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Domenico Sigalini
È d’obbligo partire da qualche fotografia che ci riporta alla situazione, definita « acquisitiva»,
tipica degli anni immediatamente seguenti alla ricostruzione del dopoguerra. È un mondo
sociologicamente compatto, teso a ideali comuni di ricerca di un benessere minimo,
seguendo modelli importati da Est o da Ovest. I giovani fanno parte del sistema senza nutrire
particolari strategie di cambiamento; sono pronti a subentrare ai genitori nei ruoli fissi e
stabilizzati dalla tradizione. Il mondo religioso è teologicamente compatto attorno ai valori
della tradizione, in uno stato di sopore e di ossequio esagerato alle varie incrostazioni
culturali tradizionali che ricoprono il Vangelo.
I giovani non sono assolutamente una questione; sono chiamati comunemente i giovani delle
tre M: moglie/marito, macchina, mestiere; si preparano, dopo la naia, se sono maschi, o dopo
un’attesa, spesso casalinga, se sono ragazze, al matrimonio, che dà loro finalmente la
tessera d’ingresso nell’ambito mondo degli adulti.
Non esistono luoghi particolari per il loro tempo libero, né preoccupazioni sociali per la loro
tenuta.
I due fatti che danno una svolta decisiva in questo periodo sono il Concilio che conclude e la
contestazione che comincia. Il mondo giovanile ecclesiale è in subbuglio, in cambiamento
ancor prima della contestazione. I giovani erano già mobilitati nelle varie comunità cristiane
quando nella società è iniziata la contestazione. Avevano già cominciato a riscrivere nelle
parrocchie, nelle associazioni, negli oratori la loro voglia di cambiare e di prendersi in mano la
vita. I primi capitoli degli Atti degli Apostoli erano già diventati slogan e sogni di una nuova
comunione ecclesiale, ancor prima che si parlasse di partecipazione politica.
Sono gli anni in cui in maniera quasi verticale tramonta il mito dei giovani: i giovani appena
usati, sono da buttare. Mentre cominciano a prospettarsi risposte anche ben formulate di
partecipazione (cf scuola), il mondo giovanile non è più disposto a ricercare, guarda al mondo
adulto con ironia, si sfilaccia in gruppi violenti, perde la caratterizzazione di massa.
È in questo tempo soprattutto che si può parlare di varietà di modelli di pastorale giovanile. 1
movimenti cercano di dare risposte precise alle istanze educative. Le scelte non sono più
casuali o puramente responsoriali all’emergenza, ma nascono da una elaborazione culturale,
e da una interpretazione di avvenimenti, spesso ideologica, nel senso più corretto del termine
e dalla fedeltà alle varie ispirazioni e vocazioni.
Alcune caratteristiche segnano la pastorale giovanile degli anni 1970:
- La tentazione della palingenesi, con la conseguente assolutizzazione del modello. Ogni
movimento tende ad assolutizzare il suo modo di fare pastorale e a relativizzare gli altri, quasi
che prima non ci fosse mai stato un vero cristianesimo e dovesse proprio cominciare da lì.
Ciascuno crede di avere la soluzione del problema, la formula della salvezza, la proposta
vincente. La ricerca di una forte identità, formulata nel chiuso di una propria visione del
mondo e della Chiesa, assorbe molte energie educative e molte forze ecclesiali.
- L’espropriazione della comunità parrocchiale. Questi nuovi gruppi, se all’inizio hanno aiutato
a scuotere la stanchezza o la sfiducia di tante comunità, lentamente le hanno espropriate di
progettualità, di intelligenza nel rispondere ai problemi locali con soluzioni popolari e adatte
alla situazione.
- La ripresa delle associazioni: è anche il momento in cui le grandi associazioni ricuperano
capacità propositiva orientandosi su una rinnovata proposta educativa e sulla formazione dei
responsabili.
- La ricerca di nuovi modelli formativi:l’animazione. Il problema era anche quello di applicarsi
in termini di ricerca per trovare nuovi modelli culturali formativi, non solo nuovi schemi o
metodi. L’animazione culturale, come stile globale di educazione, viene approfondita, vagliata,
sperimentata e proposta in corsi per animatori, in convegni nazionali, in corsi universitari. Un
chiaro punto di riferimento sono la rivista « Note di Pastorale Giovanile », che ha la costanza
di un lavoro assiduo e puntiglioso, e i convegni ad essa collegati.
- I primi tentativi diocesani di organizzazione della pastorale giovanile partono o da alcune
parrocchie o da alcuni presbiteri appassionati al mondo giovanile, o dai primi sinodi diocesani.
- Il ricupero dell’educativo (cf oratori, gruppi di ragazzi...). Non c’è comunità cristiana che non
senta il problema di ripensare mediazioni educative e che non si impegni capillarmente nella
catechesi per i preadolescenti.
Tutto questo rinnovamento si porta dietro l’urgenza di un piano pastorale o progetto, la
necessità di un coordinamento, la proposta efficace della centralità della comunità cristiana e
la formazione degli operatori.
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