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I MERIDIANI
0 00_Prime siciliani 2 ok 14-04-2008 14:29 Pagina IV
Piano dell’opera
GIACOMO DA LENTINI
Edizione critica con commento
a cura di Roberto Antonelli
POETI SICULO-TOSCANI
Direzione: Rosario Coluccia
Edizioni critiche con commento
a cura di Marco Berisso, Aniello Fratta,
Riccardo Gualdo, Pär Larson, Sergio Lubello
0 00_Prime siciliani 2 ok 14-04-2008 14:29 Pagina V
Volume secondo
POETI DELLA CORTE DI FEDERICO II
Edizione critica con commento
diretta da Costanzo Di Girolamo
Arnoldo Mondadori
Editore
0 00_Prime siciliani 2 ok 14-04-2008 14:29 Pagina VI
ISBN 978-88-04-57310-4
www.librimondadori.it
0 00_Prime siciliani 2 ok 14-04-2008 14:29 Pagina VII
SOMMARIO
Premessa
Avvertenza dei curatori
Introduzione
di Costanzo Di Girolamo
Nota al testo
Tavola delle sigle e delle abbreviazioni
Opere citate e edizioni di riferimento
a cura di Francesco Carapezza
Ruggeri d’Amici
a cura di Aniello Fratta
Tommaso di Sasso
a cura di Stefano Rapisarda
Guido delle Colonne
a cura di Corrado Calenda
Re Giovanni
a cura di Corrado Calenda
Odo delle Colonne
a cura di Aniello Fratta
Rinaldo d’Aquino
a cura di Annalisa Comes
Arrigo Testa
a cura di Corrado Calenda
Paganino da Serzana
a cura di Aniello Fratta
Piero della Vigna
a cura di Gabriella Macciocca
Stefano Protonotaro
a cura di Mario Pagano
0 00_Prime siciliani 2 ok 14-04-2008 14:29 Pagina VIII
Iacopo d’Aquino
a cura di Aniello Fratta
Iacopo Mostacci
a cura di Aniello Fratta
Federico II
a cura di Stefano Rapisarda
Ruggerone da Palermo
a cura di Corrado Calenda
Cielo d’Alcamo
a cura di Margherita Spampinato Beretta
Giacomino Pugliese
a cura di Giuseppina Brunetti
Ruggeri Apugliese
a cura di Corrado Calenda
Mazzeo di Ricco
a cura di Fortunata Latella
Re Enzo
a cura di Corrado Calenda
Percivalle Doria
a cura di Corrado Calenda
Folco di Calavra
a cura di Aniello Fratta
Filippo da Messina
a cura di Aniello Fratta
Iacopo
a cura di Aniello Fratta
Anonimi siciliani
a cura di Mario Pagano e Margherita Spampinato Beretta
14
FEDERICO II
a cura di Stefano Rapisarda
438 Federico II
14.1
Dolze meo drudo, e vaténe!
(IBAT 18.2 = 19.1)
Mss.: V 48, c. 13r (Re federigo); V1, c. 2v (solo i vv. 1-2); PA, c. 29v
(solo i vv. 1-2 e 5-8).
Edizioni: D’Ancona – Comparetti 1875-88, I, 142; Bilancioni
1875, 284; Casini 1888, 341; Savj-Lopez – Bartoli 1903, 156; Car-
ducci 1907, col. 8; Sabatini1 1907, 35; Torraca 1917, 33; Guerrieri
Crocetti 1925, 142; Thornton 1926a, 92; Riera 1934, 96; Lazzeri
1942, 491; Guerrieri Crocetti 1947, 107; Vitale 1951, 251; Monaci
– Arese 1955, 104; Panvini 1957-58, 97; Panvini 1962-64, 423;
Contini 1970a, 51; Jensen 1986a, 104; CLPIO, 320; Arveda 1992,
28; Cassata 1997, 18; Morini 1999, 50; Cassata 2001, 6.
Metrica: 8 a b a b; c d d c; componimento di cinque stanze singu-
lars, l’ultima delle quali in funzione di congedo, di otto versi; nella
IV stanza la rima b è ripetuta nella sirma: ~; c b b c (Antonelli 1984,
98:5 e per la IV stanza 76:3). Le stanze I-II, III-IV sono capfinidas;
collegamento a coblas capdenals tra le stanze I-III-V (1 Dolze, 17
Dolce, 33 Dolze). Qualche imprecisione metrica, come quelle di 25
e 36, potrebbe essere spiegata più che come imperizia tecnica come
ricerca mimetica di un «atteggiamento popolareggiante» di cui è
prova la scelta dell’ottonario (Contini); lo schema metrico di Dolze
meo drudo è infatti uguale a quello di GiacPugl, La dolce cera piasen-
te [ 17.6], con cui condivide il tema della separazione per parten-
za, rime e parole in rima (-ene/-enne; -ando [qui in V]; gire : partire)
e interi sintagmi (cfr. 2 con il v. 18 di Giacomino «e dissi: “A Deo
v’acomando!”»). Forti indizi di intertestualità anche con RinAq,
Giamäi non mi conforto [ 7.6] 5-6, 9, 11, 23-4, 31-2. A 40 si può
ipotizzare dialefe tra donna e i·lleanza; una lettura con anasinalefe
eviterebbe l’aferesi a 12 e il troncamento a 24. Come nota Contini
1952a, 375 il collegamento interstrofico si ha «a metà dei rispettivi
discorsi della donna e dell’amatore (esclusa l’ultima stanza in fun-
zione di congedo)», il che sarebbe «probabile indizio d’una divisio-
ne di parti nella recitazione». Il collegamento non è stato rilevato né
da Thornton 1926a, 98 né da Riera 1934, 100, che considera «ca-
suale» il membrandome // membrandome di 8-9. Non del tutto pa-
cifica risulta infatti la distribuzione delle stanze: Panvini, Contini,
Arveda assegnano I-II alla donna e III-V all’uomo; CLPIO e Cassa-
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440 Federico II
442 Federico II
ca lealemente m’avene
d’amar voi sanza falsia. 28
Di me vi sia rimembranza,
no mi aggiate ’n obria,
ch’aveste in vostra balia
tuta la mia disïanza. 32
444 Federico II
446 Federico II
448 Federico II
anasinalefe (si noti che nel ms. i due versi sono scritti consecutiva-
mente sullo stesso rigo) risolverebbe comunque alla radice il pro-
blema della presunta ipermetria, cfr. CLPIO, LXXXIX, con altri casi.
14 e 15. amava : Toscana: è uno dei due casi di assonanza irriduci-
bile nella poesia siciliana (l’altro è un messere : tene di ReEnzo, Amor
mi fa sovente [ 20.1] 50 : 53), cfr. Trovato 1987, 342-3; come nota
Brugnolo 1995a, 275 n., entrambe le occorrenze si riscontrano in
poeti di casa reale, ma parrebbe null’altro che una semplice coinci-
denza, a meno di non considerarle “licenze” concesse solo a rimatori
di particolare rilevanza politica, anzi dinastica. A Contini pare «indi-
zio forse non casuale di tecnica bonaria», a somiglianza di 1 : 3 e 2 : 4.
14. ‘che io amavo più d’ogni altra cosa’.—ch’io: «pronome rela-
tivo ripreso da pronome personale: frequente anacoluto con fun-
zione enfatica» (Cassata).
15-6. ‘mi dolgo, dolce Toscana, ché egli mi spezza il cuore’.
15. Panvini: «Per ridurre il verso a giusta misura espungo dolze.
Il Casini e qualche altro leggono invece biasmo la dolze Toscana».
Così anche Contini e Arveda, che tentano di giustificare l’inserzio-
ne come intervento di copista fiorentino (Contini) o «riflesso “con-
dizionato” del copista che inserisce di fronte al nome della sua ter-
ra un aggettivo caratterizzante (per antonomasia)» (Arveda).
Diversa la soluzione qui accolta e proposta da Cassata, che inter-
preta dolze Toscana quale vocativo e così parafrasa: «Ora se ne va il
mio amore, lui che sopra chiunque altro io amavo: mi dolgo, dolce
Toscana, che mi spezzi il cuore»; biasmomi per Cassata vale dun-
que ‘mi dolgo’, con rinvio ad Ageno 1964, 55; stessa forma anche
nell’incipit di TibGal, Blasmomi de l’amore [ 30.1].—Toscana: è
uno dei pochi riferimenti geografici precisi contenuti nel corpus si-
ciliano. Questo dato è servito in passato a corroborare l’ipotesi che
il «Re Federico» citato nella rubrica non fosse in realtà Federico II
bensì un suo figlio naturale, Federico d’Antiochia, che dal padre
sarebbe stato designato vicario generale in Toscana. L’ipotesi, inve-
ro esageratamente sottile, fu sostenuta in passato da importanti
studiosi, quali Grion, Davidsohn, Torraca, e da ultimo Debenedet-
ti (1947, 69) il quale sostiene che il «richiamo alla Toscana» possa
avere «valore autobiografico». Ciò escluso, l’allusione rimane in-
spiegata.
16. diparte: qui tecnicismo, ‘spezza il cuore’, ma altrove il core si
diparte nel senso di ‘si allontana dal corpo’, come in GiacPugl,
Ispendïente [ 17.8] 5-6 versione di V «bella, lo mio core, ch’ài in
tua ballia, / da voi non si diparte»; ReEnzo/Sempreb?, S’eo trovas-
se Pietanza [ 20.2] 35-6 «core, che non ti smembri? / Esci di pena
e dal corpo ti parte»; GiacLent, Membrando l’amoroso dipartire [
1D.1] 23-4 «se vai, amore, / lo meo cor lasci in parte» ecc. Secon-
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450 Federico II
452 Federico II
14.2
De la mia dissïanza
(IBAT 18.1)
I De la mia dissïanza,
ch’ò penata ad avere,
mi fa sbaldire—poi ch’i’ n’ò ragione,
che m’à data fermanza
com’io possa compiére 5
[. . .]—senza ogne cagione,
a la stagione—ch’io l’averò ’n possanza.
Senza fallanza—voglian le persone,
per cui cagione—facciamo membranza.
II A tutor rimembrando 10
de lo dolze diletto
ched io aspetto,—sonne alegro e gaudente.
Vaio tanto tardando,
che ’n paura mi metto
ed ò sospetto—de la mala gente, 15
che per neiente—vanno disturbando
e rampognando—chi ama lealemente:
ond’io sovente—vado sospirando.
456 Federico II
458 Federico II
simo per esprimere l’ansia di possesso totale della persona amata: cfr.
GuidoCol, Amor, che lungiamente [ 4.4] 5-6 «ch’io non ò possanza,
/ per voi, madonna, a cui porto leanza»; ReGiovanni, Donna, audite
como [ 5.1] 32-3 «chi si vuole orgogliare / là ove nonn-à possanza»;
BonDiet, Greve cosa m’avene [ 41.3] 30 «sì m’à in sua possanza»; e
specularmente stanno perder possanza (cfr. CarnGhib, Poi ch’è sì ver-
gognoso [ 37.4] 22-4 «Perdut’ò la possanza: / poi m’è misavenuto, /
fallito m’è l’aiuto») e partir di possanza (GiacLent, Poi no mi val merzé
[ 1.16] 37-8 «non creo che partire / potesse lo mio cor di sua pos-
sanza»). In conclusione: il passo è poco chiaro, ma l’interpretazione
più convincente ci sembra nel complesso la più semplice, cioè quella
che salva del tutto la lettera, per cui basterà interpretare il vogliano
come un ottativo riferito a quelle persone che più avanti nel testo so-
no qualificate mala gente (15) e ria gente (31), cioè quegli inizadori di
43 che sono i principali antagonisti al compimento della dissïanza. Il
senso sarebbe dunque: ‘Vogliano che ciò accada le persone che qui ri-
cordiamo’ e alle quali è obliquamente indirizzata la canzone. In su-
bordine si potrebbe correggere il voglian in vogliam e interpretare:
‘Desideriamo senza tentennamenti le persone che ci fanno fantastica-
re [lett. ‘a motivo delle quali ci mettiamo a fantasticare’]’.
7. possanza: cfr. Poi ch’a voi piace, Amore [ 14.3] 3-4 «faròn-
ne ’· mia possanza / ch’io vegna a compimento».
8. le persone: Oeller – Tallgren e Panvini correggono in la perso-
ne fondandosi sull’ipotesi, in altre circostanze condivisibile, che il
«metaplasmo di declinazione ben meridionale» (Contini 1960, I,
179, n. 50) del sost. sing. persona passato dalla 1a decl. latina alla
3a, persone, per l’intermediazione del fr. personne (Rohlfs 1966-69,
§ 351) determini nei copisti toscani confusione tra singolare e plu-
rale, e che dunque il copista di V interpreti erroneamente la forma
come plurale. Ma la correzione non è indispensabile: le persone cui
qui si allude potrebbero essere la mala gente, la ria gente, gli iniza-
dori di cui a 15, 31, 43.
9. cagione: ‘motivo, causa’, in rima equivoca con il cagione ‘scu-
sa, pretesto’ di 6.—membranza: qui è ‘ricordo, menzione, allusiva
citazione’.
10. A tutor: gall., ‘sempre, continuamente’, come in Poi ch’a voi
piace, Amore [ 14.3] 43, anche lì a inizio di stanza. Il verso ridon-
da di una sillaba, a parte la dittografia rimemembrando di V, ma la
questione è irrisolvibile. Panvini e Cassata propongono A tutora
membrando, ma è altrettanto possibile la soluzione opposta, prati-
cata da Riera, Guerrieri Crocetti, Vitale, A tutor rimembrando, che
qui si preferisce; conforta nella scelta la consueta abitudine di V a
ridondare in vocali atone finali piuttosto che a reduplicare sillabe
in inizio di parola.
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460 Federico II
12. sonne: ‘ne sono’, con enclisi del pronome (Panvini); Cassata
1997, sulla scorta di Thornton, emenda in so’ da leggersi in sinalefe
con alegro, per presunta ipermetria, ma Cassata 2001 torna al son-
ne positivamente attestato in V.—alegro e gaudente: traduce la dif-
fusa dittologia occ. alegre e jausen, come nell’incipit di AimPeg,
S’ieu hanc chantiei alegres ni jauzen [BdT 10.48] citato da Cassata.
13-7. ‘Se continuo a tardare è soltanto perché ho paura e so-
spetto di quei malvagi che per puro gusto vanno disturbando chi
ama lealmente’.
14. Secondo Cassata mettersi paura è «espressione familiare, che
quasi materializza il sentimento», ma forse è da preferire una lettu-
ra che consideri l’abitudine di V ad assorbire graficamente la pre-
posizione in fonosintassi, come accade a 7 l’averò ’n possanza e a 19
sto ’n rancura; bisognerà quindi leggere mettere in paura come in
Cielo, Rosa fresca aulentisima [ 16.1] 76 «En paura non metermi
di nullo manganiello» e An (V 300), La gran gioia disïosa [ 25.22]
33-6 «La parola noiosa […] mi mette in gran paura». Nella lirica
trobadorica l’amante è sempre soggetto a temensa e paor, anche dei
lauzengiers (Cropp 1975, 200-1); tra i molti riscontri possibili con i
Siciliani, cfr. GiacLent, Uno disïo d’amore sovente [ 1.11] 27
«ch’Amore è piena cosa di paura».
15. mala gente: motivo frequente nella lirica trobadorica: cfr.
AlbSist, Ab son gai e leugier [BdT 16.2] 26-8 «Ai, cals paors m’e-
sglaia / d’una vilana gen / que fant bruich de nien!» e GcFaid, Ara
cove [BdT 167.7] 69-70 e 72-6 «paors m’o tol e temenssa, que·m
fan / fals lauzengier, devinador malvatz / […] / c’ab lo fals brais /
dels lauzengiers savais / (cui Dieus abais!) / se vir Amors en caire, /
e fraig e fen»: le agnizioni sono rispettivamente di Torraca e Ga-
spary in Fratta 1996, 25; in ambito siciliano cfr. An (V 273), Fresca
cera ed amorosa [ 25.19] 29-32 «Ma’ paur’ò de lo sòno / de la ma-
la gente, / che nonn-à l’om de lo tono / quant’è più fracente»;
Comp, Per lo marito ch’ò rio [ 27.1] 41-2 «Le vechie son mala
gente: / non ti lasciar dismagare».
16. per neiente: ‘senza ragioni, per mero gusto’; neiente è trisillabo.
17. rampognando: ‘criticando, biasimando, disapprovando’; è
parola rara nei Siciliani, da retrodatare rispetto a DELI (Cassata);
altra unica occorrenza, ma in dialogo “giullaresco”, è in GiacPugl,
Donna, di voi mi lamento [ 17.5] 42-5 «tuta gente ti rampogna; /
a voi ne torna bassanza / e a me ne cresce vergogna, / amore».
19-27. Motivi assai diffusi nella lirica trobadorica: cfr. GlCab,
En pessamen [BdT 213.4] 41-6 «Las! mil n’ai faitz entre sospirs e
plors, / tal paor ai que ja no·y aia pro, / qan pens cum es de gentil
naissio, / e cum vos etz de totas rais e flor, / e cum vos sai coinda,
bella e prezan? / e cum vos etz fina, leyals e pura» e, a proposito di
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23-5, ArnCat, Amors, ricx fora [BdT 27.3] 10 e 17-8 «Quan remir
son plazen vis […] quar siey belh huelh m’an conquis / e·l dous
esgar e·l behl ris» (Blasi 1937, entrambi riscontri di Torraca in Fratta
1996, 25).
19-23. ‘Sospiro e vivo in angoscia per il fatto che sono così pie-
no di desiderio che (voi, mala gente) dalla paura mi fate penare.
Ma allora mi assicura il suo viso amoroso’.
19. Sospiro: qui verbo, altrove sost., è frequentemente usato in
dittologia con rancura ‘dolore, afflizione’, fino a Guinizzelli, Si so-
no angostïoso 2 «e di molti sospiri e di rancura» e CinoPist, Se con-
ceduto mi fosse 6 «e ’l continuo sospiro e la rancura»; per l’omis-
sione della preposizione in fonosintassi cfr. n. a 14.
21. e: forse con valore di ‘che’, a introdurre una consecutiva
asindetica, cfr. CLPIO, CCII.—mi fate penare: Oeller – Tallgren
correggono in mi face penare, e tale intervento è giudicato da
Cassata «inevitabile, se si tiene conto che la donna non è mai
apostrofata direttamente in tutto il componimento»; tuttavia la
lezione di V potrebbe ugualmente conservarsi anche se si accet-
tasse l’ipotesi che mi fate penare sia riferito alla donna; si ram-
menti che nel corpus siciliano è del tutto inutile cercare di rin-
tracciare rigore allocutivo: cfr. ad es. TomSasso, L’amoroso vedere
[ 3.1] 30-1 e lo stesso FedII, Dolze meo drudo [ 14.1] 17-24 e
25-40, oltre a Rohlfs 1966-69, § 477 e Arveda 1992, 102. Ma po-
trebbe essere esatta l’osservazione di Monteverdi 1951, 18, n. 1,
secondo cui l’emistichio 21 mi fate penare non è altro che un er-
roneo anticipo di 26 mi face penare: «non sono persuaso della sua
genuinità (tra l’altro è identico all’emistichio finale del penultimo
verso di quella stessa strofa!)»; perciò lo studioso lo espunge dal-
la sua edizione.
22. M’a tanto: < a tant, gall., ‘Ma allora’; cfr. Guittone, Gioi amo-
rosa amor, pensando quanto (L.) 7 «eo me li acuseria ’n tal guis’a
tanto». Panvini, Cassata: Ma tanto.—asicura: cfr. Peirol, La gran ale-
gransa [BdT 366.18] 43 «que be m’asegura», in rima con pura, co-
me qui a 27.
24-5. Cfr. Sord, Si co·l malaus [BdT 437.31] 27-8 «e·l plazen ris
e l’amoros parlar / e·l douz esgart».
26-7. «che mi fa per paura penare ed esitare: tanto è perfetta
e pura» (Cassata). È la tradizionale psicologia dell’amante corte-
se, che è disïoso dell’amata e pauroso che qualcuno, la mala gen-
te, possa frapporsi tra lui e la donna, o che costei possa negargli i
favori.
27. Cfr. Peirol, La gran alegransa [BdT 366.18] 41 «tant es fin’e
pura» e BnMarti, Amar dei [BdT 63.1] 49 «tant es fin’e pura».
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462 Federico II
28-30. «Tanto è saggia e cortese che non credo possa più pen-
sarci o recedere da ciò che mi ha promesso» (Cassata).
30. Il verso è sembrato ipermetro a qualche interprete: Casini
1888, 344, che suggeriva l’espunzione del di; Oeller – Tallgren, che
espungevano il ciò; più di recente Cassata, che recupera quest’ulti-
mo emendamento. L’intervento non è necessario, stante la cesura
epica del verso, come Guerrieri Crocetti, Vitale, Panvini de facto
ammettono. Quanto al rimante, Panvini accoglie nella sua edizione
un altro emendamento di Oeller – Tallgren (m’à impromiso invece
di mi impromise), sostenendo che esso serva «a ristabilire la rima e
il senso»; ma anche questo è emendamento non necessario, cfr. n. a
31-3.
31-3. Altro passo assai travagliato, che il tono allusivo e le ambi-
gue iuncturae sintattiche rendono oscurissimo. Forse è da inten-
dersi: ‘Dal comportamento della gente malvagia ella ha appreso a
non farsi sviare, cosicché (una volta sviata) potessero ritorcersi
contro di me le offese che io ho arrecato loro’. Il ms. reca impromi-
se in rima siciliana con ofese; l’emendamento m’à impromiso : gli ò
offiso risale all’edizione Oeller – Tallgren (che nel ms. legge ofiso)
ed è diventata lezione vulgata e accettata da pressoché tutti gli edi-
tori. CLPIO propone di leggere a 33 chi gli à [a]feso, lezione che
Cassata recepisce ma senza integrazione della vocale omessa per
aferesi: chi gli à ’feso. Dal punto di vista del senso il passo è comun-
que assai problematico: aprese potrebbe anche essere 1a pers. sing.
del perfetto, ‘appresi, imparai’, cfr. CLPIO, CXXIVb; e infatti Riera,
seguita da Guerrieri Crocetti, così parafrasava: «Della cattiva gente
ho avuto paura, che essa non sia da loro distolta, in modo che mi
tornasse a danno l’aver loro recato dispiacere», interpretando apre-
se come 1a pers. sing. e, cosa meno convincente, da la ria gente co-
me complemento di specificazione, dando ad apprendere il signifi-
cato di ‘temere’ (?). Panvini 1994 parafrasa invece: «Dalla gente
malvagia [ella] apprese a non farsi distogliere da loro, in modo che
mi tornasse a danno se ho ad essa [= la gente malvagia] recato di-
spiacere»; Cassata riprende in parte la parafrasi e così riformula:
«Dai malvagi, [ella] ha imparato a non lasciarsi da loro sviare sì da
ritorcere a mio danno le offese che qualcuno può averle arrecate»,
e intendendo gli quale pron. femm. (‘le’).
31. ria gente: GiacPugl, Tutor la dolze speranza [ 17.2] 20-2
«non far sì gran fallimento / di credere a gente ria, / de lor falso
parlamento»; An (V 131), Biasmar voglio [ 49.13] 46-7 «La noio-
sa gente e ria / si penan di metere erro» e 68-9 «riprendi la gente
ria, / che dicon ch’io l’amo a mancanza»; An (Ch 367), Conosco ’n
vista [ 49.99] 5-6 «ma ò·ttemenza della gente ria, / che non si tac-
ciano de lo mal dire».—aprese: probabilmente ‘ha imparato’, con
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464 Federico II
14.3
Poi ch’a voi piace, Amore
(IBAT 18.6 E 19.4)
tutora; rime ripetute: I-II -aggio; I-III -are; I-III-IV -ènto; I-IV-V
-ènte; rimanti ripetuti identici: 18 - 70 avere.
Discussione testuale e attributiva. V si oppone nettamente alla
famiglia P Ch V2 Bo1 Vall come si evince da 1, 17, 18, 20, 22, 25,
26, 31, 36-8, 40, 41, dall’erronea segmentazione della struttura me-
trica a 25-7 e, ancora più macroscopicamente, dall’assenza in quei
codici delle stanze IV e V. Alla stessa famiglia è ascrivibile Mgl,
mutilo (si interrompe a 3), come dimostrano le varianti a 1, 2, 3.
Dubbia, e discussa, è l’attribuzione a Federico. Secondo Monaci,
la didascalia in caso nominativo di P, Rex fredericus, sarebbe una
dimostrazione dell’autenticità dell’attribuzione a Federico, in base
alla sua nota teoria (Monaci 1885) secondo la quale nelle rubriche
resterebbe traccia del nome dell’autore in caso nominativo e del
primitivo destinatario in caso dativo; combinando il dato di P e
quel che scaturisce dalla rubrica di V, ove il titolo fu raschiato più
volte e «sulla prima raschiatura fu scritto “Messer Rinaldo d’Aqui-
no”, al quale probabilmente la canzone era stata inviata da Federi-
co» (Monaci 1889, 72), il filologo ipotizzava dunque che nelle ru-
briche fosse rintracciabile il relitto di un primitivo invio della
canzone da Federico a Rinaldo d’Aquino; asserendo anche, ed er-
roneamente, che l’attribuzione successivamente cancellata a Rinal-
do d’Aquino stesse in V «sopra altra cancellatura fatta sul nome di
Federigo» (Monaci 1885, 662 n.). Ma già Santangelo1 1928, 25
esclude ogni ipotesi di corrispondenza tra Federico II e Rinaldo
d’Aquino, e Contini 1952a, 376-7 finisce di rilevare le «insuffi-
cienze metodologiche» della teoria del Monaci, pur giudicandola
«seducente ipotesi di lavoro», ma notando nel medesimo tempo
l’impossibilità di ritrovare in alcun caso «una rubrica latina o tan-
to meno volgare, di origine seriamente dativale». In base ai crite-
ri esposti da Contini 1952a, 373, si tratta, anche qui, come per Oi
lasso! non pensai [ 15.1] (Panvini 1962-64, 425-6), di un caso di
«attribuzione controversa, uno contro uno», ma questa volta in-
decidibile, «poiché all’attribuzione stemmatica della famiglia di P
nulla oppone di definito V» (Contini 1952a, 374). Contini con-
clude dunque con la formula sospensiva del «non liquet» (p.
383), con la quale qui non si può fare a meno di convenire. L’at-
tribuzione di questa canzone a Federico II, secondo lo stesso
Contini 1952a, 384, apre comunque il problema dei rapporti
complessivi di V con P e la sua famiglia.
Le stanze IV e V sono solo in V; in Mgl solo 1-3, in Tr solo 1-8,
usati dal Trissino come esempio tecnico «di base [nella sua termi-
nologia, cioè di “piede”] della combinazion dritta del settimo mo-
do, cioè, a b c d, a b c d». Thornton 1926a, 97 sostiene che la pre-
senza della IV e V stanza nel solo V sia una “falsificazione”,
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1-14. ‘Dato che a voi piace, Amore, che io debba poetare, farò
tutto ciò che è in mio potere affinché io possa soddisfare il deside-
rio. Il mio cuore è votato ad amarvi e tutta la mia speranza è rivolta
al vostro apprezzamento, e non mi separerò da voi, donna di valo-
re, ché io vi amo dolcemente e voi avete piacere che io ne abbia
corrispondenza. Datemi soccorso, donna perfetta, dato che il mio
cuore adesso si inchina a voi’.
1-2. È paleograficamente indecidibile se sia da leggersi amore
‘donna amata’ (comunque raro nei Siciliani: forse in GiacLent, Dol-
ce coninzamento [ 1.17] 31 «Al mio vivente, amore») o Amore, fi-
gura personificata. V P e Vall recano la lezione scritta con minusco-
la, gli altri mss. con maiuscola. Panvini preferisce amore per ragioni
di presunta coerenza allocutiva «perché il poeta in tutta la canzone
si rivolge alla donna a cui dà sempre del voi», ma l’argomento non è
risolutivo, dato che nella lirica siciliana, com’è noto, variazioni nel-
l’uso di forme allocutive sono consentite persino all’interno della
stessa canzone e in versi contigui, come per es. in TomSasso, L’amo-
roso vedere [ 3.1] 29-32 «Ancora sì asomata / la natura v’avesse, /
ben ti déi rimembrare / ca di mal fare—è troppo gran pecato» e
nello stesso Federico II, Dolze meo drudo [ 14.1] 21 e 35; cfr. an-
che Rohlfs 1966-69, § 477 e Arveda 1992, 102. A determinare l’og-
getto del vocativo potrebbe meglio valere un argomento di tipo in-
tertestuale: un attacco più o meno simile si ha in RinAq, Amor, che
m’à ’n comando [ 7.5] 1-2 «Amor, che m’à ’n comando, / vuol
ch’io deggia cantare», ove è appunto Amore la forza che costringe a
poetare, e forse una precisa ripresa in “Amico di Dante”, Poi ch’ad
Amore piace 1; in An (V 102), Sol per un bel sembiante [ 49.11] 24,
la formula «poi che vi piace, amore» risuona in clausola.
2. trovare: traduce l’occ. trobar ‘poetare’.
3. farònne ’· mia [= i·mia] possanza: ‘farò ogni cosa che sia in mio
potere’ (-nne ‘ogni cosa’, neutro sostantivato, come gli ogni pesanti
di GiacLent, Madonna, dir vo voglio [ 1.1] 52); Panvini: faronde,
nonostante tale lezione sia palesemente, e nella logica lachmanniana
perentoriamente, esclusa dalla convergenza di V con Ch V2 Mgl Bo1
(apparentamento riconosciuto da Panvini stesso) e dunque risulti
singularis del solo P, dove inoltre potrebbe essere attribuibile al pro-
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ro nel senso di ‘luce solare’ cfr. An [La 331], A·cquei ch’è sommo [
49.73] 2 «e ched è spero—d’ogni tenebroso»). È termine tecnico
del linguaggio astronomico: De sphaera è intitolato un diffuso trat-
tato di astronomia elementare dell’inglese Giovanni Sacrobosco
che dovette circolare ampiamente presso la corte federiciana
(Poulle 1994). Il sintagma laudativo chiarita spera ritorna in ReEnzo,
Amor mi fa sovente [ 20.1] 39; ReGiovanni, Donna, audite como
[ 5.1] 7; invertito in DanteMaia, Cera amorosa 3, «Spera clarita,
che ’l mondo lumate»; cfr. anche GuidoCol, Gioiosamente canto
[ 4.2] 14-5 «la vostra fresca cera / lucente più che spera».
25. Per il sintagma gioia intera cfr. RbVaq, Eras quan vey [BdT
392.4] 19 «je n’aurai mes joi’ entiere» e GiacLent, Guiderdone
aspetto avere [ 1.3] 5-6 «sempre spero avere intera / d’amor gioia»;
RinAq, Ormäi quando flore [ 7.10] 9 «ciascuno invita—d’aver gioia
intera» e 43-4 «Quelli ch’à intendimento—d’avere intera / gioia»;
Iacopo (?), Così afino ad amarvi [ 24.1] 41 «Per aver gioia intera»
ecc.
26. ne lo: l’assenza del nesso preposizione + articolo, comune a
P Ch V2 e Bo1, dimostra che questi manoscritti «formano gruppo
[…] o più esattamente risalgono a uno stesso ascendente» (Contini
1952a, 370). Lacuna sillabica a parte, in questo gruppo mio servire
diventa soggetto e il senso complessivo è comunque poco convin-
cente (‘il mio servire ha piacere di voi’).
27. e di piacere: Panvini: ed i[n] piaciere.—fiore: ‘la migliore’,
come in GiacLent, Meravigliosa-mente [ 1.2] 59 «fiore d’ogn’a-
morosa»; è formula diffusa, sia tra i trovatori che tra i Siciliani: cfr.
RbVaq, Truan, mala guerra [BdT 392.32] 11-2 «qu’es flors / de to-
tas las melhors» e RugAm, Sovente Amore [ 2.1] 40-1 «che m’à
donato a quella ched è ’l fiore / di tute l’altre donne, al meo pare-
re» o lo stesso FedII, De la mia dissïanza [ 14.2] 40 «La fiore d’o-
gne fiore» (e cfr. la nota relativa).
28-9. I due versi sono ipermetri in V. Si preferisce, come già
Panvini, la lezione di P e manoscritti derivati, ove un sor monosilla-
bico risolve il problema dell’ipermetria del distico in V, ivi genera-
ta dall’usuale presenza di atone soprannumerarie finali e dall’im-
piego della forma piena di sovra, non apocopabile.
29-42. ‘Più che le altre donne avete valore e conoscenza, tanto
che nessun uomo sarebbe capace di riferire il vostro pregio, poiché
siete tanto bella! Secondo quel che credo non c’è nessun’altra don-
na che sia di pari bellezza, né che abbia maestà superiore alla vo-
stra, donna superiore. Il vostro volto umano mi conforta e mi ralle-
gra; se ho modo di lodarvi, o donna perfetta, me ne deriva vanto e
orgoglio’.
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30. Cfr. RicBarb, Lo nous mes [BdT 421.6] 19 «tan aves de co-
noissensa».
34. Cfr. RbVaq, Kalenda maia [BdT 392.9] 53 «per ma credensa».
35. donna che sia: ‘donna vivente’, come in RinAq, In un gravoso
affanno [ 7.2] 33-4 «che non disiro avere / altra donna che sia».
36-7. bellezze / […] insegnamento: per la coppia cfr. Pist, Manta
gent [BdT 372.5] 41-2 «De tal suy homs que non a par / de beutat
ni d’ensenhamen» (Niestroy 1914, 56).
36. La rima irrelata di V produce qui una deroga alla regolarità
strofica, rispettata invece da P Ch V2 Bo1, come anche in 41-2; la
non brillante lezione di P e famiglia (poco convince Chiappelli
1951 che interpreta alta a si bella pare cioè ‘non è donna che sia al-
ta pari a sì bella’) farebbe pensare tuttavia a un guasto già presente
nell’archetipo, guasto che P potrebbe aver sanato per congettura
con soluzione rispettosa della regolarità delle rime e che invece V
non avrebbe nemmeno tentato di sanare (e, a conferma di un calo
d’attenzione di V, altro vistosissimo lapsus metrico si presenta a
40). Si potrebbe pensare dunque a una doppia soluzione: o a
un’assonanza sulla base di V (ch’aggia bellezze tante) o a una “con-
taminazione” tra le lezioni di P e V (ch’aggia bellezze pare).
39. cera umana: nel senso di ‘pietosa, compassionevole’ o ‘ben di-
sposta nei confronti dell’amante’, come in BnVent, Can la frej’aura
venta [BdT 70.37] 45 «de solatz m’es umana»; nei Siciliani cfr. fresca
cera umana in An (V 908), Guardando la fontana [ 49.72] 13.
40. conforto: cfr. An, On plus fin’amor [BdT 461.70] 2 «eu·m co-
nort e·m vauc alegran» (Constans 1881); la lezione comfortamento
è un vero e proprio sproposito metrico di V, forse per memoria di
37 imsegnamento.
41-2. Altra deroga alla regolarità metrica della stanza si ha in V,
a poca distanza da quella di 36, con l’assonanza fina : tutavia, che
in P Ch V2 Vall suona invece in rima perfetta (mia : tuttavia; tranne
che mia : mia in Ch Vall). Più difficile decidere qui, rispetto a 36,
se si tratti di un livellamento delle rime introdotto da P per “iper-
correttismo” metrico o di un vero guasto sanato da P per congettu-
ra. In Bo1 manca però il rimante tuttavia.
41. pregiare: in questo contesto ‘omaggiare, lodare, cantare i pre-
gi della donna’, uno dei significati possibili dell’occ. prezar/presar.
42. conto: dall’occ. coinde (lat. COGNITUS), con valore quasi
“tecnico” di ‘dotato di virtù intellettuali’; è raramente riferito ad
uomo, come in RmMirav, Ben sai que per aventura [BdT 406.15a]
45 «c’on plus mi tenretz coind’e gai» e, tra i Siciliani, An (V 67),
U·novello pensiero [ 49.3] 11 «Apresso stare adorno, conto e
gaio». Il senso complessivo parrebbe: ‘se posso esprimere il vostro
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14.4
Per la fera membranza
(IBAT 18.4 E 19.3)
Mss.: P 51, c. 29r; Tr, cc. 25v e 54r (Re Federigo di Sicilia/Re Fede-
rigo; solo vv. 1-10).
Edizioni: Panvini 1962-64, 451; CLPIO, 247; Cassata 2001, 89.
Metrica: canzone di due strofi singulars di diciotto versi, a sche-
ma: I a7 b7 b7 c7 (c)d5+6 (o 4+7), a7 b7 b7 c7 (c)d5+6 (o 4+7); d7
e7 e7 (e)d5+6, d7 e7 e7 (e)d5+6 (Antonelli 1984, 195:1 e 200:1); II
~; d7 e7 e7 (e)f5+6, d7 e7 e7 (e)f5+6 (Antonelli 1984, 196:1 e
201:1). Rime siciliane: 5 avea : 10 porea : 11 comportaria : 14 mia :
15 converria : 19 sofferia; rime derivative: 4 partire : 5 dipartire, 32
partita : 34 dipartita; rime grammaticali: 3 fallio - 10 fallire, 4 parti-
re - 8 partio, 10 porea - 18 potesse, 27 amore - 29 amare; rime ricche:
7 sentio : 8 partio, 10 porea : 11 comportaria : 15 converria : 18 soffe-
ria, 16 desse : 17 aprendesse, 21 spene : 25 pene, 23 more : 27 amore,
23 campare : 33 pare; cesure liriche: 10 e 23.
Discussione testuale e attributiva. Per Contini 1952a, 369 l’attri-
buzione a Federico è poco plausibile per ragioni linguistiche, pa-
rendogli la canzone «dalla lingua rivelata centrale, dunque tosca-
na». Contini cita Tallgren 1909, 309 n., che riteneva ostative alla
«sicilianità» del componimento ascritto a Federico la presenza di
talune rime come 19 ausèllo : 24 quéllo, e aggiunge che «all’Italia
centrale, dunque alla Toscana, pare alludere anche la desinenza -ìo
di prima persona» (Contini 1952a, 369 n.). Ma più che per indizi
linguistici, spesso infidi per l’alto grado di ibridazione delle lingue
medievali, l’esclusione sarà forse da operare per ragioni strettamen-
te ecdotiche: nota Monteverdi 1951, 9-10, ripreso sempre da Conti-
ni 1952a, 369, che la Poetica del Trissino attinge «notoriamente» a
un affine di P, il che vale a spiegare l’errore di attribuzione: in P 51
Per la fera membranza è anonima, ma segue immediatamente a P 50
Poiché ti piace, Amore [ 14.3], nel ms. attribuita a Rex Fredericus;
attingendo ad un ms. vicino a P, il Trissino potrebbe aver inteso che
la rubrica Rex Fredericus andasse riferita anche a Per la fera mem-
branza. Così anche Antonelli 1984, LXXXVIII che giudica «più che
sospetta» l’attribuzione a Federico II e sostanzialmente ribadisce il
ragionamento di Monteverdi. Ben diversa l’opinione di Dronke
1994, 60-1 che, dietro suggestioni di Schulze 1987 e 1989b, giudica
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Per la fera membranza «uno dei gioielli della lirica siciliana». Come
anche Dolze meo drudo [ 14.1] dello stesso Federico, si trattereb-
be di un Wechsel (cioè di uno scambio in versi tra uomo e donna
sul modello del Minnesang), sicché la I strofe andrebbe attribuita
alla donna e la II al poeta-amante; ancora, secondo Dronke, l’attri-
buzione del Trissino a Federico si spiegherebbe «col fatto che egli
pensava a questa forma di scambio lirico tra uomo e donna – il
Wechsel nella sua veste italiana – come al contributo decisivo del-
l’imperatore alla tradizione». Dronke riapre, ma con modesti argo-
menti, la questione dei rapporti tra lirica siciliana e Minnesang, che
forse era passata troppo rapidamente in giudicato a seguito delle ri-
serve manifestate da Frank 1955 e generalmente condivise dagli
specialisti (la sintesi in Folena 1965, 237-8: «tra la “excellentissima
Ytalorum curia”, culla dei Siciliani, e la “curia regis Alamanie”,
centro focale dei Minnesang, non sembra esserci altro rapporto se
non quello costituito dalla bifronte attività di Federico II, il quale
tendeva a incoraggiare nelle due nazionalità del suo impero l’eserci-
zio dell’alta poesia in lingua nazionale»; più morbida e cautamente
possibilista la posizione di Brugnolo 1995a, 271: «il sostanziale di-
sinteresse di Federico per i rappresentanti in carne e ossa di quella
poesia non esclude che i rimatori della Scuola siciliana – alcuni dei
quali accompagnarono, in qualità di funzionari, l’imperatore du-
rante i suoi soggiorni in Germania – abbiano potuto trovare motivi
di convergenza, soprattutto metrico-formale, con la coeva produ-
zione in mittelhochdeutsch: le riserve di Frank al riguardo sono for-
se eccessive. Ed è comunque degno di nota che il sistema dei gene-
ri siciliani, con la tripartizione in canzoni, discordi e sonetti, arieggi
in qualche modo, fra i tanti dell’epoca, solo quello dei Minnesän-
ger, con la tripartizione in liet, leich e spruch»). Sia come sia, nel ca-
so di Per la fera membranza l’opinione di Dronke prescinde total-
mente dalle risultanze ecdotiche ed è dunque da prendere con
estrema cautela, né quella presunta del Trissino può dirsi in alcun
modo probante ai fini dell’attribuzione, che in conclusione rimane
molto dubbia.
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1 fiera Tr—4 patire Tr—5 E dipartire la gran gioia ch’i’ havea Tr; e
dipartire om. P—7 mio Tr—9 prescio Tr—10 fallir P; vole P vuole
Tr; e non porria Tr (fine di Tr)—14 dela con de su precedente lette-
ra illeggibile—25 uiueragio—28 agio
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manti fra loro, per evitare quella che ai due studiosi sembra una
rottura della regolarità strofica del componimento.
33. «Iperbole di origine biblica (Ps 89, 4 “quia mille anni in
oculis tuis sicut dies hesterna quae pertransiit”), ovviamente dissa-
crata» (Cassata); avrà ampia circolazione nella letteratura volgare
(Petrarca, Ogni giorno mi par [Rvf 357] 1-2; Boccaccio, Filostrato
III 55, 5-6 ecc.; Teseida IV 49, 7-8), ma, oltre che in Oi lasso! non
pensai [ 15.1] 27-8 «Ed e’ mi pare mille anni la dia / ched io ri-
torni a voi, madonna mia», anch’essa attribuita a Federico II da Lb,
è questa l’unica occorrenza nei Siciliani.
34. dipartita: con il partita di 32 riprende il gioco di partire : di-
partire di 4 : 5.
35. parmi: ‘mi pare’, a norma della legge Tobler-Mussafia.—re-
dita: ‘ritorno’, probabile lat., in unica attestazione nel corpus sici-
liano.
36. fallita: richiama in chiusura il fallio di 3 e il fallire di 10.—di-
sïanza: da Panvini, e in scia da Cassata, è corretto in disiare, come
già a 32 ralegranza in ralegrare, per eliminare presunte asimmetrie
dalla struttura metrica.
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14.5
Misura, providenza e meritanza
(IBAT 18.3)
488 Federico II
490 Federico II
492 Federico II
494 Federico II
INDICE GENERALE
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25_Indice GENERALE_LTC 14-04-2008 14:32 Pagina 1107
IX Premessa
XI Avvertenza dei curatori
XV Introduzione
di Costanzo Di Girolamo
Nota al testo
CV Manoscritti e stampe
CX Criteri editoriali
Tavola delle sigle e delle abbreviazioni
CXXIII Autori
CXXVIII Testi biblici
CXXIX Periodici
CXXXI Opere di consultazione
CXXXIV Manoscritti occitani
Opere citate e edizioni di riferimento
a cura di Francesco Carapezza
CXXXVII Opere citate
CCII Edizioni di riferimento
2. RUGGERI D’AMICI
a cura di Aniello Fratta
5 2.1 Sovente Amore n’à ricuto manti
14 2.2 Lo mio core che si stava
3. TOMMASO DI SASSO
a cura di Stefano Rapisarda
25 3.1 L’amoroso vedere
36 3.2 D’amoroso paese
4. GUIDO DELLE COLONNE
a cura di Corrado Calenda
55 4.1 La mia gran pena e lo gravoso afanno
64 4.2 Gioiosamente canto
76 4.3 La mia vit’è sì fort’e dura e fera
86 4.4 Amor, che lungiamente m’ài menato
97 4.5 Ancor che·ll’aigua per lo foco lasse
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5. RE GIOVANNI
a cura di Corrado Calenda
111 5.1 Donna, audite como
6. ODO DELLE COLONNE
a cura di Aniello Fratta
129 6.1 Distretto core e amoroso
7. RINALDO D’AQUINO
a cura di Annalisa Comes
139 7.1 Venuto m’è in talento
154 7.2 In un gravoso affanno
163 7.3 Poi li piace ch’avanzi suo valore
172 7.4 Per fin amore vao sì allegramente
182 7.5 Amor, che m’à ’n comando
189 7.6 Giamäi non mi conforto
197 7.7 In gioia mi tegno tuta la mia pena
204 7.8 Amorosa donna fina
213 7.9 In amoroso pensare
219 7.10 Ormäi quando flore
226 7.11 Meglio val dire ciò ch’omo à ’n talento
230 7D.1 Un oseletto che canta d’amore
8. ARRIGO TESTA
a cura di Corrado Calenda
235 8.1 Vostra orgogliosa cera
9. PAGANINO DA SERZANA
a cura di Aniello Fratta
249 9.1 Contra lo meo volere
10. PIERO DELLA VIGNA
a cura di Gabriella Macciocca
265 10.1 Poi tanta caunoscenza
276 10.2 Amore, in cui disio ed ò speranza
285 10.3 Amor, da cui move tutora e vene
298 10.4 Uno piagente sguardo
311 10.5 Amando con fin core e con speranza
323 10.6 = 1.19b Però ch’Amore no se pò vedere
11. STEFANO PROTONOTARO
a cura di Mario Pagano
327 11.1 Assai cretti celare
338 11.2 Assai mi placeria
351 11.3 Pir meu cori allegrari
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I Meridiani