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Fake news?

Meglio information disorder

Non più “fake news” ma “information disorder”. Nel rapporto Information Disorder Toward
an interdisciplinary framework for research and policymaking, Claire Wardle e Hossein
Derakhshan danno una nuova definizione al clima complesso della comunicazione di oggi.

Secondo i due autori infatti il termine fake news è infatti usato con significati diversi e in
contesti diversi: ci sono la satira e la parodia, i contenuti diffusi in maniera imprecisa per
leggerezza o per fretta, ci sono poi i veri e propri impostori, che fabbricano contenuti
appositamente falsi per screditare qualcuno. Gli autori parlano di “inquinamento
dell’informazione”.

Mis-information, dis-information, mal-information

Wardle e Derakhshan propongono quindi di spostare l’attenzione dalla diffusione di notizie


errate al problema della mancanza di fiducia nel giornalismo e della qualità delle fonti. Per
questo gli autori distinguono fra mis-information, dis-information e mal-information.

La “misinformazione” si ha quando un’informazione falsa è veicolata in rete senza


l’intenzione di creare danni, ma solo per leggerezza, per un’errata comprensione dei fatti o
delle dinamiche in atto.
Poi vi è la “disinformazione", creata con l’intenzione di danneggiare una persona, un
gruppo sociale, un’organizzazione o un paese.
Infine, la “malinformazione” si ha quando vengono diffuse delle notizie vere, ma per
generare conflitto. Sono inclusi in questo gruppo tutti gli episodi di discorsi d’odio (hate
speech) e le fughe di notizie (leaks).

Prima di parlare pensa!

Il punto di forza del rapporto sono le indicazioni programmatiche per giornalisti e


comunicatori.

Fra queste raccomandazioni  compare anche il “silenzio strategico”, da intendersi non


come censura, ma come un atteggiamento  di maggiore cautela in caso di dibattiti molto
delicati.
Accanto al silenzio strategico, secondo gli autori è fondamentale impegnarsi a fare
giornalismo anche sul tema dell’informazione, in modo che diventi argomento di
discussione pubblica.
Importante è anche migliorare la qualità di titoli e sottotitoli, che sono la prima cosa che un
utente sui social legge.
Andrebbe poi reso abituale il debunking delle fonti e dei fatti.

Non dimentichiamo la televisione

Infine, non possiamo ignorare la potenza della comunicazione televisiva. Sebbene si parli
di fake news prevalentemente legando il problema a internet e ai social media, in realtà il
primo media affetto da information disorder è la televisione. Secondo i dati Istat relativi al
2016, il 92,2% degli italiani dai 3 anni in su guarda abitualmente la televisione. Tutti
guardano abitualmente la TV, ma i telespettatori sono più numerosi tra i giovanissimi e gli
anziani.

Informarsi sui social e uscire dalla bolla

Gli autori individuano due aspetti di vulnerabilità dell’informarsi tramite social network:
primo, i social aggregano notizie da diverse fonti, quindi il lettore finisce per focalizzarsi più
sulla storia che sulla fonte.

Secondo, i lettori sui social sono “pilotati” nella lettura delle notizie da ciò che amici e
contatti hanno letto e condiviso, o da ciò che gli algoritmi hanno deciso di selezionare. C’è
poi un’ulteriore forma di condizionamento: entrando in contatto con la notizia sui social non
interiorizziamo solo un  contenuto,  ma anche l’emozione di chi ce lo sta proponendo
tramite un post o un tweet.

A questo proposito, due fenomeni importanti che accompagnano la disinformazione sono


la polarizzazione e la bolla. Soprattutto nei social media, ci si tende a chiudere  in
comunità omogenee, o bolle, in cui si passa il tempo a darsi ragione a vicenda e a
polarizzare il proprio punto di vista senza un vero scambio con chi la pensa diversamente. 
A questo proposito gli autori propongono una serie di esempi di iniziative editoriali che
cercano di far uscire i lettori dalle bolle. Un primo esempio è quello di Blue Feed, Red
Feed del Wall Street Journal, che compara come le notizie vengono veicolate su
Facebook da conservatori e liberali negli Stati Uniti intorno a 8 temi caldi.  Un secondo
esempio – questa volta europeo – viene dal Guardian, con Burst your bubble,
letteralmente “fai scoppiare la tua bolla”.

@CristinaDaRold

http://www.scienzainrete.it/articolo/fake-news-meglio-information-disorder/cristina-da-rold/
2017-11-27

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