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Non più “fake news” ma “information disorder”. Nel rapporto Information Disorder Toward
an interdisciplinary framework for research and policymaking, Claire Wardle e Hossein
Derakhshan danno una nuova definizione al clima complesso della comunicazione di oggi.
Secondo i due autori infatti il termine fake news è infatti usato con significati diversi e in
contesti diversi: ci sono la satira e la parodia, i contenuti diffusi in maniera imprecisa per
leggerezza o per fretta, ci sono poi i veri e propri impostori, che fabbricano contenuti
appositamente falsi per screditare qualcuno. Gli autori parlano di “inquinamento
dell’informazione”.
Infine, non possiamo ignorare la potenza della comunicazione televisiva. Sebbene si parli
di fake news prevalentemente legando il problema a internet e ai social media, in realtà il
primo media affetto da information disorder è la televisione. Secondo i dati Istat relativi al
2016, il 92,2% degli italiani dai 3 anni in su guarda abitualmente la televisione. Tutti
guardano abitualmente la TV, ma i telespettatori sono più numerosi tra i giovanissimi e gli
anziani.
Gli autori individuano due aspetti di vulnerabilità dell’informarsi tramite social network:
primo, i social aggregano notizie da diverse fonti, quindi il lettore finisce per focalizzarsi più
sulla storia che sulla fonte.
Secondo, i lettori sui social sono “pilotati” nella lettura delle notizie da ciò che amici e
contatti hanno letto e condiviso, o da ciò che gli algoritmi hanno deciso di selezionare. C’è
poi un’ulteriore forma di condizionamento: entrando in contatto con la notizia sui social non
interiorizziamo solo un contenuto, ma anche l’emozione di chi ce lo sta proponendo
tramite un post o un tweet.
@CristinaDaRold
http://www.scienzainrete.it/articolo/fake-news-meglio-information-disorder/cristina-da-rold/
2017-11-27