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Breve introduzione alla terapia Di Bella

La terapia di bella è un metodo alternativo ai trattamenti tradizionali utilizzato nella cura dei tumori
con lo scopo e di ridurre le dimensioni della neoplasia o di arrestarne o rallentarne la crescita e
comunque in tutti i casi di migliorare la qualità di vita del paziente. Tutto questo senza ricorrere a
trattamenti aggressivi come la chemioterapia che in buona parte dei pazienti risulta essere inefficace
e spesso determina un brusco peggioramento delle condizioni generali del malato a causa dei
devastanti effetti collaterali.

D'altronde la terapia di bella è poco o per niente tossica tanto da essere benissimo tollerata dalla
stragrande maggioranza dei pazienti che possono continuarla per lunghi periodi di tempo, in buona
parte dei casi anche per anni. Infatti la terapia, non essendo gravata da significativi effetti
collaterali, viene eseguita a casa del paziente stesso grazie alla semplice collaborazione dei
famigliari e, per i soggetti autosufficienti, anche in perfetta autonomia, senza ricorere all'aiuto di
alcuno. La terapia è inoltre perfettamente compatibile con una qualità di vita perfettamente normale
tanto che sono molti i pazienti in età lavorativa che la praticano senza avere alcun disagio nello
svolgimento della loro professione. In poche parole, con la terapia di bella, si realizza la
"convivenza con la malattia" che non sarà più vista come un fenomeno in grado di uccidere in breve
tempo il paziente, bensì come una patologia cronica con la quale il paziente si abituerà a convivere
assumendo quotidianamente la terapia adeguata per tenerla sotto controllo.

La terapia consiste di almeno quattro farmaci che devono essere assunti agli orari prescritti dal
medico. In associazione a questi farmaci ne vengono talora aggiunti altri sulla base dell'origine della
malattia e dell'eventuale presenza di metastasi o di altre complicanze. I quattro farmaci principali
sono: uno sciroppo galenico a base di vitamina E e di vitamina A, la bromocriptina o altro farmaco
analogo, la melatonina che deve essere rigorosamente coniugata con adenosina in percentuali ben
precise e la somatostatina che può essere in alcuni casi sostituita da un suo analogo di sintesi.

Lo scopo principale della terapia è quello di modificare l'ambiente intorno al cancro rendendoglielo
ostile in maniera che esso, costretto a vivere all'interno di questo ambiente reso più "difficile" dalla
terapia, non riesca a svilupparsi e arresti la propria crescita o addirittura muoia. Inoltre le cellule
sane, stimolate da alcuni principi attivi della terapia, vanno invece incontro ad un potenziamento
delle loro funzioni e diventano più forti ed in alcuni casi più aggressive nei confronti della malattia.

Nel 1998 è iniziata una sperimentazione ufficiale sulla terapia di bella voluta, a seguito delle
manifestazioni popolari a favore di questo trattamento, dal Ministero della Sanità italiano. Dopo
alcuni mesi tale sperimentazione è stata considerata fallita nel senso che gli organi competenti della
medicina ufficiale, ai quali era stato delegato il compito di valutarne l'efficacia e l'attività, ha
affermato che la terapia di bella non è dotata di sufficiente attività antitumorale da giustificare un
proseguio della sperimentazione su altri pazienti. Naturalmente sono scoppiate polemiche di vario
tipo alcune fondate su fatti certi altre meno. Indipendentemente dai numerosi motivi che sono stati
in tempi diversi addotti come causa del fallimento della MDB, quali ad esempio, l'uso di farmaci
non adeguati, la non aderenza dei protocolli applicati a quelli che erano i dettami del Di Bella,
oppure la casistica composta di pazienti con patologia troppo avanzata od un interesse economico
sotterraneo, una delle principali motivazioni per la quale la sperimentazione è fallita deve essere
ricercata nel fatto che l'obiettivo programmato era effettivamente difficile da raggiungere e, dato il
tipo di pazienti arruolati, la maggior parte dei quali con patologia molto avanzata sarebbe stata
difficile da raggiungere qualunque terapia fosse stata applicata. Infatti non è semplice ottenere una
vera risposta antitumorale tramite la terapia farmacologica qualunque essa sia, poichè come
"risposta antitumorale" si intende la riduzione di almeno il 50% della massa del tumore. Il paziente
che non ottiene tale riduzione, ma, ad esempio, vede ridurre le dimensioni della sua malattia del
40% oppure la vede arrestarsi nella sua progressione non è stato considerato utile ai fini della
valutazione dell'efficacia della terapia di bella. A molti di questi pazienti con risposte parziali o con
malattia stabile od ancora con malattia in progressione, ma accompagnata da una buona qualità di
vita nonostante il cancro, è stata garantita la somministrazione gratuita dei farmaci ancora per molto
tempo, ma non avendo dato, secondo i criteri adottati per la definizione di "risposta antitumorale",
un risultato convincente e definitivo non sono stati presi in considerazione ai fini della valutazione
dell'attività e dell'efficacia della terapia. Ed una delle cause principali del fallimento di questa
sperimentazione è che la sopravvivenza del paziente, così come la sua qualità di vita sono state
scarsamente considerate nella valutazione finale.

Meccanismi d'azione della terapia di bella.

L’ipotesi “centrale” della terapia di bella.

La filosofia alla base della terapia del Professor Di Bella appoggia sul fatto che tutti gli
organismi viventi possiedono sia i meccanismi responsabili della differenziazione e della
crescita delle cellule tumorali, sia le difese per combattere lo sviluppo delle medesime.

Quando si sviluppa un tumore prevalgono i meccanismi che stimolano la proliferazione caotica ed


incontrollata del “nuovo” tipo di cellule (neoplasia) che, potranno (o meno) invadere l’organismo
fino ad ucciderlo. Visto che i meccanismi di controllo di questo equilibrio tra creazione di cellule
neoplastiche e loro “controllo” appartengono già al patrimonio dell'organismo, per ottenere un
efficace contenimento del tumore dovremo soltanto stimolare adeguatamente tutte le funzioni
metaboliche che tendono all’eliminazione delle cellule neoplastiche, inibendo contemporaneamente
i meccanismi che aiutano invece la crescita tumorale. In questo modo si ripristinerà l'equilibrio
originario caratterizzato dalla crescita controllata delle cellule nei diversi tessuti ed organi del
soggetto.

La terapia del professor di bella, agendo sulle cellule sane e sul loro metabolismo e non
direttamente sulle cellule tumorali, si propone di stimolare i meccanismi “naturali” di lotta
dell’organismo e, attraverso questi, di produrre attorno ad ogni cellula “degenerata” un
ambiente sfavorevole ed ostile per le sue funzioni vitali, siano esse di crescita che di
riproduzione.

Così facendo la terapia cerca di ridurre le capacità vitali e riproduttive della cellula malata
impedendogli di crescere e di proliferare in maniera abnorme, Nel contempo favorisce la
“maturazione strutturale” (invecchiamento) del tessuto tumorale aumentando pertanto le possibilità
che le cellule anomale vadano incontro ad una precoce "apoptosi" e cioè alla morte naturale.

L’ipotesi “centrale” della “chemio” e della radioterapia.

Al contrario, lo scopo principale dei farmaci chemioterapici è quello di esercitare un'azione tossica
e distruttiva direttamente sulla cellula neoplastica e quindi di ucciderla.

Le terapie radianti invece cercano di uccidere le cellule malate attraverso il bombardamento con
radiazioni provenienti da sorgenti esterne (es. cobaltoterapia), oppure facendo assorbire attraverso
la circolazione sanguigna alle cellule malate un composto radioattivo in quantità letale. Mentre nel
primo caso si ottiene un effetto di tipo “chirurgico” in cui si cercano di uccidere tutte le cellule
(sane o malate) della zona in cui si sviluppa la massa tumorale, nel secondo il meccanismo d’azione
è assimilabile, per obiettivi ed effetti “sistemici”, a quello delle chemioterapie.
Le chemioterapie, che prevedono la somministrazione di veleni od addirittura di cocktails di veleni,
basano, a grandi linee, la loro efficacia sulla maggior “affinità metabolica” dei componenti
chemioterapici nei confronti delle cellule malate piuttosto che per quelle “sane”.

La funzionalità dei chemioterapici risulta collegata non ad una vera selettività del principio
attivo nei confronti delle cellule malate, ma alla maggior quantità di composto tossico che
queste riescono ad assorbire dai fluidi corporei rispetto alle loro consorelle “sane”. Quello che
“fa la differenza” è la velocità del metabolismo. Le cellule malate sono in genere molto più
attive della maggior parte delle “sane” per cui assorbono molto “veleno” e, in teoria,
dovrebbero morire con maggior facilità.

Purtroppo, se questo è “generalmente vero”, esistono alcune eccezioni a questa regola. Infatti
esistono anche cellule tumorali in stato di “latenza” (dette anche “quiescenti”, cioè in una
sorta di letargo e pertanto con un metabolismo praticamente fermo) o protette nei cosiddetti
“santuari” cioè in tessuti poco “irrorati” che sfuggono alla “chemio”; mentre purtroppo
muoiono avvelenate molte cellule sane e particolarmente le più “attive”.

Gli effetti secondari e collaterali della chemioterapia.

La chemioterapia tende quindi ad uccidere le cellule tumorali, ma, per fare questo, uccide
anche molte cellule “sane” provocando pesanti danni ai tessuti più attivi (ghiandole: fegato,
pancreas, testicoli od ovaie, gangli linfatici, ecc.; cute ed annessi (epiteli):alterazione della pelle,
caduta dei capelli e dei peli, danni alle unghie, ecc.; tessuti di rivestimento degli organi interni:
stomaco, intestino, vescica e altri; sangue e tessuti emopoietici: globuli bianchi, piastrine e midollo
osseo) ed inoltre alle cellule in “fase giovanile” o “staminale” che dir si voglia.
Da qui le pesanti conseguenze per la cosiddetta qualità della vita dei pazienti sotto
trattamento chemioterapico (estrema debolezza, malessere, perdita dei capelli, sterilità, scarso
stimolo sessuale, amenorrea, diarrea, nausea, vomito e inappetenza, sensibilità alle infezioni, e
così via).
Oltre ai sintomi sopra descritti che rendono la vita del malato un vero inferno, quello che più
preoccupa è che, passato l'effetto chemioterapico antitumorale, l’organismo spesso non riesce a
contrastare efficacemente né le infezioni esterne né lo sviluppo delle cellule tumorali eventualmente
sopravvissute e questo a causa dei danni al sistema immunitario provocati dai trattamenti.

L’organismo e le sue difese naturali.

Come detto in altra parte (La lotta ai tumori), in ogni individuo si generano di continuo cellule con
acidi nucleici (i componenti del DNA cioè del codice genetico) modificati rispetto alle cellule sane.
In condizioni normali queste cellule modificate, e pertanto potenzialmente tumorali, non riescono a
sopravvivere all’attacco del sistema immunitario e vengono distrutte. L’insorgere di una neoplasia
“maligna” si ha solo quando le difese dell’organismo risultano insufficienti a controllare
efficacemente lo sviluppo di tali cellule.

Quando si sviluppa un tumore maligno nell'organismo, significa quindi che sono insufficienti i
normali meccanismi di controllo e che stanno prevalendo i meccanismi che stimolano la
proliferazione caotica ed incontrollata delle cellule modificate, il cui proliferare risulterà
progressivamente sempre più dannoso alle diverse funzioni organiche fino all’estremo di
provocare la morte dell’individuo.
Purtroppo allo stato attuale delle conoscenze non si comprendono ancora bene le ragioni di questa
“insufficienza immunitaria” dell’organismo nei confronti delle neoplasie maligne. Quello che è
certo è che, anche se “insufficiente”, l’azione di controllo non viene mai meno, neanche
quando il tumore risulta diffuso e sviluppato: pertanto, se opportunamente stimolato, il
sistema immunitario è in grado di contrastare l’azione del male fino a cronicizzare la malattia
consentendo la sopravvivenza del malato anche per lunghi periodi e, compatibilmente con la
residua funzionalità dei diversi organi, anche quando il tumore è in fase avanzata.

Perché si forma un tumore?

Le cellule normali del corpo umano vengono quotidianamente sottoposte ad innumerevoli


stimolazioni dannose. Tra queste possiamo considerare quelle provenienti dall'esterno (fattori
esogeni) quali l'inquinamento, il fumo di sigaretta, gli additivi di alcuni cibi, le sostanze ossidanti, e
numerosi altri, e quelle interne all’organismo stesso (fattori endogeni) come ad esempio alcuni
ormoni, imperfezioni nel patrimonio genetico, deficienze immunitarie, eccetera.
Il tumore inizia a svilupparsi quando, un brutto giorno e per una qualsiasi delle ragioni su esposte,
il meccanismo di riproduzione di una singola cellula ”si guasta” e questa, invece di proseguire nel
suo normale ciclo vitale ed invecchiare naturalmente, subisce un repentino ringiovanimento
assumendo le funzioni di una cellula “giovanile” e, grazie ad una spiccata attività riproduttiva ed
una crescita disordinata, si scinde con notevole rapidità generando cellule parimenti “giovanili”; le
cellule figlie manterranno tutte le “nuove” caratteristiche della cellula madre e a loro volta le
trasmetteranno alle loro figlie.
La caratteristica fondamentale di queste cellule risiede nella capacità di non essere in grado di
invecchiare e di morire con la velocità delle cellule normali, ma anzi, innaturalmente
immortali, di continuare a riprodursi in forma esponenziale dando origine a cellule figlie
parimenti giovanili ed attive. In questa situazione se il sistema immunitario non riesce a
controllare questo folle riprodursi di cellule anomale, si sviluppa un tumore maligno.

Perché il tumore cresce e si diffonde.

Esistono tumori “liquidi” (od ematologici) che si sviluppano a carico delle cellule del sangue e
della linfa, e tumori “solidi” che si sviluppano all’interno di un tessuto o di un organo. In
quest’ultimo caso le cellule tumorali potranno dare origine una massa tumorale che in molti casi,
per meglio alimentarsi e respirare, si dota di una specifica vascolarizzazione

In una fase successiva alcune cellule modificate possono staccarsi dalla massa primaria e tramite il
flusso sanguigno e/o linfatico diffondersi ad altri tessuti ed organi dando luogo alle metastasi .

Nei confronti dei propri “nemici”, siano essi metaboliti naturali o farmaci chemioterapici, le
cellule tumorali riescono a sviluppare una efficacissima strategia difensiva grazie a continue
mutazioni genetiche ed alla conseguente generazione di cloni cellulari resistenti all’agente
antitumorale. Pertanto, i trattamenti chemioterapici prolungati perdono progressivamente di
efficacia nei confronti di queste cellule che hanno acquisito resistenza al farmaco e dopo un
certo numero di applicazioni non sono più in grado di incidere sullo sviluppo del male.

Una ipotesi sui meccanismi d’azione della terapia di bella.

La terapia di bella "base" è composta dalla cosiddetta "tetralogia" e cioè da quattro farmaci base
- le vitamine liposolubili A ed E, ( somministrate in sciroppo);
- la bromocriptina;
- la melatonina;
- la somatostatina (od il suo analogo sintetico octreotide).

L’azione antiossidante di alcuni di questi principi attivi contrasta l’azione dei cosiddetti radicali
liberi che derivano dal metabolismo ossidativo di diverse molecole sia endogene che esogene.
L’impiego delle vitamine A ed E e della melatonina si basa sul fondamento che l’azione mutagena
dei radicali liberi è ormai definitivamente dimostrata; tale attività si manifesta non solo inducendo
la nascita del tumore, ma anche orientandone la differenziazione verso la formazione di “ceppi
cellulari tumorali resistenti”.
Da qui l’importanza dell’efficacia antiossidante dei diversi farmaci.

Le vitamine A ed E e la melatonina, oltre all’efficacia antiossidante, contrastano anche la


tendenza all’immortalità, o meglio “al mantenersi in stadio giovanile”, delle cellule tumorali, che
viceversa invecchiando risultano più soggette all’”apoptosi”, cioè alla morte naturale.

L’acido transretinoico (principio attivo della vitamina A) facilita la coesione intracellulare e


quindi impedisce il distacco di cellule dal tumore riducendone la capacità di generare metastasi.

Bromocriptina e a somatostatina (od octreotide) sono principi attivi capaci di modificare il


metabolismo riproduttivo regolandolo su ritmi “normali”.

La somatostatina inoltre, contrasta la crescita di un sistema vascolare specifico per le masse


tumorali riducendone la respirazione e la nutrizione.

La sinergia fra i diversi principi attivi.

I quattro componenti la terapia, assunti secondo uno schema quotidiano ben preciso che segua
specifiche fasi metaboliche “circadiane” (cioè ad orari ben precisi nell’arco della giornata), hanno
manifestato una rilevante azione nel combattere la proliferazione cellulare caotica e disordinata
caratteristica dei tumori.

Posso asserire che i diversi principi attivi proposti non sono per nulla innovativi nella terapia
del cancro; quello che Di Bella asserisce è che questi principi terapeutici, associati nelle giuste
proporzioni e assunti con la giusta tempistica, manifestano una azione anticancro
enormemente superiore a quella descritta per le singole sostanze. Da qui la convinzione che
questi quattro farmaci sinergizzino tra loro per ottenere nel paziente un ambiente metabolico
"antitumorale”.

I farmaci “complementari” della terapia di bella.

La terapia Di Bella prevede anche tutta un'altra serie di sostanze che possono essere associate ai 4
farmaci fondamentali a seconda delle caratteristiche del paziente, dell'organo di origine della
malattia e della sua diffusione.

Anche questi sono farmaci comuni ed utilizzati frequentemente in queste od in altre terapie:

- sali di calcio in diversa forma attiva;


- vitamine come la vitamina D e l'acido ascorbico o vitamina C;
- chemioterapici come la ciclofosfamide e l'idrossiurea;
- sostanze ormonali come l'aminoglutetimide ed il cortisone;
- sostanze attive sulla matrice intercellulare come la glucosamina ed il
galattosaminglucuronoglicano solfato;
- l'isoniazide;
- l'urotropina;
- la tetracosactide;
- la seleniometionina;
- alcuni difosfonati.

Anche questi farmaci agiscono sui medesimi meccanismi di riproduzione e differenziazione


delle cellule tumorali già descritti e sul meccanismo immunologico dell’individuo e quindi
manifestano una azione sinergica con i componenti “base”:
- la ciclofosfamide facilita l’apoptosi delle cellule tumorali;
- l'acido ascorbico, o vitamina C, possiede azione antiossidante;
- la vitamina D3 possiede attività differenziante, inibente la proliferazione cellulare ed
inducente l'apoptosi;
- i farmaci attivi sulla matrice intercellulare (come la glucosamina ed il
galattosaminglucuronoglicano solfato) migliorano l'adesività delle cellule neoplastiche e
rendono più difficile la metastatizzazione;
- la tetracosactide va a sostituire il corrispondente naturale che l’uomo produce grazie
all’ipofisi e che viene inibito dalla somministrazione di somatostatina;
- l'aminoglutetimide inibisce completamente la produzione di ormoni steroidei che hanno
attività protumorale in alcune neoplasie come quelle mammarie.

Conclusioni.

Non riesco a comprendere come la terapia di bella abbia suscitato una levata di scudi così
violenta da parte della medicina “ufficiale” ed il perché non sia stata accettata come una delle
terapie antineoplastiche possibili. In fondo tutti i componenti proposti e le relative azioni
metaboliche ed antitumorali sono ampiamente referenziati in bibliografia.
L’approccio del Di Bella è geniale nella sua naturale semplicità, ma la terapia proposta deve essere
studiata e sviluppata su base scientifica per poter essere messa a punto ed essere sempre efficace.

Anche le “terapie tradizionali” potrebbero essere meglio calibrate se viste in un quadro di strategia
terapeutica integrata, almeno per i casi più congeniali, con le risorse curative di questa cura che di
non convenzionale ha solamente il modo di proporsi.

A mio parere la terapia di bella rappresenta una arma in più per combattere queste terribili
patologie ed io intendo, in tutta libertà, sfruttarla al meglio per curare i miei pazienti;
ritengo infatti che
permettere al malato di utilizzare la terapia di bella non sia solo un gesto umano, ma potrebbe
modificare significativamente la prognosi della malattia in ben determinati casi clinici .

Discussione sui risultati ottenuti con la terapia Di Bella.

Nonostante la bocciatura della "sperimentazione ufficiale", la terapia Di Bella è ancora


frequentemente prescritta e praticata per una serie di ragioni che cercherò di analizzare.

Perché i malati scelgono la cura di bella.


E’ opinione diffusa che dal cancro, qualunque terapia si adotti, difficilmente si guarisce; gli
scarsi risultati ottenuti dalla terapia ufficiale sulle neoplasie, specialmente quelle diagnosticate
già in fase avanzata, confortano questa opinione e, purtroppo, la maggior parte delle diagnosi
risulta tardiva.

Molti pazienti non se la sentono di affrontare gli effetti devastanti sulla “qualità della vita” indotti
dei trattamenti chemio e radioterapici più praticati i cui risultati finali spesso non sono
entusiasmanti ed anche questa è una realtà difficile da negare. Come pure sono innegabili i traumi
psicologici e le scomodità che derivano dall’essere costretti a praticare gli ambulatori e gli ospedali.

Il punto di vista dei medici curanti.

Noi “addetti ai lavori” siamo naturalmente consci che, nei riguardi di certe patologie, l’efficacia
delle terapie “tradizionali” sta migliorando a passi di gigante sia in termini di allungamento della
vita sia in termini di remissione dal male; e questo parallelamente allo sviluppo di una serie di
“politiche” sanitarie” intese a diagnosticare il male già nelle fasi iniziali.

Questo purtroppo non si verifica, almeno ad oggi, per tutte le patologie tumorali per cui spesso
siamo chiamati a curare pazienti su cui sappiamo che, purtroppo, le terapie invasive (chirurgiche,
chemioterapiche e radioterapiche) non avranno un’efficacia tanto evidente da giustificare il
peggioramento della qualità della vita che solitamente procurano coi loro effetti collaterali.

Per contro, dall’esperienza personale, possiamo trarre la ragionevole certezza che, in molti
casi, la terapia di bella svolge un efficace azione di contenimento e cura nei riguardi di alcune
patologie e, nei casi più disperati, mantiene un’eccellente palliazione dei sintomi del cancro
almeno nella maggior parte dei pazienti trattati. Detto in parole povere ha risultati terapeutici
molto simili a quelli (purtroppo scarsi) delle terapie tradizionali senza averne gli effetti collaterali,
in questi casi il terapeuta dibelliano applica l’antico concetto presente gia nella Scuola Salernitana:
la prima condizione per eleggere un farmaco deve essere la sua assenza di nocività .

Certo, saper discernere tra caso e caso e quando indicare in alternativa l’una o l’altra strada
terapeutica non è facile, soprattutto in quei casi in cui il paziente, viene da noi senza una particolare
volontà propria. Gli effetti dell’azione “soft” del medico sulla cosiddetta “scelta terapeutica
consapevole” è ben esemplificata dalla casistica personale sotto riportata:

Descrizione % casi
Parziale Totale
Pazienti che non hanno eseguito le prescrizioni:
di cui : Persi di vista dopo la prima visita 20
Deceduti prima di poter iniziare 6
Che dichiarano di aver scelto altre terapia 6

Che desistono in quanto la terapia risulta 5


troppo onerosa
Che desistono per non essere riusciti a
2
procurasi i farmaci
Che trovano difficoltà insormontabili nel
1
seguire le prescrizioni del protocollo
Parziale pazienti che non seguono le prescrizioni . 40
Pazienti che seguono le prescrizioni 60
TOTALE PERCENTUALE 100

Tutto ciò premesso non vedo perché dovrei avere remore etiche a prescrivere questa terapia
alternativa che oltretutto ultimamente risulta meno onerosa e composta da farmaci di più facile
reperimento di quanto era solo qualche anno fa.

Di cosa stiamo parlando.

Ma cosa è in sintesi la terapia Di Bella? Si tratta di un associazione tra almeno quattro


farmaci il cui scopo di modificare l'ambiente metabolico intorno alla cellula tumorale
rendendoglielo sfavorevole senza danneggiare le cellule sane né i naturali sistemi di difesa.

L’obiettivo è di ridurre le capacità proliferative delle cellule mutate e di impedire l’impianto


di nuove metastasi nei tessuti sani, ma anche quello di stimolare le difese naturali
dell’organismo nei confronti delle cellule del tumore. Questo complesso di azioni tende a
stimolare il fenomeno di apoptosi e cioé di morte naturale delle cellule malate.

La filosofia di questa strategia è quindi diametralmente opposta a quella oncologica


“convenzionale” dove si tende a danneggiare le cellule tumorali accettando implicitamente i
danni che gli interventi curativi provocano alle cellule sane ed al sistema immunitario; tutto
questo sperando che i vantaggi che si ottengono nei confronti del tumore siano maggiori dei
danni che si manifestano come effetti collaterali delle terapie.

I meccanismi d’azione dei diversi componenti la terapia.

Non mi dilungherò in questa sede sui meccanismi d'azione del trattamento, che sono già stati
descritti in altro articolo (Meccanismi d'azione della terapia Di Bella), ma illustrerò solo i risultati
ottenuti sui miei pazienti; non posso presumere di fornire elementi definitivi ne’ incontrovertibili
circa le possibilità di questa terapia, ma spero di stimolare colleghi e pazienti ad una attenta analisi,
possibilmente scevra di pregiudizi, quando si troveranno a doversi confrontare con casi analoghi.

Su quali patologie fornisce i migliori risultati.

Pur con la necessaria cautela dovuta alla molteplicità dei casi clinici mi sento in grado di dire che
l'effetto antitumorale della terapia Di Bella si dimostra maggiormente nei:

- carcinomi del pancreas;


- carcinomi della mammella;

- mesoteliomi pleurici;

- timomi (tumori originanti dal timo);

- epatocarcinomi (tumori originanti dal fegato);

- carcinomi della prostata;

- linfomi non Hodgkin;

- linfomi di Hodgkin;
- carcinomi neuroendocrini già noti per rispondere alla somatostatina ed ai suoi derivati.

Discretamente rispondono anche alcuni casi di:

- glioblastomi (tumori originanti dal cervello);


- carcinomi polmonari “non a piccole cellule”;

- tumori della testa e del collo;

- sarcomi, in particolare liposarcomi;

- carcinomi del colon – retto;

- melanomi.

Generalmente poco rispondono invece i:

- carcinomi “a piccole cellule”;


- carcinomi dell'esofago e dello stomaco;

- carcinomi delle vie biliari;

- carcinomi renali;

- carcinomi dell’utero e dell’ovaio soprattutto in fase avanzata.

Non ho osservato alcuna significativa differenza di risposta alla terapia sulla base del sesso del
paziente, sull'età dello stesso, né della tipologia “istologica” dell’organo interessato (tranne come
vedremo più avanti nel caso del microcitoma polmonare).

L’importanza della fase di sviluppo nel male: alcuni esempi.

I mesoteliomi, la loro localizzazione ed il tipo di lesione.

Essenziale, allo scopo di poter prevedere una risposta, è la corretta analisi delle complicanze già
indotte dal tumore al momento dell'inizio della terapia. Anche per questa cura, come per le
tradizionali, è molto più determinante la diffusione del male che la sua localizzazione iniziale. In
caso di tumori ancor poco diffusi (stadi iniziali), non è detto che un mesotelioma peritoneale
risponda differentemente dal più facilmente trattabile mesotelioma pleurico.

Le difficoltà che si incontrano nel mesotelioma peritoneale, così come in tutte le neoplasie che
coinvolgono il peritoneo, risiedono negli effetti delle complicanze indotte nella cavità addominale
come: presenza di masse tumorali, aderenze, infiltrazioni neoplastiche nelle anse intestinali, negli
ureteri o nelle vie biliari con conseguente loro ostruzione parziale o totale, infiltrazione neoplastica
all’interno dei grossi vasi arteriosi e/o venosi dell’addome o danni diretti a carico del fegato e del
pancreas.

Logicamente le complicanze funzionali derivate dall’infiltrazione neoplastica agli organi ed alle


strutture della cavità addominale risultano più difficili da curare rispetto a quelle derivate dalla
semplice ostruzione meccanica dovuta a fenomeni compressivi di masse tumorali .
Il tumore alla prostata.

In questa patologia, la presenza di metastasi ossee secondarie non modifica solitamente il buon esito
della terapia mentre decisamente più gravi risultano le disfunzioni degli organi pelvici indotte dalla
stessa patologia (congelamento funzionale).

Il tumore mammario.

Nonostante questa patologia sia considerata “sensibile” si riscontrano in alcuni casi gravi difficoltà
a curare pazienti con metastasi epatiche anche non massive, e quindi con scarso appetito ed un
conseguente “performances status” (equivale sostanzialmente alle condizioni generali del paziente e
conseguentemente alla sua qualità di vita ) relativamente basso.

I tumori al polmone.

Personalmente, sulla base della mia esperienza, considero il microcitoma polmonare poco
sensibile in prima battuta alla terapia di bella poiché troppo aggressivo nella stragrande
maggioranza dei casi e, dal momento che spesso bene risponde alla chemioterapia, preferisco
utilizzare quest’ultima in eventuale associazione con la radioterapia, in alcuni casi anche preventiva.
A seguito della chemioterapia l’ipotesi di un trattamento di bella a scopo di “mantenimento” può
essere preso in considerazione.

Per contro il tumore polmonare “non a piccole cellule” o non microcitoma mantiene sensibilità
anche in fase relativamente avanzata.

La stadio di differenziazione delle cellule neoplastiche.

Il “grading” della malattia, e cioè la fase di differenziazione delle cellule tumorali, incide
notevolmente sulle performances di questa terapia: le cellule in fase giovanile (immature e
generalmente più aggressive) risultano meno sensibili di quelle più differenziate (o mature). Questo
fenomeno avviene generalmente anche con le terapie tradizionali. Probabilmente il fatto è collegato
alla maggior difficoltà di indurre la morte (apoptosi) in cellule giovanili rispetto a quelle in fase di
differenziazione più avanzata ed anche alla maggiore aggressività delle prime rispetto alle seconde.

Localizzazione delle metastasi.

Tra le più resistenti risultano le metastasi epatiche, specialmente se l’invasione del fegato è massiva
e devastante, e le metastasi cerebrali; sono invece molto più facilmente trattabili quelle ossee o
quelle polmonari.

Le patologie collaterali e le complicanze funzionali “secondarie”.

Una grave riduzione della funzionalità epatica con ittero, e corrispondente compromissione delle
attività di sintesi metabolica e di detossificazione del sangue, contribuisce a rendere più
difficilmente trattabile il paziente; al contrario non ho osservato differenze di risposta alla terapia in
pazienti affetti, oltre che dal tumore, da differenti patologie croniche come ad esempio: il diabete
mellito, l' ipertensione o le anomalie di funzionalità della tiroide..

Perché la terapia di bella e la chemioterapia non sono compatibili.

Come regola generale vale il seguente concetto:


la chemioterapia riduce l'efficacia della terapia di bella in quanto con i suoi effetti collaterali
determina profonde alterazioni nel meccanismo immunitario del paziente e riduce pesantemente le
attività metaboliche delle cellule ”sane”. I farmaci ed i trattamenti chemioterapici diminuiscono
l’efficacia della terapia di bella proporzionalmente al loro effetto mielo-immunodepressivo .

La radioterapia quando applicata su distretti relativamente piccoli del corpo umano risulta
generalmente meno influente rispetto alla chemioterapia in quanto la sua azione ( e quindi i danni
che provoca) risultano localizzati e non “sistemici”. Quando invece la radioterapia viene applicata
su un distretto corporeo esteso (come ad esempio in alcuni linfomi) gli effetti immunodepressivi
sono rilevanti e pertanto possono alterare l’efficacia della terapia di bella quanto la chemioterapia.

Logicamente, maggiore è il tempo trascorso tra l'ultima seduta di radio e/o chemioterapia minore è
l'effetto negativo sulla cura di bella; infatti quanto più tempo è passato, quanto più il metabolismo
del paziente ha avuto modo di recuperare le sue normali funzionalità.

Non si tratta quindi di valutare solamente l’origine del male.

Da tutto quanto sopra riportato deriva logicamente che il “performance status” al momento
dell'inizio della terapia è fondamentale per il buon esito della cura, migliori sono le condizioni
iniziali, maggiori sono le possibilità di risposta. Infine, particolare rilevanza assume, secondo la mia
esperienza, lo stato di nutrizione del paziente che se ben mantenuto contribuisce ad aumentare le
possibilità di efficacia della cura.

Bisogna anche dire che le due filosofie di intervento devono essere ben chiare nella mente
dell’oncologo senza preconcetti di sorta, infatti se è vero che in linea generale gli interventi
“tradizionali” sono contrastanti con la terapia di bella è anche vero che dovranno essere
prescritti in caso di tumori non sensibili alla terapia di bella od in presenza di metastasi
localizzate in tessuti poco raggiungibili da questa terapia; ad esempio il caso classico in cui si
rende indispensabile l’ intervento combinato radio-dibellaterapia è quello del tumore polmonare non
a piccole cellule (spesso discretamente sensibile alla di bella) con metastasi cerebrali (che sono
invece spesso refrattarie alla di bella).

Analisi della mia casistica.

Nello schema sotto riportato analizzo solamente i casi relativi a pazienti che si sono sottoposti alla
terapia da almeno un mese e quindi solo il 60% dei pazienti cui ho consigliato questo tipo di terapia
(vedi sopra). Logicamente gli effetti terapeutici segnalati sono stati riscontrati sulla generalità dei
pazienti per cui i casi di cui al punto a) vengono anche computati nel punto b) riguardante le
condizioni generali del paziente e la sua qualità di vita:

Riscontro
EFFETTO TERAPEUTICO
percentuale
a) sulla crescita del tumore:

Riduzione della massa tumorale e dei valori dei markers: 30

Progressione del tumore, ma spesso più lenta di quella attesa con conseguente
70
maggiore sopravvivenza rispetto alla prognosi ante cura:
b) miglioramento della qualità della vita (performance status) 70

Gli aspetti che migliorano maggiormente nei pazienti trattati con la terapia di bella sono l'appetito,
le forze, la progettualità e la vivezza intellettuale, il tono dell'umore, la vita di relazione sia
nell'ambiente domestico che fuori da questo, la capacità di seguire ed applicarsi al lavoro, agli
hobbies ed agli interessi economici; aspetti tutti che per ben il 70% dei pazienti tendono a
migliorare sensibilmente arrivando in alcuni casi ad essere paragonabili a quelli di prima
della malattia.

Un tentativo di razionalizzazione della casistica:

Pazienti che in precedenza


Pazienti che in precedenza non Pazienti che in precedenza
hanno ricevuto cure chemio e
hanno ricevuto cure chemio e hanno ricevuto cure chemio e
radioterapiche da meno di 6
radioterapiche radioterapiche da più di 6 mesi
mesi
Incidenza percentuale Incidenza percentuale Incidenza percentuale
della categoria fatto della categoria fatto della categoria fatto
35 20 45
100 il numero dei 100 il numero dei 100 il numero dei
pazienti trattati pazienti trattati pazienti trattati

Incidenza percentuale Incidenza percentuale Incidenza percentuale


di miglioramenti di miglioramenti di miglioramenti
clinicamente valutabili clinicamente clinicamente valutabili
38 35 21
fatto 100 la valutabili fatto 100 la fatto 100 la
percentuale di cui percentuale di cui percentuale di cui
sopra sopra sopra

Casi di miglioramento
Casi di miglioramento Casi di miglioramento
del "performance
del "performance del "performance
status" facendo cento
status" facendo cento il70 70 status" facendo cento il70
il numero di pazienti
numero di pazienti con numero di pazienti con
con questa
questa caratteristica questa caratteristica
caratteristica

Questi dati dimostrano che la terapia è particolarmente efficace nei pazienti mai sottoposti
alla chemioterapia e nei pazienti che sono stati sottoposti a tali trattamenti in un tempo
relativamente lontano (almeno 6 mesi), mentre è decisamente meno efficace in quei pazienti
che hanno avuto un trattamento chemioterapico più recente, la cui tossicità residuale è
ancora presente, anche se non evidenziabile dai correnti esami di laboratorio.

La risposta terapeutica, intesa come miglioramento della qualità della vita, resta uguale nelle
tre categorie, da qui l’interesse a praticare la terapia di bella anche nei casi di chemioterapia
recente ma con pessimo “performance status”.

La ingiusta “fama” della terapia: ……Considerazioni di un “povero medico”.


Perché allora con questi risultati, provenienti da una casistica limitata come può essere quella di un
medico che utilizza questa terapia in regime di libera professione, è stata messa a rischio addirittura
la stessa sopravvivenza della terapia di bella?

Perché nelle prove “ministeriali” si è saggiata solo l’attività antitumorale specifica della cura ed
inoltre in pazienti in fase terminale? Sicuramente il campione di pazienti selezionato non avrebbe
consentito ad alcuna cura antitumorale conosciuta, e non solo alla terapia di bella, produrre una
“regressione” importante del male.

Perché non è stata prestata nessuna considerazione ai pazienti che hanno avuto un netto
miglioramento della sopravvivenza rispetto alla prognosi, né alla percentuale di pazienti in cui si
poteva notare un netto miglioramento del “performance status”?

Parrebbe che “l’universo sanitario omologato” con l'ufficializzazione dei risultati delle prove (pare
che al momento del "responso” sopravvivesse circa il 25% dei pazienti) abbia voluto liquidare la
questione di bella con una secca e precostituita sentenza negativa. Ed anche ora, a tre anni di
distanza dalla conclusione delle prove non sappiamo ufficialmente nulla su questi non secondari
esiti “minori”; sappiamo invece con certezza che esiste ancora qualche sopravvissuto che, prove o
non prove, prosegue la sua cura, in attesa, come peraltro tutti noi, di una serena morte.

Da questo evolversi di accadimenti non è esente da colpe lo stesso Luigi Di Bella e nemmeno
l'opinione pubblica che ha sollevato la questione come se si trattasse di una terapia miracolosa in
grado, essa e nessun'altra, di guarire assolutamente il cancro. Questa presa di posizione assoluta e
dogmatica è stata manna per il folto gruppo dei contrari, degli scettici e dei denigratori della terapia
che si è trovato a dover solamente dimostrare che i pazienti, trattati durante la sperimentazione con
la terapia di bella, non sono guariti o, perlomeno, non hanno ottenuto quei risultati miracolosi che la
terapia pareva promettere attraverso il tam-tam dei media; non è stato pertanto necessario fare dei
confronti tra i risultati ottenuti con la "di Bella" e quelli ottenibili con altre terapie in pazienti
paragonabili per gravità ed avanzamento di malattia; non è stato necessario valutare se la terapia
potesse avere un qualunque altro effetto benefico sui pazienti. Il miglioramento della qualità di vita
dei pazienti, aspetto così essenziale per chiunque conosca o lavori con i malati di cancro, non è stato
nemmeno preso in considerazione e probabilmente nemmeno registrato nelle schede degli
sperimentatori. Infine, sebbene a distanza di quasi 5 anni dalla fine della sperimentazione (ultimo
aggiornamento dell’articolo: febbraio 2003) ci siano ancora dei pazienti che vanno in ospedale a
prendere gratuitamente le medicine della terapia di bella, dal momento che i risultati ottenuti nel
loro caso non hanno permesso di escluderli dalla somministrazione gratuita dei farmaci, nessuno di
questi contrari, scettici e denigratori si è preso la briga di chiedersi come mai su questi pazienti la
terapia abbia comunque fatto qualcosa. Questa considerazione dimostra come e quanto può essere
importante il "sentiment" dei ricercatori scientifici e come questo possa condizionare l'esito di una
sperimentazione: i risultati attesi e desiderati vengono amplificati mentre quelli inattesi e sgraditi
vengono omessi deliberatamente.

Per concludere.

Per queste ragioni ritengo che con questo tipo di “analisi” dei risultati si sia persa l’occasione per
poter realmente conoscere scientificamente efficacia e limiti di questa terapia “innovativa” che solo
il contrasto feroce fra “dibelliani” e “tradizionalisti” ha potuto presentare ai più come una risorsa
miracolistica.
Nonostante i suoi limiti, la terapia Di Bella deve essere considerata a tutti gli effetti una
terapia antitumorale non alternativa alla “chemio”, ma ad essa supplementare dal momento
che possiede un'attività spesso paragonabile a quella della chemioterapia e, per alcune
neoplasie, anche superiore. Inoltre, è dotata di un'importante azione palliativa, cosa che deve
assolutamente farla considerare come una vantaggiosa scelta di trattamento per la cura
“palliativa” delle malattie neoplastiche in fase avanzata.

Quello che in effetti manca è una seria sperimentazione e la creazione, per quanto possibile vista la
necessità di personalizzazione della cura stessa, di una scala parametrica che consenta di
ottimizzare e standardizzare i risultati della cura almeno nelle casistiche più comuni.

La terapia di bella ed il mio scetticismo iniziale.

Come ho saputo.

La mia esperienza di terapeuta “non convenzionale” inizia quando la moglie di un mio paziente mi
chiede di praticare a suo marito, al quale avevo diagnosticato un cancro del pancreas non operabile,
"il cosiddetto protocollo di bella". La signora parlava di queste cure con la certezza e la fede da
neofita di una “setta medica segreta” sotterranea ed anarchica e del loro “scopritore”, il prof. Luigi
di Bella appunto, come di un Messia taumaturgico.

La signora era convinta che queste pratiche mediche non tradizionali, pur avendo ottenuto risultati
significativi su una moltitudine di malati di cancro, venissero discriminate per oscure ragioni
politico-economiche.

Il mio scetticismo iniziale.

Non fu facile per me accettare quanto mi veniva proposto dalla signora, la mia preparazione e
pratica professionale mi portava a diffidare da quelle che venivano considerate “terapie alternative”
e che non erano il frutto della ricerca ufficiale bensì “scoperte” di un singolo, carenti di casistica e
verifiche mediche. Mi sembrava anche che fosse impossibile che qualcuno potesse portare avanti
per oltre trent’anni delle teorie rivoluzionarie circa la possibilità di curare i pazienti del “male” che
è purtroppo la bestia nera degli ultimi due secoli di storia medica proponendo pratiche terapeutiche
per nulla invasive e molto ben tollerate e che nulla di tutto ciò mi fosse stato insegnato nel corso
degli studi universitari e di specializzazione. Fino ad allora, avevo saputo ben poco di Luigi Di
Bella e della sua terapia e non ero per nulla convinto di fare il bene del paziente sottoponendolo a
trattamenti che non trovavano nessun riscontro nella bibliografia universitaria.

L’importanza della “scuola” come formazione all’insuccesso sistematico.

Viceversa la mia fiducia nei confronti della correttezza e delle possibilità della medicina ufficiale
era cieca e le poche armi che avevamo a disposizione per la cura del cancro mi parevano le uniche
spendibili. Ero però conscio che queste armi, ed in particolare la chemioterapia, nonostante fossero
ritenute le più moderne ed efficaci dessero risultati molto scarsi; la quasi totalità dei pazienti che
avevo seguito negli anni di frequentazione della Clinica Universitaria ne avevano tratto solo
benefici parziali e soprattutto non duraturi. Inoltre avevano spesso pagato i pochi giorni in più
strappati al male con un forte peggioramento nella “qualità della vita” nel poco tempo rimasto
prima della morte.
Primo: non nuocere.

Già allora ero convinto che nei casi noti come poco sensibili alle cure convenzionali, non debbano
essere utilizzati o reiterati i tentativi terapeutici che presentano gravi ed invalidanti effetti
collaterali. Risulta più etico usare terapie sostanzialmente prive di effetti collaterali anche se si
otterranno semplici effetti palliativi e non curativi.

Nel caso specifico, noi medici sappiamo che praticare la chemioterapia ad un paziente affetto da
carcinoma del pancreas è, nella stragrande maggioranza dei casi, inutile a causa della scarsa
responsività di questo tipo di tumore ai trattamenti convenzionali.

Alla luce di questo mio convincimento “etico” verificai quindi il “protocollo di bella” e, non
riscontrando controindicazioni di rilievo nei farmaci consigliati, pur rimanendo molto scettico circa
l’efficacia della cura, acconsentii a prescriverla.

Medicina e “carboneria”.

Dato il mio assenso scopersi che la signora mi aveva già iscritto ad un congresso che il Di Bella
avrebbe tenuto di lì a poco a Fanano in provincia di Modena. Non solo, da perfetta organizzatrice
aveva già programmato la mia trasferta a Modena e mi aveva fissato e programmato una serie di
contatti con medici che già conoscevano e praticavano questa terapia affinché anch’io potessi avere
la necessaria “iniziazione”.

Non era certo la prima volta che mi recavo ad un congresso medico, ero anzi abituato ai grandi
congressi internazionali: sale di hotel a cinque stelle, riunioni allietate dalla presenza di bellissime
hostess (forse la cosa che ti colpiva maggiormente), relazioni scientifiche accompagnate da
abbondanza di tabelle con dati e statistiche esplicative del lavoro presentato, risultati enfatizzati ed
espressi da diapositive e grafica ad alto effetto visivo, un contorno di colleghi eleganti compresi
della loro professione e molto “omologati” al contesto .

Arrivato a Fanano cominciarono le delusioni: la sede del congresso era, se ben ricordo, un cinema
parrocchiale sul cui palco, unico relatore, un vecchietto canuto e dall’aspetto non propriamente
“vispo” parlava a ruota libera con voce a volte un po’ chioccia e con improbabili inflessioni
dialettali. La concione non era confortata ne’ da uno straccio di lucido o diapositiva che fosse, e
soprattutto non forniva nessun elemento che permettesse di paragonare i risultati ottenibili con la
terapia oggetto della riunione a quelli della medicina tradizionale. Certo è che da quella relazione
non ricavai nessun elemento scientifico utile a convincermi della validità di quell’approccio
terapeutico. La cosa che al momento più mi parve “non convenzionale” era la faccia tosta del
relatore che proponeva interventi curativi, a suo dire di efficacia assoluta, argomentandoli con
opinabili ed elaborate considerazioni filosofico dogmatiche, non certamente con dimostrazioni
scientificamente rilevanti.

Quando si dice “non convenzionale”.

Il contorno dei partecipanti colleghi o meno mi lasciò ancor più interdetto. In particolare la
maggioranza degli altri medici congressisti appariva poco desiderosa di capire come e perché la
terapia funzionasse limitandosi a riferire di casi più o meno incredibili e miracolosi di remissione e
guarigione, a volte neppure vissuti in qualità di medico curante ma solo per “sentito dire”.
L’impressione era più quella di partecipare ella celebrazione dei riti di una strana”setta” che ad un
convegno fra studiosi.

Durante il pranzo congressuale ebbi la miglior esperienza della giornata conoscendo un collega di
Cuneo, uno dei “contatti procurati dalla “signora”, che mi fece ottima impressione ed a cui potei
riferire i miei dubbi che peraltro mi parvero pienamente condivisi. Ciononostante il collega mi riferì
e descrisse alcuni suoi “casi” in cui aveva potuto riscontrare (ma non spiegare) gli effetti benefici
della terapia di bella.

Neanche a dirlo tornai a casa piuttosto scettico sulla terapia di bella nonostante le parole rassicuranti
del collega di Cuneo. Comunque confortato e sorretto dalla “fede” della mia cliente feci iniziare il
ciclo delle cure sulla base dei pochi dati ricavati da convegno e colloqui .

Una morte annunciata.

Come già riferito il paziente era affetto da cancro del pancreas, purtroppo diagnosticato in fase
localmente avanzata. Il chirurgo non aveva potuto far di meglio che “aprire e richiudere” senza
poter intervenire in altro modo in quanto giudicò la situazione come non operabile. Gli esami del
sangue al momento dell’inizio della terapia di bella dimostravano un “marker” tumorale (CA19.9)
molto elevato (poco meno di 1000 U/mL contro il valore massimo di 37 U/mL) . L'esame istologico
sulla biopsia, eseguita durante l'intervento, diceva trattarsi di un adenocarcinoma. La prognosi,
anche alla luce di quanto visto dal chirurgo non superava i 4-6 mesi. I sintomi manifestati dal
paziente erano quelli caratteristici del male: lamentava dolori addominali ed al dorso, debolezza,
difficoltà intestinali, dimagrimento.

Eppur si muove!

Devo premettere che la bibliografia non comprende questo tipo di tumore fra quelli sensibili alla
somatostatina, la componente più caratterizzante del complesso dei 4 farmaci previsti dal
“protocollo” in argomento.

Iniziata la terapia il paziente progressivamente presentava evidentissimi miglioramenti clinici che si


manifestavano con una netta riduzione della sintomatologia precedentemente lamentata tanto che,
con mia mal celata sorpresa, dopo poco tempo dall'inizio del trattamento stava tanto meglio da poter
tornare al suo lavoro.

Analisi cliniche di un “miracolo”.

Ma le sorprese non erano finite: i periodici esami del livello del marcatore sanguigno specifico del
tumore (marker) dopo il primo mese di terapia segnarono una netta riduzione fino a rientrare nella
norma dopo il quarto mese di terapia.

Anche le numerose risonanze magnetiche eseguite nel corso della terapia dimostravano una stabilità
della lesione tumorale e le dimensioni della massa stessa non presentavano variazione alcuna. Il
medico che eseguiva tali indagini, da me interrogato a riguardo, non seppe dirmi se il tumore fosse
in fase attiva o la massa dovesse considerarsi fisiologicamente ormai “morta”.

Il triste epilogo.
Le cose andarono molto bene per oltre un anno: il paziente faceva una vita assolutamente
normale…… famiglia, lavoro, ferie ed………… i suoi progetti per l’avvenire…………….

Poi un giorno improvvisamente si manifesta un ittero diffuso e comincia a star male: la malattia è
improvvisamente ripresa. Per eliminare la pressione della massa tumorale sulle vie biliari il paziente
viene sottoposto ad un nuovo intervento chirurgico il cui andamento postoperatorio risulta difficile,
infine nonostante intervento e cure ad esso successive dopo alcuni mesi il paziente muore.

Alcune certezze e molti dubbi.

Come quasi tutte le storie di questo tipo anche questa ha un finale triste, al medico che ha
vissuto questa esperienza non resta che registrare la “stranezza” del caso e sottolinearne gli
aspetti positivi che ha potuto toccare con mano: ha registrato una insperata stabilizzazione
del male ed una prolungata sopravvivenza del paziente oltre al periodo pronosticato (18 mesi
contro i 6 mesi), una provata diminuzione dell’attività ed un arresto di sviluppo della massa
tumorale (rilevabile alla RMN), fenomeno confermato anche dalla riduzione e
normalizzazione del valore dei markers sanguigni.

Ma soprattutto il paziente ha potuto godere di un anno e mezzo di vita di buona qualità,


vissuto con i suoi cari.

Ognuno ha i suoi “pruriti” professionali.

Ho cercato di condividere questa esperienza con alcuni miei colleghi, ma la mia casistica al
momento (era il 1997) era solo quella di cui ho riferito ed anche se giustificata da riscontri analitici
inconfutabili la “storia” non poteva risultare probante per chi era abituato a muoversi solo in base a
protocolli ben collaudati ed ufficializzati.

Per carità di “professione” mi esimo dal commentare le reazioni dei colleghi di fronte alla
innegabilità dei dati analitici e le giustificazioni parascientifiche al “caso clinico”che mi sono
dovuto giulebbare.

Quello che è certo é che non ho saputo generare in nessuno la stessa curiosità che mi ha spinto a
vivere questa esperienza professionale. La curiosità che dovrebbe essere lo stimolo che promuove il
risveglio (almeno scientifico) della Categoria pare piuttosto scarsa per non dire inesistente.

Reperibilità e costi della terapia di bella.

La terapia del prof. Di bella è composta da numerosi farmaci alcuni commerciali, e pertanto
disponibili in qualunque farmacia, ed altri galenici, cioè preparati direttamente dal farmacista.
Prima del 1997, l’anno del “caso di bella”, le farmacie che conoscevano il metodo adeguato di
preparazione dei farmaci galenici erano relativamente poche. Successivamente però, molte si sono
organizzate in tale senso ed ora sono ormai numerose quelle in grado di preparare correttamente tali
farmaci. Pertanto il medico che vi prescriverà la terapia sarà in grado di indirizzarvi
adeguatamente.

I costi della terapia di bella sono decisamente ridotti rispetto ad alcuni anni fa, quando la terapia
poteva costare anche 12-13 milioni di lire al mese. Ormai, grazie alla produzione della
somatostatina generica la terapia di bella viene a costare circa 800 euro mensili.
Dott. Giorgio Castello
Corso Torino, 32/6
16129 – Genova
Tel: 010589495
Cellulare: 335.628.34.24
e-mail: castello@tiopoietine.info

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