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CS
BIBLIOTECA DI «NUOVA STORIA CONTEMPORANEA»
22
EUGENIO DI RIENZO
STORIA D’ITALIA
E IDENTITÀ NAZIONALE
Le Lettere
In copertina:
1
G. RICUPERATI, Apologia di un mestiere difficile. Problemi, insegnamenti e responsabili-
tà della storia, Roma-Bari, Laterza, 2005, p. 44. Per una garbata messa in guardia contro i
pericoli di una deriva del «politically correct» nel campo storiografico, si veda, invece, R. VI-
VARELLI, I caratteri dell’età contemporanea, Bologna, Il Mulino, 2005, in particolare pp. 273 ss.
2
K.D. ERDMANN, Toward a Global Community of Historians. The International Histo-
rical Congresses and the International Comittee of Historical Sciences, 1898-2000, New York-
Oxford, Berghahn Book, 2005, pp. 134-135. Sullo sviluppo ulteriore di quel progetto,
qualche cenno è in M. VERGA, Storie d’Europa. Secoli XVIII-XX, Roma, Carocci, 2004,
pp. 85 ss.
8 PREMESSA
3
La reazione negativa di Gioacchino Volpe veniva espressa immediatamente dopo il
varo del progetto. Si veda Compte rendu du VI Congrès International des Sciences Histori-
ques, in «Bulletin d’information du Comité International des Sciences Historiques», 1929,
2, p. 145 e Gioacchino Volpe ad Antonio Casertano, Presidente della Camera dei Depu-
tati, 1 settembre 1928, in Archivio Centrale dello Stato (ACS), Presidenza del Consiglio
dei Ministri, 1929, fasc. 14/3, 3432. L’opposizione era ribadita in una serie di articoli
apparsi sul «Corriere della Sera» tra 1929 e 1934, poi raccolti in ID., Pacifismo e storia.
Una macchinosa propaganda. Guerra Pace e Civiltà. La revisione pacifista dei testi. Le “Ri-
soluzioni Casares”, Roma, Istituto Nazionale Fascista di Cultura, 1934, ora anche in ID.,
Storici e maestri, Firenze, Sansoni, 1967, pp. 362 ss. L’opuscolo del 1934 appariva nella
collana «Quaderni dell’Istituto Nazionale Fascista di Cultura», Serie quarta, II. Sui suoi
contenuti si esprimeva, in un resoconto assai positivo, C. MORANDI, in «Scuola e cultura.
Annali dell’istruzione media», 1934, 2, p. 205. Sullo stesso punto, ID., Storia diplomatica
e manuali scolastici (Sul significato del trattato italo-tedesco del 1887), in «Rivista Storica
Italiana», 1938, 3, pp. 100-104, ora in ID., Scritti storici, a cura di A. Saitta, Roma, Istitu-
to Storico Italiano per l’Età moderna e contemporanea, 1980, I, pp. 25 ss.
4
Del tutto condivisibili, a questo proposito, le osservazioni di G. GALASSO, Libera
Storia in libero Stato, in «Corriere della Sera», 21 febbraio 2006. Rimando anche al mio,
Non disarmiamo i guerrieri della memoria, in «il Giornale», 24 febbraio 2005.
PREMESSA 9
nel momento (a partire dai primi decenni del Novecento) in cui il mon-
do intellettuale italiano si propose l’impresa di costruire una storia
nazionale, consona allo spirito del tempo e adeguata all’accresciuto peso
del nostro paese nel contesto internazionale, le pagine che seguono
sarebbero prive della loro materia prima. Ma ciò fortunatamente non
accadde. Ed in questo modo la nostra cultura storica si aprì coraggio-
samente, e a volte, senza dubbio, spericolatamente, ad alcune sfide di
portata epocale, ancora oggi attualissime. Da un lato, l’apertura della
storia d’Italia alla «storia contemporanea», che portò i maggiori intel-
lettuali del nostro paese a concepire, già tra 1917 e 1918, una storia
della «Grande» guerra italiana, come impresa scientifica rigorosa lon-
tana dai rischi emotivi della cronaca, della memoria, della celebrazione,
e poi ad analizzare, in presa diretta, la grande trasformazione del siste-
ma politico italiano dalla stagione liberale al fascismo, accettando i ri-
schi di una navigazione a mare aperto, senza rotte segnate, tra gli infidi
marosi della «storia immediata» e dell’«evento»5. Dall’altro, l’emergere
di una dimensione «pubblica» del sapere storiografico, oggi tante volte
invocata e discussa6, nella quale lo storico professionista avrebbe dovu-
to gestire in prima persona la sfera della divulgazione, individuando
originali canali di comunicazione con il largo pubblico, senza scadere
nella pratica narrativa e senza abbandonare il dovere di un almeno ten-
denziale approssimarsi all’oggettività scientifica. Infine, la necessità di
aprire un confronto storiografico a livello europeo e mondiale, di carat-
tere comparatistico7, in una prospettiva che intendeva valorizzare l’ap-
porto costruttivo di altre discipline, come lo studio delle relazioni in-
5
J. LACOUTURE, La storia immediata, in La nuova storia, a cura di J. Le Goff, Milano,
Mondadori, 1980, pp. 207 ss.; P. NORA, Il ritorno dell’avvenimento, in Fare storia. Temi e
metodi della nuova storiografia, Torino, Einaudi, 1981, pp. 139 ss.; O. DUMOULIN, «Con-
temporanea (Storia)», in Dizionario di scienze storiche, a cura di A. Burguière, Milano,
Edizioni Paoline, 1992, pp. 152 ss.
6
Si veda L’uso pubblico della storia, a cura di N. Gallerano, Milano, Franco Angeli,
1995; L. JORDANOVA, History in Practice, London-New York, Arnold-Oxford University
Press, 2000, pp. 141 ss.
7
G. VOLPE, Programma e orientamenti per una Storia d’Italia in collaborazione e per
una Collana di volumi storici, s. l., s. d. [Bologna, Zanichelli, 1922]. Lo si veda ora in
Appendice, infra: «I collaboratori della Storia d’Italia saranno consapevoli della necessità
di non isolare le vicende dell’Italia, di creare e trovare l’Italia anche entro la chiostra de-
gli altri paesi, per lo meno di quelli su cui essa più ha agito, e dentro la chiostra dell’Italia
cercare e trovare quel che vi è confluito da altre storie ed è diventato tutto una storia con la
sua. Se v’è al mondo paese aperto e ventilato da ogni parte, tutto risonante di echi, tagliato
da mille strade che vi si incontrano, ora tutto proteso verso il di fuori, ora tutto permeato
dal di fuori, questo paese è il nostro, per sua buona e mala ventura. E lo storico deve ave-
re il senso di questa ampiezza, afferrare gli elementi più importanti di questo ricco pano-
rama: condizione indispensabile per dare alla storia della nostra terra o nazione un signi-
ficato, per ritrovare le giuste proporzioni che non possono risultare se non da un sia pur
tacito confronto, per vederla e valutarla anche nella sua individualità nazionale».
10 PREMESSA
***
Nel concludere questo lavoro, dedicato alla memoria di Vittorio
Volpe, mi è grato saldare i miei debiti di riconoscenza con alcuni amici
(Antonino De Francesco, Aurelio Musi, Francesco Perfetti, Guido
Pescosolido), con i quali ho potuto confrontarmi durante la sua stesu-
ra, nel consenso ma anche nel dissenso delle nostre reciproche posizio-
ni. A Giuseppe Galasso, un grazie particolare per la ferma e affettuosa
insistenza con la quale mi ha convinto a redigerlo.
8
M. VERGA, Storie d’Europa, cit., pp. 72 ss.
9
W. BENDERSKY, Carl Schmitt teorico del Reich, Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 293 ss.;
P.P. PORTINARO, La crisi dello “jus publicum europaeum”. Saggio su Carl Schmitt, Milano,
Edizioni di Comunità, 1982, pp. 188 ss.; P. FONZI, Nazionalsocialismo e Nuovo ordine euro-
peo: la discussione sulla “Grossraumwirtschaft”, in «Studi Storici», 2004, 2, pp. 313 ss.
10
C. SCHMITT, L’ordinamento planetario dopo la seconda guerra mondiale, in ID., L’unità
del mondo e altri saggi, a cura di A. Campi, Roma, Pellicani Editore, 2003, pp. 209 ss.
11
E. DI RIENZO, Un dopoguerra storiografico. Storici italiani tra guerra civile e Repub-
blica, Firenze, Le Lettere, 2004, in particolare pp. 371 ss. Per una replica alle numerose
reazioni suscitate dal volume, ID., Un dopoguerra storiografico... Due o tre cose che so di
lui, in «Nuova Storia Contemporanea», 2005, 5, pp. 131 ss.
12
G. RICUPERATI, Apologia di un mestiere difficile, cit., p. 190.
I
CANTIERI DI LAVORO
1
G. GALASSO, A proposito di Storia d’Italia, in ID., Croce, Gramsci e altri storici, Mila-
no, Il Saggiatore, 19782, p. 570, che fa dipendere quell’equazione dalla «necessità di esor-
cizzare spettri che, bisogna pur dirlo, non possono condizionare in eterno il libero movi-
mento della cultura italiana».
2
M. CLARK, Gioacchino Volpe and fascist historiography in Italy, in Writing National
Histories. Western Europe since 1800, edited by S. Berger, M. Donovan, K. Passmore, Lon-
don-New York, Routledge, 1999, pp. 189 ss. Si veda anche R.J.B. Bosworth, Explaining
Auschwitz and Hiroshima: History Writing and the Second World War, London, Routled-
ge, 1994, pp. 125 ss.
3
Sulla storiografia italiana post-risorgimentale, in quanto «propaganda politica» che
«tendeva a creare l’unità nazionale, cioè la nazione, dall’esterno, contro la tradizione», e
sulla sua successiva degenerazione nel mito della «nazione retorica», a partire dalla vigi-
lia della Grande Guerra, cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, edizione critica dell’Isti-
tuto Gramsci, a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 2001, I, pp. 361-363.
4
B. CROCE, Soliloquio di un vecchio filosofo (gennaio 1942), in ID., Discorsi di varia
filosofia, Bari, Laterza, 1959, 2 voll., II, p. 299, dove si parlava della degradazione che il
«simbolo della “patria”» ebbe a soffrire «nei cosiddetti “nazionalismi”», quando fu tra-
dotto o sostituito con l’altro di “nazione” e si fece simbolo di spiriti prepotenti e feroci».
5
Un primo momento di sintesi, non sempre soddisfacente, su questa tematica è nel
volume Writing National Histories. Western Europe since 1800, cit. Sul punto, parzialmente
12 CAPITOLO PRIMO
sioni sulla possibilità, sulla consistenza, sui limiti cronologici e sulla unità
della storia d’Italia. Si faceva di nuovo urgente la necessità di indivi-
duare, nella molteplicità e nella sovrapposizione dei diversi fattori po-
litici, economici, intellettuali, lo «spirito», il «genio», il «carattere»
unificante delle nostre vicende nazionali, considerate in parallelo e in
contrasto con quelle del resto d’Europa.
Nel gennaio del 1915, Giustino Fortunato sosteneva che la debolez-
za italiana (la debolezza di un paese «infinitamente debole, venuto su a
galla per sola virtù del Caso») era soprattutto la poca o nessuna coscienza
«della realtà morale ed economica dell’Italia, dall’unità ad oggi», e
ancora di più «della realtà storica anteriore e durante il miracoloso
periodo del Risorgimento»11. E anche un altro intellettuale del tutto
estraneo ad ogni possibile contaminazione tra storiografia e volontà di
potenza, come Antonio Labriola, tra 1901 e 1902, pur senza abbando-
nare la tesi relativa ad una insussistenza di una «storia generale d’Ita-
lia», fino al 187012, aveva considerato indispensabile interrogarsi sul
problema di una storia della nazione italiana come fenomeno già costi-
tuitosi nel secolo XI, caratterizzato da un’«unità di temperamento e di
inclinazioni, che costituisce il popolo nel senso storico della parola, nel
quale la nazione neo-latina apparisce costituita»13.
Al compiersi dell’unificazione, quel problema era apparso sorpassa-
to «perché l’unità politica finalmente conseguita induceva a non dubi-
tare più dell’unità e della consistenza, fin dai tempi più antichi, della
storia di una nazione, che la geografia politica e la politica internazio-
nale avevano finito con l’identificare col suo paese»14. Ma, poi, la trasfi-
gurazione di quella comunità politica nell’Italia nazione, che il battesi-
mo del sangue di una guerra difficile ma vittoriosa aveva compiuto,
accelerando e a volte esasperando, fino a renderlo ingovernabile, l’im-
petuoso moto di modernizzazione del principio del secolo, e trasfor-
11
G. FORTUNATO, Carteggio, 1912-1922, a cura di Emilio Gentile, Bari, Laterza, 1979,
p. 184. Su Fortunato e la storia d’Italia, soprattutto in rapporto al nodo irrisolto della
«questione meridionale», G. GALASSO, Il pensiero storico di Giustino Fortunato, in «Rivi-
sta Storica Italiana», 1969, 4, pp. 940 ss.; M. SIMONETTI, Risorgimento e Mezzogiorno alle
origini della storiografia contemporanea in Italia. Pietro Silva e Raffaele Ciasca fra “La Voce”
e “L’Unità”, 1911-1915, in «Atti e memorie dell’Accademia toscana di Scienze e Lettere
“La Colombaria”», XXXVIII, 1973, pp. 215 ss., in particolare pp. 264 ss.
12
A. LABRIOLA, Saggi intorno alla concezione materialistica della storia. IV. Da un secolo
all’altro. Considerazioni retrospettive e presagi. Ricostruzione di L. DAL PANE, Bologna, Cap-
pelli, 1925, p. 51: «Noi dobbiamo considerare relativamente passiva la condizione d’Italia,
in tutti gli anni anteriori al 1870, nei quali le altre nazioni direttive posero le premesse e
dettero la prima potente avviata alla presente espansione e gara veramente mondiale».
13
Ivi, p. 52. Sul punto, G. GALASSO, Labriola e la storia generale d’Italia, in «Giornale
critico della filosofia italiana», 2005, 1, pp. 49 ss.
14
ID., L’Italia come problema storiografico, Torino, Utet, 1979, p. 166.
14 CAPITOLO PRIMO
15
Che la costruzione di una storia nazionale, in Italia, si sia, quasi di necessità, inter-
secata e a volte sovrapposta all’elaborazione del mito politico della Nazione lo dimostra
molto bene un libro importante come quello di E. GENTILE, La grande Italia. Il mito della
nazione nel XX secolo, Roma-Bari, Laterza, 2006.
16
G. VOLPE, Bella storia, la storia di Francia! Mentre si riprende a “dissipare gli equi-
voci”, in «Gerarchia», 25 marzo 1923, in ID., Guerra Dopoguerra Fascismo, Venezia, La
Nuova Italia, 1928, pp. 185 ss., in particolare pp. 187 e 188-189.
17
ID., A crisi superata. Constatazioni e previsioni, in «Gerarchia», ottobre 1923, ivi,
pp. 203 ss. Dopo la fine del conflitto, l’Italia appoggiava l’Albania nel contenzioso insor-
to con la Grecia a proposito di alcune questioni territoriali. Un ufficiale italiano, il gene-
rale Tellini, membro della commissione internazionale preposta alla delimitazione dei con-
fini tra i due paesi, veniva ucciso dai greci. In risposta all’eccidio, il 31 agosto 1923, Mus-
solini faceva bombardare Corfù dalla nostra flotta e ne disponeva l’occupazione. Su pres-
sione di Francia e Inghilterra, la Società delle Nazioni obbligava l’Italia a sgombrare l’isola,
in cambio delle scuse del governo di Atene e del versamento, a titolo di indennizzo, di 50
milioni di lire.
CANTIERI DI LAVORO 15
quale Giovanni Gentile aveva già messo in guardia con grande energia18.
Nell’immediato anteguerra, molteplici furono le iniziative in questo
senso, a partire dal progetto di Giovanni Prezzolini, che, tra 1913 e 1914
e più oltre, aveva cercato di impegnare Volpe, Antonio Anzilotti, Arrigo
Solmi nella direzione di una collana di venti monografie sulla storia d’Ita-
lia, opera di diversi autori, da pubblicare nelle edizioni della «Voce»19,
per attuare anche in quel settore gli obiettivi di modernizzazione cultu-
rale che la rivista si prefiggeva e che uno dei condirettori della futura
collezione aveva ampiamente teorizzato in un intervento del 1914, dove
il disegno di una storia nazionale aveva come necessario presupposto
l’abbandono del metodo positivo e la valorizzazione della filosofia idea-
listica anche nel campo degli studi storici, se veramente si era intenziona-
ti ad edificare «una storia italiana, una storia interiore, capace di mostrar-
ci il ritmo dello spirito nostro e della nostra civiltà nel tempo»20, invece di
persistere nella vecchia «retorica, che spesso aveva rispecchiato il sen-
timento politico del nostro Risorgimento e la passione di nazionalità»21.
L’impresa storiografica «vociana» sarebbe stata poi travolta dall’ini-
zio delle ostilità. Ma se la guerra aveva impedito lo svolgimento di quel
progetto, proprio la guerra ne avrebbe direttamente sviluppato altri,
mettendo in moto un circolo, ora virtuoso ora vizioso, tra ricerca del-
l’identità nazionale e analisi del nostro passato remoto e soprattutto
prossimo, nel quale Volpe avrebbe operato da protagonista. In questo
momento, lo storico aveva maturato sostanzialmente il suo divorzio dalle
strettoie della scuola economico-giuridica, attraverso un intenso lavo-
rio di elaborazione delle sue precedenti posizioni, che, se certo non aveva
atteso il momento della guerra per manifestarsi, come si è sostenuto
18
Si veda G. GENTILE, Nazione e nazionalismo, 2 marzo 1917, in ID., Guerra e fede.
Frammenti politici, Riccardo Ricciardi Editore, 1919, pp. 48 ss.
19
G. VOLPE, Prefazione a Toscana medievale. Massa Marittima Volterra Sarzana, Firenze,
Sansoni, 1964, p. XVIII: «Tra il ’13 e il ’14 io – io ed un amico – tratteggiammo il piano
di una Storia d’Italia in collaborazione: e avemmo consensi, sollecitazioni, offerte edito-
riali, come quella di Prezzolini, direttore della “Voce”, volto allora ad una attività di edi-
tore messa al servizio di un rinfrescamento della cultura. La guerra interruppe ogni lavo-
ro preparatorio». Si veda anche Pietro Silva a Giuseppe Prezzolini, 10 maggio 1914 e
Gioacchino Volpe a Giuseppe Prezzolini, Roma, 7 settembre 1964, Archivio Giuseppe
Prezzolini della Biblioteca Cantonale di Lugano, (AGP): «Mi fa piacere questo tenue filo
che, tramite il mio figliolo, si è di nuovo teso fra me e te, dopo quel certo collegamento
che vi fu tra il 1910 e il 1915, e poi di nuovo dopo la guerra, in vista di una Storia d’Italia
in vari volumi, da promuovere».
20
A. ANZILOTTI, Storia e storiografia d’Italia, in «La Voce», VI, 1914, 22, ora in ID.,
Movimenti e contrasti per l’unità italiana, a cura di A. Caracciolo, Milano, Giuffré, 1964,
pp. 353 ss.
21
ID., La storiografia realistica, in «La Voce», I, 1909, 25, ivi, pp. 333 ss., in parti-
colare p. 337.
16 CAPITOLO PRIMO
sulla base delle sue stesse indicazioni22, non si era neppure sviluppato
per semplice esaurimento, come mera partogenesi, e per graduale, quasi
insensibile distacco dalle posizioni degli antichi maestri e compagni di
strada: non solo Roberti, Romano, Tamassia, Caggese, Solmi, Arias, ma
anche Crivellucci, Salvemini, infine Luzzatto, Barbagallo e il gruppo di
«Nuova Rivista Storica»23. L’impulso al cambiamento, al contrario, era
stato in buona parte determinato dall’intensissimo commercio intellet-
tuale instaurato con Benedetto Croce fin dai primissimi anni del seco-
lo, come dimostrava ampiamente la lettera indirizzata al filosofo il 22
gennaio del 1916, nella quale, in un lungo excursus dedicato a France-
sco Novati (illustre filologo romanzo e preside dell’Accademia scienti-
fico-letteraria di Milano), la cui grande erudizione non era riuscita a
superare le angustie del metodo positivo, si manifestava la necessità di
non farsi rinchiudere in quello stesso circuito difettoso e di costruire,
piuttosto, un’indagine del passato nutrita di idee-guida e non solo di
accumulo documentario, per passare ormai dalla piccola storia dei pic-
coli municipi della Toscana medioevale alla grande storia dell’Italia
nazione.
Del resto, voi conoscete meglio di me le virtù e le deficienze del Novati: dello
studioso e dell’uomo. E mi duole che egli sia morto con la persuasione che io
sparlassi di lui, che io gli fossi stato ingrato ecc. ecc. Ogni volta che ho parlato
di lui, ho detto che avrei voluto possedere una metà della sua coltura. Talora
aggiungevo: peccato che egli non la sa o può sistemare in opere organiche. Era
un giudizio, non una malevolenza, da cui io rifuggo sempre. Era forse – dentro
di me – lo spunto di un’idea orgogliosa: che cioè io, forse, con quella vasta coltura
mi sarei sentito capace di far qualcosa di più. Perdonatemi questa confessione
che io fo a voi solo. Certo una volta avevo speranze ed ambizioni e fiducia gran-
de, ora un po’ meno, dopo che da alcuni anni la mia attività di studioso è come
impantanata, cioè si muove a rilento, con molta fatica e scarso frutto. Ma spero
di riprendermi ancora, appena avrò liquidato il mio recente passato. Sto finen-
do ora di stampare il 3° dei lavori sulle minori città toscane (il 1° su Massa è
uscito negli Studi storici, il 2° su Volterra è stampato e non pubblicato, il 3° su
Luni-Sarzana si sta finendo di stampare) scritti 4 o 5 anni fa, ma tali che hanno
seguitato a pesarmi sulle spalle fino ad ora. Voi conoscete forse il 1° – mi pare
di avervene mandato una copia – e vi farò conoscere anche il 2° e il 3° fra qual-
22
Si veda G. BELARDELLI, Il mito della “nuova Italia”. Gioacchino Volpe tra guerra e
fascismo, Roma, Edizioni Lavoro, 1988, pp. 197 ss. Questa ipotesi era stata accreditata da
Volpe, nella Prefazione a Momenti di storia Italiana, Firenze, Vallecchi, 1925, pp.VI-VII,
dove si sosteneva: «Nel caso mio e della generazione mia, è innegabile, come effetto della
guerra e della nuova temperie spirituale precedente la guerra stessa, un maggior apprez-
zamento di taluni valori nell’esame dei fatti storici (ad esempio, nazione invece di classe)».
23
E. ARTIFONI, Salvemini e il Medioevo. Storici italiani fra Otto e Novecento, Napoli,
Liguori, 1990, pp. 163 ss.
CANTIERI DI LAVORO 17
che settimana o mese. Credo siano – dato il genere – migliori; con alcuni capi-
toli forse belli. Ma io non so più, veramente, come giudicarli: forse perché vi ho
vissuto troppo dentro e mi ci sono stancato e tediato troppo. Sono quindi molto
curioso di vedere quale sia il vostro giudizio, che mi dite già scritto in uno dei
saggi sulla storiografia. Forse, prima che sia pubblicato, potrebbe avere gli altri
due volumi che possono o confermare o mutare qualche vostra impressione.
Del resto, si tratta di lavori a cui io tengo sicut et in quantum. Riconosco che, in
un certo senso, possono anche servir di modello a indagini monografiche di sto-
ria locale. È la piccola città vista nei suoi nessi con la più grande storia attorno.
E in Italia, non si può dire che la piccola storiografia di questo genere sia ad un
livello così alto da non potersi avvantaggiare da quei miei lavori. Tuttavia, non
hanno gran valore per quello che è la coltura storica di un paese; per quel che
sono idee direttive; impulsi a batter nuove vie ecc.24.
24
Gioacchino Volpe a Benedetto Croce, Milano, 22 gennaio del 1916. La lettera è
conservata nell’Archivio Benedetto Croce, Fondazione «Biblioteca Benedetto Croce»,
Palazzo Filomarino in Napoli, (ABC). Il riferimento è al saggio di Croce, La storiografia
in Italia dai cominciamenti del secolo decimonono ai giorni nostri. XVII. La storiografia eco-
nomico-giuridica come derivazione del materialismo storico, dove si discutevano ampiamen-
te i lavori di Volpe e Salvemini. Croce aveva terminato di redigere, il 18 febbraio 1915,
questo contributo, che apparirà molto più tardi su «La Critica», XVIII, 1920, pp. 321 ss.,
e che poi entrerà a far parte di ID., Storia della storiografia italiana nel secolo decimonono,
cit., II, capitolo XVIII, pp. 143 ss. La prima edizione dell’opera è del 1921. Il volume era
composto a partire da una serie di saggi pubblicati su «La Critica», tra 1915 e 1920, nelle
annate XIII-XVIII.
25
G. VOLPE, Prefazione a Toscana Medievale, cit., p. XVIII.
26
Sul punto, il mio, Gioacchino Volpe tra la pace e la guerra, 1914-1915, in «Clio», 2005,
2, pp. 229 ss. Su quella rivista, ora, compiutamente, C. PAPA, Intellettuali in guerra. “L’Azio-
ne”, 1914-1916, Milano, Franco Angeli, 2006.
27
Si veda M.U. MIOZZI, La mobilitazione industriale italiana, 1915-1918, Roma, La Go-
liardica, 1980; B. BRACCO, Memoria e identità dell’Italia della grande guerra. L’Ufficio sto-
riografico della mobilitazione, 1916-1926, Milano, Unicopli, 2002. Su Giovanni Borelli, la
voce di A. RIOSA, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia
Italiana, 1972, XII, pp. 541 ss.
18 CAPITOLO PRIMO
28
G. BORELLI, Piano generale del “Corpus” della Mobilitazione e dell’ordinamento del-
l’Ufficio Storiografico, Roma, marzo 1917, pp. 4-5, ACS, Pres. Consiglio, Prima guerra
mondiale, b. 19. 4. 4, fasc. 131.
29
Su di lui, si veda la voce di M. BARSALI, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma,
Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1970, XXIII, pp. 128 ss. Su Dallolio e lo Storiografi-
co, dati interessanti in E. MORELLI, La prima guerra mondiale nelle carte Alfredo Dallolio,
in «Rivista Storica del Risorgimento», 1976, 2, pp. 235 ss.
30
G. PREZZOLINI, Diario, 1900-1941, Milano, Rusconi, 1978, p. 260, alla data del 27
aprile 1917: «Dopo varie settimane di agitazioni e minacce di dimissioni, Borelli ha vinto
la partita. Il ministro lo accredita presso il Comando Supremo e Boselli, ed annunzia uf-
ficialmente l’istituzione dello Storiografico. Lo Stato Maggiore ostile non l’ha spuntata.
La Società del Risorgimento non l’ha spuntata. L’Università non l’ha spuntata».
31
Gini era docente di Statistica all’Università di Padova, Redenti, di Procedura civile
nell’Ateneo bolognese. Belluzzo era direttore della Scuola Motori, presso il Regio Istitu-
to tecnico-superiore di Milano, dove insegnava Meccanica.
CANTIERI DI LAVORO 19
grandiosa parte del piano generale rimarranno nella nuova elaborazione. Oc-
corre soltanto che ve ne persuadiate voi. Comincia tu dal chiedere al Belluzzo
che cosa mai gli salta in mente: mi scrive rinunziando, perché il Ministro della
Guerra ha ceduto l’organo al Dallolio limitandoglielo. Ma che c’entra la serie
tecnica nella limitazione non riesco a vedere: ché anzi del piano rielaborato la
tecnica acquista un posto protagonistico e di rilievo luminoso. Gli scrivo: ma
fagli capire che se gli ostacoli mi vengono aumentati proprio dagli uomini di
cultura, niuna meraviglia che il generoso e tenace mio volere anch’esso una bella
mattina pianti in asso gente e paese cui non si confanno le migliori iniziative.
Trascinalo con te qui; in un giorno avremo combinato e veramente fermato tutto.
Poi apriremo l’Ufficio a Milano, senza un’ora di indugio32.
Volpe arrivava tardi nella Sezione sociale-politica, anche per sue ti-
tubanze personali ad abbandonare Milano, cui si accennava nella cor-
rispondenza. Tardi e sicuramente dopo che Prezzolini aveva pensato di
collocare al suo posto Giovanni Amendola33, e di impegnare nell’orga-
nizzazione dei lavori Ardengo Soffici con la lettera del 10 maggio 1917.
32
Giovanni Borelli a Gioacchino Volpe, 27 settembre 1917, in Archivio Centrale del-
lo Stato, Ministero Armi e Munizioni. Sottosegretariato per le Armi e Munizioni. Ufficio
Storiografico per la Mobilitazione Industriale, (d’ora in poi, USMI), busta 10, fascicolo
«Volpe».
33
Amendola aveva partecipato alla riunione preparatoria dei lavori dello Storiografi-
co del 29 gennaio, come risulta dal verbale della riunione, in USMI, busta 1.
20 CAPITOLO PRIMO
casa sua al deposito, di lì al fronte, poi negli ospedali o in prigionia ecc. Rispon-
dimi e non dir nulla a nessuno34.
37
Si veda P. MELOGRANI, Storia politica della Grande Guerra, 1915-1918, Milano, Mon-
dadori, 19982, pp. 55 ss.
38
Giuseppe Prezzolini a Giovanni Borelli, 12 settembre 1917, USMI, busta 17, fasci-
colo 2.
22 CAPITOLO PRIMO
39
Gioacchino Volpe alla moglie, Elisa Serpieri Volpe, 31 settembre 1917. Questo e
altri documenti, che mi sono stati messi a disposizione dal compianto Vittorio Volpe, sa-
ranno, d’ora in poi, indicati come Carte Volpe (CV).
40
G. PREZZOLINI, Diario, cit., p. 275, alla data del 3 dicembre 1917: «Volpe trova osta-
coli a concluder qualunque cosa nella sua estrema finezza che lo fa dubitare di tutto e di
tutti. Sembra aver la testa sempre qualche centimetro sopra la realtà. Gli passano inosser-
vate cose che dovrebbero fermarlo, e vuol mettere insieme cose che fanno a pugni. È una
mente storica straordinaria, ma come uomo pratico difficile da sopportare».
41
E. GENTILE, “La Voce” e l’Italia giolittiana, Milano, Pan, 1972, pp. 87 ss.
42
Gioacchino Volpe a Giuseppe Prezzolini, 9 ottobre 1921, AGP: «Ah quella Voce!
Ah quel Baldasserani! Se fossero stati degli estranei o dei nemici non mi avrebbero trat-
tato così male, così dispettosamente, come hanno fatto. Sai che da due anni hanno acqui-
stato dalla R. Deputazione di Storia patria di Toscana due miei volumi di ricerche, già stam-
pati dal 1913 e mai pubblicati per la guerra che sopraggiunse, e non hanno voluto met-
terli fuori? Fra Deputazione e Voce mi han fatto mangiare bile in quantità! Ora, se den-
tro il mese non si decideranno, io ricorrerò a rimedi estremi». I due volumi uscivano per
le edizioni della «Voce», nel 1923: Volterra; Lunigiana medioevale. (Storia di Vescovi-Si-
gnori, d’istituti Comunali, di rapporti Stato-Chiesa nelle città italiane nei secoli XI-XV).
CANTIERI DI LAVORO 23
In seguito ai nostri colloqui di questi giorni passati, resta così fissata la divi-
sione del lavoro nella nostra Sezione. Grossamente parlando io mi occuperò
degli argomenti sociali e tu di quelli politici. In particolare restano sotto la mia
direzione, dell’elenco da me stabilito nella relazione del 1 maggio 1917, i se-
guenti temi: le classi sociali. La mobilitazione femminile. I ragazzi e la guerra.
Il folklore. L’assistenza civile. Le associazioni di turismo e di sport. La Nazione
in armi con i seguenti sottotemi: come il paese ha risposto alla mobilitazione.
La propaganda fra i soldati. L’anima del soldato. Lettere di soldati. La vita ses-
suale. Prigionieri in Austria. Passano invece al tuo gruppo: il Papato e la sua
politica. Il clero italiano. I partiti. Il parlamento. La neutralità. Il governo. Lo
spionaggio. La censura. Le colonie. L’emigrazione. La politica estera. Gli irre-
denti. Il conflitto ideale. Rimane altresì inteso che il prof. Buonaiuti, chiamato
da me, passerà alle tue dipendenze. Però egli mi coadiuverà per la Bibliografia
facendo lo spoglio di riviste e quotidiani cattolici. Gli impegni presi da me con
il prof. Granello (Trentini) e con il Ferrari (Partito repubblicano) saranno sciolti
di comune accordo. L’inchiesta della mobilitazione militare sarà anche compiuta
di comune accordo, e cioè io accetterò tutti gli elementi che tu mi potrai indicare,
quali ufficiali informatori nei depositi, e introdurrò nei questionari e nelle norme
quelle domande e quelle istruzioni che ti parranno necessarie per il tuo lavoro.
Però il tema resterà al mio gruppo e sarà trattato da un collaboratore mio44.
43
Giovanni Prezzolini a Gioacchino Volpe, 4 dicembre 1917, USMI, busta 10, fasci-
colo «Prezzolini».
44
Giovanni Prezzolini a Gioacchino Volpe, 3 dicembre 1917, ivi, busta 17, fascicolo
1. Copia di questa comunicazione è anche in CV. Sul punto, si veda anche Gioacchino
Volpe a Giuseppe Prezzolini, 24 ottobre 1917, AGP: «Siamo, presso a poco, sempre allo
stesso punto. Io avevo preparato un piccolo schema di lavoro, che il nostro Borelli avreb-
be dovuto presentare o notificare al Ministro, con alcuni quesiti a cui questi avrebbe do-
vuto rispondere. Ma ieri e oggi non mi è stato possibile veder Borelli. Forse è in giro per
il questionario degli statistici, che incontra qualche difficoltà? I giorni scorsi sono un po’
andato anche io con lui e mi son convinto che questo lavoro di approccio è necessario.
Spero vederlo riapparire prossimamente e concordare con lui il da fare».
24 CAPITOLO PRIMO
I. Il Popolo italiano.
1. Le classi:
a) I contadini.
b) Gli operai.
c) La gente di mare.
d) La piccola borghesia.
e) I grossi capitalisti (mobiliari, immobiliari).
f) Burocrazia.
g) Aristocrazia.
2. Le regioni.
3. Le popolazioni di confine prima e durante la guerra.
4. Gli irredenti in Italia prima e durante la guerra:
a) Trentini.
b) Adriatici.
5. La donna: la sua mobilitazione, la sua nuova condizione nella famiglia.
6. I ragazzi e la guerra.
7. Le organizzazioni religiose:
a) Cattolica: le direttive del Papato e il clero. L’azione dei Vescovi. L’azione delle
minori autorità ecclesiastiche nelle città e nelle campagne. Il Vescovo castrense
e i cappellani militari. I preti soldati.
b) Israelita.
c) Protestante.
d) Massonica.
II. I Partiti.
1. Monarchici, Interventisti (compresi i Radicali), Nazionalisti.
2. Neutralisti.
3. Repubblicani.
4. Cattolici.
5. Socialisti e Anarchici.
III. Preparazione ed Assistenza.
1. L’Italia dall’agosto del 1914 al maggio del 1915: come e perché siamo arrivati
alla guerra.
2. Azione del Parlamento prima e durante la guerra.
3. Assistenza morale e pratica: delle Prefetture, dei Comuni, dei Comitati, delle
Associazioni, distribuzione dei sussidi e dei soccorsi, Case del soldato, Uffici
pacchi, lana, corrispondenza. Ricreatori. Rifugi. Posti di ristoro nelle Stazioni.
L’Opera dello “Scaldarancio”. Iniziative varie.
IV. La disciplina del Paese.
1. La disciplina dei consumi e dei risparmi.
2. La disciplina del lavoro.
3. La disciplina dell’esercito.
4. Lo sport e la guerra.
5. Movimenti popolari.
V. La difesa dello Stato.
1. Spionaggio. Internati. Profughi dei paesi occupati o sgomberati. Polizia.
2. Gli stranieri in Italia prima e durante la guerra.
3. I prigionieri e i disertori austriaci.
4. La censura.
VI. La Nazione in armi.
1. Mobilitazione militare:
a) Come il paese ha risposto alla mobilitazione (i volontari, gli intellettuali, gli
emigrati, gl’imboscati, i renitenti, i disertori, i simulatori di malattie).
b) Come il Governo è riuscito a mobilitare le competenze tecniche e le energie
individuali.
2. La propaganda tra i soldati: Circolari del Comando Supremo, del Governo,
dei Corpi d’Armata, ecc. Conferenze degli Ufficiali ecc.
3. L’anima del soldato: la recluta. Nei Depositi. In zona d’Operazioni. A ripo-
so. In licenza. Negli Ospedali (feriti, ammalati). Il ritorno al fronte dopo la de-
genza negli Ospedali. Il prigioniero.
4. Raccolta di lettere dei soldati.
5. Vita sessuale del soldato: Come sopporta l’astinenza. I postriboli in zona di
26 CAPITOLO PRIMO
46
Ufficio Storiografico della Mobilitazione. Sezione sociale-politica. Programma, USMI,
busta 17, fascicolo 2.
47
Gioacchino Volpe a Giovanni Gentile, Roma, 3 giugno 1943, Archivio della Fon-
dazione Giovanni Gentile (AFG). Su Volpe storico del primo conflitto, C. GHISALBERTI,
Gioacchino Volpe e la Grande Guerra, in «Clio», 2000, 2, pp. 201 ss.
CANTIERI DI LAVORO 27
me, quando sono nel periodo conclusivo di qualche cosa... Mi dispiace solo di
non poter dedicare a te il mio volume... quando si stamperà. E ho paura che
neanche lo dedicherò a Nanni, salvo qualche dedica sottaciuta o sottointesa.
Un libro così al giorno che corre bisogna consacrarlo ai combattenti, ai vivi ed ai
morti. Essi ne sono la materia ideale, da essi mi è venuta l’ispirazione al lavoro48.
48
Gioacchino Volpe a Elisa Serpieri Volpe, 31 agosto 1918, CV. «Nanni» è il diminu-
tivo del figlio dello storico, Giovanni.
28 CAPITOLO PRIMO
49
Gioacchino Volpe a Benedetto Croce, 30 aprile 1918, ABC. Il riferimento è al volume
di B. CROCE, Filosofia dello spirito. IV. Teoria e storia della storiografia, Bari, Laterza, 1917.
50
Gioacchino Volpe a Giovanni Borelli, 18 dicembre 1917, USMI, busta 10, fascico-
lo «Volpe»: «La questione è sempre quella che ti esposi: in questo momento, per lo Sto-
riografico non si può se non preparare il lavoro per il poi. Ed io non mi sento di far di
più. Forse è assurdo pensare di far di più. Non si hanno punti d’appoggio per lavorare ideal-
mente. Essi si formeranno, ma non ci sono ancora. E poi io ho bisogno di qualche espe-
rienza diretta della guerra e degli uomini che la fanno. Quindi io desidero ciò che sai.
Intanto, io ho scritto a Casati se è possibile, nel caso che io non possa pel tramite dello
Storiografico, che egli mi chiami. Caro Borelli, non dolerti. Ma bisogna che io provveda
in qualche modo a far ciò che reputo utile e doveroso».
51
Si veda P. MELOGRANI, Le “Pagine sulla guerra” di Benedetto Croce (e una sua lettera
a Vittorio Emanuele Orlando), in «Il nuovo osservatore», luglio-agosto 1966, pp. 643 ss.
Si ricordino, a questo proposito, i fermi inviti alla riscossa indirizzati da Croce al popolo
italiano dopo Caporetto: Parole di un italiano, in «Giornale d’Italia», 5 novembre 1917, e
Un mondo da ricostruire, in «Vita italiana», dicembre 1917, in ID., Pagine sulla guerra, cit.,
pp. 233 ss. Su Croce e il problema della guerra, G. GALASSO, Croce e lo spirito del suo tempo,
Roma-Bari, Laterza, 20022, pp. 255 ss.
30 CAPITOLO PRIMO
52
Giuseppe Prezzolini a Benedetto Croce, 9 dicembre 1917, in Carteggio. II, cit., pp.
457-458.
53
G. PREZZOLINI, Tutta la guerra, cit.
54
Benedetto Croce a Giuseppe Prezzolini, 10 dicembre 1917, in Carteggio. II, cit.,
p. 458.
CANTIERI DI LAVORO 31
55
Giuseppe Prezzolini a Benedetto Croce, 10 dicembre 1917, ivi, pp. 458-459.
56
Si trattava di alcune postille apparse sulla «Critica» durante il 1916, poi raccolte
con il titolo di Sulla Storia d’Italia, in ID., Pagine sparse. Serie seconda. Pagine sulla guerra,
raccolte da G. Castellano, Napoli, Ricciardi, 1919, d’ora in poi citato come Pagine sulla
guerra, pp. 131 ss.
57
Benedetto Croce a Giuseppe Prezzolini, 16 dicembre 1917, in Carteggio. II, cit., pp.
459-460, dove si obiettava: «Ora occorrerebbe solo gente che afferrasse per gli orecchi
gli Italiani e li costringesse a pensare alla serietà della nostra situazione e a fare il loro
dovere».
58
Giuseppe Prezzolini a Benedetto Croce, 18 dicembre 1917, in Carteggio. II, cit., p.
460. Il riferimento è a B. CROCE, Parole di un italiano, cit.
59
G. PREZZOLINI, Diario, cit., pp. 239-240, alla data del 3 dicembre 1916: «Parlo con
Guido Slataper. Gli dico che la rivoluzione sociale che è avvenuta è più importante del-
l’esito della guerra. Vinca l’Intesa o la Germania, né l’una né l’altra potranno modificare
il collettivismo che è entrato nelle abitudini e nelle menti degli uomini. Un agricoltore,
che paga il 90% del suo reddito in tasse, non è che un impiegato dello Stato».
60
Si veda G. FORTUNATO, Dopo la guerra sovvertitrice, Bari, Laterza, 1921. Sul punto,
M. GRIFFO, Profilo di Giustino Fortunato. La vita e il pensiero politico, Firenze, Cet, 2000,
pp. 58 ss.; pp. 75-76.
32 CAPITOLO PRIMO
Io non intendo come in questi tempi si possa pensare a raccolte storiche sulla
guerra che si svolge. Non bastano gli archivi dello Stato? In verità, codesto
61
Si veda B. CROCE, Il nostro dovere presente, in Pagine sulla guerra, cit., pp. 248 ss.
Sull’evento bellico, come frattura nello sviluppo dell’Italia liberale, si veda ID., Storia d’Ita-
lia dal 1871 al 1915, Bari, Laterza, 19345, pp. 293 ss.
62
R. VIVARELLI, Storia delle origini del fascismo. I. L’Italia dalla Grande Guerra alla
marcia su Roma, Bologna, Il Mulino, 1991, pp. 460 ss. Sul governo Nitti, da diverse e non
sempre condivisibili prospettive, F. BARBAGALLO, Francesco Saverio Nitti, Torino, Utet,
1984; S. D’AMELIO, Francesco Saverio Nitti, Roma-Bari, Laterza, 2003.
63
A. CARACCIOLO, L’“Ufficio storiografico della mobilitazione” e l’intervento di Croce
per il suo scioglimento nel 1919-1920, in Studi storici in onore di Vittorio De Caprariis, Roma,
Tombolini, 1970, pp. 279 ss.; B. BRACCO, Memoria e identità dell’Italia della grande guer-
ra, cit., pp. 149 ss.
64
Giovanni Borelli alla Sezione Milanese dell’Ufficio Storiografico della Mobilitazio-
ne, 3 luglio 1920, USMI, busta 13, fascicolo 2.
65
A. CARACCIOLO, L’“Ufficio storiografico della mobilitazione”, cit., p. 280.
66
Si veda Per un Istituto di scienze storiche e sociali, in «Nuova Antologia», 19 marzo
1919, pp. 118 ss.
CANTIERI DI LAVORO 33
“ufficio storiografico” mi pare wert, dass es zu Grunde geht, e vorrei che voi ed
altri amici che siete ora costà, aiutaste a liquidarlo, perché è il meglio che si
possa fare67.
Era già una condanna senza appello che prefigurava il ruolo di liqui-
datore ufficiale dell’organismo di Borelli, in seguito attribuito ufficial-
mente a Croce, nel settembre del 1919, con la nomina di presidente
della «Commissione pei provvedimenti da adottare per l’Istituto sto-
riografico della mobilitazione»68. Annotando più tardi la sua risposta
favorevole all’incarico propostogli da Nitti, Croce avrebbe fatto riferi-
mento non solo ad un suo precedente giudizio secondo il quale «lo
Storiografico non concluse nulla e servì soltanto a spreco di danaro e a
collocare in posti comodi alcuni che volevano oziare, o profittare, o il-
ludersi di fare»; ma anche al fatto che, in vista di un possibile «stabiliz-
zarsi» dell’ente dopo la guerra, «io richiamai su di esso l’attenzione del
Presidente del Consiglio che mi diè incarico di liquidarlo»69. Delle
manovre di Croce non era d’altra parte all’oscuro Borelli che avrebbe
parlato del pregiudizio del filosofo riguardo al fatto che «da noi si sia
avuta la balorda idea di stampo nettamente imperiale tedesco di com-
mettere allo Stato la scrittura della propria storia»70. Pregiudizio, o in-
tima e motivata convinzione, che in ogni caso molto doveva contare nel
giudizio finale della commissione che Croce inviava a Nitti il 12 gen-
naio con questa lettera di accompagnamento:
67
Benedetto Croce a Roberto Palmarocchi, 20 gennaio 1918, in B. CROCE, Epistola-
rio I. Scelta di lettere curata dall’autore, 1914-1935, Napoli, Istituto italiano per gli studi
storici, 1967, p. 22.
68
Benedetto Croce a Francesco Saverio Nitti, 22 settembre 1919, ivi, pp. 36-37.
69
Ibidem.
70
Lettera di Giovanni Borelli a Francesco Saverio Nitti, s. d. [ma fine del 1919], cita-
ta in B. BRACCO, Memoria e identità dell’Italia della grande guerra, cit., p. 159.
71
Benedetto Croce a Francesco Saverio Nitti, 12 gennaio 1920, in B. CROCE, Episto-
lario I, cit., pp. 43-44. La relazione della Commissione è pubblicata in A. CARACCIOLO,
L’“Ufficio storiografico della mobilitazione”, cit., pp. 282 ss.
34 CAPITOLO PRIMO
Caporetto, con tante recriminazioni, rinfacci, esami storici; con tanto frugar
dentro e gridar alto sui tetti; Caporetto, che già nelle primissime ore aveva as-
sunto per opera nostra, al cospetto del mondo, proporzioni e carattere di irre-
parabile e quasi vergognoso disastro, crebbe, si dilatò ancora di più, rimase nella
storia generale degli eventi bellici come fatto unico, quasi il fatto italiano per
eccellenza, come la guerra italiana. Altre rotte, non molto minori di quella nostra,
con manifestazioni collettive non molto diverse, si verificarono in primavera su
altri scacchieri dell’Intesa. Meglio ancora: venne, nel giugno, la grande resistenza
e la vittoriosa controffensiva nostra sul Piave, con effetti militari, politici, mo-
rali di enorme e generale portata; venne, a fine ottobre, la vittoriosa offensiva
oltre Piave ed oltre monti, che spazzò l’esercito nemico e affrettò la resa anche
della Germania. E pur tuttavia, “Caporetto”, creato un poco, da noi stessi, come
50 anni prima Custoza e Lissa, come venti anni prima Adua; “Caporetto” rima-
se e ancora rimane, e ogni tanto noi Italiani ce lo vediamo buttato fra i piedi da
quanti hanno interesse a fermarci su la nostra strada74.
72
Ivi, p. 282: «Il materiale archivistico, invece, non concerne se non alcuni aspetti
della guerra italiana, e particolarmente quello industriale, escludendone il fondamentale,
cioè quello politico militare».
73
Si veda M. ISNENGHI, La tragedia necessaria. Da Caporetto all’Otto settembre, Bolo-
gna, Il Mulino, 1999, pp. 15 ss.
74
G. VOLPE, Ottobre 1917, dall’Isonzo al Piave, Milano-Roma, Libreria d’Italia, 1930,
pp. 212-213. Su quel libro e le sue polemiche, E. DI RIENZO, Un dopoguerra storiografico,
cit., pp. 118 ss.
CANTIERI DI LAVORO 35
75
Ardengo Soffici a Giuseppe Prezzolini, 28 novembre 1917, in A. SOFFICI, Lettere a
Prezzolini, cit., p. 123: «Dopo la ritirata ho avuto modo di sapere, di parlare, di veder
chiaro in molte altre faccende e il mio giudizio si precisa sempre di più. Il soldato è in-
nocente in gran parte di tutto: la colpa di ciò che è successo va divisa fra tutti coloro che
sono sopra il popolo». Si veda anche, sempre sulla responsabilità della classe dirigente come
causa ultima del disastro militare, A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., II, pp. 736-737.
76
Benito Mussolini a Silvano Fasulo, 30 ottobre del 1917: «Il nostro torto grave ed
imperdonabile è stato quello di aver consegnato la nostra guerra a gente che non la senti-
va, non la voleva, non l’accettava, e l’ha subita come una corvée penosa e pesante più delle
altre. Siamo stati degli ingenui. Sono d’accordo con te, non appena quest’ora tragica sia
passata, bisogna fare risolutamente il processo al modo col quale abbiamo fatto la guerra
e agli uomini, nessuno escluso, nemmeno gli altissimi». Lettera citata in R. DE FELICE,
Mussolini il rivoluzionario, 1893-1920, Torino, Einaudi, 19952, p. 379. Sullo stesso pun-
to, B. MUSSOLINI, Unità d’animi, in «Il popolo d’Italia», 29 ottobre 1917, in Mussolini gior-
nalista, 1912-1922, a cura di R. De Felice, Milano, Rizzoli, 2001, pp. 201-203.
36 CAPITOLO PRIMO
era libero. Vario il grado, comune in quasi tutti la colpa. Chi aveva fatto il male,
chi eccitato, chi aiutato, chi tollerato, chi preparato, chi trepidamente combat-
tuto, e ciò da anni, per vizio di educazione e di tradizione, più grave, più nasco-
sto, più profondo. Il fenomeno più importante era quello dell’esame di coscienza;
ed appunto da questo prese nome un’iniziativa, partita da un gruppo di studio-
si e di combattenti, che, in una circolare diffusa, esprimeva bene il bisogno da
tutti sentito di riprendere in mano e riesaminare la storia della nostra formazio-
ne nazionale77.
Bisogna che, almeno appena sia finita la guerra, la nazione sappia, compia il
suo esame, vegga la storia degli ultimi cinquanta anni, quello che fu, al lume di
quello che deve essere, e che doveva essere. E per questo è necessario preparare
sin da oggi una esposizione sincera, completa, documentata degli errori e delle
colpe che ci hanno condotto alla disfatta del 24 ottobre; così che, a guerra con-
chiusa, gli italiani, leggendo le pagine rivelatrici e riconoscendosi in esse, impa-
rino e sappiano provvedere. Sarà la vendetta dei morti, dei profughi, dei super-
stiti doloranti, dei vili che tradirono inconsciamente e vissero, avanzi di patria
disfatta in essi, infelici fra tutti; sarà la sola vera rinnovazione che deve inco-
minciare dallo spirito. È sorto quindi in alcuni il pensiero di rivolgere appello
agli studiosi ed agli uomini d’azione italiani, capaci, per nobiltà d’animo e per
idealismo morale, di vedere il passato recente – che è poi il presente dal quale
è necessario liberarci – alla luce di questo giudizio della storia che è stata la
guerra, e in particolare la disfatta del 24 ottobre, e di iniziare dalla revisione del
passato la rinascita della volontà nazionale. Secondo le loro speciali attitudini
e preparazione, questi studiosi sceglieranno, ciascuno sulle basi di un piano pre-
stabilito, un lato e un aspetto della vita pubblica italiana da esaminare e da il-
lustrare; sia rifacendo, con occhio critico e con vigore di sintesi, la storia del
Risorgimento, sino ad oggi congerie di documenti o adulazione retorica; sia
ricostruendo l’Italia politica, amministrativa, scolastica, religiosa di prima del-
la guerra; sia, infine, documentando le imprevidenze, gli errori, le colpose e
dolose omissioni, le occulte complicità col nemico nella condotta dell’Italia in
guerra78.
77
G. PREZZOLINI, Vittorio Veneto, Roma, Società Editrice Anonima La Voce, 1920, pp.
5-7. Una prima, breve indagine sul Comitato è in P. MELOGRANI, Storia politica della Gran-
de Guerra, cit., pp. 428-429.
78
Che cosa vuole essere l’Esame Nazionale, in «L’Esame Nazionale», 15 aprile 1918,
pp. 1-2.
CANTIERI DI LAVORO 37
79
Punto di riferimento della corrente democratico-cristiana all’interno dell’Opera dei
Congressi e dei Comitati Cattolici, Romolo Murri, dopo lo scioglimento di quell’associa-
zione voluta da Pio X, fondava la Lega Democratica Nazionale, un movimento politico
cattolico, autonomo e spesso fortemente critico nei confronti della gerarchia ecclesiasti-
ca. Sospeso a divinis, nel 1907, e quindi scomunicato nel 1909, in seguito alla sua candi-
datura al Parlamento in una lista sostenuta dalla Lega Democratica Nazionale, dai radi-
cali e dai socialisti, Murri si presentava ancora candidato nel 1913, nelle fila dei radicali.
Dalla fine del 1914, aderiva al movimento favorevole all’intervento in guerra italiano. Su
di lui, C. GIOVANNINI, Romolo Murri dal radicalismo al fascismo. I cattolici tra religione e
politica (1900-1925), Bologna, Cappelli, 1981.
80
Antonio Colonna di Cesarò, radicale, divenne direttore in età liberale della «Rasse-
gna contemporanea», insieme alla sparuta pattuglia dei «nazionalisti democratici»: Paolo
Arcari, Picardi, Rivalta. Durante la guerra è il presidente della sezione romana della Trento-
Trieste, vicina ai nazionalisti ma anima di molte iniziative unitarie tra le diverse correnti
interventiste. Edoardo Giretti, economista liberista vicino a Salvemini (come lui contra-
rio alla guerra di Libia), nell’immediato dopoguerra fu animatore, con Zanotti-Bianco, del
Gruppo liberista. Francesco Fancello, interventista, volontario e ufficiale degli Arditi, nel-
l’immediato dopoguerra aderisce al gruppo della rivista «Volontà» di Torraca, espressio-
ne del combattentismo democratico. Nicolò, repubblicano in gioventù, firmò con Ago-
stino Lanzillo l’appello costitutivo del Fascio rivoluzionario d’Azione interventista di Roma.
Maggiori dettagli sul gruppo promotore del Comitato e sui successivi aderenti sono in R.
DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario cit., passim.
81
Le prime adesioni, in «L’Esame Nazionale», 15 aprile 1918, p. 15.
38 CAPITOLO PRIMO
82
Ivi, pp. 15-16. La lettera sarebbe stata poi pubblicata, con il titolo Per l’“Esame
nazionale”, in B. CROCE, Pagine sulla guerra, cit., pp. 236 ss.
CANTIERI DI LAVORO 39
te quello della Sinistra, dal ’76 al ’98. Nessun dubbio che, se attorno a questo
lavoro, non certo facile, né forse destinato a raccogliere molte simpatie e inco-
raggiamenti, gli egregi promotori riusciranno a raccogliere un sufficiente nu-
mero di valide forze, che non siano né di uomini politici dilettanti di storia, né
di puri storici, addestrati al metodo della tecnica coscienziosa ed esatta, ma
digiuni di profondo interesse politico e non abituati a cercare la vita dove sol-
tanto essa è, dentro agli animi umani, con tutti i loro bisogni e le loro idee: nessun
dubbio, che sarà l’opera di grandissimo interesse scientifico e di un interesse
vitale pel nostro paese83.
83
G. GENTILE, L’Esame nazionale, in ID., Guerra e fede, cit., pp. 84 ss.
84
Ibidem.
85
G. VOLPE, Ottobre 1917, cit., p. 212.
40 CAPITOLO PRIMO
Come perché in Italia sia stata così povera e insufficiente questa viva vita
della Patria dovrà appunto dire un’inchiesta, risalendo gli ultimi decenni della
86
Che cosa vuole essere l’Esame Nazionale, cit., p. 2.
87
Per il forte influsso di Oriani sulla cultura storiografica italiana, G. VOLPE, Alfredo
Oriani storico e politico, in ID., Scritti sul Fascismo, 1919-1938, Roma, Volpe, 1976, 2 voll.,
II, pp. 153 ss.; W. MATURI, Alfredo Oriani, in Interpretazioni del Risorgimento, Torino, Ei-
naudi, 1962, pp. 377 ss.; L. MANGONI, Alfredo Oriani e la cultura politica del suo tempo,
in «Studi Storici», 1984, 1, pp. 169 ss. Sulla pervasività dell’orianesimo tra mitopoiesi e
senso comune, pagine illuminanti sono in G. ALIBERTI, La resa di Cavour. Il carattere na-
zionale italiano tra mito e cronaca, 1820-1976, Firenze, Le Monnier, 2000, pp. 59 ss.
88
A. ORIANI, La lotta politica in Italia, Bologna, Cappelli, 1946, III, pp. 33 ss.; 107
ss.; 146 ss.
CANTIERI DI LAVORO 41
89
Per un’inchiesta nazionale, in «L’Esame Nazionale», 15 aprile 1918, pp. 3-4.
42 CAPITOLO PRIMO
90
Ivi, p. 15.
91
Piano di lavoro, ivi, p. 8
92
Sul punto, e per quel che segue, R. DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario, cit., al
cap. XI; A. STADERINI, Combattenti senza divisa. Roma nella Grande guerra, Bologna, il
Mulino, 1995, al cap. III; G. PROCACCI, Gli interventisti di sinistra, la rivoluzione di feb-
braio e la politica interna italiana nel 1917, in «Italia contemporanea», 1980, 1, pp. 49 ss.;
A. ROCCUCCI, Roma capitale del nazionalismo, 1908-1823, Roma, Archivio Guido Izzi, 2001,
al cap. IV; A. VENTRONE, La seduzione totalitaria. Guerra, modernità, violenza politica, 1914-
1918, Roma, Donzelli, 2003, al cap. IV.
CANTIERI DI LAVORO 43
ACS, A5G PGM, b. 106, f. 225, sf. 16, ins. 1, Nota della prefettura di Milano, 15
94
maggio 1918.
44 CAPITOLO PRIMO
lorosa fra esse quella dell’ottobre 1917 – e per esaminare, adunare ed accresce-
re le proprie forze ai prossimi e maggiori cimenti, l’Italia avrebbe bisogno di
studiare le sue tradizioni, le origini, gli elementi, i “precedenti” insomma, per
usare una parola corrente, risalendo di parecchi secoli il corso della sua storia.
Che l’anamnesi sia necessaria alla diagnosi e alla prognosi è ottimo canone di
medicina; ma, specialmente in casi di malattie acute, o di fasi acute di malattie
croniche, il sanitario di solito non pospone lo studio delle circostanze più im-
mediate e degli urgenti rimedi alla ricerca minuta e erudita del gentilizio. E non
è malizioso supporre che in questo voler risalire, su per i secoli, al gemino uovo
di Leda, vi sia un intento, forse istintivo, di schivare indagini più recenti e moleste
a determinate correnti politiche che da tre anni si assunsero volentieri la ditta-
tura delle cose nostre, ma non sembrano volerne accettare altrettanto volentie-
ri le responsabilità. Senza risalire al Risorgimento, al Rinascimento, al Medioe-
vo – dove certamente si ritroverebbero le radici della nostra “formazione na-
zionale”, ma ai soli effetti di un fatalismo generico, che non può concretarsi in
nessuna applicazione politica attuale – basta riferirsi alle giornate di Maggio o
poco più in là, per trovarvi i primi anelli di una catena di errori di psicologia
politica; scienza la quale, soprattutto in un popolo come il nostro, ha un’impor-
tanza non minore della diplomazia o dell’arte militare95.
95
G. ZIBORDI, Il disfattismo antisocialista, in «Critica Sociale», 1-15 aprile 1918, pp.
76-78, in particolare p. 76.
96
Piano di lavoro, cit., pp. 6-8.
CANTIERI DI LAVORO 45
97
B. CROCE, La storia come pensiero e come azione, Bari, Laterza, 19393, pp. 32 ss.
46 CAPITOLO PRIMO
Consta a questo Ministero che a far parte del Comitato dal nome di “Esame
Nazionale” – sorto in Roma dal novembre 1917 – si trovano insieme ad uomini
politici, anche ufficiali dell’Esercito, e che altri hanno aderito al programma
che si ripromette l’esame delle vicende della guerra, delle deficienze al fronte e
all’interno e delle relative responsabilità. La partecipazione di ufficiali al suddet-
to Comitato, in aperto contrasto col disposto del Regolamento di disciplina,
deve assolutamente essere impedita. Pertanto invito LL. EE. i Comandanti di
Corpo d’Armata a voler dare quelle disposizioni, che meglio crederanno in-
tonate alla singola situazione del territorio di loro giurisdizione, allo scopo di
impedire che l’infiltrazione nell’Esercito di questo spirito ipercritico non possa
realizzarsi, in opposizione alle norme disciplinari militari e al giuramento di
fedeltà. Dei risultati ottenuti gradirò essere informato con cortese sollecitu-
dine99.
98
Si veda G. SABBATUCCI, La Grande Guerra come fattore di divisione: dalla frattura
dell’intervento al dibattito storiografico, in Due nazioni. Legittimazione e delegittimazione
nella storia dell’Italia contemporanea, a cura di L. Di Nucci e E. Galli della Loggia, Bolo-
gna, Il Mulino, 2003, pp. 107 ss.
99
La circolare è conservata in ACS, PCM, Guerra Mondiale, b. 10L bis, fasc. 19.4.8.
100
Vittorio Emanuele Orlando a S.E. il Generale Vittorio Zupelli, Ministro della
Guerra, 18 luglio 1918, ivi.
CANTIERI DI LAVORO 47
Ho ricevuto dal Comando del Deposito di Spoleto le unite due lettere, una
a me diretta, l’altra diretta al capitano Lanzillo Agostino, comandato presso il
mio Ufficio. V.E. vedrà il contenuto di esse. Non voglio portare alcun giudizio
intorno alle lettere stesse ma devo ritornarle a V.E., da che ripugna alla mia
coscienza di italiano e di studioso dare comunicazione del loro contenuto al
capitano Lanzillo. Mi consenta in ogni modo V.E. di dichiarare che la persona
o le persone le quali hanno creduto che “L’Esame Nazionale” potesse costitui-
re una Associazione con fini di sovvertimento della disciplina dell’Esercito non
hanno neppure letto (o se hanno letto non hanno compreso) il bollettino che,
per determinare le proprie finalità, “L’Esame Nazionale” ha pubblicato in data
101
Su di lui, il profilo di G. SIRCANA, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Isti-
tuto dell’Enciclopedia Italiana, XVII, 1982, pp. 521 ss.
102
P. MELOGRANI, Storia politica della Grande Guerra, cit., pp. 474-475.
103
Si veda R. BERNARDI, Agostino Lanzillo tra sindacalismo, fascismo e liberismo (1907-
1952), Milano, Edizioni Unicopli, 2001.
48 CAPITOLO PRIMO
15 aprile decorso. Se V.E. vorrà esaminarlo o farlo esaminare vedrà che si tratta
di una Associazione che si propone scopi di studio storico critico e di pubbli-
cazioni e di volumi che saranno scritti dagli uomini più cospicui nel campo in-
tellettuale italiano. Comunque mi consenta V.E. di trovare singolare che si di-
mentichi che la maggioranza degli ufficiali italiani hanno un passato, come stu-
diosi e come uomini politici e che nessuno può loro richiedere, quando, come
fanno e come ne danno quotidiana prova, compiono il loro dovere come solda-
ti e come cittadini, che essi rinneghino o dimentichino il loro passato o vivano
avulsi dalla vita nazionale, nella quale devono ritornare come una forza viva per
la grandezza del nostro Paese. Son certo che V.E. non può dissentire da questo
sentimento e che vorrà provvedere perché, riesaminata la cosa, non faccia luo-
go ad atti che servirebbero non a rafforzare, ma a indebolire la compagine na-
zionale ed eventualmente a riscavare fra Paese ed Esercito quel solco che già ci
portò così amari frutti104.
104
Ubaldo Comandini a S.E. il Generale Vittorio Zupelli, Ministro della Guerra, 28
luglio 1918, ACS, PCM, Guerra Mondiale, b. 10L bis, fasc. 19.4.8.
105
Ubaldo Comandini a S.E. Vittorio Emanuele Orlando, Presidente del Consiglio dei
Ministri, 28 luglio 1918, ivi.
106
Si vedano R. COLAPIETRA, Leonida Bissolati, Milano, Feltrinelli, 1958, pp. 250 ss.;
P. MELOGRANI, Storia politica della Grande Guerra, cit., pp. 182 ss. e passim.
CANTIERI DI LAVORO 49
Per l’Esame Nazionale, il Comitato ha fatto poco sino ad ora per vari motivi:
la crisi provocata dall’ukase del ministro della guerra, la mia assenza da Roma
e specialmente l’incerta situazione internazionale ed interna. Ma ormai queste
difficoltà cessarono ed è il caso di incominciare. Abbiamo, come vedrete dal
foglio accluso, buone adesioni di collaboratori. I sottoscrittori sono sino ad ora
una quarantina. Cerchiamo l’editore. Vorreste dirci se e a quali condizioni as-
sumereste l’ufficio? Abbiamo stabilito di compensare gli autori con una parte-
cipazione agli utili lordi. Una quota parte di questi andrebbe anche al Comita-
to. Il contratto potrebbe essere per una prima serie di fascicolo, un 100 pagine
l’uno, o volumi da un 400 pagine (più lavori in un volume). Formato: quello
della Critica, a un dipresso per la prima edizione. La proprietà dei lavori reste-
rebbe al Comitato. In questo sono G. Gentile, G. Ferretti, F. Momigliano, N.
Fancello, A. Lanzillo, V. Torraca ed io. Altri aggregheremo. Qualche lavoro sarà
pronto in breve. Altri ne solliciteremo appena concluso l’accordo editoriale109.
107
Leonida Bissolati a S.E. Vittorio Emanuele Orlando, Presidente del Consiglio dei
Ministri, ACS, PCM, Guerra Mondiale, b. 10L bis, fasc. 19.4.8.
108
Il ministro della Guerra a S.E. Vittorio Emanuele Orlando, Presidente del Consi-
glio dei Ministri, 8 ottobre 1918, ivi.
109
Romolo Murri a Giuseppe Prezzolini, 23 aprile 1919. Lettera pubblicata in Giu-
seppe Prezzolini e il dibattito modernista, a cura di A. Botti, in «Fonti e documenti per la
storia del Modernismo», X, 1981, pp. 319-320.
50 CAPITOLO PRIMO
110
C. BARBAGALLO, Una nuova Storia d’Italia, in «Nuova Rivista Storica», VI, maggio-
agosto 1922, III-IV, pp. 386 ss., in particolare p. 386.
111
Il programma di Romano veniva parzialmente riprodotto e commentato da G.
LUZZATTO, Una Storia d’Italia..., in «Nuova Rivista Storica», III, settembre-dicembre 1919,
V-VI, pp. 664-665. Sul punto anche, Gaetano Salvemini a Pietro Silva, 12 febbraio 1919,
in ID., Carteggio 1914-1920, Roma-Bari, Laterza, 1984, p. 447: «Rodolico ti ha scritto del
progetto di “storia d’Italia”? Non potresti fare una scappata a Firenze per parlarne con
noi?».
CANTIERI DI LAVORO 51
Ti avverto che a Milano hanno già preso l’iniziativa della “Storia d’Italia”
con collaborazioni di Volpe, Salvemini, Rota, Fedele, etc. Mi hanno scritto
perché firmi il contratto con l’editore per un volume sul ’500. L’editore è Val-
lardi: il piano dell’opera è come l’avevamo pensato noi. Anche il Battistelli pre-
para una serie di volumi sui grandi pensatori italiani (Machiavelli, Sarpi, Catta-
neo, etc). Che ne dici? Ti scrivo sotto l’impressione della nostra grande vittoria.
Abbiamo – se Dio vuole – vinto da soli (questo forse dispiacerà a qualcuno).
Siamo non un piccolo popolo, ma un grande popolo e questa fede vale più, mio
caro, di tutte le formulette massoniche, che si stanno riverniciando. Ormai ci sia-
mo guadagnati non solo l’Adriatico, ma anche il Mediterraneo orientale. Si deve
andare in Asia minore non per noi, ma per i nostri figli! W l’Italia112.
112
Antonio Anzilotti a Giuseppe Prezzolini, 2 novembre 1918, AGP.
113
Sull’Università Popolare di Milano, gli interventi di D. PINARDI e M.L. CICALESE,
in La cultura milanese e l’Università popolare negli anni 1901-1927, a cura di U.A. Gri-
maldi, Milano, Franco Angeli, 1983. Sull’irradiamento delle Università popolari a livello
nazionale, F.L. PULLE, Venti anni di vita delle Università popolari: (Federazione Nazionale
delle Università popolari, scuole libere e associazioni pro coltura popolare. Comitato federa-
le), Bologna, Azzoguidi, 1921; M.G. ROSADA, Le Università popolari, 1900-1918, Roma,
Editori Riuniti, 1975.
114
Catalogo ragionato per una Biblioteca di cultura generale, Storia, Milano, Federazione
Italiana delle Biblioteche Popolari, s. d. [ma 1913].
52 CAPITOLO PRIMO
te di maggio» del 1915, «che furono una vera rivoluzione, poiché, ri-
svegliando le energie sopite della grande maggioranza del popolo ita-
liano, rivelarono che questo era ormai cosciente della sua forza e geloso
della sua dignità nazionale, era ormai capace di levarsi concorde contro
le speculazioni politiche tese nell’ombra»115.
A questi programmi si sarebbe aggiunto, a breve, quello della «Sto-
ria d’Italia in collaborazione», che Volpe, nel corso del 1921, annuncia-
va in una serie di lettere indirizzate ad Alessandro Casati, Giovanni
Gentile, Fortunato Pintor, Benedetto Croce. Una corrispondenza, dove
alla concisa esposizione dei criteri della nuova collezione storica, che
avrebbe dovuto iniziare le pubblicazioni tra 1923 e 1924 per conclu-
dersi nel triennio successivo, si accompagnava un urgente e a volte
imperioso «call for book» rivolto ai futuri collaboratori, del quale uno
dei primi destinatari era stato Guido de Ruggiero, il 18 marzo 1921.
115
A. SOLMI, Il Risorgimento italiano, 1814-1918, Milano, Biblioteca della Università
Popolare Milanese e della Federazione Italiana delle Biblioteche Popolari, 1919, p. 73.
CANTIERI DI LAVORO 53
tranno aver pratica maggiore ma hanno anche abiti professorali!). Lei conosce
l’Inghilterra. Non potrebbe addossarsi il volume su Italia e Inghilterra nel XIX
secolo? Vi sono da lumeggiare i rapporti con la Sicilia e i Borboni nel primo
XIX secolo, la politica inglese nei vari scacchieri del Po, in ordine al Piemonte
e all’Austria, allo Stato della Chiesa, al Regno di Napoli, le correnti dell’opinio-
ne pubblica inglese durante il Risorgimento, ciò che i nostri (cito Cavour) han-
no preso o aspettato dall’Inghilterra e sua coltura e sue istituzioni politiche, la
posizione delle due nazioni, l’una di fronte all’altra negli ultimi decenni ecc.
Oppure la Francia e l’Italia nel XIX secolo. Rapporti in certo senso più compli-
cati. Gli italiani sono vissuti nell’orbita del pensiero politico francese, nel tem-
po stesso che avevano o acquistavano la consapevolezza di questa loro scarsa
autonomia e cercavano di liberarsene, anche per giungere alla indipendenza
politica (Balbo, Gioberti, lo stesso Mazzini, che tuttavia dipende molto dall’89,
pur mentre considera la Francia del suo tempo come non più capace di dire la
parola nuova, riservata invece all’Italia). E poi il 1859, la politica napoleonica
del decennio successivo, la Francia degli ultimi tempi in rapporto a noi, certi
influssi del socialismo francese sul pensiero dei nostri sulla metà del secolo (Gio-
berti, Pisacane, ecc.). Tutte cose che già i due scrittori dei volumi di storia toc-
cano, ma che meritano poi una trattazione a sé. Ho in mente dei volumi su le
400 pagine, del formato della sua storia della filosofia o presso a poco, con un
piccolo ma succoso corredo di erudizione bibliografica in fondo al volume o ai
capitoli. L’editore fa condizioni piuttosto buone ed è Zanichelli. Ci pensi qual-
che giorno: ma, la prego, non troppo, perché avrei fretta di conchiudere, e poi
mi risponda affermativamente. E se ha qualche nome da propormi per uno di
quei due volumi e magari anche per un volume su la monarchia meridionale dal-
l’XI al XIV secolo (fino a che, cioè, cessa di rappresentare un mondo piuttosto
a sé nell’Italia cittadina e borghese e sfocia nell’Italia dei principati), che potrei
desiderar di inserire nella 1° serie dei volumi, mi farà piacere116.
116
Gioacchino Volpe a Guido de Ruggiero, Milano, 18 marzo 1921. La lettera è con-
servata nel Fondo Guido de Ruggiero, Fondazione Spadolini-Nuova Antologia di Firen-
ze, d’ora in poi FGDR.
117
Nel 1921, de Ruggiero aveva pubblicato, presso Vallecchi, L’Impero britannico dopo
la guerra.
118
Gioacchino Volpe a Guido de Ruggiero, Milano, 14 aprile 1921, FGDR.
54 CAPITOLO PRIMO
rale in Europa nel secolo XIX. Un tema in qualche misura non estraneo
a quella sua ricerca «sul movimento storico-politico napoletano, da Vico
a Cuoco»119, ampliatasi e poi edita in volume nel 1922120, che tra 1918 e
1920 aveva preso forma per la prima volta in tre puntate su «Politica»:
la rivista nazionalista di Francesco Coppola e di Alfredo Rocco, con la
quale, dopo molti dubbi, de Ruggiero aveva acceso una collaborazione
che aveva incontrato il pieno gradimento di Benedetto Croce121. Ambe-
due le offerte trovavano l’immediato consenso di Volpe nella lettera del
22 maggio 1921:
Mi piace il tema che lei mi propone e che in parte contiene quegli altri propo-
sti da me: Il movimento liberale in Europa nel secolo XIX: cioè, dottrine, con le
loro radici nel XVIII secolo; atteggiamento o fisionomia varia che prendono nei
vari ambienti e nazioni europee, specie nei più vicini a noi più connessi; fatti sociali
da cui il liberalismo trae alimento; rapporti con i movimenti nazionali ecc. Così,
siamo intesi: lei lavorerà su questo tema e non ho dubbi che debba e possa riusci-
re un volume di molto interesse e non solo per i cultori di studi storici, ma per
quanti cercano orientamenti nel campo delle idee e della azione pratica. Questo
tutti dovremmo proporcelo e ce lo proporremo: ma vi sono problemi che si pre-
sentano subito e direttamente come problemi di vita presente, anche agli studiosi
di vita pratica. [...] E mi piace anche l’Omodeo, che lei mi propone. Pensavo alla
Controriforma, ma non avevo sottomano l’uomo. Ho anche io molta considera-
zione per l’Omodeo. Ricordo che anni fa, in un concorso per il perfezionamento
all’estero, io sostenni l’Omodeo che si presentava con il mss. di quel suo lavoro
sul cristianesimo primitivo. E non dipese da me se non riuscì122.
119
Guido de Ruggiero a Benedetto Croce, 23 agosto 1918, ABC.
120
Si veda G. DE RUGGIERO, Il pensiero politico meridionale nei secoli XVIII e XIX, Bari,
Laterza, 1922.
121
Nelle lettera a de Ruggiero del 29 novembre 1918, Croce definiva «utilissima la
campagna che la vostra rivista intraprende in un momento in cui gli ideologi democratici
operano da veri (e, quel che è peggio, inconsapevoli) traditori d’Italia». Cfr. B. CROCE, Epi-
stolario, I, cit., p. 32.
122
Gioacchino Volpe a Guido de Ruggiero, Milano, 22 maggio 1921, FGDR. Per quello
che riguardava il riferimento ad Omodeo, occorre ricordare che questi, nel maggio 1913,
aveva partecipato al concorso per una borsa di studio di perfezionamento all’estero. La
commissione era composta da Zuretti, Cardinali, Villa, Fasola, Volpe. Il concorso si chiu-
deva il 6 giugno 1913, con la vittoria di Umberto Mancuso. Sul punto, Carteggio Gentile-
Omodeo, a cura di S. Giannantoni, Firenze, Sansoni, 1974, pp. 80 ss. Ma si veda anche la
lettera di Volpe a Giovanni Gentile del 12 giugno 1913, conservata in AFG: «Aspettando
il treno in stazione. Ebbi la tua lettera a Pintor e con molto piacere vidi confermato il
giudizio che già avevo espresso sul Dott. Omodeo. Il quale, se fosse stato laureato qual-
che anno prima e se avesse presentato a stampa almeno una parte del suo lavoro, non
dubito che sarebbe entrato in gara per la vittoria. Ma era lì un altro candidato del quale
Zuretti ha detto mirabilia; un candidato che già insegna da 3 anni ed ha vinto un paio di
concorsi ed ha presentato molta roba stampata che il Cardinali ha giudicato bene, e lo
Zuretti benissimo... Sarà per un altro anno. Certo, in questi concorsi, il giudice che viene
già prevedendo e calcolando la vittoria dell’uno o dell’altro si trova in condizioni di su-
periorità su quello che vuole prima pesar tutti i candidati e poi decidersi».
II
1
I testi della polemica sono raccolti in M. MISSIROLI, Polemica liberale, Bologna, Za-
nichelli, 19543, pp. 3 ss.; G. GENTILE, Dopo la vittoria. Nuovi frammenti politici, Roma,
Società Anonima Editrice La Voce, 1920, pp. 162 ss. Per le citazioni, si veda, rispettiva-
mente, p. 18 e p. 186.
56 CAPITOLO SECONDO
La tesi pratica che il Missiroli derivava dalle sue premesse, definendo libe-
rale l’opera dei socialisti in Italia, era assai brillante e seducente nel campo sto-
rico: mentre in sede teorica il metodo missiroliano fa rivivere un pensiero gene-
ricamente progressista, che ripete l’impotenza degli illuministi nel tentativo di
definire il progresso, ossia in sostanza non sa dirci come la teoria professata
debba incarnarsi in azione politica. Il Gentile alla sua volta confondeva libera-
lismo con arte di governo. Privo del senso delle distinzioni e delle lotte prati-
che, egli si riduceva a un concetto del liberalismo come risultante di forze op-
poste, come conservazione che è anche innovazione, ossia al vecchio pensiero
moderato che non vuole andare né a destra né a sinistra e pretende di masche-
rare i propri interessi conservatori gabellandoli per interessi generali. Del resto
in tutta l’equivoca concezione del Gentile, che vanamente si appella a Mazzini
e a Cavour, si scorge l’assenza più desolante di ogni generosa passione per la
libertà2.
2
P. GOBETTI, Il liberalismo italiano, in «La Rivoluzione liberale», 1923, 14, pp. 57-58.
3
Si veda G. GALASSO, Italia democratica. Dai Giacobini al Partito d’Azione, Firenze,
Le Monnier, 1986, pp. 123 ss.
4
Sulle ipotesi di riforma liberale portate avanti da Sonnino e Salandra, B. VIGEZZI,
Da Giolitti a Salandra, Firenze, Vallecchi, 1969; E. GENTILE, Il mito dello Stato nuovo. Dal
radicalismo nazionale al fascismo, Bari, Laterza, 20022, pp. 73 ss. Sull’eresia liberale di
Giovanni Borelli, B. VIGEZZI, Da Giolitti a Salandra, cit., pp. 32 ss.; 287 ss.; 318 ss. e la
voce di A. RIOSA, in Dizionario Biografico degli Italiani, cit. Su tutti questi temi, un qua-
dro, tuttora insostituibile, è in G. VOLPE, Italia moderna, con un’Introduzione di F. Per-
fetti, Firenze, Le Lettere, 20024, 3 voll., II, pp. 424 ss.; III, 227 ss.; 316 ss. e passim.
LIBERALISMO E STORIA D’ITALIA 57
5
Si veda, rispettivamente, E. GENTILE, Il mito dello Stato nuovo, cit., pp. 93 ss.; G.
GALASSO, Croce e lo spirito del suo tempo, cit., pp. 252 ss. e passim. Qualche spunto felice
è anche in P. VITA-FINZI, Le delusioni della libertà, Firenze, Vallecchi, 1961, pp. 103 ss.
6
Diversamente, E. GENTILE, Il mito dello Stato nuovo, cit., p. 255: «Nella figura del
duce, come istituto permanente dello Stato nuovo, prendeva forma definita l’idea dell’uo-
mo di Stato vagheggiata dal radicalismo nazionale, diverso dall’uomo di Stato liberale
espresso da una maggioranza parlamentare, da questa condizionato nella sua azione e vin-
colato dalle regole della costituzione e delle leggi».
7
G. VOLPE, Italia moderna, cit., I, pp. 181 ss.
8
Si veda R. DE MATTEI, Il problema della democrazia dopo l’Unità, Roma, Istituto
Nazionale Fascista di Cultura, 1934; ID., Dal trasformismo al socialismo, Firenze, Sanso-
ni, 1940, dai quali sono tratte tutte le citazioni. Un recente profilo di questo studioso è in
L. RUSSI, Il passato del presente. Rodolfo De Mattei e la storia delle dottrine politiche in Italia,
Pescara, Edizioni Scientifiche Abruzzesi, 2005.
58 CAPITOLO SECONDO
9
R. DE MATTEI, Sul metodo, contenuto e scopo di una Storia delle dottrine politiche, in
«Archivio di Studi Corporativi», 1938, 2, pp. 233 ss.
10
ID., Il problema della democrazia dopo l’Unità, cit., p. 57.
LIBERALISMO E STORIA D’ITALIA 59
11
Si veda G. AMENDOLA, Fra Dio e il diavolo, in «La Cultura Contemporanea», 1-16
settembre 1910, pp. 277 ss., dove si denunciava «quella volgare gazzarra che è la politica
democratica nei paesi latini e soprattutto in Italia». Il passo è citato in G. CAROCCI, Gio-
vanni Amendola nella crisi dello Stato italiano, 1911-1925, Milano, Feltrinelli, 1956, p. 16.
Ma per la messa a punto di questa definizione sul piano storiografico, si veda G. GALAS-
SO, Potere e istituzioni in Italia. Dalla caduta dell’Impero romano ad oggi, Torino, Einaudi,
1974, pp. 222 ss.; ID., Italia nazione difficile. Contributo alla storia politica e culturale del-
l’Italia unita, Firenze, Le Monnier, 1994, pp. 97 ss.
60 CAPITOLO SECONDO
12
G. PREZZOLINI, Da Giolitti a Sonnino, in «La Voce», 16 dicembre 1909, ora in ID.,
La Voce, 1908-1913. Cronaca, antologia e fortuna di una rivista, con la collaborazione di
E. Gentile e V. Scheiwiller, Milano, Rusconi, 1974, pp. 661-662. Sulla polemica antigio-
littiana di questa rivista e le sue ampie oscillazioni nel giudizio sullo statista piemontese,
si veda E. GENTILE, “La Voce” e l’età giolittiana, Milano, Pan, 1972, pp. 51 ss.
13
Si veda G. ANSALDO, Giovanni Giolitti. Il Ministro della buona vita, con una Introduzio-
ne di F. Perfetti, Firenze, Le Lettere, 2002, pp. 74-75; 212 ss.; 254 ss. Ma sul «vario antigiolit-
tismo», si vedano le pagine di sintesi di E. GENTILE, Il mito dello Stato nuovo, cit., pp. 31 ss.
14
G. D’ANNUNZIO, Arringa al popolo di Roma in tumulto, la sera del XIII maggio
MCMXV, in ID., Per la più grande Italia. Orazioni e messaggi, Roma, L’Oleandro, 1938,
pp. 68-69.
15
P. GOBETTI, Giolitti, giolittismo e antigiolittismo, in «Energie Nove», 5 luglio 1919,
in ID., Scritti politici, a cura di P. Spriano, Torino, Einaudi, 1960, pp. 125 ss.
LIBERALISMO E STORIA D’ITALIA 61
16
C. MALAPARTE, I custodi del disordine, Milano, Aria d’Italia, 1953, p. 21. La prima
edizione del volume veniva edita a Torino, Fratelli Buratti Editori, 1931.
17
Ad un parziale recupero, operato da distinti versanti, del valore della politica gio-
littiana (G. GALASSO, Italia nazione difficile, cit., pp. 148 ss.; E. RAGIONIERI, La storia poli-
tica e sociale, in Storia d’Italia. Dall’Unità a oggi. IV. 4, Torino, Einaudi, 1976, IV. 3, pp.
1866 ss.) fa riscontro il severo giudizio sul giolittismo, articolato da R. ROMEO, Italia mo-
derna fra storia e storiografia, Firenze, Le Monnier, 1977, pp. 140 ss. Giudizio che, nel suo
complesso, molto ancora deve a G. VOLPE, Italia moderna, cit., III, pp. 241 ss.
18
Si veda B. CROCE, Storia d’Italia, cit., pp. 65 ss., dove l’espressione non è diretta-
mente riferita a Giolitti; G. VOLPE, Italia moderna, cit., III, p. 244.
19
A. LABRIOLA, Storia di dieci anni, 1899-1909, Milano, Il Viandante, 1910, p. 232.
62 CAPITOLO SECONDO
20
Gioacchino Volpe a Giovanni Gentile, 1 maggio 1909, AFG. Contro quell’esclu-
sione, Croce scriveva una lettera aperta di protesta al ministro della Pubblica istruzione,
Luigi Rava, sulle pagine di «Nuovi doveri». La lettera veniva ristampata anche su «La
Voce» e veniva infine edita separatamente: B. CROCE, Il caso Gentile e la disonestà nella
vita universitaria italiana, Bari, Laterza, 1909. La mancata chiamata di Gentile suscitava
lo sdegno di numerosi intellettuali, come Giustino Fortunato. Sul punto, si veda Giovan-
ni Gentile a Benedetto Croce, 2 giugno 1908, in Giovanni Gentile, Epistolario V. Lettere
a Benedetto Croce, a cura di S. Giannantoni, Firenze, Sansoni, 1976, pp. 216-217.
21
Si veda G. SALVEMINI, Il ministro della mala vita. Notizie e documenti sulle elezioni
giolittiane nell’Italia meridionale, a cura di S. Bucchi, con una nota di G. Arfé, Torino,
Bollati Boringhieri, 2000.
LIBERALISMO E STORIA D’ITALIA 63
22
Gioacchino Volpe a Gaetano Salvemini, s. d., s. l. [ma 1913] in G. SALVEMINI, Car-
teggio, 1912-1914, a cura di E. Tagliacozzo, Roma-Bari, Laterza, 1984, p. 128. Sulla de-
nuncia dei brogli e delle violenze che contraddistinsero le elezioni pugliesi del 1913, a cui
Salvemini aveva partecipato, si veda la campagna di stampa organizzata dal periodico di-
retto da Salvemini, ora pubblicata in L’Unità di Gaetano Salvemini, a cura di B. Finoc-
chiaro, Venezia, Neri Pozza Editore, 1958, pp. 263 ss.
23
P. GOBETTI, Il liberalismo italiano, cit., p. 58: «Dopo il ’70, il partito liberale, risul-
tante di tutte le debolezze teoriche ed obiettive, è svuotato dalla sua funzione rinnovatri-
ce perché privo di una dominante passione libertaria e si riduce a un partito di governo,
ad un equilibrismo per iniziati, che esercita i suoi compiti tutori ingannando i governati
con le transazioni e gli artifici della politica sociale. La pratica giolittiana fu liberale solo
in questo senso conservatore, e la politica collaborazionista non salvava il liberalismo, ma
le istituzioni, tenendo conto non del movimento operaio, ma dello spirito piccolo-borghese
del partito socialista».
24
G. VOLPE, Italia moderna, cit., III, p. 274.
25
In un’ottica più circoscritta, N. ZAPPONI, Il tempo della “Voce”: l’antipartito della
cultura e la cultura come “prepartito”, in Il partito politico nella belle époque, Milano, Giuffré,
1980, pp. 280 ss. Sul punto, ma con diverso giudizio di valore da quello da me utilizzato,
si veda anche A. ASOR ROSA, La cultura, in Storia d’Italia. Dall’Unità ad oggi. IX. Lettera-
tura e sviluppo della nazione, Torino, Einaudi, 1975, pp. 1254 ss.
26
A. LABRIOLA, Storia di dieci anni, cit., pp. 227 ss.
64 CAPITOLO SECONDO
27
P. GOBETTI, Il liberalismo italiano, cit., p. 58.
28
G. VOLPE, Italia moderna, cit., III, p. 247.
29
Ivi, p. 253. Il giudizio tornava in ID., Giolitti e la Monarchia, in «Il Tempo», 10 feb-
braio 1950, p. 2, dove si invitava, almeno nel giudizio storico, a «registrare questo stato
d’animo di tanti Italiani d’allora, e specialmente della gioventù, invocante un rinnovamento,
cioè partiti e classi dirigenti oltre che governo; registrarlo, dico, per capire poi l’interven-
tismo del 1914-1915 che fu, tra l’altro, rivolta antigiolittiana, e gli avvenimenti che in Ita-
lia seguirono alla prima grande guerra, cioè l’“infausto ventennio”».
30
Si veda G. CAROCCI, Giovanni Amendola nella crisi dello Stato italiano, cit., pp. 22 ss.
31
R. DE FELICE, Introduzione a Il fascismo e i partiti politici italiani, a cura di R. De
Felice, Bologna, Cappelli, 1966, pp. 17-18, dove si sosteneva che per dare valutazione
storiografica dei limiti e degli errori della classe dirigente liberale, nei confronti dell’av-
vento del fascismo, era «necessario domandarsi, anche al di là della sostanza, quale era
allora l’apparenza del fascismo, cosa cioè esso apparisse ai suoi contemporanei, che idea
essi ne avessero e dove credessero sarebbe sboccato». Insisteva sullo stesso punto, B. VI-
GEZZI, Introduzione a 1919-1925. Dopoguerra e fascismo. Politica e stampa in Italia, a cura
di B. Vigezzi, Bari, Laterza, 1965, pp. V ss.
LIBERALISMO E STORIA D’ITALIA 65
glio, non era ancora quella la strada indicata, ad esempio, nel Proemio
che apriva il primo numero de «La Nuova Politica Liberale» del gen-
naio 1923, a firma di Carmelo Licitra, il redattore di quel nuovo perio-
dico, promosso da Croce, Gentile e Lombardo Radice32. E anche da
Volpe che aderiva a quell’iniziativa, affermando di condividere assolu-
tamente «il senso di quelle necessità, che nella fase attuale della coltura
italiana» avevano suscitato una salutare reazione «dopo il caos mentale
di quattro anni di guerra: caos tuttavia da cui dovrebbe venir fuori un
po’ di ordine e di vita, appena i pensieri ricominciano a filtrare purifi-
cati attraverso una più calma meditazione»33.
Nel preambolo programmatico elaborato da Licitra, si sosteneva la
necessità di un avvicinamento al movimento di Mussolini che non do-
veva recidere ma anzi rafforzare i legami con la tradizione della Destra
storica, «che sembrò si spezzasse nel ’76», e con «quella corrente libe-
rale antidemocratica che fa capo al nostro Gioberti»34. Queste indica-
zioni venivano ripetute nell’articolo del luglio di quello stesso anno, che,
commentando l’iscrizione di Gentile al Pnf, motivata dal riconoscimento
dello «spirito liberale che anima il governo fascista», tornava a fare il
punto sul concetto storico di liberalismo italiano, sulla sua peculiarità
originaria, sulle sue più autentiche matrici e sulle sue nuove incarnazioni.
32
Così Adolfo Omodeo annunciava la comparsa della rivista sul «Giornale critico
della Filosofia italiana», III, 1922, p. 41: «”La Nuova Politica Liberale” è il titolo d’una
nuova rivista che inizierà a Roma le sue pubblicazioni il 1 gennaio 1923. Ne sono promo-
tori G. Gentile, B. Croce, G. Volpe, G. Lombardo-Radice: segretario di redazione C. Li-
citra. Programma: riprendere la tradizione liberale del nostro Risorgimento, smarritasi
nell’evoluzione democratica dell’ultimo cinquantennio, e dando pieno sviluppo ai suoi
presupposti idealistici, inserirsi fattivamente nel presente problema politico d’Italia. In so-
stanza non una pigra affermazione di tutte le libertà sino al suicidio della libertà, ma la
libertà come metodo perenne di politica».
33
Gioacchino Volpe a Giovanni Gentile, novembre 1922, AFG. Su quella rivista Volpe
avrebbe pubblicato L’ultimo cinquantennio: l’Italia che si fa, in «La Nuova Politica Libe-
rale», 1923, 1 e 2, pp. 30 ss.; 113 ss. Il testo era riprodotto in ID., Fra storia e politica, Roma,
De Alberti, 1924, pp. 7 ss., da cui si cita.
34
C. Licitra, Proemio, ora in ID., Dal Liberalismo al Fascismo, con prefazione di G.
Gentile, Roma, De Alberti, 1925, p. 10. L’articolo era significativamente datato «Novem-
bre 1922».
66 CAPITOLO SECONDO
perché informata al grado più elevato della cultura contemporanea, poco inte-
sa anche perché schiettamente italiana, in un periodo in cui il pensiero nazio-
nale incominciava a riaffermare la propria originalità dopo la più vasta impor-
tazione di idee e di programmi stranieri. Quel pensiero politico del Gioberti,
del Cavour e del più intimo Mazzini, che dopo la formazione del regno si con-
tinuò nella dottrina e nell’opera della Destra, era certamente un liberalismo con
caratteri suoi, che oggi riusciamo a vedere più chiaramente nella loro antitesi
con quelli delle altre correnti liberali. La loro fu vera politica, cui seguì il lungo
periodo della democrazia a caratteri sociologici più che politici, che se per un
verso rappresenta una decadenza nello sviluppo della vita nazionale, per un altro
verso fu la liquidazione di una residuale trascendenza e una prima ammissione
alla vita politica di quella massa del popolo che fino allora ne era rimasta fuori
del tutto. Oggi, pur facendo tesoro delle conquiste democratiche, si torna alla
politica e, insieme, ad un liberalismo concreto e adeguato ai nostri tempi35.
37
G. GENTILE, Il mio liberalismo, ora in ID., Politica e cultura, a cura di Hervé A.
Cavallera, Firenze, Le Lettere, 1990, 2 voll., I, pp. 115-116.
LIBERALISMO E STORIA D’ITALIA 67
38
N. SAPEGNO, La politica dei filosofi, in «Rivoluzione liberale», I, 1923, 1, p. 36.
39
U. RICCI, Liberalismo e democrazia, in «La Rivoluzione liberale», 1923, 1, pp. 2-3.
A cui faceva eco una decisa replica di Gobetti a difesa dell’operato di Nitti, che, nono-
stante la sua resa nei confronti del fascismo, veniva considerato «il politico più intelligen-
te che abbia avuto l’Italia dopo Vittorio Veneto, e Giolitti e Mussolini quando non hanno
fatto spropositi sono stati semplicemente suoi modesti discepoli». Il tenore della critica
di Ricci era anticipato in ID., La politica economica del Ministero Nitti. Gli effetti dell’in-
tervento economico dello Stato, Roma, Società Editrice La Voce, 1920.
40
A. ROCCO, Mentre non si fa la pace, in «Politica», 10 marzo 1919, poi in ID., Scritti
e discorsi politici, con una Prefazione di Benito Mussolini, Milano, Giuffrè, 1938, 3 voll.,
II, p. 571.
41
Si veda Nota storica sul movimento antiprotezionista in Italia, in A. DE VITI DE MAR-
CO, Un trentennio di lotte politiche, 1894-1922, Roma, Collana Meridionale Editrice, 1929,
pp. XI ss., e ora in L. TEDESCO, L’alternativa liberista in Italia. Crisi di fine secolo, antiprotezioni-
smo e finanza democratica nei liberisti radicali, 1898-1904, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2002.
42
A. DE VITI DE MARCO, Al lettore, luglio 1929, in ID., Un trentennio di lotte politi-
che, cit., pp. VIII-IX.
68 CAPITOLO SECONDO
43
ID., Per un programma d’azione democratica. Conferenza tenuta alla Pro Cultura di
Firenze il 2 giugno 1913, poi pubblicata sull’«Unità» del 25 luglio successivo, ivi, pp. 317
ss., in particolare p. 326.
44
ID., Al lettore, ivi, p. IX.
45
M. MUSTÈ, Adolfo Omodeo. Storiografia e pensiero politico, Bologna, Il Mulino, 1990,
pp. 212 ss.
46
Si veda R. PERTICI, Croce e il “vario nazionalismo” post-bellico, 1918-1921, in Studi
per Marcello Gigante, a cura di S. Palmieri, Bologna, Il Mulino, 2003, pp. 575 ss.
47
B. CROCE, Contributo alla critica di me stesso, a cura di G. Galasso, Milano, Adel-
phi, 1989, p. 82.
48
Ipotesi poi compendiata in ID., La concezione liberale come concezione della vita, in
ID., Etica e politica, a cura di G. Galasso, Milano, Adelphi, 1994, pp. 331 ss.
49
Sul punto, P. VITA-FINZI, Le delusioni della libertà, cit., pp. 159 ss., e ora G. BEDE-
SCHI, Croce e il fascismo. Un caso esemplare di rimozione storica, in «Nuova Storia Con-
temporanea», 2002, 2, pp. 7 ss. Si veda anche ID., La fabbrica delle ideologie. Il pensiero
politico del Novecento, Roma-Bari, Laterza, 2002, pp. 2006 ss.
50
Giustino Fortunato a Gaetano Mosca, 8 novembre 1922, in ID., Carteggio, 1912-
1922, cit., p. 417.
LIBERALISMO E STORIA D’ITALIA 69
51
B. CROCE, Pagine sparse, Bari, Laterza, 1943, 2 voll., II, pp. 480-481. Sull’apologia
fatta da Croce in relazione a quei pronunciamenti si vedano i «ricordi» del settembre 1944
contenuti in ID., Relazioni o non relazioni col Mussolini, in Nuove pagine sparse, Bari,
Laterza, 1966, 2 voll., I, pp. 61 ss., che non compensano le reticenze del Contributo alla
critica di me stesso, cit., pp. 87 ss.
52
Si veda G. VOLPE, L’ultimo cinquantennio: l’Italia che si fa, cit., pp. 7 ss.
53
ID., Giovane Italia, apparso su «Gerarchia» nel gennaio 1923, ivi, pp. 335 ss.
54
C. CURCIO, L’esperienza liberale del fascismo, Napoli, Morano, 1924, pp. 69 ss. Ri-
prodotto in R. DE FELICE, Autobiografia del fascismo. Antologia di testi fascisti, 1919-1945,
Torino, Einaudi, 20043, pp. 170 ss.
70 CAPITOLO SECONDO
utile rimedio alla corruzione del vecchio Stato liberale «un breve perio-
do durante il quale un governo forte e onesto eserciti molti poteri ed
abbia molta autorità», al fine di preparare quelle condizioni che pote-
vano rendere possibile «il normale funzionamento del sistema rappre-
sentativo», così come era accaduto a Roma «nei migliori tempi della
Repubblica, quando qualche volta si ricorreva, per brevi periodi, alla
dittatura»55. Un’ipotesi che comportava l’ammissione della liceità all’uti-
lizzazione strumentale di un regime politico d’eccezione, «provvisorio»
e «conservatore» dell’ordine liberale, che molti allora condividevano e
al quale anche Croce avrebbe fatto riferimento, dopo la crisi politica
del 1924, ammonendo l’opinione pubblica italiana a non «lasciar di-
sperdere i benefici del fascismo, e di non tornare alla fiacchezza e alla
inconcludenza che lo avevano preceduto»56.
Molto prossime, eppure ancora lontane – almeno nella dimensione
temporale di una congiuntura politica eccezionale vissuta dai contem-
poranei come un mutamento tanto rapido, da far equivalere gli anni ad
altrettanti lustri – erano le prese di posizione di Gentile del luglio 1925,
nelle quali non si poneva più soltanto una diretta linea di continuità tra
liberalismo e fascismo, come fino ad allora ci si era limitati a fare57, ma
si risolveva integralmente il primo termine nel secondo in quanto «più
coerente e più storicamente matura e perfetta concezione dello Stato
come libertà»58. Davvero veramente remote apparivano, e non solo nella
cronologia, quelle di Rocco, che, dopo aver magnificato nel 1927 quel-
la rivoluzione copernicana della politica, che aveva trasformato in un
breve lasso di tempo lo Stato liberale in quello fascista59, nell’aprile del
1932 avrebbe dichiarato con soddisfazione di aver «seppellito il libera-
lismo definitivamente», aggiungendo che «esso è morto e non resusci-
terà giammai»60. Anche se nell’aprile del 1919 il condirettore di «Poli-
55
G. MOSCA, Elementi di scienza politica, con una Prefazione di B. Croce, Bari, Later-
za, 1953, 2 voll., II, p. 240.
56
B. CROCE, Pagine sparse, cit., II, p. 485.
57
Si veda G. GENTILE, Il fascismo e la Sicilia, 31 marzo 1924, ora in ID., Politica e cul-
tura, cit., I, pp. 38 ss.
58
ID., Prefazione a C. LICITRA, Dal Liberalismo al Fascismo, cit., p. V. Ora anche in ID.,
Politica e cultura, cit., I, p. 163.
59
A. ROCCO, La trasformazione dello Stato. Dallo Stato liberale allo Stato fascista, Roma,
“La Voce”, 1927, in particolare p. 8, dove l’autore sosteneva di aver compendiato tutti i
«documenti della trasformazione operata dal fascismo dopo il 3 gennaio 1925 nel campo
più generale dell’organizzazione dello Stato».
60
A. ROCCO, Sul disegno di legge “Stato di previsione della spesa del Ministero della
Giustizia e degli Affari di Culto per l’esercizio finanziario dal 1 luglio al 30 giugno 1933, in
ID., Scritti e discorsi politici, a cura di E. Campochiaro, con un saggio di G. Vassalli, Bolo-
gna, Il Mulino, 2005, pp. 525 ss., in particolare p. 543.
LIBERALISMO E STORIA D’ITALIA 71
61
ID., Il movimento economico e sociale, in «Politica», 24 aprile 1919, poi in ID., Scrit-
ti e discorsi politici, cit., II, p. 568.
62
ID., Che cosa è il nazionalismo e cosa vogliono i nazionalisti, ivi, I, pp. 67 ss. Si veda
anche, sempre per la non conciliabilità di liberalismo e fascismo, ID., La formazione della
coscienza nazionale dal liberalismo al fascismo. Discorso pronunciato il 5 aprile 1924, al-
l’Augusteo di Roma, per le elezioni politiche, ivi, II, pp. 755 ss.
63
Per una ricostruzione del pensiero politico di de Ruggiero, da diverse e anche di-
vergenti prospettive, R. DE FELICE, Guido de Ruggiero e la vita politica italiana fra il 1924
e il 1926 in ID., Intellettuali di fronte al fascismo. Saggi e note documentarie, Roma, Bo-
nacci, 1983, pp. 11 ss.; ID., «De Ruggiero, Guido», in Dizionario Biografico degli Italiani,
Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1991, XXXIX, pp. 248 ss.; E. GARIN, Intellet-
tuali italiani del XX secolo, Roma, Editori Riuniti, 19872, pp. 105 ss.; D. COLI, Guido de
Ruggiero: cultura e politica (1910-1922), in «Annali dell’Istituto di Filosofia dell’Univer-
sità di Firenze», 1979, 1, pp. 359 ss.; G. BEDESCHI, Per una “democrazia liberale”. Sociali-
smo, fascismo, liberalismo nell’analisi di Guido de Ruggiero, in «Nuova Storia Contempo-
ranea», 2002, 5, pp. 67 ss.
64
A. ROCCUCCI, Roma capitale del nazionalismo, cit., pp. 396 ss.
72 CAPITOLO SECONDO
65
Il Manifesto del novembre 1919 veniva pubblicato da Gobetti, accompagnato da
una polemica nota intitolata Frammenti di estetismo politico, in «Energie Nove», II, 30
novembre 1919, 10, pp. 205 ss., ora in ID., Scritti politici, cit., pp. 164 ss. Alla nota di
Gobetti rispondeva Umberto Ricci nelle pagine della stessa rivista (Frammenti di esteti-
smo politico. La poesia giocosa, ivi, II, 12 febbraio 1920, 12, pp. 246-247), dove appariva
anche una contro-replica di Gobetti (ivi, pp. 247-249), nella quale si rammentava agli
aderenti al Gruppo nazionale-liberale, qualificati come «partito dell’intelligenza», che la
via degli studi non sempre coincideva con quella della politica. Sostanzialmente favore-
vole verso il programma dei Nazionali Liberali era l’intervento di C. BARBAGALLO, I libe-
rali-nazionali, in «La Sera», 8 settembre 1920, dove gli esponenti del piccolo partito era-
no in ogni caso accusati di non possedere «alcuna delle qualità pratiche indispensabili al
successo», perché «le loro idee sono troppo fini, troppo aristocratiche, troppo aliene da
quella volgare faciloneria, che oggi forma la potenza dei partiti politici, in seno a questo
regime di suffragio universale e di rappresentanza proporzionale legiferante».
66
Sul programma de «L’Azione», e sul suo sostanziale fallimento, rimando a E. DI
RIENZO, Gioacchino Volpe tra la pace e la guerra, cit.
LIBERALISMO E STORIA D’ITALIA 73
67
Cfr. G. CAROCCI, Giolitti e l’età giolittiana. Dall’inizio del secolo alla prima guerra
mondiale, Torino, Einaudi, 1961, p. 155, dove si parla del quotidiano bolognese, che cer-
cò di «muoversi sul terreno del liberalismo conservatore ed immettergli un nuovo vigore
di energie giovani, che dovevano avere la loro piena espansione soprattutto in una politi-
ca estera più dinamica e sensibile al problema dell’irredentismo», mettendo in evidenza
«gli aspetti nazionali della tradizione liberale e le sue origini autoctone».
68
Si veda G. GENTILE, La filosofia della guerra, conferenza tenuta nella Biblioteca fi-
losofica di Palermo l’11 ottobre 1914 e in quella di Firenze il 22 novembre successivo,
poi in ID., Guerra e fede, cit., pp. 1 ss.
69
ID., Nazione e nazionalismo e L’ideale politico di un nazionalista, ivi, pp. 48 ss. I due
interventi sono del marzo 1917 e dell’agosto 1918.
70
G. DE RUGGIERO, Il pensiero italiano e la guerra, pubblicato in versione francese nella
«Revue de Métaphisique et de Morale», 1916, 5, pp. 749 ss., ora in ID., Scritti politici, 1912-
1926, a cura di R. De Felice, Bologna, Cappelli, 1963, pp. 125 ss. Il saggio, che riprende-
va i contenuti di alcuni articoli di de Ruggiero (Come la guerra travolge i partiti. I. La de-
mocrazia, in «L’Idea Nazionale», 20 dicembre 1914; Le idealità della guerra. Negazioni;
Le idealità della guerra. Affermazioni, in «Il Resto del Carlino», 23 e 29 dicembre 1914),
fu recensito sfavorevolmente da Benedetto Croce ne «La Critica», 20 marzo 1917, poi in
ID., Pagine sulla guerra, cit., pp. 153 ss.
71
Si veda G. DE RUGGIERO, Da Emanuele Kant al mortaio da 420, in «L’Idea Naziona-
le», 12 ottobre 1914, in La stampa nazionalista, a cura di F. Gaeta, Bologna, Cappelli, 1965,
pp. 73 ss. Al quale faceva seguito il severo giudizio di Croce, A proposito di una firma, in
«La Critica», 15 dicembre 1914, ora in ID., Pagine sulla guerra, cit., pp. 5 ss.
74 CAPITOLO SECONDO
72
G. DE RUGGIERO, Il pensiero italiano e la guerra, cit., pp. 131-132: «La democrazia
afferma di combattere il militarismo tedesco, e non lo spirito tedesco, l’industria, la cul-
tura tedesca; vuol fiaccare l’uno e lasciare intatto tutto il resto. [...] E non intende che quel
che chiama militarismo prussiano non è il fatto materiale di posseder molti cannoni e molti
fucili, ma il tono, lo spirito stesso della mentalità tedesca, che si esplica nell’organizzazio-
ne dell’industria, della scuola, della scienza, così come degli eserciti».
73
Si veda G. VOLPE, Il militarismo prussiano, in «L’Azione», 15 febbraio 1916, ora in
ID., Guerra Dopoguerra Fascismo, cit., pp. 17 ss.
74
G. DE RUGGIERO, La mentalità reazionaria, in «Il Resto del Carlino», 30 giugno 1913,
ora in ID., Scritti politici, cit., pp. 102 ss.
75
ID., Il Tramonto del liberalismo, in «Il Resto del Carlino», 19 febbraio 1917, ivi, pp.
166 ss.
76
Se ne veda l’eco in G. VOLPE, La neutralità italiana nella seconda metà del 1914, in
«Corriere della Sera», 20 marzo 1928, p. 3 (poi in «Bibliografia fascista», 1928, 1, pp. 4-
5). Si trattava della recensione ad A. SALANDRA, La neutralità italiana, 1914, Milano, Mon-
dadori, 1928, animata dai sensi di un sentito apprezzamento per l’operato dello statista.
77
G. DE RUGGIERO, La Monarchia socialista, in «L’Idea nazionale», 7 maggio 1914, ora
in ID., Scritti politici, cit., pp. 107 ss.
LIBERALISMO E STORIA D’ITALIA 75
più ampie riserve sul voler trasportare di peso «nella vita internaziona-
le quel meccanismo ideale di eguaglianza, che non si è riuscito mai,
nonché di attuare, nella vita stessa dei singoli Stati»78. Diversità che si
approfondiva in relazione alla disputa sui mancati acquisti territoriali
che lo sfavorevole decorso delle trattative di Parigi aveva provocato,
creando quel mito della «vittoria mutilata», che «per quanto sembri
fondato solo su apparenze discutibili o ingannevoli, fu egualmente tra
gli elementi di sedimentazione della difficoltà nazionale di vivere la
condizione italiana (in questo caso, di grande potenza sulla scena inter-
nazionale) ed ebbe un suo ruolo nella crisi dello Stato liberale e nell’av-
vento del regime fascista»79. Da una parte Volpe, con i suoi infuocati
editoriali pubblicati su «La Sera» nell’aprile del 191980: lo stesso quoti-
diano milanese, vicino alle posizioni dei Fasci di combattimento, che
aveva minacciato un movimento insurrezionale contro la remissività del
governo italiano nei confronti degli antichi alleati, a proposito della
delineazione del confine orientale81. Dall’altra de Ruggiero, che avreb-
be poi definito le rivendicazioni italiane sull’Istria e la Dalmazia come
la morta gora dove si erano impantanate le ultime possibilità di rinno-
vamento del partito liberale, inchiodato «per propria insipienza, per
insufficienza dei suoi stessi oppositori, alla controversia di quattro span-
ne quadrate di suolo sulla sponda adriatica, in un miserabile problema
dove la megalomania dei propositi non riusciva neppure a dissimulare
la microcefalia dei concepimenti politici»82.
Erano opinioni non assimilabili e destinate a divaricarsi ulteriormente
nella crisi politica del dopoguerra. Nel novembre del 1920, Volpe tran-
sitava, sia pure nelle vesti di semplice fiancheggiatore, nelle fila del
78
Rispettivamente, ID., Revisioni, in «Il Tempo», 21 febbraio 1919, ivi, pp. 210 ss.;
G. VOLPE, Guerra pacifista, in «Saluto», 1 gennaio 1919, poi in ID., Per la storia dell’VIII
Armata. Dalla controffensiva del giugno alla vittoria del settembre-ottobre, 1918, Roma,
Mondadori, 1919, pp. 209 ss.; B. CROCE, “La Società delle Nazioni”. Intervista concessa a
il «Tempo» di Roma, 17 gennaio 1919, in ID., Pagine sulla guerra, cit., pp. 296 ss.; G.
GENTILE, La Società delle Nazioni. Intervista concessa a il «Tempo» di Roma, 26 gennaio
1919, in ID., Guerra e Fede, cit., pp. 371 ss.
79
G. GALASSO, Italia nazione difficile, cit., p. 15. Sul punto, una corretta analisi in E.
GOLDSTEIN, Gli accordi di pace dopo la Grande Guerra, 1919-1925, Bologna, Il Mulino,
2005, in particolare pp. 44 ss. Non interamente condivisibile, invece, quella di P. PASTO-
RELLI, Dalla prima alla seconda guerra mondiale. Momenti e problemi della politica estera
italiana, 1914-1943, Milano, Led, 1998, pp. 75 ss.
80
G. VOLPE, Tornando dalla Dalmazia, in «La Sera», 21 aprile 1919, p. 1; ID., Momento
grave, ivi, 30 aprile 1919, p. 1.
81
ID., Attendendo la soluzione della vertenza italiana, ivi, 7 maggio 1919, p. 1. Artico-
lo anonimo, ma forse ispirato o redatto dallo stesso Volpe.
82
G. DE RUGGIERO, Il concetto liberale, in «La nostra scuola», 16-31 marzo 1921, ora
in ID., Scritti politici, cit., pp. 365 ss., in particolare p. 365.
76 CAPITOLO SECONDO
83
G. VOLPE, Per la nuova Italia. Lettera aperta a Benito Mussolini, in «Il Popolo d’Ita-
lia», 21 novembre 1920, poi in ID., Tra storia e politica, cit., pp. 241 ss.
84
R. DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario, cit., pp. 599 ss.
85
G. VOLPE, Consensi e dissensi. Lettera aperta a Benito Mussolini, in «Il Popolo d’Ita-
lia», 7 giugno 1920, poi in ID., Tra storia e politica, cit., pp. 250 ss.
86
G. DE RUGGIERO, Il concetto liberale, cit., p. 368.
87
G. FERRERO, Da Fiume a Roma. Storia di quattro anni, 1919-1923, Milano, Athena,
1923, che si componeva di interventi giornalistici redatti a partire dal 1919. Di questo testo
esiste una recente ristampa, a cura di P. Flecchia, Roma, Eretica, 2003; L. SALVATORELLI,
Lineamenti del Nazionalfascismo, in «La Rivoluzione liberale», II, 1923, 12, pp. 49-50.
Articolo che aveva suscitato un acceso dibattito tra i collaboratori del periodico. Si veda
UN UNITARIO [P. Giannotto], L’interventismo, ivi, II, 1923, 14, p. 60; A. MONTI, Interven-
tismo-Neutralismo e Fascismo, ivi, II, 1923, 33, pp. 135-136; G. ANSALDO, La piccola bor-
ghesia, ivi, II, 1923, 18, p. 75. Chiudeva la polemica L. SALVATORELLI, Risposta ai critici di
Nazionalfascismo, ivi, II, 1923, 35, p. 143.
LIBERALISMO E STORIA D’ITALIA 77
88
Si veda G. DE RUGGIERO, Bolscevismo in azione, in «Il Paese», 10 agosto 1922, ora
in ID., Scritti politici, cit., pp. 544 ss. Si veda anche ID., Anarchismo conservatore, in «Il Pae-
se», 17 luglio 1921, ivi, pp. 372-373: «Un partito conservatore, che intende serbare l’ordine
costituito, e intanto, per smontare gli avversari dalle loro posizioni, scende anch’esso in piaz-
za, e sostituisce all’autorità dello Stato un’azione diretta, rivoluzionaria per definizione, rea-
lizza un vero assurdo. In atto esso sovverte quel che in principio vorrebbe conservare».
89
ID., Il concetto liberale, cit., p. 368: «Io non voglio contestare che molte giovani e
sane energie si prodighino con illusori miraggi nel movimento fascista; né che in alcune re-
gioni questo rappresenti un moto di spontanea reazione contro atti d’indicibile violenza».
90
ID., Un teorico del socialismo, in «La Critica Politica», 25 maggio 1924, ora in Scrit-
ti politici, cit., pp. 638 ss., in particolare p. 643.
91
ID., L’avvenire del fascismo, in «Il Paese», 13 settembre 1921, ivi, pp. 389 ss.
92
Si veda ID., Bolscevismo in azione, in «Il Paese», 10 agosto 1922, ivi, pp. 544 ss., in
particolare p. 546: «La nativa sottigliezza dei nostri beoti ama distinguere tra una dittatu-
ra rossa e una dittatura nera, tra un bolscevismo nazionale e un bolscevismo antinaziona-
le. [...] Qualunque azione faziosa e sovvertitrice è invece anti-nazionale; la realtà adegua
quel che una verbosa retorica pretenderebbe di contrapporre».
93
A. MONTI, Due fascismi, in «La Rivoluzione liberale», I, 1922, 1, p. 57.
78 CAPITOLO SECONDO
con gli aspri fatti della storia che in breve avrebbero travolto molte
distinzioni tradizionali, quando, come Volpe avrebbe ricordato, «molti
“intellettuali”, orientati in gran parte verso quel liberalismo, che era,
per i più, vivere e lasciar vivere, e non impegnava troppo le coscienze,
si strinsero di più al fascismo»94.
94
G. VOLPE, Storia del movimento fascista, Milano, Ispi, 1939, p. 125.
III
1. Dirompenti erano dunque, già a partire dal 1921, gli elementi del-
l’inconciliabilità nell’analisi politica tra due intellettuali come Volpe e
de Ruggiero, che, provenienti dalla stessa matrice liberale, avevano
percorso un largo tratto di strada in comune, lungo il cammino che per
entrambi avrebbe dovuto condurre verso una profonda rigenerazione
morale della vita nazionale, in alternativa alla «democrazia approssi-
mativa e a fondo cesareo» di Giolitti1. E adesso che questa frattura
appariva davvero insanabile come era possibile pensare di fiancheggiarsi
ancora in un lavoro di alta valenza politica, come il progetto di una Storia
d’Italia doveva necessariamente essere? Come pretendere di mantene-
re in vita una «collaborazione», che inevitabilmente avrebbe dovuto
travalicare il campo dei comuni interessi scientifici e che richiedeva,
come Volpe aveva sottolineato, il concorso di «persone non troppo
disformi nel modo di concepire la realtà storica», al fine di concentrarsi
anche su «problemi di vita presente», che dovevano divenire materia di
discussione «non solo per i cultori di studi storici, ma per quanti cerca-
no orientamenti nel campo delle idee e della azione pratica»?2 Davvero
fino a questo punto un programma di impegno culturale collettivo
poteva, nell’aspro panorama del primo dopoguerra, non dico ridurre
ma anche soltanto rimuovere le divisioni di parte e di partito? Di tanto
vigore e di tanta capacità di durata era ancora munita la cittadella della
cultura per resistere alla scossa degli impetuosi movimenti tellurici che
si propagavano ormai anche all’interno delle sue «antiche mura»? Nel
1916, l’interventista «d’ordine» Volpe aveva scritto al neutralista «d’or-
dine» Croce che la «storia ci unisce e la realtà politica ci divide un
poco»3. Ma ora non dovevano invece le divisioni della politica avere la
meglio anche sul comune amore per gli studi, interrompere sodalizi
consolidati, antiche consuetudini, profonde amicizie, legami di stima e
di rispetto reciproci?
1
A. LABRIOLA, Storia di dieci anni, cit., p. 318.
2
Gioacchino Volpe a Guido de Ruggiero, Milano, 18 marzo e 22 maggio 1921, cit.
3
Gioacchino Volpe a Benedetto Croce, Milano 22 gennaio 1916, cit.
80 CAPITOLO TERZO
In caso che si potesse farne due, certo mi piacerebbe che la prima si occu-
passe del liberalismo in genere, del suo sorgere e svilupparsi nei paesi che gli
furono più veramente patria; la seconda, del liberalismo italiano, magari in
speciale riguardo agli scrittori meridionali. Qualora ci si dovesse contentare di
4
Si vedano le lettere di Volpe ad Alessandro Casati del 22 settembre, 14 ottobre, 15
novembre 1921, in Archivio Centrale dello Stato, Fondo Alessandro Casati (FAC).
5
Sul punto, G.C. BASCAPÉ, L’opera del Circolo Filologico Milanese dal 1927 al 1940,
Milano, Ubezzi e Dones, 1940; N. RAPONI, Intellettuali e istituti di cultura di fronte al fa-
scismo. Il caso del circolo filologico, 1919-1928, in Scuola e resistenza, a cura di N. Raponi,
Parma, La Pilotta, 1978, pp. 133 ss.
6
Gioacchino Volpe a Guido de Ruggiero, Santarcangelo di Romagna, 8 ottobre 1921,
FGDR. Tra gli altri argomenti proposti da Volpe: «Le correnti del pensiero filosofico del
XIX secolo», e anche il «pensiero politico dei giacobini italiani fra il XVIII e il XIX
secolo».
7
Gioacchino Volpe a Guido de Ruggiero, Milano, 10 novembre 1921, ivi.
UNA DIASPORA INTELLETTUALE 81
8
Gioacchino Volpe a Guido de Ruggiero, Santarcangelo di Romagna, 17 ottobre
1921, ivi.
9
Gioacchino Volpe a Giovanni Gentile, 15 novembre 1921, AFG.
10
Gioacchino Volpe a Giovanni Gentile, settembre 1921, ivi: «Croce sarebbe l’uomo
per una tale conferenza ma credo che non accetterebbe e su lui e contro di lui corrono
ancora troppe prevenzioni». Su quella opposizione a Croce, tacciato di antipatriottismo,
si esprimeva P. GOBETTI, Benedetto Croce e i pagliacci della cultura, in «Energie Nove», I,
15-20 novembre 1918, ora in ID., Scritti politici, cit., p. 17: «La gazzarra contro Benedet-
to Croce dura ormai da qualche tempo: l’hanno sollevata, sotto l’egida del patriottismo,
pochi, interessati, nemici personali, più che nemici, botoli ringhiosi, invidiosi, impotenti.
Gli ingenui hanno abboccato e c’è uno sciocco a Torino, pieno di pretese e di bile, che lo
chiama von Kreutz». Per il progetto della conferenza al Filologico, si vedano anche le lette-
re indirizzate da Volpe al filosofo dell’ 8 ottobre 1921 e del 16 marzo 1922, ABC.
11
Gaetano Salvemini a Gino Luzzatto, 14 aprile 1923 in ID., Carteggio, 1921-1926, a
cura di E. Tagliacozzo, Bari, Laterza, 1985, pp. 186-187.
82 CAPITOLO TERZO
12
Gaetano Salvemini a Pietro Silva, 14 ottobre 1914, in ID., Carteggio, 1914-1920, cit.,
pp. 52-53, dove era lodato l’«ottimo articolo» di Volpe pubblicato su L’Azione di Mila-
no». Il riferimento era a Ora o mai più, in «L’Azione», 4 ottobre 1914.
13
Gioacchino Volpe a Benedetto Croce, Santarcangelo, 26 ottobre 1923, ABC. Nella
lettera si alludeva al malcontento suscitato in molti ambienti dalla riforma scolastica in-
trapresa da Croce, che Volpe invece aveva appoggiato pubblicamente, con la lettera aper-
ta a Benito Mussolini, I progetti di Croce e le manovre nittiane, che «Il Popolo d’Italia» ave-
va pubblicato con ampio rilievo il 13 febbraio 1921. Dopo il rifiuto di Croce, fu Volpe a
tenere il discorso commemorativo nella sua qualità di presidente del Circolo filologico. Si
veda G. VOLPE, Una grande istituzione di coltura. Il Circolo Filogico Milanese. Discorso per
la ricorrenza cinquantennale, in «La Lettura», XIII, 1 febbraio 1923, 2, pp. 107 ss.
14
Gioacchino Volpe a Giovanni Gentile, Milano 24 maggio 1921, AFG.
15
Si veda in particolare Gioacchino Volpe a Guido de Ruggiero, Milano, 22 maggio
1921 (AGDR); Gioacchino Volpe a Giovanni Gentile, Milano 24 maggio 1921 (AFG);
Gioacchino Volpe a Fortunato Pintor, Milano, 24 maggio 1921 e 17 giugno 1921, Archi-
vio Centrale dello Stato, Fondo Fortunato Pintor (FFP); Gioacchino Volpe a Benedetto
Croce, Milano, 15 novembre 1921 e 30 novembre 1924 (ABC). Si veda anche Antonio
UNA DIASPORA INTELLETTUALE 83
19
ID., Per una storiografia del Risorgimento, ivi, pp. 307 ss. Sull’Anzilotti «risorgimen-
tista», M. MIRRI, Dalla storia dei “lumi” e delle “riforme” alla storia degli “antichi stati ita-
liani”, in Pompeo Neri. Atti del colloquio di studi di Castelfiorentino (6-7 maggio 1998),
a cura di A. Fratoianni e M. Verga, Castelfiorentino, Società storica della Valdelsa, 1992,
pp. 401 ss.; ID., Riflessioni su Toscana e Francia, riforme e rivoluzioni, in «Annuario del-
l’Accademia etrusca di Cortona», XXIV, 1990, pp. 117 ss.
20
L’incarico conferito a Cortese non ebbe però seguito. Si veda Gioacchino Volpe a
Benedetto Croce, Milano, 16 marzo 1922, ABC: «Il prof. Cortese vi avrà detto perché non
ho potuto, pur con la migliore disposizione, affidargli il volume che progettavo. Ma non
è escluso che in seguito mi sia possibile».
21
Si veda L. VITETTI, Il conflitto anglo-americano, Bologna, Zanichelli, 1921; ID., La
conferenza di Washington, Roma, Società Editrice “Politica”, 1922; ID., La politica del pre-
sidente Harding, con prefazione di Francesco Coppola, Roma, Società Editrice “Politica”,
1922; R. CANTALUPO, La politica francese da Clemenceau a Millerand, Milano, Treves, 1921.
22
Roberto Cantalupo, deputato fascista dal 1924, nel 1926 iniziava la sua collabora-
zione al «Corriere» sulle questioni coloniali, che avrebbe proseguito fino al 1929. Nel 1924
era stato nominato Sottosegretario del Ministero delle Colonie e poi Ministro plenipoten-
ziario in Egitto. Volpe avrebbe recensito il volume di Cantalupo (La classe dirigente, Mi-
lano, Alpes, 1926) sul «Corriere della Sera» del 5 dicembre 1926, poi in ID., Guerra do-
poguerra Fascismo, cit., pp. 405 ss.
23
Gioacchino Volpe a Giovanni Gentile, Milano, 15 novembre 1921, AFG.
24
Gioacchino Volpe a Benedetto Croce, Milano, 30 aprile 1918, cit.
UNA DIASPORA INTELLETTUALE 85
In questi giorni, ho finito il volume Italia che nasce (XI-XIV sec.), che è il 1°
volume dell’Italia in cammino, Il resto verrà... dopo. Non si può dir un lavoro
originale; ma sufficientemente organico: è il quadro che ho preferito26.
La storia letteraria è fuori dai miei piani, per quanto poi vedo che documen-
ti letterari e documenti cosiddetti storici servono ad un obietto unico o, meglio,
che storici letterari e storici civili mirano, servendosi di vie diverse, a giungere
ad una stessa meta che è la storia degli uomini, del vario atteggiarsi del loro
spirito, del vario loro operare secondo che quello spirito soffia. Ma, ripeto, non
ho pensato a storia letteraria. Vedrò e non escludo. Certo vedo il sussidio che
un volume sul Romanticismo, specie italiano, potrebbe portare alla compren-
sione dei moti nazionali e liberali del primo XIX secolo28.
25
Gioacchino Volpe a Benedetto Croce, Pisa, 22 giugno 1905, ABC. Notizia del pro-
getto del volume tornava anche nella corrispondenza con Gentile del 25 gennaio 1905,
AFG. Si veda anche la lettera dell’aprile 1905, ivi. Un disegno di quello studio, mai re-
datto, è in G. VOLPE, Questioni fondamentali sull’origine e svolgimento dei comuni italia-
ni, Pisa, Nistri, 1904, poi in ID., Medioevo italiano, Vallecchi, 1923, pp. 1 ss.
26
Gioacchino Volpe ad Alessandro Casati, Santarcangelo di Romagna, 22 ottobre 1923,
FAC.
27
Ibidem.
28
Gioacchino Volpe a Guido de Ruggiero, Milano, 22 maggio 1921, FGDR.
86 CAPITOLO TERZO
29
G. VOLPE, Programma e orientamenti per una Storia d’Italia in collaborazione, cit.
30
Si veda Gioacchino Volpe ad Alessandro Casati, 14 ottobre 1921, cit.: «In quanto
al carattere dell’opera, siamo presso a poco intesi. Ma a giorni manderò all’editore, per la
stampa, un paio di paginette-programma, di cui tutti avrete le bozze, con ampia facoltà
di osservazioni e proposte». Si veda anche Gioacchino Volpe a Giovanni Gentile, Milano,
23 ottobre 1921, cit.; Gioacchino Volpe a Benedetto Croce, Milano, 16 marzo 1922, cit.
31
B. CROCE, Teoria e storia della storiografia, Bari, Laterza, 19233, pp. 22-23.
32
ID., L’obiezione contro le «storie dei propri tempi», in ID., Dieci conversazioni con gli
alunni dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici di Napoli, Bologna, Il Mulino, 19932, pp.
137 ss.
33
A. OMODEO, Res gestae e historia rerum, in «Annuario della Biblioteca filosofica»
di Palermo, II, 1913, pp. 1 ss. Se ne veda l’edizione, a cura di F. Tessitore, in «Annali della
Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Napoli», VI, 1975-1976, XVIII, pp. 147
ss. Sull’intera materia, illuminanti le pagine di F. TESSITORE, Storiografia e storia della cul-
UNA DIASPORA INTELLETTUALE 87
Storia, avrebbe concluso Volpe, per suo conto, che non poteva non
muovere dalle «suggestioni dell’oggi», dai fermenti della vita presente
che ne costituiscono «l’elemento animatore e vivificatore», dato che
«l’interpretazione e ricostruzione del passato sarebbe “fatta” e non più
da fare o rifare solo il giorno – ipotesi irrealizzabile – che gli uomini si
fermassero nelle posizioni raggiunte e non vi fosse più domani per essi»34.
Di qui la struttura a piramide rovesciata dell’opera, che, poggiata
sulla salda base di una ricognizione di quei caratteri originali che si erano
manifestati soprattutto sul piano giuridico ed economico tra Età di
mezzo e Rinascimento, tendeva ad allargarsi con lo scorrere dei secoli,
quando la storia della nazione italiana aveva dovuto confrontarsi, tra
luci e più spesso tra ombre, ma sempre con formidabili ricadute sul
contesto interno, con quelle delle altre formazioni politiche mediterra-
nee e continentali. Una Storia d’Italia, infatti, doveva e non poteva non
essere anche una storia dell’Italia nella storia d’Europa35. E quella dina-
mica parallela, strettamente intrecciata, se non davvero unitaria, tra
nazione e continente doveva essere illustrata a partire dai «due secoli di
dominio straniero nella Penisola», fino al Settecento, in cui il nostro
paese trovava la sua prima forma di identità politica come «sistema di
Stati» fino allo sconvolgimento rivoluzionario e alla sistemazione napo-
leonica, alle lotte nazionali del XIX secolo, nel cui scenario diplomati-
co soltanto poteva intendersi, come Volpe aveva già ampiamente sotto-
lineato, il nostro Risorgimento36, allo scontro non più soltanto europeo,
ma ormai mondiale, delle «Grandi Potenze» tra 1870 e 1918.
Questa internazionalizzazione della storia patria risultava soprattut-
to evidente nel progetto di affiancare, ai volumi di Storia d’Italia pro-
priamente detta, altri contributi che, dal Medio Evo in poi, investigas-
sero le «vicende dell’Italia fuori d’Italia», i «problemi di rapporti fra
noi e gli altri, problemi di interesse vivo ancor oggi e che stanno fra la
politica e la storia, con visibili riferimenti pratici». Rapporti di cultura
e di religione. L’influsso dell’Islam attraverso la Spagna e la Sicilia. L’ir-
radiazione europea del Rinascimento. La Controriforma, identificata
come «fatto universale che ha tuttavia il suo centro in Italia ed è, in
tura, Bologna, Il Mulino, 1990, pp. 171 ss. Sul punto anche l’intervento di Benedetto Croce
del 1929, La grazia e il libero arbitrio, in ID., Ultimi saggi, Bari, Laterza, 1948, pp. 290 ss.
34
G. VOLPE, Una storia del Risorgimento, a proposito del primo volume di I. RAULI-
CH, Storia del Risorgimento politico d’Italia, Bologna, Zanichelli, 1921, in «La Critica»,
1922, poi in ID., Momenti di storia italiana, cit., pp. 221 ss., pp. 224-225.
35
Questo indirizzo sarebbe stato poi direttamente sviluppato da Volpe nei saggi Eu-
ropa e Mediterraneo nei secoli XVII e XVIII, in «Politica», 1923, poi in ID., Storia della
Corsica italiana, Milano, Ispi, 1939, pp. 89 ss.; Italia e Europa, in «Gerarchia», 1925, infi-
ne in ID., Momenti di storia italiana, cit., pp. 301 ss.
36
Si veda G. VOLPE, Una storia del Risorgimento, cit.
88 CAPITOLO TERZO
37
Gioacchino Volpe a Guido de Ruggiero, Milano, 22 maggio 1921, cit.
38
Il motivo di una presenza attiva, e non soltanto reattiva, del Papato nella formazio-
ne della coscienza nazionale italiana sarebbe stato poi ampiamente sviluppato dal laico
Volpe, fuori di ogni pregiudizio «ghibellino» e massonizzante, in XX Settembre – Italia e
Papato. Discorso pronunciato a Venezia il 20 settembre 1924, pubblicato nello stesso anno
su «Gerarchia», poi in ID., Momenti di storia italiana, cit., pp. 237 ss. Qualche significa-
tivo nesso con questo intervento, proprio a proposito della Controriforma, è da riscon-
trarsi in B. CROCE, Storia dell’età barocca in Italia. Pensiero – Poesia e Letteratura – Vita
morale, Bari, Laterza, 19462, pp. 3 ss. Si veda anche ID., Stato e Chiesa in senso ideale e
loro perpetua lotta nella storia, in ID., Etica e politica, cit., pp. 394 ss.
39
Si veda G. VOLPE, Programma e orientamenti per una Storia d’Italia in collaborazio-
ne, cit.: «L’emigrazione politica italiana dal 1815 in poi: correnti principali, importanza sua
come incontro e collaborazione di italiani di Stati diversi, come avvicinamento Italia-Eu-
ropa, come influenza culturale reciproca, come primo avviamento di altra e diversa emi-
grazione di operai e contadini».
40
G. BELARDELLI, Il mito della “nuova Italia”, cit., p. 13.
41
G. VOLPE, Per i nostri emigranti, in «L’Azione», 31 gennaio 1915, p. 2. Sullo stesso
punto e con argomenti non sostanzialmente diversi, E. CORRADINI, La patria lontana, Mi-
lano, Treves, 1910; ID., Le nazioni proletarie e il nazionalismo. Discorso letto a Napoli, nel
gennaio 1911, in ID., Il Nazionalismo italiano, Milano, Treves, 1914, pp. 40-41.
42
G. VOLPE, L’Italia in cammino. L’ultimo cinquantennio, Milano, Treves, 1927, pp.
66 ss. e 187 ss. Nuova edizione, a cura di G. Belardelli, Roma-Bari, Laterza, 1991, pp. 64
ss. e 151 ss.
UNA DIASPORA INTELLETTUALE 89
43
La lettera è conservata in FFP.
44
F. COLETTI, Dell’emigrazione italiana, Milano, Hoepli, 1912.
45
Gioacchino Volpe a Fortunato Pintor, Milano, 17 giugno 1921, FFP.
46
G. VOLPE, Egitto e Italiani d’Egitto, corrispondenze dall’Egitto per il «Popolo d’Ita-
lia», maggio-giugno 1922, poi fuse in due articoli apparsi su «Politica», tra 1922 e 1923,
ora in ID., Guerra Dopoguerra Fascismo, cit., pp. 116 ss.
47
Si veda, G. VOLPE, Come è nata l’Italia coloniale, in «Corriere della Sera», 21 aprile
1926, p. 1.
90 CAPITOLO TERZO
terne esigenze e degli esempi altrui e gettò anch’essa gli occhi sui vicini
continenti», al massiccio afflusso di lavoratori italiani nell’America
meridionale, per il quale «nientessima era la sollecitudine» della ma-
drepatria, ma che «cangiò la faccia del continente sud-americano e vi
creò i grandi centri e diede potente impulso alla economia capitalistica,
ma nulla diede alla nazione italiana», all’intensa stagione dell’esplorazio-
ne italiana in Africa, intimamente collegata ai progressi dell’apostola-
to del clero romano in quelle regioni, alla costituzione dell’insedia-
mento di Massaua, su sollecitazione dell’Inghilterra «che voleva un
ausiliario dalla parte del Mar Rosso per la sua campagna di riconqui-
sta del Sudan», ostacolato da «una Francia ostile che fu subito all’opera
per attraversarci la strada», alla conquista della Libia verso la quale
«le forze del mondo sospingevano a tergo anche i riluttanti come
Giovanni Giolitti», alla nuova situazione creatasi dopo la fine del
conflitto mondiale, nella quale all’Italia si chiedeva, con scarsa gene-
rosità e con scarsissina comprensione del nuovo quadro geo-politico,
di accontentarsi della gestione di routine del suo magro dominio d’ol-
tremare.
La storia del nostro paese doveva essere, quindi, anche la storia della
sua spinta propulsiva nello scenario internazionale: antica e nuova. Anzi
quella storia doveva rafforzare l’impeto di quella spinta, come Volpe, a
più riprese, negli anni a venire, avrebbe inteso fare, in coincidenza con
UNA DIASPORA INTELLETTUALE 91
48
G. VOLPE, Lettere e diari. Documenti di italica virtù, Eroico manipolo nelle prime
campagne d’Africa, in «Il Corriere della Sera», 21 novembre 1935, p. 2 (recensione a F.
LEMMI, Lettere e diari d’Africa, 1885-1886, Edizioni Roma, 1936, poi ripresa in ID., Le
nostre prime campagne d’Africa. Ammonimenti e vaticini d’eroi, in «Rivista di Fanteria»,
II, 12 dicembre 1935, pp. 1677 ss.); ID., L’Italia d’Africa, in Le ragioni dell’Italia, R. Acca-
demia d’Italia, 1936, p. 3 (discorso pronunciato nell’adunanza generale dell’Accademia
d’Italia del 19 gennaio 1936, dedicata alla campagna d’Etiopia); ID., Ascesa all’Impero: nel
primo giorno annuale della proclamazione dell’Impero, in «Bonifica e Colonizzazione», V,
maggio 1936, pp. 427-430; ID., Le relazioni politiche, economiche, spirituali tra l’Italia e
l’America Latina, Milano, Ispi, 1936. (Si tratta della relazione generale al primo Conve-
gno per gli Studi di Politica Estera, Milano, 15-17 ottobre 1936); ID., Introduzione a R.
TRUFFI, I precursori dell’Impero africano, Roma, Edizioni, Roma, 1937, pp. 9 ss.; ID., In
Libia, con gli studenti dell’Università di Roma, discorso radiofonico del 1938. Quest’ulti-
mo intervento, insieme a buona parte di quelli qui citati, sono stati ripubblicati in Saluto
ad un Maestro. Scritti di Gioacchino Volpe, con una lettera di A. Soffici, Roma, Gruppo
Universitario “Caravella”, 1951, pp. 117 ss. e in ID., L’Italia che fu. Come un italiano, la
vide, sentì, amò, Roma, Le Edizioni del Borghese, 1961, pp. 53 ss. Su Volpe e la questio-
ne coloniale, un primo approccio è nel saggio di E. CAPUZZO, La proiezione oltremare del-
la nazione: Volpe e il colonialismo italiano, in «Clio», 2004, 3, pp. 447 ss.
92 CAPITOLO TERZO
dei più piccoli o inadatti Stati della Penisola, mentre emerge qualche altro meglio
attrezzato per le opere di pace e di guerra, col risultato di rompere lo sterile
equilibrio e dare alla Penisola un centro e quasi una testa; una coscienza nazio-
nale che affiora e variamente si atteggia e si irrobustisce, fino a divenire forza
viva, quasi il fiore e il frutto di una pianta in via di crescere.
Papato e impero combattono infatti per scopi propri e per riflesso della lot-
ta che agitava e divideva in due grandi campi ogni città, ogni regione, in fine
tutta quanta l’Italia, con un moto in apparenza disordinato, di fatto regolare e
continuo, se si guarda alle idee ed ai fini che sono come il filo rosso che attra-
versa teso e diritto la storia nostra di quei secoli; combattono per scopi pratici
e per il trionfo di idee nuove. È il rumore di vecchi edifici che crollano e di
nuovi che l’inconscia forza della storia viene faticosamente innalzando. Il con-
cetto dell’unità d’Italia si viene appunto formando in questo progressivo, reale
coordinamento delle forze e dei partiti. Concetto astratto certamente, non anco-
ra divenuto sentimento profondo e tanto meno capace di determinare una azio-
ne politica: ma pur tuttavia lontano, fra poco, di poeti e scrittori, delineantesi
G. PREZZOLINI, Uno storico nostro: Gioacchino Volpe, in «Il Resto del Carlino», 2
50
confusamente in parte come riflesso della realtà storica, che risospingeva le menti
a certe forme della civiltà latina, intese ora e sentite in tutta la loro umanità51.
51
G. VOLPE, Studi sulle Istituzioni comunali a Pisa. Città e contado, consoli e podestà
nei secoli XII-XIII, Pisa, Nistri, 1902. Se ne veda la più recente edizione a cura e con una
ricca introduzione di C. Violante, Firenze, Sansoni, 1970, alle pp. 430-431, per la citazione.
52
Si veda ID., Bizantinismo e Rinascenza. A proposito di uno scritto di Karl Neumann,
Byzantinische Kultur und Renaissancekultur, («Historische Zeitschriften», 1903, pp. 215
ss.) in «La Critica», III, 1905, pp. 47 ss., poi in ID., Momenti di storia italiana, cit., pp. 95
ss.; ID. Lambardi e Romani nelle campagne e nelle città. Per la storia delle classi sociali, della
nazione e del Rinascimento italiano, XI-XV, in «Studi Storici», XIII, 1904, pp. 54 ss.; 167
ss.; 21 ss.; 369 ss.; ID., Emendamenti e aggiunte, ivi, XIV, 1905, pp. 124 ss. Per il giudizio
di Croce relativo al primo saggio, si veda la lettera a Volpe del 4 agosto 1904, CV: «Gen-
tile Amico, lasci che le dica che la sua recensione al Neumann mi sembra semplicemente
stupenda, e lasci che la ringrazi del prezioso lavoro che ella mi ha fornito per la Critica, e
che è così bene intonato all’indole di essa. Vi sono cose che da un pezzo desideravo fos-
sero inculcate agli storici italiani e stranieri».
53
Gioacchino Volpe a Giovanni Gentile, Brescia, 30 maggio 1918, AFG. Si veda an-
che la lettera a Benedetto Croce del 30 aprile 1918, ABC: «Gli studi, naturalmente, lan-
guono ora. Tuttavia nel corso del 1917, quando comandavo il distaccamento nelle solitu-
dini di Castellazzo, ho disteso la materia di un volumetto della Biblioteca rossa dell’Uni-
versità popolare milanese. Ed ho anche schizzato un quadro succinto dello svolgimento
storico del popolo e della nazione italiana nell’ultimo millennio».
54
G. VOLPE, Il Medioevo nel primo millennio D.C., Milano, Biblioteca di cultura popo-
lare pubblicata dalla Biblioteca della Università Popolare Milanese e dalla Federazione Ita-
liana delle Biblioteche Popolari, 1921; ID., Il Medioevo, Firenze, Vallecchi, 1927.
94 CAPITOLO TERZO
55
ID., Prefazione a Toscana Medievale, cit., p. XX.
56
ID., Programma e orientamenti per una Storia d’Italia in collaborazione, cit., dove si
prevedeva un volume dedicato a Il Regno di Sicilia, dal XI al XV secolo, che avrebbe do-
vuto riassumere «le vicende longobardo-bizantine del sud-Italia. Varietà di condizioni e
di coltura e, insieme, certa omogeneità a fondo romano-bizantino che agevola il compito
unitario dei Normanni. Normanni e Svevi, carattere della Monarchia, sue basi, suo sfor-
zo costruttivo dello Stato, sue debolezze. Borghesia, baronato, popolazioni rurali, Chiesa
romana. Progressivo entrar del Regno nell’orbita della vita italiana, delle sue lotte, della
sua coltura, della sua attività mercantile, contribuendovi anche esso con elementi arabo-
bizantini, con spunti di vedute politiche ecc.».
57
G. GALASSO, Potere e istituzioni in Italia, cit., pp. 46 ss.
58
A. LABRIOLA, Saggi intorno alla concezione materialistica della storia. IV. Da un seco-
lo all’altro. Considerazioni retrospettive e presagi, cit., p. 52.
59
Giustino Fortunato a Gioacchino Volpe, 8 novembre 1908, in ID., Carteggio, 1865-
1911, a cura di E. Gentile, Roma-Bari, Laterza, 1978, p. 149.
UNA DIASPORA INTELLETTUALE 95
60
G. VOLPE, Nord e Sud, 1 gennaio 1919, in ID., Per la storia dell’VIII Armata. Dalla
controffensiva del giugno alla vittoria del settembre-ottobre 1918, Milano, Mondadori, 1919,
pp. 186 ss.
61
G. GALASSO, Il Mezzogiorno. Da “questione” a “problema aperto”, Manduria-Bari-
Roma, Lacaita, 2005, pp. 150 ss. Ma sulle debolezze della storiografia italiana in rappor-
to al problema meridionale, si veda, soprattutto per gli studi di Romolo Caggese e Raf-
faele Ciasca, M. SIMONETTI, Risorgimento e Mezzogiorno alle origini della storiografia con-
temporanea in Italia, cit., pp. 273 ss.; ID, Storiografia e politica avanti la Grande Guerra.
Romolo Caggese fra revisionismo e meridionalismo, 1911-1914, «Archivio Storico Italia-
no», CXXX, 1972, pp. 495 ss.
62
G. GALASSO, Potere e istituzioni in Italia, cit., pp. 22 ss. Si veda anche G. TABACCO,
La storia politica e sociale in Storia d’Italia. Dalla caduta dell’Impero romano al secolo XVIII.
I. La società medievale e le corti del Rinascimento, Torino, Einaudi, 1974, pp. 142 ss.
63
G. GALASSO, L’Italia come problema storiografico, cit., pp. 102 ss.
64
E. SESTAN, Per la storia di un’idea storiografica, cit., p. 195. Dove il riferimento era
naturalmente al saggio di Cattaneo, La Città considerata come principio ideale delle istorie
italiane. Sul punto, ora, D. CASTELNUOVO FRIGESSI, La città nella storia d’Italia, in L’opera e
l’eredità di Carlo Cattaneo, a cura di C.G. Lacaita, Bologna, Il Mulino, 1975, I, pp. 270 ss.
65
A. SOLMI, L’unità fondamentale della Storia d’Italia. Discorso tenuto a Bologna, nella
Sala dell’Archiginnasio, il 31 ottobre 1926, poi in ID., Discorsi della Storia d’Italia, Firen-
ze, La Nuova Italia, 19352, pp. 3 ss., in particolare pp. 25 ss.
66
G. VITOLO-A. MUSI, Il Mezzogiorno prima della questione meridionale, Firenze, Le
Monnier, 2004, pp. IX-X, dove si mette in evidenza l’importanza del «soggetto-città», an-
che per la storia del Sud in età medioevale, «pur rilevandone il percorso affatto diverso
da quello dei Comuni dell’Italia centro-settentrionale».
96 CAPITOLO TERZO
67
Lo si veda in G. VOLPE, Momenti di storia italiana, cit., pp. 3 ss.
68
G. VOLPE, La «Dante Alighieri» e la vita italiana fuori dai confini, introduzione a
Per la Dante Alighieri nel XXV anniversario della sua fondazione, numero unico a cura del
Comitato di Milano, 19 aprile 1914, pp. 1 ss. Lo si veda ora parzialmente riprodotto in
Appendice, infra. Il contributo di Volpe costituiva l’apertura di un numero unico dedica-
to all’attività della Dante Alighieri nel venticinquesimo anniversario della sua fondazio-
ne, al quale collaboravano: S. JACINI, Emigrazione e lingua italiana; E.G. PARODI, Dante
Alighieri; C. SALVIONI, Le condizioni della cultura italiana nel Ticino; G. MIRA, Il sottoco-
mitato studentesco di Milano della Dante Alighieri; S. BENCO, L’Università italiana a Trie-
ste; A. TAMARO, Trieste e la Dalmazia per la coltura italiana. Sul punto, Gioacchino Volpe
ad Alessando Casati, Santarcangelo di Romagna, 28 febbraio 1914, FAC: «So che sei sta-
to fuori d’Italia per vari giorni. Ci racconterai qualche cosa, e forse mi darai qualche buon
consiglio per un numero unico che la sezione milanese della Dante Alighieri vuol pubbli-
care il 21 aprile».
69
G. GALASSO, L’identità italiana: premesse per una storia, in ID., L’Italia s’è desta. Tra-
dizione storica e identità nazionale dal Risorgimento alla Repubblica, Firenze, Le Monnier,
2002, p. 75: «È al più tardi nel secolo XII, che l’unitarietà di questo spazio politico in
quanto ambito di un particolare sistema di Stati o di entità politiche nel contesto euro-
peo viene più chiaramente avvertita».
UNA DIASPORA INTELLETTUALE 97
70
Si veda G. VOLPE, Italiani fuori d’Italia alla fine del Medio Evo, pubblicato in due di-
stinti articoli su «Gerarchia» nel 1922, ora in ID., Momenti di storia italiana, cit., pp. 61 ss.
71
ID., Albori della Nazione italiana, ivi, pp. 26 ss.
72
P. JONES, La storia economica in Storia d’Italia. Dalla caduta dell’Impero romano al
secolo XVIII. IV. L’economia delle tre Italie, Torino, Einaudi, 1974, pp. 1681 ss.,
73
Manifesto, in «Politica», I, 15 novembre 1918, 1, pp. 1 ss., dove la necessità di con-
trastare l’«anarchia bolscevica» non si distingueva da quella di assicurare all’Italia i suoi
destini di potenza. Il testo è riprodotto in Il nazionalismo italiano, a cura di F. Perfetti,
Milano, Edizioni del Borghese, 1969, pp. 233 ss. Sullo stesso punto, A. ROCCO, L’espan-
sione italiana nel mondo. Discorso pronunziato nella seduta del Congresso per l’espan-
sione economica e commerciale dell’Italia all’estero, ora in ID., Scritti e discorsi politici,
cit., II, pp. 747 ss.
74
Ernesto Sestan a Gioacchino Volpe, s. l., 4 dicembre 1957, CV: «Salvemini, negli
ultimi mesi, si era ridotto molto male, senza speranza e anche senza volontà di vivere, che
è brutto segno. Mi è dispiaciuto molto della sua dipartita, anche se scontata da tempo,
perché troppo dei miei primi passi nella via degli studi e della mia formazione giovanile è
legato al ricordo del suo insegnamento. E fra quei ricordi c’è anche il ricordo di un gior-
no del 1923 [sic], in cui, con alti elogi per Lei, mi consigliò e invogliò a leggere il Suo
saggio su Gli albori della Nazione Italiana uscito allora in una rivista che, per altro verso,
non doveva riuscirgli molto gradita, la “Politica” di Coppola».
75
B. CROCE, Epistolario. II. Lettere ad Alessandro Casati, Napoli, Istituto Italiano per
gli Studi Storici, 1969, p. 67: «Sento con molto dispiacere che il Volpe, di ritorno dal suo
viaggio, si è ammalato. Non gli scrivo per non dargli noia. Volete voi farmi sapere come
sta, e da quale malattia è stato colpito? Vi prego di rassicurami presto».
98 CAPITOLO TERZO
Oggi la vita del nostro popolo trabocca dagli angusti limiti in cui settant’an-
ni fa audaci minoranze costrinsero la storia d’Italia. C’è uno sviluppo esube-
rante di quistioni sociali che non trova ragione nelle stilizzate vicende dell’uni-
tà nazionale, e che ci spinge invece ad affondar lo sguardo in quella zona ancora
grigia della popolazione (la quasi totalità!) che fu assente dal moto unitario ma
che pur visse e lavorò per l’avvenire. Vi son valori positivi di opere, di tradizio-
ni, di cultura in quegli statarelli d’Italia che ci son stati rappresentati come pezzi
di carne da insaccare per far salcicce. E ce ne accorgiamo o confessiamo di ac-
corgercene solo ora che abbiamo dimesso i vecchi pudori patriottici. C’è un
respiro più ampio di vita internazionale, pur nelle vicende nazionali dell’Italia,
che non si lascia misurare con le solite filie e fobie – in istile patriottico – degli
stranieri verso noi o viceversa. Investito dalla luce del presente, l’orizzonte del
passato si allarga.
76
G. DE RUGGIERO, Per una Storia d’Italia, in «Il Resto del Carlino», 5 febbraio 1922,
p. 3. Sul punto, Gioacchino Volpe a Guido de Ruggiero, Milano, 14 febbraio 1922, AGDR.
UNA DIASPORA INTELLETTUALE 99
fuori nei primi mesi del prossimo anno. Al principio del ’24 ne verrà alla luce
un altro. Nel ’25 un altro ancora. Insomma, molta carne al fuoco. Vedremo se
cuocerà tutta. Dal tuo articolo non appare che tu conosca l’iniziativa di una
serie di volumi di storia d’Italia che Zanichelli pubblicherà e che io dirigo. Ti
può interessare il programma che io ho scritto e che ti manderò o ti darò per-
sonalmente. Se ne occupa anche la N. Rivista Storica del luglio scorso77.
77
Gioacchino Volpe a Giuseppe Prezzolini, 9 ottobre 1921, AGP. Nella lettera i ri-
ferimenti sono all’articolo Albori della Nazione italiana e ai volumi Medio Evo italiano,
Momenti di storia italiana, Il Medio Evo, che sarebbero stati editi da Vallecchi rispettiva-
mente nel 1923, nel 1925 e nel 1927.
78
C. BARBAGALLO, Una nuova Storia d’Italia, cit.
79
Si veda Gioacchino Volpe a Corrado Barbagallo, Milano, 16 giugno 1916, CV.
80
Gioacchino Volpe a Benedetto Croce, Milano, 22 gennaio [1916], ABC.
81
Secondo il progetto originale, il comitato direttivo del periodico doveva essere com-
posto da Corrado Barbagallo e Volpe, promotori dell’iniziativa, con Arrigo Solmi, Guido
Porzio, Antonio Anzilotti, Francesco Ercole. La rivista, poi nata nel 1917, vedrà invece
figurare tra i direttori, rispetto alla rosa originale, soltanto Barbagallo, Anzilotti, Porzio,
insieme ad Ettore Rota. Sul punto, A. CASALI, Storici italiani fra le due guerre. La “Nuova
Rivista Storica”, 1917-1943, Napoli, Guida, 1989, pp. 1 ss.; E. ARTIFONI, Salvemini e il
Medioevo, cit., pp. 145 ss.
82
Gioacchino Volpe a Benedetto Croce, Santarcangelo di Romagna, 8 luglio 1916,
ABC.
100 CAPITOLO TERZO
89
G. DE RUGGIERO, Per una Storia d’Italia, cit.
90
G. PREZZOLINI, Prefazione a G. PAPINI-G. PREZZOLINI, Vecchio e nuovo nazionalismo,
Milano, Studio Editoriale Lombardo, 19242, p. IV.
91
A. ROCCO, La crisi dello Stato e i sindacati, 1920, in ID., Scritti e discorsi politici, cit.,
II, p. 645.
92
Si veda E. BODRERO, Roma e il Fascismo, Roma, Istituto di Studi Romani, 1939; P.
DE FRANCISCI, Civiltà Romana, Roma, Istituto Nazionale di Cultura Fascista, 1939, in
particolare pp. 42 ss., dove Roma diveniva il prototipo di una società «totalitaria» nella
quale si rispecchiava una dinamica di sviluppo «guidata da un continuo, ostinato, sapien-
te processo di integrazione», intesa a «disciplinare entro le sue strutture un numero sem-
pre maggiore di cittadini». Sul punto, in generale, G. BELARDELLI, Il ventennio degli intel-
lettuali: cultura, politica, ideologia nell’Italia fascista, Roma-Bari, Laterza, 2005, pp. 206
ss. Sulle posizioni di Coppola, si veda ora A. JELARDI, Goffredo Coppola. Un intellettuale
del fascismo fucilato a Dongo, Mursia, Milano, 2005. Per la ricostruzione della biografia
politica di questo intellettuale, L. CANFORA, Il papiro di Dongo, Milano, Adelphi, 2005.
102 CAPITOLO TERZO
tà della storia d’Italia almeno al I secolo a. C., e alla crisi del bellum
sociale, non escludendo, per altro, qualche precorrimento di quell’uni-
tà fin dall’età preromana93.
Anche se privi della diretta replica a Barbagallo, che fu pronunciata
oralmente, senza essere trascritta, in una seduta del Regio Istituto Lom-
bardo di Scienze e Lettere nel luglio 192394, possiamo supporre che
Volpe abbia dovuto pensare che troppa retorica di «quadrate legioni»,
di «colli fatali» ma anche di «pugnali di Bruto», di «virtù repubblica-
na», di «romanico» o «italico» amore per la libertà era incrostata in
quella storia remota da cui si voleva far prendere origine quella della
«Nuova Italia». Questo almeno risultava essere il suo avviso, espresso
in un articolo apparso sulle colonne del «Popolo d’Italia», nell’anniver-
sario del «Natale di Roma» del 192195. Se la redazione del quotidiano
inquadrava l’intervento tra titoli cubitali che annunciavano quel ge-
netliaco come la «giornata fascista» votata all’esaltazione della «nostra
razza e della nostra storia, del nostro passato e del nostro avvenire»,
Volpe, seppur con qualche concessione al carattere celebrativo di quel-
la ricorrenza, sosteneva tutt’al contrario che:
La storia di noi italiani non è certo la storia di Roma. Roma era il mondo
d’allora e noi siamo un frammento di quel mondo: un frammento che ha dovu-
to poi, come gli altri frammenti, ordire da sé la trama della propria vita, costrui-
re da sé la propria storia. E cominciò al tempo dei barbari, quando la Penisola
o le sue genti si individuarono rozzamente entro il mondo romano e cristiano
e germanico. E proseguì nei secoli dopo, componendo e fondendo a modo suo,
secondo il genio dei suoi antichissimi, antichi e nuovi abitatori, secondo i suc-
chi della sua terra e la temperie del suo cielo, gli elementi vari di ogni natura e
provenienza che si erano venuti ad incontrare dalle Alpi al mar di Sicilia. E un
po’ per volta assimilò gli elementi assimilabili, eliminò gli altri, ruppe i legami
che la tenevano avvinta a centri lontani ed estranei. E noi, finalmente vediamo
emergere dalla caligine, prendere contorno e lineamenti l’Italia, creatura spiri-
tuale: l’Italia che è una determinata lingua, una determinata visione d’arte, una
determinata religiosità, una determinata filosofia, un determinato diritto e co-
stume a carattere morale.
93
Si veda L. SALVATORELLI, Spiriti e figure del Risorgimento, Firenze, Le Monnier, 1962,
pp. 3 ss.
94
La notizia è contenuta nel Postscriptum aggiunto da Barbagallo in coda alla nota di
P. PIERI, Di alcuni momenti di storia italiana, in «Nuova Rivista Storica», 1926, 4-5, pp.
406 ss., in particolare p. 408, n. 1: «L’on. Prof. Volpe rispose con una Lettura presso il R.
Istituto Lombardo di Scienze e Lettere in data 5 luglio 1923. Questa lettura non è stata
mai pubblicata; ma nel verbale della adunanza si legge il riassunto di una breve ma effica-
ce replica, del prof. Carlo Pascal». La nota di Pieri costituiva un resoconto molto positi-
vo del volume di VOLPE, Momenti di storia italiana, cit.
95
G. VOLPE, Il Natale di Roma. Risalendo il corso della storia, in «Il Popolo d’Italia»,
21 aprile 1921, p. 1.
UNA DIASPORA INTELLETTUALE 103
96
G. VOLPE, 21 aprile. Roma e l’Italia, in «Gerarchia», I, 25 aprile 1922, 4, pp. 173
ss., in particolare p. 182. Lo si veda parzialmente riprodotto in Appendice, infra.
104 CAPITOLO TERZO
97
C. BARBAGALLO, Postscriptum a P. PIERI, Di alcuni momenti di storia italiana, cit., p.
408: «Roma cancellò le vecchie impronte regionali dell’Italia antichissima; dette al no-
stro paese – a tutto il paese – un’impronta unica, interessi comuni, privilegi e orgogli co-
muni, e finì col creare non già uno Stato, nel quale una città si sovrapponeva ad altre, ma
uno Stato, in cui tutte le città della penisola, nazionalmente organata, dominavano il mon-
do. Di fronte a tutto questo, la coscienza nazionale, in sulle origini dei Comuni, è assai
povera cosa. [...] Giacché caratteristica fondamentale dell’età dei Comuni è proprio que-
st’altra: che l’unità nazionale sia dilacerata, compromessa, condannata, dal trionfante par-
ticolarismo municipale e regionale».
98
B. CROCE, recensione a G. VOLPE, Programma e orientamenti per una Storia d’Italia
in collaborazione, cit., in «La Critica», XXI, 1922, pp. 46 ss., in particolare p. 47.
99
Volpe avrebbe ricordato l’intervento di Caggese, in ID., La Storia d’Italia e la sua
polemica, in «Corriere della Sera», 5 dicembre 1934. Lo si veda ora in Appendice, infra.
Per il giudizio assai limitativo di Volpe sull’attività di Caggese, si veda G. VOLPE, recen-
sione a R. CAGGESE, Classi e Comuni rurali nel Medioevo italiano. Saggio di storia econo-
mica e giuridica, ivi, VI, 1908, pp. 263 ss.; 361 ss.; ID., recensione a R. CAGGESE, La repub-
blica di Siena e il suo contado nel secolo XIII, in «Archivio Storico Italiano», 1907, 5, pp.
374 ss. Si veda anche Gioacchino Volpe a Giustino Fortunato, Desenzano sul Lago, 3
ottobre 1908, in Giustino Fortunato, Carteggio, 1865-1911, cit., p. 83: «Son contento anche
che lei condivida il mio giudizio sul libro del Caggese e sul suo autore. Avevo qualche
scrupolo; temevo di aver trattato male quel giovane che pure mi è amico. Lei mi rassicu-
ra. Il Caggese è ancora in tempo per rientrare in sé e riacquistare il senso giusto dei suoi
mezzi, delle difficoltà del lavoro che noi compiamo, della necessità di far un po’ matura-
re i fatti e le idee nel nostro spirito. Senza fermentazione riposata e temperatura adatta
l’uva anche eccellente dà cattivo vino, forse frizzante ma non resistente». Non meno cle-
menti critiche Croce avrebbe rivolto agli studi di Caggese sulla Repubblica fiorentina, in
«La Critica», X, 1912, 5, pp. 461-463. Sul punto, M. SIMONETTI, Storiografia e politica avanti
la Grande Guerra. Romolo Caggese fra revisionismo e meridionalismo, cit., pp. 528-529.
UNA DIASPORA INTELLETTUALE 105
100
L. SALVATORELLI, Pensiero e azione nel Risorgimento, Torino, Einaudi, 1943, pp. 8-
9. Passo in cui appare evidente la ripresa delle tesi di Volpe, e in particolare di quelle di
Solmi, sull’organizzazione municipale come fattore di continuità della storia italiana.
101
Si veda B. CROCE, Intorno alle condizioni presenti della storiografia in Italia. IV. La
storiografia sociale e politica, in «La Critica», 1929, poi in appendice a ID., Storia della sto-
riografia italiana del Secolo decimonono, cit., II, pp. 250-252; ID., Recenti controversie in-
torno all’unità della Storia d’Italia, in Proceedings of the British Academy, London 1936,
XXII, ora in ID., La storia come pensiero e come azione, cit., pp. 331-344.
102
Ivi, p. 331.
103
B. CROCE, recensione a G. VOLPE, Programma e orientamenti per una Storia d’Italia
in collaborazione, cit., p. 48.
106 CAPITOLO TERZO
minato dalla ristampa del suo intervento, nel 1932104, fornendo una te-
stimonianza inequivoca dell’ormai avvenuta lacerazione del tessuto
unitario della «repubblica letteraria» italiana, nella quale si sarebbe
consumato anche il tracollo del progetto di collaborazione storiografi-
ca portato avanti da Volpe, che sarebbe stato infine paragonato addirit-
tura agli «annunzi e le promesse di quella tale storia “complessiva” o
“sintetica”, ch’era una utopia dei filologi, i quali facevano consistere
l’ideale della storia nella compilazione dei risultati di tutte le loro varie
ricerche»105.
Che cosa debbo dirti? Mi duole la tua decisione, quando io ed amici comuni
ti sapevamo all’opera ed eravamo sicuri che tu avresti dato, con quel volume, la
misura della tua capacità costruttiva nel campo degli studi. Insistere perché tu
104
ID., Conversazioni critiche. IV, Bari, Laterza, 1932.
105
ID., Intorno alle condizioni presenti della storiografia in Italia. IV. La storiografia
sociale e politica, cit., p. 250.
106
Gioacchino Volpe a Benedetto Croce, Roma, 30 novembre 1924, cit.
107
Gioacchino Volpe ad Alessandro Casati, 11 febbraio 1924, cit.
UNA DIASPORA INTELLETTUALE 107
ritorni sopra la decisione presa? Mi pare inutile! Capisco che quando si scrive
così, si è riflettuto abbastanza e non si muta più di parere. Tuttavia, ti dico che,
fin quando io non abbia trovato chi ti sostituisca, tu farai sempre a tempo a
riprendere il posto che ora abbandoni: tanto più che non ci vorrà poco per
trovare un nuovo collaboratore! Per il cambio che tu proponi, non posso dirti
nulla per ora. Proprio mercoledì scorso, ho ricevuto la lettera da Vinciguerra,
che mi si dichiarava disposto ad assumersi quel tema di studio. Nulla è ancora
conchiuso, ma io sono un po’ impegnato. Appena saprò qualcosa di concreto,
ve lo comunicherò108.
108
Gioacchino Volpe ad Alessandro Casati, 15 febbraio 1924, FAC.
109
I. CERVELLI, Gioacchino Volpe, Napoli, Guida, 1977, p. 565. Si veda anche ID., Sto-
riografia e politica: dalla società allo Stato. Note su Gioacchino Volpe, in «La Cultura», 1969,
4, pp. 509 ss. Non diversamente, nel fondo, G. BELARDELLI, Il mito della “nuova Italia”,
cit., pp. 198 ss.
110
Si veda G. GALASSO, L’Italia come problema storiografico, cit., pp. 166 ss.
111
Gioacchino Volpe a Guido de Ruggiero, Milano, 17 luglio 1922, FGDR.
112
G. VOLPE, La Storia d’Italia e la sua polemica, cit.
108 CAPITOLO TERZO
113
Sull’esperienza militare di Casati, A. SOFFICI, Kobilek, cit., pp. 12 ss. Si veda anche
Gioacchino Volpe a Giovanni Gentile, Brescia, 30 maggio 1918, AFG.
114
Si veda Gioacchino Volpe a Giuseppe Prezzolini, 20 giugno 1909, AGP.
115
M. MUSTÈ, Adolfo Omodeo, cit., pp. 91 ss.
116
S. ZEPPI, Il pensiero politico dell’idealismo italiano e il nazionalfascismo, Firenze, La
Nuova Italia, 1973, pp. 123 ss.
UNA DIASPORA INTELLETTUALE 109
117
G. GENTILE, in ID., La crisi morale, 15 ottobre 1919, in ID., Dopo la vittoria, cit.,
pp. 69 ss.
118
Si veda R. DE FELICE, Mussolini il fascista. II. La conquista del potere, 1921-1925,
Torino, Einaudi, 19952, pp. 619 ss.
119
Benedetto Croce a Gioacchino Volpe, 7 aprile 1925, in Epistolario. I, cit., p. 108.
120
G. SASSO, Visitando una mostra. Considerazioni, ricordi, polemiche, in «La Cultu-
ra», 1986, 1, p. 20 ss.; M. MUSTÈ, Adolfo Omodeo, cit., pp. 227 ss.
121
Giustino Fortunato a Gioacchino Volpe, Napoli, 3 gennaio 1924, in ID., Carteg-
gio, 1923-1926, a cura di E. Gentile, Roma-Bari, Laterza, 1981, p. 100.
122
Ivi, pp. 6, 53-54, 132-133, 99; 132, 215. Dove sono contenute critiche sempre più
esplicite a proposito dell’impegno politico di Volpe.
123
G. VOLPE, Fascismo. Governo fascista. Problemi italiani del momento. Pnf. Elezio-
ni politiche, 1924, Milano, Società Anonima Istituto Editoriale Scientifico, s. d. Si tratta-
110 CAPITOLO TERZO
in ogni caso, di nutrire una ben diversa «visione della nostra realtà, che
la «inimmaginabile falsità delle ultime elezioni ha di tanto, di tanto
peggiorata»124. Sempre in risposta all’invio di quello scritto, il generale
Caviglia, sotto il cui comando Volpe aveva servito durante il conflitto e
che pure nel 1919 non aveva negato il suo appoggio ai Fasci di Combat-
timento125, comunicava la sua profonda perplessità per l’impegno mili-
tante del suo antico subordinato con queste eloquenti parole:
va della stampa del discorso pronunciato alla Scala di Milano, in occasione delle elezioni
politiche del 1924, alle quali Volpe si presentò candidato. L’appoggio di Volpe al fasci-
smo era soprattutto motivato, in quella occasione, da ragioni di politica estera, (ivi, pp.
30-31): «Il Fascismo rappresenta il nuovo animus della nazione e segna l’inizio di una nuova
fase della nostra vita internazionale. La politica interna, l’ordine interno, la ricostruzione
interna ci si presentano non fine a sé stessi ma mezzo ad una vita più larga nei rapporti
internazionali». Il discorso è ripubblicato in ID., Scritti sul fascismo, cit., I, pp. 189 ss.
124
Giustino Fortunato a Gioacchino Volpe, Napoli, 10 aprile 1924, CV.
125
M. LEDEEN, War as Style of Life, in The War Generation: Veterans of the First Wor-
ld War, edited by S.R. Ward, New York-London, 1975, p. 115. Secondo Salvemini, Cavi-
glia, inviato a Milano come membro della delegazione ministeriale per compiere un’inchie-
sta sul crescere della violenza politica, si sarebbe congratulato con Mussolini e Marinetti per
la riuscita incursione contro la tipografia e la redazione milanese dell’«Avanti» nell’aprile
1919. Si veda G. SALVEMINI, “Lezioni di Harvard”. L’Italia dal 1919 al 1929, in Opere. VI.1.
Scritti sul fascisno, a cura di R. Vivarelli, Milano, Feltrinelli, 1966, p. 440.
126
Enrico Caviglia a Gioacchino Volpe, 8 marzo 1924, in Fondo Gioacchino Volpe,
Biblioteca Comunale di Santarcangelo di Romagna (FV).
127
Fortunato Pintor a Gentile, 3 settembre 1924, in Giovanni Gentile e il Senato.
Carteggio, 1895-1944, a cura di E. Campochiaro, L. Pasquini, A. Milozzi, Soveria Man-
nelli, Rubbettino, 2004, p. 387.
128
Guido de Ruggiero a Giovanni Gentile, 26 aprile 1925 in M. DI LALLA, Vita di
Giovanni Gentile, Firenze, Sansoni, 1975, p. 339.
UNA DIASPORA INTELLETTUALE 111
129
Sul punto, in una prospettiva molto giustificazionista, si veda G. BUSINO, Materiali
per la bio-bibliografia di Umberto Ricci, in «Annali della Fondazione Luigi Einaudi»,
XXXV, 2001, pp. 323 ss.
130
A. DE VITI DE MARCO, Al lettore, luglio 1929, cit., p. IX.
131
P. GOBETTI, Figure del Listone: Vittorio Cian, in «Il Lavoro», 28 febbraio 1924, poi
in ID., Scritti politici, cit., pp. 622 ss.
112 CAPITOLO TERZO
I peggiori non sono i bastonatori e non sono i libellisti, non i servi per sti-
pendio e non i complici per viltà, non quelli che non pagano e non quelli che
trafugano: i peggiori sono essi, i De Stefani, i Casati, i Gentile, i Volpe, questi
uomini di cultura che da venti mesi aiutano, approvano, rincalzano l’assalto
diuturno che il regime tenta contro questa indispensabile base della nostra
cultura di popolo moderno che sono le nostre libertà politiche; questi uomini
di pensiero che partecipano alla persecuzione del pensiero; questi uomini chia-
mati a una vocazione di educatori e di scienziati che vituperano la scienza e
l’educazione nei loro metodi e nei loro principi, asservendosi a una azione bru-
tale di cieco settarismo e di miracolismo brutale. Tutti gli altri hanno delle at-
tenuanti, solo questi no. Noi possiamo rispettare le illusioni degli inesperti;
possiamo compatire le aberrazioni dei fanatici. A questi non possiamo conce-
dere né le scuse della buona fede né quelle dell’ignoranza. Perché, questi, nes-
suno meglio di noi ha la possibilità e il diritto di giudicarli. Noi abbiamo cam-
minato insieme ad essi fino a ieri. Sappiamo quali sono stati i loro maestri, quale
è stata la loro vita: conosciamo, fase per fase, tutto il processo di formazione e
la struttura del loro spirito. Abbiamo letto gli stessi libri, abbiamo parlato la
stessa lingua. Per questo essi non possono ingannarci. Noi sappiamo benissimo
che essi hanno piena coscienza dei danni incalcolabili che questo regime di
sedizione e di arbitrio sta arrecando all’anima della nazione; piena coscienza
che questa tattica che consiste nel disarmare l’illegalismo associandovisi, e con
la quale essi pretenderebbero di giustificare la loro adesione al regime, non è
che un’iniqua menzogna. In realtà noi possiamo essere inesorabili contro di essi,
perché siamo i soli a conoscere tutto il peso del tradimento che essi hanno
commesso contro le loro origini e il loro passato. Fratelli nella stessa fede, nella
stessa morale, nella stessa tradizione, questo tradimento che è stato anche contro
di noi è l’unica cosa che ci abbia ferito fino in fondo, che ci abbia quasi potuto
spingere in certi momenti a disperare della patria. È perciò che ad essi non potre-
mo perdonare più132.
132
G. MIRA, I peggiori, in «il Caffè», 15 luglio 1924, p. 1.
133
Si veda Camillo Pellizzi a Mario Casotti, 8 febbraio 1923: «Il fascismo di oggi non
deve far soltanto gli italiani; deve fare, in gran parte, gli stessi fascisti. Ed è degno di un
fascista riconoscerlo. A Pisa si osteggia l’ingresso nel partito del Prof. Carlini. A Firenze
si osteggia il Codignola. Sulla stessa linea e nello stesso stile si è osteggiato a Milano l’in-
gresso ufficiale nel partito di Gioacchino Volpe». La lettera è citata in D. BRESCHI-G.
LONGO, Camillo Pellizzi. La ricerca delle élites tra politica e sociologia, Soveria Mannelli,
Rubbettino, 2003, p. 34.
134
G. VOLPE, Fascismo. Governo fascista, cit.
UNA DIASPORA INTELLETTUALE 113
Siamo in una fase forse risolutiva per la politica: discussione bilancio inter-
ni. Non vedo come Mussolini possa uscirne tanto forte e con tanto consenso
quanto è necessario per fronteggiare i dissidenti che ormai crescono anche nella
maggioranza. E d’altra parte non vedo come possa ritirarsi, ora alla vigilia o
quasi del processo Matteotti. Chi lo sa, in che misura egli vi è impegnato? Certo
gli avversari puntano su quel processo per liquidare fascismo e fascisti e duci.
Insomma, siamo di nuovo in alto mare e con un lievito di passioni concentrate
che fan quasi più paura di quelle che erano palesemente scatenate nel 1921 e
1922. Non credo tuttavia a disordini gravi. Questa lotta ha rimesso in atto Re
ed esercito e forza pubblica. Gli elementi estremisti del fascismo, che potreb-
bero voler spingere all’estremo, sono isolati. Molti dei quali sono stufi. Anche
Farinacci, il ras di Cremona è alquanto abbacchiato. Lancia sfide a destra e a
manca e nessuno le raccoglie! Ciò che è grave e che mina il fascismo come partito
è non tanto la politica quanto la condotta morale. Ogni giorno c’è un processo
che mette a nudo inframmettenze, quattrini, pasticci. Aggiungi il sempre più
chiaro rivelarsi della personalità di Mussolini, il suo oscillare, il suo essere sem-
pre in balia dell’ultimo venuto...135.
Già nella corrispondenza con Gentile del luglio 1924 il recente rim-
pasto ministeriale veniva definito un autentico pasticcio136. E in quella
indirizzata a Pellizzi, nel novembre successivo137, Volpe avrebbe chiara-
mente parlato di un disfacimento strutturale del «partito fascista che
non resisterà alla crisi che lo travaglia e che si manifesta poi in un con-
trasto fra lo stato di mobilitazione armata in cui si trova ed il lavoro, la
capacità costruttiva, che compie e possiede in misura sempre minore».
Una constatazione da cui scaturiva legittimamente la domanda «se il
fascismo non ha già assolto la sua funzione, quella effettiva, voluta e
consentita dalla storia, non quella mitica che gli uomini si compiaccio-
no di attribuire ai partiti». Come spiegare allora il tetragono e apparen-
temente cieco attaccamento di Volpe al regime, che rimase saldo anche
in quell’annus horribilis della vita pubblica italiana? Alcuni per farlo
hanno utilizzato la frase attribuita a Togliatti nel 1956, che insisteva sulla
necessità di «stare dalla propria parte, anche quando questa parte ha
135
Gioacchino Volpe a Elisa Serpieri Volpe, 17 novembre 1924, CV.
136
Gioacchino Volpe a Giovanni Gentile, luglio 1924, AFG.
137
Gioacchino Volpe a Camillo Pellizzi, 8 novembre 1924. La lettera è pubblicata in
appendice al mio, Gioacchino Volpe: fascismo, guerra e dopoguerra. Nuovi documenti, 1924-
1945, in «Nuova Storia Contemporanea», 2004, 2, pp. 101 ss., in particolare pp. 122-123.
114 CAPITOLO TERZO
Io per conto mio credo che Mussolini abbia fatto una delle due cose che
doveva fare: instaurar dittatura o andarsene. Proseguire, come finora, era il
peggio. Otterrà con la compressione quel che non si era ottenuto con il lasciar
fare di ieri? Gli altri rispondono, con fede, sì, no. Io non lo so, confesso. È
un’esperienza che l’Italia non ha mai fatto. Non abbiamo mai avuto né un go-
verno che voglia governare col pugno di ferro e sia disposto a tutto, né una
opposizione così velenosa e irreducibile. Le altre opposizioni erano, al confronto,
roba da ridere: opposizioni per la piazza. Dietro le quinte bevevano il bicchiere
insieme! Ma ora ci sono, lì in mezzo, dei fanatici che si farebbero tagliare a pezzi.
Tuttavia si parla di crisi aventiniana. Repubblicani e popolari vorrebbero tor-
nare. Gli altri, specialmente Amendola, puntano i piedi. E così, l’Italia è sem-
pre sull’orlo della guerra civile139.
138
R. PERTICI, Volpe, Chabod e altri storici. A proposito di un libro recente, in «Stori-
ca», 29, 2004, pp. 111 ss. Si tratta della recensione al mio, Un dopoguerra storiografico.
Storici italiani tra guerra civile e Repubblica, cit. Sull’atteggiamento di Togliatti, N. AJEL-
LO, Intellettuali e Pci, 1944-1958, Roma-Bari, Laterza, 1997, pp. 406 ss.
139
Gioacchino Volpe a Elisa Serpieri Volpe, 6 gennaio 1925, CV.
140
G. SALVEMINI, Memorie e soliloqui. Diario 1922-1925, a cura di R. Pertici, Bologna,
Il Mulino, 2001, pp. 338-339. Sul punto, per una contestualizzazione di queste afferma-
zioni, R. PERTICI, L’antigiolittismo di Gaetano Salvemini, in «Contemporanea», 2001, 3,
pp. 549 ss., in particolare pp. 552-554.
UNA DIASPORA INTELLETTUALE 115
141
G. SALVEMINI, Memorie e soliloqui, cit., pp. 197-198.
142
Gioacchino Volpe a Guido de Ruggiero, Milano, 17 luglio 1922, cit.
143
G. DE RUGGIERO, Avvertenza del 1943, in ID., Storia del liberalismo europeo, Bari,
Laterza, 1949, p. VII.
144
Si veda Piero Gobetti a Guido de Ruggiero, Torino, 17 dicembre 1923, FGDR:
«Caro de Ruggiero, grazie della sua cartolina. Se non ha altri impegni, terrei a pubblicare
io la sua Storia del liberalismo, in volume. Attendo che Ella collabori. Mi mandi le copie
delle sue lezioni inglesi, che io utilizzerò citandone qualche parte. Russo è fascista. No?
E allora lo faccia collaborare».
145
G. DE RUGGIERO, I presupposti economici del liberalismo, in «La Rivoluzione libe-
rale», I, 1922, 2, pp. 6 ss.; ID., Il liberalismo e le masse, ivi, II, 1923, 2, pp. 49 ss.; ID., Li-
berali e laburisti, ivi, III, 1924, 14-15, pp. 51 ss. I primi due articoli sono raccolti in ID.,
Scritti politici, cit., pp. 455 ss.; 624 ss.
146
G. BEDESCHI, Per una “democrazia liberale”. Socialismo, fascismo, liberalismo nel-
l’analisi di Guido de Ruggiero, cit.
116 CAPITOLO TERZO
Attendo con vera impazienza il suo libro sul liberalismo, che viene a soddi-
sfare un mio desiderio assai vecchio di abbracciare tutto quanto il movimento
liberale europeo, che sgorga dal seno della società moderna. L’Italia e la Spagna
oggi dimostrano anche ai ciechi quello che realmente sono e sono sempre stati:
paesi precapitalistici. Il problema italiano oggi si rivela in tutta la sua tragica verità
e il fascismo non è causa, ma effetto di uno stato di cose, che lo stesso Albertini
e lo stesso Amendola non saprebbero sanare. Per capire i termini realistici del
problema bisogna spiegarsi questo fatto: perché l’Italia ha avuto, dopo la guer-
ra, il bolscevismo e il fascismo (due facce d’un unico movimento), mentre non
hanno avuto, né l’uno né l’altro Francia e Inghilterra. La risposta a questo quesito
è la chiave della soluzione. Anche se la valvola di sicurezza dell’emigrazione
avesse funzionato, la piccola borghesia disoccupata e i declassés della guerra,
in un paese incapace di assorbimento, dove la grande industria è eccezione,
meridionale a nord e a sud, dove si potevano cacciare? Tutto quello che dicono
147
G. DE RUGGIERO, I presupposti economici del liberalismo, in ID., Scritti politici, cit.,
pp. 466-467. Si veda la nota di Gobetti che accompagnava l’articolo, snaturandone in
buona parte i contenuti: «Il rinascimento liberale si prepara (attraverso ogni sorta di astrat-
ti miti) per opera delle autonome forze popolari che credono di negarlo».
UNA DIASPORA INTELLETTUALE 117
sulla democrazia e sul liberalismo sono parole di chi non sa che cosa sia vita
politica. Legga, a questo proposito, gli scritti di Max Weber (specialmente quelli
sul capitalismo) e vedrà se non ho ragione di definire l’Italia un paese precapi-
talistico. Il pagliettismo non è un fenomeno soltanto meridionale.
Non credo che Volpe desideri mettere la collana storica da lui diretta all’om-
bra di un’insegna politica, che non è quella di alcuni (quasi tutti) collaboratori.
Egli poi è uno spirito libero e alto, che ha un grande rispetto per la personalità
altrui. Guardi che con Lei vi sono anche: Ciasca (un salveminiano) e Rota (un
democratico). Gli scriva; ma per spiegarsi in buoni termini. Mi dispiacerebbe
che il suo volume non facesse parte della collezione. Sto lavorando ancora at-
torno al volume, che spero getterà luce anche sul problema del liberalismo,
studiandolo nelle sue origini più lontane e profonde148.
148
Antonio Anzilotti a Guido de Ruggiero, Firenze, 27 giugno 1924, cit. Nel post-
scritto, Anzilotti aggiungeva: «Lei mi dice che non si possono dare le discussioni di filo-
sofo. Lei invece le può dare benissimo alla storia, per la quale ha splendide attitudini».
149
Benedetto Croce a Guido de Ruggiero, s. l., 14 agosto 1924, FGDR.
118 CAPITOLO TERZO
150
Gioacchino Volpe a Guido de Ruggiero, Roma, 18 novembre 1924, ivi.
151
Gioacchino Volpe a Guido de Ruggiero, Milano, 29 novembre 1924, ivi.
152
Gioacchino Volpe a Benedetto Croce, Roma, 30 novembre 1924, cit.: «Non sapete
che un giornale umoristico di Roma ha scritto aver io, occupandomi di cose moderne, detto
“un cofano di fesserie”? Se è vero, voglio che lo dica non Il becco giallo ma un giornale
rispettabile!». Nella lettera il riferimento era alla recensione di G. VOLPE, L’ultimo cinquan-
tennio: l’Italia che si fa, cit. Volpe avrebbe ricordato l’attività della rivista, parlando di «un
Guido de Ruggero, che, pur beffeggiando sul “Becco Giallo” Giovanni Gentile, mini-
stro, ne coltivava l’amicizia e ne frequentava la casa». Si veda ID., Memoriale al Ministro
della Pubblica Istruzione, 15 luglio 1946, ora pubblicato da I. VALENTINI, Le interferenze
politiche nell’epurazione universitaria. L’“esame di coscienza” di Gioacchino Volpe e la “car-
riera” di Luigi Salvatorelli, in «Nuova Storia Contemporanea», 2003, 2, pp. 123 ss.; p. 129.
153
Guido de Ruggiero alla moglie, 12 dicembre 1924, FGDR: «Gentile mi ha fatto
una recriminazione per il trattamento sadico che gli va facendo il Becco giallo: alias quel
mascalzone di X... La cosa è veramente seccante perché siccome è notorio che io sono
collaboratore del B. G., quelle sudicerie vengono attribuite a me e io ci faccio una pessi-
ma figura. Dovrò dire a Giannini che la smetta: dica quel che vuole di G. politico, ma lasci
in pace la filosofia e la famiglia».
UNA DIASPORA INTELLETTUALE 119
La cosa è tanto più urtante, in quanto credo che dietro gli scrupoli ideali o
morali c’è sempre qualche altra cosa di meno alto: cioè passione partigiana e
faziosa, desiderio di non compromettersi in nessun modo in pubblico ecc. Tan-
to è vero che feroci antifascisti attuali che ora quasi evitano toccarmi per paura
di lebbra, non molto tempo addietro ricorrevan a me per aver agevolazioni dal
“governo fascista”. Perché nessuno potrà farmi persuaso che non si possa, oggi,
scrivere di un argomento storico o storico-politico, senza farne cosa polemica,
senza mortificarlo con le nostre presenti passioni. Chi impediva a de Ruggiero
di valutare storicamente il fatto “liberalismo” nel suo sorgere e nel suo fiorire
e magari desumerne la convinzione della sua grandezza e della sua vitalità? Non
potrei farlo io, che non son socialista o comunista, del socialismo o del comu-
nismo? Lui mi scrive che voi gli avete dato ragione: ma non so persuadermene.
E in ogni modo, della conciliabilità del volume con la collezione dovevo e po-
tevo essere giudice anche io, che aspetto il volume da due anni ed ho impegni
editoriali ed ho lavorato per questa collezione! Ma non signore! Tutto questo
è, permettetemelo, stupido. Tradisce un sentimento che, se diffuso, crea ipso
facto la guerra civile, armi alla mano. Ed io che sono, mi pare, fuori dalle fazioni
e dalle parti, sento anche io, a volte, investirmi dallo spirito fazioso e partigia-
no, per legittima ritorsione!154
154
Gioacchino Volpe a Benedetto Croce, Roma, 30 novembre 1924, cit.
155
Gioacchino Volpe a Guido de Ruggiero, Roma, 5 dicembre 1924, FGDR.
120 CAPITOLO TERZO
156
Gioacchino Volpe a Guido de Ruggiero, Roma, 11 febbraio 1925, ivi.
157
Gioacchino Volpe a Guido de Ruggiero, Roma, 12 febbraio 1925, ivi.
UNA DIASPORA INTELLETTUALE 121
Mi pare che lei mi cambi le carte in tavola. Io faccio “notevoli sforzi per
giustificarmi”! “Giustificarmi” di che? Io avevo insistito di aver il mss. non per
desiderio di respingerlo, ma di accoglierlo. Il desiderio di non darmelo era il
suo. E quando me lo ha dato è probabile che abbia fatto di tutto per renderme-
lo inaccettabile. Non spiego altrimenti la mancanza di un capitolo su l’Italia e
il salto della numerazione che presentava il manoscritto, dopo i capitoli su l’In-
ghilterra, la Francia, la Germania. Un lavoro così fatto non rispondeva a nessu-
na delle condizioni esplicitamente ed implicitamente segnate ed io dovevo re-
spingerlo. Per il resto, le sue ironie non mi toccano. Che cosa va cianciando di
“intento apologetico” che mi sono proposto? Avrebbe fatto meglio a conchiu-
dere: ho preso un impegno e non lo ho mantenuto, di proposito. E ora basta.158
Questo libro, preparato tra il 1921 e il 1924, redatto nella seconda metà del
1924, fu pubblicato nel 1925 mentre tutte le libertà italiane venivano conculca-
te. Esso perciò risente, nella vibrazione dello stile, dell’ambiente e del tempo in
158
Gioacchino Volpe a Guido de Ruggiero, Roma, 20 febbraio 1925, ivi.
159
Raffaele Ciasca a Guido de Ruggiero, Messina, s. d. [ma marzo 1925], FGDR.
160
La scelta editoriale di Laterza risaliva ai primi mesi del 1925. Sul punto, Raffaele
Ciasca a Guido de Ruggiero, 23 marzo 1925, ivi: «Aspetto con impazienza il tuo studio,
che sarà indubbiamente molto bello e molto interessante. Mi prenoto fin da ora col La-
terza, perché voglio che una delle prime copie disponibili sia a me destinata». Sui prece-
denti rapporti di de Ruggiero con la casa editrice pugliese, B. CROCE-G. LATERZA, Carteg-
gio. II. 1911-1920, cit., passim. Si veda anche D. COLI, Il filosofo, i libri, gli editori. Croce,
Laterza e la cultura europea, Napoli, Editoriale Scientifica, 2002, passim.
161
Benedetto Croce a Guido de Ruggiero, Napoli, 16 giugno 1925, FGDR.
122 CAPITOLO TERZO
G. DE RUGGIERO, Avvertenza del 1943, in ID., Storia del liberalismo europeo, cit.
162
164
Ivi, p. 442.
165
Ivi, pp. 362-363.
166
Ivi, pp. 397 ss.
167
Ivi, p. 410, dove il nuovo assetto corporativo era definito «un ibrido connubio di
reminiscenze sindacaliste mal digerite e d’istituzioni liberali incautamente rimaneggiate».
168
Si veda A. AQUARONE, L’organizzazione dello Stato totalitario, Torino, Einaudi, 1965,
pp. 52 ss. La Commissione, nominata personalmente da Mussolini su designazione del di-
UNA DIASPORA INTELLETTUALE 123
rettorio del Pnf il 4 settembre 1924, iniziava i lavori sotto la direzione di Gentile il 28 ot-
tobre. Sul ruolo di Gentile si veda anche M.L. CICALESE, Gentile e la filosofia come coscienza
critica della politica (a proposito della Commissione dei Quindici: 1924-1925), in «Il Pen-
siero Politico», 1993, 3, pp. 382 ss., ora in ID., Nei labirinti di Giovanni Gentile. Bagliori
e faville, Milano, Franco Angeli, 2005, pp. 93 ss.
169
Si veda G. DE RUGGIERO, Classe e partito, in «Rinascita liberale», 20 marzo 1925.
L’intervento – ricompreso in ID., Storia del liberalismo europeo, cit., pp. 404 ss. – è ora
ripubblicato, insieme ad altri materiali, in Adolfo Tino e il partito della democrazia, in
«Nuova Antologia», 1988, 1, pp. 11 ss.
170
B. CROCE, recensione a G. DE RUGGIERO, Storia del liberalismo europeo, in «La Cri-
tica», 20 settembre 1925, pp. 305-306.
171
Si veda G. VOLPE, Storia del movimento fascista, in appendice a B. MUSSOLINI, La
dottrina del fascismo, Milano-Roma, Treves-Treccani-Tuminelli, 1932, pp. 118 ss. Si trat-
ta della parte storica della voce «Fascismo», pubblicata in quello stesso anno nell’Enci-
clopedia italiana. Questo giudizio ritornava in ID., Storia del movimento fascista, cit., p. 145.
Larvatamente non favorevole era anche l’opinione sull’attività della «Commissione dei
Quindici». Si veda ID., Guerra Dopoguerra Fascismo, cit., pp. 313 ss.; e Storia del movi-
mento fascista (1932), cit., pp. 115-116.
172
La citazione rimanda all’intervento di Volpe, in occasione della discussione del
disegno di legge sulla dispensa dal servizio dei funzionari dello Stato, al quale lo storico
dichiarava di dare voto favorevole solo «per disciplina di partito». Cfr. Atti parlamentari.
Camera dei Deputati. Legislatura XXVII, 1° Sessione. Discussioni. Tornata del 19 giugno
1925, Roma, Tipografia della Camera, s. d., p. 4343.
173
A. ROCCO, La trasformazione dello Stato, cit., p. 16.
124 CAPITOLO TERZO
174
G. DE RUGGIERO, Storia del liberalismo europeo, cit., p. 362.
175
R. DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario,, cit., pp. 599 ss.
176
G. MATTEOTTI, Reliquie, a cura di C. Treves, Milano, Dall’Oglio, 1964, pp. 35 ss.
177
G. DE RUGGIERO, Intorno al Fascismo, cit., p. 454.
178
G. GIOLITTI, Memorie della mia vita. Con uno studio di Olindo Malagodi, Milano,
Fratelli Treves, 1922. La recensione di de Ruggiero, intitolata Memorie inutili, era com-
parsa in «Le Battaglie del Mezzogiorno», 31 gennaio-1° febbraio 1923, ora in ID., Scritti
politici, cit., pp. 616 ss.
UNA DIASPORA INTELLETTUALE 125
179
G. DE RUGGIERO, Memorie inutili, cit., pp. 617-618.
180
G. VOLPE, Giovane Italia, cit., p. 410. Si veda anche, sempre sul pericolo di veder
risorgere intorno al fascismo la vecchia pratica della mediazione d’interessi giolittiana,
Gioacchino Volpe a Elisa Serpieri Volpe, 19 novembre 1922; 20 giugno e 17 novembre
1924, cit.
126 CAPITOLO TERZO
181
M. MISSIROLI, Tutti giolittiani, in «La Stampa», 2 giugno 1920, poi in ID., Polemica
liberale, cit., pp. 149 ss.
182
ID., Il ritorno di Giolitti, in «La Stampa», 17 giugno 1920, ivi, pp. 155 ss.
183
ID., La disfatta di Giolitti, in «La Stampa», 28 febbraio 1922, ivi, pp. 215 ss.
184
ID., Giolitti, ivi, pp. 331 ss.
185
Cfr. B. CROCE, Taccuini di guerra, 1943-1945, a cura di C. Cassani, Milano, Adel-
phi, 2004, p. 188, alla data del 25 luglio 1944.
186
ID., Storia d’Italia, cit., pp. 224 ss.
187
G. GALASSO, Croce e lo spirito del suo tempo, cit., pp. 349 ss.
UNA DIASPORA INTELLETTUALE 127
Non ho mai scritto articoli su la fine di Croce, che sarebbe stata una scem-
piaggine. Ho solo scritto un articolo-rassegna sulla Storia d’Italia (“Corriere della
188
R. COLAPIETRA, Benedetto Croce e la politica italiana, Bari, Santo Spirito, 1969-1970,
2 voll., I, pp. 328 ss., p. 304 per la citazione.
189
Si veda G. DE RUGGIERO, Il momento della democrazia, in «Giornale della Sera»,
14-15 ottobre 1922, in Scritti politici, cit., pp. 580 ss.
190
Cfr. G. SALVEMINI, Memorie e soliloqui, cit., pp. 52-53: «La “dittatura” di Mussoli-
ni non è una novità. Tutta la vita parlamentare italiana è stata “dittatura”, da quando io
ho memoria di vita politica. [...] Giolitti fu “dittatore” dal 1902 al 1913: non fu mai la
Camera che lo mandò via: furono talvolta tumulti popolari (sciopero ferroviario), o in-
successi di politica estera, o interesse suo a rimanere per qualche mese in disparte».
191
G. AMENDOLA, La democrazia dopo il 6 aprile 1924, Milano, Corbaccio, 1924,
pp. 84-85.
192
G. GENTILE, Il liberalismo di B. Croce, in «L’Epoca», 21 marzo 1925, in ID., Politi-
ca e cultura, cit., I, pp. 144 ss.
193
Per il quale rimando al mio, Un dopoguerra storiografico, cit., pp. 135 ss.
128 CAPITOLO TERZO
Sera”), svolto poi nelle pagine di prefazione che io apposi alla 2° edizione di
Italia in cammino: una critica educata, là dove mi pareva criticabile, di quella
storia, critica che mi pare valida ancora oggi. Il fallimento finale di idee, aspira-
zioni, spunti, che prima del 1914 si facevano strada in Italia ed entravano nel
tessuto della sua vita, non vuol dire che Croce, in quel quadretto di maniera,
tutto giolittiano, che fa dell’Italia di prima della guerra, avesse ragione a non
accorgersene, come non esistessero. Il rimprovero che gli facevo era di aver fatto
della polemica retrospettiva, aver delineato la storia d’Italia attorno al 1910
secondo i gusti e le tendenze del posteriore Croce antifascista. Ma quel caro
vecchio e i suoi tirapiedi non mi hanno mai perdonato quella critica, anzi, come
essi dissero, quel “tradimento”, come se io fossi uomo da mafie e da camorre o
setta, che giura fedeltà ad oltranza! Da allora Croce prese a bersagliarmi di
sarcasmi; esso che fino allora aveva sempre sollecitato la mia collaborazione. E
tutta la sua consorteria dietro194.
194
Gioacchino Volpe a Giuseppe Prezzolini, Roma [1950], AGP. Sulle cautele di
Volpe nell’affrontare quella materia sulle colonne del quotidiano milanese, si veda la sua
lettera al direttore del giornale, Maffio Maffi, del 15 febbraio 1928, in Archivio Storico
del Corriere della Sera, Milano (ACorsera): «Non mi è stato, poi, facile trovare un punto
di vista adeguato per giudicare, e al bisogno criticare il volume di Croce. [...] Il pezzo che
mando ora sarà, io calcolo, due colonne e un quarto. Non mi è stato possibile restringer-
lo, a voler dare idea un po’ esatta e dare ragione delle manchevolezze del libro».
195
Gioacchino Volpe a Benedetto Croce, Roma, 30 novembre 1924, cit.
196
Giovanni Gentile a Fortunato Pintor, 9 novembre 1924, in G. GENTILE-F. PINTOR,
Carteggio, 1895-1944, a cura di E. Campochiaro, Firenze, Le Lettere, 1993, pp. 322-323.
197
G. GENTILE, Buffonate antifasciste, in «Educazione Fascista», 1931, 3, ora in ID.,
Politica e cultura, II, cit., pp. 257 ss.
198
M. MUSTÈ, Adolfo Omodeo, cit., p. 216.
UNA DIASPORA INTELLETTUALE 129
199
Benedetto Croce a Guido Calogero, 6 maggio 1935, in Carteggio Croce-Calogero, a
cura di C. Farnetti, introduzione di G. Sasso, Bologna, Il Mulino, 2004, p. 49.
200
E. DI RIENZO, Un dopoguerra storiografico, cit., pp. 126 ss.
201
Sul punto, le belle pagine di G. SASSO, Per invigilare me stesso. I Taccuini di lavoro
di Benedetto Croce, Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 46 ss.
202
B. CROCE, A proposito di una “Filosofia dell’Arte”, in «La Critica», XXIX, 1931, 1,
ora in ID., Conversazioni critiche. IV, cit., p. 377.
203
G. GENTILE, La distinzione crociana di pensiero e azione, in «Giornale critico della
Filosofia italiana», XXII, 1941, 1, pp. 274 ss., in particolare p. 277.
204
Si veda G. VOLPE, Onore ad un italiano ed all’Italia, in «Il Popolo d’Italia», 8 lu-
glio 1923, in ID., Guerra Dopoguerra Fascismo, cit., pp. 293 ss.
205
ID., Postilla del 1928, ivi, pp. 298-299. Si veda anche Gioacchino Volpe a Elisa
Serpieri Volpe [luglio 1923], CV. Sul punto, R. COLAPIETRA, Benedetto Croce e la politica
italiana, cit., II, pp. 482 ss.
130 CAPITOLO TERZO
La nostra rivoluzione, si badi, era ed è più contro Benedetto Croce che non
contro Buozzi o Modigliani. Il giorno in cui abbiamo vinto, il nostro torto è stato
di non mostrare al popolo e alla borghesia come giallastro è il sangue dei filo-
sofi e dei poeti prudentissimi, dei retori tronfi, dei loici dubbiosi, dei chierici
increduli, dei sofisti pieni di cautele e di riguardi. È stato di non mostrare agli
italiani, i quali delle rivoluzioni han sempre avuto un sacro orrore, che le rivo-
luzioni si fanno anche contro il parere e i programmi degli enciclopedisti, anzi
contro, e che non vale usar la critica e la logica quando è tempo di menar le
mani; sono argomenti retorici buoni in tempi buoni, non già quando la som-
206
Benedetto Croce a Gioacchino Volpe, Napoli, 7 aprile 1925, cit. Il riferimento era
al discorso di G. GENTILE, Il Fascismo nella cultura, in Politica e cultura, I, cit., p. 99. In-
tervento che aveva di poco preceduto la stesura del manifesto d’appoggio degli intellet-
tuali al regime del marzo di quello stesso anno.
207
B. CROCE, Il feticcio dello Stato etico e della morale governamentale, in «Il Caffè»,
26 aprile 1925, ora in Il Caffè, 1924-1925, a cura di B. Ceva, Milano, Feltrinelli, 1961, p.
244. Sui tentativi del fascismo di recuperare Croce, si veda R. COLAPIETRA, Benedetto Croce
e la politica italiana, cit., II, al capitolo VII. Tali tentativi sarebbero continuati fino al 1934,
come ha recentemente dimostrato G. SEDITA, L’intellettuale che spiava Benedetto Croce.
L’attività informativa di Aldo Romano, in «Nuova Storia Contemporanea», 2005, 4, pp.
49 ss. Sulla tattica di «transigenza» tra fascismo e intellettuali dissidenti o «afascisti», G.
GENTILE, Discorso inaugurale dell’Istituto Nazionale Fascista di cultura, 19 dicembre 1925,
in ID., Politica e cultura, cit., I, pp. 256 ss., in particolare p. 268.
UNA DIASPORA INTELLETTUALE 131
mossa urge alle porte della città e chiede di far giustizia dei giudici, dei dottori,
degli affamatori, dei traditori208.
208
A. SOFFICI, Battaglia fra due vittorie, preceduto da un Ragguaglio sullo stato degli
intellettuali rispetto al Fascismo di C. Suckert, Firenze, Società Anonima Editrice “la
Voce”, 1923, pp. XXII-XXIII. Sulla battaglia «anti-intellettuale» di Malaparte, si veda
G. PARDINI, Curzio Malaparte. Biografia politica, Milano-Trento, Luni Editrice, 1998,
pp. 97 ss.
209
A. ROCCO, Sul disegno di legge “Modificazioni ed aggiunte alla legge 13 giugno 1912,
n. 555 sulla cittadinanza. Camera dei Deputati, tornata del 28 novembre 1925, in ID., Scritti
e discorsi politici, cit., pp. 239 ss., in particolare pp. 239-240.
132 CAPITOLO TERZO
Proprio perché questo studioso non è ignoto fuori d’Italia, io credo dovero-
so che una voce di persona che, come lui, vive la vita delle Università italiane,
si innalzi qui nel Parlamento a dire che non è vero quello che è affermato nella
lettera del prof. Salvemini. Nelle Università italiane è ancora oggi lecito di pro-
fessare liberamente quella e qualsiasi altra disciplina, anche la storia; lo ricono-
scono del resto anche quelli dell’altra parte che non sono accecati dalla passio-
ne. Solo è necessario questa e qualsiasi altra disciplina non mescolarla mala-
mente con la politica. Sappiamo che la storia è anche politica, nel senso che i
fatti anche lontanissimi è difficile valutarli senza un criterio politico direttivo,
ma esiste un limite che divide la politica, in quanto storia, dalla politica in quanto
polemica, dalla politica avvelenata, dallo spirito fazioso! Questo limite il prof.
Salvemini non lo ha sentito! È necessario che i maestri questo limite lo sentano,
tanto per necessità, per esigenza immanente dello Stato e della vita civile, quan-
to pel rispetto agli alunni e alla scuola, alla scienza e alla stessa politica211.
210
Ernesto Sestan a Gioacchino Volpe, 4 dicembre 1957, cit.: «Ricorderò ancora che,
quando nel ’31 fui attaccato per essere stato scolaro di Salvemini, lei mi difese a viso aperto
in un modo che suonava anche stima per Salvemini maestro; e ricordo anche di aver letto
in non so quale volume degli Atti Parlamentari, mi pare del ’26 [sic], parole Sue in difesa
di Salvemini».
211
Atti parlamentari. Camera dei Deputati. Legislatura XXVII, 1° Sessione. Discussioni,
V, pp. 4693-4694.
212
Salvemini, sospeso dal ruolo, il 6 giugno 1925, in seguito al procedimento per la
pubblicazione clandestina di «Non mollare», veniva reintegrato, nel mese di luglio, a se-
guito dell’amnistia per i detenuti politici. Sulle vicende che, tra 1924 e 1925, portarono
UNA DIASPORA INTELLETTUALE 133
1
G. SALVEMINI, Memorie di un fuoriuscito, a cura di G. Arfé, Milano, Feltrinelli, 1960,
p. 41. Più tardi Salvemini avrebbe definito, a più riprese, Volpe come lo «storico ufficiale
della dittatura fascista», pur continuando a riconoscere i suoi meriti di studioso. Si veda
ID., “Lezioni di Harvard”, cit., pp. 305, 400, 485, 599, 617; G. SALVEMINI e G. LA PIANA,
Duell Sloan and Pearce, New York, 1943, poi in traduzione italiana, con il titolo di La sorte
dell’Italia, Roma-Firenze-Milano, Edizioni U, 1945, pp. 76-77.
2
E. DI RIENZO, Un dopoguerra storiografico, cit., al capitolo III.
3
G. VOLPE, Un’occhiata alla nuova Camera, in «Gerarchia», aprile 1924; ID., Ripensan-
do al Congresso Fascista, in «Gerarchia», agosto 1925, ora in ID., Guerra dopoguerra Fasci-
smo, cit., pp. 301 ss. e 381 ss. Sulla giubilazione politica di Volpe, R. DE FELICE, Mussolini
il fascista. II. L’organizzazione dello Stato fascista, 1925-1929, Torino, Einaudi, 1996, p. 130.
4
L. DI NUCCI, Lo Stato fascista e gli italiani “antinazionali” in Due nazioni, cit.,
pp. 127 ss.
136 CAPITOLO QUARTO
5
U.M. MIOZZI, La scuola storica romana (1926-1943), Roma, Edizioni di Storia e Let-
teratura, 1982, 2 voll.; E. DI RIENZO, Un dopoguerra storiografico, cit., passim. Ai quali si
rimanda per quel che segue, salva diversa indicazione.
6
Gioacchino Volpe a Maffio Maffi, 26 gennaio 1928, ACorsera: «Sto preparando
anche, se a lei non dispiacerà, un articolo sulla esplorazione degli archivi stranieri per
documenti di storia italiana. Nei mesi scorsi una spedizione torinese ha frugato Simancas
e la Spagna. Mi pare l’argomento meriti. Siamo al principio di una impresa necessaria».
Si tratta della missione organizzata da Pietro Egidi, compiuta tra 1928 e 1929, con la par-
tecipazione Chabod. Sulla quale si veda la testimonianza dello stesso Chabod, depositata
nel curriculum vitae consegnato alla Scuola di storia moderna e contemporanea di Roma,
il 27 dicembre 1929, ora in Archivio Chabod, Istituto di Storia moderna e contempora-
nea di Roma.
7
E. DI RIENZO, Conservatorismo e tradizione storiografica. Gli studi sulla stagione ri-
voluzionaria in Italia, in Revisioni e revisionismi. Storie e dibattiti sulla modernità in Ita-
lia, a cura di I. Botteri, Brescia, Editore Grafo, 2004, pp. 65 ss.
8
ID., Delio Cantimori e il dopoguerra storiografico, 1943-1962, in «Nuova Storia Con-
temporanea», 2005, 1, pp. 67 ss., in particolare pp. 76 ss.
9
C. MORANDI, Italiani nella vecchia Austria; ID., Italiani in Ungheria e in Transilvania,
in «Popoli», 1941, 4, 9, in ID., Scritti storici, cit., III, pp. 526 ss.; ID., Per una storia degli ita-
liani fuori d’Italia. A proposito di alcune note di Antonio Gramsci, in «Rivista Storica Italia-
na», 1949, 3, pp. 379 ss. Questo interesse rimase a lungo vivo in Morandi. Si veda Ernesto
Ragionieri a Corrado Vivanti, 26 marzo 1970: «Fra le carte Morandi ho trovato varie cose
STORIA D’ITALIA E FASCISMO 137
interessanti: moltissimi appunti per la storia degli italiani all’estero». La lettera è conservata
nell’Archivio Ragionieri dell’omonima Biblioteca comunale di Castelfiorentino.
10
Si veda A. SCAZZOLA, Giovanni Gentile e il Rinascimento, Napoli, Vivarium, 2002,
pp. 190 ss.
11
G. GENTILE, Che cos’è il Fascismo. Conferenza tenuta a Firenze al Circolo di cultu-
ra fascista, l’8 marzo 1925, ora in Politica e cultura, cit., I, pp. 7 ss., in particolare p. 12.
12
G. VOLPE, Italia moderna, cit., III, pp. 205 ss.; ID., Nazionalismo fra le due guerre
(Nizza, Malta, Corsica), in «Il Veltro», 1964, 3, pp. 481 ss.
13
Gioacchino Volpe a Giovanni Gentile, Milano, 23 giugno 1923, AFG. La corrispon-
denza annunziava la pubblicazione di G. VOLPE, Italiani vicini e lontani. I Corsi, in «Ge-
rarchia», giugno 1923, poi in ID., Corsica, Milano, Istituto Scientifico Editoriale, 1926, pp.
47 ss., infine in ID., Storia della Corsica italiana, Milano, Ispi, 1939, pp. 139 ss.
138 CAPITOLO QUARTO
14
Il primo e unico numero della rivista, stampato a Milano, è conservato presso la
Biblioteca Nazionale di Firenze.
15
G. ANSALDO, La Corsica, in «La Rivoluzione liberale», IV, 1925, 8, pp. 33 ss., in
particolare p. 36. Ansaldo tornava a polemizzare con Volpe nell’articolo Bibliografia del-
la Corsica, ivi, IV, 1925, 9, p. 39: «Fra gli scrittori italiani che recentemente trattarono della
Corsica: G. VOLPE, Europa e Mediterraneo nel XVII e XVIII secolo, in Politica, anno V, n.
STORIA D’ITALIA E FASCISMO 139
21
ID., Italiani vicini e lontani: i Còrsi e La Corsica dopo il 1796, ora in ID., Storia della
Corsica italiana, pp. 139 ss. e 159 ss. Su Volpe e la storia della Corsica, di qualche utilità
è L. DEL PIANO, Gioacchino Volpe e la Corsica ed altri saggi, Cagliari, Cuec, 1987.
22
Gioacchino Volpe a Giuseppe Prezzolini, 2 luglio 1927, AGP. Il riferimento è G.
VOLPE, Corsica, cit. In quel momento Prezzolini soggiornava a Parigi, dove era responsa-
bile delle pubbliche relazioni presso l’Ufficio cultura della Società per le Nazioni.
23
Sul punto, M. MASUTTI, L’Italia fuori d’Italia: Gioacchino Volpe tra storiografia e
politica, 1920-1940, in «Clio», 2002, 3, pp. 571 ss. e il mio contributo, Lo spazio politico
mediterraneo nella storiografia italiana tra Grande Guerra e fascismo, cit.
STORIA D’ITALIA E FASCISMO 141
position si importante que l’Italie occupe dans la Méditerranée doit être plei-
nement mise en lumière et ne saurait mieux l’être que par un Italien, peut-être
pourriez-vous vous consacrer plus particulièremente à un exposé des intérêts
italiens dans la Méditerranée24.
L’Italia nel Mediterraneo dal 1920; Missione e compiti dell’Italia nel pensie-
ro del Risorgimento; l’Italia e l’intervento, 1914-1915; Storia di Roma e Storia
d’Italia; Risorgimento e Fascismo; Risorgimento (limiti cronologici e fasi diver-
se): in certo senso, 1846-1848, ma anche 1815, 1796, anche XVII-XVIII secolo;
“Risorgimento”: presuppone decadenza da una pristina grandezza. In che sen-
so è da intendersi ciò?; Fatti da esaminare: Europa, Savoia, Italia25.
24
André Tibal, professeur à la Sorbonne et à la Dotation Carnegie, à Gioacchino
Volpe, 3 febbraio 1937, CV.
25
Ibidem.
26
Si veda The Mediterranean problem. Interests and policies of England and Italy, by
Commander Stephen King-Hall, R.N. and His Excellency Gioacchino Volpe. Questions
on our policy in China conflict and Secretary of State Hull’s reply, New York, Carnegie En-
dowment for International Peace, Division of Intercourse and Education, 1938.
27
G. GALASSO, L’Italia come problema storiografico, cit., pp. 98-99.
28
Il testo delle Norme, stampato per uso interno a cura dell’Istituto Giovanni Trecca-
ni, conservato in Archivio storico dell’Enciclopedia Italiana, Roma (AEI), venne riprodotto
in La predisposizione del lavoro in una grande impresa scientifico-editoriale. L’Enciclopedia
Italiana dell’Istituto Giovanni Treccani, in «L’organizzazione scientifica del lavoro. Rivi-
sta dell’Ente nazionale italiano per l’organizzazione scientifica del lavoro», 1928, 3, p. 450.
Lo si veda ora in Appendice, infra.
142 CAPITOLO QUARTO
Ben rilevata si presenta la figura di questo re sullo sfondo della vita italiana
attorno al mille. Assai notevole la sua azione in un’epoca di profondo travaglio
della società medioevale nella valle del Po. Trovandosi egli spesso solidale con
la piccola nobiltà contro i vecchi signori, ne aiutò indirettamente l’ascesa: e si
sa qual parte quella classe sociale ebbe nella prima organizzazione del Comu-
ne. Insofferente di dominio straniero, vagheggiò un regno indipendente nel-
l’alta Italia, nella regione stessa in cui questa aspirazione si sarebbe poi più volte
ripresentata, specie nelle coscienze, a difesa degli stranieri, e in essa, mutate le
condizioni d’Italia e d’Europa, si sarebbe infine realizzata. E questo ci spiega
come nel XIX secolo gli uomini del risorgimento si siano riconosciuti in Ardui-
no ed abbiano visto in lui un precursore. Certo, si deve ammettere che, attra-
verso i contrasti con i Tedeschi, contrasti che mettevano di fronte principi e
milizie di nazionalità diverse, si venne concretando nelle popolazioni italiane il
sentimento di un loro proprio essere nazionale: il quale sentimento, del resto,
aveva una sua base già nella tradizione non mai spenta delle lotte fra Impero
romano e Germani e delle invasioni barbariche30.
29
Gioacchino Volpe a Silvio Pivano, s. l., 15 giugno 1929, minuta, AEI.
30
Ibidem. Il passo barrato è cancellato nel manoscritto. L’intervento di Volpe riman-
dava a ID., Il Medioevo, cit., pp. 161-162.
31
Si veda E. DI RIENZO, Un dopoguerra storiografico, cit., pp. 85 ss. Sottovaluta que-
sto aspetto G. TURI, Il mecenate, il filosofo e il gesuita. L’“Enciclopedia Italiana”, Bologna,
Il Mulino, 2002, pp. 89-90, 177 ss.
STORIA D’ITALIA E FASCISMO 143
nella comune gestione dei grandi istituti di cultura del regime (dall’Ac-
cademia d’Italia alla Scuola di Storia Moderna e Contemporanea, al-
l’Istituto per la storia del Risorgimento), rivelava anche profondi, in-
consapevoli, o forse soltanto inespressi motivi di diversità e di dissenso.
Questi si collocavano, in primo luogo, nella diversa concezione genera-
le del processo storico. Necessariamente ingabbiata, quella di Gentile,
nel sistema di una filosofia della storia poco predisposta a cogliere i
momenti della decadenza, della caduta, del regresso, dell’involuzione,
della difformità nei confronti di un decorso logicamente preordinato,
che sembrava non poter ammettere la lacerazione di una precedente
sintesi32. Costituzionalmente aperta, quella di Volpe, ad «approfondire
e allargare la visione della realtà storica»33, senza per questo regredire a
mero «vitalismo»34, a valorizzare egualmente, e senza subordinazione
gerarchica o causale, l’alternarsi della fase positiva e di quella negativa,
l’andamento per alti e per bassi delle vicende umane, i tempi di espan-
sione e di contrazione di una società, fino a postulare una legge dello
sviluppo diacronico composta necessariamente «di un momento distrut-
tivo e di un momento costruttivo e innovatore, fusi in uno»35.
Questa posizione aveva avuto un’immediata ricaduta politica nel
1932, quando Volpe comunicava a Gentile la proposta, indirizzata al-
l’Accademia d’Italia e al partito fascista, nella persona del Segretario
nazionale Achille Starace, di celebrare il decennale del regime con un
volume di Studi bibliografici, composto da una «serie di articoli critico-
bibliografici per dar conto dell’attività italiana negli studi storico-poli-
tici-giuridici-economici-filosofici nel quindicennio o circa dalla guerra
ad oggi»36. L’iniziativa non si rivolgeva soltanto a studiosi già da tempo
affermati (come Mario Attilio Levi e Piero Pieri), ma prevedeva la col-
laborazione di una generazione di ricercatori più giovani di quelli inter-
pellati nei primi anni Venti. Tra questi, Chabod, Maturi, Morandi, Se-
32
Si veda G. SASSO, Le due Italie di Giovanni Gentile, Bologna, Il Mulino, 1988, pp.
19 ss.; 46 ss.
33
Gioacchino Volpe a Giuseppe Prezzolini, 9 marzo 1922, AGP.
34
Come sostiene G. SASSO, Le due Italie di Giovanni Gentile, cit., p. 24, mutuando da
I. CERVELLI, Gioacchino Volpe, cit., pp. 587 ss. Ma il giudizio era già nel contributo di E.
SESTAN, Gioacchino Volpe storico e maestro, pubblicato nel settembre 1958, in «Bilancio.
Rassegna bimestrale delle edizioni Sansoni», pp. 14-15.
35
G. VOLPE, Prefazione a Storia d’Italia, Roma, Volpe Editore, 1968, 2 voll., I, p. XIII.
La si veda ora riprodotta in Appendice, infra. Ma il tema è già presente in ID., Motivi ed
aspetti della presente storiografia italiana, in «Nuova Antologia», novembre-dicembre, 1932.
36
Gioacchino Volpe a Giovanni Gentile, Santarcangelo di Romagna, 20 agosto 1932,
AFG. Si veda anche ID., Programma per volume di “Studi bibliografici”. Prima circolare ai
collaboratori, Roma, 8 luglio 1932, CV. Lo si veda riprodotto in Appendice, infra.
144 CAPITOLO QUARTO
37
Si veda Gioacchino Volpe a Rodolfo De Mattei, Santarcangelo di Romagna, 14 ago-
sto 1932, ivi: «Ci sono due capitoli ancora scoperti: uno è fascismo; cioè dar conto della
produzione più notevole relativa alla storia del fascismo, alla dottrina politica sua, ecc. (esclu-
so ciò che si attiene all’economia), 15-20 pagine di stampa, deve servire di guida al lettore
italiano e straniero. Ho riservato a lei questo capitolo». Volpe avrebbe accolto favorevol-
mente il lavoro di De Mattei con la lettera del 16 settembre: «Bravo, che lavoro! Benissi-
mo, i vari argomenti. Si potrebbe aggiungere forse (o incastrarli in qualcuno dei capitoli
da lei disegnati) un capitolo sul fascismo e ideali di vita, fascismo e concetto dell’uomo».
La lettera è riprodotta in L. RUSSI, Il passato del presente, cit., p. 33 n.
38
L’elenco completo degli studiosi interpellati era in appendice al Programma per
volume di “Studi bibliografici”. Seconda circolare ai collaboratori, Santarcangelo di Roma-
gna, 8 agosto 1932, CV. Lo si veda riprodotto in Appendice, infra.
39
Ibidem.
40
Questa tesi ritornava anche in ID., Storia del movimento fascista, cit., p. 10.
41
La presenza di Missiroli, tra i nomi dei collaboratori del volume di Studi bibliogra-
fici, costituiva una delle cause del divieto di pubblicazione dell’opera da parte di Starace.
Si veda R. DE FELICE, Gli storici italiani nel periodo fascista, in ID., Intellettuali di fronte
al fascismo. Saggi e note documentarie, Roma, Bonacci, 1983, pp. 190 ss., in particolare
pp. 194-196.
42
G. GENTILE, Politica e cultura, cit., II, pp. 235 ss.
STORIA D’ITALIA E FASCISMO 145
43
Gioacchino Volpe a Giovanni Gentile, Pisa, 27 febbraio 1909, AFG.
44
In merito al contenzioso insorto tra Croce e Volpe sulla figura di Giuseppe Ferrari,
G. VOLPE, Ritorno di Ferrari?, in «Corriere della Sera», 8 ottobre 1927, ora in ID., Pagine
risorgimentali, Roma, Volpe, 1967, 2 voll., I, pp. 223 ss. La replica di Croce appariva ne
«La Critica», XXVI, 1928, 2, p. 370.
45
G. SASSO, Le due Italie di Giovanni Gentile, cit., pp. 467 ss.
46
E. DI RIENZO, Un dopoguerra storiografico, cit., pp. 81 ss.
47
G. VOLPE, Ripensando al Congresso fascista, cit., p. 305.
146 CAPITOLO QUARTO
Il passo citato è del 1934, lo stesso anno nel quale Volpe aveva preso
le distanze da uno degli autori cardine dell’«anti-risorgimento» del re-
gime, Alfredo Oriani, suscitando la violenta reazione della fascistissima
rivista fiorentina «L’Universale» diretta da Berto Ricci49, che definiva
«pietosa» la rievocazione fatta dallo storico dell’autore della Lotta po-
litica50. Ma già precedentemente Volpe aveva mostrato il suo ampio
scetticismo verso le future sorti progressive, che il regime fascista van-
tava di aver assicurato in esclusiva all’Italia, con una polemica squisita-
mente intellettuale. Nel maggio del 1930, Umberto Fracchia pubblica-
48
ID., Le corporazioni fasciste, a cura di L. Lojacono, Milano-Roma, 1934, numero
speciale di «L’economia italiana. Rassegna fascista mensile di politica ed economia», XIII,
ora in R. DE FELICE, Il fascismo. Le interpretazioni dei contemporanei e degli storici, Roma-
Bari, Laterza, pp. 330 ss., in particolare pp. 330-331. Sulla battaglia contro il «precurso-
rismo» fascista, si veda G. VOLPE, Motivi ed aspetti della presente storiografia italiana, cit.
49
Si veda Gioacchino Volpe ad Augusto Torre, 12 aprile 1934: «Ha letto L’Universa-
le di Firenze che attacca il mio discorso di Ravenna? Credo abbia torto lui, ragione io»,
in A. TORRE-G. VOLPE, Carteggio, 1932-1961, a cura di V. Cimatti, in I Quaderni del Car-
dello. Annali di studi romagnoli della Fondazione “Casa Oriani”, XIX, 2004, pp. 131 ss.,
in particolare p. 132. L’articolo in questione era redatto da Edgardo Sulis ed era apparso
il 25 marzo 1934, con il titolo Animatore o seguace? Il dissidio si rinnovava nel 1940, a
proposito del commento che Volpe avrebbe dovuto redigere per una nuova edizione del-
la Lotta politica di Oriani, ad uso delle scuole medie superiori. Sul punto, M. BAIONI, Il fa-
scismo e Alfredo Oriani. Il mito del precursore, Ravenna, Longo Editore, 1988, pp. 110 ss.
50
G. VOLPE, Alfredo Oriani storico e politico, conferenza tenuta il 18 febbraio 1934 al
teatro Alighieri di Ravenna, cit.
STORIA D’ITALIA E FASCISMO 147
51
U. FRACCHIA, Lettera aperta a S.E. Gioacchino Volpe, in «L’Italia Letteraria», II, 22
giugno 1930, 25, pp. 34 ss.
52
Si veda rispettivamente: U. OJETTI, Lettera ad Umberto Fracchia sulla critica, in «Pe-
gaso», II, agosto 1930, 8, pp. 207 ss.; A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., IV, pp. 2250-
2251.
53
G. VOLPE, Italia moderna, cit., III, pp. 295-296.
54
ID., Memoriale al Ministro della Pubblica Istruzione, 15 luglio 1946, cit. Su futuri-
smo e fascismo, E. GENTILE, Political Futurism and the Mith of the Italian Revolution, in
G. Berghaus (ed.), International Futurism in Arts and Literature, Berlin-New York, Wal-
ter de Gruyter, 2000, pp. 1 ss.; F. PERFETTI, Futurismo e fascismo, una lunga storia, in Fu-
turismo, 1900-1944. Arte, architettura, spettacolo, grafica, letteratura, a cura di E. Crispol-
ti, Milano, Mazzotta, 2001, pp. 215 ss.
148 CAPITOLO QUARTO
sconveniente, nella mia qualità e in quella occasione. Quanto alla sostanza del-
le parole da me pronunciate, sì, c’era un giudizio, una valutazione di correnti e
movimenti e atteggiamenti di gruppi letterari e artistici. Ma il Segretario gene-
rale non deve avere opinioni? Deve esser egli un ragioniere? Deve pesare, mi-
surare parole e virgole, quando trattasi non di persone ma di cose, di cultura,
di scienza, di arte ecc., per timor di urtare alte suscettibilità? Ed è proprio
Marinetti, il francopolemista, il battagliatore, che prende scandalo di una leg-
gerissima punta nella polemica e mi richiama al dovere in forma ufficiale? Come
a dire che domani io dovrei protestare se Marinetti, divenuto Segretario e rela-
tore, si lasciasse scappar di bocca una concezione della vita storica, un giudizio
sopra opere o libri che io reputassi errato. Caro Marinetti, lei ha sempre parlato
contro le Accademie: ebbene, m’accorgo di essere io, quasi quasi, più antiacca-
demico di lei. Ma io... ho detto male di Garibaldi: cioè ho diffamato la pittura,
la poesia, l’architettura italiana ecc., ho fatto del disfattismo. Santi Numi! Vice-
versa, ho proprio polemizzato contro i disfattisti, contro le prefiche, contro i
1000 e i 100.000 che oggi lamentano la decadenza di tutta la coltura e arte ita-
liana! Ho detto che c’è del torbido, ancora, del caotico, dell’anarchico – quasi
manifestazione superstite di bolscevismo – ma anche fermenti vigorosi, pro-
messe, realizzazioni in fatto di arte, di romanzo, scienze politiche, storiografia,
architettura, ecc.; cioè un mondo ancora non bene espresso ma che batte alla
porta e si fa avanti. Così io considero, caro Marinetti, lo stesso suo futurismo:
non arte essa, ma sintomo di cose che maturano nel campo dell’arte. Questo ho
voluto dire, egregio amico, non perché io sentissi impegnata la mia responsabi-
lità di Segretario ma per chiarire amichevolmente la cosa. Pur non dividendo
tutti i suoi ideali artistici, io ho simpatia per l’“uomo Marinetti”. Il nostro caro
e ottimo Sartorio aveva pensato di investire della cosa il Consiglio Accademico.
Io gli ho detto: no Presidente, queste non sono materie da Consiglio accademi-
co. E poi, il giorno in cui Gioacchino Volpe non fosse più libero, quando parla
all’Accademia, di esprimere un giudizio nel campo degli studi, della scienza,
dell’arte, egli se andrebbe via di volata! 55
55
Gioacchino Volpe a Filippo Tommaso Marinetti, Roma, 10 giugno 1930, minuta
manoscritta, CV. In margine alla lettera un’annotazione di Volpe recitava: «Parole dette
da me in seduta accademica e da Marinetti intese come affronto al Futurismo. Sua prote-
sta e mia risposta».
STORIA D’ITALIA E FASCISMO 149
specialmente tra gli stranieri, l’idea della nostra presente Italia come qualcosa
di artificioso, tutto legato alla vicenda mortale di uomini singoli, di un uomo.
Così non deve essere56.
56
L’intervento di Volpe del 23 novembre 1931 è raccolto in Atti del II Congresso de-
gli Istituti fascisti di cultura, 21-23 novembre 1931-Anno X, Roma, 1932, pp. 100-102.
57
Il non identificato fascismo, in «Il Tevere», 25-26 novembre 1931. L’articolo di In-
terlandi appariva in forma anonima.
58
Una lettera aperta di S.E. Volpe sui “modi di sentire e vivere il Fascismo”, in «Il Te-
vere», 27 novembre 1931, ora in G. VOLPE, Scritti sul fascismo, cit., I, pp. 147 ss.
59
Su Interlandi e il suo giornale, che spesso era utilizzato come portavoce ufficioso
del capo del governo, pagine molto efficaci sono in G. MUGHINI, A via Mercede c’era un
razzista, Milano, Rizzoli, 1991.
150 CAPITOLO QUARTO
60
T. INTERLANDI, Uno, ottocentomila e nessuno, in «Il Tevere», 28-29 novembre 1931.
A fianco dell’editoriale di Interlandi appariva una lettera di Vittorio Cian contraria a
Volpe, indirizzata al direttore del «Tevere», che significativamente si concludeva afferman-
do: «L’intransigenza è imposta dalla passione e dalla fede, della quale è condizione essen-
ziale. Un fedele che transige è già un infedele...».
61
Si veda Telesio Interlandi a Camillo Pellizzi, 28 novembre 1931, Archivio Fonda-
zione Ugo Spirito, Fondo Camillo Pellizzi, b 30, f. 25: «Avete letto quel che dice Volpe e
quel che rispondo io, sul Tevere? A me pare che sia una discussione di capitale importan-
za, nella quale dovrebbero metter bocca tutte le persone intelligenti e ansiose delle sorti
del Fascismo e dell’Italia. Noi abbiamo bisogno di parlarci chiaro; e il momento è buono.
Perché non scrivete qualche cosa sull’argomento? Io ho la sensazione che si stia giocan-
do un brutto scherzo a Mussolini; che gli si voglia far fare il mestiere del venditore levan-
tino di tappeti, che domanda cento per contentarsi di due. Mi scrivereste qualche cosa?».
62
Gioacchino Volpe a Lando Ferretti, Capo dell’Ufficio stampa della Presidenza del
Consiglio, Roma, 1 dicembre 1931. La lettera è pubblicata in E. DI RIENZO, Gioacchino
Volpe: fascismo, guerra e dopoguerra, cit., pp. 124-125.
STORIA D’ITALIA E FASCISMO 151
63
G. GENTILE, Risorgimento e fascismo, in Politica e cultura, cit., II, pp. 111 ss., in
particolare p. 116.
64
ID., Prefazione a C. LICITRA, Dal liberalismo al fascismo, cit.
65
R. FARINACCI, Storia della Rivoluzione fascista, Cremona, Società editrice Cremona
Nuova, 1937, 3 voll., III, pp. 198 ss.
66
A. SOLMI, La genesi del Fascismo. Quaderni dell’Istituto Nazionale Fascista di Cul-
tura. Serie Terza, 9, Milano, Treves, 1933; F. ERCOLE, La Rivoluzione fascista, Palermo,
Ciuni, 1936.
152 CAPITOLO QUARTO
non avrebbe potuto nascere, se non avesse avuto dietro di sé, nella storia, quale
asse ereditario di provenienza più o meno remota, la serie delle creazioni civili
e degli eventi singolari della storia italiana, oggetto degli studi e dell’ammira-
zione di tutti i popoli moderni, ma derivati da energie nazionali. Tutto ciò risul-
ta non soltanto dall’azione, ma anche dagli scritti veramente mirabili di Benito
Mussolini, creatore del Fascismo, poiché in questi scritti è vivo il senso della
tradizione e della grandezza romana, vivo il senso del valore storico del Rina-
scimento e del Risorgimento italiano, e più volte affermato il vincolo diretto tra
il Risorgimento, la guerra mondiale e il Fascismo67.
Insomma Bolivar non vuole essere re, non imperatore. Cioè pieni poteri: ma
non come normale situazione di diritto; e neppure imposta con la forza. Inten-
de che i pieni poteri gli siano conferiti regolarmente, legalmente, in risponden-
za ad una volontà nazionale che egli ha la certezza di incarnare. Dittatura e,
insieme, sovranità popolare: cioè dittatura riconosciutagli da popolo, sia pure
pel tramite dell’organo costituzionale che è interposto fra il capo supremo e il
popolo. Insomma, da una parte i principi, che non si vuole, non si può rinne-
gare; dall’altra, il temperamento autoritario di Bolivar, le stesse esigenze del
momento e dell’ambiente. Da una parte, la necessità della legge e di una costi-
tuzione ferma; dall’altra, il senso della insufficienza della legge e della costitu-
zione. Cose non tutte, forse, conciliabili; certo, non facili a conciliare70.
1930, pp. 49 ss., dove il regime di de Rivera veniva considerato una «dittatura dolce, qual-
che volta troppo dolce», tale da contrastare con la «logica» di un sistema dittatoriale.
69
ID., Salazar e lo “Stato nuovo” portoghese, in «Storia e politica internazionale», 31
marzo 1941, 1, pp. 3 ss. Il saggio era anche pubblicato come prefazione del volume di A.
BIZZARRI, Origine e caratteri dello Stato Nuovo portoghese, Milano, Ispi, 1941.
70
G. VOLPE, Simone Bolivar, 1783-1830. Discorso per il Centenario pronunziato alla
Reale Accademia d’Italia, il 17 dicembre 1930-X, Roma, Reale Accademia d’Italia, 1931,
pp. 16-17.
STORIA D’ITALIA E FASCISMO 153
71
G. GENTILE, Politica e cultura, cit., I, pp. 369 ss.
72
Anche uno storico, certo non allineato con il regime, come Gino Luzzatto, definiva
alcune pagine della Storia del movimento fascista «abbastanza oneste». Si veda M. BEREN-
GO, Gino Luzzatto, Corrado Barbagallo e la censura fascista, in Studi in onore di Paolo Ala-
tri. II. L’Italia contemporanea, a cura di C. Carini e P. Melograni, Napoli, Esi, 1991, pp.
261 ss., in particolare p. 269.
73
L’articolo appariva l’11 febbraio 1939 sul «Popolo d’Italia», siglato B.B. Nello stri-
minzito resoconto, si definiva l’opera una «storia del fascismo narrata da un punto di vi-
sta extra fascista, entro il quale se costante ed estremamente onesto si rivela sempre lo
sforzo di comprendere, di giustificare e talvolta di esaltare quel gran capitolo della storia
dell’umanità che ha nome Fascismo», l’autore finiva per mostrarsi «guardingo e calcola-
to negli apprezzamenti e abbastanza lontano da quel pathos eroico da cui una storia del
Fascismo dovrebbe pur essere avvinta». Si veda la ferma replica di Volpe a quel giudizio,
nella lettera al direttore del quotidiano, Vito Mussolini, in data 25 luglio 1939, da me
pubblicata in Gioacchino Volpe: fascismo, guerra e dopoguerra, cit., pp. 129-130.
74
Camillo Pellizzi a Gioacchino Volpe, 23 luglio 1939 e 20 gennaio 1940, FV. Scon-
tato nella lettera del 1940 il riferimento a La dottrina storica del Fascismo con una storia
del movimento fascista, cit., che riproduceva, nella prima parte, la voce «Fascismo» del-
l’Enciclopedia Italiana, a firma di Mussolini, ma opera in realtà di Gentile. Nella prima
corrispondenza, indirizzata al «Caro Maestro», Pellizzi offriva a Volpe i suoi servigi per
realizzare una traduzione inglese della Storia del movimento fascista, da lanciare sul mer-
cato editoriale britannico.
75
G. SASSO, Giovanni Gentile e Gioacchino Volpe dinnanzi al crollo del fascismo, in
ID., Filosofia e idealismo. IV. Paralipomeni, Napoli, Bibliopolis, 2000, pp. 531 ss.; E. DI
RIENZO, Un dopoguerra storiografico, cit., pp. 179 ss.
76
Sull’adesione di Gentile all’ultimo fascismo, il rimando è a S. ROMANO, Giovanni
Gentile. Un filosofo al potere negli anni del regime, Milano, Rizzoli, 20042, pp. 402 ss.
77
Non convince, infatti, l’ipotesi di G. SASSO, Le due Italie di Giovanni Gentile, cit.,
secondo la quale l’assenso del filosofo al fascismo sarebbe stato determinato solo da un
154 CAPITOLO QUARTO
3. Ma il tempo calamitoso della guerra civile era, ancora nel giugno 1943,
un evento neppure ipotizzabile alla lontana, quando Volpe comunicava
a Gentile di aver realizzato, dopo un lavoro ventennale, gran parte del
suo programma relativo alla storia italiana durante il primo, grande
conflitto.
Nel 1940, ho pubblicato il 1° volume di una storia civile, interna del popolo
italiano durante la guerra (Il popolo italiano fra la pace e la guerra). È già in
composizione il 2° volume (Il popolo italiano nella Grande Guerra, 1914-1918).
Fra 15 dì uscirà il 1° volume di Italia moderna, 1815-1915, a cui seguirà un se-
condo, pure di 500 pagine80.
generico patriottismo, senza trovare alcuna reale motivazione nella sua filosofia. Sul pun-
to, correttamente, A. DEL NOCE, Giovanni Gentile, Bologna, Il Mulino, 1990, in partico-
lare pp. 283 ss.; F. PERFETTI, Il fascismo di Gentile, in «Nuova Storia Contemporanea»,
2004, 2, pp. 5 ss.
78
Sulla rottura tra Gentile e Volpe, si veda ID., Ricordi di scuola, di studi, di amici, in
ID., Nel regno di Clio, Roma, Volpe, 1977, p. 289. Sul definitivo distacco dello storico da
Mussolini, si veda Gioacchino Volpe a Giovanni Gentile, Roma, 16 agosto 1943, AFG.
79
E. DI RIENZO, Un dopoguerra storiografico, cit., pp. 187-188.
80
Gioacchino Volpe a Giovanni Gentile, Roma, 3 giugno 1943, AFG. Il primo volu-
me usciva, appunto nel 1940, presso le edizioni dell’Istituto per gli Studi di Politica In-
ternazionale. Il secondo, restato a lungo inedito, è stato recentemente pubblicato per la
cura di A. Pasquale, Luni, Milano-Trento, 1998.
81
Si veda Gioacchino Volpe a Benito Mussolini, 23 giugno 1929, ACS, Segreteria
particolare del Duce, Carteggio riservato (1922-1934), fasc. W/R, «Volpe Gioacchino»,
sottof. I., b 97.
STORIA D’ITALIA E FASCISMO 155
vale a dire dello stato d’animo operaio durante quel periodo»82. L’obiet-
tivo di dare «sintetica rappresentazione della vita italiana durante la
guerra, partiti politici, dibattiti di idee, condizione delle varie classi,
sforzi compiuti, difficoltà superate», ma anche di fornire un’analisi
obiettiva, di quel che riguardava «la vita delle maestranze operaie, lo
sviluppo industriale, le agitazioni di classe» durante il periodo bellico83,
costituiva un elemento di forte dissonanza con il disegno apologetico
delle gerarchie del Pnf e del governo che, in quello stesso momento,
stavano inserendo le vicende del conflitto nel Pantheon dell’agiografia
fascista84.
In quegli stessi anni, aveva preso forma anche un più vasto profilo di
storia d’Italia, dall’Età di mezzo a quella attuale, seppure in forma assai
essenziale e quasi miniaturizzata, nell’omonimo articolo dell’Enciclope-
dia Italiana85. Nel luglio del 1932, lo storico scriveva a Gentile di star
lavorando «alacremente all’articolo magno, con gran fatica a dominare
l’ampia materia e ridurla a voce»86. In realtà, impedito da cause di salu-
te, Volpe avrebbe redatto solo il secondo frammento, «dai regni barba-
rici al 1713»87. Il segmento dedicato all’antichità fino alla caduta del-
l’Impero romano era invece opera di Arnaldo Momigliano. Quello dalla
pace di Utrecht al 1861, di Niccolò Rodolico. La sintesi dall’Unità al
fascismo, di Alberto Maria Ghisalberti, subentrato a Francesco Ercole,
che aveva rinunciato all’incarico dopo la sua nomina a ministro dell’Edu-
cazione Nazionale nel luglio 193288. L’ampia bibliografia finale era stata
82
Giovanni Marinelli, Segretario Particolare di S.E. il Presidente del Consiglio dei
Ministri a Giovanni Gentile, Ministro della Pubblica Istruzione, 17 luglio 1923, ivi.
83
Gioacchino Volpe a Benito Mussolini, Milano, 24 giugno 1923, ivi. Come risultava
da questa lettera, il lavoro di Volpe doveva essere l’introduzione ad una serie di mono-
grafie promosse dal «Comitato italiano della Fondazione Carnegie per la “Storia econo-
mica e sociale della guerra”». Sul punto, F. DEGLI ESPOSTI, Grande Guerra e storiografia.
La storia economica e sociale della Fondazione Carnegie, in «Italia contemporanea», 2001,
3, pp. 413 ss.
84
Ministero dell’Interno. Appunto per l’On. Segreteria di S.E. il Presidente del Consi-
glio, s. d. [ma luglio 1923], ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato (1922-
1934), fasc. W/R, «Volpe Gioacchino», sottof. I., b 97.
85
«Italia. Storia», Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1932,
XIX, pp. 800 ss.
86
Gioacchino Volpe a Giovanni Gentile, Santarcangelo di Romagna, 30 luglio 1932,
AFG.
87
ID., Prefazione a Storia d’Italia, cit., I, p. I: «Fu, la mia, un’Italia mutila, poiché giunto
al ’700, dovetti, per ragioni di salute, fermarmi e cedere la penna a mani più giovani e ri-
posate ed anche, per questi ultimi due secoli, più esperte delle mie: N. Rodolico e A.M.
Ghisalberti». Il volume del 1968 riproponeva il «testo originario alquanto più ampio, avanti
che esigenze di spazio consigliassero o imponessero, agli uffici redazionali dell’Enciclo-
pedia, tagli e riassunti».
88
Francesco Ercole a Giovanni Gentile, 12 maggio 1933, AFG.
156 CAPITOLO QUARTO
89
G. VENEROSO, Dodici secoli di storia italiana. Una sintesi di Gioacchino Volpe, in
«Corriere della Sera», 2 dicembre, 1933, p. 3.
90
G. VOLPE, Storia d’Italia, cit., pp. 251 ss.
STORIA D’ITALIA E FASCISMO 157
91
Un primo abbozzo dell’opera usciva, nel 1931, con altro titolo, I fatti degli Italiani
e dell’Italia, presso Mondadori.
92
Gioacchino Volpe alla Segreteria particolare del Duce, 12 ottobre 1933, ACS, Se-
greteria particolare del Duce, Carteggio riservato (1922-1934), fasc. W/R, «Volpe Gioac-
chino», sottof. I., b 97.
93
Si veda C. DE VECCHI DI VAL CISMON, Il “senso dello Stato” nel Risorgimento, in
«Rassegna storica del Risorgimento», 1933, 1, pp. 221 ss.; A. ALBERTI, Risorgimento e fa-
scismo, ivi, pp. 253-259; C. DE VECCHI DI VAL CISMON, Rivediamo la storia, ivi, 1935, 3,
pp. 639 ss. Diversamente, Volpe nella relazione del Congresso sulla storia del Risorgimento
di Bologna dell’autunno 1935. Si veda ID., Principi di Risorgimento nel ’700 italiano, in
«Rivista Storica Italiana», 1936, 1, pp. 1 ss., ora in ID., Pagine risorgimentali, cit., I, pp. 7 ss.
94
Come avrebbe ricordato lo stesso Volpe nel Memoriale al Ministro della Pubblica
Istruzione, 15 luglio 1946, cit.
158 CAPITOLO QUARTO
95
Si veda Walter Maturi a Gioacchino Volpe, Roma, 4 agosto 1932, CV: «Il Duce,
Gentile, Benedetto Croce, in tante cose discordi, sono concordi nel far risalire al Cuoco e
ai meridionali del 1799 i primi germi della coscienza politica unitaria italiana! E quando
mi sarò messo sotto la discorde concordia di quei tre Santi, credo che nessuno oserà tor-
neare meco».
96
G. VOLPE, La Storia degli Italiani e dell’Italia, Milano, Treves, 1933, pp. 339-340.
97
Il Risorgimento dell’Italia, narrato da Gioacchino Volpe, con disegni a colori di Mario
Sironi, Milano, 1934.
98
B. GARZARELLI, “Parleremo al mondo intero”. La propaganda del fascismo all’estero,
Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2005.
99
G. VOLPE, Il Risorgimento dell’Italia, cit., pp. 225 ss.
100
ID., Il patto di S. Giovanni in Laterano, in «Gerarchia», febbraio 1929, ora in ID.,
Pagine risorgimentali, cit., II, pp. 269 ss., in particolare pp. 283-284.
101
Gioacchino Volpe a Giovanni Gentile, Dakar, 23 dicembre 1932, AFG.
STORIA D’ITALIA E FASCISMO 159
102
Piero Parini, proveniente dalla carriera diplomatica, aveva assunto quest’incarico
nel 1928. Sull’organizzazione e le finalità dei Fasci Italiani all’Estero, si veda C. PELLIZZI,
Problemi e realtà del Fascismo, Firenze, Vallecchi, 1924, pp. 205 ss.
103
P. PARINI, Presentazione di G. VOLPE, Il Risorgimento dell’Italia, cit., pp. II-III.
104
L. SALVATORELLI, Sommario della Storia d’Italia dai tempi preistorici ai nostri giorni,
Torino, Einaudi, 1942, pp. 649 ss.
105
R. CIASCA, Grecia e Roma, Firenze, Sansoni, 1941, p. 5.
160 CAPITOLO QUARTO
storici, già diffusa a largo raggio nel 1934, quando si sarebbe riaccesa
la «polemica» sulla storia d’Italia. Causa non occasionale della ripre-
sa del dibattito era stata la comparsa, in quello stesso anno, del volume
di Arrigo Solmi, Discorsi sulla Storia d’Italia, che ampliava i contenuti
dei suoi precedenti interventi, dove l’unità di quella storia era stata rin-
tracciata soprattutto nella secolare permanenza e sviluppo delle istitu-
zioni giuridiche municipali. Ora, Solmi non mutava questo punto di
vista, ma lo integrava con un altro fattore costituito dall’unità etnica
della nazione italiana. Era una tesi ancora lontana da quel sistematico
razzismo storiografico, che questo autore avrebbe poi abbracciato, par-
tecipando attivamente al corso su «La politica fascista della razza»,
svoltosi nel 1939, presso l’Istituto Nazionale di Cultura Fascista, con
una relazione intitolata Da Roma a noi: unità di storia, unità di popolo106.
Prima della promulgazione della legislazione del 1938, come anche
Croce aveva riconosciuto, la storiografia italiana risultava infatti del tutto
immune da quella caduta, «perché se il razzismo dispiega oggi l’impe-
tuosa irruenza della frenesia, non meno energica, ma di ben altrimenti
sana e soda energia, è l’opposizione e il biasimo che dappertutto lo fron-
teggia»107.
Nel 1926, Solmi aveva sì elogiato l’integrità di stirpe della nazione
italiana, che apparve nel 1919 «davanti al Congresso di Parigi», come
«la nazione organicamente più fusa ed etnicamente e moralmente più
compatta», nel confronto con «i vecchi Stati contrastanti e le nuove
formazioni politiche», indotti «da insaziabili cupidigie a includere en-
tro i loro confini larghissime minoranze allogene» e a presentarsi per-
tanto «sotto l’aspetto di conglomerati di genti e di paesi, piuttostoché
come nazioni vere e proprie»108. Ma a questa rivendicazione della coe-
sione di sangue e di suolo della patria italiana faceva seguito, subito
dopo, la tesi che la secolare identità del nostro paese andava ricercata
in un fattore culturale, e non biologico, che aveva dato luogo ad un
amalgama di popoli diversi tenuti insieme dalla civilizzazione giuridica
e politica prima etrusca (quindi presumibilmente non indoeuropea), e
poi romana, a testimonianza che «la civiltà nasce, non già da un solo
elemento etnico o morale, ma da una giustapposizione, da un contrasto
106
Si veda A. SOLMI, Da Roma a noi: unità di storia, unità di popolo. Testo della lezio-
ne del corso su “La politica fascista della razza”, tenuta nelle sede centrale dell’Istituto
Nazionale di Cultura Fascista, Tivoli, Arti grafiche Chicca, 1939. L’opuscolo di Solmi era
recensito con entusiasmo in «Il Diritto razzista. Rivista del diritto razziale italiano», II,
maggio-giugno 1940, pp. 56-57.
107
B. CROCE, Recenti controversie intorno all’unità della Storia d’Italia, cit., p. 343.
108
A. SOLMI, L’unità fondamentale della Storia d’Italia, in ID., Discorsi sulla Storia d’Ita-
lia, cit., pp. 3-4.
STORIA D’ITALIA E FASCISMO 161
109
Ivi, p. 8.
110
ID., Unità e autonomia della Storia italiana, in «Pan», novembre 1934, ora in ivi, p. 323.
111
B. CROCE, Intorno alle condizioni presenti della storiografia in Italia, cit.
112
Si veda Gioacchino Volpe ad Andrea Marchioni, Roma, 1° novembre 1934; Id. ad
Aldo Borelli, Roma, 4 giugno e 24 novembre 1934; Aldo Borelli a Gioacchino Volpe, 26
novembre 1934, ACorsera.
162 CAPITOLO QUARTO
113
G. VOLPE, La Storia d’Italia e la sua polemica, in «Corriere della Sera», 5 dicembre
1934, cit.
114
ID., Stato, Nazione e storia, ivi, 21 marzo 1935. Lo si veda anche in Appendice, infra.
115
B. CROCE, Recenti controversie intorno all’unità della storia d’Italia, cit., pp. 342-
343, contro l’identificazione di «zoologia e storia», dove si levava la voce contro la dege-
nerazione della cultura di quei popoli, per i quali «l’unità, l’unità fantasticata e impensa-
bile della loro storia, è riposta francamente nella “razza”, oggetto ormai di assidue fati-
che di storici, filosofi e di fisiologi, molti dei quali appartengono a coloro che sono sem-
pre parati a rendere servigi, coi loro teorizzamenti, a chi ha afferrato la forza e tiene il
potere». Sulla nazificazione della storiografia tedesca, H. SCHLEIER, German historiography
under National Socialism: dreams of a powerful nation-state and German Volkstum come
true, in Writing National Histories. Western Europe since 1800, cit., pp. 176 ss.
116
Ricordiamo che Volpe, che aveva definito, in questo stesso articolo, la parola razza
una «brutta parola che si sente e si legge spesso anche in Italia, sebbene con sensi meno
animaleschi che non altrove», avrebbe rifiutato di partecipare, in sostituzione di France-
sco Coppola, alla Commissione dell’Accademia d’Italia, composta da Rodolfo Benini,
Roberto Paribeni, Raffaele Pettazzoni, Giuseppe Tucci, convocata da Federzoni per il
novembre del 1938, «con l’incarico di riferire intorno all’azione dell’Ebraismo nella sto-
ria e nella vita d’Italia dal tempo di Roma antica fino ai nostri giorni», al fine di «dire la
parola seria e consapevole della scienza sull’argomento del giorno, in perfetta armonia con
le direttive già espresse dal Duce all’orientamento della Nazione, ma sulla base della veri-
tà obiettivamente riconosciuta e valutata». Sul punto, il mio Gioacchino Volpe: fascismo,
guerra e dopoguerra, cit., p. 127 ss. e A. CAPRISTIO, La Commissione per lo studio dei pro-
blemi della razza istituita presso la Reale Accademia d’Italia: note e documenti, in «Rasse-
gna Mensile di Israel», LXIII, 1997, pp. 89 ss., in particolare p. 95.
STORIA D’ITALIA E FASCISMO 163
117
B. CROCE, recensione a G. VOLPE, Programma e orientamenti per una Storia d’Italia
in collaborazione, cit.
164 CAPITOLO QUARTO
Ci sarà sempre posto per lo studio dei particolari Stati della Penisola, di quelli
che ricevono luce e senso solo nella storia di questi Stati; cioè per una storia
veneta, napoletana, sabauda: nel modo stesso che la storia d’Europa nel XIX
secolo, dato che si possa veramente fare, lascia posto ad una storia della Francia
e Germania e Italia e via discorrendo. Ma ci sarà sempre posto anche per una
storia unitaria che, debole e povera da principio, sempre più diventa ricca di
spirituale sostanza: una storia unitaria che male inquadra nelle particolari sto-
rie dei particolari Stati, sebbene poi dia anche ad esse un suo colore ed un
comune colore.
Nel 1941, sarebbe stato pubblicato anche in versione italiana il saggio di C. SCH-
118
MITT, Il concetto d’Impero nel diritto internazionale. Ordinamento dei grandi spazi con esclu-
sione delle potenze estranee, a cura e con prefazione di L. Vannutelli Rey e con appendice
di F. Pierandrei, Roma, Istituto Nazionale di Cultura Fascista, 1941.
STORIA D’ITALIA E FASCISMO 165
119
E. SESTAN, Memorie di un uomo senza qualità, Firenze, Le Lettere, 1997, pp. 230-
231. Su quell’evento, S. GIUSTIBELLI, L’Europa nella riflessione del convegno della Fonda-
zione Volta (16-20 novembre 1932), in «Dimensioni e problemi della ricerca storica»,
2001, pp. 181 ss.
120
G. VOLPE, I Convegni Volta, in «Il Tempo», 22 marzo, 1950, in ID., L’Italia che fu,
cit., pp. 335 ss., dove si aggiungeva: «Si spiegava la propaganda paneuropea di Kalergi;
circolavano riviste dedicate a “Paneuropa” o “Europe” o “Nouvelle Europe”; si discute-
va di rapporti tra Europa e America, Europa e mondo di colore; si invocava nei pubblici
discorsi un’Europa che sanasse i suoi squilibri e la sua frammentarietà, adeguasse l’ordi-
ne politico alla geografia ed anche alla cultura che facevano di essa un’unità, acquistasse
coscienza di sé; si facevano innanzi progetti di federazione e il Piano Briand. Ebbene, que-
sta fu la materia del convegno».
121
Come era stato sostenuto in ID., Il contributo dell’Italia alla vita dell’Europa dopo
la guerra, in «Corriere della Sera», 14 novembre 1933.
122
ID., Storia del movimento fascista, cit., p. 145.
V
ANTICLIMAX
1
Si veda l’opuscolo Nuova civiltà per la Nuova Europa, Roma, Unione Editoriale d’Ita-
lia, 1942, pp. XI ss., dove si parlava della necessità di instaurare un nuovo ordine «rivo-
luzionario», privo di «borghesie nazionali». Sul punto, G. LONGO, L’idea di Europa nella
cultura politica italiana, 1930-1950, in «Annali della Fondazione Ugo Spirito», XI, 1999,
pp. 255 ss.; Il fascismo e l’idea d’Europa. Il convegno dell’Istituto Nazionale di Cultura Fa-
scista, 1942, a cura di G. Longo, Roma, Fondazione Ugo Spirito, 2000.
2
R. DE FELICE, Mussolini l’alleato. L’Italia in guerra, 1940-1943. t. I: Dalla guerra “bre-
ve” alla guerra lunga; t. II: Crisi e agonia del regime, Torino, Einaudi, 1990, pp. 857 ss. Si
veda anche, E. DI RIENZO, Un dopoguerra storiografico, cit., passim; M. SERRI, I Redenti. Gli
intellettuali che vissero due volte, 1938-1948, Milano, Corbaccio, 2005, pp. 107 ss.
3
G. VOLPE, L’Italia e la nuova Europa, in «La Vittoria», agosto 1941, 10, p. 7: «Il
destino del secolo che viviamo, avendo ormai il principio nazionale dato tutto quel che
poteva dare come forza creativa di nuove vite nel nostro e in altri continenti, sarà segnato
dalla sua capacità o meno di comporre in modo nuovo, nell’interno degli Stati, i concetti
di libertà e autorità e di comporre inoltre, nei rapporti internazionali, vita di Nazioni e
vita di quel complesso spirituale, etnico ed economico, che si chiama Europa. Ora nella
nuova Europa che si va preparando, intravista da noi più che vista, ondeggiante ancora
fra utopia e realtà, ognuno vede quale funzione ideale e pratica è chiamata ad esercitare
l’Italia, forte della sua tradizione romana e cristiana, forte anche del suo nuovo pensiero
e della sua opera di rinnovamento politico». L’articolo riprendeva il testo di una confe-
renza tenuta da Volpe a Losanna nel maggio 1941.
4
Gioacchino Volpe a Elisa Serpieri Volpe, 12 settembre 1944, CV.
168 CAPITOLO QUINTO
5
Cfr. B. MARIN, La pace lontana. Diari, 1940-1950, a cura di L. Marin, Gorizia, Li-
breria Editrice Goriziana, 2005, pp. 31 e 33.
6
Ivi, p. 18.
7
Ivi, p. 19.
8
E. DI RIENZO, Un dopoguerra storiografico, cit., pp. 176-177.
9
G. VOLPE, Storia del movimento fascista (1932), cit., p. 128.
10
Gioacchino Volpe a Giacomo di Giacomo, Consigliere nazionale del Pnf, 8 luglio
1941. Questa e le altre lettere, di seguito citate, sono riprodotte, salva diversa indicazio-
ne, nel mio, Gioacchino Volpe: fascismo, guerra e dopoguerra, cit., pp. 131 ss.
ANTICLIMAX 169
11
Gioacchino Volpe a Carlo Scorza, Segretario Nazionale del Pnf, 2 luglio 1943.
12
Sull’avventura croata dei Savoia un resoconto impietoso è in G.C. FUSCO, Tomisla-
vo senza regno, in ID., Le rose del ventennio, Palermo, Sellerio, 2000, pp. 51 ss.
13
L’articolo era stato richiesto da Aldo Borelli con il telegramma del 24 giugno 1943.
14
Gioacchino Volpe ad Aldo Borelli, 20 luglio 1943.
170 CAPITOLO QUINTO
15
A. DODI, Visita agli Accademici d’Italia. Intervista allo storico Gioacchino Volpe, in
«Il Regime fascista», 18 gennaio 1942, p. 3.
16
Qualche notizia su questo personaggio è in M. MARITANO, Futurismo in Sardegna.
L’episodio sardo alla fine degli anni Trenta, Oristano, S’Alvure, 1993. Patarozzi aveva pub-
blicato nel 1936 Canzoni d’Africa, in omaggio all’impresa etiopica e, nel 1939, il più fa-
moso Aeropoema futurista della Sardegna, che appariva nelle Edizioni futuriste di poesia.
17
Si veda G. PATAROZZI, Inghilterra fogna di passatismo. Presentazione del poeta F.T.
Marinetti, Roma, Unione Editoriale d’Italia, 1941; ID., Civiltà colonizzatrice tedesca, Roma,
Clet, 1942. Ancora il 19 luglio 1943, Marinetti, Patarozzi e Prampolini inviavano a Mus-
solini questo telegramma: «Gruppi futuristi adoratori Patria, Madre Boccioni, Mediter-
raneo Futurista mentre nostri eroici soldati contendono nostra terra adorata a nemico che
può vantare soltanto peso oro et quantità riaffermano originale indistruttibile superiorità
militare Alleati Germania Giappone. Tutti futuristi rivista Mediterraneo futurista et fede
in Mussolini ci pregano insistentemente riaffermare loro metallica fede in Benito Musso-
lini incarnazione della Patria immortale». Il documento è conservato in ACS, Fondo
SPDCO, fascicolo n. 509. 446.
ANTICLIMAX 171
Ci sono poi gli antitaliani per costituzione. Perennemente amici dei nostri
nemici. Costoro erano tedescofili durante la guerra 1915-1918, solo perché l’Ita-
lia era schierata contro gli Imperi Centrali. Sono oggi anglofili o francofili; sa-
rebbero domani partigiani sfegatati degli abitanti della luna se l’Italia si trovas-
se in conflitto con il pallido pianeta. Tutti questi illustri rappresentanti di un
mondo che dovrà essere energicamente spazzato via dalla vita italiana hanno i
loro quartieri generali – a preferenza – nei salotti cosiddetti intellettuali, nei
bar dei grandi alberghi, talvolta nelle anticamere di illustri personaggi; negli
ambienti, insomma, ove si conquista il tempo chiacchierando. Vi sono, da ulti-
mo, elementi ancora più pericolosi – coperti dallo scudetto fascista, dal presti-
gio di discutibili benemerenze e dalla autorità di alte cariche. Codesti signori,
sono preoccupati soltanto di garantirsi il domani comunque dovessero finire le
cose. Come classificare codeste prove di incomprensione e di insensibilità se
non con l’unico termine che vi si addice: Tradimento? Si deve credere che tutto
ciò possa essere tollerato? Io vi dico di no. Ma oggi, più che mai, bisogna, asso-
lutamente bisogna, anche contro le nostre impazienze legittime avere fiducia
nella giustizia del Duce. Sapiente illuminata giustizia, che al momento oppor-
tuno scenderà inesorabilmente a punire i colpevoli e a premiare i meritevoli.
Noi fascisti saremo allora, ancora una volta, l’arma della sua volontà18.
18
M. DESSY, Marcia di Vittoria!, in «Mediterraneo Futurista. Motore dei Gruppi Fu-
turisti Italiani», anno V, 28 ottobre 1942, 16, p. 2. Nello stesso numero, la rivista ospitava
un articolo violentemente antisemita, Roma ha distrutto il Tempio di Sion. Chi lo riedifi-
cherà?, a firma di Bruno Archeri, accompagnato da ampi estratti dei Protocolli degli An-
ziani di Sion. Nel fascicolo del 13 giugno 1942 era apparso l’intervento Tutti gli ebrei al
servizio del lavoro, siglato M. F.
19
Nell’anonimo editoriale di apertura, Saluto a Marinetti, in «Mediterraneo Futuri-
sta. Motore dei Gruppi Futuristi italiani», anno V, 14 agosto 1942, 14, p. 1, si leggeva:
«Partendo volontario per il fronte russo, Marinetti ha compiuto uno di quei gesti di di-
sinteressato patriottismo che hanno sempre caratterizzato la sua vita di Poeta frenetica-
mente innamorato della Patria. Fin dall’inizio delle ostilità Egli aveva atteso con ansia che
le condizioni di salute gli consentissero di partecipare a questo gigantesco conflitto che
vede il trionfo delle forze futuriste delle giovani nazioni sul passatismo cieco e reazionario
dei popoli morfinizzati dall’ebraismo. Sul fronte russo è giunta con Marinetti una inconta-
minata bandiera di italianità, simbolo delle fede che anima centinaia e centinaia di artisti
futuristi tutti devoti fino al sacrificio al Duce nella certezza dell’immancabile vittoria».
172 CAPITOLO QUINTO
Occorre a tutti i costi ribadire questa verità: l’opera critica di Silvio D’Ami-
co è antipatriottica, antitaliana, antifascista. La giuria chiamata a risolvere la
vertenza ha trascurato la questione base su cui convergevano gli attacchi di Anton
Giulio Bragaglia, noto direttore del “Teatro delle Arti”, le cui benemerenze nel
rinnovamento futurista del Teatro italiano sono indiscutibili. Si trattava di di-
chiarare se l’attività del critico Silvio d’Amico è patriottica o antipatriottica.
Purtroppo questa questione base è stata trascurata perché uno dei membri
della giuria, lo storico Eccellenza Volpe (celebre negli ambienti giornalistici per
aver dichiarato a un’intervistatrice del “Regime fascista”: Ma è proprio necessa-
rio vincere questa guerra?), non poteva logicamente preoccuparsi del valore pa-
triottico20.
Romagna, 20 settembre 1942, ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Ge-
nerale Istruzione Universitaria, fasc. Professori universitari, G. Volpe.
22
Sul punto, si veda la relazione del commissario della R. Accademia d’Italia, Vincenzo
Rivera, inviata alla Commissione di ricostituzione dell’Accademia dei Lincei, presieduta
da Benedetto Croce, in data 7 novembre 1944. La relazione è conservata nell’Archivio del-
l’Accademia Nazionale dei Lincei.
23
Sulle contrastatissime vicende di quel trasferimento, E. DI RIENZO, L’Università ita-
liana, l’antisemitismo e l’epurazione antifascista, in «Nuova Storia Contemporanea», 2005,
3, pp. 151 ss., in particolare pp. 155-156 e 162.
ANTICLIMAX 173
24
Si veda Gioacchino Volpe a Vittorio Emanuele Orlando, 21 marzo 1945, CV: «Il
volume, che non potè giungere a Roma se non in poche diecine di copie, fu sequestrato a
Milano e nelle librerie dal governo repubblicano».
25
Nella lettera a Gentile del 16 agosto 1943 (AFG), Volpe definiva la prefazione 1943
a Italia moderna, datata 1 giugno 1943, ma forse redatta dopo il 25 luglio, «un piccolo
atto di coraggio».
26
Sulla storia della composizione dell’opera in quel momento, F. PERFETTI, Introdu-
zione a G. VOLPE, Italia moderna, cit., pp. V ss. Si veda anche la testimonianza di Volpe
in Id., Storici e maestri, cit., pp. 285 ss.
27
ID., Prefazione (1943-1945) a Italia moderna, ivi, p. XI.
28
Gioacchino Volpe a Ernesto Sestan, 23 aprile 1944, CV.
29
Gioacchino Volpe a Fortunato Pintor, 13 maggio 1944, FV.
30
G. GENTILE, Discorso agli italiani, tenuto in Campidoglio il 24 giugno 1943, in ID.,
Dal Discorso agli Italiani alla morte, 24 giugno 1943-15 aprile 1944. Ristampa anastatica
dell’edizione, Firenze, Sansoni, 1954, con una Prefazione di M. Pera, Roma, Senato della
Repubblica, 2004, pp. 67 ss., in particolare p. 69. In questo punto, Gentile citava ad litte-
ram un brano dell’articolo composto dopo la disfatta di Caporetto. Si veda ID., Esame di
coscienza, 15 dicembre 1917, in ID., Guerra e fede, cit., pp. 60 ss.
174 CAPITOLO QUINTO
il golpe istituzionale del 25 luglio liberava per sempre l’Italia dalla dit-
tatura «che aveva venduto la nazione e il suo avvenire, cooperando alla
servitù di tutti in Europa»31. Il recente conflitto non era stato infatti
una «guerra per la libertà», ma come tutte le altre, una guerra «per l’in-
dipendenza, per il dominio, e per il vantaggio economico e politico»32.
E la sconfitta in quella contesa, avrebbe più tardi sostenuto il filosofo,
nel momento in cui le clausole del trattato di Parigi mutilavano parti
integranti del corpo della nazione, era stata la sconfitta di tutti. Fascisti
e antifascisti portavano egualmente il peso della sconfitta di quella pro-
va delle armi, male incominciata e malamente persa: «Anche coloro che
l’hanno deprecata con ogni loro potere, anche coloro che sono stati
perseguitati dal regime che l’ha dichiarata, anche coloro che sono mor-
ti per l’opposizione a questo regime, consapevoli, come erano tutti, che
la guerra sciagurata, impegnando la nostra patria, impegnava anche noi,
senza eccezioni, noi che non possiamo distaccarci dal bene e dal male
della nostra patria, né dalle sue vittorie né dalle sue sconfitte»33.
31
B. CROCE, Taccuini di guerra, cit., p. 14.
32
Ivi, pp. 55-56.
33
ID., Contro l’approvazione del dettato di pace. Discorso alla Costituente del 24 lu-
glio 1947, in Scritti e discorsi politici (1943-1947), Bari, Laterza, 1963, 2 voll., II, p. 404.
34
G. ALIBERTI, La resa di Cavour, cit., pp. 161 ss.
35
E. DI RIENZO, Un dopoguerra storiografico, cit., pp. 264 ss.
36
Gioacchino Volpe ad Augusto Torre, aprile 1952, Carteggio, cit., p. 139.
37
Si veda C. ANTONI, Della Storia d’Italia, Roma, Quaderni del Movimento liberale
italiano, novembre 1943.
ANTICLIMAX 175
38
Benedetto Croce a Carlo Antoni, 31 luglio 1944, in Carteggio Croce-Antoni, a cura
di M. Mustè, introduzione di G. Sasso, Bologna, Il Mulino, 1996, p. 63.
176 CAPITOLO QUINTO
39
E. DI RIENZO, Il secondo Antirisorgimento, 1943-1961, in «L’Acropoli», 2003, 3,
pp. 341 ss.
40
Carlo Antoni a Benedetto Croce, 10 agosto 1944, in Carteggio Croce-Antoni, cit.,
p. 64.
41
C. MORANDI, recensione a L. TOMEUCCI, Il mito del Risorgimento, Messina, Ferara,
1947, in «Rivista Storica Italiana», 1950, 1, pp. 133 ss.
42
G. GALASSO, L’Italia s’è desta, cit., pp. 275 ss.
ANTICLIMAX 177
del Risorgimento al fascismo, che Gentile e molti altri dopo di lui aveva-
no considerato come la tappa finale e più significativa della storia d’Ita-
lia. Da sintomo positivo quella continuità si rovesciava nel suo esatto con-
trario43. L’ascesa del fascismo e poi il «miserando epilogo italiano» del
1943 traevano origine da un processo di unificazione politica fallito, da
una dinamica di nazionalizzazione incompiuta. E il fatto che Mussolini
avesse potuto «spendere a suo vantaggio i grandi nomi degli unificatori
della patria e presentarsi come l’autentico erede del Risorgimento» non
equivaleva soltanto ad una truffaldina manipolazione della storia.
La riuscita di un così vasto inganno, perpetrato con «l’assenso e la
collaborazione di una larga categoria di intellettuali», non poteva spie-
garsi unicamente con l’abilità del truffatore. Per comprenderne effetti-
vamente la portata bisognava invece ammettere non solo «l’assenza di
una chiara coscienza delle conquiste ideali del Risorgimento nel popo-
lo italiano», ma soprattutto «riconoscere che dagli stessi eventi di quel
periodo non si deduce un chiaro disegno del futuro d’Italia; non si di-
strica quella formula limpida e avvincente che non tollera equivoci
perché si traduce in norma di vita collettiva». Non casualmente infatti
il «crollo politico del 1922» era stato propiziato dal vecchio ceto poli-
tico liberale, da quella stessa «classe dirigente che avrebbe dovuto cu-
stodire il patrimonio ideale del Risorgimento». Né, per puro caso, la
caduta del regime fascista si era verificata, non «in seguito ad un moto
di rivolta delle opposizioni», ma ad opera del Gran Consiglio e della
Monarchia che, soltanto «sotto l’incubo della disfatta militare», avevano
posto fine a «vent’anni di oppressione instaurata col consenso e la colla-
borazione delle classi alte e medie», giacché gli unici ad opporre resisten-
za alla dittatura, prima di quell’evento, furono le organizzazioni operaie
e contadine, «sia pure non in nome degli ideali del Risorgimento».
Argomenti non del tutto originali, quelli di Colamarino, se già nel
Togliatti nel 1931, nel corso di una furiosa polemica con Carlo Rosselli,
aveva sostenuto che se «la tradizione del Risorgimento vive infatti nel
fascismo ed è stata da esso sviluppata all’estremo», la rivoluzione anti-
fascista «non potrà essere che una rivoluzione contro il Risorgimento,
contro la sua ideologia, contro la soluzione che essa ha dato al proble-
ma dell’unità dello stato e a tutti i problemi della vita nazionale»44.
43
Si veda G. COLAMARINO, Il fantasma liberale, con una Prefazione di C. Alvaro, Mi-
lano, Bompiani, 1945, in particolare al capitolo I, pp. 3 ss., dedicato alla «Polemica sul
Risorgimento».
44
ERCOLI [P. Togliatti], Sul movimento di “Giustizia e Libertà”, in «Lo Stato operaio»,
V, settembre 1931, 9, pp. 469 ss., in particolare pp. 470-471. Per la polemica con Ros-
selli, si veda A. GAROSCI, Primo e secondo Risorgimento, in «Rivista Storica Italiana», 1962,
1, pp. 27 ss.
178 CAPITOLO QUINTO
45
C. ALVARO, L’Italia rinunzia?, Milano, Bompiani, 1945, nuova edizione, Palermo,
Sellerio, 1986, pp. 14 e 78.
46
F. CUSIN, L’Italiano, realtà e illusioni, a cura di G. Aliberti, Siena, Edizioni Ram
Multimedia, 2002, p. 62. Si tratta di una versione ridotta rispetto all’edizione originale.
47
Si veda G. ALIBERTI, Le tentazioni della storia: il caso Cusin, in «Clio», 2000, 2, pp.
223 ss.; Id., La resa di Cavour, cit., pp. 193 ss. Si veda anche E. SANTARELLI, Fabio Cusin,
in «Belfagor», 1993, 1, pp. 41 ss.
ANTICLIMAX 179
48
F. Cusin, Antistoria d’Italia, Milano, Mondadori, 2001, p. 89.
49
Ivi, p. 207.
50
Ivi, p. 238.
51
C. ANTONI, Della Storia d’Italia, cit., p. 17.
52
N. VALERI, Premesse ad una storia dell’Italia nel postrisorgimento, in Orientamenti per
la Storia d’Italia nel Risorgimento, Bari, Amici della Cultura-Bari Quaderno n. 1, 1952, pp.
53 ss.; ID., Sulle origini del Fascismo, in Questioni di storia contemporanea, Milano, Marzorati,
1953, III, pp. 733 ss., sulla continuità tra fallimento del Risorgimento e fascismo.
53
G. SALVEMINI, Gli italiani sono fatti così, in «Controcorrente», 1947, ora in ID., Italia
scombinata, a cura di B. Finocchiaro, Torino, Einaudi, 1959, pp. 29 ss. Non meno decisa
era la polemica di Salvemini contro un possibile risorgere della storiografia nazionalista, in
occasione della ristampa, nel 1954, del manuale di Volpe, Storia degli italiani e dell’Italia. Si
veda ID., Da Romolo a Mussolini, in «Il Mondo», 16 febbraio 1954, ivi, pp. 283 ss.
180 CAPITOLO QUINTO
sti settori del lavoro storico, con particolare riferimento a quello gram-
sciano54. Eppure di quel deragliamento l’autore dei Quaderni del Carce-
re era solo parzialmente responsabile55. Nelle sue note, Gramsci non
delineava una controstoria d’Italia, ma un profilo di storia nazionale
che era soprattutto storia del Risorgimento, analisi delle origini dello
Stato italiano, e che era in grado anche di offrire un sintetico sguardo
retrospettivo dal Rinascimento fino al Medioevo. Età nella quale, con-
tro Volpe, veniva colto soprattutto il limite economico-corporativo della
civiltà comunale, che avrebbe in seguito contraddistinto l’intera area
cittadina nei suoi rapporti di mancata integrazione col territorio delle
campagne, ponendo un ostacolo gravissimo alla costruzione di una
superiore unità economica e politica56.
Una storia di lunga durata quindi, quella dei Quaderni, che era in
buona sostanza impermeabile al mito negativo dell’unificazione, consi-
derata soltanto come «conquista regia», come spregiudicata operazio-
ne diplomatico-militare dei Savoia, appoggiata dal partito moderato,
calata dall’alto sul resto del paese. Né quella storia era soltanto storia
delle classi subalterne ma invece, come in Volpe e come in Croce, pri-
ma di tutto storia dei quadri politici e intellettuali «che effettivamente
tengono e tirano i fili delle azioni e governano»57. Era storia, cioè, di
quelle «classi dirigenti» che, al di là del loro inserimento nelle strutture
istituzionali dello Stato58, erano in grado di rappresentare la suprema-
zia di un gruppo sociale come «dominio», come «direzione intellettua-
le e morale», come «egemonia»59.
Lo stacco della storiografia gramsciana rispetto alla corrente «libe-
rale» e «nazionale», che l’aveva preceduta, era infatti un altro. E consi-
steva nella piena identità di storia e politica. Questa assimilazione ol-
trepassava il pure incerto confine tra res gestae e historia rerum, sul quale
54
F. CHABOD, Croce storico, in «Rivista Storica Italiana», 1952, 4, pp. 473 ss., in parti-
colare pp. 518 ss. Più sistematica la polemica di R. ROMEO, La storiografia politica marxi-
sta nel secondo dopoguerra, in «Nord-Sud», agosto-settembre 1956, in ID., Risorgimento
e capitalismo, premessa di G. Pescosolido, Roma-Bari, Laterza, 1998, pp. 11 ss. in parti-
colare pp. 21-22. Si veda anche W. MATURI, La storiografia politica marxista, in Interpreta-
zioni del Risorgimento, cit., pp. 615 ss.
55
G. GALASSO, Gramsci e i problemi della storia italiana, in ID., Croce, Gramsci e altri
storici, cit., pp. 116 ss. Nella sua prima comparsa, l’intervento di Galasso veniva fortemente
contestato in una nota redazionale, apparsa sulla rivista di storia dell’Istituto Gramsci, che
raccoglieva le testimonianze dei maggiori storici del Pci. Si veda Un dibattito su Gramsci
e la Storia d’Italia, in «Studi Storici», 1967, 4, pp. 637 ss. Per la replica di Galasso, Anco-
ra su Gramsci e la Storia d’Italia, ivi, pp. 849 ss.
56
A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., III, pp. 2035-2037.
57
B. CROCE, Storia d’Italia, cit., p.108.
58
A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., II, p. 1360.
59
Ivi, III, pp. 2010-2011.
ANTICLIMAX 181
60
Ivi, p. 1723.
61
Ivi, p. 1983. Sul punto, G. CAVALLARI, Gramsci e Sorel: la scienza politica fra “parti-
to” e “mito”, in Gramsci: il partito politico nei “Quaderni”, a cura di S. Mastellone e G.
Sola, Firenze, Cet, 2001, pp. 171 ss. In una prospettiva, più specifica, il mio La “storia dei
se” e la “storia dei fatti”. Note sulla storiografia italiana del periodo rivoluzionario, 1945-
2000, in «L’Acropoli», 2002, 4, pp. 442. Se ne veda anche la versione francese ampliata
in «Annales historiques de la Révolution française», 2003, 4, pp. 119 ss.
62
Si veda da ultimo E. RAGIONIERI, Fine del “Risorgimento”. Alcune considerazioni sul
centenario dell’Unità d’Italia, in «Studi Storici», 1964, 1, pp. 3 ss.
63
G. CANDELORO, Giolitti e l’età giolittiana, in «Società», 1950, 4, pp. 129 ss., in par-
ticolare pp. 140 ss.
64
ID., Prefazione a Storia dell’Italia moderna. I. Le origini del Risorgimento, 1700-1815,
Milano, Feltrinelli, 19757, pp. 6-7.
182 CAPITOLO QUINTO
65
G. VOLPE, Prefazione a Momenti di storia italiana, cit., pp. VI-VII.
66
R. ROMEO, L’interpretazione del Risorgimento nella nuova storiografia, ora in ID.,
L’Italia unita e la prima guerra mondiale, Bari, Laterza, 1987, pp. 5 ss. Più problematico
era il giudizio di Romeo sulla Storia d’Italia di Candeloro, in La storiografia italiana sul
Risorgimento e l’Italia unitaria nel secondo dopoguerra, in ID., Il giudizio storico sul Risor-
gimento, Catania, Bonanno, 19672, pp. 139 ss. I due saggi sono rispettivamente del 1970
e del 1964.
67
E. DI RIENZO, Un dopoguerra storiografico... due o tre cose che so di lui, in «Nuova
Storia Contemporanea», 2005, 5, pp. 131 ss. ID., Storici e maestro. Allievi volpiani tra con-
tinuità e innovazione,1945-1962, relazione presentata al Convegno di Roma, Gioacchino
Volpe tra passato e presente, 1-2 dicembre 2005.
68
A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., in particolare III, pp. 2019 ss.
69
Diverso il giudizio di F. PERFETTI nell’Introduzione di G. ANSALDO, Il ministro della
buona vita, cit.
ANTICLIMAX 183
70
C. SFORZA, Costruttori e distruttori, Roma, Donatello de Luigi, 1945, in particolare,
per il giudizio su Giolitti e Sonnino, pp. 235 e 299 ss. Ricordiamo che il volume di Sforza
era uscito per la prima volta, e contemporaneamente, in edizione francese e inglese, nel
1931. Una versione italiana, stampata a Parigi, nel 1935, era stata quasi totalmente distrut-
ta grazie all’intervento dell’ambasciata italiana.
71
P. TOGLIATTI, Discorso su Giolitti. Testo della conferenza di Torino del 30 aprile 1950,
in Id., Momenti di storia italiana, Roma, Editori Riuniti, 19742, pp. 79 ss.
72
E. RAGIONIERI, Palmiro Togliatti e la Storia d’Italia, in ID., Palmiro Togliatti, Roma,
Editori Riuniti, 1973, pp. 71 ss.
184 CAPITOLO QUINTO
Era già scritto questo mio volume quando pullularono libri e articoli su
Giolitti, anche di buone penne, di antichi e nuovi, un po’ improvvisati ammi-
ratori suoi, come Nicola Natale e Giovanni Ansaldo. Cosa più che legittima e
utile questo mettere in sempre maggior luce un uomo politico che ha campeg-
giato per una quindicina e più di anni su la scena politica italiana. Solo che questo
nuovo slancio verso Giolitti ha un po’ le sue sorgenti nell’attuale psicologia della
sconfitta, nella reazione a Governi troppo ambiziosi ed a miraggi troppo alti:
sorgenti poco sicure e molto soggette ai capricci della meteorologia e ai pericoli
dell’inquinamento. Già con Croce e la sua Storia d’Italia, Giolitti servì non poco
come mezzo polemico contro Mussolini. E ne venne fuori quell’idilliaca ma-
nierata e falsa Italia giolittiana degli anni precedenti la guerra, che tutti ricorda-
no. Non sarebbe meglio, le polemiche, farle chiare e schiette, senza disturbare
la storia?75
Su tale materia Volpe era già tornato diffusamente, negli anni imme-
diatamente precedenti questa esternazione, con un intervento pubbli-
cato sul «Tempo» di Roma, nel quale si smontava la favola bella, antica
e novissima, del «liberalismo» giolittiano:
73
La testimonianza di Salvemini è riportata da Gaetano Arfè nella Prefazione a G.
SALVEMINI, Movimento socialista e questione meridionale, Milano, Feltrinelli, 1963, II, p.
X. Per il giudizio sull’Italia giolittiana, riproposto, in termini immutati, da Salvemini nel
secondo dopoguerra, si vedano gli interventi, dal 1945 al 1952, raccolti in G. SALVEMINI,
Il ministro della mala vita e altri scritti sull’Italia giolittiana, cit., pp. 499 ss.
74
G. VOLPE, A proposito di Storia d’Italia, seconda Prefazione a L’Italia in cammino,
cit., pp. 5 ss. Si trattava della recensione, apparsa sul «Corriere della Sera» nel febbraio
1928, che veniva poi ampliata e posta come prefazione alla nuova edizione di Italia in
cammino, Milano, Treves-Tuminelli, 1930.
75
ID., Italia Moderna, cit., III, p. 246, nota. Il terzo volume dell’opera veniva pubbli-
cato nel 1952.
ANTICLIMAX 185
76
ID., Il liberalismo di Giolitti, in «Il Tempo», 25 gennaio 1950, p. 2.
77
ID., Italia Moderna, cit., III, pp. 315 ss.
78
Gioacchino Volpe a Giovanni Volpe, 24 settembre 1946, CV.
186 CAPITOLO QUINTO
battenti e lavoratori d’ogni lavoro, vivi e morti, che dal 1885 al 1943
hanno acquistato, dissodato, difeso, con sangue e con sudore, le nostre
terre africane»79, bisognerà pur dire che si trovava in buona o forse in
cattiva compagnia. Insieme a Ferruccio Parri, Pietro Nenni, Alcide De
Gasperi, Ruggero Grieco, Palmiro Togliatti che ancora nel marzo del
1948 si domandava con artefatto candore: «Se il governo inglese vuole
proprio dimostrarci la sua amicizia perché invece che cominciare da
Trieste non comincia col dichiarare di esser d’accordo che rimangano
all’Italia le sue vecchie colonie?»80.
Anche da questo episodio minore, ma assai significativo del clima
dell’immediato dopoguerra, occorreva trarre tutte le conclusioni, an-
che le più amare. Se uno dei più prestigiosi uomini politici dell’Italia,
ormai fattasi Repubblica, arrivava a proporre quell’«infame baratto»,
dopo aver a più riprese sostenuto, con la sola significativa opposizione
di Gaetano Salvemini e di pochi altri, la liceità dell’annessione delle re-
gioni orientali alla Jugoslavia81, quale speranza esisteva di poter mante-
nere in vita una tradizione di storia nazionale, in tutto o almeno in parte
simile al modello che Volpe aveva auspicato? Scarsissima speranza, per
non dire nessuna. Di quel modo d’intendere l’analisi del passato non
poteva, non doveva sopravvivere neanche una versione aggiornata alla
luce di criteri democratici e liberali, come quella sperimentata da Fede-
rico Chabod. Neppure una storia nazionale «politicamente corretta», a
tutti gli effetti, risultava ammissibile, in un momento nel quale gli intel-
lettuali italiani guardavano all’estero – a Est oppure a Ovest – e piutto-
sto che su come accompagnare la crescita della nazione si concentrava-
no su come correggere, se non soffocare, i caratteri nazionali, su come
importare, se non imporre, le forme della modernità capitalista o co-
munista82. Internazionalismo socialista e atlantismo impedivano il pro-
trarsi di quel ciclo storiografico, in un paese nel quale, come poi avreb-
79
G. VOLPE, L’impresa di Tripoli, 1911-1921, Roma, Edizioni Leonardo, 1946. La fra-
se citata appariva nell’exergo del volume, con la data del primo dicembre 1945.
80
La dichiarazione di Togliatti era riportata su «l’Unità» del 26 marzo 1948. Sul pun-
to, il mio Togliatti e «gli italiani da buttare a mare», in «il Giornale», 31 gennaio 2005.
81
P. TOGLIATTI, Batti, ma ascolta!, in «Rinascita», 2 febbraio 1945, poi in ID., Per la
salvezza del nostro paese, Roma, Giulio Einaudi, 1946, pp. 393 ss. Sulla politica orientale
del segretario del Pci, si veda E. AGA-ROSSI-V. ZASLAVASKY, Togliatti e Stalin. Il Pci e la
politica estera staliniana negli archivi di Mosca, Bologna, Il Mulino, pp. 131 ss. Per l’op-
posizione a quella politica, G. SALVEMINI, Trieste e gli stalinisti, in «L’Italia libera», 16 feb-
braio 1945, in ID., Opere. VII-L’Italia vista dall’America, a cura di E. Tagliacozzo, Milano,
Feltrinelli, 1969, pp. 640-641.
82
E. DI RIENZO, Un dopoguerra storiografico, cit., pp. 418 ss. Sul punto, anche le acute
osservazioni di R. VIVARELLI, A neglected question. Historians and the Italian national State
(1945-95) in Writing National Histories. Western Europe since 1800, cit., pp. 230 ss.
ANTICLIMAX 187
Con la nuova guerra, che ebbe nel Mediterraneo e paesi attorno il suo cen-
tro e investì tutte quelle nostre terre “irredente”; con essa e con la sua, per noi
infelice e non del tutto onorevole conclusione; con la perdita di ogni nostro
prestigio internazionale e di nostra forza di attrazione assai viva nel ventennio
precedente; col nuovo clima politico e morale che regna da noi; con tutto que-
sto la scena muta. Il nuovo irredentismo o quasi irridentismo rimane pressoché
interrotto. [...] “Al di sopra della patria, si viene formando una nuova religione
politica di tono e indirizzo europeo e di interesse sociale”, scriveva lo scrittore
e professore Luigi Russo, nella prefazione alla sua rivista “Belfagor” nel 1943
[recte: 1946]. Ma questo avveniva più in certi paesi che in altri. Né poi arrestava
la lenta espansione di certe stirpi più giovani o più vigorose – nel caso nostro,
Tedeschi e Slavi al Nord-Est – verso aree più o meno italiane di qua dalle Alpi,
dove nostro interesse e aspirazione era, se non proprio rivendicar territori, al di
là della linea politica, difendere, conservare quel tanto di italianità che pur vi
era in fatto di lingua, coltura, sentimento84.
83
R. ROMEO, Italia mille anni. Dall’età feudale all’Italia moderna ed europea, Firenze,
Le Monnier, 1996, pp. 198-199. Sul punto, R. DE FELICE, Il problema della nazione nodo
centrale del pensiero di Rosario Romeo, storico e intellettuale, in «Storia contemporanea»,
1992, 2, pp. 285 ss. ora in ID., Fascismo, antifascismo, nazione, Roma, Bonacci, 1996, pp.
273 ss. G. SASSO, Rosario Romeo e l’idea di “nazione”. Appunti e considerazioni, in «La
Cultura», 1992, 1, pp. 7 ss.
84
Il manoscritto è in CV.
85
In quello stesso numero, la rivista ospitava anche l’articolo di C. MORANDI, Le uni-
versità e la cultura, 15 febbraio 1941, ora in ID., Scritti storici, cit., III, pp. 359 ss.
188 CAPITOLO QUINTO
La vita delle Università italiane oggi è radicalmente mutata. Alla vigilia del-
l’altra guerra europea tutti vivevamo dei miti tramandatici dal nostro Risorgi-
mento... Gli umori dei giovani sono cambiati; parlare di “Patria” con loro par-
rebbe mediocre discorso, ricordi di quel nostro “piccolo mondo moderno”
dell’800 diventato, ahimè, antico. Al di sopra della Patria si viene formando
una religione politica di tono e indirizzo europeo e d’interesse sociale. I miti
dei nostri giovani hanno tutti un carattere sopranazionale, perché tutti volti con-
sapevolmente e inconsapevolmente alla creazione di un’anima e di una unità
europea. Fascismo, nazismo, comunismo, liberal-socialismo (per la prima volta
era fatto questo nome in pubblico!), democrazia, fedi antitetiche fra loro, sono
comunque familiari, alla loro fantasia, o per essere accettate o per essere com-
battute. Ma in ogni modo questi sono miti che chiamano i giovani fuori degli
schemi usuali per il superamento dei vecchi nazionalismi dell’800. La guerra
stessa oggi è sentita non tanto come Guerra di Patria, ma come guerra di reli-
gioni e di ideologie di partito86.
Era un concetto, questo, che era stato ribattuto con insistenza sulle
pagine della rivista di Bottai. In particolare, nei numerosi interventi di
Carlo Morandi, e in quello che significativamente s’intitolava Questa
guerra e il Risorgimento, dove si scorgeva nel nuovo conflitto intercon-
tinentale l’occasione per liberarsi delle vecchie incrostazioni nazionali
e nazionalistiche e per l’affermazione invece di «una comunità d’idee e
di popoli», alla luce di un’«idea-forza rivoluzionaria che agisce come
elemento eversore d’un sistema, come volontà costruttrice di un ordine
nuovo», nel quale del tutto marginali apparivano le «nostre particolari
rivendicazioni nazionali»87.
Questa linea di tendenza, secondo la lettura giustificazionista che ne
avrebbe dato Russo, testimoniava prematuramente la liquidazione del-
la «così detta “patria del Duce” e dei suoi accoliti», ferita a morte dal
nuovo, giovane pensiero circolante nelle riunioni dei Guf e nei Litto-
riali della cultura, sia pure con «le reticenze interlineari che gli italiani
del 1941 erano ormai abituati a comprendere». Si trattava evidentemen-
te di una forzatura, se non addirittura di una falsificazione che il senno
del poi aveva suggerito. Perché poco veramente aveva a che fare il su-
peramento del nazionalismo, nell’ottica «ordine-nuovista» auspicata
dall’ultimo fascismo, con i contenuti della Storia d’Europa di Croce, e
con i temi della propaganda del federalismo e dell’europeismo antifa-
scista, propugnato dal movimento di «Giustizia e Libertà» e dal suo
86
L. RUSSO, I giovani nel venticinquennio fascista, 1919-1944, in «Belfagor», 1946, 1,
pp. 7 ss., in particolare pp. 15-16.
87
C. MORANDI, Questa guerra e il Risorgimento, in «Primato», 1° aprile 1941, ora in
ID., Scritti storici, cit., III, pp. 369 ss.
ANTICLIMAX 189
88
P. GRAGLIA, Unità europea e federalismo: da Giustizia e libertà ad Altiero Spinelli,
Bologna, Il Mulino, 1996, pp. 21 ss.
89
L’Ispi, fondato nel 1934 da Pierfranco Gaslini, un allievo dello storico nazionalista
Arrigo Solmi, veniva presieduto dal 1935 dall’industriale Alberto Pirelli e godeva da quel
momento di un forte sostegno finanziario, che ne rilanciava l’attività di ricerca e quella
editoriale. Nel settembre del 1935 veniva costituito un comitato direttivo composto da
Pirelli, Salata, Bevione, Volpe. Gaslini conservava la direzione responsabile dell’Istituto.
Sul punto, A. PIRELLI, Taccuini, 1922-1943, a cura di D. Barbone, prefazione di E. Orto-
na, Bologna, Il Mulino, 1984, pp. 21-22; A. MONTENEGRO, Politica estera e organizzazione
del consenso. Note sull’Istituto per gli studi di politica internazionale, 1933-1943, in «Stu-
di Storici», 1978, 4, pp. 802 ss.; E. DECLEVA, Politica estera, storia, propaganda: l’Ispi di
Milano e la Francia (1934-1943), in «Storia contemporanea», 1982, 3, pp. 607 ss.; V. GA-
LIMI, Culture fasciste e droit à la guerre. L’Istituto per gli studi di politica internazionale dans
les années Trente, in «Mil neuf cent», 2005, 1, pp. 167 ss.
90
Gerolamo Bassani ad Alberto Pirelli, Milano, 26 marzo 1945. Tutta la documentazione
relativa a questo progetto dell’Ispi è conservato in ACS, Carte Renzo De Felice, busta 16.
91
Si veda G. BASTIANINI, Volevo fermare Mussolini. Memorie di un diplomatico fasci-
sta, con una Prefazione di S. Romano, Milano, Rizzoli, 2005, pp. 96 ss. e 382 ss.
92
E. SAVINIO, “Lo Stato moderno”. Mario Boneschi e gli azionisti milanesi, Milano,
Franco Angeli, 2005, pp. 74-75.
190 CAPITOLO QUINTO
Sia come sia, anche per questo episodio, il presente rivelava un cuo-
re antico. E, in ogni caso, il forte interesse per una storia d’Europa, per
una vocazione storiografica cosmopolita, che, a prescindere dalla sua
genealogia politica, avrebbe affascinato nell’immediato futuro il mon-
do italiano degli studi storici del dopoguerra93, contribuiva a corrodere
ulteriormente l’idea di nazione e di storia nazionale. Di questo risulta-
to, nonostante lo straniamento che il lungo soggiorno negli Stati Uniti
avrebbe potuto provocare, doveva essere ben consapevole Giuseppe
Prezzolini, al quale Volpe manifestava, nel febbraio 1947, i sensi del
suo atterramento morale, dichiarando di essere «rotto in due e più pezzi
dalla tragedia che ha colpito e risospinto indietro e cacciato nel disor-
dine e nella miseria il nostro paese ed ha tolto agli uomini della nostra
generazione di rivederlo rispettato e rispettabile, Nazione italiana, Sta-
to italiano, e non accozzaglia di 45 milioni di persone, fra giovani e
vecchi, uomini e donne, pastori e pecore»94. Tanto sbigottimento non
aveva tuttavia intaccato la «resistenza al lavoro» dello storico, se questi
proponeva all’antico amico di fargli da tramite presso un «editore ame-
ricano», per realizzare la versione inglese di «una Storia d’Italia dal V
secolo al 1870, un volume di 500 pagine, che è per tre quarti fatto e
dentro il ’47 finito». Notizia di questo progetto editoriale, che avrebbe
visto la luce solo alla fine degli anni ’60, ritornava nella corrispondenza
seguente, e si riaffacciava quando nell’aprile del 1952 Volpe ringrazia-
va Prezzolini «per i libri tuoi da te offertimi in loco, fra cui The Legacy
of Italy, a cui mi ero proposto di dedicar una colonna o mezza sul Tem-
po di Roma: e avevo anche preparato qualche appunto del libro»95. Quel
resoconto purtroppo non venne mai scritto, privandoci del giudizio di
Volpe su di un’opera che a dire poco capovolgeva il suo concetto di
storia nazionale.
Il volume di Prezzolini, poi apparso anche in lingua italiana, nel 1958,
con il titolo di L’Italia finisce. Ecco quel che resta96, costituiva infatti una
vera e propria anti-storia d’Italia, nella quale le allucinate considerazio-
ni di Cusin venivano riproposte, in un contesto stilistico certamente
privo delle asprezze dello studioso triestino, senza però che ne venisse
intaccato il senso di tragica rivelazione. Il cataclisma del 1943 era infat-
ti iscritto per Prezzolini nelle vicende nazionali, fin dagli albori. Com-
pletamente separata dall’eredità di Roma e dalla capacità politica orga-
93
M. VERGA, Storie d’Europa, cit., pp. 117 ss. Si veda anche Storia e storici d’Europa
nel XX secolo, a cura di M.M. Benzoni e B. Vigezzi, Milano, Unicopli, 2001.
94
Gioacchino Volpe a Giuseppe Prezzolini, 24 febbraio 1947, AGP.
95
Gioacchino Volpe a Giuseppe Prezzolini, 15 aprile 1952, ivi. Il volume di Prezzo-
lini era uscito a New York, nel 1948, presso l’editore Vanni.
96
Se ne veda la recente edizione, Milano, Rizzoli, 2003.
ANTICLIMAX 191
97
G. PAPINI, Italia mia, Firenze, Vallecchi, 1939, pp. 22-23.
192 CAPITOLO QUINTO
98
B. MARIN, La pace lontana, cit., p. 269.
99
E. GALLI DELLA LOGGIA, La morte della patria. La crisi dell’idea di nazione tra Resi-
stenza, antifascismo e Repubblica, Roma-Bari, Laterza, 1996.
100
ID., L’identità italiana, Bologna, Il Mulino, 1998.
ANTICLIMAX 193
geva, che esiste «una realtà e un’unica idea d’Italia, che tiene insieme e
comprende tutte le altre», il paradosso della storia del nostro paese è
che una tale identità non ha mai potuto assumere una «forma moder-
na», non ha cioè mai potuto tradursi in un vero e proprio fattore di
coesione. Solo scrutando, da nuove prospettive, il senso profondamen-
te unitario della nostra storia si potevano, allora, individuare i tratti
distintivi di «quella patria italiana che ancora ci manca», la peculiarità
di quella «identità italiana» che appare come fattore distinto, se non
addirittura antinomico alla costruzione di una «identità nazionale».
A partire da questi assunti, i personaggi, gli eventi, le istituzioni che
tradizionalmente venivano considerati, nel bene e nel male, i fattori
propulsivi della vita associata degli italiani trovavano sicuramente il loro
posto nella collezione: Giordano Bruno e Giovanni Gentile, Cavour e
Mussolini, un santo del Novecento e un importante sindacalista dello
stesso secolo, la battaglia del Piave, la celebrazione delle festività nazio-
nali, i monumenti civici, il ruolo della monarchia, di cui però si sotto-
lineavano soprattutto le spinte anticostituzionali e financo eversive, lo
Statuto Albertino come fragile ancoraggio della legalità statale, mai in
grado, tuttavia, di rappresentare il patto fondativo della patria di tutti
gli italiani. Ma su queste icone prevaleva lo spazio concesso ad altri sim-
boli di identificazione. Primo fra tutti, la mamma, unico, infrangibile
punto di ralliement per tutti gli italiani. E poi la pizza e gli spaghetti,
Capri, il melodramma, il fotoromanzo, un affermato giornalista e un
famoso attore del Novecento, alcuni celebri sportivi, la rete autostrada-
le che aveva ridotto il divario non solo geografico tra Nord e Sud, un
luogo tradizionalmente deputato allo shopping di massa, qualche cele-
bre monumento, Brighella, Pantalone, Arlecchino, un singolo partito
politico, una catena montagnosa, perfino una singola regione, la Roma-
gna, «la più italiana delle nostre piccole patrie», considerata come «pic-
colo specchio della nazione, in cui si riflette il profilo ironico e senti-
mentale della provincia italiana»101.
Questa decomposizione del concetto di nazione era, d’altra parte,
già attiva da tempo nella storiografia del secondo dopoguerra102, e avreb-
be trovato il suo acme nelle scialbe e distratte celebrazioni per il cente-
nario dell’unità italiana, egemonizzate dal disegno politico di un esecu-
tivo a maggioranza democristiana, ormai proiettato in una irresistibile
marcia di avvicinamento all’esperienza del centro-sinistra103. L’inedita
intesa tra cattolici e socialisti non si limitava a condizionare i nuovi
101
R. BALZANI, La Romagna, Bologna, Il Mulino, 2001.
102
G. ALIBERTI, La resa di Cavour, cit., pp. 215 ss.
103
M. MEROLLA, Italia 61. I media celebrano il Centenario della nazione, Milano, Franco
Angeli, 2004.
194 CAPITOLO QUINTO
104
A. GAROSCI, Gli ideali di libertà dal Risorgimento alla crisi fascista, in Il secondo
Risorgimento. Nel decennale della Resistenza e del ritorno alla democrazia, 1945-1955. Scrit-
ti di A. Garosci, L. Salvatorelli, C. Primieri, R. Cadorna, M. Bendiscioli, C. Mortati, P.
Gentile, M. Ferrara, F. Montanari, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1955, pp. 3 ss.
105
Si veda C. PAVONE, Le idee della Resistenza: antifascisti e fascisti di fronte alla tradi-
zione del Risorgimento, in «Passato e Presente», 1959, 7, pp. 859 ss., ora in ID., Alle ori-
gini della repubblica. Scritti su fascismo, antifascismo e continuità dello Stato, Torino, Bol-
lati Boringhieri, 1995, pp. 3 ss. Una tematica ripresa dallo stesso autore in Una guerra civile.
Saggio storico sulla moralità della resistenza, Torino, Bollati Boringhieri, 20003, al cap. IV.
106
Sul punto, il mio Revisionismo e consegna del silenzio, in «Nuova Storia Contem-
poranea», 2005, 1, pp. 139 ss.; R. VIVARELLI, Vinti e vincitori in Italia alla fine della Secon-
da guerra mondiale, introduzione a W. SCHIVELBUSCH, La cultura dei vinti, Bologna, Il
Mulino, 2006, pp. IX ss.
107
R. ROMEO, La celebrazione del primo Centenario dell’Unità d’Italia, Torino, Comi-
tato Italia ’61, 1961, pp. 191 ss., ora in ID., Dal Piemonte sabaudo all’Italia liberale, Bari,
Laterza, 1974, pp. 319-320.
ANTICLIMAX 195
Quanto alla partecipazione alla Mostra torinese avrei qualche dubbio. Cer-
to, il Risorgimento è per i tre quarti o quattro quinti opera di ceti medi, con
qualche elemento della nobiltà, ed anche con qualche partecipazione di popo-
lo, cioè di massa, ma solo nel quadro della città, durante le insurrezioni, non si
sa quanto mosso da aspirazioni o ideali. Questo è cosa nota. La massa aveva
suoi bisogni e sue aspirazioni che qualche volta la mettevano contro quella élite
ed a fianco dei vecchi principi e dell’Austria stessa. Ma la Mostra torinese mira
a mettere il Risorgimento d’Italia in luce come complesso di forze, senza trop-
po distinguere le une dalle altre, le forze dalle debolezze, anche perché le stesse
debolezze servirono di incitamento ai patriotti per fare quel che fecero. Voleva-
no, i migliori, redimere tutta l’Italia, anche quella degli indifferenti o avversi. In
sede di studio può essere sempre di un certo interesse tener presente la condi-
zione sociale degli uomini che operarono positivamente. Ma in altra sede, in
sede politica, dubito che ciò convenga.
108
La lettera, senza indicazione di destinatario né di data (ma riferibile al 1961), è
conservata in FV.
109
Il riferimento è a D. MACK SMITH, Storia d’Italia: dal 1861 al 1958, Bari, Laterza,
1959. Sul quale, R. ROMEO, Nazione e nazionalismi dopo la seconda guerra mondiale, in ID.,
Italia mille anni, cit., p. 199; G. VOLPE, L’Italia giudicata da un inglese, in «Il Tempo», 29
marzo 1960. La polemica proseguiva nella lettera aperta al Direttore de «Il Tempo», Dopo
le celebrazioni centenarie. Un assente, in «Il Tempo», 4 dicembre 1961, ora in G. VOLPE,
Pagine risorgimentali, cit., II, pp. 155 ss. Egualmente dedicato allo studio di Mack Smith
è il più ampio articolo di Volpe, apparso sulla «Nuova Antologia» del 1961, ora in ID.,
Nel regno di Clio, cit., pp. 204 ss.
196 CAPITOLO QUINTO
110
E. SESTAN, Per la storia di un’idea storiografica: l’idea di una unità della storia italia-
na, cit., p. 198.
111
G. VOLPE, Prefazione a Storia d’Italia, cit., pp. XXI-XXII.
112
G. GALASSO, Italia unita e storiografia nel secondo dopoguerra, in L’Italia s’è desta,
cit., pp. 107-108: «Da questo punto di vista veniva, anzi, a cadere, a rigor di termini, an-
che la distinzione fra storia locale o municipale e storia dei movimenti politici e sociali
(partiti, sindacati, cooperative, ecc.). Il municipio era quasi, in sostanza, il luogo di una
fictio juris storiografica, il cui maggiore significato era, in ogni senso, quello di aver costi-
tuito un contro-potere di classe anziché un’articolazione del potere statale».
113
B. CROCE, Dove sia riposta l’effettiva unità della storia, in «Quaderni della Critica»,
XVI, 1950, pp. 26 ss., in particolare pp. 28-29. Il saggio sarebbe stato poi ricompreso in
ID., Storiografia e idealità morale. Conferenze agli alunni dell’Istituto storico di Napoli, Bari,
Laterza, 1950. Lo si legge oggi in ID., Dieci conversazioni con gli alunni dell’Istituto Italia-
no per gli Studi Storici di Napoli, cit., pp. 127 ss.
ANTICLIMAX 197
Subito dopo la comparsa dei primi volumi della nuova storia italia-
na, Rosario Romeo interveniva con due severi interventi su questo in-
generoso apprezzamento116, assolutamente e colposamente dimentico
della grande attenzione concessa da Volpe al contesto internazionale,
che era stata considerata «condizione indispensabile per dare alla sto-
ria della nostra terra o nazione un significato, per ritrovare le giuste
proporzioni che non possono risultare se non da un sia pur tacito con-
fronto, per vederla e valutarla anche nella sua individualità naziona-
le»117. Ma la critica di Romeo si concentrava soprattutto sull’impianto
generale dell’opera, con una valutazione negativa sistematica dell’ini-
ziativa dell’editore torinese che, proprio per aver voluto rinunciare a
114
Presentazione dell’editore, in Storia d’Italia, cit., I, pp. XII ss.
115
Ivi, p. XX.
116
R. ROMEO, Chi siamo, dove andiamo, in «La Stampa», 24 febbraio e 5 marzo 1974,
in ID., Scritti storici, 1951-1987, Milano, Il Saggiatore, 1991, pp. 177 ss., in particolare pp.
182-183: «Un tentativo di giungere a una visione organica della società italiana nella va-
rietà dei suoi aspetti, ma in un periodo assai più breve, venne compiuto una trentina d’anni
fa da Gioacchino Volpe nella sua Italia moderna, dedicata alla storia d’Italia unitaria sino
alla prima guerra mondiale: e, per quanto si possa dissentire dall’indirizzo ideologico di
quell’opera, non v’è dubbio che il compito vi è assolto con organicità di coerenza incom-
parabilmente maggiore di quanto non accada nella Storia einaudiana».
117
G. VOLPE, Programma e orientamenti per una Storia d’Italia in collaborazione, cit.
198 CAPITOLO QUINTO
118
R. ROMEO, Chi siamo, dove andiamo, cit., p. 178.
119
Ivi, p. 183.
120
Si veda R. COLAOA, Così l’Italia trova l’identità nella storia, in «Il Sole 24 ore», 1
settembre 2005, pp. 14-15. L’articolo compariva in coincidenza della ristampa della Sto-
ria d’Italia Einaudi, promossa dal quotidiano.
121
C. MORANDI, Per una storia degli italiani fuori d’Italia, cit.
ANTICLIMAX 199
122
A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., I, pp. 362 ss.
APPENDICE
G. Volpe
La storia d’Italia fuori d’Italia, 19141
1
Pubblichiamo, con l’eccezione di alcune pagine finali, il contributo La “Dante Ali-
ghieri” e la vita italiana fuori dai confini, introduzione a Per la Dante Alighieri nel XXV
anniversario della sua fondazione, numero unico a cura del Comitato di Milano, 19 aprile
1914, pp. 1 ss.
204 APPENDICE
corte dei Re di Sicilia nel ’200, Firenze, Bologna, le fucine appunto più
fervide della filosofia, del linguaggio, del diritto italiani.
Ora... tante di queste posizioni sono perdute di nuovo. All’Italia
venne, dopo il ’400, a mancare ancora la lena. Essa si ritrasse dai mari
lontani, perdé quasi di vista il vicino Oriente, allentò i suoi legami con
le regioni periferiche. E intanto, l’Inghilterra, la Francia e la Germania
creavano grandi dominî coloniali ed accentuavano la loro influenza
commerciale, politica e linguistica nel bacino orientale del Mediterra-
neo; il Canton Ticino, il Trentino e l’Istria, fatti italiani dalla natura e
dalla storia, si saldavano ad organismi politici ed etnici d’oltre Alpe;
Malta, geograficamente e linguisticamente italiana come la Sicilia e quasi
in vista della Sicilia e già da secoli soggetta all’alta sovranità di quel
Regno, passava in mani inglesi; la Corsica era venduta alla Francia ed
alla Francia fu costretta, restìa, a soggiacere; Nizza cessò anche essa di
esser parte del vecchio Piemonte e della nuova Italia; la costa dalmata,
la Tunisia, l’Egitto, paesi fuori del cerchio segnato da natura attorno
alla Penisola, ma italiani o quasi italiani per antichi legami politici e
culturali e demografici, diventano paesi austriaci, francesi, inglesi. La
nostra coltura da per tutto, poco o molto, cedeva.
Qui sotto troverete, o lettori, qualche dato e qualche osservazione
sullo stato attuale di questa italianità fuori d’Italia, sulle forze che la
sostengono e sui nemici che muovono all’assalto per demolirla o scava-
no per spiantarla. Leggerete come nell’Europa centrale l’emigrazione
temporanea italiana richieda ogni più sollecita cura da parte nostra, se
non si vuole impedire che masse di italiani cessino non solo d’essere
italiani ma anche uomini; come l’italianità di Malta tenacemente si con-
servi, ma non trova più molta grazia presso la potentissima Gran Bre-
tagna; come in Corsica ed a Nizza lingua e coltura italiana, pur così
vigorose nel passato, languiscono; come nel Canton Ticino esse si man-
tengano, ma non senza pericoli da parte degli elementi tedeschi che la
ferrovia del Gottardo convoglia giù per la valle; come nel Trentino il
pericolo sia ancora più grave per l’attività irrequieta delle società pan-
germanistiche di Germania e d’Austria, come poi sempre peggio si
presentino le condizioni dell’italianità nell’Istria, a Fiume, in Dalmazia,
solo riuscendo essa a difendersi e conservarsi onorevolmente e, per ora,
vittoriosamente, nei massimi centri urbani. Sopra ogni punto del gran-
de arco di cerchio che va dal Trentino a Cattaro, slavi e tedeschi premo-
no. È uno sforzo di masse che lentamente avanzano; è disciplinata e
consapevole azione di società nazionali o nazionalistiche a larga base; è
politica dello Stato che tende forse a semplificare la babele interna sop-
primendo le stirpi meno numerose o ricambia la fedeltà e l’appoggio
delle nazionalità più potenti, dando in loro balìa quelle più deboli, anche
se più civili.
APPENDICE 205
2
L’opuscolo veniva stampato, senza indicazione di data, dall’editore Zanichelli di
Bologna.
208 APPENDICE
Roma e del suo impero, che non sono la “Storia d’Italia”, anche se molti
elementi di esse si ritrovano in questa, che dovranno da noi e da chiun-
que altro essere tenuti presenti. Come, raccontando e spiegando il
Medio Evo e il Rinascimento italiano, ignorare Roma che grandeggia lì
da presso e domina potentemente le fantasie ed ha lasciato qualche erede
degno di essa? Ma, nel tempo stesso, come non vedere e sentire che la
storia d’Italia non è più storia di Roma e la storia di Roma non è ancora
storia d’Italia, intesa l’“Italia” come entità spirituale e la “Storia d’Ita-
lia” come storia di un determinato popolo o nazione giunti ad un certo
grado di unità spirituale? Anzi, da tal punto di vista, la stessa storia
delle invasioni e dei successivi domini barbarici e dell’età feudale è da
considerar più come lontano annuncio di una Storia d’Italia che non
come Storia d’Italia vera e propria, la quale trova il suo inizio col sorge-
re di una coltura italiana (cioè non più romana, non più germanica), di
una lingua letteraria comune in cui essa si esprime, di un qualche spi-
rito italiano, di una sia pure rudimentale consapevolezza negli Italiani
di siffatto loro nuovo essere.
E questa storia italiana, così circoscritta nel tempo, vorremmo fosse
bene armonizzata con una Storia più vasta; fosse in ogni sua parte sen-
tita e scritta come realizzazione locale nazionale o peninsulare o di
qualcosa che trascende la vita locale nazionale. L’ideale, per i libri di
storia, sarebbe che, ad ogni pagina, il lettore sentisse gli echi o qualche
eco della vita del mondo e riconoscesse a qual punto del suo cammino
il mondo è giunto: intendo quel mondo che è veramente concreta unità
storica, ricco di forze e influssi circolantivi dentro, che per noi è il mondo
mediterraneo orientale-romano-germanico, col quale solamente più
tardi o non ancora hanno preso contatto altri mondi. Senza presumere
di riuscir ad attuare questo ideale, i collaboratori della Storia d’Italia
saranno consapevoli della necessità di non isolare le vicende dell’Italia,
di creare e trovare l’Italia anche entro la chiostra degli altri paesi, per lo
meno di quelli su cui essa più ha agito, e dentro la chiostra dell’Italia
cercare e trovare quel che vi è confluito da altre storie ed è diventato
tutto una storia con la sua. Se v’è al mondo paese aperto e ventilato da
ogni parte, tutto risonante di echi, tagliato da mille strade che vi si in-
contrano, ora tutto proteso verso il di fuori, ora tutto permeato dal di
fuori, questo paese è il nostro, per sua buona e mala ventura. E lo sto-
rico deve avere il senso di questa ampiezza, afferrare gli elementi più
importanti di questo ricco panorama: condizione indispensabile per
dare alla storia della nostra terra o nazione un significato, per ritrovare
le giuste proporzioni che non possono risultare se non da un sia pur
tacito confronto, per vederla e valutarla anche nella sua individualità
nazionale.
Questo ultimo compito è, per noi, centrale: scopo, di fronte a cui
APPENDICE 209
scente assimilarsi nel XIV e XV sec. Che cosa rappresenta il nuovo Stato,
come pensiero politico-sociale, come direttiva economica, come rela-
zioni col di fuori. Quadro sommario del dominio sabaudo, della signo-
ria viscontea, dello Stato fiorentino, dello Stato della Chiesa, del Regno
di Napoli, della Repubblica veneta, dal ’300 a buona parte del ’400;
loro condizioni, interessi che li dividono ed insieme li avvicinano, am-
bizioni territoriali e conati unitari sempre più fiacchi e vani nel XV sec.,
politica d’equilibrio e stabilizzazione, qualche lieve tentativo federale,
certa unità non più imperiale o papale ma italiana della Penisola. Rap-
presentazione della vita spirituale italiana nell’età dell’umanesimo, va-
lore universale ed espansione di quella coltura, sua virtù fecondatrice
nell’Europa ecc. L’A. di questo volume dovrebbe essere — perfezio-
nandoli, in rapporto al progresso degli studi — il Cipolla e insieme il
Burckardt armonizzati insieme, saper fondere la materia assai grezza
del primo con la elaborazione sistematica e lo sforzo interpretativo del
secondo. La stretta connessione che è fra le varie manifestazioni di vita
in quella età agevola del resto questa armonizzazione e fusione).
Vol. V - La lotta europea per la conquista dell’Italia e due secoli di
dominio straniero nella Penisola, XVI-XVII. (Questo vol. dovrebbe
presentarci l’Italia che, chiusa l’era dello sviluppo autonomo o quasi,
entra, un po’ di sua iniziativa — frequente ricorso agli stranieri, per
risolvere situazioni italiane — assai più per iniziativa non sua, nel giuo-
co delle forze politiche europee, ne subisce l’urto, vede crollare il suo
sistema politico, perde gran parte di quella funzione attiva che aveva
per lo innanzi esplicato nei rapporti economici e culturali in un’Europa
ancora arretrata, diminuisce di importanza come valore storico; ma nel
tempo stesso porta a maturità i frutti della sua cultura e, con lento pro-
cesso di adattamento e perfezionamento, prepara le condizioni per poter
riapparire e valere nella nuova Europa a base di grandi Stati e nazioni
organizzate. Sono due momenti che potrebbero eventualmente dar
materia a due volumi invece che uno. Nel primo, interessa vedere quale
fu la politica degli Stati italiani e come si atteggiò il sentimento pubbli-
co della nazione, durante le varie fasi della lotta; quali ripercussioni
economiche la guerra, insieme con gli altri accadimenti mondiali del
tempo, ebbe su la economia italiana; quali esperienze lo spirito italiano
fece; quali più intimi contatti stabilì con l’Europa occidentale e centra-
le; quali stimoli risentì al proprio pensiero politico e ad una più serrata
organizzazione di Stati ancora malamente compaginati (Piemonte, To-
scana, Chiesa), quale capacità espansiva acquistò per un secolo la sua
coltura in una Europa tutta ormai legata e intercomunicante. Nel se-
condo, si presentano successivamente: le condizioni generali dell’Italia
in regime di assicurato predominio spagnuolo; la funzione di Roma,
Venezia e Piemonte di fronte alla varia pressione spagnuola, austriaca,
214 APPENDICE
francese; la ripresa della attività politica dei Borboni in Italia, con rela-
tiva valorizzazione di alcune dinastie nostre; il moltiplicarsi degli attori
su la scena d’Europa e d’Italia (Inghilterra e Austria, XVII-XVIII sec.)
e maggiori possibilità di azione offerte a taluna di quelle dinastie, men-
tre le altre sempre più si esautoravano; benefica ripercussione delle
guerre fra il ’600 e ’700 su le condizioni economiche e politiche italia-
ne, su una più energica e larga circolazione di idee fra l’Italia e l’Euro-
pa, sul sentimento nazionale scosso ed eccitato. È necessario presentar
questa epoca in modo sensibilmente diverso da quello che è il cliché
tradizionale, vederne gli attivi oltre che i passivi e considerar certi pas-
sivi come condizione e momenti di progresso. Certo, l’Italia vive nel-
l’Europa più che non avesse mai vissuto, guadagna in omogeneità so-
ciale e in unità territoriale perfeziona il senso dello Stato e certi organi
statali, acquista nel Piemonte una forza propulsiva e direttiva che aspet-
terà solo un più opportuno momento per farsi valere nazionalmente).
Vol. VI - Le origini dell’Italia moderna. (Si riprende e svolge il moti-
vo già accennato nel volume precedente. Si chiariscono i segni, sempre
più visibili, del rinnovamento e del più celere cammino: intensificata la
produzione e migliorato lo stato economico del paese; crescente senso
di vuoto e insoddisfazione, spirito critico, desiderio di rinnovare, di
progredire nei riguardi della cultura tradizionale, di certe istituzioni,
dell’economia; gran voglia di vedere e studiare il mondo, uniformarsi
agli altri più progrediti e insieme emularli, affrancarsi da essi; discus-
sioni e voti sui problemi della vita economica, tendenze liberali varie,
interessi unitari, irrobustita coscienza morale e più seria attività intel-
lettuale. Le riforme. Esame sommario della condizione interna e della
posizione internazionale dei vari Stati. Il volume conterrà circa un se-
colo di vita italiana, fino al 1815, e consterà anche esso come di due
grandi capitoli (perciò, egualmente suscettibile di eventuale sdoppia-
mento), dedicati l’uno alla fase riformista l’altro alla rivoluzionaria: fasi
che si seguono cronologicamente e si contrappongono l’una all’altra
nella coscienza degli uomini, e seguiteranno ancora a contrapporsi
durante le lotte nazionali, quando gli Italiani saranno riformatori e ri-
voluzionari, tenderanno a collegarsi ai principi e ministri del ’700 od
agli uomini dell’89 e delle Repubbliche filiali italiane, sebbene poi il
Risorgimento, visto nel suo complesso e nei risultati, debba considerar-
si sintesi dell’una e dell’altra fase e tendenza. Riforme e rivoluzione
hanno una impronta largamente europea e quasi cosmopolita; ma l’A.
cercherà ritrovar con la maggior precisione possibile il proprio volto
dell’Italia e veder come il suo pensiero si atteggia nel ’700, e come tra-
duce in sua lingua il frasario della rivoluzione d’oltre Alpe, e come im-
posta con crescente senso realistico e coscienza di se stessa i problemi
che poi il XIX affronterà di proposito e con le sole forze nazionali, e
APPENDICE 215
come esce nel rapporto pratico e nelle condizioni di spirito dal duro
travaglio napoleonico. Si tratterà di fare un bilancio, bandendo franco-
filia e francofobia).
Vol. VII - Le lotte nazionali in Italia nel XIX sec.: 1815-1870. (Che
struttura ha la società italiana, nel quindicennio che segue al 1815; che
forze vive e pesi morti, che passioni, che animo di fronte ai governi
restaurati, anche essi così diversi dal sec. precedente? Il filo conduttore
di questo volume sarà dato necessariamente dagli sforzi della nazione
italiana di darsi nuovi e più liberi e propri ordini. Ma l’A. non si limite-
rà a far la storia del patriottismo italiano. Dovrà giungere con l’occhio
anche là dove la patria è ignorata e sondare un po’ lo spesso strato delle
masse e rendersi ragione della loro assenza dalla storia d’Italia; pur nel
tempo stesso che osserverà i progressi dei ceti medi e le esigenze del-
l’economia; e seguirà via via le varie correnti di pensiero, cioè i vari
programmi politici dei novatori, sempre più precisi e concreti e consa-
pevoli delle difficoltà dell’opera e dei mezzi da impiegare; e osserverà la
mutevole situazione internazionale, sempre più favorevole o meno av-
versa ad un nuovo assetto politico della Penisola ecc. Di questa vicenda
noi possiamo ormai fissare le giuste proporzioni, che non sono date né
dal numero dei morti nelle guerre di indipendenza che taluno vorrebbe
contar su le cinque dita, né da alcuni pochi sia pur grandissimi spiriti
che veramente contribuirono a dar al Risorgimento italiano certi carat-
teri di universalità. Gli studi del cinquantennio e la conoscenza nostra
di ciò che è stata ed è l’Italia posteriore al ’70 ci permettono di reagire
tanto alla micromania degli uni quanto alla megalomania degli altri).
Vol. VIII – L’Italia d’oggi. (Il nuovo Stato unitario dopo il ’70, l’op-
posizione interna ed esterna, borbonici, repubblicani, internazionale
cattolica, Francia ecc. Accentramento e aspirazioni regionalistiche. Con-
dizioni finanziarie, ordinamento amministrativo, ferrovie, e lavori pub-
blici, politica ecclesiastica ecc. La vecchia Destra. L’avvento della Sini-
stra. La nuova borghesia italiana, suo spirito, sua educazione politica,
sue manchevolezze. Tunisi. La Triplice. Progressi della coscienza uni-
taria e dell’economia nazionale. La denuncia del trattato di commercio
con la Francia e sue varie ripercussioni. L’irredentismo. Diffondersi del
socialismo. Condizioni demografiche ed emigrazione. Il Mezzogiorno
e la Questione meridionale. I Fasci siciliani. Il problema coloniale: ten-
tativi e insuccessi. Francesco Crispi. Il 1898. Il nuovo spirito pubblico
e il nuovo orientamento politico attorno al 1900. Agricoltura e indu-
stria in Italia fra l’800 e il ’900 e rapidi loro progressi. Francia, Germa-
nia e Italia nel riguardo economico e politico. Accentuazione nazionale
del sentimento italiano e correnti nazionalistiche. Progressivo avvici-
narsi dei cattolici all’Italia del 1870. Italia ed Austria. Dalla crisi inter-
nazionale del 1908 alla guerra di Tripoli. L’Italia e il problema dell’Adria-
216 APPENDICE
Questa unità romana, entro cui la Penisola annega, dura molti secoli.
Sopravvive anche alla caduta dell’Impero, almeno in parte. Dopo l’uni-
tà imperiale romana, viene quella del cattolicesimo romano e quella data
al mondo romano dei Germani, invasori e nuovi sistematori dell’Impe-
ro. E l’Italia, quando tornerà a profilarsi vagamente all’orizzonte, sarà
un fatto nuovo. Nascerà anche da altri semi, si alimenterà di altri suc-
chi. La sua storia non è la storia di Roma, poiché la storia di un popolo,
o di una nazione, non è il racconto delle vicende secolari e millenarie di
un paese. Tuttavia gli Italiani, cominciando a creare la loro cultura
nazionale ed a vivere la loro nuova vita di nazione, amarono riattaccarsi
a Roma. La quale perciò rivive o è rivissuta ed opera. Per tutti gli uomi-
ni civili o affacciati a civiltà, ma per gli Italiani innanzi tutto. Compiti
umani e nazionali essa assolve per essi. Da una parte, gli Italiani che
venivano prima degli altri, riprendendo i contatti col mondo e riabili-
tando il mondo e ricercando l’uomo e la natura, ebbero dall’antichità,
che questi valori aveva conosciuto, un aiuto a ritrovarli anche essi attor-
no a sé ed in sé. Amando e quasi divinizzando Roma e le sue gesta e i
suoi personaggi famosi, e vedendoli animati da uno spirito “non uma-
no ma divino”, come dice Dante, essi si allenarono a riamare, oltre quella
umanità romana, tutto l’umano, con cuore naturalmente non di pagani
ma di cristiani, a colmare l’abisso medievale fra cielo e terra, a vedere
Dio nell’uomo e nelle sue opere. Dall’altra parte, gli Italiani novellaro-
no di Roma come di un’antica madre; fecero di essa la fondatrice di
tutte le loro città e l’instauratrice delle loro istituzioni e del loro diritto;
dal ricordo di essa trassero incitamento a scrivere la storia dei loro
municipi; di essa si fecero forti e orgogliosi per difendere la loro auto-
nomia politica, affermandosi romani perché liberi e liberi perché ro-
mani, cioè identificando romanità e libertà; considerarono ed esaltaro-
no se stessi, di fronte ai “barbari”, come latini e solo essi latini, “seme,
sangue e ossa” di Roma. La quale aiutò così gli Italiani a costruire la
loro italianità. Cominciarono a sentirsi distinti dalle altre genti come
3
Sono qui riprodotte le pagine finali del contributo apparso con il titolo 21 aprile.
Roma e l’Italia, in «Gerarchia», I, 25 aprile 1922, 4, pp. 173 ss.
APPENDICE 221
4
Questo testo, stampato per uso interno, a cura dell’Istituto Giovanni Treccani, e
conservato nell’Archivio storico dell’Enciclopedia Italiana di Roma, venne riprodotto in
La predisposizione del lavoro in una grande impresa scientifico-editoriale. L’Enciclopedia Ita-
liana dell’Istituto Giovanni Treccani, in «L’organizzazione scientifica del lavoro. Rivista del-
l’Ente Nazionale Italiano per l’organizzazione scientifica del lavoro», 1928, 3, p. 450.
224 APPENDICE
I.
Egregio Professore,
Per mia iniziativa, un gruppo di amici e colleghi è venuto nella delibe-
razione di pubblicare per l’autunno, in occasione del Decennale, un
volume di Studi bibliografici che rendano conto del lavoro compiuto in
Italia, nel campo delle discipline storiche, giuridiche, economiche, filo-
sofiche, politiche negli ultimi 15-20 anni, dalla guerra in poi.
Si tratta di fare, genericamente, un bilancio quantitativo e qualitati-
vo della attività intellettuale nostra in questa fase, per noi storicamente
ricca e varia, di vita italiana. Si tratta più specificatamente di ricercare
e di ritrovare quale riflesso gli eventi della politica hanno avuto sugli
studi, su quegli studi che, per natura loro, sono più vicini alla politica
e alla vita vissuta e più si sono aperti agli influssi della politica e della
vita stessa. È come dire che vogliamo esaminare qual grado di profon-
dità e di consapevolezza hanno avuto per noi i grandi fatti che si chia-
mano guerra e fascismo. Potrà risultare che non tutte le varie branche
degli studi, o non tutte nella stessa maniera e intensità, si siano risentite
di questo mutato clima politico e morale del nostro paese; che esse o
talune di esse se ne siano risentite negativamente oltre che positivamen-
te; che cioè abbiano, per opera dell’uno o dell’altro studioso, aderito
con più intimo calore a pensieri e dottrine diversi e magari opposti a
quelli del fascismo.
Ma noi terremo conto anche di questo fatto, diciamo così, negativo,
che rientra egualmente nel quadro della vita intellettuale italiana del
decennio, egualmente trova in quegli eventi qualche suo impulso, e
qualche volta ha reagito da parte sua sopra i nuovi pensieri e dottrine
costringendoli ad approfondirsi e affinarsi.
Questa rassegna critico-bibliografica sarà dedicata alla storia, alla
filosofia, all’economia, alle scienze giuridiche, al pensiero e alle dottri-
ne politiche e per ognuna di queste discipline avrà ampiezza varia, ma
in modo che ne risulti un volume attorno alle 400 pagine, da pubblicare
5
Il Programma è conservato in CV.
APPENDICE 227
II.
Egregio Collega,
La ringrazio d’aver accettato l’invito di collaborare al volume che sarà
pubblicato a fine ottobre, e che si propone di dare giusto rilievo al la-
voro compiuto nelle discipline storiche, economiche, giuridiche, poli-
tiche negli anni che seguono alla guerra (1914-32); più specialmente di
ritrovare e ricercare i riflessi dei grandi eventi politici su quegli studi
che, per natura loro, sono più vicini alla vita pratica, o anche l’azione
eventualmente esercitata da quegli studi su quegli eventi cioè attività
pratiche, nuovi istituti ecc. Poiché se, in tempi in cui è debole il ritmo
della vita, il vario lavoro degli uomini procede staccato e frammentato,
quasi per distinti settori; in tempi invece di vita intensa, questo lavoro
tende a organizzarsi in unità, ad essere presente ogni sua parte nel tutto.
Ad ulteriore chiarimento di quel che ho detto nella prima lettera
circolare, aggiungo, inviando a lei l’elenco dei collaboratori e delle va-
rie branche di studi ad essi assegnate, alcune raccomandazioni e indi-
cazioni:
La bibliografia dovrà essere scelta e ragionata: il meglio, in fatto di
libri e anche articoli, per intrinseco valore e anche per risonanza che
abbiano avuto, per discussioni o polemiche che abbiano sollevato; ol-
tre la citazione dell’autore e del titolo, un brevissimo cenno riassuntivo,
al bisogno anche un cauto e sereno giudizio. Con ciò non si esclude che
si diano solo titoli, ove si tratti di una produzione di non grande valore,
ma pur significativa come massa e come orientamento di interessi spi-
rituali e di idee. Si intende che un ordine deve presiedere a questa elen-
cazione ragionata: un po’ ordine cronologico, un po’ ordine ideale.
Dovrà essere obiettiva al massimo grado, cioè non fatta da determi-
nati punti di vista; non subordinata, nel ricordo e nella valutazione delle
opere, a predilezioni personali dello scrivente. Egualmente, nessuna
preoccupazione di attribuire a ciò che si è pubblicato più valore di ciò
che eventualmente non abbia; di mostrare l’attività intellettuale più
sensibile al soffio degli eventi. Segnalar anche i lati manchevoli di que-
sta attività; anche qualche regresso, se e dove ci è stato, come realmen-
te, qua e là, ci è stato, per effetto di infatuazioni e passioni. Segnalar
anche le opere che suonano critica al nuovo ordinamento instaurato
dal fascismo, nel campo delle dottrine e degli istituti politici o delle idee
economiche, corporative ecc. Fanno parte anche esse della recente at-
tività intellettuale degli Italiani, sono anche riflesso degli eventi, posso-
no pur esse aver concorso ad acuire l’autocritica ed affinare lo sforzo
costruttivo del fascismo.
Tutti sappiamo che la carta stampata è stata ed è, specialmente in
talune zone di studio, “sine pondere numero et mensura”. Sappiamo
APPENDICE 229
III.
PIANO DELL’OPERA
FASCISMO N. N.6
(STORIA, DOTTRINA,
LEGISLAZIONE,
ORGANIZZAZIONE) 20
Totale: Collaboratori 22
Pagine 410.
6
Questa sezione sarebbe stata affidata a Rodolfo De Mattei, come risulta dalla lette-
ra di Volpe a questo studioso, datata 14 agosto 1932, CV: «Caro De Mattei, ritrovo, dopo
breve assenza, il suo telegramma e le dico subito di che si tratta. (Innanzi tutto, le dirò che
mi sono informato di lei, durante l’assenza, all’Istituto Fascista di Coltura e volevo anche
scriverle gli auguri, ma mi dissero che lei era vicino a tornare). Sto preparando un volume –
che uscirà sotto gli auspici dell’Accademia o del Partito, che vuol dar conto del meglio che
in Italia si è pubblicato nel campo delle discipline storico-giuridiche-economiche dalla guer-
ra in poi. Le mando, a tale scopo, due lettere circolari mie, con esposizione dei fini e criteri
della pubblicazione. Ci sono due capitoli ancora scoperti: uno è fascismo; cioè dar conto
della produzione più notevole relativa alla storia del fascismo, alla dottrina politica sua, ecc.
(escluso ciò che si attiene all’economia), 15-20 pagine di stampa, deve servire di guida al
lettore italiano e straniero. Ho riservato a lei questo capitolo. In caso estremo, ma solo
estremo, mi suggerisca altra persona che possa fare bene. Cordiali saluti. Suo G. Volpe».
G. Volpe
La Storia d’Italia e la sua polemica, 19347
7
L’articolo era pubblicato nel «Corriere della Sera» del 5 dicembre 1934.
APPENDICE 233
di quella fase della vita nazionale, che, scomparso poi qualche collabo-
ratore, come Antonio Anzilotti e Paolo Negri, e, più ancora fattasi di-
scorde la italiana repubblica delle lettere e quindi raffreddatisi e allon-
tanatisi altri collaboratori che nella progettata Storia d’Italia comincia-
rono a temere, per colpa dell’iniziatore, una Storia “fascista”, cioè di
partito o di tendenza, cioè partigiana e falsa, la compagnia, già costitui-
ta e, un po’, già all’opera, si sbandò e tutto andò a monte).
Solo una critica si fece, una e duplice, al mio “Programma”. Questa
Storia, come io la concepivo e disegnavo, non comprendeva, diversa-
mente le altre precedenti, le età prime della Penisola, con le loro pala-
fitte, le loro grotte, le loro selci e bronzi, i loro ossami, i loro graffiti
rupestri; né gli Etruschi e popoli italici o d’altra stirpe dell’età storica,
che cominciarono a dissodare il terreno vergine della Penisola e anche
ad unificarlo. Neppure comprendeva Roma e il suo Impero: anche se
aggiungevo, “molti loro elementi si ritrovano nella Storia d’Italia che
dovranno, da noi e da chiunque altro, essere tenuti presenti”. Com-
prendeva invece nel suo quadro l’età medievale e moderna, specialmente
l’ultimo Medio Evo, il Medio Evo che è già fuori dalle invasioni e dalle
monarchie barbariche e procede alacremente per la via delle formazio-
ni nazionali. Senza con ciò escludere del tutto il primo Medio Evo, da
considerar, più che altro, come introduzione o vestibolo della Storia
d’Italia vera e propria, in quanto allora si verificarono fatti che comin-
ciano o ricominciano a dare alla Penisola una sua fisionomia o a sapere
lontanamente d’Italia, dell’Italia moderna e nostra, con i suoi problemi
e travagli.
Ed ecco la critica, una e duplice, che si fece. Ma come e perché, fu
detto da taluni, vuoi mutilare la Storia italiana della Storia dell’antica
Italia romana? Non vedi che, dal terzo secolo a. C., non c’è più solo una
Storia di Roma e del Lazio, ma una Storia d’Italia, fusa gradatamente in
un tutto unico, prima nei rapporti culturali e materiali, poi anche politi-
ci? Da allora, scompare il molteplice regionalismo e si ha una Storia ita-
liana, con comuni caratteri, comune linguaggio, comune volontà e co-
scienza, orgoglio nazionale. Questa Italia romanizzata e non più Roma
solamente, che d’ora innanzi muove e domina il mondo, che ha sul mon-
do una posizione di privilegio, che al mondo impone la sua civiltà, dura
sino alla fine del III secolo, quando il meraviglioso fenomeno smarrisce
le sue peculiari caratteristiche politiche. Ma l’unità spirituale della Peni-
sola, del popolo italiano, non si smarrisce fino all’alto Medio Evo, all’età
longobarda... Così il prof. Barbagallo, nella Nuova Rivista Storica.
Da un’altra parte, invece, si obiettò: ma che cosa hanno a che fare
con una Storia d’Italia il Comune di Milano o di Firenze o di Genova,
il Regno normanno o delle Due Sicilie, il Ducato Sabaudo, lo Stato della
Chiesa, il Granducato toscano? Inseguendo il fantasma di una Storia
234 APPENDICE
***
Insomma, io peccavo per difetto e peccavo per eccesso. Sebbene non
mi fossi affatto proposto di far da paciaro fra due tesi opposte, pure mi
toccava la sorte che spesso capita ai paciari: di pigliarle da una parte e
dall’altra. La questione, che a volte pareva di parole, era, guardata bene,
di sostanza. Si trattava di vedere se e fino a qual punto la vita storica
italiana sia stata, almeno in certa epoca o da certa epoca in poi, un in-
sieme di fatti succedutisi l’uno dopo l’altro, privi di nessi che non fos-
sero occasionali ed estrinseci, come potevano essercene, anche fra fatti
italiani e fatti spagnoli o tedeschi, senza che perciò Italia e Spagna o
APPENDICE 235
8
Il riferimento è a G. MICALI, L’Italia avanti il dominio dei Romani, Firenze, Presso
Guglielmo Piatti, 1810, 4 voll., e a Cesare BALBO, Sommario della storia d’Italia: dalle ori-
gini fino ai nostri tempi, Torino, Per Giuseppe Pomba, 1830. Significativamente, Arrigo
Solmi avrebbe completato l’opera di Balbo con un’appendice contemporaneistica: Som-
mario della Storia d’Italia: dalle origini fino ai nostri tempi di Cesare Balbo; con una prefa-
zione e appendice di storia del Risorgimento dal 1848 al 1922, a cura di Arrigo Solmi,
Milano, Alpes, 1926. L’aggiunta di Solmi riprendeva parzialmente ID., Il Risorgimento
italiano, 1814-1918, Milano, Biblioteca della Università Popolare Milanese e della Fede-
razione Italiana delle Biblioteche Popolari, 1919.
236 APPENDICE
9
L’articolo era pubblicato nel «Corriere della Sera» del 21 marzo 1935.
238 APPENDICE
***
Non è chi non riconosca certi elementi di verità, certo rigore di questa
veduta, che cerca l’unità e la continuità nel moto intrinseco dei fatti.
Sono in causa delle idee storiografiche: cioè una certa definizione della
storia: un certo modo di intendere l’unità storica, cioè, nel tempo, certe
condizioni positive perché possa scriversi questa storia unitaria, cioè
l’esistenza dello Stato con relativa attività politica o etico-politica, certa
conseguenza, che se ne trae, in ordine alla storia d’Italia. Si è partiti un
po’ da un determinato concetto storico-filosofico, applicandolo alla
attività storiografica in genere, un po’ dalla constatata e riconosciuta
difficoltà di scrivere una storia italiana e dal desiderio di dare ragione
filosofica di tale difficoltà: e si è giunti a questa concezione della storia
d’Italia.
Difficile, tuttavia, accettarla, questa veduta, nella sua integrità e rigi-
dezza, in quanto chi l’ha sostenuta con più energia, cioè Benedetto
Croce, ha scritto una Storia d’Europa del secolo XIX: di un’Europa, cioè,
che in quel secolo ha, certo, avuto comuni elementi di vita, cioè idee e
ispirazioni che oltrepassavano i confini delle Nazioni e Stati singoli, ma
non ha avuto uno Stato o Superstato; e neanche, salvo qualche fede in
un’Europa concorde, qualche pensiero di possibile Federazione euro-
pea dopo attuata la libertà di tutte le Nazioni, qualche attività interna-
zionale di esuli, a vantaggio di tutte le patrie, neanche ha avuto una
APPENDICE 239
***
Ho detto “valori ideali”. Poiché questo divenire unitario non è stato
per secoli un mero fatto, un fatto più o meno cieco e indipendente dalla
volontà o obbediente a tutt’altra volontà, come può essere stato l’esau-
rirsi dei piccoli Stati della Penisola e l’ingrandimento di alcuni di essi a
spese di altri, il moltiplicarsi fra questi Stati di rapporti non diversi da
quelli che si moltiplicavano con gli Stati d’oltre Alpe e d’oltre mare, il
venir meno dei medievali legami di dipendenza dai poteri universali del
Papato e dell’Imperatore ecc. Ma è stato anche un sentimento, un pen-
siero, un’aspirazione da quando una Nazione italiana veramente s’indi-
vidua fra altre Nazioni e vive tanto davanti agli occhi degli stranieri
quanto alla coscienza degli Italiani.
Si ricordi il vivace sentimento di una comune civiltà e di certi comu-
ni interessi da tutelare con la concordia e l’unione delle forze per cui le
guerre fra italiani appaiono, ad un certo momento, come guerre civili e
fratricide; l’intimo legame, come fra figlia e madre, che l’Italia ricostrui-
sce tra sé e Roma per cui la romanità appare non più un fatto universale
ma italiano; l’idea della “libertà d’Italia”, che è indipendenza dei vari
Stati della Penisola da stranieri oltre che conservazione di una equili-
brata autonomia di quegli Stati, l’uno di fronte all’altro; l’invocazione
di un capo che può essere il mitico Veltro, oppure un principe in carne
ed ossa, forte di armi e di prestigio; l’intuizione dello Stato nazionale,
già presente in Machiavelli, non senza riferimento all’Italia, di quello
Stato cioè che raccogliendo, sotto un solo principe popoli di una sola
nazione, garantisce e il massimo di bene a questi popoli e il massimo di
potenza a quel principe; la redazione di Storie d’Italia, come quella di
Guicciardini, che non è e non vuole essere la giustapposizione di tante
particolari storie, ma una storia unica di una vicenda che investe tutta
la Penisola e determina azioni e reazioni e pensieri comuni in tutta la
Penisola. Sono tutte manifestazioni di un patriottismo italiano – sia pure
diverso dal nostro – o di un pensiero politico volto all’Italia. Affiorano
in epoche di opposizione viva al medievale impero non come romano,
ma come germanico, e crescono nelle epoche, più vicine a noi di inva-
denze o invasioni straniere o di contrasti europei per l’Italia, quando
l’Italia appare in pericolo di cader tutta sotto questa o quella potenza,
e i suoi quadri politici son tutti in crisi di scomposizione e ricomposi-
zione, e il popolo italiano par che debba essere rifuso tutto in nuovi
stampi, come si verifica al principio del ’500, al principio del ’700, fra
’700 e ’800.
Tutto questo e altro non è come l’anima di una storia d’Italia? Non
può fornire l’ordito per una ricostruzione storica unitaria? Ci sarà sem-
APPENDICE 241
pre posto per lo studio dei particolari Stati della Penisola, di quelli che
ricevono luce e senso solo nella storia di questi Stati; cioè per una storia
veneta, napoletana, sabauda: nel modo stesso che la storia d’Europa
nel XIX secolo, dato che si possa veramente fare, lascia posto ad una
storia della Francia e Germania e Italia e via discorrendo. Ma ci sarà
sempre posto anche per una storia unitaria che, debole e povera da
principio, sempre più diventa ricca di spirituale sostanza: una storia
unitaria che male inquadra nelle particolari storie dei particolari Stati,
sebbene poi dia anche ad esse un suo colore ed un comune colore.
Dice Croce che ogni racconto storico organico deve essere “la rispo-
sta ad una determinata domanda di carattere etico-politico”. Sia pure:
ma non è rispondere ad una tale domanda lo spiegare come si forma
unità morale e politica, laddove prima era frammentarietà morale e
politica, e, insieme universalismo papale o imperiale? Si può fare, sul-
l’argomento, una trattazione erudita isolando certi determinati fatti e
ragionandoci attorno. Ma si può anche i relativi fatti, vederli disciolti e
operosi nella corrente complessiva della vita italiana, cioè scrivere quella
che non saprei come altrimenti considerare e chiamare se non storia
d’Italia.
Insomma, la storia d’Italia, una certa legittima storia d’Italia può avere
nella Nazione, oltre che nello Stato, il suo subietto. Ma quando si può
parlare di Nazione, in Italia? Da quando, perciò, si può scrivere una
storia sufficientemente organica e unitaria?
G. Volpe
Introduzione alla Storia d’Italia, 196810
Questo libro non è cosa del tutto nuova. Il nocciolo grosso è costituito
da quella che fu già una “voce” o, meglio, la parte storica della più
complessa “voce” Italia, che io scrissi per l’Enciclopedia Italiana nel 1932
(vol. XXXIV). Fu, la mia, un’Italia mutila, poiché, giunto al ’700, do-
vetti, per ragioni di salute, fermarmi e cedere la penna a mani più gio-
vani o più riposate ed anche, per quegli ultimi due secoli, più esperte
delle mie: N. Rodolico e A.M. Ghisalberti. E quale io la scrissi allora,
tale la mia Storia d’Italia ora ricompare, per opera dell’editore Volpe, a
Roma, e con il cortese consenso del prof. Ferrabino, presidente del-
l’Enciclopedia Italiana, a cui io rinnovo qui il mio grazie. In cambio,
essa viene qui riportata al suo testo originario alquanto più ampio, avanti
che esigenze di spazio consigliassero o imponessero, agli uffici redazio-
nali dell’Enciclopedia, tagli e riassunti. Un’Italia mutila, ho detto; e
mutila, per giunta, proprio di quei due secoli, il XVIII e XIX, che soli,
viceversa, dovrebbero costituire una Storia d’Italia, come taluni filosofi
e storici la concepiscono.
Qui il discorso riporta il sottoscritto, e forse anche qualche lettore,
al problema storiografico della Storia d’Italia. Che cosa essa è e deve
essere, perché il libro che la narra venga legittimamente chiamato Sto-
ria di Italia? Entro quali limiti di tempo noi dobbiamo contenerla, quale
materia offrire al lettore? Sarà essa il racconto delle “res gestae” nella
Penisola, dai prischi Itali o Italici e Siculi, Etruschi e Liguri, Celti e
Veneti? Oppure prenderà le mosse da Roma che tutti li unificò, portan-
do la parola Italia sino al confine che natura pose, cioè alle Alpi e facen-
do della Penisola il centro di un vasto Impero? O il punto di partenza
sarà ancora più a valle cioè al tempo delle nuove formazioni romano-
barbariche, quando, crollato quello Impero, l’Italia (o la Penisola) ac-
quista certa sua personalità politica, coma la Spagna con i Visigoti o la
Gallia con i Franchi, anche se poi destinata a frangersi nella moltepli-
cità e varietà dei suoi dominî o staterelli feudali, municipali, regionali?
10
Riproduciamo integralmente le Parole introduttive, premesse da Volpe a ID., Storia
d’Italia. I. Dalla caduta di Roma agli albori del Rinascimento, Roma, Volpe Editore, 1968,
pp. V ss.
APPENDICE 243
gramma muoveva invece, rapidamente, dal primo Medio Evo, dal crol-
lo dell’Impero romano, rallentando via via il passo, allargando il campo
visivo ad altri e più vicini ed affini paesi, in rispondenza alla più larga e
attiva partecipazione dell’Italia alla loro vicenda.
Al Programma, che ebbe commenti di penne illustri, toccarono, in-
sieme, lodi e critiche; critiche diverse e opposte, per quanto riguarda i
limiti cronologici che esso si era posto. Ma come, fu detto da taluni,
come mutilare la storia italiana della storia dell’Italia romana? Non
vedete che, dal III sec. a.C., non c’è più soltanto una storia di Roma e
del Lazio, ma una storia d’Italia, fusa gradatamente in un tutto unico,
prima nei rapporti culturali e materiali, poi anche politici? Da allora,
scompare il molteplice regionalismo e si ha una storia italiana, con co-
muni caratteri, comune linguaggio, comune volontà, coscienza, orgo-
glio nazionale. Questa Italia romanizzata e non più Roma solamente,
che d’ora innanzi muove e domina il mondo, anche esso romanizzato,
o, quanto meno, vi ha una posizione di privilegio; che al mondo impo-
ne, più o meno, la propria civiltà, dura sino alla fine del III e IV secolo
dopo Cristo, quando il meraviglioso fenomeno smarrisce le sue pecu-
liari caratteristiche politiche. Ma non va smarrita l’unità spirituale della
Penisola, del popolo italiano. Così il prof. Barbagallo, storico dell’anti-
chità, nella sua “Nuova Rivista Storica”.
Venne poi al rincalzo Arrigo Solmi, che era un apprezzato cultore di
storia del diritto, delle istituzioni, delle dottrine politiche medievali, ma
da qualche tempo volteggiava anche attorno alla storia d’Italia vera e
propria. Inaugurando nel 1926 a Bologna il Congresso della Società per
il Progresso delle Scienze, con un discorso su L’unità fondamentale della
Storia d’Italia (Zanichelli, 1927), il Solmi risalì ancora più indietro di
Roma. Parlò di “una vita italiana” formatasi sotto l’influenza etrusca ed
attuatasi via via in forme omogenee di vita familiare e sociale; di un primo
tentativo di organizzazione unitaria della Penisola, fatta dal Centro, cioè,
appunto, dagli Etruschi; di altro tentativo dal Sud, con Dionigi di Sira-
cusa che, spingendosi vittoriosamente su per l’Adriatico, tra il V e il IV
sec. a.C., “manifestò il senso già vivo dell’unità ideale della Penisola”.
Roma, poi, sottomettendo via via i popoli attorno a sé, più o meno af-
fini, ebbe la coscienza di una vera “missione italica”, di una “missione
unitaria”, non abbandonata neppure quando essa si mise a conquistare
tutti i paesi d’Oltre mare e d’Oltre Alpe.
Insomma, si tornava al Micali che aveva visto una grandezza d’Italia,
una unità d’Italia prima di Roma: con la differenza che il Micali se la
prendeva con Roma, in quanto avrebbe soffocato lo spontaneo proces-
so evolutivo e creativo delle stirpi italiche, laddove il Solmi vedeva in
Roma la forza continuatrice e integratrice di quella prima grandezza e
unità italica, tentata o attuata dai Greci di Sicilia e dagli Etruschi. Anzi,
APPENDICE 245
11
In realtà, la nuova edizione di Momenti di storia italiana avrebbe avuto il titolo di
L’Italia che nasce, Firenze, Vallecchi, 1969.
APPENDICE 251
Borelli, Aldo, 161n., 169 e n. Casati, Alessandro, 29n., 52, 80n., 82-
Borelli, Giovanni, 17-19 e n., 21-24 e 86n., 96n., 97, 106-108n., 112
n., 29n, 32 e n., 33 e n., 56 e n. Casertano, Antonio, 8n.
Borlandi, Franco, 136 Casotti, Mario, 112n.
Boselli, Paolo, 18n., 47 Cassani, Cinzia, 126n.
Bosworth, Richard, 11n. Castellano, Giovanni, 31n.
Botta, Carlo, 12 Castelnuovo Frigessi, Delia, 95n.
Bottai, Giuseppe, 133 e n., 188 Cattaneo, Carlo, 51, 95 e n.
Botti, Alfonso, 49n. Cavallai, Giovanna, 181n.
Bracco, Barbara, 17n., 32n., 33n. Cavallera, Hervé A., 66n.
Bragaglia, Giulio, 172 Caviglia, Enrico, generale, 110 e n.
Breschi, Danilo, 112n. Cavour, Camillo Benso, conte di, 40n.,
Bruno, Giordano, 193 52, 53, 56, 66, 182, 193, 221, 247
Bucchi, Sergio, 62n. Cervelli, Innocenzo, 107n., 143n.
Bulferetti, Luigi, 136 Ceva, Bianca, 130n.
Buonaiuti, Ernesto, 23, 81 Chabod, Federico, 136 e n., 143, 156,
Burckardt, Jakob, 213 178, 180n., 186, 189, 230
Burguière, André, 9n. Cian, Vittorio, 111, 150n.
Busino, Giovanni, 111n. Ciasca, Raffaele, 13, 80, 84, 95n., 106,
108, 117, 121 e n., 159 e n.
Cadorna, Luigi, 47, 48 Cicalese, Maria Luisa, 51n., 123n.
Cadorna, Raffaello, 194n. Ciccotti, Ettore, 35, 43
Caggese, Romolo, 16, 50, 95n., 104 e Cimatti, Vincenzo, 146n.
n., 234, 246 Cipolla, Carlo Maria, 213
Caio Gracco, 221 Ciriani, Marco, 35
Calamandrei, Piero, 133n. Clark, Martin, 11n.
Calogero, Guido, 129n., 144, 231 Coco, Nicola, 35
Campi, Alessandro, 10n. Codignola, Ernesto, 112n.
Campochiaro, Emilia, 70n., 110n., 128n. Cola di Rienzo, 221
Candeloro, Giorgio, 181 e n., 182 e n. Colamarino, Giulio, 176, 177 e n.,
Canfora, Luciano, 101n. 178
Cantalupo, Roberto, 84 e n., 108 Colaoa, Roberto, 198n.
Cantimori, Delio, 136, 137, 178 Colapietra, Raffaele, 48n., 127n.,
Capasso, Carlo, 136 129n., 130n.
Capponi, Gino, 243 Coletti, Francesco, 89 e n.
Capristio, Annalisa, 162n. Coli, Daniela, 71n., 121n.
Capuzzo, Ester, 91n. Collodi, Carlo, 182
Caracciolo, Alberto, 15n., 32n. Colonna di Cesarò, Giovanni Anto-
Cardinali, Giuseppe, 54n. nio, 37 e n., 43
Carini, Carlo, 153n. Comandini, Ubaldo, 46-48 e n.
Carlini, Armando, 112n. Conflenti, Alessandro, 35
Carlo Alberto di Savoia, 232, 243 Coppola, Francesco, 54, 84n., 97,
Carlo Emanuele I di Savoia, 236, 246 162n.
Carlo V, Asburgo, 84 Coppola, Goffredo, 101 e n.
Carocci, Giampiero, 59n., 64n., 73n. Corradini, Enrico, 88 e n., 122
Caroncini, Alberto, 72 Cortese, Nino, 84 e n.
Casali, Antonio, 99n., 100n. Crispi, Francesco, 44, 182, 215
Casanova, Giacomo, 194 Crispolti, Enrico, 147n.
INDICE DEI NOMI 255
62n., 63, 67, 68 e n., 94 e n., 104n., e n., 67 e n., 68, 73n., 74, 79, 90,
109 e n., 110n. 114, 123-127 e n., 150, 175, 182-
Foscolo, Ugo, 243 185 e n.
Fracchia, Umberto, 146, 147 e n. Giovannini, Claudio, 37n.
Franzinelli, Mimmo, 133n. Giretti, Edoardo, 37 e n.
Fratoianni, Aldo, 84n. Giustibelli, Simona, 165n.
Fusco, Gian Carlo, 169n. Giustino, Fortunato, 159
Gobetti, Piero, 55, 56n., 60 e n., 63 e
Gaeta, Franco, 73n. n., 64n., 67n., 72n., 81n., 111 e n.,
Gaetani, Leone, 51 115 e n., 116n., 176
Galasso, Giuseppe, 8n., 10, 11n., 13n., Goldstein, Erik, 75n.
29n., 56n., 57n., 59n., 61n., 68n., Graglia, Piero, 189n.
75n., 94-96n., 107n., 126n., 133n., Gramsci, Antonio, 11 e n., 35 e n.,
141n., 176n., 180n., 196n. 136n., 147, 180-182 e n., 198, 199
Gallerano, Nicola, 9n. e n.
Galletti, Alfredo, 37 Greco, Ruggero, 186
Galli della Loggia, Ernesto, 46n., 192n. Green, John Richard, 11, 12n.
Garibaldi, Giuseppe, 148 Gregorovius, Ferdinand, 138
Garin, Emilio, 71n. Griffo, Maurizio, 31n.
Garosci, Aldo, 177n. Grimaldi, Ugoberto Alafassio, 51n.
Garzarelli, Benedetta, 158n. Guerrazzi, Gianfranco, 42
Gaslini, Pierfranco, 189n. Guicciardini, Francesco, 240, 243
Gentile, Emilio, 13n., 14n., 22n., 56n.,
57n., 60n., 94n., 109n. Interlandi, Telesio, 149 e n., 150 e n.
Gentile, Giovanni, 15 e n., 26n., 37, Isnenghi, Mario, 34n.
39 e n., 49, 52, 54-56 e n., 62 e n.,
63, 65 e n., 66 e n., 68, 70 e n., 71, Jacini, Stefano, 96n.
73-75 e n, 81-86 e n., 93 e n., 100 e Jahier, Piero, 31
n., 108-110 e n., 112, 113 e n., 116, Jelardi, Andrea, 101n.
118 e n., 121-123 e n., 127-130 e n., Jones Philip, 97n.
137 e n., 139n., 142-145 e n., 147n., Jordanova, Ludmilla, 9n.
151 e n., 153-155 e n., 158 e n., 173
e n., 177, 181, 193, 194n. Kaegi, Werner, 12 e n.
Gerratana, Valentino, 11n. Kant, Emanuele, 73n.
Ghisalberti, Alberto Maria, 155 e n., King-Hall, Sir Stephen, 141 e n.
242
Ghisalberti, Carlo, 26n. Labriola, Antonio, 13 e n., 61n., 79n.,
Giaccardi, Alberto, 230 94 e n.
Giacinto, Romano, 100 Labriola, Arturo, 63 e n.
Giammattei, Emma, 24n. Lacaita, Carlo G., 95n.
Giannantoni, Simona, 54n., 62n. Lacouture, Jean, 9n.
Giannini, Alberto, 118 e n. Lanzillo, Agostino, 35, 37n., 47-49 e
Giannotto (Giannotto Perelli), 76n. n., 122
Gigante, Marcello, 68n. La Piana, Gorge, 135n.
Gini, Corrado, 18 e n. Laterza, Giovanni, 12n., 121 e n.
Gioberti, Vincenzo, 53, 65, 66, 145, Lavisse, Ernst, 11, 12n.
243 Ledeen, Michael A., 110n.
Giolitti, Giovanni, 56 e n., 59, 60-64 Le Goff, Jacques, 9n.
INDICE DEI NOMI 257
n., 56, 67 e n., 72, 150 Pintor, Fortunato, 52, 54n., 82 e n., 89
Nora, Pierre, 9n. e n., 108, 110 e n., 128n., 173n.
Novati, Francesco, 16 Pintor, Luigi, 89
Pio X, 37n.
Ojetti, Ugo, 147 e n. Pirelli, Alberto, 189n.
Olivetti, Angelo Oliviero, 43, 122 Pirenne, Henri, 12 e n.
Omodeo, Adolfo, 53, 54 e n., 63, 65n, Pirolini, Giovanni Battista, 43
68 e n., 83, 86 e n., 106, 108, 109, Pisacane, Carlo, 53
129, 181 Pivano, Silvio, 141, 142n.
Onnis, Rosa Pia, 137 Pomba, Giuseppe, 235n.
Oriani, Alfredo, 40 e n., 146, 176 Pompilio, Antonella, 12n.
Orlando, Vittorio Emanuele, 29n., 46- Porro, Eliseo, 43
49 e n., 58, 173n. Portinaro, Pier Paolo, 10n.
Ortona, Egidio, 189n. Porzio, Guido, 99n.
Prampolini, Enrico, 170n.
Palmarocchi, Roberto, 33 Prato, Giuseppe, 71, 83 e n., 108, 136
Palmieri, Stefano, 68n. Prezzolini, Giuseppe, 15 e n., 18-24 e
Panunzio, Sergio, 37 n., 27, 29, 30 e n., 31 e n., 35-37 e
Paoli, Pasquale, 139 n., 44, 49-51 e n., 57, 60n, 63, 83n.,
Papa, Catia, 17n. 92 e n., 98, 99n., 101 e n., 108 e n.,
Papini, Giovanni, 57, 101n., 191 e n. 127, 128n., 140 e n., 143n., 190-192
Pardini, Giuseppe, 131n. e n.
Pareto, Vilfredo, 56 Primieri, Clemente, 194n.
Paribeni, Roberto, 162n. Procacci, Giuliano, 42n.
Parini, Piero, 159 e n. Pulle, Francesco Lorenzo, 51n.
Parodi, Ernesto Giacomo, 96n.
Parri, Ferruccio, 186 Quintavalle, Ferruccio, 51
Pascal, Carlo, 102n.
Pasquale, Anna, 154n. Ragionieri, Ernesto, 61n., 136n., 181n.,
Pasquini, Lucia, 110n. 183n.
Passmore, Kevin, 11n. Raponi, Nicola, 80n.
Pastorelli, Pietro, 75n. Raulich, Italo, 87n.
Patarozzi, Gaetano, 170 e n. Rava, Luigi, 62n.
Pavone, Claudio, 194n. Redenti, Enrico, 18 e n.
Pellizzi, Camillo, 112n., 113 e n., 150 Ricchieri, Giuseppe, 51
e n., 153 e n., 159n. Ricci, Umberto, 67 e n., 71, 72n., 111,
Pera, Marcello, 173n. 146
Perfetti, Francesco, 10, 56n., 60n., Richter, Mario, 20n.
97n., 147n., 154n., 173n., 182n. Ricuperati, Giuseppe, 7n., 10n.
Perla, Luigi, 231 Riosa, Alceo, 17n., 56n.
Peroni, Baldo, 136 Rivera, Vincenzo, 172n.
Pertici, Roberto, 68n., 114n. Roberti, Melchiorre, 16
Pescosolido, Guido, 10, 180n. Rocco, Alfredo, 54, 63, 67 e n., 70 e n.,
Pettazzoni, Raffaele, 162n. 97 e n., 101 e n., 123 e n., 131 e n.
Pierandrei, Franco, 164n. Roccucci, Adriano, 42n., 71n.
Pieri, Piero, 102n., 104n., 143, 230 Rodolico, Niccolò., 50n., 51, 155 e n.,
Pinardi, Davide, 51n. 242
Pincherle, Alberto, 230 Romagnosi, Gian Domenico, 145
INDICE DEI NOMI 259
Premessa .............................................................................................. p. 7