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Corso di pastorale giovanile

a.a. 2010-2011

I giovani e la fede
L‟attenzione all‟annuncio del Vangelo ai giovani necessita di diventare oggi la priorità nelle agende
pastorali delle nostre chiese locali. Ne va del futuro dell‟Europa, dell‟Italia e della Chiesa stessa che
in esse vive. I giovani da una parte sono il riflesso più nitido dell‟attuale contesto culturale,
dall‟altro solo con essi sarà possibile disegnare una pagina totalmente nuova per la storia
dell‟Europa e del cristianesimo.

Manuale di riferimento:
-ISTITUTO DI TEOLOGIA PASTORALE UNIVERSITA‟ PONTIFICIA SALESIANA, Pastorale
giovanile. Sfide, prospettive ed esperienze, Torino, Elledici Ed., 2003

Bibliografia:

1. I giovani oggi

Per il discernimento culturale sull‟oggi:


-TAYLOR CH., A secular age, Cambridge, Massachusetts, and London, The Belknap Press of
Harvard University Press, 2007; tr. it. di COSTA P.-SIRCANA M.C., L’età secolare, Milano,
Feltrinelli, 2009
-ALICI L., Cielo di plastica. L’eclisse dell’infinito nell’epoca delle idolatrie, Cinisello Balsamo,
Edizioni S. Paolo, 2009
-BAUMANN Z., Globalization. The Human Consequences, Cambridge-Oxford, Polity Press-
Blackwell Publishers Ltd, 1998; tr. it. di PESCE O., Dentro la globalizzazione. Le conseguenze
sulle persone, Roma-Bari, Laterza, 1999
-BAUMANN Z., Liquid Love. On the Frailty of Uman Bonds, Cambridge, Polity Press e Oxford,
Blackwell Publishing Ltd, 2003; tr. it. di MINUCCI S., Amore liquido. Sulla fragilità dei legami
affettivi, Roma-Bari, Laterza, 2006
-BAUMANN Z., Liquid fear, Cambridge, Polity Press, 2006; tr. it. di CUPELLARO M., Paura
liquida, Roma-Bari, Laterza, 2009
MATTEO A., Come forestieri. Perché il cristianesimo è divenuto estraneo agli uomini e alle donne
del nostro tempo, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2009
MATTEO A., Presenza infranta. Il disagio postmoderno del Cristianesimo, Assisi, Cittadella Ed.,
2008

In particolare sul mondo giovanile


-SAVAGE J., The Creation of Youth, 1875-1945, Great Britain, Chatto e Windus, 2007; tr. it. di
CARLOTTI G., L’invenzione dei giovani, Milano, Feltrinelli, 2009
-DOGLIANI P., Storia dei giovani, Milano, Mondadori, 2003
-RICCARDO GRASSI (a cura di), Giovani, religione e vita quotidiana, Bologna, Il Mulino, 2006
1
-POLLO M., Giovani e sacro. L’esperienza religiosa dei giovani alle soglie del XXI sec., Torino,
Elledici, 2010
-AA.VV., Il grido dei giovani. Speranza e responsabilità, Roma, Pontificia Università S. Tommaso
D‟Aquino in Urbe-Istituto Superiore di Scienze Religiose “Mater Ecclesiae”, 2007
-GALIMBERTI U., L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Milano, Feltrinelli, 2007
-ZAMBRANO M., Filosofìa y Education. Manuscritos, Malaga, Edisedag, 2007; tr. it. di
DURANTE L.M., Per l’amore e per la libertà. Scritti sulla filosofia e sull’educazione, Genova-
Milano, Marietti, 2008

2. L’evangelizzazione. Il primo annuncio del Vangelo ai giovani

-COMMISSIONE EPISCOPALE DELLA CEI PER LA DOTTRINA DELLA FEDE,


L‟ANNUNCIO E LA CATECHESI, Questa è la nostra fede. Nota pastorale sul primo annuncio
del Vangelo, Milano, Paoline, 2005
-COMITATO PER IL PROGETTO CULTURALE DELLA CEI (a cura di), Dio oggi. Con lui o
senza di Lui cambia tutto, Siena, Edizioni Cantagalli, 2010
-Messaggi e discorsi delle GMG
-MUOLO M., Generazione Giovanni Paolo II. La storia della Giornata Mondiale della Gioventù,
Milano, Ancora, 2005
-BETORI G., L’annuncio della fede ai giovani, Bologna, EDB, 2009
-VESCOVI DELLE DIOCESI LOMBARDE, La sfida della fede: il primo annuncio, Bologna,
EDB, 2009

3. Quale Chiesa, quali figure educative, quali nuove prospettive culturali per
l’annuncio del Vangelo ai giovani?

-CEI, Educare alla vita buona del Vangelo


-CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell’Episcopato
italiano per il primo decennio del Duemila, Milano, Paoline, 2001
-CEI, Il volto missionario delle Parrocchie in un mondo che cambia. Nota pastorale, Milano,
Paoline, 2004
-COMMISSIONE EPISCOPALE DELLA CEI PER IL LAICATO, <<Fare di Cristo il cuore del
mondo>>. Lettera ai fedeli laici, Milano, Paoline, 2005
-CEI, <<Rigenerati per una speranza viva>> (1 Pt 1,3): testimoni del grande <<sì>> di Dio
all’uomo. Nota pastorale dell’episcopato italiano dopo il 4° Convegno ecclesiale nazionale,
Milano, Paoline, 2007
-CEI, <<Educare i giovani alla fede>>. Orientamenti emersi dai lavori della XLV Assemblea
Generale, Milano, Paoline, 1999
-AA.VV., Il ruolo storico-salvifico delle nuove generazioni all’alba del terzo millennio, Roma
Pontificia Università S. Tommaso D‟Aquino in Urbe-Istituto Superiore di Scienze Religiose “Mater
Ecclesiae”, 2004
-LACROIX X., Les corps de chair, Paris, Les Edition du Cerf, 1992 ; tr. it. di ZACCHERINI G., Il
corpo di carne, Bologna, Dehoniane, 2001
-GIACCHETTA F., Gioco e trascendenza, Assisi, Cittadella Ed., 2005
-VANNINI M., Prego Dio che mi liberi da Dio, Milano, Bompiani, 2010

2
-SERVIZIO NAZIONALE PER LA PASTORALE GIOVANILE-SERVIZIO NAZIONALE PER
IL PROGETTO CULTURALE DELLA CEI, Giovani e cultura, Torino, Effatà Ed., 2009
-CEI, Sport e vita cristiana. Nota Pastorale della Commissione Ecclesiale per la pastorale del
tempo libero, turismo e sport, Acquaviva Picena, Fast Edit, 2007
-MATTEO A., La prima generazione incredula. Il difficile rapporto tra i giovani e la fede, Soveria
Mannelli, Rubbettino, 2010

Per l‟esame si può optare per la forma orale, facendo riferimento al manuale e ad uno dei testi
indicati in bibliografia e riguardante i giovani, oppure il candidato può presentare un elaborato
scritto di almeno sei cartelle su un aspetto concordato con il docente. Per l‟elaborato la valutazione
verterà sia sull‟aspetto contenutistico, sia su quello metodologico.
Durante il corso sono previsti interventi esterni per presentare particolari strumenti o esperienze

Prof. Giordano Trapasso

3
I giovani e la fede
1. Piccola premessa storica1

La fascia o età giovanile è una scoperta abbastanza recente in Europa. La storia dei giovani,
propriamente detta, è entrata a pieno titolo nella storia europea a partire dagli anni ‟70. Da qui si è
cominciato a parlare di gioventù come di un gruppo sociale contraddistinto da comuni esperienze
condotte in un ciclo di vita che corrisponde ad una fase di passaggio dall‟infanzia all‟età adulta.
L‟invenzione della gioventù parte dal „700 ed arriva fino ad oggi: mentre la strutturazione sociale
per clan e tribù rende repentino il passaggio dall‟infanzia all‟età adulta, l‟affermarsi della famiglia
nucleare nel „700 permette di distinguere l‟età cerniera dell‟adolescenza-giovinezza. La storia dei
giovani va a fasi alterne, secondo una sorta di alti e bassi. Nell‟800 alcuni movimenti politici,
promotori della rinascita o risorgimento delle nazioni, tendevano a reclutare militanti solo di
giovane età, perché le trasformazioni radicali hanno bisogno di capacità di impegno, entusiasmo e
grandi sacrifici di cui solo i giovani sono capaci. I movimenti mazziniani Giovine Italia e Giovine
Europa sono due esempi emblematici: gli iscritti non potevano superare i 40 anni perché solo
persone giovani potevano condurre l‟Europa e l‟Italia oltre la Restaurazione, verso il progresso.
Negli ultimi due decenni dell‟800 cominciano a sorgere le prime e distinte organizzazioni
studentesche ed operaie2. Il „900 sembra presentarsi nelle vesti di un secolo giovane, dinamico, con
radicali novità, libero dal fardello della conservazione del passato. Popoli, donne, giovani e classi
sociali un tempo emarginati sono da poco emersi e la categoria della liberazione diventa centrale.
Troviamo degli esempi di ciò nelle avanguardie: artisti e scrittori promuovono tecniche
sperimentali nel loro lavoro ribellandosi contro le accademie e le ipocrisie considerate retaggio
della borghesia ottocentesca. Modernismo, vitalismo, giovinezza erano concetti che si diffondevano
nel linguaggio comune, artistico e politico di inizio „900. Nell‟opera di Igor Stravinskij, La sagra
della primavera, messa in scena per la prima volta a Parigi nel 1913, vengono rappresentate la
rigenerazione della terra e il sacrificio di una giovane vergine di fronte a degli anziani per alludere
alla nascita di un nuovo secolo. Nella prima guerra mondiale moltissime giovani vite furono
sacrificate. Nel dopoguerra, nelle fasi di conservazione o in quelle di innovazione, crebbe la
consapevolezza di quanto fosse decisivo l‟apporto ed il protagonismo delle giovani generazioni. Se
da una parte ciò sembra costituire un vantaggio ed un bene, dall‟altra ingenera una dinamica
limitante. Le classi dirigenti iniziano vere e proprie politiche giovanili e trasformano il nuovo
secolo da un‟epoca di entusiasmo per i giovani e per tutto ciò che è giovane ad un‟epoca che vuole
occuparsi dei giovani. Gli adulti pongono nuovamente sotto tutela i giovani per proteggerli e
limitarne l‟autonomia. Si comincia a nutrire diffidenza se non a ritenere pericolose organizzazioni
ed azioni spontanee dei giovani3. Se la generazione del 1914 che parte volontaria per la guerra viene
esaltata, negli anni ‟20 e ‟30 padri e fratelli maggiori diffidano dei più giovani e li controllano con
strumenti legislativi, ne limitano l‟autonomia e si contendono il loro consenso. Alla seconda guerra
mondiale segue, nell‟immediato dopoguerra, un breve ma intenso periodo di figli senza padri. Con
la ricostruzione dell‟Europa e l‟inizio della guerra fredda il ritorno dei padri emargina e rende

1
DOGLIANI P., Storia dei giovani, Mondadori, Milano 2003 (d‟ora in poi SG); SAVAGE J., The creation of Youth,
1875-1945, Chatto & Windus, Great Britain 2007; tr. it. di CARLOTTI G., L’invenzione dei giovani, Feltrinelli ed.,
Milano 2009
2
SG, 19-64
3
SG, 65-102
4
invisibili i giovani che tentano un percorso autonomo. Proprio questo conduce alla frattura e
all‟esplosione del ‟684. Con il ‟68 si è parlato della nascita di una classe dei giovani. Il riferimento
dei giovani studenti europei della fine degli anni ‟60 è l‟articolo 28 della Dichiarazione dei diritti
dell‟uomo e del cittadino promulgata dai rivoluzionari francesi nel 1793: “Un popolo ha sempre il
diritto di rivedere, di riformare e di cambiare la sua Costituzione. Una generazione non può
assoggettare alle sue leggi le generazioni future”. Esso esprime lo spirito indipendente che
caratterizza l‟agire dei giovani fin dalla metà dell‟800 e che esplode in particolare nel ‟68, col
tentativo di rimettere radicalmente in discussione la cultura adulta dominante. Nel Risorgimento i
battaglioni di studenti universitari e i molti giovani arruolati nelle truppe garibaldine ne
costituiscono una profezia. Non possiamo trascurare come la rivoluzione industriale, in Europa,
abbia portato dei criteri nuovi per individuare l‟età giovanile, innescando la crisi del sistema rurale e
richiedendo lo sfruttamento intensivo della manodopera femminile e minorile nel lavoro di fabbrica
e a domicilio. Per alcuni aspetti migliora la qualità di vita della popolazione europea, vengono
smantellate le pratiche tradizionali di matrimonio e di passaggio d‟eredità, l‟accesso all‟età adulta,
oltre che da caratteri di maturazione fisica e psicologica comincia a dipendere da varianti di
carattere normativo, economico e sociale. Si prolungano così gli anni di giovinezza dell‟individuo
occidentale, anche perché le istituzioni fissano l‟età per acquisire responsabilità civile e giuridica,
per la scolarizzazione minima, per l‟entrata nel mondo del lavoro e per il servizio militare. Si
configura così l‟età giovanile compresa tra i 14 e i 25 anni agli inizi del „900, alla fine del sec. XX
le inchieste tendono ad isolare la categoria degli adolescenti nella fascia d‟età 13-17 anni e ad
individuare l‟età giovanile nella fascia d‟età 18-30 anni. Tre considerazioni forse possiamo
raccogliere dalla storia dei giovani.
Al di là degli alti e dei bassi, a partire dal „700 i giovani sono stati sottoposti alla protezione e
all’obbedienza di un’autorità maschile adulta, rappresentata dal padre, dal maestro, dal padrone,
che disponeva di loro in quanto figli, allievi apprendisti. Gli adulti si sono così posti in una
posizione di forza e di potere rispetto ai giovani e alle donne, ingenerando in loro un sempre
crescente desiderio di autonomia, di protagonismo e di indipendenza. Soprattutto nel „900, i giovani
diventano una classe pericolosa da controllare e da convertire in classe laboriosa ed obbediente. Ciò
ha reso sempre problematico il dialogo tra le generazioni. Oggi questo profilo in parte è confermato,
in parte è smentito. Può essere smentito ad un livello individuale e familiare, dove nella vita dei
figli si registra una maggiore presenza della figura materna ed una maggiore eclissi delle figure
paterne, oggi abbastanza deboli. D‟altra parte, a livello sociale, politico, economico siamo ancora in
una situazione di “gerontocrazia”: gli adulti fanno fatica a fare spazio ai giovani e a lasciare loro
l‟iniziativa. Certi modelli di concepire la stessa famiglia alla luce del primato del maschio e di ruoli
stereotipati assegnati ai sessi sono ancora presenti nell‟immaginario dei giovani 5. Nel „900
l‟esperienza dei due conflitti mondiali ha reso conflittuale il rapporto tra le generazioni, in
particolare tra quella della guerra del 1919 e quella della crisi del 1929, che impone una questione
giovanile, e tra coloro che aderiscono ai fascismi e coloro che aderiscono agli antifascismi degli
anni 1943-1945. Proprio questi conflitti, l‟ultimo dei quali avviene all‟interno della stessa
generazione dei giovani, permisero agli studiosi, soprattutto negli anni 1910-1933, di focalizzare il
concetto di generazione, che comunque mantiene sempre una sua fluidità, e di individuarle, per
quanto possibile, a livello storico. Nella contemporaneità, grazie all‟emancipazione tecnologica
delle nuove generazioni, il conflitto sta pendendo a favore dei giovani che sono sempre più avanti
rispetto agli adulti, anche se non riescono ancora a trovare spazio.
In secondo luogo, soprattutto il fenomeno della rivoluzione industriale ha reso l‟Italia e l‟Europa
consapevoli che la loro ricchezza dipende dal potenziale demografico e dalle giovani
generazioni. Ciò che conta è la gioventù, la vera risorsa economica e sociale. Al contrario a livello

4
SG, 169-194
5
BUZZI C. – CAVALLI A. – DE LILLO A., Rapporto giovani. Sesta indagine dell’Istituto IARD sulla condizione
giovanile in Italia, Il Mulino, Bologna 2007, 233-247 (d‟ora in avanti RG)
5
storico già nella seconda metà del sec. XIX comincia quel declino demografico che viene
ufficialmente denunciato nel „900. E oggi questa consapevolezza sembra sempre meno chiara,
perché i giovani chiedono alle istituzioni soprattutto investimenti per la formazione ma, in un‟ottica
puramente di profitto, tali investimenti nell‟immediato sono solo a perdere.
Infine giova sempre interrogarsi sul perché anche movimenti totalitari, fascisti o antifascisti,
abbiano attirato un forte numero di giovani6. Probabilmente hanno intuito su che cosa far leva:
sul grande desiderio dei giovani di un pensiero concreto, che spinga al fare, e sulla loro marcata
propensione a cambiare la realtà. In ambito cattolico, da alcuni giovani nella seconda metà dell‟800
nasce l‟Azione Cattolica e Baden – Powell negli anni 1907-1908 organizza lo scoutismo7.

2. Il grido dei giovani

Ci sono domande fatidiche nella Scrittura: “dove sei?” (Gen 3,9), “dov’è tuo fratello?” (Gen 4,9),
“Sono qui tutti giovani?” (1 Sam 16,11a). Esse non domandano le coordinate geografiche di una
persona, ma la sua situazione esistenziale: come sta, come stanno? Vogliamo allora assumere
l‟ultima di queste tre domande, la domanda che Saul pose a Iesse, dopo che gli aveva mostrato tutti
i suoi figli, tranne il più piccolo, e accoglierla così: come stanno i giovani in questo tempo? Si
può fare un gran parlare dei giovani, ma si può in realtà sapere molto poco di loro. Ad una analoga
domanda posta ai giovani stessi nel 2005 il 90% dei giovani ha risposto di ritenersi soddisfatto della
propria vita8. Il 10% dei giovani insoddisfatti sono per lo più adolescenti. Ma tale risposta
rispecchia la verità della condizione giovanile? Alcune statistiche sembrano dirci di no.
Una prima statistica, sempre risalente al 2005, ci sottolinea che l’uscita dei giovani dalla famiglia
di origine è sempre più tardiva9. Il 36% degli ultra trentenni vive ancora nella famiglia di origine
e, tra quelli che hanno già raggiunto una indipendenza economica, il 76,8% non si è per niente
impegnato a cercare una sistemazione autonoma. I dati attestano che l‟uscita dalla famiglia di
origine non è correlata alla raggiunta indipendenza economica: i giovani non hanno fretta di uscire
da casa dei genitori a prescindere dalla situazione economica, perché vi si trovano bene. Infatti la
famiglia di origine, così come anche le cosiddette “famiglie ricomposte” si configurano sempre più
come “famiglie affettive” in cui ogni giorno la vita e le scelte sono rinegoziate secondo il criterio
del quieto vivere e dell‟affetto. I genitori lasciano grande libertà e autonomia ai propri figli negli
orari e nella gestione della vita e l‟unico aspetto su cui si mostrano un po‟ più restrittivi è il
concedere di avere momenti di intimità con il partner in casa. I figli rimangono però liberi di andare
fuori con il partner per diversi giorni. Molti genitori non domandano ai figli corresponsabilità nella
gestione della casa né di contribuire economicamente alla vita domestica. Se questi sono i motivi
per cui si sta bene nella famiglia di origine, dall‟altra parte il timore per il futuro induce i giovani a
procrastinare le scelte di autonomia rispetto ai genitori10.
Un secondo dato, sempre aggiornato al 2005, da una parte ci attesta, rispetto alla tendenza
precedente, un leggero incremento della nuzialità e delle convivenze, ma rimane significativo che
il 39% dei giovani dai 29 ai 34 anni non ha neanche avviato una forma di convivenza.
Parallelamente si verifica un leggero aumento dei single11. Risulta allora evidente una crisi

6
SG, 103-141
7
SG, 19-64
8
RG, 23
9
RG, 33-48
10
RG, 113-122
11
RG, 123-136. L‟Istat dice che nel 2010 ci sono stati 217.000 matrimoni. Solo nel 1943, nel pieno della seconda guerra
mondiale, siamo scesi più in basso con 215.000 unioni nuziali. Se questa tendenza continua, intorno ai 60 anni il 51 %
degli uomini e il 45% delle donne resterebbero non coniugati.
6
vocazionale presso le nuove generazioni. Tra i giovani che escono prima dalla famiglia di origine
per una scelta matrimoniale o vocazionale più della metà professano una fede cattolica12.
Sicuramente legato al precedente fattore è il dato riguardante la riduzione della fecondità. In Italia
siamo al di sotto della soglia del rimpiazzo e l‟età dell‟arrivo del primo figlio è sempre più spostata
in avanti. Mi sembra significativo che il 34,3% dei giovani dai 30 ai 34 anni esclude o considera
incerta la possibile nascita di un figlio13.
Nel rapporto con la scuola il 68% dei giovani reputa importante la scuola per l‟istruzione e
altrettanto per la socializzazione. Buona parte delle amicizie che sostengono affettivamente un
adolescente ed un giovane nascono nel contesto scolastico. L‟insoddisfazione dei giovani riguarda
l‟incapacità della scuola ad offrire una formazione in vista dell‟ingresso nel mondo del lavoro14.
L‟accesso al mondo del lavoro è diventato per certi aspetti più veloce: è più facile incontrare
adolescenti e giovani che abbiano fatto esperienze lavorative. Più difficile è oggi il raggiungimento
di una stabilità lavorativa e la precarietà lavorativa diviene cifra di una condizione esistenziale.
Nel 2005 il 53,4% dei giovani risultava in occupazione, il 46,6% che include anche gli studenti
risultava non occupato. Oggi le percentuali sembrano in questo peggiorate: qualche statistica parla
di due giovani su tre non occupati. Tra gli occupati predominano i lavoratori dipendenti, il sogno
rimane quello del lavoro autonomo, l‟obiettivo più agognato il raggiungimento di un contratto a
tempo indeterminato. Nel 2005 il 57% dei giovani occupati, entro i 35 anni, risultava assunto con
un contatto a tempo indeterminato, il 20% risultava vivere una condizione lavorativa precaria, con
assunzione con contratto a tempo determinato, o come stagista o tirocinante15.
Per verificare se conosciamo bene i giovani possiamo domandarci: secondo noi, quali sono i valori
più importanti per i giovani? Dopo aver tentato di dare delle risposte, possiamo verificarle con
quelle che hanno dato i giovani stessi a questa domanda e vedere se corrispondono. Nel 2005 il
91,9% dei giovani ha risposto la salute, l‟86,5% la famiglia, l‟80,2% la pace, il 79,6% la libertà, il
76% l‟amore, il 74,3% l‟amicizia. Il lavoro è solo all‟ottavo posto: questo indice rivela una sana
relativizzazione di ciò che rischia di diventare assoluto vista l‟odierna crisi, una tendenza al
superamento del materialismo e dell‟edonismo o una rassegnazione all‟impossibilità di trovare non
tardi una stabilità lavorativa? La politica è all‟ultimo posto tra le cose di valore per i giovani italiani
(appena il 6,2%)16.
Di chi hanno più fiducia i giovani? Nel 2005 l‟86% ha risposto di riporre la propria fiducia nella
scienza e negli scienziati (riferendosi agli “scienziati puri”, a chi fa pura ricerca, in quanto poi la
fiducia diminuisce verso chi applica nella tecnologia i risultati delle ricerche), seguono le istituzioni
per la sicurezza internazionale e pubblica come L‟ONU o la polizia. Dopo vengono gli insegnanti e
l‟Unione Europea. I sacerdoti e la Chiesa-istituzione riscuotono una fiducia moderata (il 52% al
settimo posto), mentre cala la fiducia dei giovani verso le banche, la televisione, il governo, i partiti,
gli uomini politici17.
Un ultimo dato importante che ci può far riflettere è la crisi dell’associazionismo in rapporto al
mondo giovanile in Italia. L‟Italia è stata sempre un paese povero di risorse associative: nel 1959 la
partecipazione ad associazioni volontarie coinvolgeva solo il 29% dei cittadini, negli anni 1981-
1983 l‟Italia risultava all‟ultimo posto nella graduatoria della partecipazione associativa
comprendente diversi paesi europei e del mondo. Nonostante un leggero incremento negli anni ‟80,
la crescita associativa si è fermata e nel 2004 un giovane italiano su tre dichiara di partecipare
attivamente ad iniziative di un‟associazione o gruppo organizzato. Le associazioni che coinvolgono
i giovani sono quelle sportive con l‟11,6%, i gruppi parrocchiali con il 7,3%, le associazioni

12
GRASSI R. (a cura di), Giovani, religione e vita quotidiana. Un’indagine dell’Istituto IARD per il Centro di
Orientamento Pastorale, Il Mulino, Bologna 2006, 119-142 (d‟ora in poi GRV)
13
RG, 41
14
RG, 49-93
15
RG, 95-111
16
RG, 139-160; sostanzialmente confermati in GRV, 87-92
17
RG, 201-224; sostanzialmente confermato in GRV, 93-97
7
culturali con il 5,7%, quelle di volontariato con il 5,2% e le associazioni o movimenti religiosi con
il 4,5%. Sicuramente la partecipazione alle associazioni sembra condizionata dalla “centralità del
soggetto”: se il giovane proviene da una famiglia con background culturale medio-alto o è
maggiormente integrato nel tessuto sociale, è più ben disposto nell‟aderire ad esperienze
associative. Sebbene le relazioni siano stimate importanti, soprattutto quelle personali, per un
sostegno affettivo e per maggiori possibilità di trovare lavoro, sembra regnare nella vita giovanile
una sostanziale diffidenza nell‟altro, una forte tendenza a rendere se stessi il criterio di misura del
reale ed una morale delle relazioni incentrata sul principio del rispetto dell‟altro18.
Questi dati sembrano condurci ad affermare qualcosa di diverso rispetto a quanto dichiarato dai
giovani stessi. I giovani sembrano star male, e vivere soprattutto un deficit di speranza. Accanto a
motivi storici, economici e sociologici, penso che un primato particolare vada attribuito ad un
contesto culturale.
Tra diverse grida di allarme sottolineiamo quella del filosofo e psichiatra Umberto Galimberti, nel
suo testo L’ospite inquietante19. Il nichilismo ed i giovani. I giovani, anche se non ne sono consci,
stanno male perché hanno accolto, senza rendersene conto, nella loro vita interiore e nel loro modo
di interpretare l‟esistenza, un ospite tanto inquietante quanto nascosto: il nichilismo inteso come
rovesciamento di tutti i valori. Esso si manifesta in molteplici modi. Il più grave forse è che oggi i
giovani sembrano non interrogarsi più sulla sofferenza degli altri e su quella propria. Questo da
sempre sembra essere stato il grande scandalo davanti al quale l‟umanità si è sentita posta:
l‟interrogativo radicale di fronte alla sofferenza del giusto, del bambino, dell‟innocente, del
giovane, che può aprire ad una fede nella divinità e ad una fiducia nella vita più profonde, solide e
consapevoli, o che può catapultare nell‟abisso della disperazione. Questo anelito a penetrare il
mistero e ad osare davanti allo scandalo del male sembra soffocato nell‟interiorità dei giovani.
Costoro non si interrogano più sul mistero del male e non abbandonano più le fedi religiose per lo
scandalo del male, eludono immediatamente questo interrogarsi per raggiungere un domandare che
è primo rispetto a questo, l‟interrogativo sul senso della propria esistenza. Essa ormai sembra
insopportabile non per la presenza della sofferenza, ma perché vuota e priva di senso. Le
percentuali dei suicidi dei giovani in Italia e, per restare vicini a noi, nelle Marche, sono una
evidente testimonianza di questo. In questa cultura nichilistica il generatore simbolico di tutti i
valori è divenuto il denaro. Esso innesta l‟illusione dell‟autosalvezza (ci si salva solo con le proprie
forze, da soli, con quello che abbiamo) e riduce il valore a ciò che è misurabile. I giovani hanno
forza interiore, progetti, idealità ma sono costretti a far implodere in sé questa energia vitale in
quanto ogni mèta realistica che si possono proporre o che si può loro proporre è subordinata alla
legge dei fondi disponibili o, il più delle volte, non disponibili per la concretizzazione. Il nichilismo
attuale consegna il giovane ad un individualismo esasperato, senza precedenti nella cultura
dell‟Occidente, e ad un analfabetismo emotivo: le nuove generazioni, ma anche tanti adulti, non
riescono ad essere più consapevoli di ciò che provano, non riescono a dare più un nome ai propri
sentimenti. Non c‟è da meravigliarsi se giovani ed adulti apparentemente distinti e “brave persone”
si rendono improvvisamente colpevoli dei più efferati crimini. Nella mentalità comune ancora
sembrano tenere alcuni standard etici, sembra abbastanza condivisa la condanna della violenza, ma
questi standard non partono e non intercettano più l‟emotività delle nuove generazioni che assume
traiettorie proprie. Chiaramente si diventa consapevoli di sé in una ricca trama di relazioni:
l‟analfabetismo emotivo denuncia invece un attuale impoverimento delle relazioni, un modo di
comunicare che spesso diviene un vero e proprio deserto. La scuola, per Galimberti, forse più della
famiglia, ha le sue non piccole responsabilità in relazione al fenomeno dell‟analfabetismo emotivo.
Essa si preoccupa dell‟istruzione, non della formazione della persona e dell‟emotività. L‟eclissi
delle radici umanistiche della nostra cultura per privilegiare la dimensione tecnica e scientifica non
aiuta certo l‟uomo a diventare se stesso. Se le nuove generazioni vengono poste di fronte ai

18
RG, 263-287; sostanzialmente confermato in GRV, 99-102
19
GALIMBERTI U., L’ospite inquietante. Il nichilismo ed i giovani, Feltrinelli, Milano 2007
8
capolavori della poesia, della letteratura e dell‟arte dell‟Occidente, in maniera da sentirsi interpellati
da questi scrigni dei più nobili valori e dei più alti sentimenti dell‟umanità, avranno certamente più
chances per decifrare meglio la propria interiorità. Proprio perché il denaro è l‟unico generatore
simbolico di valori nel contesto attuale, il presente è diventato un assoluto da vivere con la
massima intensità non per provare gioia, ma per seppellire l‟angoscia di un futuro che appare
sempre più buio e minaccioso. Chi si interessa oggi veramente dei giovani? Solo il mercato, che li
spinge incessantemente a consumare, non tanto dei prodotti o degli oggetti, ma la loro stessa vita.
Di fronte a questo contesto emerge necessariamente l‟interrogativo salvifico: come venirne fuori,
quale via per permettere ai giovani di divenire veramente se stessi, e quindi adulti? Per Galimberti
due vie sono ormai impraticabili: il cristianesimo, perché ormai Dio è davvero morto e l‟uomo non
può rinviare la sua realizzazione in una dimensione ultraterrena, e l‟Illuminismo perché oggi la
ragione non riesce più a regolare il rapporto dell‟uomo con se stesso e con gli altri uomini in quanto
è stata ridotta a pura ragione strumentale, compresente ad una latitanza del pensiero e ad una aridità
del sentimento. L‟autore opta invece per il recupero della prospettiva dei greci: il recupero dell‟arte
del vivere, nel senso di una consapevolezza delle proprie capacità e della possibilità di esplicitarle
secondo misura. E‟ nella gioiosa scoperta di sé che i giovani possono ritrovare il senso della propria
esistenza. Chiaramente si può discutere sulla prospettiva salvifica proposta da Galimberti, sulla
quale non possiamo dirci d‟accordo in quanto “troppo poco”, ma troviamo in questo saggio
un‟analisi lucida e penetrante della vita dei giovani, forse in qualche aspetto troppo radicalizzata.
Fino a che punto oggi i giovani sono indifferenti di fronte alla presenza della sofferenza
nell‟esistenza? Forse l‟analfabetismo emotivo li rende meno capaci di cogliere questo grido in sé,
ma l‟esperienza può portarci a dire che esso non è assente e che certe tragedie, come la morte di
persone giovani, possono costituire per altri giovani che continuano a vivere, se ben accompagnati,
l‟inizio di seri ed autentici percorsi di ricerca.
Lazzaro Gigante ci ricorda che un grido da parte dei giovani sta pervenendo ai nostri orecchi, celato
dietro slogan tipo life is now, che esprime il disagio per un contesto culturale da noi per loro
costruito. La nostra società è ormai divenuta adiaforica, ha smesso di discutere ciò che è bene e ciò
che è male. Gli adolescenti ed i giovani oggi, esperti in tecnologie molto più di noi, sono forse la
prima generazione che si sta formando senza un adeguato sostegno da parte degli adulti. Il gruppo
dei pari diventa il nuovo utero in cui i nuovi adolescenti si distanziano e dalla propria infanzia e
dagli adulti. I valori vengono ridotti a operatori di convenienza e il consumismo propaganda come
valori le cose, gli oggetti, l‟apparire. Il grido dei giovani è assordante, perché non trova più risposte
da parte degli adulti, marcato perché i giovani vogliono ribadire il loro esserci, codificato in tempi,
spazi e linguaggi lontani da quelli degli adulti (la notte, la musica, la corporeità …)20.
L‟occhio dell‟economista Stefano Zamagni21 su questa cultura ci può rendere meglio consapevoli di
quale eredità stiamo ponendo sulle spalle dei giovani. Prima di tutto egli sottolinea di questa epoca
l‟inaudita accelerazione del tempo che ha prodotto una nuova patologia. La prima potremmo
definirla la patologia dell’aspettativa continua secondo la quale i giovani e i ragazzini non fanno
in tempo ad avere un nuovo oggetto e a capire come funziona (ad es. il computer) che subito ne
arriva un altro più perfezionato. L‟età della fretta sta generando una nuova psicopatia perché la
fretta impedisce di assaporare il gusto della vita, di gustare le esperienze e quindi di formarsi,
mentre lascia sempre sospesi. E‟ importante avere chiara la distinzione tra fretta e velocità. La
velocità è cosa buona, nella misura in cui accorcia il tempo per raggiungere uno scopo buono e
chiaro. La fretta, invece, è la velocità fine a se stessa, una velocità che manca l‟obiettivo e lascia
insoddisfatti. L‟intero sistema attuale, la macchina di produzione, è interessata alla fretta in questo

20
GIGANTE L., Prestami orecchio. L’ascolto dei giovani nel loro pluriverso, in AA.VV., Il grido dei giovani.
Speranza e responsabilità, Pontificia università S. Tommaso d‟Aquino in Urbe – Istituto Superiore di Scienze religiose
Mater Ecclesiae, Roma 2007, 67-81
21
ZAMAGNI S., I giovani nel mondo e le sfide che li attendono, in AA.VV., Il ruolo storico salvifico delle nuove
generazioni all’alba del terzo millennio, Pontificia università S. Tommaso d‟Aquino in Urbe – Istituto Superiore di
Scienze Religiose Mater Ecclesiae, Roma 2004, 73-86
9
senso, una velocità che permea anche i gesti più naturali e gratuiti come il mangiare (il fast food, per
esempio): ciò sta avvenendo non come un dato di natura o qualcosa che sta capitando, ma è voluto,
programmato e generato, in quanto l‟impresa può fare il suo mestiere se noi consumiamo sempre
più in fretta. I giovani ci starebbero gridando: “Dateci il tempo di fare esperienza!”. Noi abbiamo
preparato per gli adolescenti ed i giovani un‟epoca di idola, di miti. Il primo è il mito tecnologico
che predica che tutto ciò che si può fare si deve fare. Sul piano educativo esso provoca il paradosso
della scelta. Da sempre l‟uomo per scegliere si è dovuto misurare con il dubbio. La novità attuale è
che il dubbio non riguarda più il mezzo per raggiungere il fine, ma il fine stesso. I giovani sono
passati dalla metafora dell’asino di Buridano alla metafora dell’Amleto di Shakespeare. Secondo la
prima metafora del filosofo francese del 1200, un padrone mette un asino affamato in una stalla e
gli mette vicino due mucchi di fieno sostanzialmente uguali. L‟asino non sa decidere quale dei due
mucchi di fieno cominciare a mangiare e si lascia morire di fame. La storia ci dice che nella vita
non si può non scegliere, pena la morte. Il peggiore dei risultati non è legato alla scelta sbagliata,
ma alla non scelta. I giovani non possono rimanere eternamente appesi sui dilemmi: quale lavoro
scegliere? Quale materia studiare? Quale facoltà universitaria? Se si ha chiaro lo scopo, la forma
che si vuole far assumere alla propria vita, è importante buttarsi perché anche nel caso di una scelta
sbagliata, si vive comunque e si può avere un‟esistenza dignitosa. In questa epoca, poi, quando
l‟incertezza riguarda il mezzo per raggiungere il fine, anche il giovane meno dotato naturalmente
(come l‟asino di Buridano) può trovare risposta nelle scienze e nella tecnica. Altro è il dubbio
amletico: essere o non essere, uccidere o non uccidere lo zio una volta che ho i mezzi per farlo. I
giovani oggi sanno cosa fare per ottenere ciò che vogliono ma non sanno più cosa è bene volere. Se
l‟indecisione riguarda il fine e non i mezzi, le scienze e la tecnologia non bastano più ed è
necessario entrare in campo con la categoria dei valori. Famiglia, scuola, società sportive, comunità
cristiane sono chiamate ad attrezzarsi non per offrire ai giovani i mezzi migliori, ma per insegnare a
scegliere tra fini alternativi. Il grido dei giovani è una richiesta di fini e di scopi. Il secondo è il
mito dell’individualismo assiologico. L‟epoca attuale ha assunto una cultura individualista in
reazione ad una cultura “comunitarista” o strutturalista, per la quale l‟individuo esiste solo dentro ed
in funzione di una struttura e di una comunità o in cui addirittura il soggetto individuale è
destrutturato perché solo la comunità o solo la struttura è. Oggi, per una reazione speculare, viene
esaltato l‟individuo: esso viene prima delle strutture e delle comunità o, ancor più radicalmente,
solo l‟individuo è. L‟individualismo assiologico nega la natura di fondo relazionale della persona:
tu puoi farcela da solo e la relazione con gli altri è solamente strumentale (ti può aiutare a cercare
un lavoro, per vivere hai bisogno di contratti e negoziazioni). Per fare discernimento sul modo di
vivere le relazioni con gli altri, occorre distinguere con chiarezza tra utilità e felicità. L‟utilità è la
capacità delle cose di soddisfare i nostri bisogni, la felicità è una proprietà della relazione tra le
persone. L‟inganno dell‟attuale cultura è di legare la felicità all‟utilità: più hai utilità, più sarai
felice. Nel famoso romanzo di Robinson Crusoe il protagonista fa naufragio e arriva su un‟isola
deserta. All‟inizio ha un problema di utilità: mangiare, e calcolare i tempi per sopravvivere (il
tempo della pesca, il tempo del riposo …). In un secondo tempo egli riscopre la felicità incontrando
il selvaggio Venerdì: anche se quest‟ultimo non parlava la sua lingua, la comune condizione umana
permette loro di entrare in dialogo. Prima Robinson mangiava e riusciva nell‟applicazione della
razionalità a scopi di sopravvivenza, ma era infelice. Felicità e utilità non possono mai coincidere:
la seconda riguarda il rapporto con gli oggetti, la prima riguarda la relazione con le persone che
costituiscono un mistero inoggettivabile. Le agenzie educative oggi sono chiamate ad aiutare i
giovani a dare la giusta importanza alle utilità, necessarie ad una vita dignitosa, che non possono
però costituire l‟ultima frontiera: piuttosto che a massimizzare l‟utilità, esso devono accompagnare i
giovani nel darsi occasioni di felicità. La miseria non permette una vita dignitosa, la povertà sì,
perché rende più liberi di cercare vie di felicità. Il grido dei giovani nasce da una saturazione di
utilità ed è un desiderio di felicità. Il terzo mito di questo tempo è il “non far niente per niente”.
Tra i giovani sta calando la percentuale di azione volontaria e questo si riflette nell‟attuale crisi del
volontariato, visto che le associazioni di volontariato sono sempre più sostenute da persone anziane.
10
In questo tempo aumentano le donazioni di denaro ma diminuiscono le donazioni di tempo. I
giovani sono più filantropi perché avendo più soldi in tasca sono più disposti a dare per una causa o
per l‟altra, ma sono meno volontari, non trovano più il tempo da donare. Anche qui tutto parte da
una confusione tra due dimensioni distinte: il regalo ed il dono. Il regalo riguarda le cose e si
esprime con le cose, il dono è il mettersi in relazione con un altro e partecipare alla sua condizione.
Noi non possiamo regalare noi stessi, possiamo invece donarci. La filantropia non basta perché non
coinvolge la nostra persona, ma una parte del nostro patrimonio. Le agenzie educative, a partire
dalle famiglie che riempiono di regali i propri figli, rischiano di cadere nella mercificazione delle
relazioni, cioè nel mediare i rapporti intersoggettivi totalmente attraverso le cose. I bambini hanno
soprattutto bisogno di tempo e di relazionalità, i giovani hanno bisogno di essere accompagnati a
vivere esperienze di dono e di adulti che domandano loro non cose o prestazioni, ma tempo per gli
altri. Il grido dei giovani è una richiesta di poter vivere la carità.
Un‟altra domanda interessante da porsi è: a partire da quale educazione si sono formati i giovani di
oggi? Perché sta crescendo il numero di adolescenti e giovani che hanno bisogno di psicologi e
psichiatri per dei disagi emotivi? Possiamo trovare un aiuto a questa domanda nell‟operetta di due
filosofi e allo stesso tempo psicanalisti, L’epoca delle passioni tristi di Benasayag Miguel e Schmitt
Gérard22. Nella società attuale cresce la tristezza, un malessere che le attuali istituzioni sono
impreparate ad affrontare. Siamo di fronte all‟angoscia di un‟intera popolazione che non può essere
ridotto ad un puro fenomeno psicologico risolvibile con tecniche terapeutiche o di analisi, ma è una
crisi all‟interno di una crisi più grande che riguarda la società ed il suo modo di educare. La crisi è
diventata un orizzonte insormontabile per la nostra società e per ciascuno di noi. La crisi è il frutto
di alcune grandi delusioni per l‟uomo contemporaneo: lo strutturalismo ci ha ricordato che l‟uomo è
tramontato e le tragedie del sec. XX hanno ingenerato sfiducia nella possibilità della scienza e della
tecnica di redimere l‟uomo. Il modo di vivere il tempo, ed in particolare di guardare il futuro,
cambia di segno. Il futuro, soprattutto nell‟epoca moderna, con la nascita della scienza moderna e
della tecnologia, è un concetto che ci distacca dal presente, è un “non ancora” carico di speranza e
della promessa di una realizzazione futura, è la metafora della promessa messianica (Comte, Marx).
Freud, in questo senso, sorge come una voce fuori dal coro: in mancanza della felicità gli uomini,
secondo il padre della psicanalisi, si accontentano di evitare l‟infelicità. Quella che era una voce
stridente rispetto al coro degli ottimisti oggi è la tendenza ormai generale nella cultura: da una
fiducia smisurata si è passati ad una diffidenza estrema riguardo il futuro, da promessa esso è
divenuto minaccia, da positività pura si è tramutato in negatività. Lo scientismo ha lasciato il
posto alle cosiddette “passioni tristi”, l‟impotenza, la disgregazione, l‟incertezza. L‟incertezza non
va necessariamente interpretata come sconfitta e nullificazione della ragione: può essere la resa di
un certo modello di ragione, legato all‟illuminismo ed al razionalismo, a beneficio di vie alternative
di razionalità che l‟intero „900 ha tentato, dopo Nietzsche, di perlustrare. In particolare il mondo è
diventato per l‟uomo contemporaneo sempre più incomprensibile: la scienza è incapace di
rispondere alle questioni scottanti della nostra epoca (cfr. Husserl), che sia realizzabile solo e tutto
ciò che lo è tecnicamente invece di tranquillizzare lascia sempre di più inquieti, le stesse storie
personali sono così intrecciate con quelle sociali e quella planetaria da risultare altrettanto
incomprensibili. Solo nei videogiochi un giovane può diventare padrone del mondo combattendo
contro nulla e cadendo in un autismo informatico che non porta a niente. Dove tutto vuole diventare
possibile, il rischio è che nulla sia più reale ma solo virtuale. La vita è ormai consegnata ad una
situazione di costante emergenza di fronte alla prima grande società dell‟ignoranza, in cui ci
sentiamo estranei di fronte alle nuove tecnoscienze, ad una società che non solo possiede delle
tecniche, ma ne è posseduta. Dice bene Emanuele Severino quando stigmatizza l‟inganno delle
grandi forze di pensiero della contemporaneità che presumono di assoggettare la tecnica ai propri
scopi e non si accorgono che in realtà è la tecnica a subordinarle ai suoi, in quanto essa è destinata a

22
BENASAYAG M. – SCHMIT G., Les passions tristes. Souffrance psychique et crise sociale, Edition la Découverte,
Paris 2003; tr. it. di MISSANA E., L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano 2004 (d‟ora in avanti EPT)
11
dominare, non ad essere soggiogata23. Alcuni mali sono tipici di questo tempo. In primis abbiamo la
crisi dell’autorità: gli adulti impostano in maniera simmetrica la loro relazione con i giovani e in
nome del rispetto della libertà individuale si sentono tenuti a giustificare continuamente le scelte di
questi ultimi. La crisi del principio di autorità apre a delle conseguenze distruttive. Prima di tutto
non preserva ma espone di più all‟autoritarismo, perché inaugura un periodo di confusione e
arbitrarietà e oscilla tra la coercizione e la seduzione. I giovani sono i clienti e gli adulti i venditori.
Chi può regolare una relazione paritaria tra giovani generazioni e adulti se non la violenza?
Un‟autorità non più credibile e riconosciuta può imporsi solo con la forza. Il principio di autorità si
distingue dall‟autoritarismo proprio perché si fonda sull‟esistenza ed il perseguimento di un bene
condiviso, in virtù del quale uno domanda obbedienza e l‟altro obbedisce. In una società in cui la
cultura è neoliberista, l‟idolo è l‟economicismo, l‟unico criterio di orientamento è l‟utilità, non
funziona neanche più il binomio anteriorità-autorità. Nelle culture precedenti il più anziano o
anteriore è autorevole perché protagonista nella trasmissione della cultura. Oggi gli anziani sono
inutili perché non producono e il mondo proposto da adulti che ogni mattina si alzano per andare a
lavorare non è lo stesso presentato dai mass-media in cui l‟unica cosa che conta è la capacità di
possedere e di godere. L‟inutile, il gratuito ha perso ogni forma di gratuità. Oggi è assente un
contesto familiare strutturante24. Nell‟Occidente educare ha in genere significato invitare il giovane
a intraprendere con impegno un determinato cammino, sulla scia di una rappresentazione del futuro
come promessa. Il cambiamento di segno del futuro ha determinato un capovolgimento dell‟attuale
rotta educativa: al desiderio di conoscere, condividere e appropriarsi dei beni della cultura è
subentrata la minaccia del futuro. Il tentativo di vincere la barbarie con la ragione è fallito, l‟aridità
del pensiero impone la tristezza del sentimento. Se il desiderio è il fondamento dell‟apprendimento,
cosa ne è dell‟educazione quando come fondamento è subentrata la paura della minaccia? Slittiamo
in un continuo apprendimento sotto minaccia. Anche se ci si illude che l‟utilitarismo possa essere
l‟antidoto all‟attuale stato di emergenza, gli adulti temono l‟avvenire e armano i figli nei suoi
confronti. Nessuno più desidera il futuro25. Le passioni tristi si originano proprio da qui:
l‟accelerazione del tempo, la fretta, persuade sempre più il nostro inconscio che non c‟è più tempo
e, mentre l‟attuale propaganda predica sempre più la necessità di sicurezza, inietta sempre maggiore
insicurezza. Il divenire del mondo e della vita, filtrato dalle informazioni apodittiche dei mezzi di
comunicazione, tessono la trama interiore del nostro inconscio e l‟unica consegna che oggi ci è data
è: si salvi chi può! Altro fenomeno tipico di questo tempo è la spettacolarizzazione dell’intimità.
La persona è tale per la compresenza di due dinamiche: da una parte abbiamo la relazione,
l‟apertura all‟altro, dall‟altra abbiamo la capacità di rimanere presso di sé e la consapevolezza della
propria unicità, che potremmo definire l‟intimità. Quest‟ultima dimensione ha avuto anche formali
riconoscimenti nella contemporaneità: la tutela della privacy, la vita privata sono tra le categorie
oggi più ricorrenti. D‟altra parte però l‟attuale modo di fare intrattenimento e comunicazione (basti
pensare ai reality show come il Grande Fratello o alla logica del gossip nei confronti dei personaggi
pubblici) spettacolarizza e rende oggetto l‟intimità e la vita privata della persone, a tal punto che
non rimane nulla per sé. La rottura dell‟equilibrio tra relazionalità e interiorità è pericolosa perché
rende impossibili i confini chiari dell‟io. Non si sa più dove arriva l‟io e dove inizia la dimensione
pubblica. In questo modo l‟io è consegnato alla radicale insicurezza di essere. Se l‟interiorità della
persona evapora, cosa ci rimane di essa? Dove incontro la sua dignità? L‟intero spessore della
persona è racchiuso nell‟etichetta o nella valutazione. Non esiste più il mondo reale, ma ad esso
subentra l‟insieme di tutte le etichette e classificazioni. Ogni paradosso e incertezza sono solo
elementi di disturbo. L‟etichetta è ritenuta l‟essenza visibile dell‟essere del mondo della persona, e
in essa sembra concentrato l‟intero sapere sull‟altro. In ambito medico, ad esempio, la persona è
identificata con la sua patologia. L‟etichetta è anche un destino, rinchiude chi la riceve in un

23
SEVERINO E., Il destino della tecnica, Rizzoli, Milano 1998
24
EPT, 25-38
25
EPT, 39-46
12
determinismo sociale ed individuale. La persona subisce così violenza, perché non più accolta nella
sua molteplicità, nella sua oscurità, nella sua contraddittorietà. A livello educativo, se prima si
educava a partire dal desiderio e formando il desiderio, oggi si educa a partire dalla paura, si è
educati a guardarsi da …, con il conseguente rifiuto del futuro. Gli adulti armano contro
l‟avvenire,invece di aprire al nuovo che viene. Se questo è lo scenario, i nostri due autori
propongono prima di tutto una clinica del legame: l‟azione educativa così come
l‟accompagnamento terapeutico sono chiamati a rendere la persona libera, dunque autonoma, ed
una persona è libera ed autonoma non quando domina se stesso, l‟ambiente, gli altri, quando emerge
su … o è più forte di …, ma quando ha molti legami e molte responsabilità verso gli altri e verso la
città o il luogo in cui vive. La vera libertà non sta nel vincere il destino, ma nell’assumere il
proprio destino, se per destino intendiamo non la fatalità, ma il nostro essere al mondo, il nostro
essere dato e tessuto in un certo tempo, l‟insieme di condizioni, di desideri e di storie che si
intrecciano in ogni singolarità, la trama di legami con gli altri in cui l‟io è immerso. I legami non
sono limiti alla potenza, ma ciò che sostengono la libertà26. Essere se stessi in questo tempo è
resistere creando. Il grido che sale a noi dai giovani è un’invocazione di futuro.
Un ulteriore aspetto di questo tempo, in sintonia con quanto anche abbiamo visto con la storia dei
giovani, è la schizofrenia degli adulti contemporanei nel rapporto con la giovinezza e con i
giovani27. Da una parte oggi è molto amata la giovinezza: troppi adulti vogliono essere giovani e
rimanere giovani a tutti i costi tenendo il più possibile elevata la performatività del proprio corpo e
ricorrendo a più non posso agli estetisti. In Italia anche se il 23% della popolazione ha più di 65
anni, solo il 15% si riconosce anziano. Secondo un giudizio degli italiani risalente ad una statistica
del 2003, la vecchiaia comincia solo dopo gli 80 anni. Conclude giustamente Ivo Diamanti che in
Italia si diventa vecchi praticamente dopo la morte28. L‟attuale generazione di adulti venera e
insegue il mito e la magia della giovinezza ma non ama e non ha premura per i propri giovani. Un
accumulo di privilegi è concentrato nelle mani degli adulti e i giovani non possono scegliere il
lavoro che corrisponde alle proprie inclinazioni perché domina la legge del mercato, tardano a
sposarsi perché non ci sono case o sono economicamente proibitive, non possono generare più di un
figlio perché non ci sono asili né politiche familiari sufficienti, non possono aspirare a ricoprire
cariche di alta responsabilità perché solo la morte può distaccare gli adulti dalle loro poltrone. Forse
in alcuni casi lo sono, ma per lo più i giovani sembrano consegnati al destino del bamboccione. Si
chiude per loro il rapporto con il futuro, e quando questo rapporto è precluso, sono a repentaglio la
consapevolezza di sé e l‟esercizio autentico della libertà. Il grido che sale a noi dai giovani è una
richiesta di riconoscimento e di iniziativa.
La contemporaneità propone un modo totalmente nuovo di vivere lo spazio ed il tempo, una
radicale secolarizzazione di queste dimensioni. Quali sono oggi i luoghi dell‟umano, della persona?
La globalizzazione ci mette di fronte ai non-luoghi: “Non esiste più alcuna isola culturale, tutti gli
spazi investiti e simbolizzati dell’uomo si analizzano in un contesto ormai globalizzato. Una folla
pari ad una cifra fra un quarto ed un terzo della popolazione mondiale ha guardato i campionati
mondiali di calcio del 1998 alla televisione. Il livello di vita di un contadino senufò del Mali è
deciso dalla quotazione in borsa del cotone sul mercato internazionale. Un canto registrato dal
chitarrista zairese J. Bosco Menda in Sud Africa entra nella hit-parade in Sierra Leone, a tremila
kilometri di distanza. La vita degli studenti delle elementari di Kingston, in Giamaica, dipende dai
regolamenti della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale. Quasi tutti i popoli della
terra vedono le proprie condizioni di vita determinate da decisioni prese in luoghi lontani da loro e
subiscono un dominio economico, politico e culturale esercitato da poteri e forze esterne. Vivono
concretamente le conseguenze di fenomeni demografici, biomedici, ecologici, economici e politici
26
EPT, 119-125
27
MATTEO A., Troppo giovani per non pensare al futuro. Mettersi in gioco per Cristo oggi, Rivista di Teologia
dell‟Evangelizzazione, XIV(2010)27, 151-168; MATTEO A., La prima generazione incredula. Il difficile rapporto tra i
giovani e la fede, Rubbettino, Soveria Mannelli 2010, 8-10 (d‟ora in poi PGI)
28
DIAMANTI I., Sillabario dei tempi tristi, Feltrinelli, Milano 2009, 64
13
che a loro sfuggono ma che li avvicinano ad altri gruppi anch’essi vittime delle nuove costrizioni. I
nuovi territori dell’antropologia, che siano divertenti (turismo, world music, movimenti culturali e
artistici) o deprimenti (bidonville, campi profughi, gang, immigrazione clandestina, droga,
prostituzione), sono tutti di natura storica e cambiano sotto ai nostri occhi”29. Non è più semplice
ed immediato rispondere alla domanda: dove? Dove si decide la vita di un popolo, nel suo territorio
o altrove? Fino a che punto riconosciamo nelle nostre città il nostro territorio? Dove sono i giovani,
se pensiamo a nuovi spazi come Internet, facebook? Non si “naviga” più solo per mare. Il mondo
non è più uno spazio oggettivo, ma una costruzione concettuale del soggetto e del suo agire
tecnologico. Ci siamo inoltrati in quella che Heidegger chiamava l‟epoca dell‟immagine del mondo.
Se l‟unico generatore simbolico è il denaro, le modalità in cui avvengono lo spostamento dei
capitali disegnano il nuovo modo di vivere lo spazio. Non a caso gli studiosi della contemporaneità
parlano di una fine della geografia: le distanze non hanno più importanza, l‟idea di confine
geografico è sempre più insostenibile, la nuova rete mondiale di computer che rende l‟informazione
disponibile all‟istante in tutto il globo ha messo fine alla nozione stessa di viaggio, lo spazio
cibernetico o ciberspazio è privo di dimensioni, inscritto nella singolare temporalità di una
diffusione istantanea. Lo spazio prospettato dalla tecnica è artificiale, non naturale, mediato, non
più immediato, razionalizzato e non più comunitario, nazionale, non locale. Le tradizionali
distinzioni qui-là, dentro-fuori, vicino-lontano, frutto di una spazialità organizzata intorno alle più
immediate capacità del normale corpo umano, sembrano non significare più nulla. Questa nuova
esperienza dello spazio quali conseguenze produce? Fondamentalmente produce una
polarizzazione e una forte disuguaglianza nell‟esperienza degli individui: alcuni, forse ancora i più,
rimangono vincolati ad un territorio incapace ormai di fornire identità e di cui non riescono più ad
appropriarsi, altri, ancora una minoranza, allenati a vivere senza territorio, godono di una libertà
immensa. Con il primato dell‟economico, abbiamo l’incorporeità del potere e un potere invisibile
diventa un potere onnipotente. I potenti non hanno più bisogno della forza fisica o delle armi
materiali per imporsi: il segreto del potere è l‟isolamento dalle località. Gli spazi urbani in sé e gli
spazi di socializzazione vengono ridimensionati o eliminati. Se i primi cristiani, rileva Margaret
Wertheim, consideravano il cielo un regno ideale al di là del caos e della corruzione del mondo
materiale, gli odierni missionari del ciberspazio rappresentano il loro regno come un‟ideale sfera “al
di sopra” e “al di là” dei problemi del mondo materiale. Se il cielo dei cristiani è un regno nel quale
l‟anima degli uomini è liberata dalla fragilità e dalle tentazioni della carne, oggi i campioni del
ciberspazio lo salutano come un luogo nel quale l‟io è liberato dai limiti della propria fisica
incarnazione30.Anche la dimensione del tempo, nella modernità e nella contemporaneità ha subito
uno stravolgimento. Da un‟esperienza che metteva in rapporto il tempo orizzontale con i tempi
superiori per consegnare un tempo ordinato e sensato, siamo passati ad un‟esperienza del tempo
totalmente autonomo dai tempi superiori (che non esistono più, perché solo il tempo orizzontale è),
che concentra il tempo nella simultaneità e nella successione. Solo il passato ed il presente sono, ed
il passato è in funzione del presente che diventa l‟unicum. Il futuro è scomparso e precluso. La
società è diventata l‟intero composto dal simultaneo accadere di tutta la miriade di eventi che
segnano le vite dei suoi membri in un determinato momento. Il tempo è diventato uno strumento,
una risorsa da gestire, misurare, suddividere, regolare. Come strumento esso è omogeneo e non
presenta più momenti speciali, particolari, intensi, istanti “kairologici”. Il tempo uniforme e
univocamente secolare è solo in vista di tutto ciò che possiamo e dobbiamo fare ed è divenuto per

29
AUGE‟ M. – COLLEYN J.P., L’anthropologie, Presses Universitaires de France 2004, tr. it. di LAGOMARSINO G,
L’antropologia del mondo contemporaneo, Elèuthera, Milano 2006, 19-20
30
BAUMANN Z., Globalization. The Uman Consequences, Polity Press – Blackwell Publishers Ltd., Cambridge –
Oxford 1998; tr. it. di PESCE O., Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Ed. Laterza, Roma-Bari
1999, 9-31
14
noi una gabbia d‟acciaio che domina la nostra esistenza e ci soffoca 31. In questa situazione le
giovani generazioni tendono ad isolarsi all’interno del proprio segmento temporale
indebolendo il legame della solidarietà intergenerazionale. Guidati dal paradigma del consumo,
percorrono un cammino frammentato e accidentato per l‟assunzione di una identità: la vita non è
più progetto o storia ma un susseguirsi caotico di opportunità positive o negative, di fronte alle quali
la responsabilità della persona appare più illusoria che reale. Inoltre le nuove generazioni da una
parte sembrano attribuire importanza alla conoscenza del passato e alla storia, dall‟altra lo studio
della storia locale e generale non produce più memoria: cioè i giovani sono coinvolti a livello
cognitivo, non esistenziale, per cui la storia è maestra di vita teorica ma non della propria vita
personale. La storia, insomma, non forma più perché non riesce a diventare racconto sapienziale.
Più che di personalità fragili (anche perché la consapevolezza della propria fragilità diventa un
punto di forza nella formazione della propria identità) è opportuno parlare di identità fragili,
tendenti al fatalismo e al rimanere spettatori della propria vita. La nuova concezione spazio-
temporale fa scomparire nella vita dei giovani il senso del limite. Non ci sono più scelte
definitive, ma si può sempre tornare indietro, non ci sono più vie obbligate ma si può andare in
qualsiasi direzione. Tutte le scelte appaiono come reversibili. In continuità con ciò, il pericolo non
dissuade più dall‟agire, ma diventa elemento di forte fascino per l‟azione stessa. Gli adolescenti
sono attratti da comportamenti rischiosi che forzano i limiti perché non li riconoscono, in quanto
costituiscono delle sperimentazioni in cui provare l‟ebbrezza dell‟autonomia dagli adulti e
dell‟ingresso nel mondo adulto. In un tempo e in uno spazio senza più limiti e scansioni tra età e
situazioni, i comportamenti rischiosi costituiscono veri e propri rituali di passaggio e di iniziazione,
chiaramente non socialmente accettati o riconosciuti, semmai scorciatoie nel percorso verso l‟essere
adulto. L‟assenza dell‟esperienza del limite ingenera inoltre nell‟adolescente la sensazione di
invulnerabilità e la necessità continua di sperimentare sensazioni nuove, varie e complesse. Un
punto di convergenza tra la cultura contemporanea ed il vissuto giovanile può essere proprio la
ricerca dell‟eccesso. L‟attuale cultura sociale persegue, attraverso le pratiche dell‟aborto,
dell‟eutanasia, nelle biotecnologie e nella manipolazione della natura, nella pratica del doping e
nella diffusione di droghe, il prometeico tentativo di controllare la vita ed il corpo umano. In
secondo luogo la dimensione sociale, soprattutto nelle grandi città, produce sempre più anonimato e
omologazione e per contro favorisce forme di esibizionismo per ergersi al di sopra dell‟anonimato
in virtù del primato dell‟immagine. In terzo luogo il primato dell‟economico spinge al consumo,
alla ricerca esasperata del successo, al carrierismo, al guadagno fine a se stesso e facile, a tanti
atteggiamenti di rimozione dei limiti. Se non che si fa una scoperta deludente: la rimozione del
limite non rende più ricchi, ma più poveri: l‟impoverimento dell‟informazione, la
giapponesizzazione della produzione e dei consumi, l‟attuale crisi economica e la carenza di lavoro
ne sono sintomi. La globalizzazione non annulla le differenze, ma le accentua. In maniera
corrispondente i giovani perseguono l‟eccesso prima di tutto come fattore di cambiamento della
propria vita, del proprio modo di essere al mondo e del mondo stesso. In secondo luogo lo cercano
per denunciare nella vita sociale la presenza di forme di disagio. In terzo luogo lo vogliono per
introdurre nuove regole o riaffermare quelle vecchie nella vita quotidiana della società. Infine lo
desiderano per la sua funzione liberatoria in rapporto a situazioni costrittive e oppressive. Solo in un
ambito, forse, la cultura sociale non ha plasmato il vissuto giovanile. Infatti l‟attuale cultura sociale
cerca di espropriarci sempre più della morte, di censurarla perché sentita come vergognosa: “…
Una di queste correnti ha fatto insorgere la società di massa contro la morte. Più precisamente l’ha
tratta a provar vergogna della morte, più vergogna che orrore, a fare come se la morte non
esistesse. Se il senso dell’altro, una forma del senso dell’individuo, spinto fino alle estreme
conseguenze è la prima causa della situazione attuale della morte, la vergogna - e l’interdetto che

31
TAYLOR C., A secular age, The Belknap Press of Haward University Press, Cambridge, Massachusetts, and
London, England 2007; tr. it. di COSTA P. – SIRCANA M. C., L’età secolare, Feltrinelli ed. Milano, 2009, 84.895-896
(d‟ora in poi ES)
15
porta con sé - è la seconda causa”32. Nell‟Ottocento la morte trae significato a partire dalla morte
dell‟altro: essa suscitava un pathos un tempo represso, rendeva insopportabile la separazione fisica
dalla persona amata. Il modello della morte oggi viene definito dal sentimento di privacy. Lo stesso
moribondo viene protetto ed espropriato della propria morte: gli viene nascosta la gravità del
proprio stato per proteggerlo dalle proprie emozioni. La medicina si erge contro la morte per
sottrarla allo sguardo dell‟uomo, per chiuderla in un laboratorio scientifico, negli ospedali e bandire
le emozioni. Mentre la sessualità non è più un tabù, lo è diventata proprio la morte: “Un pesante
silenzio si è venuto così a distendere sulla morte. Quando s’interrompe, come talvolta avviene
nell’America del Nord, oggi, è per ridurre la morte all’insignificanza di un avvenimento qualunque
di cui si parla con ostentata indifferenza … Tuttavia questo atteggiamento non ha annientato né la
morte né la paura della morte. Al contrario, ha lasciato che tornassero subdolamente i vecchi
elementi selvaggi, sotto la maschera della tecnica della medicina. La morte all’ospedale, irta di
tubi, sta diventando oggi un’immagine popolare più terrificante del cadavere in decomposizione o
dello scheletro delle retoriche macabre. E’ un fatto che tra l’<<evacuazione>> della morte, ultimo
rifugio del male, e la ricomparsa di questa medesima morte tornata allo stato selvaggio, si nota
una correlazione … Perciò una piccola èlite di antropologi, più psicologi o sociologi, che medici o
preti, è stata colpita da questa contraddizione. Essi, per usare le loro parole, si preoccupano meno
di <<evacuare>> la morte che di <<umanizzarla>>. Vogliono mantenere una morte necessaria
ma, in tal caso, accettata e non più vergognosa. Anche se ricorrono all’esperienza delle antiche
saggezze, non si può neppur parlare di tornare indietro, di ritrovare il Male abolito una volta per
tutte. Ci si ripropone sempre di riconciliare la morte con la felicità. La morte deve solo
trasformarsi nell’uscita discreta ma dignitosa di un tranquillo vivente da una società soccorrevole;
una società non più straziata, né troppo sconvolta, dall’idea di un trapasso biologico privo di
significato, di pena, di sofferenza, e infine di angoscia”33. La vergogna della morte è legata
all‟incapacità di sostenere la sofferenza propria e altrui: la proposta dell‟eutanasia, il diritto di
scegliere come morire interrompendo le cure anche quando non si tratta di accanimento terapeutico
forse vanno in tal senso. Invece nei giovani, anche se sono in crisi nella loro esperienza della
temporalità e se trovano precluso l‟accesso al futuro, nonostante il fascino verso l‟eccesso ed i
comportamenti rischiosi, la coscienza della propria mortalità è tutt‟altro che rimossa. Anzi essa
rimane un luogo a partire dal quale poter ritessere il senso della vita lungo l‟asse del tempo storico
lineare e alla luce del mistero della vita oltre la morte. La grande maggioranza dei giovani e degli
adolescenti, al di là della loro fede religiosa, sono convinti e sperano nell‟esistenza di una vita dopo
la morte in cui tutto ciò che è stato vissuto sulla terra trova il suo compimento e la sua giusta
retribuzione. Il grido che sale a noi dai giovani è una richiesta di spazio, di riscoperta del limite
e di regole, di accompagnamento di fronte al mistero della morte34.
Come ultimo aspetto del vissuto giovanile, vorrei soffermarmi sull‟esperienza della notte, cercando
di sgombrare il più possibile il nostro sguardo da giudizi preconcetti e moralistici. Perché i giovani
amano la notte e vivono per lo più in essa? Che cosa significa per loro la notte? Da una parte la
notte è sempre stata un “luogo mistico”. Di notte Nicodemo va da Gesù perché di notte i rabbini
frequentavano la Scrittura, tra il XIV ed il XVII sec. la notte costituisce la tappa iniziale di una
preghiera di quiete. S. Giovanni della Croce (1542-1591) scrive un‟opera, Notte Oscura, in cui
l‟esperienza della notte è ricompresa nell‟itinerario dell‟unione dell‟anima con Dio. Essa è la
“contemplazione purgativa” in cui l‟anima, spinta dall‟amore dello stesso Sposo, rinuncia a se
stessa e a tutte le cose, in cui si addormentano e assopiscono tutte le passioni e gli appetiti secondo
gli appetiti e i moti contrari. Esiste una prima notte, o purificazione, amara e terribile per il senso, in
cui ci si avvicina alle cose spirituali e alla meditazione senza più l‟ausilio del senso e del
32
ARIES PH., L’homme devant la mort, Editions du Seuil, Paris 1977; tr. it. di GARIN M., L’uomo e la morte dal
Medioevo a oggi, Mondadori, Milano 1992, 729
33
Ibid., 730-731
34
POLLO M., Giovani e sacro. L’esperienza religiosa dei giovani alle soglie del XXI sec., Ed. Elledici, Torino 2010,
15-29 (d‟ora in poi GS)
16
ragionamento, senza più provare diletto e piacere. Una seconda notte, ancor più tremenda, riguarda
lo spirito, quando la stessa sapienza amorosa di Dio, che è luce, mentre purifica e illumina gli spiriti
beati, è per loro tenebra. Essa infatti è troppo alta per lo spirito, trascende le sue capacità, è non
comprensibile, e manifesta anche l‟imperfezione dello spirito che si sente debole ed investito dalla
forza divina. Per Leopardi la notte è l‟immagine della morte, la fatal quiete. Sicuramente oggi i
giovani non fanno questa esperienza della notte, ma essa forse non è esente da qualche tratto
mistico. Forse per loro la notte conserva una traccia, un residuo del sacro mistico. Prima di tutto la
notte è vissuta come un momento in cui il giovane o l‟adolescente si trasforma, si spoglia del ruolo
sociale indossato di giorno per indossare un‟identità personale più autentica. Ci si lascia andare,
probabilmente perché il ruolo diurno sembra insostenibile ed opprimente. In secondo luogo la notte
è un tempo in cui si sperimenta una quiete ed una serenità sconosciute al giorno: la persona, libera
dagli affanni giornalieri, può dedicarsi maggiormente a se stessa, alle cose che ama e che le
interessano al di là dell‟utilità. D‟estate, la notte è tempo propizio per contemplare il cielo o il mare,
probabilmente in quanto la contemplazione della natura o del cielo richiama un senso di infinito e
permette un contatto più autentico con le profondità del proprio sé. Una ragazza così si esprime
sulla notte: “Per me la notte ed il buio sono due cose completamente differenti. Per me la notte è
luce, il buio è nero. Sì, lo so che il buio è sinonimo di notte, però in questo discorso la notte è luce
perché c’è illuminazione mentre il buio è nero. La parola buio la uso quando devo parlare di
qualcosa di estremamente negativo. Invece la notte già la vedo come qualcosa di bello, la notte è
bella e illuminata comunque”. Probabilmente nella notte, lei intravede la presenza del mistero che
attrae e affascina. La notte diventa una sorta di grembo materno che protegge il giovane come
l‟utero protegge il feto nella vita prenatale, che gli permette di lasciarsi andare ai propri istinti, che
gli risparmia la fatica della scelta, che dona una sensazione di immortalità, che rende la città, il
cielo, l‟aria, le cose e le persone più belle ed interessanti35. Se poi ci pensiamo bene, di giorno, nella
società degli adulti il giovane non riesce ad essere protagonista come di notte, perché di giorno
nessuno fa attenzione a lui mentre di notte molti spazi e molti luoghi sono per lui, molti adulti
vivono per lui, anche se secondo il modello del consumo. Il grido dei giovani è un grido di
infinito.

3. Il difficile rapporto tra i giovani e la fede

Può far impressione il titolo che d. Armando Matteo ha voluto dare al suo libro che riflette sul
rapporto tra i giovani e la fede: siamo davanti alla prima generazione incredula di giovani, alla
prima generazione che non ha più antenne per Dio, alla prima generazione che non ha più
predisposizioni positive verso la fede e la vita cristiana. Riallacciandoci alla riflessione di Taylor,
mentre nel „500 era quasi impensabile non credere in Dio, nel 2000 questa appare non solo una
scelta facile, ma inevitabile36, anche per i giovani. Partiamo dalle statistiche. Dal 22 al 26 Marzo
2010 l‟Istituto IARD ha intervistato 1000 giovani italiani della fascia d‟età 18-29 anni in merito al
loro rapporto con la fede37. L‟80% dei giovani intervistati manifesta una attenzione verso la
dimensione del sacro, vissuta in una relazione individuale con una dimensione divina al di fuori dei
canoni tradizionali e sempre meno all‟interno di una appartenenza religiosa specifica. In seno ad un
generale indebolimento delle appartenenze formali, entra in crisi il rapporto con le chiese. Rispetto
al 200438 i non credenti-agnostici sono aumentati del 3,1% (erano il 18,7%, sono il 21,8%), i
credenti che non si identificano in una chiesa sono aumentati del 10,5% (erano 12,3%, sono
diventati il 22,8%), i giovani appartenenti a minoranze religiose sono aumentati dell‟1,1% (erano

35
GS, 140-145
36
ES, 41
37
ISTITUTO IARD RPS, I giovani di fronte al futuro e alla vita con e senza fede. Un’indagine per Passio 2010,
reperibile su www.agcom.it
38
cfr. GRV
17
il 2%, sono diventati il 3,1%), i cattolici non praticanti sono diminuiti del 3,1% (erano il 23,1%,
sono diventati il 20%), i cattolici intimisti ritualisti, che ritengono la religione molto o
moderatamente importante, che vivono una frequenza mensile (i ritualisti) o sporadica (gli intimisti)
privilegiando molto la preghiera individuale39 sono diminuiti dell‟8,5% (erano il 25,9%, sono il
17,4%), i cattolici praticanti sono diminuiti del 2,7% (erano il 18,1%, sono diventati il 15,4%).
Nella nostra arcidiocesi fermana, da poco superato il 2000, in occasione di un lavoro di riflessione
per il piano pastorale diocesano giovani, l‟8% della popolazione giovanile risulta aggregata in
cammini di fede (associazioni, movimenti, nuove aggregazioni, gruppi parrocchiali). Nel decennio
tra l‟80 ed il ‟90, un‟analoga statistica aveva evidenziato la stessa percentuale. Fa impressione il
92% di giovani non aggregati in un cammino di fede, ma conforta il fatto che di fronte alla
progressiva secolarizzazione la percentuale ha tenuto. Dai dati di cui sopra entrano maggiormente in
crisi le adesioni intimistiche e ritualistiche al cattolicesimo, in cui lo sganciamento da una comunità
di appartenenza indebolisce ulteriormente i legami e tende a sfociare in un maggiore individualismo
religioso. Questa constatazione pone un interrogativo sulle priorità: a chi rivolgere un primo
annuncio del Vangelo o nei confronti di chi mettere in atto un particolare impegno formativo? Solo
ai giovani che si dicono non credenti o agnostici? La situazione non richiede forse un particolare
investimento formativo verso chi, adulti prima di tutto e giovani, vive un cristianesimo ritualista o
intimista? Il primo annuncio è l‟annuncio di Gesù Cristo morto e risorto, ma richiede poi un
accompagnamento ad incontrarlo dove lui abita. Non sarà forse necessario un “primo annuncio”
della comunità cristiana e dell‟esperienza liturgica? I dati ci attestano la diffusione del modello
“credenza senza appartenenza”. Ora nei giovani dai 18 ai 29 anni i cattolici superano di poco la
metà (52,8%), rispetto al 2004 la percentuale si è ridotta del 17,1%40. Ad una drastica diminuzione
di giovani che si riconoscono nella forma del cattolicesimo non corrisponde una riduzione
altrettanto netta di chi ritiene la religione importante per la propria vita (la diminuzione è del 3%),
ed in questo gruppo coloro che la considerano “molto importante” sono aumentati dell‟1,6%. Come
mai l‟interesse per la religione, nella vita dei giovani, pur diminuendo quello per il cattolicesimo,
rimane abbastanza alto? Forse il nostro modo di vivere il cristianesimo non intercetta più il
desiderio di spiritualità delle nuove generazioni? Cosa di fatto intendono e cercano le giovani
generazioni per spiritualità? Questa situazione non ci consegna forse la chiamata ad un ritorno alle
sorgenti dell‟esperienza cristiana per poter anche aiutare le nuove generazioni nella ricerca di una
spiritualità autentica ed incarnata, e non di forme di evasione o alienazione in cui predomina il
gusto e la sensazione del benessere? Oggi uno dei termini più usati ed abusati nei più svariati ambiti
è proprio quello di spiritualità. Rispetto al 2004 sono diminuiti gli agnostici del 2,7% (erano il
5,7%, sono diventati il 3%), sono aumentati del 4,7% quelli che non credono in nessuna religione
(erano il 12,8%, sono diventati il 17,5%), sono aumentati del 7,7% quelli che credono ad entità
superiori pur senza far riferimento ad una precisa religione (erano il 6,9%, sono diventati il 14,6%),
sono aumentati dello 0,7% coloro che aderiscono alle religioni orientali (erano lo 0,6%, sono
diventati l‟1,3%), i cristiani non appartenenti a nessuna chiesa sono aumentati del 2,1% (erano il
5,3%, sono diventati il 7,4%), gli appartenenti ad altre religioni cristiane sono aumentati dello 0,2%
(erano l‟1,2%, sono diventati l‟1,4%). Questi dati ci mostrano chi sta cercando di soddisfare la sete
di spiritualità delle giovani generazioni: forme aggiornate di razionalismo e tendenze
orientaleggianti. A coloro che si dicono credenti è stato poi chiesto di autovalutare l‟intensità della
propria fede: il 36% la definisce bassa, il 32% la definisce alta o molto alta, il 31% si pone in una
situazione intermedia. La fede risulta cercata per una funzione di sostegno psicologico e relazionale
e per una funzione di guida, mentre lo è meno come riferimento morale. Per i cattolici praticanti la
fede aiuta a dare senso alla vita (89,2%), dà speranza per il futuro (85,9%), aiuta a superare le

39
GS, 63-65
40
GRV, 57-70; le tipologie erano più sfumate e diversificate. I cattolici lontani erano il 4,7%, i cattolici occasionali il
18%, i cattolici ritualisti il 16,7%, i cattolici intimisti il 9,9%, i cattolici moderati il 13,6%, i cattolici ferventi il 7%. Il
totale dei giovani che si riconosce in un‟identità cattolica era del 69,9%
18
difficoltà da un punto di vista psicologico (83,9%). Riguardo la partecipazione alla vita ecclesiale,
abbiamo una minoranza in crescita di soggetti molto coinvolti ed una maggioranza di giovani che
non partecipano a riti e iniziative ma manifestano interesse alla dimensione spirituale. Soprattutto è
crollata la fiducia nella chiesa: solo il 2% dei non credenti ha una alta fiducia nella chiesa, solo il
39% dei praticanti ha fiducia nella chiesa. L‟81% dei cattolici ferventi ha un‟alta fiducia nella
chiesa. Sembra delinearsi, in rapporto all‟istituzione Chiesa, un processo di tipizzazione, con gruppi
contrapposti le cui posizioni pro o contro si consolidano sempre più. Contemporaneamente aumenta
la partecipazione saltuaria ad eventi o iniziative culturali, formativi, di solidarietà promossi da enti
religiosi: essa è il connubio tra una crescete ricerca del sacro condotta individualisticamente e la
legge del mercato per cui il consumatore guarda tutto e sceglie cosa consumare per il proprio
benessere o secondo il proprio interesse. Anche se la Chiesa ha perso credibilità, il mondo continua
a guardare ciò che propone e ciò che ha da dire. Riguardo ai momenti liturgici particolari, rispetto al
2004 è aumentata del 1,9% la partecipazione a pellegrinaggi in luoghi sacri (era del 9,7%, è salita
all‟11,6%), è aumentata del 3,3% la partecipazione alle processioni religiose (era del 26%, è salita
al 29,3%), è diminuita del 1,4% la partecipazione alla Veglia Pasquale (era del 27,9%, è scesa al
26,3%), è diminuita del 9,4% la partecipazione alla Messa di Mezzanotte (era del 56%, è scesa al
46,6%). Riguardo le statistiche del 2005 rimane molto alta la fiducia dei giovani nella scienza. Per i
credenti comunque la scienza non riesce a darci spiegazioni su ogni cosa, tra i non credenti essa ha
un primato assoluto e rimane assolutamente inconciliabile con l‟interpretazione “religiosa” della
realtà. Per i credenti praticanti si percepisce maggiormente la possibilità di una conciliabilità tra
fede e scienza. Riguardo i temi di bioetica si registra una frattura profonda tra giovani credenti e
non credenti. Il criterio che guida i primi è l‟individualismo etico: il singolo individuo è unico
artefice delle proprie scelte e unico responsabile della vita e della morte. Tra i giovani che si
professano praticanti fanno riflettere il 29% di soggetti favorevoli all‟eutanasia, il 21% di soggetti
favorevoli all‟aborto, il 31% di soggetti favorevoli alla fecondazione assistita eterologa. Anche chi
si professa cattolico praticante non è esente da questo individualismo etico: queste percentuali
interrogano le comunità cristiane sulla qualità formativa dei cammini o dell‟esperienza comunitaria
proposta. I giovani cattolici praticanti sono aiutati a vivere la propria fede in dialogo con questo
mondo, informandosi correttamente e misurandosi con le maggiori sfide culturali odierne o la fede
rimane confinata nel sentimento e nel privato? La formazione aiuta a rendere ragione della speranza
che è in chi crede oppure relega nel silenzio o lascia al “così pensano tutti” il pensiero di un giovane
credente? Questi dati farebbero pensare da una parte ad una carenza formativa da parte delle
comunità parrocchiali, troppo poco preoccupate della cultura, dall‟altra ad una frammentazione dei
percorsi formativi offerti da gruppi, associazioni e movimenti che sottolineano e approfondiscono il
proprio particolare carisma ma non sono solleciti nell‟approfondimento di aspetti trasversali a
livello etico e riguardanti la dottrina sociale della Chiesa. Quanti giovani cattolici praticanti contrari
all‟aborto, all‟eutanasia e alla fecondazione assistita eterologa sanno rendere ragione della loro
posizione e quanti si limitano a sostenerla solo perché viene loro detto o così dice la Chiesa?
Come interpretare questi dati? Cosa è accaduto? Bisogna prendere atto di sostanziali cambiamenti
culturali. Fino alle soglie del post-moderno, la vita cristiana era sostenuta da tre matrici culturali di
fondo: la metafisica tomista, l‟impianto giuridico latino, l‟antropologia di Agostino. Questi tre
pilastri sono caduti. Darwin, nel 1859, pubblicando L’origine della specie, ha invitato ad
interpretare le origini dell‟uomo non più a partire dall‟alto, ma in senso orizzontale, a partire dalla
comune parentela con gli animali. Freud aggiungerà il suo contributo riguardo la concezione
dell‟uomo: l‟anima perde con lui ogni aurea sacrale e diviene un piccolo fattore di equilibrio tra la
forza dell‟inconscio e la forza delle ingiunzioni morali ereditate dall‟educazione e dalla società. Se
fino ad allora si era creduto che l‟anima è la regina della vita umana, con Freud si scopre che la
dimensione razionale è appena la punta di un iceberg, e che la maggior parte della realtà umana è
sommersa, oscura, incontrollabile. Sia la vita dell‟individuo sia la storia collettiva dell‟umanità non
sono guidate dalla ragione o da una provvidenzialità razionale, ma sono l‟esito costantemente
incerto di una lotta tra due forze irrazionali come Eros e Thanatos. La storia del „900 non farà altro
19
che confermare questo con i due conflitti mondiali ed il dramma dell‟Olocausto. Marx proporrà una
denuncia del sistema di produzione capitalistico come produttore di alienazione dell‟uomo che
lavora, e per giunta con l‟appoggio di illustri alleati come le ideologie prodotte dai borghesi, tra cui
la fede e la morale cattoliche. Non possiamo attendere il paradiso per essere felici, è necessario
rovesciare i rapporti di produzione ed accelerare l‟avvento della società senza classi in cui tutti si è
uguali e ognuno può fare quello che vuole per star bene e realizzarsi senza essere costretto a
lavorare a prescindere dalle proprie inclinazioni. Su questo aspetto, una volta cadute le ideologie, il
mercato basato sul consumo, già dalla fine dell‟800, ha saputo dare continuità alla cultura marxista:
l‟impresa della General Motors e quella di Henry Ford, la nascita della Coca Cola e della Fiat
hanno permesso di percepire questa terra già come il Paradiso in cui potersi ben installare. L‟intera
esistenza dell‟uomo si gioca nel finito. Nietzsche darà poi il colpo finale alla tradizione metafisica e
ontoteologica dell‟Occidente, soprattutto annunciando la morte del Dio ente sommo e culmine di
questa tradizione culturale. La forma stessa del pensiero di Nietzsche è emblematica di questa
svolta culturale: egli non opta per il trattato, ma per gli aforismi e per l‟annuncio, per il poema e per
il linguaggio dell‟arte. Basta con le grandi sintesi o gli sguardi unitari sulla realtà: è importante
soffermarsi sui particolari, vivisezionare i singoli sentimenti, penetrare nel sottosuolo dell‟umano e
della storia per scoprire che le più nobili ed alte espressioni dell‟umanità sono il frutto dei più bassi
e vili istinti. L‟annuncio riguarda poi la constatazione del fatto della morte di Dio, e l‟invito a
diventare uomini all‟altezza di una storia nuova che si profila, il “super-uomo” creatore di se e
fedele in tutto a questa vita, a questa terra, non più proiettato altrove. L‟annuncio riguarda la gioia
di aver trovato il vero nucleo della realtà che va non solo accettato, ma assecondato nella sua
realizzazione: la volontà di potenza, la volontà che vuole se stessa, la vita che afferma se stessa
come infinito, la vita che supera ogni senso di colpa divinizzando il passato e non avendo più
bisogno di futuro perché non è più necessario nulla oltre l‟istante eterno. L‟invito è a trovare il
coraggio di compiere questa nuova traversata in un oceano infinito, senza più orizzonte e senza più
coordinate: sotto, sopra, alto, basso non hanno più senso. L‟esortazione è a trovare il coraggio di
portare a termine un capovolgimento di tutti i valori: ciò che la morale della tradizione onto -
teologica ha considerato vile e spregevole va ora invece esaltato mentre ciò che per la morale aveva
valore va disprezzato perché volto a mortificare la vita, perché manifestazione patologica della
volontà di potenza. Prendendo atto di questa rivoluzione culturale, come sta oggi la religione? La
cornice culturale in cui viviamo è immanente, per cui non solo è preclusa la via per l‟anelito alla
trascendenza, ma tutto l‟impegno va rivolto a star bene e realizzarsi pienamente qui su questa
terra41. Da una parte sembra che le religioni siano riuscite a prendersi una rivincita rispetto alla
secolarizzazione, mantenendo un proprio diritto di cittadinanza culturale e sociale 42. Dall‟altra non
dobbiamo illuderci di questi piccoli spazi conquistati o, meglio, ancora mantenuti. Stiamo
comunque pagando il prezzo di una riduzione dell‟esperienza religiosa a morale o a fattore
importante per una convivenza sociale ordinata. Ci troviamo di fronte per lo più ad espressioni
religiose secolari, in cui la persona crea quelle narrazioni religiose che meglio si adattano al sé e al
proprio orizzonte di esperienza43, o nella versione della cosiddetta “religione civile” di cui sopra. E
come stanno il cristianesimo e la Chiesa? Di fronte a queste svolte e ad una progressiva
corrosione dei tradizionali pilastri sui quali è stata inculturata la fede, la Chiesa non è stata pronta a
reagire, non è stata pronta cioè a ritrovare la freschezza delle origini, la gioia di un rinnovato modo
per annunciare il Vangelo. Se a livello di pietà popolare o di vita caritativa non sono mancate
creatività e nuovi modi di organizzarsi, a livello teologico e istituzionale ci si è chiusi alla

41
ES, 14. 36; COMITATO PER IL PROGETTO CULTURALE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
(a cura di), Dio oggi. Con lui o senza di lui cambia tutto, Cantagalli, Siena 2010
42
CASANOVA J., Public Religions in the modern world, The University of Chicago Press, Chicago – London 1994, tr.
it. di PISATI M., Oltre la secolarizzazione. Le religioni alla riconquista della sfera pubblica, Il Mulino, Bologna 2000
43
BECK U., Der Eigene Gott, Verlag der Weltreligionem, Im Insel Verlag, Frankfurt am Main – Leipzig 2008; tr. it. di
FRANCHINI S., Il Dio personale, Laterza, Roma – Bari 2009; BERZANO L., “Sono credente. A modo mio e a misura
mia”, <<Dialoghi>>, 1 (2010), 38-43
20
modernità ribadendo un discorso teologico formulato con le categorie di quei filoni culturali ormai
consegnati alla putrefazione. Con l‟evento del Concilio Vaticano II la Chiesa cattolica ha voluto
avviare un dialogo con la modernità mai intrapreso senza perdere la propria peculiare identità ma
ritornando semmai alle origini, ripartendo dal primato della Parola di Dio e della liturgia,
riscoprendosi come popolo di Dio in cammino nella storia, superando la diffidenza verso il dialogo,
scelto invece come strumento per un approfondimento sempre maggiore della propria identità e per
trovare le parole giuste per ridire Gesù Cristo in questo tempo. Ora siamo nella recezione del
Concilio, anche se sono passati più di quarant‟anni: anche se qualcuno pensa che sia ora di un
Concilio Vaticano III, in realtà i processi di recezione di un Concilio, in particolare del Vaticano II
sono molto più lunghi di quello che pensiamo. La recezione non è un percorso semplice: in
particolare a proposito del Vaticano II il cammino è stato molto difficile, nonostante di certe riforme
si sono viste con chiarezza le conseguenze esteriori. Ricordava a proposito Papa Benedetto, in
occasione dei 40 anni dalla chiusura del Concilio: “Nessuno può negare che, in vaste parti della
Chiesa, la recezione del Concilio si è svolta in modo piuttosto difficile, anche non volendo
applicare a quanto è avvenuto in questi anni la descrizione che il grande dottore della Chiesa, S.
Basilio, fa della situazione della Chiesa dopo il Concilio di Nicea: egli la paragona ad una
battaglia navale nel buio della tempesta, dicendo fra l’altro: <<Il grido rauco di coloro che per la
discordia si ergono l’uno contro l’altro, le chiacchiere incomprensibili, il rumore confuso dei
clamori ininterrotti ha riempito ormai quasi tutta la Chiesa falsando, per eccesso o per difetto, la
retta dottrina della fede …>> (De Spiritu Sancto, XXX, 77; PG 32, 213 A; SCh 17bis, pag. 524).
Emerge la domanda: perché la recezione del Concilio, in grandi parti della Chiesa, finora si è
svolta in modo così difficile? Ebbene, tutto dipende dalla giusta interpretazione del Concilio o,
come diremmo oggi, dalla sua giusta chiave di lettura …”44. La confusione cui allude il Papa è
dovuta alla contrapposizione delle categorie tradizionalista-progressista indicative delle due
direzioni secondo le quali spesso è stato interpretato il Concilio. I tradizionalisti interpretano il
Concilio e i suoi documenti come fedeli alla visione tridentina della Chiesa o all‟impostazione avuta
con il Vaticano I e lo trascinano nel senso del tradizionalismo, rilanciando forme liturgiche e
linguaggi dottrinali del passato. I progressisti interpretano invece il Vaticano II come evento di pura
rottura con il passato e lo piegano in senso progressista, chiedendo l‟eliminazione di ogni forma o
linguaggio legati al passato e avventurandosi spesso in una creatività totalmente arbitraria. Le due
anime si sono misurate in maniera forte anche durante lo svolgimento del Concilio, ma pochi sono
rimasti legati ai due eccessi, mentre la grande maggioranza, grazie ad un lungo e paziente dialogo,
si è attestata su una saggia sintesi: innovare nella fedeltà alla Tradizione, in particolare al modo di
essere della Chiesa apostolica. E Papa Benedetto, per non tradire lo spirito del Concilio, richiama
proprio questo equilibrio con il suo magistero e con le sue scelte (come la possibilità di celebrare la
liturgia secondo il messale di S. Pio V). Si tradisce lo spirito conciliare se ci si polarizza secondo gli
schieramenti di cui sopra, mentre vi si rimane fedeli se ogni scelta è posta nel solco della Tradizione
e in continuità con essa. La fedeltà alla Tradizione ed il dialogo con la contemporaneità sono la
garanzia dell‟autentica novità, che non è innovazione arbitraria né rinnovamento solo formale o
esteriore, ma ri-proposizione dell‟unico Vangelo in tutta la sua vitalità, capace dunque di parlare al
cuore dell‟uomo di ogni tempo e di conservare tutta la sua radicalità e genuinità pur assumendo
categorie culturali, linguaggi e modi di porsi nuovi perché consoni all‟epoca in cui si vive. A parer
mio la recezione del Vaticano II è il punto cruciale per la vita del cristianesimo in questo tempo: se
esso è ben recepito non solo nella lettera dei documenti ma nel modo di essere che lo ha ispirato e
che è stato poi consegnato alla Chiesa, allora può nascere una “terza epoca” del cristianesimo 45,
all‟altezza di questa epoca della post – modernità. E non è opportuno indugiare, vista la velocità con

44
BENEDETTO XVI, Discorso alla Curia Romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi, 22
Dicembre 2005
45
RAHNER K., Toward a Fundamental Theological Interpretation of Vatican II, <<Theological studies>>, 40 (1979),
pp. 716-727; O‟MALLEY J. W., Che cosa è successo nel Vaticano II, Vita e pensiero, Milano 2010, 14-15
21
cui il mondo cambia: il rischio è che non appena la Chiesa matura la disponibilità ed assume le
giuste categorie per dialogare con la modernità, essa arriva in ritardo perché la modernità ha ceduto
il posto al post – moderno, che richiede categorie del tutto nuove. Su questo aspetto l‟impressione
sullo stato di salute del cristianesimo e della Chiesa è la stessa che aveva il card. Kasper nel 1972:
“Giovanni XXIII nel suo celebre discorso di apertura del Concilio Vaticano II ha parlato del futuro
con un ottimismo che oggi ci sembra quasi ingenuo ed ha promesso alla Chiesa una nuova
Pentecoste. Dopo questa fase relativamente breve, di fioritura, la Chiesa ha ripreso ad aver paura
del suo proprio coraggio”46. Oggi la Chiesa ha paura di quel coraggio che aveva ritrovato in
occasione del Vaticano II e, sulla scia del mondo, guarda con paura il futuro, o meglio, vi guarda il
meno possibile e si accontenta di sopravvivere oggi, si limita alle piccole vittorie di Pirro. Non a
caso uno dei cavalli vincenti della pastorale attuale è la pietà popolare: essa è promossa ma non
sempre accompagnata da un serio discernimento sulle attuali tendenze e su una sua possibile deriva.
Proprio all‟interno di essa si sta diffondendo l‟idea utilitaristica che la religione è importante perché
aiuta a star bene in quanto la forza spirituale contribuisce anche alla salute fisica, in piena sintonia
con l‟interesse attuale quasi primario per la salute ed il benessere. Anche Internet, assumendo
questa tendenza, incoraggia la nascita di un nuovo misticismo cristiano sincretistico: insieme alla
sopravvivenza di maghi, veggenti e taumaturghi, offre santini di p. Pio, musiche soft, persone che
danno consigli, riti particolari. Inoltre il grande risveglio di pietà popolare può essere anche una
reazione di fronte all‟attuale contesto culturale e sociale pluralistico. Si promuovono e si riscoprono
le forme della pietà popolare all‟interno di una ricerca affannosa delle proprie radici, con il rischio
della nostalgia fine a se stessa di espressioni del passato o del puro gusto folkloristico o del
perseguimento del semplice compiacimento. Ci si dichiara e ci si manifesta cattolici, oggi in Italia,
anche solo semplicemente per sentirsi diversi dai musulmani o da altre culture, perdendo così il
coraggio dell‟incontro e del dialogo avuto durante il Concilio47.
A questo aggiungiamo la presenza di una vena di risentimento cattolico nella cultura attuale. Ci
ricorda d. Armando Matteo: “(Nella sensibilità contemporanea) è infatti presente una piccola ma
agguerrita pattuglia di scrittori, giornalisti, opinion makers, matematici e altri impertinenti che
hanno fatto della battaglia al cristianesimo la loro vocazione (è proprio il caso di usare qui una
tale espressione). Questo fenomeno ha grande presa sui giovani, considerate le vendite di libri del
genere. Qualcuno – come recentemente Dan Brown – afferma proprio di non poter letteralmente (e
letterariamente) sopportare il Vaticano e la Chiesa e quindi giù a dirne di tutti i colori, mischiando
scienza, fantasia, ricostruzioni arbitrarie e altro. Il punto fondamentale è che tutto ciò è molto
presente nella scuola superiore e lascia non piccola eredità sui giovani: una sorta di diffidenza a
priori, sul livello affettivo più che razionale, di convenzione più che di convinzione, del tipo <<non
accettare caramelle da preti e suore>>. All’università, poi, non c’è nulla di peggio, per rovinarsi
la reputazione scientifica, che confessare la propria pubblica adesione alla Chiesa!”48. A livello
culturale la fede cristiana è fede sfidata.

4. Quale comunità cristiana per l’annuncio del Vangelo ai giovani?

In quest‟ultima parte nessuno può avere la presunzione di possedere ricette precostituite e vincenti.
Si tratta di cogliere in questo tempo un‟occasione favorevole, pur nella consapevolezza di un
mondo neo – pagano, per l‟annuncio del Vangelo e di sperimentare con fiducia nella
consapevolezza che più delle proposte la Chiesa parla con il suo modo di essere. Provo a delineare
alcune suggestioni che solo nella prassi possono trovare un loro inveramento.

46
KASPER W., Einfurung in den Glauben, Matthias-Grunewald-Verlag, Mainz 1972; tr. it. di GIBELLINI R.,
Introduzione alla fede, Queriniana, Brescia 1972, 187-188
47
TERRIN A. N., Anima e corpo. L’evoluzione della religiosità popolare, <<Dialoghi>> 1 (2010), 44-52
48
MATTEO A., Troppo giovani per pensare al futuro …, cit. 158
22
-Le comunità cristiane (penso soprattutto alle comunità parrocchiali) sono in genere organizzate
come luoghi che offrono occasioni per l‟esercizio di una fede già ricevuta. Esse continuano a
pensarsi come se ancora oggi chi si affaccia in esse avesse già vissuto un catecumenato familiare,
avesse già ricevuto la fede dai propri genitori o dai propri nonni. Di fatto il mondo è cambiato: la
comunità cristiana, soprattutto parrocchiale, è chiamata a convertirsi da luogo di esercizio della
fede a luogo che genera alla fede. In tutto ciò che propone deve partire dal presupposto che i
giovani e gli adulti non hanno la fede ma vanno re – iniziate alla fede cristiana
-In conseguenza a tutto questo, le comunità cristiane sono chiamate a recuperare il linguaggio
originario dell’annuncio: “In un ambiente spesso indifferente se non addirittura ostile al
messaggio del Vangelo, la Chiesa riscopre il linguaggio originario dell’annuncio, che ha in sé due
caratteristiche educative straordinarie: la dimensione del dono e l’appello ad una conversione
continua. Il primo annuncio della fede rappresenta l’anima di ogni azione pastorale”49. Anche
nei casi in cui è avvenuto una sorta di catecumenato familiare, in che cosa consiste spesso la
trasmissione della fede e in quale linguaggio avviene? Il più delle volte abbiamo una trasmissione di
dottrina (dove ancora non è dimenticata), di morale, di valori. L‟attuale distanza dei giovani dalla
fede è anche reazione a questo tipo di trasmissione. Il primo annuncio non contiene la morale, che è
offerta successivamente, dopo la scelta di diventare discepoli di Cristo. Il primo annuncio è prima di
tutto comunicazione gioiosa di un dono, la morte e risurrezione di Gesù Cristo, la grandezza e
pienezza dell‟amore di Dio che si sono manifestate in questo evento. Non a caso il magistero
dell‟attuale Pontefice è iniziato con l‟annuncio dell‟amore come vero nome di Dio: Deus charitas
est, di Dio che è amore. Quel Dio ignoto che cercate ancora oggi senza conoscere è il Dio amore
che ci ha salvati nella morte e risurrezione di suo figlio Gesù. Dalla gioia di chi ha scelto di seguire
Gesù e dalla passione per l‟uomo che la fede trasmette nasce l‟appello alla conversione, che non è
un invito a cambiare per diventare bravi, o per essere perfetti, o perché così non vai bene, ma che è
un invito ad una vita piena, realizzata, più ricca e più bella di come può essere senza Gesù Cristo,
l‟invito a sperimentare che oltre ogni sofferenza scelta o accolta per amore e nell‟amore si può
entrare nella gioia che è più del divertimento perché non sarà più tolta. E‟ vero che tecnicamente il
primo annuncio del Vangelo riguarda le persone non battezzate che non hanno minimamente sentito
parlare di Gesù Cristo, è anche vero che se i giovani e gli adulti battezzati che per qualsiasi motivo
si affacciano alla vita ecclesiale in realtà possono non vivere la fede in Gesù, si è chiamati ad offrire
loro di nuovo un annuncio di Gesù Cristo come se fosse la prima volta, con lo stesso entusiasmo
della prima volta. Come ci dice S. Agostino, chi ha la fede deve entrare nello spirito di una guida
turistica: “Non t’è accaduto mai, facendo ammirare a un tuo amico campagne o città nuove per lui,
di risentirne nuovo piacere tu stesso per la novità del piacere suo, mentre a te solo non avrebbero
più fatto impressione? E questo tanto più fortemente, quanto più è stretta l’amicizia? Più ci
trasfondiamo con l’amore in altri, più troviam nuovo il vecchio”50. Se non è mai capitato a noi di
annunciare il Vangelo come se fosse la prima volta a un altro giovane o a un altro adulto, il rischio è
di perdere la novità della fede. Le proposte ecclesiali sono chiamate a porsi molto nella prospettiva
iniziatica: iniziare alla preghiera, iniziare al rapporto con le Scritture, iniziare alla liturgia, iniziare
alla vita della comunità …
-Una comunità che vuole fare del primo annuncio l‟anima di ogni sua azione pastorale è chiamata in
primo luogo a ritornare alle sorgenti: la S. Scrittura e la liturgia. Fino a che punto il linguaggio
della catechesi si ispira a queste due fonti ed è un linguaggio evocativo, simbolico, prima che
dottrinale e nozionistico? Fino a che punto l‟agire pastorale scaturisce da queste due fonti, ed è
allusivo, un rinvio a Qualcuno, piuttosto che una macchina organizzativa eccessivamente
strutturata? La Parola di Dio ha veramente il primato nella vita delle nostre comunità cristiane? Esse
rispecchiano l‟essenzialità e la sobrietà delle prime comunità cristiane o sono appesantite da eccessi

49
CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, 40 (d‟ora in avanti EVBV)
50
AGOSTINO, De catechizandis rudibus, XII, 17; tr. it. di DE LUCA G., La Prima Istruzione Cristiana, Libreria
Editrice Fiorentina, Firenze 2006, 44
23
di organizzazione e attività? In secondo luogo il primo annuncio presuppone l’ascolto dell’altro. Il
Vangelo va annunziato ai giovani con i linguaggi della vita quotidiana: lo sport, la musica, l‟arte …
Forse abbiamo bisogno di riscoprire lo spessore umano di alcune dimensioni della vita come quella
ludica, quella erotica. Chi annuncia il Vangelo prima di tutto prende atto dell‟impronta che Dio ha
lasciato di sé nelle realtà umane da lui create. I semi del Verbo sono in ogni esistenza
-Una comunità “missionaria” rivede la formazione dei suoi giovani e dei suoi adulti aggregati
in gruppi, associazioni e movimenti. La formazione ricevuta spinge a stare “riuniti” o spinge ad
uscire sulle strade e a mettersi alla prova nell‟esperienza dell‟annuncio del Vangelo come se fosse
la prima volta? In un contesto di fede sfidata, la formazione aiuta a dialogare con questa cultura ed a
rendere conto della ragionevolezza del nostro credere oppure spinge a chiudersi in sé ed a
condividere la fede solo con chi fa le stesse scelte e lo stesso cammino?
-Una Chiesa missionaria è una chiesa unita, in cui i carismi specifici sono valorizzati nella loro
unicità ma convergono per il comune obiettivo dell’evangelizzazione e della formazione degli
evangelizzatori. Il primo annuncio del Vangelo ai giovani e agli adulti non è l‟appalto di qualche
movimento, ma è compito di ognuno alla luce del suo carisma specifico. “La stasi delle parrocchie,
soprattutto nel dopo Concilio, ha avallato il sorgere di nuove realtà ecclesiali: movimenti,
associazioni, comunità di base. Oggi essere cristiani si dice in troppi modi. Se la cosa costituisce di
per sé un elemento positivo, dal punto di vista di chi deve decidersi a diventare cristiano, può
diventare un ostacolo. Si crea infatti una sovrapposizione di frequenze, una sorta di confusione che
può generare paralisi. Un po’ come quando in auto si accende la radio e, non trovando una
frequenza ben udibile, si decide di ascoltare un CD. Il versante meno evangelico della faccenda è la
straordinaria concorrenza che le diverse esperienze cristiane vivono tra di loro”51. A questo
proposito a partire dal convegno ecclesiale di Verona è diventato sempre più insistente l‟appello ad
una pastorale integrata, in quanto il centro della pastorale è la persona nella sua unità: “Una
pastorale integrata mette in campo tutte le energie di cui il popolo di Dio dispone, valorizzandole
nella loro specificità e al tempo stesso facendole confluire entro progetti comuni, definiti e
realizzati insieme. Essa pone in rete le molteplici risorse di cui dispone: umane, spirituali,
culturali, pastorali. In tal modo una pastorale integrata, con le differenze che accoglie armonizza
al proprio interno, rende la comunità in grado di entrare più efficacemente in comunicazione con
un contesto variegato, bisognoso di approcci diversificati e plurali, per un fecondo dialogo
missionario”52. L‟integrazione è territoriale, tra parrocchie nelle unità pastorali, è tra parrocchia e
Chiesa locale in modo che le proposte diocesane diventino parte primaria ed integrante del
cammino di una comunità parrocchiale, tra parrocchia e associazioni e movimenti, tra associazioni,
movimenti, aggregazioni laicali e nuove comunità, tra uffici diocesani per la pastorale, associazioni,
movimenti e parrocchie53. Una chiesa missionaria e unita al suo interno cammina nella storia per
annunciare il Vangelo costruendo alleanze educative54 con le altre istituzioni di un territorio
-Infine, una comunità cristiana che vuole annunciare il Vangelo ai giovani ribalta le priorità
della propria agenda pastorale. Noi siamo abituati ad una organizzazione della vita pastorale in
cui le migliori energie sono dedicate all‟iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi, alle
celebrazioni e alle manifestazioni di pietà popolare, all‟attenzione pastorale verso gli anziani,
diventati ormai una percentuale sempre più grande nei nostri territori. Per l‟annuncio del Vangelo
agli adulti e ai giovani proponiamo timidi tentativi, perché per esso rimangono poco tempo, poche
energie, poche persone disponibili. Ribaltare le priorità non significa trascurare i fanciulli, i ragazzi
o gli anziani, ma, proprio perché la fede giunga alle nuove generazioni e gli anziani rimangano al
centro del rispetto e dell‟attenzione, investire le migliori energie, in termini di tempo, forze, persone
disponibili e risorse economiche, alle famiglie e ai giovani. Una parrocchia ostaggio delle esigenze

51
MATTEO A., Troppo giovani per pensare al futuro …, cit., 161
52
CEI, <<Rigenerati per una speranza viva>> (1Pt 1,3): testimoni del grande <<sì>> di Dio all’uomo, 25
53
CEI, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, 11
54
EVBV, 54-55
24
degli anziani non fa il bene neanche di questi ultimi. Chi si spende per l‟annuncio del Vangelo ai
giovani è chiamato ad apprendere la delicata arte dell‟accompagnamento: “La comunità cristiana si
rivolge ai giovani con speranza: li cerca, li conosce, li stima; propone loro un cammino di crescita
significativo. I loro educatori devono essere ricchi di umanità, maestri, testimoni e compagni di
strada, disposti ad incontrarli là dove sono, ad ascoltarli, a ridestare le domande sul senso della
vita e sul loro futuro, a sfidarli nel prendere sul serio la proposta cristiana, facendone esperienza
della comunità. I giovani sono una risorsa preziosa per il rinnovamento della Chiesa e della
società. Resi protagonisti del proprio cammino, orientati e guidati a un esercizio corresponsabile
della libertà, possono davvero sospingere la storia verso un futuro di speranza”55. Con i giovani
non funziona uno stile direttivo, ed è rifiutato un linguaggio dottrinale e moralistico. Pur
mantenendo l‟asimmetria della relazione educativa e formativa, chi trasmette il Vangelo ai giovani
è un compagno di strada che indica, esorta, suscita, sfida. Chi forma i giovani? Non di certo il
formatore, ma lo Spirito Santo ed essi stessi che diventano corresponsabili della propria formazione.
Un giovane va sostenuto nella scelta di seguire Gesù e nell‟appropriazione personale e progressiva
della vita cristiana. Un buon evangelizzatore e formatore dei giovani si nasconde due volte: prima di
tutto per non ostacolare l‟opera dello Spirito Santo, in secondo luogo per non oscurare in nessun
modo la libertà dei giovani. Chi propone Gesù Cristo e accompagna i giovani non può presumere di
evitare che cadano, che vengano meno, che non siano sempre pienamente coerenti nell‟incarnare il
Vangelo ricevuto. E‟ una persona che continua a camminare con loro nel rispetto dei tempi di Dio e
dei giovani stessi. Ricordava Benedetto XVI ai Vescovi italiani: “Proprio riguardo ai giovani, alla
loro formazione, al loro rapporto con il Signore e con la Chiesa vorrei aggiungere un’ultima
parola. Essi sono infatti, come ha ripetutamente affermato Giovanni Paolo II, la speranza della
Chiesa ma sono anche, nel mondo di oggi, particolarmente esposti al pericolo di <<essere
sballottati dalle onde qua e là da qualsiasi vento di dottrina>> (Ef 4,14). Hanno dunque bisogno di
essere aiutati a crescere e a maturare nella fede: è questo il primo servizio che devono ricevere
dalla Chiesa, e specialmente da noi Vescovi e dai nostri sacerdoti. Sappiamo bene che molti di loro
non sono in grado di comprendere e di accogliere subito tutto l’insegnamento della Chiesa ma
proprio per questo è importante risvegliare in loro l’intenzione di credere con la Chiesa, la fiducia
che questa Chiesa, animata e guidata dallo Spirito, è il vero soggetto della fede, inserendoci nel
quale entriamo e partecipiamo nella comunione della fede. Affinché ciò possa avvenire, i giovani
devono sentirsi amati dalla Chiesa, amati in concreto da noi Vescovi e sacerdoti. Potranno
sperimentare così, nella Chiesa, l’amicizia e l’amore che ha per loro il Signore, comprenderanno
che in Cristo la verità coincide con l’amore e impareranno a loro volta ad amare il Signore e ad
avere fiducia nel suo corpo che è la Chiesa”56

Ciò che è abbozzato è appena un cantiere che può essere sempre più arricchito grazie alla creatività
che lo Spirito suscita nella Chiesa.

55
EVBV, 32
56
BENEDETTO XVI, Discorso ai Vescovi italiani, 30 Maggio 2005
25
26

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