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Concetti chiave 主要思想

Razionalista 理性主义

Difensore dei dogmi del Cristianesimo 基督宗教教义的捍卫者

Conciliatore tra cattolici e protestanti 天主教和基督新教的调停者

Conoscenze oscure e chiare

Monadi

Leibniz cercava di salvaguardare i dogmi del cristianesimo dando loro una formulazione moderna e di
conciliare i conflitti dottrinali tra cattolici e protestanti. Inoltre formulò diverse teorie riguardanti:

teoria della conoscenza:

conoscenze oscure (dei sensi)

conoscenze chiare (della ragione)

"nulla è nell'intelletto che prima non sia stato nei sensi, tranne l'intelletto stesso"[1]

una nuova metafisica

Le monadi sono sostanze semplici ed immateriali che costituiscono tutto l'universo e sono strutturate
in una gerarchia di maggiore o minore chiarezza secondo l'armonia prestabilita da Dio.

L'ars combinatoria[modifica | modifica wikitesto]

Tra gli svariati interessi di Leibniz c'è anche quello per lo studio del linguaggio sul quale ritiene possa
fondarsi una nuova scienza: l' "Ars combinatoria": una simbolizzazione del pensiero con cui operare calcoli
logico-matematici.

Aristotele aveva già intravisto questa possibilità negli "Analitici", la sua opera di logica formale, dove i
concetti semplici venivano simboleggiati con le lettere dell'alfabeto greco. Lo stesso progetto era stato
perseguito da Raimondo Lullo (1235-1315) con la sua "Ars Magna" ("Ars compendiosa inveniendi
veritatem seu ars magna et maior") e da Charles de Bovelles (1475-1566) con la sua Ars oppositorum:
tecnica sintetica per scoprire la verità. Servendosi di simboli linguistici e anche di schemi e figure si
potevano realizzare delle combinazioni logiche che portavano a verità universali. L'arte lulliana fu
dimenticata nel Medioevo e venne invece riscoperta nel Rinascimento dove era utilizzata nell'alchimia e
nell'astrologia. Giordano Bruno ad esempio, era considerato un esperto di questa tecnica. Ancora nel '600
l'"ars magna" trova cultori come Pierre Gassendi ma furono soprattutto Thomas Hobbes e i suoi seguaci che
tentarono di svilupparla ed applicarla ad ogni campo del sapere.

Il concetto di Hobbes di un sapere come calcolo influenzò in modo rilevante la dottrina di Leibniz.

Egli ha infatti notato come sia possibile ridurre i concetti complessi ad un piccolo numero di concetti
primitivi, ciascuno connotato da un segno. Dopo aver stabilito una classificazione di concetti primitivi, egli
pensa che si possa arrivare a stabilire una sorta di scrittura universale simbolica e con questa risolvere i
problemi logici così come si risolvono i problemi algebrici.

« Allora, non ci sarà più bisogno fra due filosofi di discussioni più lunghe di quelle tra due matematici,
poiché basterà che essi prendano le loro penne, che si siedano al loro tavolo (riferendosi, se lo desiderano, a
un amico) e che entrambi dicano: "Calcoliamo".[2] »

Questo stesso metodo lo applicherà alla matematica e proprio la logicizzazione della matematica lo porterà
alla scoperta del calcolo infinitesimale.

Questa stessa impostazione viene applicata alla sua filosofia che s'innesta nel dibattito sulla sostanza che si
era aperto con Cartesio.

Verità di ragione[modifica | modifica wikitesto]

Tutti i ragionamenti, dal più complesso al primitivo, li possiamo ridurre a due tipi fondamentali: il primo è
quello delle verità di ragione (il secondo sarà nel paragrafo successivo). Come insegnava Aristotele, sulla
base del principio d'identità noi possiamo formulare un giudizio analitico del tipo: "Il triangolo ha tre angoli".
Cioè solo dopo aver chiaramente identificato quella figura geometrica che è il triangolo, e non
confondendola più con altre figure, dopo aver quindi applicato il principio d'identità e quello di non
contraddizione che dicono che "un triangolo è un triangolo e non è qualcosa di diverso" ("A è A, A non è
non- A"), nel giudizio analitico, analizzando il soggetto, triangolo, possiamo metterne in evidenza una delle
sue note caratteristiche (ha tre lati, ha tre angoli, la somma degli angoli interni è uguale a 180º...ecc.) ed
esprimerla nel predicato. Con il giudizio analitico quindi io non vado molto al di là del primitivo giudizio di
identità che mi ha consentito poi di formulare il giudizio, in quanto il predicato era già contenuto nel
soggetto (ha tre angoli era già implicito nel concetto di triangolo). Quindi il giudizio analitico, le "verità di
ragione" non sono estensive della conoscenza. Ma d'altra parte hanno un rigore logico di necessità. Cioè una
volta che io ho affermato che il triangolo è quello che ha tre angoli, non potrò nello stesso senso e nello
stesso tempo affermare che il triangolo non ha tre angoli. Le verità di ragione una volta affermate non
possono più esser negate e sono inoltre valide per tutti gli uomini dotati di ragione, sono universali.

Verità di fatto[modifica | modifica wikitesto]

Ma oltre alle verità di ragione ci sono anche le "verità di fatto". Queste risalgono al principio di ragion
sufficiente: ovvero di quel fatto si danno le ragioni sufficienti a spiegarlo ma non a dimostrarne la sua
necessità. Quando ad esempio formulo il giudizio: «Colombo scoprì l'America» questa è una verità di fatto:
anche qui c'è un predicato connesso al soggetto ma il predicato non è all'interno del soggetto stesso ma è
nella realtà storica, nel fatto esterno (la scoperta dell'America). Questo tipo di verità quindi sono estensive
della conoscenza, ma non sono necessarie, non hanno il rigore logico dei giudizi analitici, delle verità di
ragione; tant'è vero che se io fossi ignorante potrei dire tranquillamente: "Colombo non scoprì l'America"
senza per questo entrare in una contraddizione logica come accadeva per le verità di ragione. Le verità di
fatto, quindi, possono essere negate perché del fatto si danno le ragioni per capirlo, non per dimostrarene la
necessità.

Questa argomentazione viene riportata da Leibnitz al problema delle due sostanze: perché quando parliamo
di verità di ragione si parla del pensiero, della res cogitans e il mondo del pensiero è appunto quello della
necessità.

Le verità di fatto, invece, sono quelle che riguardano la materia, la res extensa, che possono essere o non
essere, sono contingenti.

Quindi Leibniz è arrivato per altra via là dove è giunto Cartesio. Permane il problema della duplicità della
sostanza.

La duplicità ridotta all'unità del pensiero[modifica | modifica wikitesto]

Ma è proprio vero che le verità di fatto sono contingenti e diverse dalle necessarie verità di ragione? Se
avessi la capacità di analizzare all'infinito il soggetto espresso nel giudizio delle verità di fatto - nel caso
dell'esempio significa analizzare all'infinito la vita di Colombo - arriverei alla conclusione che
"necessariamente" Colombo doveva scoprire l'America. Esaminando la vita di Colombo nei suoi
componenti minimi, "infinitesimali", se ne deve concludere che Colombo non poteva non scoprire l'America.
Quindi le verità di fatto, analizzate all'infinito, coincidono per necessità con le verità di ragione; la loro
contingenza scompare e la fattualità si tramuta nell'attualità del pensiero.

La materia come estensione[modifica | modifica wikitesto]

Come sul piano logico le verità di fatto coincidono con le verità di ragione così sul piano della materialità
Leibniz si propone di dimostrare che la sua vera natura è lo spirito.
Le nuove scoperte fisiche permettono a Leibniz di elaborare una nuova concezione del mondo non più inteso
meccanicisticamente. Quello che rimane infatti sempre presente nei fenomeni meccanici non è la quantità di
moto ma la "forza viva", per cui estensione e movimento sono insufficienti a spiegare i fenomeni.

Il concetto di materia viene tradizionalmente associato a quello di estensione. Tutto ciò che occupa uno
spazio esteso è materia. La definizione di materia come estensione aveva però già generato una polemica tra
il filosofi antichi, i pluralisti, quelli che avevano tentato una soluzione di compromesso nel dibattito tra le
tesi contrapposte dell'essere degli eleati e coloro che sostenevano la realtà del divenire. Anassagora partendo
da un concetto di materia come estensione affermava l'infinita divisibilità della materia, in quanto anche se
piccolissima, la minima particella materiale, essendo estesa, presupponeva la sua ulteriore divisibilità.
D'altra parte Democrito affermava che dall'infinito non possono provenire corpi estesi finiti e quindi bisogna
supporre che esista una piccolissima particella materiale non più divisibile: l'atomo. Il concetto di estensione
applicato alla materia non è dunque il più adatto per capire la sua natura poiché dà luogo ad un'antinomia
irrisolvibile, come avrebbe notato anche Kant nella sua Dialettica trascendentale.

La materia omogenea[modifica | modifica wikitesto]

Sostituiamo al concetto di estensione della materia quello per cui essa si presenta come omogenea. Qualsiasi
oggetto materiale si presenterà in una pressoché infinita qualità di forme e modi, ma conserverà sempre la
caratteristica della materialità, della corporeità. Quantitativamente dunque la materia è omogenea (dal
significato originario del termine greco: "della stessa natura"). Ma se la materia è omogenea come si spiega
che essa presenti una diversità di forme, di qualità ecc.? Evidentemente all'interno di quella che noi
chiamiamo materia c'è un "principio di differenziazione", una forza per cui un corpo si differenzia da un
altro corpo.

D'altra parte se la materia fosse semplice estensione come si spiega lo spostamento? Il concetto di
movimento non può derivare da quello di estensione. Se consideriamo due corpi dal punto di vista
dell'estensione, il fatto che siano estesi non spiega perché un corpo si sposta con maggiore difficoltà rispetto
a un altro corpo. I due corpi infatti possono anche differire per l'estensione, ma questo non è l'elemento
determinante per cui essi offrono una diversa resistenza all'azione di chi li vuole muovere. Questa diversa
resistenza significa che essi oppongono una forza diversa all'azione di chi vuole spostarli.

Questo vuol dire che l'essere reale è essere semplice che contiene un "principio di differenziazione" e un
"principium individuationis" (principio di individuazione) che lo fa essere diverso da tutti gli altri esseri;
esso è quindi un essere unico, una

"s o s t a n z a"
non materiale e passiva ma che esprime un'attività per cui è un

" centro di forza"

qualcosa che agisce indipendentemente da qualsiasi altro essere.

«Ora questa forza è qualcosa di diverso dalla grandezza, dalla figura e dal movimento; e da ciò si può
giudicare che tutto quanto si sa dei corpi non consiste solo nell'estensione, come sostengono i moderni.
Questo ci costringe a reintrodurre quelle forme che essi hanno bandito» ("Discorso di Metafisica", XVIII)

L'essere reale Leibnitz lo definisce

"unità reale"

che ha la realtà dell'atomo fisico (quindi diverso dal punto geometrico che è astratto) ed ha la precisione del
punto geometrico che manca all'atomo fisico.

Si è quindi superato il dualismo cartesiano di spirito, pensiero e materia, riducendo quest'ultima a spirito e
quindi sostenendo alla fine, come necessaria conclusione, che in effetti esistono un'infinità di sostanze tante
quante sono i corpi.

Con il concetto di forza=materia si è superato l'aspetto fisico:

tutto è spirito

e ciascuno degli infiniti corpi, centri di forza che esprimono il principio di differenziazione e di
individuazione, sono

m o n a d i,

assolute unità semplici, centri di forza autonomi.

I molteplici universi e l'unico universo[modifica | modifica wikitesto]

« La monade, della quale parleremo, non è altro che una sostanza semplice, che entra nei composti; semplice,
cioè senza parti.

E debbono esserci sostanze semplici, poiché ve ne sono di composte; il composto non essendo altro che un
ammasso o aggregatum di semplici. Ora, laddove non ci sono parti, non c’è estensione, né figura, né
divisibilità possibili. Queste monadi sono i veri atomi della natura e, in una parola, gli elementi delle cose.
[...]Così si può affermare che le monadi non possono cominciare né finire, cioè, che possono cominciare
solo per creazione e finire per annientamento: mentre ciò che è composto, comincia o finisce per parti. Le
monadi non hanno finestre, attraverso le quali qualcosa possa entrare o uscire. [...][3] »

Rappresentazione dei quattro elementi aristotelici secondo Leibniz, dove il cerchio che inscrive il tutto
rappresenta l'Universo (Dissertatio de Arte Combinatoria, (1666) ).

«Le monadi non hanno porte né finestre» e quindi non possono comunicare con l'esterno; eppure c'è un
universo per tutti e in effetti, sostiene Leibniz, vi sono tanti universi quante sono le monadi. Ognuno di noi
proietta un suo mondo.

È come se ciascuno di noi fosse una macchina da proiezione che (come monade) è totalmente diversa dalle
altre, ma che ha una pellicola che tratta lo stesso tema. La proiezione è sempre diversa ma il film è lo stesso.
La proiezione (la visione del mondo) è nostra e soltanto nostra, ma l'oggetto di proiezione (il mondo) è
sempre lo stesso ed uguale per tutti. E l'universo non è fuori della monade-proiettore ma è al suo interno (la
pellicola). L'attività della monade, la sua vita interiore infatti consiste nelle rappresentazioni generate da una
forza che, in senso metafisico, Leibniz chiama "appetizione". Le diverse rappresentazioni di una monade
sono implicite nel suo essere come nella natura del cerchio ci sono tutte le proprietà che se ne possono
dedurre. La monade quindi rappresenta in se stessa tutto l'universo.

Ogni monade vive in un mondo suo e soltanto suo; ma ogni monade è nello stesso tempo "specchio vivente
dell'universo" in quanto riflette immagini che non vengono dall'esterno ma che essa stessa proietta come
centro di forza.

La gerarchia delle monadi[modifica | modifica wikitesto]

Ogni corpo è monade e tutto quello che avviene e che riguarda la monade uomo avviene e riguarda tutte le
altre monadi. Che differenza c'è tra la monade uomo e tutte le altre monadi? La vita rappresentativa non
coincide con la vita cosciente, percepire è diverso da accorgersi, dobbiamo cioè distinguere la percezione
delle monadi più elevate da quella delle monadi meno elevate, cioè meno coscienti. Tra noi e una roccia c'è
alla fine solo una differenza di coscienza. Ma anche in noi non tutto è cosciente. Leibniz afferma che noi
abbiamo delle "piccole percezioni" che assimiliamo inconsciamente proprio perché sono molto piccole. E la
percezione cosciente è il risultato della somma delle piccole percezioni.

«Da mille indizi noi possiamo essere sicuri che ci sono in noi, in ogni momento, innumerevoli percezioni
senza appercezione... più efficaci di quanto sembra...e anche le percezioni avvertibili derivano per gradi da
quelle così piccole che non si possono avvertire» [4]

Così il rumore del mare in fondo è il risultato del rumore delle piccole onde che essendo piccole percezioni
noi assimiliamo inconsciamente.

« E per fornire un ulteriore chiarimento circa le piccole percezioni che non potremmo distinguere nel loro
insieme, sono solito servirmi dell’esempio del mugghio o rumore del mare dal quale si è colpiti quando si è
sulla spiaggia. Per udire questo rumore come lo si ode, bisogna pure che se ne odano le parti che
compongono il tutto, cioè il rumore di ciascuna onda, per quanto ciascuno di questi piccoli rumori non si
faccia conoscere che nell'insieme confuso di tutti gli altri, e sia percepibile soltanto se l'onda che lo produce
non è sola. Occorre infatti essere colpiti un poco dal movimento di quest'onda e che si abbia una qualche
percezione di ciascuno di tali rumori, per piccoli che siano; altrimenti non si avrebbe quella di centomila
onde, poiché centomila nulla non riescono a produrre qualcosa.[5] »

Quindi ci sono monadi coscienti e monadi incoscienti che hanno percezioni così confuse da risultare
apparentemente inerti ma in effetti anche loro sono centri di forza e hanno una vita rappresentativa molto
inconscia ma reale. Ogni monade è quindi diversa ed estranea alle altre ma poiché tutte hanno una vita
rappresentativa alla fine costituiscono un'unità universale pur nella molteplicità.

La materia come incoscienza[modifica | modifica wikitesto]

Cartesio aveva assimilato tutta la conoscenza alla res cogitans mentre la res extensa era l'opposto della vita
cosciente, non aveva niente a che fare con la vita del pensiero e di tutto ciò che non è materia. Ora Leibnitz
estende la vita spirituale anche alla materia che come centro di forza ha una sua vita interiore, magari
inconscia ma non più passiva ed inerte come quella che veniva attribuita tradizionalmente alla materia.

Esiste quindi una gerarchia di monadi che dipende dalle caratteristiche della percezione delle monadi. Il
primo gradino è quello delle monadi per cui nessuna rappresentazione è cosciente. All'ultimo gradino c'è Dio
per il quale niente è oscuro. La monade cerca di avvicinarsi a Dio e rendere sempre più coscienti le sue
percezioni.

L'armonia dell'universo[modifica | modifica wikitesto]

« [...] Nelle sostanze semplici non si ha che un’influenza ideale di una monade sull’altra, che non può avere
il suo effetto se non per l’intervento di Dio, in quanto nelle idee di Dio, una monade giustamente domanda
che Dio, regolando sin dal principio le altre, abbia riguardo ad essa. E ciò perché, non potendo avere una
monade creata un’influenza fisica nell’interno dell’altra, è soltanto per questo mezzo che l’una può subire
una dipendenza da un’altra. [...]Questi princìpi mi hanno offerto la possibilità di spiegare, secondo i princìpi
naturali, l’unione o meglio la conformità dell’anima e del corpo organico. L’anima segue le sue proprie leggi
ed il corpo, del pari, le sue; essi poi s’incontrano in virtù dell’armonia prestabilita fra tutte le sostanze,
perché sono entrambi rappresentazioni dello stesso universo. Le anime agiscono secondo le leggi delle cause
finali, per appetizioni, fini e mezzi. I corpi agiscono secondo le leggi delle cause efficienti o dei movimenti.
Ma i due regni, quello delle cause efficienti e quello delle cause finali, sono in armonia fra loro.[6] »

Quindi ognuna delle monadi vive in un suo mondo che non è altro che il riflesso della sua interiorità. Ogni
monade è chiusa nella sua esistenza più o meno cosciente ed è un'isola di un arcipelago in un mare
d'incomunicabilità. Eppure le monadi comunicano. Ogni monade infatti compie ogni atto della sua esistenza
nel momento stesso in cui le altre monadi compiono l'atto corrispondente. Questa armonia è stata prestabilita
da Dio che ha fatto in modo che la massima molteplicità fosse accolta nella massima unità. Ogni monade è
come un orologio esatto e perfetto ma diverso da tutti gli altri: tutti insieme suonano e segnano la stessa ora.
Dio è l'orologiaio che ha accordato tutti i diversi orologi.

Ogni monade è isolata dalle altre ma c'è una specie di dipendenza ideale tra le monadi, cioè ogni monade è
stata creata imperfetta da Dio perché l'imperfezione di una sarà la relativa perfezione dell'altra. Quindi ci
sono degli aggregati di monadi dove quelle più imperfette sono la base di quelle più perfette che stanno al
sommo e che dominano l'intero sistema. Quindi il rapporto ideale delle monadi dipende dalla maggiore o
minore perfezione delle monadi. La monade centrale è l'anima e quelle intorno sono il corpo. Questa
dipendenza ideale è stata stabilita da Dio che ha prestabilito come ogni atto di una monade sia
corrispondente all'atto di un'altra monade. Dio ha seguito il criterio della massima varietà nella massima
unità:

«Dalla perfezione suprema di Dio deriva che creando l'universo, ha scelto il miglior piano possibile, nel
quale la più grande varietà possibile è congiunta col massimo ordine possibile... e ciò perché nell'intelletto
divino, in proporzione alle loro perfezioni, tutti i possibili pretendono all'esistenza; il risultato di questa
pretesa dev'essere il mondo attuale, il più perfetto possibile».[7]

Due grandi problemi sono connessi a questa complessa costruzione logica e metafisica: il primo riguarda
Dio, il secondo l’uomo. Il primo problema è quello della teodicea, cioè della giustificazione di Dio

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