enim talem essentiam esse hoc aliquid et per se
stans. Quomodo igitur fieri poterir ut sit actus et perfectio materiae, cum tale, scilicet actus
materiae, sit, non quod est, sed quo aliquid est, ut patet septimo Metaphysicae?» (P. POMPO-
NAZZI , De immortalitate, c. VIII, pp. 38-39).

— 56 —
COME UNA DONNA DI RARA SAGGEZZA

maso poteva far valere la molteplicità degli individui all’interno dell’unica


specie umana, ciò avveniva per l’esplicita ammissione che l’anima è forma
del corpo e che il principio di individuazione è la materia quantificata.
Proprio perché condivide l’esigenza tommasiana di legare anti-averroisti-
camente la molteplicità degli intelletti a quella dei corpi, Pomponazzi la-
menta l’infondatezza dell’istituzione di un distinguo tra l’individuazione
schiettamente corporea e quella che si riscontrerebbe nell’anima intellet-
tiva, provocata dall’‘attitudine’ verso il corpo e non dal corpo in quanto
tale: non si tratterebbe altro che di un escamotage utile solo per tenere la
posizione.55 Ammettendo poi l’esistenza di individui umani immortali e
concedendo aristotelicamente che la specie umana è eterna, non si potrà
evitare l’infinito in atto, senza rifugiarsi nella resurrezione democritea o
nelle metempsicotiche favole dei pitagorici.56 Infine, Pomponazzi e Tom-
maso considerano entrambi del tutto coerente con la prospettiva ilemor-
fica la tesi secondo la quale l’anima inizia ad esistere simultaneamente al
corpo; tuttavia, Pomponazzi non troverà sufficientemente giustificato a
livello filosofico – e nemmeno compatibile con la prospettiva aristotelica –
il ricorso ad un’origine direttamente divina dell’anima umana.57
E chiaro dunque che lo schema del confronto con le diverse tesi tom-
masiane è quello di esibire la condivisione di un medesimo punto di par-
tenza, a cui segue però l’esigenza di porre chiarimenti e correzioni ulte-
riori. Cosı̀ facendo, quando Pomponazzi difenderà la dottrina secondo la
quale l’anima umana è immortale solo secundum quid, potrà fare valere
contro Tommaso non poche – e nemmeno secondarie – persuasioni
tommasiane.
Contro l’assunto che l’anima sia simpliciter immortale, Pomponazzi os-
serva che una tale conclusione risulterebbe del tutto ovvia se l’anima uma-
na mostrasse di essere simpliciter immateriale. È proprio questa ‘ovvietà’ che

55 «Quod autem dicitur a quibusdam, distingui per habitudines ad diversas materias, vel,

quod loquitur Aristoteles, per principia individuantia, quae materia possunt appellari, mihi et
ista videntur intricamenta et novae inventiones pro sustentanda positione, et nullo pacto ad
mentem Aristotelis» (ivi, p. 39).
56 Cfr. ivi, p. 40.

57 «Nam, quod ponat, animam intellectivam de novo fieri, istud quidem concedimus;

verum, quod non per generationem, sed per creationem, hoc non videtur sonare dictis Ari-
stotelis, cum numquam de tali creatione fecerit mentionem; immo, si eam posuisset, aperte
peccasset, per fallaciam consequentis, in octavo Physicorum voluit probare, mundum num-
quam incepisse, cum tantum per veram generationem illud ostendat. Quod si praeter gene-
rationem posuisset etiam creationem, suum erat, etiam probare, quod non per creationem.
Quod minime fecit. Quare manifeste peccasset» (ibid.).

— 57 —
5
ANTONIO PETAGINE

invece Pomponazzi non può concedere: la natura dell’uomo è ancipite e la


sua posizione è unica, al confine tra le cose corruttibili e quelle incorrut-
tibili.58 Quest’osservazione di matrice neoplatonica, che per altri autori po-
teva servire per giustificare la soluzione dell’immortalità dell’anima, nel De
immortalitate animae è piuttosto ciò che provoca il problema di pensarla
adeguatamente: contro Averroè e contro Platone, Pomponazzi ha già di-
mostrato, proprio con l’ausilio di Tommaso, che l’anima umana non è una
delle sostanze separate e dunque che non è simpliciter immateriale.59
Si potrebbe dire che nel De immortalitate animae Pomponazzi sembri
escludere che Tommaso sia un vero e proprio difensore della tesi dell’im-
materialità dell’anima umana. È certamente riferendosi a Tommaso, co-
me abbiamo visto, che Pomponazzi chiarisce che parlare di una ‘forma
immateriale’ sia una sorta di contraddizione in termini.60 Tuttavia, non
è nell’immaterialità dell’anima che sta la peculiarità della psicologia di
Tommaso d’Aquino. Ponendo l’anima immortale simpliciter e mortale se-
cundum quid, Tommaso ha piuttosto riconosciuto, come non avevano fat-
to né Averroè, né Platone, la coesistenza nell’anima umana di materialità
e immaterialità, di ciò che è mortale e di ciò che non sembra esserlo. Non
è dunque senza Tommaso che Pomponazzi pensa di poter dire che il
nocciolo della questione stia proprio nel pensare tale coesistenza, e di
pensarla senza contraddizione: la difficoltà può apparire in tutta la sua
acutezza soltanto se si parte dalla consapevolezza di dovere risolvere pro-
prio questo problema, alla cui posizione la psicologia di Tommaso ha
contribuito come nessun’altra, tra quelle che egli ha fino ad ora presen-
tato nel De immortalitate animae.

58 Cfr. ivi, c. I, pp. 6-7.


59 Cfr. J.L. TRELOAR, Pomponazzi’s Critique of Aquinas’ Arguments, p. 458; B. MOJSISCH,
Zum Disput über die Unsterblichkeit der Seele in Mittelalter und Renaissance, «Freiburger Zeitsch-
rift für Philosophie und Theologie», XXIX, 1982, pp. 341-359. Sarebbe stato lo stesso Tom-
maso a riconoscere che se vi è una cosa che rende legittimo il dubbio circa l’immortalità del-
l’anima questa è proprio la sua natura intermedia, se davvero sua fosse, come appare dagli
argomenti portati da Kennedy, la Queastio de immortalitate animae da lui pubblicata nel
1978: «in rerum ordine invenitur anima media inter corruptibiles et incorruptibiles creaturas,
unde non irrationabiliter de immortalitate ipsius dubitatur, ut enim dicitur in secundo Ethi-
corum, ‘‘extremi litigant de media regione’’. Convenit enim cum substantiis incorruptibilibus
in hoc quod est intelligens; et ex hoc videtur incorruptibilis esse. Convenit cum substantiis
corruptibilibus ex hoc quod est corruptibilis corporis forma; ex quo videtur et ipsa corrupti-
bilis esse» (L.A. KENNEDY, A New Disputed Question of St. Thomas Aquinas on the Immortality of
the Soul, «Archives d’Histoire Doctrinale et Littéraire du Moyen Âge», XLV, 1978,
pp. 205-223: 213.
60 Cfr. supra, nota 54, p. 56.

— 58 —
COME UNA DONNA DI RARA SAGGEZZA

Non ci sembra un caso, dunque, che l’immaterialità non risulti nel


rendiconto riassuntivo che Pomponazzi dà delle principali tesi psicologi-
che di Tommaso: l’Aquinate avrebbe dimostrato sı̀ l’immaterialità dell’in-
telletto, ma l’intelletto è soltanto una potenza dell’anima umana, non l’a-
nima umana in se stessa, la cui essenza è quella di essere forma del corpo,
totum potentiale di principi non solo intellettivi, ma anche sensibili. È que-
sto assunto che non permette di indicare alcun fondamento per poter poi
stabilire, come Tommaso avrebbe fatto, che l’anima sia immortale per es-
senza e mortale solo incidentalmente.61
La debolezza del ragionamento tommasiano starebbe dunque, secon-
do Pomponazzi, nell’avere esteso ciò che vale ‘solo’ per l’intelletto all’a-
nima tutta intera, quando invece il punto delicato del problema è proprio
il fatto che ciò che sembra valere per l’anima, intesa aristotelicamente co-
me atto e forma del corpo, non sembra estendibile all’intelletto, inteso
‘averroisticamente’ come immateriale e ‘platonicamente’ come qualcosa
di ontologicamente consistente al di là dell’informazione corporea.62
Tommaso stesso ha dunque mostrato che l’anima umana è una realtà
peculiare, perché costituita da elementi tra loro eterogenei, addirittura
opposti. Stando cosı̀ le cose, si pone il problema di individuare un criterio
per stabilirne l’essenza. Pomponazzi osserva che Aristotele ha fornito un
tale criterio, nella Fisica. A superabundantia sit denominatio: quando si deve
stabilire quale sia l’essenza di un composto di parti tra loro diverse o di un
ente di cui solo alcune componenti si trovino in un certo stato, è l’ele-
mento prevalente quello in cui è possibile trovare l’essenza della cosa.63
Secondo Pomponazzi, è proprio l’applicazione all’anima umana di questo
principio aristotelico a testimoniare a sfavore di Tommaso: essendo ben
più numerosi gli elementi che attestano la nostra caducità e la nostra ap-

61 Cfr. P. POMPONAZZI , De immortalitate, c. VIII, pp. 30-31. Cfr. anche ID., Apologia, II,

c. 3, f. 68r.
62 Possiamo qui notare che, come il Pomponazzi del De immortalitate animae, anche stu-

diosi contemporanei del pensiero psicologico e noetico di Tommaso hanno ritenuto proble-
matico quel procedere tommasiano che sembra pretendere di «parlare dell’anima argomen-
tando dell’intelletto». Cfr. F.X. PUTALLAZ, Le sens de la réflexion chez Thomas d’Aquin, Paris,
Vrin, 1991, pp. 82-83; A. PETAGINE, Aristotelismo difficile. L’intelletto umano nella prospettiva
di Alberto Magno, Tommaso d’Aquino e Sigieri di Brabante, Milano, Vita e Pensiero, 2004,
pp. 170-173, 201-204. La problematicità di una fondazione schiettamente aristotelica delle
tesi psicologiche tommasiane è stata al centro dello studio di E.H. WÉBER, La controverse de
1270 a l’Université de Paris et son retentissement sur la pensée de S. Thomas d’Aquin, Paris, Vrin, 1970.
63 Cfr. P. POMPONAZZI , De immortalitate, c. VIII, p. 31. Cfr. ARISTOTELE, Physica, I, c. 4,

ed. Bekker, 187b2-4; ivi, VI, c. 9, 240a23-25.

— 59 —
ANTONIO PETAGINE

partenenza al mondo animale rispetto a ciò che ci eleva sopra di esso, il


criterio della superabundantia spinge a riconoscere la nostra essenziale mor-
talità piuttosto che il contrario.64
Lasciamo per ora da parte il fatto che Pomponazzi porti a suo vantag-
gio un luogo aristotelico che forse non testimonia contro Tommaso con
l’evidenza che il professore mantovano pretenderebbe: se infatti, nel pri-
mo libro della Fisica la superabundantia potrebbe essere più facilmente in-
dividuabile in una prevalenza quantitativa, nel sesto libro, Aristotele si
riferisce espressamente ad una prevalenza che può ben essere anche
qualitativa: infatti – spiega lo Stagirita – noi consideriamo una cosa bianca
o non bianca in riferimento alle parti più numerose o a quelle più impor-
tanti. Se perciò si accetta, come fa Tommaso, che l’intelletto è la parte
più importante, più propria, dunque più nobile dell’anima umana, l’idea
che, pur avendo più numerose facoltà materiali, l’anima possa essere per
essenza immortale appare del tutto coerente con il principio aristotelico
qui invocato da Pomponazzi contro Tommaso.65
Concentriamoci però sul modo in cui nell’argomentazione di Pom-
ponazzi questo criterio aristotelico viene fatto giocare contro Tommaso:
il fatto che l’Aquinate abbia dimostrato l’immaterialità non dell’anima,
ma del solo intelletto, lascia aperto il sospetto, il dubbio che considerando
l’intelletto ‘immateriale’ e quindi ‘immortale’ non indichiamo una con-
dizione effettivamente diversa da quella in cui si trova ciò che è materiale
e mortale, ma che stiamo compiendo un’attribuzione da prendersi in un
senso ‘relativo’. L’uso ordinario del nostro linguaggio ci rivela infatti che,
proprio quando un certo oggetto mostra di possedere qualcosa di raro o
di eccezionale rispetto ad altri simili, tendiamo a definirlo con qualità ‘di
ordine superiore’, che non sono quindi effettivamente presenti in quel-
l’oggetto, ma che ci consentono di esprimere il fatto che esso, rispetto
agli altri, possiede di meno ciò che è opposto a quella qualità di ordine
superiore. Di fronte alla prevalente fatuità femminile – esemplifica scher-
zosamente Pomponazzi – non chiamiamo forse ‘saggia’ una donna che
eccezionalmente mostra di essere meno sciocca delle altre su cui eccelle? 66

64 Cfr. P. POMPONAZZI, De immortalitate, c. VIII, p. 31.


65 Cfr. J.L. EBERL, Pomponazzi and Aquinas on the Intellective Soul, pp. 68-69. In questa
direzione, sembra muoversi effettivamente anche l’obiezione al riguardo di Contarini, Trac-
tatus contradictoris, in P. POMPONAZZI, Tractatus acutissimi, utillimi et mere peripatetici, f. 78v.
66 «Inter quoque rationales, si considerabimus, hi simpliciter rationales nuncupari non

possunt, verum appellati sunt rationales in comparatione ad alios maxime bestiales, sicut fer-

— 60 —
COME UNA DONNA DI RARA SAGGEZZA

Se definissimo saggia quella donna come se la ‘virile’ saggezza appartenes-


se alla sua essenza di donna, cadremmo in una trappola logico-linguistica
che, ipostatizzando una privazione, la trasformerebbe in un carattere po-
sitivo.
Quando, fuor di metafora, chiamiamo l’intelletto ‘immateriale’ e ‘im-
mortale’ non possiamo escludere insomma che questi caratteri denotino
la presenza di qualcosa di meno materiale, meno costretto, cioè, dai vin-
coli e dalle condizioni corporee che caratterizzano le altre facoltà sensibili,
piuttosto che designare qualcosa di ‘altro’ rispetto a ciò che è materiale e
mortale. Come spiegare altrimenti la debolezza dell’intelletto di fronte al-
la cognizione degli stessi oggetti sensibili, dominata dall’ignoranza e dal-
l’errore? Come giustificare la limitatezza del tempo che l’uomo normal-
mente dedica alle faccende intellettuali e la rarità di uomini virtuosi e
colti, se l’essenza dell’anima umana fosse immateriale e immortale? Anzi-
ché suonare la trionfale marcia dell’immortalità, pensiero e volontà, al
contrario di quel che dice Tommaso, elevano sull’oscura marea delle bru-
tali e crudeli vicende umane una troppo flebile voce per testimoniare di
un’essenza immortale dell’uomo.67
La messa a fuoco del significato veicolato dalla metafora pomponazzia-
na della donna di rara saggezza permette anche di comprendere a pieno un
altro paradosso della proposta di Pomponazzi: in quanto compiutamente
capace di sapere speculativo, il filosofo rappresenta senz’altro l’eccellenza
nell’uomo, tuttavia, proprio perché ‘raro’, il filosofo non è in grado di
esprimere l’umano secondo la sua propria essenza.68 Il filosofo esprime
piuttosto un allontanamento dall’umano, nel senso di una ‘fuga in avanti’,
verso ciò che è oltre l’umano, cosı̀ come una donna saggia rappresenta un
allontanamento da ciò che le donne per essenza sono.69 Se noi volessimo
sapere che cos’è una donna, non potremmo stabilirlo a partire da una don-
na saggia; mutatis mutandis, se si vuole comprendere che cosa sono gli uo-
mini, non si potrà guardare al filosofo o al dotto per saperlo.
Dileguati, con Tommaso, averroismo e platonismo, con quali stru-
menti si potrà sostenere, con Tommaso, qualcosa di diverso dall’essenzia-

tur de mulieribus, quod nulla est sapiens nisi in comparatione ad alias maxime fatuas»
(P. POMPONAZZI, De immortalitate, c. VIII, p. 31).
67 Cfr. ivi, p. 32; ID ., Apologia, II, c. 2, f. 67v.

68 Cfr. P. POMPONAZZI , De immortalitate, c. VIII, p. 32; ivi, c. XIV, pp. 89-97.

69 Cfr. su questo punto, L. BIANCHI , Studi sull’Aristotelismo del Rinascimento, Padova, Il

Poligrafo, 2003, pp. 73, 77-81.

— 61 —
ANTONIO PETAGINE

le mortalità dell’anima umana? Secondo Pomponazzi, l’Aquinate avrebbe


ragione a considerare l’immortalità come carattere che inerisce all’essenza
dell’uomo se egli avesse avuto torto nella sua pars destruens.70 A bene ve-
dere, poi, prosegue il professore mantovano, quand’anche si prendessero
per buone le concessioni che Tommaso fa all’immaterialità averroista e
alla consistenza ontologica dell’anima di marca platonica, si dovrebbe
in ogni caso fare i conti con il fatto che, in entrambe quelle tradizioni,
più che l’immortalità dell’anima se ne conclude l’eternità, cosa che Tom-
maso non sarebbe disposto ad accettare, giacché egli ritiene che l’anima
inizi simultaneamente con il corpo. E Aristotele non lascia adito a dubbi:
ciò che è incorruttibile è ingenerabile, quindi eterno.71
La tesi tommasiana dell’immortalità dell’anima umana risulta anche
legata alla necessità di riconoscere due modalità intellettive diverse, una
mentre è congiunta al corpo, l’altra dopo che ne viene separata. Pompo-
nazzi osserva che se l’anima, una volta separata, potesse operare senza ri-
correre alle rappresentazioni della fantasia, desterebbe meraviglia che una
tale sostanza venga mossa, in vita, da ciò che è materiale. Mentre infatti
non è difficile mostrare che ciò che è immateriale possa muovere ciò che
è materiale, appare assurdo che ciò che è materiale possa essere principio
di movimento dell’immateriale, che l’inferiore muova il superiore.72
Anche questo argomento diretto contro Tommaso sembra molto vi-
cino ad uno che l’Aquinate stesso aveva usato nel De unitate intellectus
contro gli ‘averroisti’. Maestri come Sigieri di Brabante infatti rimprove-
ravano Tommaso di avere posto una concezione dell’anima umana in cui
una potenza risultava aporeticamente più nobile dell’essenza a cui ineriva.
Tommaso nel De unitate non rispondeva a questa obiezione negando che
l’anima umana fosse una forma sostanziale che possiede una potenza più
nobile della sua essenza (di forma sostanziale); egli piuttosto ribatteva che
se la passavano molto peggio coloro che – come Sigieri – ritenevano che
l’intelletto fosse separato dall’anima forma del corpo, perché costoro si
trovavano a dire che una sostanza compiutamente immateriale ha bisogno
di ciò che è materiale per realizzarsi.73

70 Cfr. P. POMPONAZZI, De immortalitate, c. VIII, pp. 38-39.


71 Cfr. ivi, p. 41.
72 «Si anima humana duos habet modos intelligendi, unum per phantasma, alterum vero

sine phantasmate, videtur multum irrationabile quod substantia immaterialis moveatur a re


materiali» (ivi, c. VIII, p. 35).
73 Cfr. T OMMASO D ’A QUINO , De unit. intell., c. 3, ed. Leonina, p. 307, ll. 387-421;

A. PETAGINE, Aristotelismo difficile, pp. 183-185.

— 62 —
COME UNA DONNA DI RARA SAGGEZZA

Pomponazzi segnala un ulteriore elemento di incongruenza tra i testi


di Tommaso. Mentre in ambito psicologico l’Aquinate si impegnava nel
dimostrare che Aristotele fosse un sostenitore dell’immaterialità e dell’im-
mortalità dell’anima intellettiva, il Tommaso interprete dell’Etica a Nico-
maco sembrava fornire l’immagine opposta. Come interpretare infatti l’as-
senza, nel Commento al primo libro, di alcun riferimento alla felicità da
ottenere fuori da questa vita? Riguardo poi alla determinazione per cui
il male non sia da compiersi nemmeno nel caso in cui commetterlo por-
terebbe ad avere salva la vita in pericolo, Tommaso si interroga su come
Aristotele avrebbe potuto fondare la bontà di questa determinazione, se
sulla gloria o su uno ‘stoico’ valore intrinseco della virtù, valore che nulla
perde, né guadagna da una maggiore durata temporale.74 Non era questo
il momento in cui tirare in ballo la persuasione dell’immortalità indivi-
duale, se Aristotele l’avesse avuta? Pomponazzi, molto opportunamente,
richiama l’attenzione sul fatto che è lo stesso Tommaso, nel Commento al
Simbolo degli Apostoli, a riprendere il tragico dilemma di seguire la virtù o
di avere salva la vita, proprio per mostrare la cogenza della speranza nella
Resurrezione. Quali ragioni potrebbero essere avanzate allora per spiega-
re un tale silenzio nel commento all’Etica, se non il fatto che l’Aristotele
‘etico’ – per come emerge dall’esegesi stessa di Tommaso – non sembra
affatto credere nell’immortalità individuale? 75
L’importanza di questo riferimento all’Etica nel percorso speculativo
pomponazziano è maggiormente apprezzabile dopo che Nardi ha ripor-
tato un testo del Commento alla Fisica di Pomponazzi in cui, quando an-
cora era evidentemente convinto che la genuina dottrina psicologia di
Aristotele si identificasse con quella averroista, il professore mantovano
già segnalava la smentita che l’immagine dell’intelletto immateriale e im-
mortale sembrava subire nell’Etica a Nicomaco, proprio per come Tomma-
so d’Aquino leggeva e commentava taluni passi del primo e del terzo li-
bro.76 Seguendo perciò la traccia offerta da Nardi, non si sembra esagerato
dire che già prima del De immortalitate, proprio Tommaso, attraverso il
Commento all’Etica, sembrava offrire a Pomponazzi un’autorevole base
su cui costruire la propensione per un’immagine ‘mortalista’ dell’anima
umana e per una lettura ‘alessandrista’ di Aristotele.

74 Cfr. TOMMASO D ’AQUINO, Sent. Ethic., l. 3, lect. 2, in Opera Omnia iussu Leonis XIII edita,

cura et studio Fratrum Pread., t. XLVII/1, Roma, Ad Sanctae Sabinae, 1969, p. 122, ll. 48-63.
75 Cfr. P. POMPONAZZI , De immortalitate, c. VIII, p. 42.

76 Cfr. B. NARDI , Studi su Pietro Pomponazzi, pp. 171-176.

— 63 —
ANTONIO PETAGINE

4. L’IMMORTALITÀ SECUNDUM QUID DELL ’ANIMA UMANA

All’esordio del nono capitolo, Pomponazzi afferma di avere chiuso la


propria pars destruens, per cominciare finalmente a esibire e difendere la
tesi in cui riconosceva il maggiore valore filosofico: il mantovano infatti
fa il punto circa le dottrine che ritiene di avere fino ad ora confutato
(averroismo e platonismo) e circa quella – di Tommaso – di cui ha mo-
strato le ambiguità.77 A ben vedere, però, il confronto critico di Pompo-
nazzi con Tommaso d’Aquino non si è affatto concluso con la fine del
capitolo precedente. Il nono capitolo è infatti ancora costruito intorno
alla ripresa della discussione delle cinque tesi fondamentali già ascritte
nel settimo capitolo all’Aquinate.78 È quindi ancora il peculiare confronto
dialettico con Tommaso ad essere alla ribalta e a stare alla base della difesa
della posizione tipicamente pomponazziana, secondo la quale sarà solo se-
cundum quid che si potrà parlare di immortalità dell’anima, mentre simpli-
citer essa risulterà mortale.
Ribadito perciò l’accordo con Tommaso circa la presenza in un’unica
anima del principio intellettivo e delle facoltà sensibili, Pomponazzi sot-
tolinea che per comprendere adeguatamente lo statuto ontologico dell’a-
nima intellettiva e il modo in cui gli uomini realizzano l’essenza specifi-
catamente umana, sia necessario individuare correttamente la posizione
dell’uomo nel cosmo, in particolare tra le sostanze capaci di conoscenza.
L’intelletto umano non è una sostanza separata, del tutto indipendente
dal corpo per pensare; nemmeno è una forma tanto materiale da espletare
in un qualche organo la sua più propria attività conoscitiva.79
Inoltre, prosegue Pomponazzi, Platone ed Aristotele si troverebbero
d’accordo nel riconoscere che a ciascun livello di sostanze capaci di co-

77 «Cum itaque primus modus ponens intellectivum realiter distingui a sensitivo in mor-

talibus secundum omnes impugnatus sit modus; et secundum ponens quod intellectivum et
sensitivum sunt idem re, et tale est simpliciter immortale et secundum quid mortale sit valde
ambiguus, nec convenire Aristoteli; reliquum est ut ponamus ultimum modum» (P. POMPO-
NAZZI , De immortalitate, c. IX, p. 43, corsivo nostro).
78 È lo stesso Pomponazzi a dirlo: «Et, ut ordinate procedamus, dicemus iuxta illa quin-

que dicta in superiori capitulo» (ibid.). «Reste à examiner – spiega Céard – la dernière solu-
tion – c’est-à-dire la cinquième. Pomponazzi annonce qu’il la considérera selon les cinq ru-
briques déjà utilisées: c’est donc visiblement l’édifice thomiste qu’il va entreprendre de
rebâtir à nouveaux frais» (J. CÉARD, Matérialisme et théorie de l’âme dans la pensée padouane: le
«Traité de l’Immortalité de l’âme» de Pomponazzi, «Revue Philosophique de la France et de l’E-
tranger», CLXXI, 1981, pp. 25-48: 45).
79 Cfr. P. POMPONAZZI , De immortalitate, c. IX, pp. 44-46.

— 64 —
COME UNA DONNA DI RARA SAGGEZZA

noscenza corrisponde un preciso modo di essere ‘anima’. Anche da que-


sto punto di vista, la medietà dell’uomo si manifesta facilmente: tra un’a-
nima meramente sensitiva, che è atto completamente immerso nell’infor-
mazione del corpo, e le sostanze separate che animano i cieli come
semplici motori, l’anima umana si pone come qualcosa che è atto del cor-
po, senza però immergersi completamente nella materia.80
È in forza del previo riconoscimento di questa medietà che Pompo-
nazzi può leggere la necessità del corpo ut obiecto da parte dell’intelletto
nella giusta prospettiva. Se infatti va biasimato l’uso che gli averroisti
fanno di questa tesi per giustificare la separatezza ontologica dell’intellet-
to dal corpo, è pur sempre vero che l’intelletto non svolge la propria
operazione in un organo, altrimenti non si capirebbe che cosa distingua
il pensare dal sentire, né apparirebbe sensata la precisazione aristotelica
per cui il pensare non è la fantasia, per quanto non possa darsi senza
di essa.81
Nell’economia del nostro discorso vale la pena sottolineare che anche
in questo caso non si può non riscontrare un’evidente similitudine tra gli
elementi che Pomponazzi utilizza per legittimare la propria tesi e quelli
fatti valere da Tommaso nella sua polemica contro Averroè. Come abbia-
mo già notato altrove con maggiore dettaglio,82 è proprio Tommaso che
sottolinea la necessità di fissare lo sguardo sul grado di perfezioni che l’or-
dine stesso dell’universo esige, affinché si possa a pieno comprendere una
concezione dell’anima umana secondo la quale essa è sı̀ forma del corpo,
ma risulta pur tuttavia dotata di potenze non corporee.83

80 Cfr. ivi, pp. 45-46.


81 Cfr. ivi, p. 45.
82 Ci permettiamo di rinviare, su questo punto, ai nostri studi: A. PETAGINE , L’intelletto e

il corpo: il confronto tra Tommaso d’Aquino e Sigieri di Brabante, in Dalla prima alla Seconda Scola-
stica. Paradigmi e percorsi storiografici, a cura di A. Ghisalberti, Bologna, ESD, 2000, pp. 76-119:
111-116; ID., Aristotelismo difficile, pp. 103-104; 174-175.
83 Cfr. TOMMASO D ’AQUINO , S. Theol., I, q. 76, a. 3, corpus, ed. Leonina, p. 221; ID ., De

unitate intell., c. 1, ed. Leonina, p. 296, ll. 469-499. Per i riferimenti testuali al cosiddetto
‘assioma di continuità’ e per una loro analisi, cfr. B. MONTAGNES, L’axiome de continuitè chez
Saint Thomas, «Revue de Sciences Philosophiques et Théologiques», LII, 1968, pp. 201-221.
Che Pomponazzi, richiamando la necessità di considerare la medietà dell’uomo per com-
prendere la natura peculiare dell’anima umana, si servisse di una considerazione già di Tom-
maso, ribaltandone però il risultato, è stato notato da Céard, in J. CÉARD, Matérialisme et theo-
rie de l’âme, p. 45 e da Perrone Compagni, in V. PERRONE COMPAGNI, Introduzione a
P. POMPONAZZI, Trattato, pp. XXXIV, XLVIII-XLIX. Tra i contemporanei di Pomponazzi, Tom-
maso de Vio nel suo Commentario al De anima ancora riponeva la possibilità di dimostrarne
l’immortalità nella congiunzione schiettamente tommasiana di medietà dell’anima umana e di

— 65 —
ANTONIO PETAGINE

Tuttavia, mentre per l’Aquinate la necessità solo ut obiecto poneva le


basi per riconoscere l’incorruttibilità dell’intelletto, per Pomponazzi è
proprio tale necessità ad impedire che l’anima sia essenzialmente immor-
tale. Essa infatti manifesta che l’intelletto umano, per quanto possa uni-
versalizzare e conoscere le forme materiali in modo immateriale, potrà
allontanandosi dalla materialità propria della sensibilità, ma non dalla
materialità tout court. Se le cose stessero in modo diverso, l’intelletto co-
noscerebbe l’universale senza bisogno di astrarlo dal particolare e cono-
scerebbe se stesso immediatamente, senza passare, cioè, dalla conoscenza
delle cose materiali.84
Il sospetto che Pomponazzi aveva posto sulla concezione tommasiana,
evocando la metafora della donna di rara saggezza, può ora tramutarsi in
una fondata persuasione, perché la medietà umana e la dipendenza ut
obiecto dell’intelletto dal corpo permettono di stabilire puntualmente la
prevalenza dell’elemento materiale su quello immateriale. La pur ricono-
sciuta capacità di operare senz’organi non è in grado di prevalere sul bi-
sogno intimo, manifesto e insuperabile della sensibilità.85
È dunque passando per quest’operazione singolare di assimilazione-
rovesciamento di elementi rintracciabili nel bagaglio argomentativo di
Tommaso che Pomponazzi può pretendere di fare valere la tesi dell’im-
mortalità secundum quid dell’anima umana. Secondo Poppi, questa tesi ri-
sulta un instabile compromesso, teso a coprire con una «vernice di spi-
ritualità e di immaterialità» il suo materialismo, quale emergerà con
maggior nettezza nelle opere successive.86 A noi sembra che non si possa
non tenere conto del fatto che Pomponazzi giunga a questa conclusione
partendo proprio dall’idea che l’anima umana è una forma sostanziale non
totalmente immersa nella materia, di cui l’intelletto è una potenza davve-
ro inorganica e incorporea. Su questo punto, Pomponazzi ci sembra per-
fettamente d’accordo con Tommaso. Giustamente quindi – ad avviso di
Pomponazzi – Tommaso ha fatto valere una logica dell’et-et (l’anima è e
materiale e immateriale, e mortale e immortale), contro l’averroistico e

separatezza del suo intelletto. Cfr. TOMMASO DE VIO, Commentaria in De anima Aristotelis, I, 53,
in Scripta Philosophica, vv. I-II, ed. I. Coquelle, Roma, apud Institutum Angelicum, 1938-
1939, p. 47; ivi, III, 122, in Scripta Philosophica, v. III, ed. G. Piccard-G. Pelland, Bruges-Paris,
Desclée de Brower, 1965, p. 74. Analogo riscontro potrebbe essere fatto per un maestro di
Pomponazzi, quale Trapolino, cfr. B. NARDI, Studi su Pietro Pomponazzi, p. 113.
84 Cfr. P. POMPONAZZI , De immortalitate, c. IX, pp. 48-49, 59-60.

85 Cfr. ivi, pp. 46-47, 49-51.

86 Cfr. A. POPPI , Saggi sul pensiero inedito di Pietro Pomponazzi, pp. 65-66, 90-92.

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COME UNA DONNA DI RARA SAGGEZZA

platonizzante aut-aut di mortalità e immortalità. Tuttavia, per le cose det-


te fino ad ora, Pomponazzi non può accettare il modo in cui Tommaso
pretende di porre questo et-et, stabilendo che l’anima sia simpliciter im-
mortale e secundum quid mortale. Si tratta dunque di compiere quel passo
che Tommaso, proiettando evidentemente sulla riflessione razionale pre-
occupazioni teologiche, non ha potuto o voluto compiere: ammettere la
prevalenza dell’elemento materiale, senza che ciò comporti la necessità di
negare una certa immaterialità e immortalità dell’intelletto.87
Pomponazzi infatti, parlando di immortalità secundum quid, mostra di
non volere affatto apparire quello che noi oggi definiremmo un ‘riduzio-
nista’. Fin dall’inizio del trattato, ha spiegato che la difficoltà del problema
sta proprio nel giustificare la presenza nell’anima umana di entrambi gli
elementi, materiale e immateriale, mortale e immortale. Il pregio della
posizione tommasiana, che pur sta criticando, si trova proprio nell’avere
messo in luce questa imprescindibile simultaneità. Un’operazione ridu-
zionista che si limitasse a dimostrare che l’uomo è semplicemente un ani-
male come gli altri, che è e che vive esattamente come loro, commette-
rebbe un errore analogo a quello di Averroè e Platone, solo però di segno
opposto.88 Pomponazzi ricorda che Aristotele paragona l’intelletto umano
non ad una talpa, che non vede proprio niente, ma ad una nottola: la
nottola infatti vede, seppur solo ‘in qualche modo’.89
Questo obiettivo sembra raggiungibile solo se si accetta di parlare di
‘immortalità’ attribuendole un carattere relativo, che l’anima umana pos-
siede cioè solo secundum quid. Se è vero che nelle opere successive al De
immortalitate, come riconosceva Poppi, Pomponazzi parlerà decisamente
di materialità dell’intelletto e considererà l’anima come divisibile, è altret-
tanto vero però che, come notava opportunamente Fiorentino, Pompo-

87 «Ex quibus modo est silogizanda conclusio principalis intenta, scilicet quod anima hu-

mana simplicter materialis est, et secundum quid immaterialis. Et primo, prosilogismum di-
visivum sic: Humanus intellectus est immaterialis et materialis, ut patet per habita, sed non aequa-
liter de his participat; neque est plus immaterialis quam materialis, ut probatum est in capitulo
precedenti, ergo est magis materialis quam immaterialis; et sic simpliciter erit materialis, et
secundum quid immaterialis» (P. POMPONAZZI, De immortalitate, c. IX, pp. 47-48, corsivo no-
stro). Cfr. in merito, anche J. WONDE, Subjekt und Unsterblichkeit, p. 110.
88 «Si intellectus esset pura forma materialis, cum omnium formarum materialium est

perceptivus, impediretur ab earum cognitione. At ipsum esse imaterialem probatum est, licet
non simpliciter immaterialis sit» (P. POMPONAZZI, De immortalitate, c. X, p. 65).
89 Cfr. ivi, c. X, p. 69; ARISTOTELE , Metaph., II, 1, ed. Bekker, 993b9-11. Il riferimento

all’immagine aristotelica della nottola per rendere l’idea della medietà dell’anima umana
viene ripresentato anche nell’Apologia. Cfr. P. POMPONAZZI, Apologia, I, c. 6, f. 64v.

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ANTONIO PETAGINE

nazzi non smetterà di considerare l’immaterialità come qualcosa di pre-


sente ‘in qualche modo’ nell’operare intellettivo: ancora una volta, la ra-
gione di ciò sta nel fatto che, per espletare la propria operazione, l’intel-
letto ha sı̀ bisogno del corpo o dell’organo, ma non come soggetto in cui
pensare.90
Spiegare in modo non contraddittorio la condizione dell’anima umana,
risulterà finalmente possibile solo se non si cadrà nella trappola logico-lin-
guistica di scambiare un riferimento relativo con uno assoluto. Pompo-
nazzi insiste sul fatto che l’uso stesso del nostro linguaggio ordinario le-
gittima l’istituzione di una tale predicazione: non chiamiamo forse
bianco il pallido, perché abbiamo come termine di paragone il nero? Il
pallido non è, secundum se, bianco, ma nessuno dirà che stiamo parlando
male o che ci stiamo ingannando se, tenendo presente il bianco quale op-
posto del nero, diciamo che il pallido è bianco.91 Il nostro linguaggio or-
dinario ci mostra quindi che non ci limitiamo a dire come le cose sono in
se stesse, ma che abbiamo anche bisogno di definirle in rapporto ad altro.
Il valore euristico della predicazione relativa è davvero fondamentale
per la psicologia pomponazziana. La possibilità stessa di comprendere
adeguatamente lo statuto dell’anima umana – lo abbiamo visto – passa
per la considerazione dei gradi di perfezione degli enti capaci di cono-
scenza. Nel considerare l’anima umana, istituiamo quindi necessariamente
una comparazione con ciò che le è ontologicamente superiore e con ciò
che le è inferiore. Perciò, è necessario chiarire che cosa possiamo dire ri-
guardo a ciò che l’anima è in se stessa e ciò che invece le attribuiamo in
forza della comparazione.92

90 Cfr. F. FIORENTINO , Pietro Pomponazzi, pp. 174-176; P. POMPONAZZI , De nutritione et

augmentatione, l. 1, c. 23 in Tractatus acutissimi, utillimi et mere peripatetici, p. 130r. Si badi che


anche Fiorentino, come farà poi Poppi, considerava l’ultima fase del pensiero di Pomponazzi
segnata da un più compiuto materialismo. Perciò interpretava certamente queste espressioni
come una «reliquia di trascendenza», al pari di un «nome vuoto», ma non poteva non rico-
noscerne in ogni caso la presenza anche nella più tarda pagina pomponazziana. Cfr. F. FIO-
RENTINO , Pietro Pomponazzi, pp. 175-176.
91 Cfr. P. POMPONAZZI , De immortalitate, c. IX, p. 58; cfr. l’insistenza sull’importanza di

riconoscere la predicazione relativa anche in ivi, c. XIV, pp. 117-118.


92 Alla necessità di stabilire modalità corrette di predicazione relativa corrisponde anche

la distinzione che Pomponazzi propone tra ‘partecipare’ e ‘contenere’. Il ‘contenere’ indica


che una certa proprietà si trova nella cosa cosı̀ com’è in se stessa. Parte dell’anima-forma,
l’intelletto umano non può ‘contenere’ ciò che è immortale e divino: se si dicesse questo
– come ha fatto Tommaso – si getterebbe nella contraddizione ogni spiegazione filosofica di
ciò che è peculiarmente umano, poiché a rigore – come risulta nell’averrosimo e nel plato-
nismo – un intelletto simpliciter immateriale e immortale non potrebbe far parte della mede-

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COME UNA DONNA DI RARA SAGGEZZA

L’attribuzione all’anima umana dell’immortalità simpliciter potrà cosı̀


apparire come una defezione filosofica, che deriva da una certa mancan-
za di rigore logico-linguistico: l’equivoco di fondo sta nel fatto che
quando si dice che l’uomo possiede l’intelletto si dimentica che si sta
usando una predicazione relativa, che evoca un modo di essere e di agire
che non è quello dell’uomo, bensı̀ di sostanze a lui superiori. Se invece
volessimo usare una predicazione propria, allora dovremmo dire che
l’uomo possiede piuttosto la ragione, in cui l’elemento compositivo, di-
scorsivo, di ricerca nel tempo e con fatica manifestano più direttamente
l’essenza della facoltà conoscitiva umana. ‘Ragione’ fa insomma apparire
meglio la prevalenza nell’anima umana dell’elemento materiale su quel-
lo intellettuale.93
Il medesimo criterio è all’opera anche per definire che cosa costituisce
la realizzazione autenticamente umana: associando il carattere della me-
dietà con quello della prevalenza, Pomponazzi sosterrà che l’eccellenza
speculativa rappresenterà un’eccezionale fuga in avanti, verso un modo
di essere divino e immortale; l’eccellenza tecnica si identificherà con la
messa in atto di capacità che condividiamo con gli animali; sarà invece
l’eccellenza morale ciò a cui tutti, specificatamente in quanto uomini, sia-
mo chiamati a tendere.94 Non possiamo in questa sede entrare nel dibat-
tito che alcuni studiosi hanno intrapreso in questi anni circa la presenza o
meno di un contraddizione, o quanto meno di una tensione aporetica, in
questo discorso di Pomponazzi: da una parte il mantovano contrappone
l’universalità dell’esigenza della vita virtuosa proprio alla rarità della vita
teoretica dei filosofi; d’altra parte però appaiono pur sempre i filosofi
gli unici a ricercare e realizzare in modo autentico una vita compiuta-
mente virtuosa.95 Nell’economia del nostro lavoro, al cui centro sta il

sima anima di cui fanno parte le facoltà sensibili. Ciò però non toglie che l’intelletto ‘parte-
cipi’ dell’immortalità e di ciò che eterno e divino. La partecipazione può infatti essere rico-
nosciuta per il fatto che un certo ente e le sue operazioni possiedano una reale analogia con
ciò che è proprio degli enti di ordine superiore. Cfr. P. POMPONAZZI, De immortalitate, c. XII,
pp. 73-75.
93 Cfr. ivi, c. IX, p. 53; ivi, c. XII, p. 75. In questa direzione, vedi anche la distinzione

tra intelletto in quanto intelletto e intelletto in quanto umano, ivi, c. IX, pp. 55-56.
94 Cfr. ivi, c. XIV, pp. 89-94.

95 Cfr. in questa direzione, F. GRAIFF , Aspetti del pensiero di Pietro Pomponazzi nelle opere e

nei corsi del periodo bolognese, «Annali dell’Istituto di Filosofia», I, 1979, pp. 69-130: 89-91;
P.O. KRISTELLER, Aristotelismo e Sincretismo, pp. 16-17; L. BIANCHI, Studi sull’Aristotelismo
del Rinascimento, pp. 41-99. La difficoltà richiamata da questi autori risulta apparente, o co-

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ANTONIO PETAGINE

confronto con Tommaso, possiamo tuttavia prendere in considerazione


almeno il fatto che è l’Aquinate stesso a dire che la Rivelazione divina
investe anche verità di per sé accessibili alla sola ragione, proprio perché
il loro raggiungimento appare malfermo, faticoso e appannaggio di pochi,
essendo i più ‘per natura’ poco disposti verso la speculazione teoretica.96
La congiunzione della triade prevalente-medio-contenente da un
parte, in antitesi a quella eccezionale-superiore-partecipato dall’altra per-
mette a Pomponazzi di prendere posizione su due altre importanti que-
stioni. La prima riguarda l’interpretazione del celebre passaggio de La ge-
nerazione degli animali, in cui Aristotele dice che l’intelletto solo è divino e
«viene dal di fuori».97 Secondo Pomponazzi, in quel punto o Aristotele sta
parlando dell’intelletto in sé e per sé, dunque non di quello umano, op-
pure, se sta parlando di quello umano, non lo sta descrivendo per come è
in se stesso, ma sta dicendo che l’intelletto umano partecipa maggiormen-
te del divino rispetto all’anima vegetativo-sensitiva.98 In modo simile, si
potrà dire che un qualunque agente naturale, in virtù della generazione,
partecipa dell’immortalità secundum quid: i singoli agenti in se rimangono
mortali, ma in questo modo la specie si mantiene per sempre.99
In forza delle medesime categorie concettuali, Pomponazzi si oppone
anche ad un ulteriore argomento usato tradizionalmente a favore dell’im-
mortalità dell’anima e che si trova pure tra i testi di Tommaso: il desiderio
di essere sempre, che appare come naturalmente presente nell’uomo. E
natura non facit frustra.100 Pomponazzi osserva innanzitutto che il desiderio
naturale non frustrabile è quello che non dipende da come l’ente può
considerare se stesso, poiché in tale considerazione può insinuarsi l’erro-

munque superabile, secondo Perrone Compagni: cfr. V. PERRONE COMPAGNI, Introduzione a


P. POMPONAZZI, Trattato, pp. LXX-LXXVIII. Le differenze interumane che Pomponazzi pur se-
gnala – a parere di Suarez-Nani – non scalfiscono il fatto che nel De immortalitate «assistiamo
ad una fondazione pratica della dignità umana, grazie al suo radicamento nella capacità mo-
rale di ogni individuo» (T. SUAREZ-NANI, Dignità e finitezza dell’uomo, p. 29, corsivo nostro).
Cfr. anche, in una direzione simile, A. GHISALBERTI, Fede e ragione nel De immortalitate ani-
mae di Pietro Pomponazzi, «Studi Umanistici Piceni», XXII, 2002, pp. 195-206: 196-202.
96 Cfr. in partic. TOMMASO D ’AQUINO , S. c. G., I, c. 4, ed. Leonina, p. 11.

97 Cfr. ARISTOTELE , De generatione animalium, II, c. 3, ed. Bekker, 736b27-28.

98 Cfr. P. P OMPONAZZI , De immortalitate, c. IX, pp. 56-57. Cfr. anche I D., Apologia, I,

c. 1, f. 54r; ID., Defensorium, c. 14, f. 88r.


99 Cfr. ivi, c. XII, p. 74.

100 Cfr. TOMMASO D ’A QUINO, S. c. G., II, c. 55, ed. Leonina, pp. 391-392; ivi, c. 79,

p. 498; ID., S. Theol., I, q. 75, a. 6, corpus, ed. Leonina, p. 204; ID., Q. D. De an., q. 14, sol.,
ed. Bazán, p. 127, ll. 247-256; ID., Q. D. De immort. an., solutio, ed. L.A. Kennedy, p. 215.

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COME UNA DONNA DI RARA SAGGEZZA

re.101 In secondo luogo, in natura la tensione non frustrabile è quella in-


terna al genere, non alla singola specie. Il mulo infatti partecipa dei carat-
teri propri del cavallo e dell’asino, ma non è nessuno dei due; perciò, non
è strano che possieda un desiderio naturale, quello della generazione di
un altro mulo, che viene regolarmente frustrato, mentre cavallo e asino,
all’interno di quel genere, sono in grado di realizzarlo. Proprio per la sua
medietà, l’anima è come il mulo: al confine tra le cose materiali e quelle
immateriali, si trova a desiderare ciò che non può ottenere: la partecipa-
zione all’intellettualità simpliciter rende la propria un’intellettualità umbra-
tile e simile agli occhi di una nottola. Se dunque in natura è possibile che
il mulo non generi e che la talpa non veda, pur avendo gli organi adatti
per farlo, non deve stupire che, nel genere delle sostanze intellettive, l’a-
spirazione all’immortalità possa essere frustrata nell’uomo e realizzata dalle
sostanze separate.102
Si potrebbe osservare che per potere spiegare come la nostra tensione
all’immortalità possa non essere retta, il mantovano sembra cadere in una
certa incoerenza rispetto a quanto aveva sostenuto fin a questo momento:
come può quello stesso Pomponazzi che ha fin qui cercato di dimostrare
che l’anima non è una delle sostanze separate, inserire ora l’anima umana
nel loro stesso genere, cosı̀ come il mulo è dello stesso genere del cavallo
e dell’asino? Se l’anima è nel genere delle sostanze intellettive e se, come
lo stesso Pomponazzi ammette, l’intelletto umano si comporta come la
nottola, annebbiato, ma non cieco nei confronti dell’intelligibile, non ri-
sulterebbe allora più ragionevole pensare, come Tommaso faceva, che
anche la tensione all’immortalità debba realizzarsi, in corrispondenza
con lo statuto, per quanto infimo, di sostanza intellettiva dell’anima stes-
sa? Inoltre, il fatto che questo desiderio non sia eccezionale, ma prevalen-
te, non dovrebbe portare Pomponazzi a ben altre considerazioni, più fa-
cilmente inquadrabili con quel criterio della superabundantia che ha fino
ad ora usato cosı̀ tenacemente? Qui insomma sembra che sia il ‘tomista’
a potere usare le assunzioni stesse di Pomponazzi contro di lui.
L’intero problema della definizione della natura dell’anima umana e
della sua immortalità gira dunque intorno al fatto che – avrebbe detto

101 Cfr. P. POMPONAZZI , De immortalitate, c. X, p. 68. Questo argomento, come è noto,

era già di Scoto: G. DUNS SCOTO, In IV Sent., d. 43, q. 2, 30, in Opera Omnia, iuxta ed.
Waddingi XII Tomos continentem a patribus franciscanis de observantia accurata recognita,
t. XX, Paris, Vivès, 1894, pp. 57-58.
102 P. POMPONAZZI , De immortalitate, c. X, pp. 68-69.

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ANTONIO PETAGINE

lo stesso Tommaso – l’anima risulta effettivamente capace di operare con


una immaterialità del tutto eccezionale e irriducibile alla sensibilità. Che
però, contro Tommaso, tale ‘eccezionalità’ non voglia dire che l’anima
umana abbia un destino ‘totalmente altro’ da ciò che è materiale e mor-
tale è ciò che Pomponazzi sta cercando di determinare nel corso di questa
prima parte del De immortalitate animae.
L’esigenza pomponazziana di trovare un modo che consenta di parla-
re, senza contraddirsi, contemporaneamente di materialità e di immate-
rialità, di mortalità e di immortalità può trovare una più piena luce se col-
locata sullo sfondo del suo confronto con Tommaso. Quella secondo la
quale l’intelletto umano «odora di immortalità» 103 non ci sembra dunque
un’affermazione ingiustificata, né un insincero e malfermo compromesso
con una posizione che palesa ormai una significativa distanza dalla fede
cristiana.104 Si tratta, al contrario, di un’affermazione importante, forse
di una delle più interessanti del De immortalitate animae, attraverso cui
Pomponazzi spinge i destinatari del suo scritto, come pure i sui critici,
a portare alle conseguenze più rigorose l’eredità teoretica ed esegetica
di Tommaso d’Aquino.105

Desideriamo concludere questo nostro lavoro con una suggestione.


L’autore del De immortalitate animae è apparso come un filosofo che con-
tro Tommaso ha utilizzato con sistematicità argomenti, tesi e opzioni
proprie dello stesso Tommaso. Si può notare una convergenza sorpren-
dente, sotto questo specifico aspetto strategico, tra Pomponazzi e un
autore ‘averroista’ contemporaneo di Tommaso, quale fu Sigieri di Bra-
bante, in cui l’uso di parole e di espressioni tommasiane contro Tomma-
so costituiva, per usare un’espressione di Imbach e Putallaz, il suo «me-
todo preferito».106

103 Cfr. ivi, c. IX, p. 53.


104 Condividiamo in pieno il giudizio che esprime in merito V. PERRONE COMPAGNI,
Introduzione a P. POMPONAZZI, Trattato, pp. LIII-LIX.
105 Non a caso, al termine del nono capitolo, Pomponazzi scrive: «Et diligenter adverte

quod ibi [divus Thomas] videtur innuere hanc nostram opinionem, scilicet quod Aristoteles
senserit animam humanam non vere esse intelligentem, sed solum habere quandam partici-
pationem intellectus, quare et improprie immortalis» (P. POMPONAZZI, De immortalitate, c. IX,
p. 62).
106 Cfr. F.X. PUTALLAZ – R. IMBACH , Professione filosofo. Sigieri di Brabante [tit. orig. Pro-

fession: philosophe: Siger de Brabant, Paris, 1997], tr. it. di A. Tombolini, Milano, Jaca Book,
1998, p. 125.

— 72 —
COME UNA DONNA DI RARA SAGGEZZA

Ci sembra degno di interesse il fatto che, pur da punti di vista opposti,


il nocciolo della critica alla concezione tommasiana dell’anima risulti
pressoché identico: all’interno di un quadro genuinamente aristotelico,
se si fa coincidere l’essere forma sostanziale con l’essenza stessa dell’anima
umana, sembra difficile immaginare che il possesso di una potenza come
l’intelletto, per quanto incorporea e immateriale la si possa considerare,
garantisca all’anima umana, in quanto ‘anima’, la possibilità di trascendere
la condizione di corruttibilità che coinvolge indubitabilmente il corpo.
Una tale convergenza critica – ci interessa sottolinearlo – non si sareb-
be potuta realizzare se entrambi non avessero fatto proprie con fermezza
certe fondamentali assunzioni di Tommaso, che possono però apparire fa-
cilmente come incompatibili con quelle che l’Aquinate avrebbe preteso
di difendere, mescolando indebitamente – e anche qui l’accusa è davvero
simile – il procedere genuinamente filosofico, legato ad uno sguardo
obiettivo su ciò che ha detto Aristotele, con preoccupazioni estranee alla
filosofia.107 Cosı̀, con Tommaso contro Tommaso, l’‘alessandrista’ Pom-
ponazzi e l’‘averroista’ Sigieri si sono potuti servire di strategie e argo-
menti comuni.108
Colpisce anche il fatto che la storiografia sigieriana e quella pompo-
nazziana di questi ultimi centocinquant’anni abbiano condiviso percorsi
sorprendentemente simili: sia Sigieri, sia Pomponazzi hanno ricevuto

107 Cfr. P. POMPONAZZI , De immortalitate, c. VIII, p. 30; P.O. KRISTELLER , Two Umpublis-

hed Questions, pp. 95, 100; P. POMPONAZZI, Corsi inediti, q. II, ed. Poppi, p. 56; SIGIERI DI
BRABANTE, De an. intell., c. 3, pp. 83-84. Tanto per Sigieri, quanto per Pomponazzi, un caso
evidentemente di principio filosofico la cui adeguata applicazione in materia psicologica
viene compromessa da preoccupazioni di fede è l’interscambiabilità di generabile e incorrut-
tibile, per come Aristotele la pone nel De coelo. Cfr. ARISTOTELE, De coelo, I, c. 12, ed. Bek-
ker, 282a30-b1; SIGIERI DI BRABANTE, Q. in Metaph., l. 3, comm., rep. M, in W. DUNPHY,
Siger de Brabant. Quaestiones in Metaphysicam. Edition revue de la reportation de Munich.
Texte inédit de la reportation de Vienne, Louvain-la-Neuve, Inst. Sup. de Philos., 1981,
p. 132, ll. 81-88; P. POMPONAZZI, De immortalitate, c. VIII, p. 41.
108 Innanzitutto, entrambi accusano Tommaso di considerare l’anima umana come un

principio di animazione materiale, da cui pur tuttavia scaturirebbe un’operazione più astratta
del principio stesso che l’origina. Cfr. P. POMPONAZZI, De immortalitate, c. IX, pp. 38-39; P.O.
KRISTELLER , Two Umpublished Questions, p. 96; SIGIERI DI BRABANTE , Quaest. in III De an.,
q. 4, in SIGER DE BRABANT, Quaestiones in tertium de anima, De anima intellectiva, De aeternitate
mundi, ed. B.C. Bazán, Louvain-Paris, Publications Universitaires - B. Nauwelaerts, 1972,
p. 15; ID., De an. intell. c. 3, ed. B.C. Bazán, pp. 82-83. Inoltre, a livello esegetico, tutti e
due hanno segnalato la medesima assenza di un qualunque discorso sull’anima separata lad-
dove, nella Metafisica, Aristotele avrebbe potuto e dovuto parlarne, se ci avesse creduto. Cfr.
P. POMPONAZZI, De immortalitate, c. IV, p. 14; ivi, c. IX, p. 61; SIGIERI DI BRABANTE, De an.
intell., c. 6, ed. B.C. Bazán, p. 100.

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6
ANTONIO PETAGINE

un’esaltazione comune, in virtù delle categorie messe in gioco da Renan,


che in Averroes et l’averroı¨sme andava a caccia di antesignani dell’immagine
finalmente moderna dell’uomo e di filosofi liberi dalle imposizioni dog-
matiche della religione e della Chiesa; le impostazioni psicologiche di en-
trambi hanno suscitato discussioni circa la loro unità o l’evoluzione delle
loro più proprie soluzioni; entrambi sono stati tacciati di ‘doppia verità’ e
di insincero utilizzo di formule prudenziali per evitare procedimenti ec-
clesiastici a loro carico.109 Chissà se queste somiglianze non hanno proprio
nulla a che fare con una comune imprescindibile esigenza: quella di mi-
surarsi con una specifica eredità psicologica, che non è semplicemente e
genericamente ‘aristotelica’, ma che ha alle sue fondamenta proprio le pe-
culiari soluzioni di Tommaso d’Aquino.

109 Per un quadro sintetico delle prospettive storiografiche su Sigieri possiamo rinviare

a R. IMBACH – F.X. PUTALLAZ, Professione filosofo, pp. 11-18 e al nostro Aristotelismo difficile,
pp. 111-116; quanto a Pomponazzi, cfr. in particolare M. PINE, Pietro Pomponazzi: Radical
Philosopher of the Renaissance, pp. 3-39.

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