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IL LAVORO NELLE COOPERATIVE E LA CESSIONE DI RAMO

AZIENDALE
(SCANDICCI, 22-24 GENNAIO 2018)

Officina del Giudice


«Il sindacato sulla disciplina normativa ed economica applicabile al
rapporto del socio-lavoratore. Regolamento interno e limiti alla
derogabilità del contratto collettivo»
Coordinatore
Riccardo Ponticelli
Giudice presso il Tribunale di Cagliari
Sezione Lavoro
COOPERATIVA, CROCEVIA DI INTERESSI DI
RANGO COSTITUZIONALE.

La disciplina del lavoro del socio di cooperativa è frutto del bilanciamento tra
interessi costituzionalmente protetti, quali la tutela del lavoro, da un lato, e la
promozione e il sostegno della cooperazione, dall'altro.

Da un lato, l’interesse del singolo socio a ottenere condizioni di lavoro favorevoli e


dignitose e a preservare il valore economico delle prestazioni rese, pur in vista
dell’attuazione degli scopi sociali.
Dall’altro, l’interesse del ceto sociale a favorire il più possibile l’impresa cooperativa,
consentendole di operare anche in condizioni di mercato sfavorevoli senza soffrire
dell’eccessivo costo del lavoro.

art. 45 Cost. «la Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a


carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e
favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni
controlli, il carattere e le finalità».
IL SOCIO DI COOPERATIVA, IMPRENDITORE DI SE STESSO.

A lungo, nel pensiero della dottrina e nella giurisprudenza prevalente, l’interesse collettivo ha
prevalso su quello individuale del socio lavoratore e ciò è avvenuto attribuendo al rapporto
mutualistico un ruolo dominante, se non esclusivo.
Nessuno spazio vi sarebbe stato per un rapporto di scambio ulteriore rispetto al rapporto sociale.
Se il socio lavoratore è partecipe dello scopo dell'impresa collettiva, se è titolare di poteri e diritti
che gli consentono di concorrere alla formazione della volontà della società e di controllare la
sua gestione e se, infine, è titolare del diritto a una quota degli utili (cfr. Corte cost., sentenza n. 30
del 1996); se, in estrema sintesi, il socio è imprenditore, egli non può cumulare
contemporaneamente la qualità di datore di lavoro e quella di lavoratore (in particolare,
subordinato).
Si riteneva, così, che:
- le prestazioni lavorative del socio, in quanto funzionali all’attuazione del fine mutualistico,
costituissero oggetto del contratto di società;
- non fosse ipotizzabile nemmeno una forma di tutela del lavoro del socio all’interno dei confini
della parasubordinazione (art. 409, n. 3, c.p.c.), posto che sarebbero comunque pur sempre
mancati distinti centri di interesse tra i quali ascrivere lo scambio delle prestazioni;
- un rapporto di scambio, in particolare nelle forme della subordinazione, sarebbe stato
ammissibile solo e nei limiti in cui il socio avesse svolto in favore della cooperativa un’attività
differente e non collegabile a quella da conferirsi secondo lo statuto (salvi i casi in cui fosse
stata dimostrata la simulazione del rapporto sociale e la dissimulazione dell'altro rapporto).
L’impostazione tradizionale (che trova in Cass. Civ., S.U., 28 dicembre
1989 n. 5813, uno dei più noti punti di riferimento) ha cominciato a
vacillare nel corso degli anni Novanta, decennio che registra
numerosi interventi normativi diretti ad un ampliamento delle tutele in
favore del lavoro dei soci di cooperativa, in un quadro generale
caratterizzato da una più sentita esigenza di riconoscere al lavoro in
cooperativa garanzie e diritti comuni al mondo della subordinazione.
Già da tempo taluni istituti propri del lavoro subordinato erano stati estesi ai
soci delle cooperative di lavoro:
- in materia di assicurazione contro l'invalidità e la vecchiaia (art. 2 RD 28
agosto 1924 n. 1422 : v. in proposito Cass. civ., Sez L, 8 febbraio 1992 n.
1409) e contro gli infortuni (artt. 4, n. 7, e 9 DPR 30 giugno 1965 n.1124);
- in materia di orario di lavoro (art. 2 RD 10 settembre 1923 n. 1955),
- di riposo domenicale e settimanale (art.2 legge 22 febbraio 1934 n. 370),
- di assegni familiari (art. 1 DPR 30 maggio 1955 n. 797)
- e di tutela della lavoratrici madri (art. 1 legge 30 dicembre 1971 n. 1204).
Dopo la lunga pausa degli anni Ottanta, il legislatore aveva ripreso l’opera di
ampliamento delle tutele:
- con l'art. 8 DL 20 maggio 1993 n. 148, convertito in L 19 luglio 1993 n. 236, aveva
disposto l'equiparazione ai lavoratori dipendenti dei soci lavoratori in relazione alla
procedura dell'intervento straordinario di integrazione salariale e a quella di
mobilità, estendendo, quindi, ai soci delle cooperative di lavoro la disciplina degli
artt. 1, 4 e 24 dettata dalla L 23 luglio 1991 n. 223 sui licenziamenti collettivi. La
stessa norma, inoltre, aveva disposto l'estensione ai soci lavoratori di cooperative
di produzione e lavoro dei principi di non discriminazione, diretta ed indiretta, di
cui alla L 10 aprile 1991 n. 125;
- l’intervento del Fondo di garanzia costituito presso l'INPS ai fini del trattamento di
fine rapporto in caso di insolvenza della società datrice di lavoro, era stato esteso
ai soci delle cooperative ad opera dell'art. 24 L 24 giugno 1997 n. 196, ed agli
stessi soci erano state estese anche le norme di cui agli artt. 1 e 2 del DLGS 27
gennaio 1992 n. 80, in ordine all'intervento del Fondo di garanzia presso l'INPS per il
pagamento dei crediti di lavoro (relativi agli ultimi tre mesi del rapporto) non
soddisfatti a causa dell'insolvenza del datore di lavoro.
 Questo trend normativo aveva aperto le porte ad una nuova stagione interpretativa, sfociata in
Cass. Civ., S.U, 30 ottobre 1998, n. 10906, ove si afferma che il rapporto tra socio lavoratore e
cooperativa va sì qualificato come associativo, ma appartiene ad una «"categoria contigua e
interdipendente a quella del lavoro subordinato" o parasubordinato, con riferimento alla quale,
di conseguenza, appare più chiaro e certo l'indice per pervenire all'individuazione della
competenza per materia del giudice chiamato a decidere la controversia da tale socio
introdotta. D'altra parte, come si è rilevato nella sentenza n. 4662 del 1997 più volte citata, le più
rappresentative confederazioni sindacali dei lavoratori, nell'anno 1990, hanno sottoscritto un
protocollo di intesa con le maggiori associazioni cooperativistiche, nel quale è stata
riconosciuta la necessità di estendere le disposizioni aventi per oggetto il trattamento
economico, contenute nei contratti nazionali collettivi di lavoro riferiti a settori caratterizzati dalla
presenza di cooperative di lavoro, ai soci di tali cooperative, sicché sarebbe incongruo negare
che i soci lavoratori della cooperative di produzione e lavoro abbiano diritto di ottenere la
corrispondente tutela giurisdizionale».
 Da ciò la Cassazione aveva tratto allora il principio in forza del quale «la controversia fra il socio
e la cooperativa di produzione e lavoro, attinente a prestazioni lavorative comprese fra quelle
che il patto sociale pone a carico dei soci per il conseguimento dei fini istituzionali, rientra nella
competenza del giudice del lavoro, in quanto il rapporto da cui trae origine, pur da qualificare
come associativo invece che di lavoro subordinato, è comunque equiparabile - al pari di quelli
relativi all'impresa familiare - ai vari rapporti previsti dall'art. 409 cod. proc. civ. in considerazione
della progressiva estensione operata dal legislatore di istituti e discipline propri dei lavoratori
subordinati».
 Il cambio di prospettiva della giurisprudenza non ha peraltro portato
a riconoscere che la prestazione di lavoro del socio di cooperativa,
pur funzionalmente dotata delle caratteristiche della
subordinazione, potesse essere giustificata alla luce di un rapporto
di scambio distinto dal rapporto associativo.
 Ciò fino all’entrata in vigore della L. n. 142/2001.
LA LEGGE 3 APRILE 2001, N. 142
(REVISIONE DELLA LEGISLAZIONE IN MATERIA
COOPERATIVISTICA, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLA
POSIZIONE DEL SOCIO LAVORATORE)
La l. n. 142/2001 ammette la possibilità di una dualità di interessi e posizioni tra
socio e cooperativa e, dunque, di una duplicità di rapporti (sociale e di
scambio): da un lato, il rapporto di società, avente ad oggetto l'esercizio in
comune di un'attività economica, dall'altro una molteplicità di rapporti di
scambio per il conseguimento di singoli beni o servizi.

Nell'ipotesi della cooperativa di lavoro, la legge


prevede, quindi, in capo al socio la coesistenza di
due rapporti distinti, quello associativo e quello di
lavoro (subordinato, parasubordinato o autonomo).
Nel testo originario l'art. 1, 3° comma, della l. n. 142/2001, prevede che il socio «stabilisce
con la propria adesione o successivamente all'instaurazione del rapporto associativo un
ulteriore e distinto rapporto di lavoro».
La dottrina si è interrogata sul legame intercorrente tra i due tipi di rapporti.
E’ possibile parlare di collegamento negoziale?
Il rapporto associativo mantiene una preminenza su quello di lavoro?
In ogni caso non può negarsi la «specificità» del rapporto di lavoro, per mezzo del quale,
ai sensi dell'art. 1, comma 3, legge n. 142 del 2001, il lavoratore contribuisce al
raggiungimento degli scopi sociali; da ciò scaturirebbe la subalternità di detto rapporto
rispetto a quello associativo. A caratterizzare in senso problematico la posizione del socio
di cooperativa è, inoltre e soprattutto, l'elenco delle prerogative espressamente
assegnategli dalla legge, talune tipicamente «datoriali», incidenti nell'area del generale
potere di organizzazione dell'impresa, che normalmente connotano la figura
dell’amministratore piuttosto che quella, appunto, del socio (cfr., in particolare, l'art. 1,
comma 2, legge n. 142 del 2001).
In questo quadro generale, è intervenuta la soppressione, ad opera dell'art. 9, legge n.
30 del 2003, dell'aggettivo «distinto» attribuito al rapporto di lavoro, che resta, tuttavia,
«ulteriore» rispetto a quello sociale.
Qual è l'esatta combinazione tra i due rapporti,
dopo la modifica normativa del 2003?
Cass. civ., S.U., 20 novembre 2017, n. 27436
 Le SU inquadrano la combinazione dei due rapporti, associativo e di lavoro, nella categoria del collegamento
negoziale necessario.
 Ritengono, peraltro, che la novella della I. n. 142/01, dovuta alla legge 14 febbraio 2003, n. 30, abbia intaccato il
rapporto di equilibrio tra i rapporti.
 Da un lato, la I. n. 30/2003 ha disposto l'eliminazione dal 3° comma dell'art. 1 della I. n. 142/01 dell'aggettivo «distinto»,
lasciando, in riferimento al rapporto di lavoro, soltanto la qualificazione di «ulteriore». Dall’altro ha sostituito il 2° comma
all'art. 5, il quale prescrive che: «2. Il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l'esclusione del socio deliberati nel
rispetto delle previsioni statutarie e in conformità con gli articoli 2526 e 2527 del codice civile (oggi, con l'art. 2533 c.c.).
Le controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica sono di competenza del tribunale
ordinario».
 Ad avviso della Suprema Corte questo intervento di ingegneria normativa ha attribuito al collegamento negoziale,
nella fase estintiva dei rapporti, una caratteristica unidirezionale.
 La cessazione del rapporto di lavoro, non soltanto per recesso datoriale, ma anche per dimissioni del socio lavoratore,
non implica necessariamente il venir meno di quello associativo. Ciò perché il rapporto associativo può essere
alimentato dal socio (inerte) mediante la partecipazione alla vita ed alle scelte dell'impresa, al rischio ed ai risultati
economici della quale comunque egli partecipa, a norma del 2° comma dell'art. 1 I. n. 142/01.
 La cessazione del rapporto associativo, tuttavia, trascina con sé ineluttabilmente quella del rapporto di lavoro. Sicché il
socio, se può non essere lavoratore, qualora perda la qualità di socio non può più essere lavoratore.
Il rapporto di lavoro del socio di cooperativa, in ragione
del suo stretto collegamento con il rapporto associativo, è
dotato di elementi di specialità spiccati.

Questa specialità si coglie sotto due profili:

- (I) al rapporto di lavoro si applicano innanzitutto le norme


della l. 142/2001;

- (II) in mancanza di norme ad hoc, al rapporto di lavoro si


applicano le norme generalmente applicabili secondo il
genus di appartenenza (subordinazione/autonomia), con
la clausola di compatibilità.
Art. 1, comma 3, ultimo periodo, l. 142/2001:

«Dall'instaurazione dei predetti rapporti associativi e di lavoro in


qualsiasi forma derivano i relativi effetti di natura fiscale e
previdenziale e tutti gli altri effetti giuridici rispettivamente previsti
dalla presente legge, nonché, in quanto compatibili con la
posizione del socio lavoratore, da altre leggi o da qualsiasi altra
fonte»
Dunque, il giudice del lavoro, nel momento in cui si
trovi a dover accertare la disciplina applicabile al
rapporto di lavoro del socio di cooperativa, sia esso
subordinato o parasubordinato, deve tener conto del
fatto che talune regole, normalmente applicabili
secondo il genere di appartenenza, potrebbero non
essere invece operative, per incompatibilità.
IL TRATTAMENTO ECONOMICO DEL SOCIO LAVORATORE
(Artt. 3 e 6 della l. n. 142/2001)
L’art. 3, comma 1, della l. 142/2001 stabilisce la regola generale in forza
della quale le società cooperative sono tenute a corrispondere al socio
lavoratore

un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro


In caso di prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla
subordina contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine (salva l’ipotesi di
zione clausola sociale che preveda l’obbligo di applicare condizioni non inferiori a quelle risultanti dai
contratti della categoria e della zona, come si ricava dal rinvio all’art. 36 St. Lav.)

Per i Il trattamento economico stabilito in contratti o accordi collettivi specifici


rapporti di
lavoro o, in mancanza di questi, proporzionato ai compensi medi in uso per prestazioni analoghe
diversi da rese in forma di lavoro autonomo.
quello
subordinato
Art. 3, comma 2, della l. 142/2001
Prevede la possibilità di assegnare trattamenti economici ulteriori
(purché deliberati dall’assemblea)
a) a titolo di maggiorazione retributiva, secondo le modalità stabilite in accordi
collettivi tra le associazioni nazionali del movimento cooperativo e le organizzazioni
sindacali dei lavoratori, comparativamente più rappresentative;
b) in sede di approvazione del bilancio di esercizio, a titolo di ristorno, in misura non
superiore al 30 per cento dei trattamenti retributivi complessivi di cui al comma 1 e
alla lettera a),
- mediante integrazioni delle retribuzioni medesime,
- mediante aumento gratuito del capitale sociale sottoscritto e versato, in deroga ai
limiti stabiliti dall'articolo 24 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato
14 dicembre 1947, n. 1577, ratificato, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 1951,
n. 302, e successive modificazioni,
- ovvero mediante distribuzione gratuita dei titoli di cui all'articolo 5 della legge 31
gennaio 1992, n. 59.
L’art. 6, comma 2, stabilisce che, salve eccezioni tassative,
non è dato alla cooperativa introdurre (in particolare
attraverso il proprio regolamento interno) disposizioni
derogatorie in pejus rispetto al solo trattamento economico
minimo di cui all'articolo 3, comma 1.
In caso contrario, la clausola è nulla.
Le eccezioni tassative riguardano (oltre il caso marginale
delle cooperative di piccola pesca) le ipotesi contemplate
dall’art. 6, comma 1, lett. d), e), f).
Ai sensi dell’art. 6, comma 1, il regolamento interno della cooperativa deve prevedere, tra
l’altro,
- l'attribuzione all'assemblea della facoltà di deliberare, all'occorrenza, un piano di crisi
Lett. d
aziendale, nel quale siano salvaguardati, per quanto possibile, i livelli occupazionali e
siano altresì previsti: la possibilità di riduzione temporanea dei trattamenti economici
integrativi di cui al comma 2, lettera b), dell'articolo 3 (RISTORNI); il divieto, per l'intera
durata del piano, di distribuzione di eventuali utili (lett. d);
- l'attribuzione all'assemblea della facoltà di deliberare, nell'ambito del piano di crisi
Lett. e
aziendale di cui alla lettera d), forme di apporto anche economico, da parte dei soci
lavoratori, alla soluzione della crisi, in proporzione alle disponibilità e capacità
finanziarie (lett. e);

Lett. f
- al fine di promuovere nuova imprenditorialità, nelle cooperative di nuova costituzione
(start up), la facoltà per l'assemblea della cooperativa di deliberare un piano
d'avviamento alle condizioni e secondo le modalità stabilite in accordi collettivi tra le
associazioni nazionali del movimento cooperativo e le organizzazioni sindacali
comparativamente più rappresentative (lett. f).
I caso pratico
 Tizio è socio lavoratore della Cooperativa Alfa e agisce nei confronti di
questa al fine di ottenere il pagamento di talune voci retributive (es. 14a
mensilità) previste dalla contrattazione collettiva nazionale di settore,
ulteriori rispetto a quelle costituenti il c.d. minimo costituzionale.
 La cooperativa Alfa resiste, sostenendo che al lavoratore devono essere
riconosciuti i soli minimi retributivi costituzionali (paga base, contingenza e
tredicesima mensilità) e non anche le voci retributive tipiche contrattuali
rivendicate.
quesito

«È corretto ritenere che sia applicabile ai soci lavoratori di cooperativa il


trattamento retribuivo complessivo previsto dalla contrattazione collettiva,
ovvero spettano soltanto i minimi costituzionali da essa previsti?»
Soluzione del caso data dalla Suprema Corte
(Cass. civ., Sez. L, 4 agosto 2014, n. 17583)

 In tema di società cooperative, nel regime dettato dalla L. 3 aprile 2001, n.


142, al socio lavoratore subordinato spetta la corresponsione di un
trattamento economico complessivo (ossia concernente la retribuzione
base e le altre voci retributive) comunque non inferiore ai minimi previsti, per
prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o
della categoria affine. Il regolamento previsto dalla L. n. 142 del 2001, art. 6,
non può contenere disposizioni derogatorie di minor favore rispetto alle
previsioni collettive di categoria (cfr. anche Cass. civ., Sez. L, 28 agosto
2013, n. 19832).
 Le cooperative sono, pertanto, tenute a corrispondere un trattamento
economico non inferiore ai minimi previsti da tale contratto, i quali vanno
rispettati oltre che per i minimi retributivi costituzionali, anche per le altre
voci retributive contrattuali.
Quid iuris nel caso in cui ci trovassimo di
fronte ad un unico rapporto che, senza
soluzione di continuità, corre da data
antecedente e termina in data successiva
all’entrata in vigore della l. n. 142/2001?
Possibili problematiche da
affrontare
 Regolazione del trattamento economico secondo criteri omogenei
ovvero differenziati ratione temporis?
 Quale trattamento economico nel periodo antecedente all’entrata in
vigore della l. 142/2001?
 Quale trattamento economico nel periodo successivo all’entrata in
vigore della l. 142/2001, prima dell’adozione del regolamento interno ex
art. 6 della stessa legge? (il termine per l’approvazione del regolamento,
stabilito dall’art. 6, comma 1, è stato prorogato al 31 dicembre 2004 per
effetto dell’art. 23 sexies del d.l. 24 dicembre 2003 n. 355, convertito , con
modificazioni, in legge 27 febbraio 2004, n. 47)
Del caso di un rapporto di lavoro nato prima della l. 142/2001 e cessato dopo (ma
prima del 31 dicembre 2004 e prima dell’approvazione del regolamento ex art. 6) si
sono occupati, ad esempio, nei due gradi del giudizio, il Tribunale di Oristano e la
Corte d’Appello di Cagliari.

Il Tribunale di Oristano (sentenza n. 198 del 1 aprile 2011):


 per il periodo antecedente all’entrata in vigore della legge, ha
ritenuto che i soci lavoratori avessero comunque diritto ad una
retribuzione proporzionata e sufficiente, ai sensi dell’art. 36 Cost.
 per quello successivo, anche in mancanza di un regolamento
interno della cooperativa approvato ai sensi dell’art. 6 della l.
142/2001, ha ritenuto come dovuto al socio lavoratore un
trattamento economico non inferiore ai minimi previsti dalla
contrattazione collettiva di categoria.
La Corte d’Appello di Cagliari (sentenza del 9 luglio
2014):
 ribalta la decisione di primo grado;
 premesso che il rapporto di lavoro era cessato nell’ottobre 2004,
sostiene che, in mancanza di un regolamento interno ex art. 6 l.
142/2001, non sia applicabile la disciplina della legge che impone
l’adeguamento del trattamento economico dei soci lavoratori a
quello minimo previsto dalla contrattazione collettiva nazionale di
settore/categoria;
 ritiene conforme all’art. 36 cost. il trattamento retributivo riconosciuto
al socio lavoratore, inferiore del 17% rispetto al «minimo costituzionale»
ricavabile dalla contrattazione collettiva, in ragione della situazione di
crisi accertata in cui versava l’impresa cooperativa.
La Cassazione, in un caso simile a quello
affrontato dai giudici sardi, ha sostenuto
 «Deve ritenersi conforme alla lettura della normativa di legge
ritenere che i minimi retributivi siano da intendere riferiti a quelli
contrattuali anche prima dell'entrata in vigore del Regolamento».
 «Non emerge affatto che l'intento del legislatore sia stato […]
quello di procrastinare l'applicazione del contratto collettivo
all'entrata in vigore del regolamento, quanto piuttosto quello di
demandare a quest'ultimo possibilità derogatorie, escluse, tuttavia,
nei riguardi dei soci lavoratori subordinati in relazione ai trattamenti
retributivi previsti dai c.c.n.l. del settore di appartenenza o della
categoria affine».
Cass. civ., Sez. L, sentenza n. 19832 del 2013
II caso pratico
Abbiamo visto che ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. d) ed e), il regolamento interno
deve prevedere l’attribuzione all’assemblea della facoltà di deliberare,
all’occorrenza, un piano di crisi aziendale, nel quale siano salvaguardati, per quanto
possibile, i livelli occupazionali e siano altresì previsti: la possibilità di riduzione
temporanea dei trattamenti economici integrativi di cui all’art. 3, comma 2, lett. b;
forme di apporto anche economico, da parte dei soci lavoratori, alla soluzione della
crisi, in proporzione alle disponibilità e capacità finanziarie.

Alla luce della normativa che precede, sarebbe legittima la delibera


assembleare che, in ragione di un generico riferimento ad uno stato di crisi,
determini, a tempo indeterminato o in attesa della risoluzione della crisi, la
trattenuta forzosa delle quote di t.f.r. maturate, del 50% dei ratei di tredicesima
e quattordicesima mensilità, dei compensi per festività, indennità di malattia?
Quesito
Quand’anche la cooperativa si fosse dotata del
regolamento e avesse deliberato correttamente
sullo stato di crisi, un taglio temporaneo degli
stipendi dei soci lavoratori al di sotto del
trattamento economico minimo di cui all’art. 3,
comma 1, L. n. 142/2001, sarebbe consentito?
Soluzione proposta del caso
Attingendo dai precedenti della Suprema Corte (Cass. civ., Sez. L, 28 agosto 2013,
n. 19832), la risposta dovrebbe essere data in termini negativi.

Innanzitutto, ai sensi dell’art. 6 cit., la possibilità di deliberare lo stato di crisi, con


ripercussioni sul trattamento economico complessivo dei soci lavoratori,
presuppone l’adozione, nelle forme previste dallo stesso art. 6, del regolamento
interno, che deve contemplare detta ipotesi.
Inoltre, «al fine di evitare possibili abusi a danno dei soci lavoratori», la
deliberazione del piano di crisi aziendale deve contenere «elementi adeguati e
sufficienti» tali da esplicitare:
- l'effettività dello stato di crisi aziendale che richiede gli interventi straordinari
consentiti dalla legge;
- la temporaneità dello stato di crisi e dei relativi interventi;
- uno stretto nesso di causalità tra lo stato di crisi aziendale e l'applicabilità ai
soci lavoratori degli interventi in esame.
Quale significato attribuire al concetto di
«apporto economico alla soluzione della crisi»
 I dubbi nascono da un’infelice formulazione dell’art. 6, comma 2, ove è sancito che la
regola del trattamento minimo obbligatorio è derogabile in casi eccezionali, con
richiamo tra l’altro al comma 1, lett. d) ed e).
 Il fatto che la norma affermi che deroghe al trattamento economico minimo non sono
consentite, salvo quanto disposto dalle lett. d) ed e) dell'art. 6 (oltre che dalla lett. f dello
stesso art. 6 e dall’art. 3 comma 2 bis, per i casi più marginali, rispettivamente, delle
cooperative in fase di avviamento e di quelle di piccola pesca), dovrebbe, di per sé,
autorizzare l'interpretazione che consente di ritenere derogabili i minimi retributivi
obbligatori nel caso di crisi.
 Tuttavia, mentre la lett. d) dell’art. 6 fa riferimento alla riduzione dei ristorni, che non
rientrano nel minimo retributivo contrattuale, la lett. e) fa riferimento a forme di «apporto
anche economico» alla soluzione della crisi. Sulla base di quest’ultima previsione, v’è chi
ritiene che il trattamento economico del socio lavoratore, in caso di deliberazione dello
stato di crisi, potrebbe scendere al di sotto del trattamento economico minimo previsto
dal Ccnl di riferimento. Altra tesi propende per l’impraticabilità di questa opzione
ermeneutica.
Tribunale di Cassino, 22 ottobre 2010
Il trattamento retributivo minimo del contratto collettivo ai sensi
dell’art. 3, comma 1, l. n. 142/2001, è irriducibile anche in caso di
crisi aziendale conclamata con delibera assembleare.
E’ dunque affetta da nullità la delibera della assemblea di
Cooperativa che per stato di crisi abbia temporaneamente
soppresso gli istituti economici relativi alla 13.a mensilità ed al t.f.r.
Contra: Tribunale di Milano, 5 luglio 2012
 L’art. 6, co. 2, L n.142/2001 ammette espressamente la possibilità di una deroga in
pejus al trattamento economico minimo e lo stesso art. 36 Cost. non può che
essere letto in considerazione delle peculiarità proprie di ciascun rapporto di
lavoro, che nel caso del lavoro del socio di cooperativa attengono al carattere
mutualistico e alla necessaria partecipazione del lavoratore al rischio dell'impresa.
 La delibera dello stato di crisi, con cui si individui la misura dell'apporto economico
dei soci nella 13ª mensilità e si stabilisca di non corrispondere il suddetto
emolumento, non costituisce in sé operazione illecita: «[…] si tratta, infatti, di un
meccanismo destinato a ottenere il medesimo risultato che la cooperativa
avrebbe potuto conseguire erogando materialmente la suddetta retribuzione, e
chiedendo poi ai singoli soci di partecipare alla soluzione della crisi con un
apporto economico alla stessa commisurato».
 Atteso che l’art. 6, co. 1, lett. e), Legge 142/2001 esige espressamente che
l'apporto economico richiesto ai soci lavoratori sia determinato “in proporzione alle
disponibilità e capacità finanziarie” degli stessi, sarebbe ragionevole la scelta di
adeguare siffatto contributo alla 13ª mensilità, in quanto parametro che
garantisce che ciascun socio sia chiamato a partecipare al piano di crisi in misura
proporzionata alla retribuzione.
III caso pratico: i contratti pirata
PREMESSA
Per «contratti pirata» si intendono in genere i contratti collettivi di
lavoro sottoscritti da organizzazioni datoriali e sindacali, spesso
prive di reale rappresentatività, la cui stipula determina dumping
sociale distorsivo delle condizioni sia di concorrenza sia di tutela
del lavoro, e non rispettoso dell’articolo 36 della Costituzione.
 Art. 3 della L. n. 142/2001: le cooperative sono tenute ad assicurare un trattamento
economico "non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione
collettiva nazionale del settore o della categoria affine".
 La norma non indica quale contratto, in caso di pluralità di essi, debba essere preferito;
ciò ha dato vita alla proliferazione di contratti stipulati da organizzazioni sindacali in cui i
livelli retributivi, in una (distorta) logica concorrenziale, tendevano al ribasso. Per tale
ragione, il legislatore è intervenuto ponendo un "filtro" idoneo a selezionare i contratti
abilitati a costituire idoneo parametro di riferimento.

 Art. 7, comma 4, D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, convertito in L. 28 febbraio 2008, n. 31, ha
specificato il contenuto della l. n. 142 del 2001, stabilendo che "in presenza di una
pluralità di contratti collettivi della medesima categoria", le società cooperative debbono
applicare ai propri dipendenti " i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli
dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali
comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria".
 La norma, dunque, impone di individuare nel caso concreto il c.d. contratto leader, per
poter formulare le valutazioni sulla congruenza del contratto concorrente agli standard
retributivi di quello.
IL CASO DA ESAMINARE
Tizio agisce nei confronti della cooperativa Alfa, di cui è socio
lavoratore subordinato, al fine di ottenere la condanna al
pagamento di somme a titolo retributivo, pari alla differenza tra il
trattamento economico applicato in azienda (CCNL per i soci
coimprenditori e i dipendenti delle cooperative esercenti servizi di
pulizia, facchinaggio, igiene ambientale ed ausiliari nonché servizi
integrativi e multi servizi ai vari settori merceologici siglato da
UNCI/CONFSAL) e il trattamento economico minimo spettante sulla
base del CCNL applicato ai dipendenti del medesimo settore siglato
dalle associazioni di categoria a suo dire più rappresentative (CCNL
Unico della Logistica, Trasporto Merci e Spedizioni per il settore della
movimentazione, confezionamento e preparazione alla spedizione di
prodotti ortofrutticoli).
La cooperativa Alfa si costituisce in giudizio, negando la maggiore
rappresentatività dei sindacati stipulanti il CCNL richiamato dal socio
lavoratore e, comunque, eccependo la contrarietà a Costituzione
(art. 39) dell’art. 7, comma 4, del d.l. 31 dicembre 2007, n. 248.
Sulla compatibilità della disciplina in
esame con la Costituzione: Corte cost.
26 marzo 2015, n. 51
 «Il censurato art. 7, comma 4, del d.l. n. 248 del 2007, congiuntamente all’art. 3 della legge
n. 142 del 2001, lungi dall’assegnare ai predetti contratti collettivi, stipulati dalle
organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, efficacia erga omnes, in
contrasto con quanto statuito dall’art. 39 Cost., mediante un recepimento normativo degli
stessi, richiama i predetti contratti, e più precisamente i trattamenti economici complessivi
minimi ivi previsti, quale parametro esterno di commisurazione, da parte del giudice, nel
definire la proporzionalità e la sufficienza del trattamento economico da corrispondere al
socio lavoratore, ai sensi dell’art. 36 Cost.».
 Quindi il Ccnl sottoscritto dalle associazioni comparativamente più rappresentative integra
l’art. 36 Cost. quale parametro di retribuzione costituzionalmente garantita e, dal canto
suo, l’art. 36 Cost. offre una copertura costituzionale alla norma di legge che la pone al
riparo dalla contrapposizione, invero altrimenti inevitabile, con i principi ex art. 39 Cost.
Quanto alla selezione del CCNL leader
Problemi che potrebbero presentarsi:

 Quali indici devono essere valutati dal giudice per apprezzare il


grado di rappresentatività, in termini comparativi, delle OOSS?
 Quali strumenti di accertamento ha a disposizione il giudice?
 Quali prove può considerare utili?
 Quale attività istruttoria officiosa può eventualmente svolgere,
di fronte a una situazione di inerzia delle parti?
Circolare del Ministero del lavoro e delle
politiche sociali n. 10310 del 1° giugno 2012
Al fine di determinare il grado di rappresentatività, in termini
comparativi, delle OO.SS. stipulanti, occorre far riferimento:

 al numero complessivo delle imprese associate;


 al numero complessivo dei lavoratori occupati;
 alla diffusione territoriale (numero di sedi presenti sul territorio ed
ambiti settoriali);
 al numero dei contratti collettivi nazionali stipulati e vigenti.
 al numero dei verbali di revisione, il cui dato risulta verificabile presso il
Ministero dello Sviluppo Economico.
 Al fine della verifica del grado di rappresentatività, eventuali
produzioni delle parti, come ad esempio circolari ministeriali in
materia (in particolare, la circolare citata nella diapositiva
precedente), possono essere valorizzate?
 Possiamo altrimenti pensare ad una richiesta di informazioni scritte
diretta ad istituzioni pubbliche (es. Ministero del lavoro e delle
politiche sociali) ai sensi dell’art. 213 c.p.c.?
 Di fronte ad allegazioni specifiche sul grado di rappresentatività,
potremmo valorizzare la non contestazione specifica, ma di fronte
ad allegazioni generiche (come spesso accade), la
contestazione potrebbe essere altrettanto generica.
 Quale deve essere il grado di allegazione a carico della parte
che agisce?
Tribunale Asti, 12 gennaio 2016
Il socio lavoratore che richieda l'applicazione al suo rapporto di lavoro
di un CCNL diverso da quello scelto dalla Cooperativa deve allegare
gli elementi a sostegno della selezione operata, oltre che per quanto
concerne l'attività del datore di lavoro, per quanto riguarda la
rappresentatività delle organizzazioni sindacali firmatarie il diverso
CCNL di cui chiede l'applicazione. In assenza di tali deduzioni risulta
impossibile per il giudicante verificare la correttezza dell'operazione di
individuazione dei minimi retributivi ex artt. 3 L. 142/01 e 7 D.L. 248/07
compiuta dalla ricorrente ed il Tribunale non è chiamato ad utilizzare i
propri poteri istruttori per colmare le carenze di allegazione delle parti.
Tribunale di Venezia, 26 ottobre 2016
 Valorizza la circolare n. 37 dell’01.06.2012 sugli Osservatori Provinciali sulla Cooperazione

 «E d’altro canto che il CCNL cui deve farsi riferimento ex art 7 c. 4 DL 248/2007 sia
proprio il CCNL invocato dall’ odierna opposta quale contratto collettivo stipulato dalle
organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello
nazionale rispetto a UNCI (per la parte datoriale) e CONFSAL (per la parte sindacale), è
accertato dallo stesso Ministero del Lavoro con la lettera circolare n. 37 dell’01.06.2012
sugli Osservatori Provinciali sulla Cooperazione (doc. 5 opposta). Il Ministero stesso in
effetti, in linea con la precedente Circolare del 09.11.2010 in tema di verifica della
maggiore rappresentatività delle organizzazioni di categoria, elencati i vari indici cui far
riferimento (numero complessivo delle imprese associate, numero complessivo dei
lavoratori occupati, diffusione territoriale, numero dei ccnl stipulati e vigenti, numero dei
verbali di revisione), stabilisce che “l’unico contratto da prendere come riferimento ai fini
dell’individuazione della base imponibile contributiva … è il contratto collettivo nazionale
sottoscritto da CGIL, CISL, e UIL/AGCI, LEGACOOP, CONFCOOPERATIVE”. Tale
valutazione è stata avallata da Tar Lazio con la pronuncia 8865/2014».
IV caso pratico
 Tizia è assunta dalla società cooperativa Alfa in data 8 gennaio 2010 con
contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con patto di prova e
con rinvio al trattamento di cui al CCNL trasporto, spedizione merci e
logistica per quanto concerneva l'orario di lavoro, la qualifica professionale,
la retribuzione, le ferie ed i termini di preavviso, oltre alle altre condizioni non
previste dalla lettera di assunzione, mentre, per quanto riguardava il patto di
prova, era contenuto un rinvio al Regolamento interno della cooperativa,
che ne prevedeva la durata in centoventi giorni di lavoro effettivo. Con
lettera del 18 giugno 2010 Tizia è licenziato per mancato superamento della
prova. La lavoratrice impugna il recesso, sostenendo che al 18 giugno 2010
era stato ormai superato il periodo di prova previsto dal CCNL.
 La cooperativa Alfa resiste in giudizio, sostenendo che il licenziamento era
stato intimato tenendo conto del più lungo periodo di prova previsto dal
proprio regolamento interno.
 Prevale nel caso di specie il regolamento interno o il contratto collettivo?
Corte d’Appello di Torino, n. 300 del 19 marzo
2012
 Ribalta la sentenza del Tribunale di Novara, che aveva rigettato
il ricorso ritenendo applicabile la previsione del Regolamento
interno (che fissava in centoventi giorni di lavoro effettivo la
durata della prova, con esclusione dei giorni non lavorati,
risultando così non superato il periodo dell'esperimento alla
data del recesso).
 Accoglie il gravame, ritenendo applicabile la disciplina del
contratto collettivo, quale norma più favorevole. Annulla
pertanto il licenziamento e dispone la reintegra della
lavoratrice nel suo posto di lavoro.
Cass. Civ., Sez. L., 3 luglio 2015, n. 13699

 Conferma la sentenza della Corte d’appello


 Tra le due fonti normative (contratto collettivo e
regolamento), si applica il criterio della prevalenza di
quella più favorevole al lavoratore
V caso pratico
 Tizio agisce nei confronti della cooperativa Alfa e – premesso che la
convenuta, in violazione degli impegni assunti, lo impiega per un numero di ore
notevolmente inferiore rispetto a quelle contrattuali – ne chiede la condanna al
pagamento delle differenze retributive tra quanto in concreto erogato per le
ore effettivamente lavorate e quanto gli sarebbe spettato di percepire se gli
fosse stato consentito di lavorare a tempo pieno.
 La cooperativa Alfa si costituisce in giudizio, eccependo che la riduzione
dell’orario di lavoro sarebbe stata decisa in conformità del regolamento
aziendale, il quale dispone che "a seguito di riduzione o mancanza
momentanea di lavoro, si può comunque verificare il caso, senza che da
questo derivi alcun onere per la cooperativa, di soci ammessi che non possono
esercitare la loro attività per mancanza di lavoro o possono esercitarla soltanto
a orario ridotto".
Tribunale di Milano, 14 febbraio 2012
 Ritiene che in astratto sia ammissibile una sospensione parziale dell’attività lavorativa del socio,
purché ciò avvenga nel rispetto dei principi generali applicabili ad ogni rapporto di subordinazione.
 Richiama la giurisprudenza della Suprema Corte espressa nella sentenza n. 7300 del 16 aprile 2004
("Costituisce principio fondamentale della disciplina dei rapporti di lavoro subordinato quello
secondo il quale la retribuzione non è dovuta dal datore di lavoro solo nel caso in cui la prestazione
lavorativa sia divenuta impossibile (artt. 1206, 1256, 1258 c.c.), ovvero sia stato stipulato un accordo
modificativo del contratto individuale di lavoro, in forza del quale le parti convengano che per un
certo tempo non saranno eseguite le prestazioni e le controprestazioni (sospensione del rapporto).
Infatti […] il rifiuto di eseguire la prestazione può essere opposto da un contraente (nella specie il
datore di lavoro) soltanto se l'altra parte (il lavoratore) omette di effettuare la prestazione da lui
dovuta, ma non già quando questa sia impedita dalla volontà datoriale unilaterale, salva la prova
a carico del medesimo della impossibilità sopravvenuta, a norma degli artt. 1256, 1463 e 1464, cod.
civ. , fondata sull'inutilizzabilità della prestazione lavorativa per fatti non addebitabili allo stesso
datore di lavoro, perché non prevedibili, né evitabili, né riferibili a carenze di programmazione o
d'organizzazione aziendale o a calo di commesse o a crisi economiche o congiunturali o strutturali,
e salvo comunque, un eventuale accordo tra le parti...".
 Accoglie la domanda del lavoratore, ritenendo che la cooperativa non abbia dato prova
dell’inutilizzabilità della prestazione di lavoro per fatti a sé non imputabili.
Ministero del lavoro e delle politiche sociali, interpello
24 gennaio 2013, n. 1/2013

 Al Ministero è presentato interpello dall’Associazione Generale


Cooperative italiane, da Confcooperative e da Legacoop, in
ordine alla possibilità che il regolamento interno, approvato
dall’assemblea di una cooperativa ex art. 6, L. n. 142/2001,
contempli l’istituto della sospensione del rapporto di lavoro con i
soci lavoratori.
La risposta del Ministero è data in termini affermativi.
 «in caso di riduzione dell’attività lavorativa per cause di forza maggiore o di
circostanze oggettive, ovvero nelle ipotesi di crisi determinate da difficoltà
temporanee della cooperativa, il regolamento interno potrebbe prevedere l’istituto
della sospensione del rapporto di lavoro e, dunque, della sospensione delle
reciproche obbligazioni contrattuali, scongiurando in tal modo il rischio di eventuali
licenziamenti».
 «In conformità ai … principi di trasparenza e parità di trattamento, si ritiene
comunque necessario che le cause legittimanti la sospensione temporanea
dell’attività, per le quali non è presentata richiesta di ammortizzatori sociali, siano
specificatamente individuate dal regolamento interno e di volta in volta deliberate
dal consiglio di amministrazione della cooperativa o comunque da chi abbia titolo
secondo statuto».
 «Unitamente alle previsioni di cui sopra, risulta di fondamentale importanza che
nell’ambito del regolamento interno siano declinate inequivoche condizioni che
consentano, nel periodo di sospensione concordata delle reciproche prestazioni, un
equilibrato utilizzo di tutta la forza lavoro della cooperativa, mediante specifica
individuazione di criteri oggettivi di turnazione/rotazione del personale».
La soluzione interpretativa offerta dal Ministero
si basa sui seguenti argomenti

 in forza della L. n. 30/2003 è stata eliminata la previsione, contenuta all’art. 6,


comma 2, L. 142/2001, che impediva al regolamento interno di introdurre
disposizioni derogatorie in peius rispetto alle «condizioni di lavoro» contemplate
dai contratti collettivi restando, viceversa, inderogabile in senso peggiorativo la
disciplina contrattuale attinente al trattamento economico complessivo di cui
all’art. 3, comma 1 della L. n. 142/2001
 il regolamento interno può modificare «aspetti di carattere normativo contemplati
dalla contrattazione collettiva nazionale di settore quali, ad esempio,
l’allungamento del periodo di prova, nonché introdurre ulteriori istituti normativi
che non risultano disciplinati dal medesimo contratto collettivo, garantendo il
rispetto dei principi di trasparenza e parità di trattamento nei confronti dei soci
lavoratori»
 si tratterebbe d’altronde di una sospensione concordata del rapporto, posto che
il socio, accettando lo statuto ed il regolamento, avrebbe già accettato anche la
sospensione del rapporto ivi contemplata.
Fine della presentazione.

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