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Materia: Immunologia
Revisore: Alberto Raffelli
Argomenti: Autoimmunità, malattie autoimmuni e immunità ai microorganismi
Nella lezione precedente abbiamo parlato della tolleranza immunologica periferica e centrale.
Il mal funzionamento nel sistema di tolleranza dei linfociti porta allo sviluppo di malattie autoimmuni.
Il professore comunica che martedì 16 maggio farà lezione la reumatologa Laura Andreoli che ci aiuterà a
comprendere i risvolti clinici dell’immunologia.
Nds: Ho trovato molte parti aggiunte che il professore non ha detto a lezione, presumo vengano dalle
sbobine dell’anno scorso. Ho inviato ad Asia la sbobina evidenziando dove erano queste parti.
In questa sbobina le ho tagliate.
MALATTIE AUTOIMMUNI
Oltre ai geni legati al complesso maggiore di istocompatibilità ci sono poi dei polimorfismi che sono stati
associati a diverse proteine diverse dalle HLA. Sono tutti geni che hanno a che fare con la regolazione delle
risposte o dell’immunità innata o di quella adattativa.
Esempi:
- PTPN-22 è una protein-fosfatasi coinvolta nella trasduzione del segnale sia per i linfociti T che B;
- CD2 che è una molecola costimolatoria dei linfociti T;
- il recettore dell’IL-23, fondamentale per l’espansione dei linfociti Th17;
- IL-10, un’interleuchina immunosopressoria;
- CTLA-4 una molecola che inibisce l’attivazione dei linfociti T;
POLIMORFISMI ASSOCIATI A MALATTIE
Esempi di malattie autoimmuni, causate da polimorfismi di geni coinvolti nelle risposte immunitarie sono,
per esempio:
Infatti, a livello dell’intestino, la barriera epiteliale impedisce che i batteri penetrino dal lume
intestinale nella lamina propria.
Se questo filtro non funziona, i batteri possono penetrare l’epitelio causando un’attivazione
continua delle cellule dendritiche ivi presenti. Vengono prodotte citochine in eccesso che portano
all’attivazione di linfociti T autoreattivi (soprattutto Th1 e Th17); i linfociti T Th17 producono IL-17
e IL-22 che stimolano l’epitelio e I fibroblasti del tessuto i quali produrranno proteasi, causa di
danno a livello dell’epitelio, formando lesioni che non fanno altro che aumentare il numero dei
microbi che attraversano la lamina propria e ciò esaspera ulteriormente la risposta immunitaria.
Anche polimorfismi in IL-23R (che ha un ruolo importante nella polarizzazione TH17) sono stati
associati al morbo di Crohn.
Psoriasi: È una malattia iperproliferativa dei cheratinociti caratterizzata da una forte risposta di TH17
e TH1.
I principali geni coinvolti sono:
TNF (citochina pro-infiammatoria)
IL-23R
Una catena del recettore di IL-12 (coinvolta nella polarizzazione TH1)
IFN-γ (TH1)
IL-1
Non basta la predisposizione genetica, ma sono necessari anche fattori ambientali:
Infezioni croniche a livello cutaneo
Stress
Trauma fisico dell’epitelio (fenomeno di Koebner)
Bassa umidità
Farmaci
Fumo
Obesità
La cellula dendritica è però responsabile anche della tolleranza verso il self se la presentazione
dell’antigene avviene in assenza di molecole attivatorie o con la presenza di ligandi che innescano
pathway inibitori si determina l’anergia dei T.
Le cellule dendritiche esprimono i ligandi dei recettori inibitori PD-L1 (espresso in modo quasi ubiquitario
anche da cellule non facenti parte del sistema immunitario), ma soprattutto PD-L2 che è espresso
specificatamente da APC.
Le DC plasmacitoidi hanno un ruolo centrale nella risposta nelle malattie autoimmune poiché producono
alti livelli di interferone di tipo 1.
In particolare:
IFN-α (producono il 98% dell’IFN-αpresente nel nostro organismo)
IFN-β (prodotto anche da altre cellule come i fibroblasti e le cellule epiteliali)
L’IFN di tipo 1 induce una maturazione molto rapida delle cellule dendritiche classiche (o mieloidi) che,
saranno in grado di presentare l’antigene ai linfociti T autoreattivi , i quali si espandono e attivano linfociti
B i cui anticorpi, insieme ai detriti del danno tessutale, inducono le cellule dendritiche plasmacitoidi a
produrre altro interferone.
Le cellule dendritiche plasmacitoidi si attivano a causa della presenza degli immunocomplessi degli
anticorpi autoreattivi e degli acidi nucleici liberati dall’epitelio danneggiato in seguito a trauma o
infiammazione.
Gli acidi nucleici attivano TLR9, TLR7, che sono intracellulari e sono presenti su membrane endosomiali;
tali TLR riconoscono gli acidi nucleici indipendentemente dalla loro origine e stimolano la produzione di
enormi quantità di interferone.
Michele Gilliet e Frank Nestle hanno dimostrato che, su un topo immunodepresso che può accettare uno
xenotrapianto si trapianta un lembo di cute da un paziente con psoriasi, dopo qualche giorno si genera una
risposta psoraiatica che dipende esclusivamente dalle cellule umane trapiantate dalla cute e dalle cellule
dendritiche plasmacitoidi e dalla produzione di interferone.
Michel Gillet ha poi dimostrato che effettivamente sono gli acidi nucleici che si liberano e attivano le cellule
dendritiche.
Anche altre cellule vengono penetrate da questi complessi e pur possedendo recettori adatti a riconoscerli
non si attivano in modo così importante.
Questo avviene perché le DC plasmacitoidi sono specializzate nella produzione di interferone.
TLR-3, TLR-7, TLR-8, TLR-9 sono presenti sulle membrane intracellulari di molte cellule e riconoscono
materiale genetico all’interno del citoplasma attivando quindi la produzione di interferone attraverso TRIF
(nel caso del TLR-3) o Myd88. Entrambe le vie stimolano la trascrizione di IRF-7 e IRF-5 che sono fattori di
trascrizione per IFN. Quanto detto fin ora avviene in tutte le cellule.
IRF7 è presente in diverse cellule ma solo successivamente all’attivazione di queste cellule e rappresenta
quindi un meccanismo indotto dall’attivazione.
Le DC plasmacitoidi però si differenziano per l’espressione costitutiva di IRF7 e non appena i TLR vengono
ingaggiati dagli acidi nucleici self, si attivano i fattori di trascrizione che portano rapidamente alla
trascrizione dell’interferone.
DDS
Lei ha detto che TLR7 riconosce RNA e distingue tra self e non-self. Quindi ci sono meccanismi intrinseci che
consentono alla cellula di non riconoscere l’RNA che utilizza o ne viene utilizzato talmente poco che la
possibilità che ci sia un incontro TLR RNA è bassa?
L’RNA messaggero non è in genere libero, quindi non viene riconosciuto anche perché questi recettori
endosomiali son rivolti all’interno dell’endosoma e quindi non basta che sia citoplasmatico e deve essere
portato all’interno dell’endosoma.
NET
Un altro fenomeno in cui materiale normalmente
non visibile all’immunità viene a trovarsi a contatto
con essa è il meccanismo antimicrobico detto
Neutrophil extracellular traps (NET).
I NET rappresentano una risposta estrema dei
neutrofili che estrudono il loro materiale nucleare,
creando una rete appiccicosa di istoni e acidi
nucleici, i quali intrappolano i patogeni e li pongono
a contatto con il contenuto dei granuli dei
neutrofili stessi (catepsina, elastasi).
In questo modo però, il materiale nucleare viene
esposto al riconoscimento del SI e questo porta
allo sviluppo di fenomeni autoimmuni.
Anti-TNF
Ig Anti-p19: p19 è la catena di IL-23 che la differenzia da IL-12. Agendo su p19 si agisce selettivamente
su IL-23 e si inibisce quindi la via TH17
Ig Anti-p40: p40 è la catena comune a IL-12 e IL-23, il farmaco neutralizza quindi sia la via TH1 e che
la via TH17
Ig Anti-IL-17
Più recentemente si sono cercati meccanismi per inibire la risposta dell’Interferone, e oggi abbiamo una
serie di anticorpi che bloccano le catene dell’interferone di tipo 1, l’interferone di tipo 1 stesso, o che
bloccano i recettori responsabili dell’inizio della secrezione di IFN-1,
Inoltre sono state create delle molecole che legano recettori inibitori (come Bdc2A2, ILT7) espressi sulla
superficie delle cellule dendritiche plasmacitoidi, i quali inibiscono la produzione di interferone.
PEPTIDI ANTIMICROBICI
Le malattie autoimmuni sono malattie del sistema immunitario specifico, ma è chiaro che si ha un effetto
sull’immunità innata poiché la prima va a stimolare la seconda.
L’immunità innata produrrà quindi una grande quantità di TNF e altre citochine (per questo è uno dei
bersagli dei farmaci) e stimolerà sia l’immunità adattativa sia le barriere epiteliali, il cui ruolo è quello di
produrre peptidi anti-batterici.
Il più importante di questi è il lisozima (primo peptide scoperto da Fleming).
Queste sostanze riescono a causare la lisi delle cellule microbiche intercalandosi, grazie alle loro polarità,
nelle membrane plasmatiche e intaccandone l’integrità formandone dei pori.
Esse hanno però uno spettro di azioni biologiche che vanno oltre alla semplice uccisione dei microbi.
Queste attività sono regolate dalla loro concentrazione: ad alcune concentrazioni sono essenzialmente
anti-microbiche, ad altre funzionano da fattori chemiotattici o attivano cellule del SI (soprattutto DC), ad
altre stimolano la produzione di chemochine o di mediatori lipidici (attivando la cascata dell’acido
arachidonico) e inducono l’apoptosi di altre cellule.
Questi peptidi sono quindi dei regolatori dell’immunità innata.
Non soltanto le cellule epiteliali producono peptidi antimicrobici ma anche le ghiandole sebacee dei
follicoli piliferi, le ghiandole sudoripare e soprattutto i batteri che colonizzano la nostra cute (S.
epidermidis in particolare) sono produttori importanti.
Anche i neutrofili e mastociti contengono all’interno dei loro granuli peptidi antimicrobici e i linfociti T
citotossici li utilizzano per lisare altre cellule.
MICROBIOMA
Tutte le nostre superfici a contatto con l’esterno sono ricoperte da batteri e funghi con cui noi conviviamo
e che sono parte del nostro benessere. Si può dire che siano parte integrante del nostro SI.
Questi organismi hanno portato allo sviluppo e all’evoluzione del nostro SI, e hanno trovato un equilibrio
con esso e al giorno d’oggi c’è una forte attenzione ai danni causati dagli antibiotici alla flora commensale.
Un recente studio ha mappato il microbioma sulla cute dell’uomo nelle varie parti: umidità e percentuale di
grasso che caratterizzano i particolari distretti favoriscono lo sviluppo di microbi differenti.
Particolarmente importante è la composizione della
flora batterica intestinale.
Si è osservato che modificando sperimentalmente il
microbiota intestinale si va a influenzare la risposta
immunitaria in distretti apparentemente non correlati
all’intestino:
- Polmoni: influisce sulla risposta immunitaria
al virus dell’influenza
- SNC: influisce sull’insorgenza di EAE
- Fegato: influisce sull’insorgenza della
malattia autoimmune epatobiliare
pancreatica
Viene mostrato un video animato a carattere divulgativo sulla funzione del microbioma umano.
Recentemente è stata dimostrata l’efficacia di trattamenti di Fecal Transplant in pazienti affetti da High
sensibility bowel disease (colite, duodeniti ecc.). Questi consistono nell’inoculazione di capsule di feci
prelevate da un donatore nell’intestino di un ricevente al fine di ripopolare la flora batterica. Per questo
motivo negli Stati Uniti sono nate banche di raccolta delle feci. A dieci anni vengono prelevati campioni
fecali che possono essere utilizzati per ripopolare la flora batterica in caso di sviluppo di malattie intestinali.
Questo è utile perché la flora batterica è qualcosa di estremamente personale e familiare: i membri della
stessa famiglia condividono circa il 90% della flora batterica poiché l’alimentazione, l’igiene, l’ambiente in
cui viviamo ne condizionano pesantemente lo sviluppo.
Recentemente sono molto pubblicizzati i farmaci probiotici nonostante molti studi siano dubbiosi riguardo
alla loro utilità. Infatti non sempre è possibile rimpiazzare artificialmente quello che la natura ci dà.
IMMUNITA’ AI MICROORGANISMI
Nds Il professore espone l’immunità ai microorganismi e sottolinea che è una delle domande più chieste
all’esame.
BATTERI EXTRACELLULARI
Le risposte contro questi batteri possono avere degli effetti collaterali, possono dare cioè delle situazioni
patologiche: è questo il caso di anticorpi che cross reagiscono con protein self, come avviene per
l’infezione da Streptococco β-emolyticus, in cui vi è la formazione di immunocomplessi che si depositano nei
luoghi di filtrazione dei fluidi, come a livello renale e sinoviale, e causare un danno tissutale (glomerulo-
nefrite post streptococcica)
Se I batteri extracellulari esprimono antigeni proteici vi può essere un coinvolgimento dei linfociti T, in
particolar modo dei linfociti T CD 4+ che regolano le risposte immunitarie producendo IFN γ, importante
attivatore dei macrofagi perché permette ai macrofagi di raggiungere quello stadio di attivazione che li
rende efficaci nell’eliminare un’infezione. Gli stessi macrofagi producono poi TNF che amplifica la risposta
infiammatoria.
La risposta dei linfociti T è altamente selettiva, ovvero un antigene è in grado di attivare un clone molto
limitato di linfociti T che si espanderanno successivamente. Tuttavia, a tale processo c’è un importante
eccezione, rappresentata dai superantigeni.
I superantigeni sono in grado di attivare i TCR non nel metodo classico ma legandosi a una regione
invariante della regione variabile del TCR. Il superantigene lega una regione variabile (Vβ3) sia dell’MHC
sia del TCR ed in questo modo è indipendente il riconoscimento del peptide che presenta quell’MHC:
ciò causa un’attivazione policlonale di tutti i linfociti T che hanno la regione Vβ3 (circa il 2 % dei linfociti T)
producendo una risposta abnorme.
BATTERI INTRACELLULARI
In questa risposta svolge un ruolo cruciale l’immunità innata, mediata soprattutto da fagociti e dalle cellule
NK.
Le cellule NK riconoscono cellule infettate e le uccidono direttamente o producono IFNy che attiva i
macrofagi e (promuovendo l’uccisione dei batteri fagocitati); essi a loro volta produrranno IL-12 che attiva
le cellule NK.
Tutto ciò serve a controllare la proliferazione del batterio, ma solitamente questa immunità fallisce nello
sradicare queste infezioni e a questo punto interviene l’immunità specifica.
La risposta umorale è limitata (perché può funzionare solo se tale infezione produce sulla membrana
cellulare determinati antigeni che possono essere riconosciuti) e interviene principalmente l’immunità
cellulare.
forma lepromatosa: in questo caso l’ospite risponde producendo tanti anticorpi e c’è una scarsa
immunità cellulare e ciò comporta una proliferazione del micobatterio; forma dovuta a una
polarizzazione dei linfociti T in senso Th2 che promuovono una risposta anticorpale che inibisce
una risposta cellulare
forma granulomatosa: il micobatterio viene inibito nella sua capacità di proliferare ed è
caratterizzata da un’elevata risposta dell’immunità cellulare, polarizzazione in Th1;
Quindi se un paziente sviluppa una risposta Th1 avrà una forma della malattia tubercoloide che viene
eliminata, mentre se un paziente sviluppa una risposta Th2 riscontrerà più difficoltà nell’eradicazione
dell’infezione.
Infatti, come già osservato nelle precedenti lezioni, i macrofagi hanno due tipi di attivazione (classica e
alternativa) a seconda del tipo di risposta Th1 o Th2:
M1, attivazione coinvolta in una risposta Th1, attivata dall’ingaggio di TLR e da IFN γ, sarà quindi un
macrofago che farà tutto quello che serve per eradicare un’infezione: ad esempio, produrrà IL-12 e
radicali dell’ossigeno
M2 se la risposta è di tipo Th2, questo macrofago produrrà citochine antinfiammatorie (IL-10,
TGFb) che vanno a inibire l’attivazione classica dei macrofagi e che portano al riparo dei tessuti
danneggiati
Ad esempio, se ci si fa un taglio a livello della pelle, prima vi saranno macrofagi M1 che
combatteranno l’infezione e poi M2 che indurranno riparo tessutale.
M2 è la polarizzazione macrofagica che si riscontra anche a livello dei tumori (si vedrà nelle
prossime lezioni, ndr).
Questo lo si vede anche in modelli animali, perché i modelli animali non son tutti uguali: alcuni favoriscono
la risposta Th1 (come avviene nei topi C57) mentre altri favoriscono la risposta Th2 (topi bianchi). Se si
infetta con lo stesso patogeno questi ceppi diversi di animali, si avrà un decorso differente della malattia.
Elusione del SI
I batteri col tempo sono stati in grado di sviluppare
meccanismi per eludere la risposta immunitaria.
VIRUS
I principali meccanismi dell’immunità innata sono l’inibizione dell’infezione grazie agli interferoni di tipo I
e l’uccisione diretta delle cellule infette grazie alle NK.
Gli IFN di tipo 1 sono prodotti da tutte le cellule;
le DC plasmacitoidi producono grandi quantità di IFN di tipo 1 e sono le uniche a produrre
interferone α.
La funzione dell’interferone di tipo I è l’inibizione della replicazione virale sia nelle cellule infette che sane
attivando uno stato antivirale (stato metabolico in cui si viene a trovare una cellula stimolata
dall’interferone).
Tale stato inibisce la proliferazione del virus all’interno della cellula, porta inoltre alla degradazione
dell’RNA virale e che inibisce l’assemblaggio dei virioni. Inoltre induce l’apoptosi della cellula infettata.
Per quanto riguarda l’immunità specifica gli anticorpi (come le IgA, importanti per questa risposta
nell’ambito delle mucose) bloccano il legame del virus ai recettori cellulari mentre i linfociti T citotossici
uccidono le cellule infette.