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Anna e Amedeo

Q
Il ritratto di due anime
Marzia Margherita Dati

“Dalla felicità io non guarisco”


Anna Achmatova

Questo mio lavoro ha origine da ciò che la visione e la suggestione del segno
artistico ha evocato negli strati più profondi del mio animo. Inoltre, leggendo
l’unica testimonianza giunta sino a noi, di quello che fu un incontro straor-
dinario tra due grandi genialità del Novecento, Amedeo Modigliani e Anna
Achmatova, ho lasciato correre la mia immaginazione e sulla base delle sug-
gestioni ed emozioni che ho provato, ho riscritto questa storia.
L’incontro tra Modigliani e Achmatova ha da sempre incuriosito ed attirato l’in-
teresse di critici e di scrittori, forse anche perché la loro storia essendo poco
documentata, è avvolta in un alone di mistero. C’è addirittura chi sostiene che
in realtà tra i due ci fosse soltanto una grande amicizia e niente di più. Io, in-
vece, concordo con coloro che pensano che in realtà tra i due ci sia stata una
forte passione d’amore, passione bruciata in un tempo brevissimo.
Mi occupo di arte e letteratura russa da diversi anni e nel mio lavoro di ricer-
ca spesso utilizzo materiali reali e documenti d’archivio che mi permettono
di analizzare, confrontare e convalidare ipotesi. Quando ho deciso di “rileg-
gere” questa storia che inizialmente ho scritto soltanto per essere recitata,
accompagnata dalla straordinaria musica di Igor Stravinskij, il materiale a mia
disposizione era ben poco ed era lo stesso che, chi mi ha preceduto, aveva
già utilizzato: l’unico disegno sopravissuto che Modigliani aveva fatto ad Ach-
matova, la serie delle Cariatidi, in particolare la Mademoiselle Grain de Café,
in cui è facile rintracciare la poetessa russa e la memoria lasciata da Anna che
condensa in poche pagine questo incontro.
Ho letto e riletto il testo anche in lingua originale, e più lo leggo, mi sembra
di ritrovare l’Amore, nel senso vero della parola, ovvero la fusione perfetta
di fisicità e di intelletto, quell’Amore che come in altri casi nella storia della
letteratura, si è preservato nell’opera d’arte e nel testo scritto e ci è stato con-
segnato a noi .
E anche in questo caso ritengo che l’opera d’arte e il testo siano un simbolo,
inteso come rappresentazione visibile dell’invisibile, dove la realtà non è sem-
plicemente un insieme di fatti concreti, di sostanze che esistono di per sé e
sono indipendenti da chi ne fa esperienza, ma è creata dall’attività cognitiva
dell’uomo che gli dà forma e ne organizza la molteplicità.

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Del resto l’essere umano altro non è che una sorta di soggetto simbolico che
è in grado di costruire tanti tipi di realtà quanti sono i diversi sistemi simbolici
che utilizza nell’analizzarla.
Dei simboli e del rapporto tra i segni, se ne è occupato tutto il pensiero filoso-
fico occidentale, fino ad arrivare al fondatore della semiotica, Charles Sanders
Pierce, e della semiologia Ferdinand de Saussure: sulla loro scia molti altri
ancora, tra cui spicca Umberto Eco. Non è questo il contesto per un’analisi di
tipo semiotico e semiologico approfondita che mi porterebbe ovviamente su
strade di altro tipo. Tuttavia ritengo che per una migliore comprensione della
suggestione che ha impresso in me il segno artistico e grafico farei riferimento
a Natale Spineto1 che citando a sua volta Dionigi l’Aeropagita2 afferma che “la
verità può essere trasmessa [...] in maniera logica oppure simbolica. Il simbolo
enuncia l’inadeguatezza del dato o dell’immagine ad esprimere il sacro e nello
stesso tempo si dimostra quale il mezzo più opportuno per rivelarlo, perché il
vero è invisibile, illimitato, inattingibile”.
Tutto quanto esposto sin d’ora si va ad unire ad un altro elemento molto im-
portante: Amedeo era toscano, la sua città era Livorno, una città che sebbene
io sia carrarese è per me abbastanza vicina per legami di parentela, e c’è poi
la Russia, che si incarna perfettamente in Anna, questo paese che amo tantis-
simo, a cui dedico da vent’anni il mio studio.
Nell’identificarmi spesso io stessa in queste due culture, ho ritrovato in Anna
e in Amedeo l’incontro perfetto tra l’Italia e la Russia, due mondi apparente-
mente così lontani, ma in realtà così vicini, che si sono fusi mirabilmente nel
brevissimo spazio di pochi attimi dando origine a una sintesi rara.

1
Natale Spineto, I simboli nella storia dell’uomo; Jaca Book, Milano, 2002, p.7.
2
Dionigi l’Areopagita, giudice dell’areopago che, secondo gli Atti degli apostoli (17,22), fu con-
vertito alla Cristianità dalla preghiera dell’apostolo Paolo. Viene a lui attribuito il Corpus Diony-
sianum, scritti di natura mistica, in cui l’autore spiega utilizzando il linguaggio neoplatonico le
idee teologiche e mistiche cristiane.

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A
Anna Achmatova è senza dubbio una tra le più grandi poetesse russe del No-
vecento.
Corteggiata e ammirata da tutti, Anna si contraddistingueva per il suo talento
poetico, per la straordinaria bellezza e per la naturale eleganza che contribui-
rono a fare di lei una figura di spicco nel mondo culturale e artistico della Pie-
troburgo imperiale a cavallo tra i due secoli. E proprio la magica Pietroburgo
di A. Puskin1 fece da sfondo ai suoi spensierati anni giovanili, anni pieni di
speranze per l’avvenire, di energia, di grande vitalità; poi anche lei venne tra-
volta dagli avvenimenti che si susseguirono in Russia: la Rivoluzione, le amare
disillusioni, la repressione, il terrore staliniano.
A differenza di molti intellettuali, suoi amici, che scelsero la via dell’esilio o
l’altra via sicuramente più radicale e risolutiva, il suicidio, Anna decise di ri-
manere nella sua Russia con la piena consapevolezza delle conseguenze che
avrebbe subito. Il suo primo marito Nikolaj Gumilev2 fu arrestato e fucilato
nel 1921, accusato di aver preso parte a un complotto monarchico, e il figlio
Lev, solo perché portava il cognome del padre venne arrestato il 10 marzo del
1938, anche se in realtà venne accusato di voler rovesciare il regime attraverso
l’assassinio di dirigenti politici.
Lev fu condannato a dieci anni di prigionia in un campo e ad altri quattro anni
di privazione dei diritti civili con la conseguente confisca di tutti i beni.
E sarà proprio Anna, con un gesto di grande coraggio a rivolgersi a Stalin in
persona per chiedergli di restituirle il secondo marito che a sua volta era stato
arrestato, e il figlio.
Giudicata troppo lirica e intimista, poco incline a seguire i dettami imposti
dalla letteratura del socialismo reale, la sua poesia fu praticamente bandita a

1
Aleksandr Sergheevic Puskin (1799-1837), il più grande poeta russo, genio incontrastato nel
panorama letterario russo.
2
Anna Achmatova ebbe tre mariti, il primo fu il poeta Nikolaj Gumilev dal quale ebbe il figlio
Lev e da cui divorziò nel 1918. Successivamente sposò l’assiriologo Vladimir Silejko e poi lo sto-
rico dell’arte Nikolj Punin

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tal punto che le fu impedito di pubblicare dal 1925 al 1958. Nonostante ciò, la
sua fama e il rispetto per la sua figura così piena di dignità e la sua capacità
di sopportare ogni limitazione con coraggio, crescevano sempre più, il grande
pubblico non l’abbandonò mai e il dolore e la sua tragedia personale diven-
nero una cosa sola con la Russia.
Fu soltanto durante gli ultimi anni di vita, che l’Achmatova venne “riabilitata” e
le fu nuovamente tributata la fama e il successo, negati per tanti e lunghi anni.
Il suo legame con l’Italia fu fortissimo, prima della Rivoluzione, nel 1912,
visitò Genova, Pisa, Firenze, Bologna, Padova e Venezia, soltanto nel 1964 –
dopo aver ottenuto il permesso di recarsi all’estero, per la prima volta dopo
la Rivoluzione – Anna fu a Roma, oltre che in Sicilia dove ricevette il premio
Etna-Taormina.
Quando morì ebbe un funerale di Stato e la bara fu seguita da un enorme cor-
teo che voleva mostrare gratitudine ad una figura esemplare che aveva saputo
esprimere i sentimenti di tutto un popolo nei momenti più difficili di una storia
personale e collettiva.
Cinquant’anni dopo l’incontro con Modigliani, Anna scriverà la monografia
“Amedeo Modigliani” dove parla del geniale amico che le aveva fatto e regala-
to 16 ritratti. Tutti, tranne uno, furono smarriti nella tempesta della rivoluzione
russa e delle guerre. L’unico sopravvissuto con la dedica, era per Anna un
bene prezioso, che conservò gelosamente nella valigetta dove custodiva tutto
ciò che le era rimasto.
La poetessa consegnò personalmente il testo originale, che fa parte delle “Me-
morie”, a Giancarlo Vigorelli, che nella traduzione di A. M. Ripellino, lo pubbli-
cò in esclusiva mondiale su “L’Europa Letteraria” (n. 27, Roma, marzo 1964)3.
La figura di Modigliani occupa moltissimo spazio nell’opera poetica di Anna.
Anche Achmatova lo ha – importantissimo – nell’opera di Modigliani, soprat-
tutto nel famoso “Période nègre”.
Anna Achmatova e Amedeo Modigliani si erano incontrati per la prima volta
a Parigi nel 1910. La Parigi degli artisti, dei Salon d’Automne, la Parigi russa
così seducente e affascinante, crocevia artistico di tutti gli intellettuali europei
e non solo, favorì sicuramente il loro incontro.
Proprio in quell’anno nella capitale francese era giunto da San Pietroburgo
Igor Stravinskij4. Era venuto al seguito dei Balletti Russi, la famosa compagnia
dell’impresario Serghej Diaghilev5 che aveva portato in Europa occidentale la
musica, i coreografi e i danzatori russi. In quello stesso anno Djaghilev aveva
commissionato a Stravinskij il primo balletto L’Uccello di Fuoco che venne rap-

3
Per il presente lavoro è stato utilizzato il testo tradotto da A.M.Ripellino.
4
Igor Stravinskij (1882-1971)
5
Serghej Djaghilev (1872-1929), impresario teatrale russo, organizzatore e direttore artistico dei
famosi Ballets Russes, da cui presero il via le carriere artistiche di importanti ballerini e coreo-
grafi.

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presentato il 20 giugno del 1910.
Poi Stravinskij compose la seconda partitura per Diaghilev, l’originalissimo
Petruska, che venne rappresentato il 13 giugno 1911.
E’ cosi che Anna, attraverso la limpidezza della sua prosa ci trasmette l’atmo-
sfera che si respirava a Parigi in quegli anni:
“Ciò che era allora Parigi, già all’inizio degli Anni Venti veniva chiamato
“Vieux Paris et Paris avant guerre”. Numerose ancora prosperavano le carroz-
ze con le loro bettoline “Au rendez-vous des cochers” ed erano ancora vivi quei
miei giovani contemporanei che presto sarebbero periti sulla Marna e presso
Verdun. Tutti gli artisti di avanguardia, tranne Modigliani, erano riconosciu-
ti. Picasso era altrettanto famoso di quanto lo è oggi, ma chissà perché si diceva
sempre “Picasso e Braque”. Ida Rubinstein recitava Salomè, i “Balletts Russes”
di Diaghilev (Stravinskij, Nizínskij, Pàvlova, Bakst, Karsàvina) erano diventati
una tradizione elegante.
Adesso ci è chiaro che il destino di Stravinskij non è rimasto inchiodato al
Dieci; la sua opera è divenuta la suprema espressione musicale dello spirito
del Ventesimo secolo (...). L’apertura dei nuovi boulevards attraverso il corpo
vivo di Parigi (se ne veda la descrizione in Zola), non era ancora del tutto
conclusa (Boulevard Raspail).Werner, un amico di Edison, mostrandomi alla
Taverne du Panthéon due tavolini, mi disse: “Ecco i vostri socialdemocratici:
qui i bolscevichi e là i menscevichi”. Con alterno successo le donne tentavano
di portare ora“jupes-culottes”, ora “jupes entravées”, quasi fasciando le gambe.
I versi languivano nell’abbandono, e si acquistavano solo per le vignette di
pittori più o meno famosi. Già allora io capivo che la pittura parigina aveva
divorato la poesia francese.
René Ghil propugnava “la poesia scientifica”e i cosiddetti scolari di questo mae-
stro gli facevano visita di malavoglia.
Un operaio italiano rubò la Gioconda di Leonardo, per riportarla in patria.. (...)
“A quel tempo i primi aeroplani, (Gumiliòv: su pesanti macchine rombanti /
penetrare le nubi tempestose...) leggeri e simili, com’è noto, a scansie, volteggia-
vano sopra la mia rugginosa e sbilenca coetanea Torre Eiffel, (1889). Essa rasso-
migliava, ai miei occhi, a un gigantesco candeliere, dimenticato da un colosso
in mezzo a una capitale di nani. ma tutto ciò ha qualcosa di gulliveriano.
…e intorno imperversava il cubismo da poco vincitore, il cubismo che restò
estraneo a Modigliani
Marc Chagall aveva già portato a Parigi la sua magica Vitebsk e per i viali
di Parigi camminava, giovane sconosciuto, astro non ancora sorto, Charlie
Chaplin,(il Grande Muto ancora eloquentemente taceva).6
Ma come si conobbero l’Achmatova e Modigliani? Chi era Achmatova pri-

6
Anna Achmatova. I miei incontri con Modigliani, in Maiolino, Enzo, Modigliani vivo. Testimo-
nianze inedite e rare. Fògola Editore (Torino, 1981) pp. 155-156-157.

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ma che incontrasse il grande artista
italiano? E Modigliani cosa faceva a
Parigi?
Anche Anna come Amedeo era nata
sul mare, precisamente a Bolshoj
Fontan, nei pressi di Odessa nel 1889.
E Odessa, come Livorno era ed è un
importantissimo porto. Anna fece ap-
pena in tempo a vedere il mare che la
sua la famiglia si trasferì prima a Pa-
vlovsk, poi nel 1905 a Zarskoje Selo, il
villaggio degli zar, a pochi chilometri
da Pietroburgo, residenza estiva della
corte imperiale e sede del Liceo che
ebbe tra i suoi allievi anche Puskin.
Alla sola età di cinque anni Anna
parlava già il francese, a undici ave-
va scritto la prima poesia. Ne scrisse
moltissime ancora soprattutto da gio-
vane studentessa presso il Liceo fem-
Anna Achmatova
minile e quando manifestò l’intenzio-
ne di pubblicarle decise di sottoporle
al giudizio del suo severo padre, il quale, senza esitare, la definì poetessa deca-
dente suggerendole di scegliere un altro nome, uno pseudonimo per esempio,
per non offrire l’onorato nome di famiglia alla curiosità dei giornali.
Anna non ci pensò due volte.
Anna si chiamava, infatti, Anna Andreevna Gorenko e la sua famiglia vantava
origini illustri: si diceva che discendesse dal grande khan tartaro Achmat che
nel 1480 aveva lanciato l’ultima grande offensiva dell’Orda d’Oro contro i
Principi di Mosca e che fu ucciso nella sua tenda da un pugnale russo ma da
mano tartara. Ad Anna spesso piaceva dire quasi con civetteria che tra i suoi
antenati vi era anche il leggendario Gengis Khan, detto fatto Anna Andreevna
Gorenko divenne Anna Achmatova.
Anna, fin da bambina, nascondeva un segreto di cui il suo primo marito Ni-
kolaj Gumilev ne verrà subito a conoscenza tanto che la chiamerà spesso nei
suoi versi koldun’ja, cioè strega. Pochi sapevano che era una chiaroveggente,
che leggeva il pensiero altrui, avendo pure visioni premonitrici.
Non a caso era nata il 23 giugno nella notte di San Giovanni, o come si fe-
steggiava nel mondo slavo pagano “la notte di Ivan Kupala”, notte in cui si
risvegliavano le streghe e le rusalki dai corsi d’acqua della Russia, notte di
magie e di incantesimi. La tradizione vuole che in quelle ore le potenze sia del
bene che del male siano talmente forti che la Chiesa Ortodossa avesse istituito
speciali riti di purificazione.

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Queste superstizioni conservavano la loro forza anche tra l’intellighenzia e
all’Achmatova piaceva avere poteri pericolosi.
Nei suoi versi Anna chiamerà spesso se stessa rusalka e sonnambula.
La sua amichetta di Zarskoje Selo la ricorda in una notte di plenilunio mentre
cammina in un vestito bianco sul tetto di casa.
Un’altra amica la ricorda come nuotava nelle acque scure dei laghetti e stagni
e cosi la descrive “era sottile e flessuosa come una verghetta di salice e nuotava
bene come una vera e propria rusalka”. 7
E così la giovane strega e rusalka vagava per le vie e i parchi di Zarskoje Selo.
Il Villaggio degli zar, in effetti, dove ancora oggi domina – con i suoi colori
bianco azzurro e le fiabesche cupole dorate – la residenza estiva di Caterina,
era un mondo molto particolare: a pochi chilometri da Pietroburgo, immersa nel
verde e nei corsi d’acqua, era il luogo preferito, per riparasi dalla calura estiva
dell’aristocrazia e nobiltà pietroburghese.
Nel 1905 i genitori di Anna si separarono e la giovinetta insieme alla madre e
ai fratelli si trasferì sul Mar Nero poi a Kiev, dove terminò il ginnasio e s’iscrisse
alla Facoltà di Giurisprudenza dei Corsi Femminili Superiori.
Si trasferì di nuovo a Pietroburgo per frequentare i corsi superiori femminili di
Raev.
Fu nell’anno 1910 che decise di sposare Nikolaj Gumilev8.
L’elegante poeta, con le sue impeccabili divise bianche di ufficiale zarista, si era
innamorato pazzamente di lei fin dal primo momento che la vide a Zarskoje
Selo, dove si era venuto a stabilire con la famiglia nel 1903, dopo diversi anni
passati a Tbilisi (Georgia). Fu amore a prima vista da parte sua, invece pare che
Anna lo rifiutasse molte volte.
L’atteggiamento di Anna nei confronti di Gumilev era sempre stato abbastanza
confuso. Nel 1907 scriveva a S. Stein: “Mi sposerò con il mio amico d’infanzia
Nikolaj Stepanovic Gumilev. Lui mi ama già da tre anni ed io credo che il mio
destino sia di essere sua moglie. Se lo amo veramente non so…”9.
Nonostante questa confessione nel 1908 Anna rifiuta per l’ennesima volta la
proposta di matrimonio, allora Gumilev ormai rassegnato se ne andò a Parigi
dove, tra le varie cose, pubblicherà sulla rivista “Sirius” una poesia di Anna.
Tornò a Zarskoje Selo l’anno dopo e chiesta nuovamente la mano di Anna,
questa volta lei accettò.
Che cosa fosse cambiato in Anna non c’è dato saperlo, forse era diventato più
interessante ai suoi occhi? Forse si era veramente innamorata di lui? Certamen-
te ad Anna non mancavano i corteggiatori, il fatto è che il 25 aprile del 1910 lei

7
Nosik, Boris, Anna i Amedeo, istorija tainoj ljubvi Achmatovoj I Modigliani. Vagrius ed. (Mo-
sca, 2005) pp19-20.
8
Nikolaj Gumilev (1886-1921), fondatore della Corporazione dei poeti, da cui prese vita il mo-
vimento acmeista.
9
Op.cit. p.27.

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e Gumilev si sposarono a Kiev nella
cattedrale Nikolskij, lungo le rive del
fiume Dnepr.
Nessun membro della famiglia di
Anna si presentò: i Gorenko ritene-
vano che questo matrimonio fosse un
grave errore.
Subito dopo le nozze i coniugi par-
tirono per la luna di miele, ma dove
potevano andare due giovani poeti
russi se non a Parigi? E così fu. Ed è
proprio a Parigi che la attenderà il pri-
mo incontro con Amedeo che Anna
non conosceva e di cui non aveva
sentito minimamente parlare.
All’inizio di giugno del 1910 era pos-
sibile incontrare gli sposi Gumilev
per le strade di Parigi. Ci sembra qua-
si di vederli uscire la mattina dopo
la colazione, allegri e desiderosi di
Tessera ferroviaria di Anna Achmatova
andare a visitare le meraviglie che la
città offriva.
Anna era particolarmente felice perché vedeva per la prima volta la capitale
francese e sentiva parlare con una scioltezza naturale la lingua di cui aveva
sempre amato la poesia.
Visitarono la Tour Eiffel, passeggiarono lungo i Grand Boulevard, ammirarono
le eleganze delle donne parigine, la Parigi delle piazze piene di verde e dei
vicoli acciottolati con le fiaschetterie. E ancora visitarono i musei, la città me-
dievale di Cluny e il Quartiere latino, che Gumilev amava molto.
E in una Parigi bellissima ed elegante ancora ignara dei disastri che porterà di
lì a poco la Grande Guerra, tutti guardavano Anna che colpiva per la bellezza
aristocratica e per la classe.
Anna, in effetti, era considerata una delle più belle donne del suo tempo, si
vociferava che di lei si fosse perfino innamorato a suo tempo anche lo zar
Nicola II. Alta, magra, con lunghe gambe, braccia sottili, un viso illuminato
da occhi sensibili e acuti, un naso aquilino che aveva affascinato i suoi ritrat-
tisti, era l’immagine della femminilità, affascinante, dominante e misteriosa. E
quest’alone di mistero talvolta si accentuava ancor più quando in lei si fon-
devano per chissà quali strane alchimie il suo essere chiaroveggente, rusalka,
strega e poetessa allo stesso tempo e così agli occhi dei passanti appariva
come una misteriosa aristocratica giunta da chissà quale misterioso paese.
Passeggiando per la città e godendo delle meraviglie che si presentavano
davanti al suo sguardo, Anna era assolutamente ignara che a breve avrebbe

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incontrato Amedeo Modigliani.
Anche la vita di Amedeo, come quella di Anna era una vera e propria leggen-
da.
Modigliani sosteneva che la vita doveva essere vissuta fino in fondo, senza
inutili sacrifici, incurante degli ostacoli, ma con una ben chiara meta, talvolta
anche con dolore, al fine di salvare il proprio sogno.
Anche lui come Anna era un chiaroveggente e di questo pochi ne erano a
conoscenza e di tale dote particolare ne fa riferimento esplicito la stessa Anna
nella sua memoria: “Ora capisco, che in me soprattutto lo aveva colpito la mia
facoltà di indovinare i pensieri, di vedere i sogni altrui, e varie inezie, alle qua-
li erano già abituati coloro che mi conoscevano da tempo. Ripeteva sempre:
“On communique”. Spesso diceva:“Il n’y a que vous pour réaliser cela””.10
Scoprì probabilmente di avere questi doti in età precoce, infatti all’età di soli
quattordici anni a causa di un terribile delirio dovuto ad una febbre tifoidea,
Amedeo rimase in sospeso tra la vita e la morte per diverso tempo. Proprio
durante la convalescenza frequentò l’atelier del pittore livornese Guglielmo
Micheli, dove conobbe Oscar Ghiglia. E’ in questo periodo che scoprì la bohè-
me, il tabacco, le donne e soprattutto lo spiritismo. I suoi contemporanei ce lo
descrivono come un ragazzo bellissimo e affascinante, come possiamo leggere
nella testimonianza lasciataci dal suo primo mecenate Paul Alexandre11: ““Mo-
digliani affascinava fin dal primo istante” “Nonostante la bassa statura (era
alto meno di un metro e sessanta), era molto bello e aveva un gran successo
con le donne”; “ Era un aristocratico nato” (…) “Modigliani aveva il gusto del
rischio. Egli pensava che non bisogna aver paura di rischiare la vita per ren-
derla grande. Insieme a un’acuta intolleranza per la vita mediocre, c’era in lui
la pretesa dei privilegi dei principi”; “ E che aveva una passione esclusiva per la
sua arte. Neanche parlarne di abbandonare anche per un solo istante, per dei
compiti che ai suoi occhi apparivano sordidi, ciò che era la sua stessa ragione
d’essere”; “Possedeva già radicata in sé, la certezza del proprio valore. Sapeva
di essere un iniziatore , non un epigono””.
Modigliani aveva lasciato la sua Livorno giungendo a Parigi nel 1906 all’età di
soli ventidue anni.
Chissà cosa avrà significato per lui, come del resto per molti altri giovani artisti
del suo tempo, abbandonare la propria terra, i propri affetti, andare lontano da
tutti e da tutto. Ma era forte e quel senso di forza gli derivava probabilmente
dalle battaglie che aveva condotto contro la malattia e contro la morte.
Parigi era allora per tutti gli inquieti, gli sradicati e anche per i veri profeti e
per schiere di illusi e di velleitari, il vero luogo d’approdo per cercare il cata-

10
Op. cit. P. 149
11
Modigliani, Amedeo, L’angelo dal volto severo. Catalogo della Mostra, Milano, Palazzo Reale
21 marzo-6 luglio 2003, Skira edizioni, Milano 2003, pag 12 -13.

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lizzatore della propria, vera o presunta
vocazione.
Parigi, la città del sogno, nella quale
ogni genio sregolato, ritenuto tale in pa-
tria, nella sua città, un pazzo da segna-
re a dito, si poteva finalmente sentire a
suo agio in mezzo a tanti altri, ritenuti
anch’essi folli, pur nel pieno esercizio
d’ogni eventuale sua follia o stravagan-
za.
A Parigi c’era Cézanne, che morì l’an-
no stesso dell’arrivo di Amedeo. C’erano
Matisse e Picasso. C’era Soutine che farà
parte del cerchio delle sue amicizie più
intime. C’era lo scultore Brancusi. C’era-
no anche Utrillo e Diego Riviera.
L’anno dell’incontro con Anna, Amedeo
aveva esposto con successo sei opere al
Amedeo Modigliani, 1915 Salon des Indépendants, tra cui spicca il
Violoncellista e venne segnalato entusia-
sticamente dal critico Alexandre. Questo
è il periodo in cui Modigliani lavora ancora contemporaneamente alla scultura
e alla pittura. Successivamente a partire dal 1911 avrà inizio la produzione
famosa nota con il nome di Cariatidi,12 tra cui, in una, la famosa Mademoiselle
Grain de Café13, sembra abbia tratto ispirazione dalla stessa Anna che proba-
bilmente posò per lui.
Di questa passione per l’arte africana e per la scultura ce ne parla la stessa
Anna nella sua memoria: “A quel tempo si occupava di scultura, lavorando in
un cortiletto vicino allo studio (nel deserto vicolo si udiva il battito del suo mar-
tellino), in aspetto operaio. Le pareti del suo studio erano tappezzate di ritratti
di inverosimile lunghezza (se ben rammento dal pavimento al soffitto). Non ne
ho mai visto riproduzioni: sono sopravvissute? Egli chiamava la sua scultura
“la chose”: fu esposta mi pare agli Indipéndants, nel 1911. Mi pregò di venirla
a vedere, ma alla mostra non mi avvicinò, perché non era sola, ma con amici.
Nell’epoca delle mie grandi perdite, è scomparsa anche la fotografia che mi
aveva donato di questa “sua cosa”.

12
Il periodo cosiddetto delle Cariatidi si colloca dal 1911 al 1913, Modigliani era particolarmente
affascinato dall’arte etrusca, ma anche dall’arte negra, molto in voga quando arriva a Parigi. Le
numerose cariatidi dipinte da Modigliani a partire dal 1910 sono studi preparatori per sculture:
ne esegue due a figura intera, le altre due sono solo teste. Tra il 1911 e il 1913 dipinge una doz-
zina circa di oli di grande formato, studi approfonditi di sculture che sogna di realizzare.
13
Olio su tela 72,5x50 cm conservato a Dusseldorf, Kunstsammlung, Nordrehein Westfalen.

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A quel tempo Modigliani s’infervorava per l’Egit-
to. Mi conduceva al Louvre a visitare il reparto
egiziano, assicurandomi che “tout le reste” non
meritasse attenzione. Disegnò la mia testa con
gli addobbi delle regine egiziane e pareva del
tutto ammaliato dalla grande arte dell’Egitto. E’
chiaro, l’Egitto fu la sua ultima infatuazione.
Presto sarebbe divenuto cosi originale da non ri-
chiamare più nulla alla mente di chi ne gurada
le tele. Questo periodo di Modigliani viene ora
chiamato “période nègre”. Diceva “Les bijoux
doivent être sauvages” riferendosi alle mie perle
africane, e mi ritrasse con quella collana.”14
Con la larga giacca di velluto alla maremmana,
un foulard rosso al collo e un cappello a larghe
falde, Modigliani si era ben introdotto nella vita
di Montmartre. Modì trascorreva le sue giorna-
te dipingendo e partecipando alle discussioni
sull’arte nei vari café. Amedeo Modigliani, Testa di
La Parigi artistica era quella dei café, dei bistrot Cariatide (part.)
e dei cabaret, dove c’erano accesissime discus-
sioni sull’arte, sulla poesia e sulla musica, riunendo gli “spiriti nuovi” del XX
secolo.
In particolare al café La Rotonde di Montparnasse si ritrovavano artisti e poeti,
scultori, pittori, attrici, calorosamente accolti dal proprietario Victor Libion.
La Rotonde con i suoi illustri ospiti, con la musica e le sue voci diventerà il
palcoscenico del primo incontro tra Anna e Amedeo.

Era tardo pomeriggio.


Il giorno s’involava velocemente verso il tramonto che a breve avrebbe pen-
nellato con i suoi colori rosso-arancio tutta Parigi.
Era una calda serata di giugno .
Quel giorno Amedeo aveva lavorato molto e come di consueto intorno alle sei
uscì dal suo studio e si diresse a La Rotonde. Indossava la solita giacca con la
sciarpa rossa e teneva in mano un blocco notes azzurro.
Il Café non era ancora affollato a quell’ora. Entrò, si guardò intorno, poi si
andò a sedere ad un tavolino. Era solo. I suoi amici come di consueto sareb-
bero arrivati più tardi.
Amedeo cominciò a disegnare. Interrompeva qua e là il suo lavoro sorseggian-
do del vino che gli era stato portato al tavolo dal cameriere.

14
Op.Cit. pp. 150-151.

81
Ogni tanto alzava gli occhi alla ricerca
di qualcosa che lo potesse ispirare.
E proprio mentre si guardava intorno,
a un certo punto lo sguardo s’incro-
ciò con un altro.
Gli apparve una giovane donna, mai
vista prima.
“Chissà da dove viene?” si domandò,
con il cuore che cominciò a battere
velocemente. Del resto Amedeo era
particolarmente sensibile al fascino
Parigi. Amedeo Modigliani, Pablo Picasso
e André Salmon delle belle donne, e subito pensò
“Che strano, le donne vengono così
raramente a quest’ora in questo locale”.
Anche lei rimase come trafitta da quello sguardo che non resse, abbassò im-
mediatamente gli occhi, chissà, forse per pudore.
Amedeo si alzò istintivamente e le si andò a sedere davanti.
Anna era sola.
Proprio qualche minuto prima, davanti all’entrata de La Rotonde, Gumilev
aveva incontrato una sua vecchia conoscenza di Parigi e si era fermato a chiac-
chierare; Anna, stanca per la lunga camminata, gli aveva detto che lo avrebbe
aspettato all’interno.
Era curiosa di vedere questo Café famoso, frequentato anche da molti esuli
politici russi che in quel periodo vivevano a Parigi.
Appena entrata, Anna aveva notato da subito quell’uomo, bello, interessante
e con la sciarpa rossa.
Ancora dopo tanti anni lei continuerà a raccontare di questo istante, e ogni
volta lo faceva in modo diverso, rilevando sempre che Amedeo non assomi-
gliava a nessun altro uomo al mondo.
“Penso che sia un ebreo e com’è interessante!” pensò Anna tra se e sé.
E Amedeo “Che interessante francese!”. Mai e poi mai Amedeo avrebbe pen-
sato che Anna fosse russa.
Fu lei a cominciare a parlare, in francese, naturalmente:
“Come potete lavorare in questo inferno?”
E lui prontamente rispose:
“Sì, avete proprio indovinato. Questo è un inferno. Il mio paese è l’Italia, dove si
respira ovunque l’arte. La mia città natale è Livorno. La mia felicità e la mia sa-
lute non sono qui, sono rimaste là. Ma dipingere è più forte e soffro, sono infelice
ma lavoro. Solo a Parigi mi è possibile lavorare, anche se qui la vita è dura”.
Anna aggiunse: “Anch’io vengo da molto lontano, sono russa e scrivo versi”.
In quel preciso istante Anna aveva come dimenticato per quale motivo, si tro-
vasse a Parigi, che era in luna di miele e che era con suo marito, non aggiunse
altro, infatti. Era come se quell’incontro avesse catalizzato verso di sé tutte le

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loro esistenze e allo stesso tempo avesse riempito di un’energia straordinaria
lo spazio circostante, annullando tutta la realtà intorno.
All’improvviso Amedeo tracciò una linea sul suo blocco che le mostrò.
Anna rimase sconvolta e all’improvviso sentì qualcosa di talmente forte che
come presa da una paura improvvisa, si alzò di scatto per andarsene.
Dalle porte di vetro intarsiato di fiori di mille colori si poteva scorgere la sa-
goma di Gumilev che stava ancora parlando animatamente con il suo amico
parigino. Amedeo la afferrò per un braccio e le chiese di fermarsi ancora un
attimo e di lasciargli l’indirizzo.
Se solo Gumilev fosse entrato in quel momento e avesse assistito alla scena,
probabilmente, la loro storia avrebbe avuto un seguito diverso.
Anna, sorpresa dalla richiesta, rispose: “Ve lo porterò, tornerò ancora” e uscì.
Anna convinse Gumilev a continuare la passeggiata.
Con la scusa banalissima di aver lasciato il suo scialle la sera prima su una
sedia del Café, Anna tornò il giorno dopo a La Rotonde alla stessa ora con la
speranza di rivederlo. Per chissà quale strano motivo del destino, anche questa
volta Gumilev la aspettò fuori. E Amedeo era lì, come se la stesse aspettando:
Anna gli porse velocemente un foglietto accartocciato e ingiallito e fuggì via
prima di essere vista.
La luna di miele finì, i coniugi Gumilev fecero ritorno in Russia e Anna lascian-
do la Francia portò con sé la speranza e il desiderio di rivedere il bel giovane
toscano che l’aveva ritratta sul suo blocco.
Amedeo, il cui volto le era rimasto impresso come un’immagine indelebile
nella memoria, le scrisse tutto l’inverno lettere folli piene di frasi d’amore.
L’anno dopo, esattamente all’inizio dell’estate, Anna decise di tornare a Parigi.
Questa volta da sola.
Anna giunse a Parigi esattamente un anno dopo all’inizio dell’estate. Alloggiò
sulla riva sinistra della Senna, in Rue Bonaparte, non lontano dal Boulevard
St. Germain.
Sarebbe molto interessante conoscere i dettagli di questo viaggio, purtroppo
non c’è dato saperlo, le informazioni si sono perdute probabilmente nella tra-
gedia delle guerre e in quella personale della stessa Anna.
Probabilmente fu lo stesso Gumilev a pagarle il viaggio e Amedeo a trovarle
l’alloggio. In effetti, la casa in cui alloggiò era vicino a Montparnasse e all’Im-
passe Falguière dove l’artista aveva il suo laboratorio.
E’ assolutamente ignoto cosa sapesse e cosa pensasse Gumilev di quel viaggio
e chi dei russi che vivevano a Parigi vide Anna insieme a Modigliani.
Amedeo arrivò con un’ora di anticipo alla stazione e quando la vide scende-
re dal treno la trovò ancora più bella di quando l’aveva vista esattamente un
anno prima a La Rotonde; non notò nemmeno i segni della stanchezza sul
volto, dovuti al lungo viaggio.
Lui, invece, agli occhi di Anna apparve cambiato: “Presto fede a coloro che
lo descrivono diversamente da come io lo conobbi. Ed ecco perché. Anzitutto

83
io potei conoscere solo un aspetto della sua natura (quello splendente): ero
soltanto un’estranea, una straniera, una donna ventenne probabilmente non
molto comprensiva; e poi io stessa notai in lui un gran cambiamento, quando
ci incontrammo nel 1911. Si era come offuscato e smagrito”.15
E così ebbe inizio quella storia che Anna porterà sempre con sé nel cuore e,
negli anni terribili, contrassegnati da dolori e privazioni, il ricordo di Amedeo
la aiuterà a sopravvivere..
Due anime giovani, di una sensibilità superiore, due artisti che trovano il loro
pieno completamento fisico e spirituale, che così raramente s’incontra. L’inten-
sità di questi attimi, immortalati nel segno grafico e artistico, hanno sconfitto il
tempo e ci sono stati consegnati intatti e sicuramente vivranno in eterno. Per
entrambe era importante vivere più intensamente possibile questo momento,
non cosa sarebbe stato il dopo. “Probabilmente io e lui non capivamo una
cosa essenziale: che tutto ciò che stava accadendo era preistoria della nostra
vita: molto corta la sua , la mia molto lunga. Il soffio dell’arte non aveva an-
cora incenerito, né trasformato queste due esistenze: doveva essere un’ora lu-
minosa, leggera, antelucana. Ma, com’è noto, il futuro proietta la sua ombra
molto prima di entrare, bussava alla finestra, si nascondeva dietro i lampioni,
intersecava sogni e metteva spavento, con la terribile Parigi di Baudelaire,
che ci stava accanto, chissà dove in agguato. E tutto ciò che v’era di divino
in Amedeo sfavillava soltanto attraverso uno strato di tenebre. Aveva la testa
di Antinoo ed occhi dalle scintille d’oro, - non assomigliava assolutamente a
nessuno al mondo. La sua voce mi è rimasta per sempre nella memoria. Lo
sapevo povero, tanto che non si capiva di cosa vivesse,- come artista, nemmeno
un’ombra di riconoscimento”.
E così trascorsero questi momenti indimenticabili Anna e Amedeo:
“Abitava allora (nel 1911) all’Impasse Falguière. Era indigente a tal punto che
al giardino del Lussemburgo noi sedevamo sempre su una panchina, e non,
come usava, su seggiole a pagamento. Non si lagnava affatto né della miseria
del tutto palese né dell’altrettanto palese disconoscimento. Solo una volta nel
1911 disse che nell’inverno precedente aveva avuto tali disagi, da non poter
nemmeno pensare a ciò che gli era più caro.
Mi pareva attorniato da un anello compatto di solitudine. Non ricordo che sa-
lutasse qualcuno al giardino del Lussemburgo e al Quartiere Latino, dove tutti
più o meno si conoscevano. Non udii da lui nemmeno un nome di conoscente,
di amico o pittore, da lui non udii nemmeno uno scherzo. Non una volta lo
vidi ubriaco, e non emanava sentore di vino. È evidente che cominciò a bere
più tardi, ma l’hascisc già compariva nelle sue narrazioni. Non aveva allora
palesemente una compagna di vita. Non raccontava mai novelle (come , ahi-
mè, tutti fanno) sui suoi invaghimenti di prima. Con me non soleva parlare di

15
Op.cit. p. 149

84
cose terrene.. La sua cortesia era conseguenza, non dell’educazione domesti-
ca, ma della sublimità del suo spirito”.16
Amedeo fece da guida ad Anna a Parigi: “Mi portava a vedere le vieux Paris
derrière le Panthéon, di notte, alla luce lunare. Conosceva bene la città, eppure
una volta ci smarrimmo. Disse: “J’ai oublié qu’il y a un ‘île au milieu [L’île St
Louis]. Fu lui a mostrarmi l’autentica Parigi”.17
E mentre passeggiavano amavano recitare poesie: “Nella pioggerella (frequenti
sono le piogge a Parigi), Modigliani andava con un enorme, decrepito ombrel-
lo nero. Sotto questo ombrello sedevamo talvolta su una panchina al giardino
del Lussemburgo, cadeva una tiepida pioggia d’estate, accanto a noi sonnec-
chiava “le vieux palais à l’italienne”, e a due voci recitavamo Verlaine, che
ciascuno di noi ricordava a memoria, felici di ricordare gli stessi passaggi.(...)
Gli anziani ci indicavano per qual viale del giardino del Lussemburgo andas-
se, con uno stuolo di ammiratori , Verlaine, recandosi dal “suo caffè”, dove
ogni giorno teneva cattedra, nel “suo ristorante” a pranzare. Ma nel 1911 per
questo viale passava, non più Verlaine, bensì un alto signore dalla finanziera
impeccabile, col cilindro e il nastrino della Legion d’honneur,- e i vicini bisbi-
gliavano: “Henri de Régnier”.
Per noi due questo nome non aveva alcun suono particolare. Di Anatole Fran-
ce, Modigliani (come, del resto, anche altri parigini colti), non voleva nem-
meno sentir parlare. Si rallegrava che anch’io non lo amassi. E Verlaine, al
Giardino del Lussemburgo, esisteva soltanto in aspetto di monumento, un mo-
numento inaugurato quell’anno. Di Hugo, Modigliani disse semplicemente:
“Mais, madame, Hugo c’est déclamatoire”. (...) Modigliani si rammaricava
molto di non poter capire i miei versi e sospettava che vi si celassero chissà che
miracoli, mentre erano solo i primi timidi tentativi.(...) Più d’ogni altra cosa
noi parlavamo insieme di poesia. Sapevamo entrambi molti versi francesi: Ver-
laine, Laforgue, Mallarmé, Baudelaire.
Non mi recitò mai Dante. Forse perché io non conoscevo ancora a quel tempo
la lingua italiana”.18
Anna andava spesso da Amedeo e posava per lui: “Mi regalò i disegni che mi
fece a casa sua. Erano sedici. Andarono perduti nella mia dimora di Zàrskoe
Selò nei primi anni della rivoluzione. Ne è rimasto solo uno, in cui purtroppo
si presagiscono meno che negli altri i suoi “futuri nudi”...19
Le loro giornate scorrevano via leggere nella Parigi calda di inizio estate.
“Una volta, probabilmente per esserci male accordati, recatami da Modigliani,
non lo trovai a casa; decisi di aspettare qualche minuto. Avevo in mano un

16
Op.cit, p.150
17
Op.cit. p.151
18
Op.cit, pp151,152, 156
19
Op.cit. p.156

85
fascio di rose rosse:la finestra sopra il portone chiuso dello studio era aperta.
Non sapendo che fare, cominciai a buttar dentro lo studio quei fiori ad uno ad
uno. Poi, non vedendolo venire me ne andai.
Quando ci incontrammo, egli espresse il suo stupore che io fossi riuscita ad
entrare nella camera, di cui lui aveva la chiave. Gli spiegai. Disse: “ Non può
essere , erano disposti cosi bene…
A Modigliani piaceva vagare di notte per Parigi e spesso, all’udire i suoi passi
nel sonnacchioso silenzio della via, levatami dallo scrittoio, mi avvicinavo al
davanzale, osservando attraverso le persiane la sua ombra che indugiava sotto
le mie finestre.”20
E’ notte, la strada è deserta, c’è soltanto la luna, che con i suoi raggi opalini si
insinua tra i palazzi e avvolge in un’aurea fiabesca e magica i due giovani ar-
tisti. Anna e Amedeo stanno rincorrendosi, forse hanno bevuto un po’ troppo,
lei si nasconde nell’atrio di un portone, lui la cerca e appena trovata l’avvolge
tra le sue braccia. Lei come in una danza, si lascia andare in un caschè. Ame-
deo la soffoca di baci.
Poi, ebbri d’amore, per mano escono e corrono verso casa.
Salgono di corsa le scale, dalla via si sentono le loro risa.
Dalla finestra, senza tende, si vede proiettata dalla luce di una candela la loro
ombra sul muro della stanza. Non si riescono a distinguere i due corpi.
Il buio avvolge adesso la stanza.
E arrivò anche il momento dell’addio, della loro ultima passeggiata, del loro
ultimo incontro, l’ultima notte.
E’ Anna ad andare da lui quella notte. Non c’è più la felicità e l’allegria dei
giorni precedenti. Tutto adesso è molto triste, non ha senso promettersi che
un giorno si sarebbero rivisti perché entrambi sapevano con certezza che non
sarebbe stato possibile.
Quell’autunno Anna, tornata a Zarskoje Selo scriverà “Il canto dell’ultimo in-
contro”, versi che in quel periodo divennero i più alla moda a Pietroburgo.

Così debole il petto intirizziva,


ma i miei passi erano lievi.
Nella mano destra infilai
Il guanto della sinistra.

Parevano molti i gradini,


ma io sapevo che erano tre soli!
Un bisbiglio autunnale tra gli aceri
Supplicò:“Muori con me!”

20
Op.cit. 152,153

86
Sono ingannato dalla mia sorte
Squallida, volubile, maligna”.
Risposi:“Mio caro, mio caro!
Io pure. Morrò con te…”

Questo è il canto dell’ultimo incontro.


Volsi lo sguardo sulla casa buia.
Soltanto nella camera ardevano candele
D’una fiamma indifferentemente gialla.

E poi ci furono le lacrime. La stazione, l’ultima conversazione, l’ultimo abbrac-


cio. Amedeo l’accompagnò per l’addio. Lei gli aveva però chiesto di andarse-
ne, non voleva che Amedeo la vedesse partire.
E cosi Anna fece ritorno in Russia.
Amedeo morirà nove anni più tardi, il 24 gennaio del 1920.
Anna ebbe notizia della sua morte qualche tempo dopo: “All’inizio della NEP,
quando io facevo parte della Direzione dell’Unione degli Scrittori, ci si riuni-
va nello studio di Aleksandr Nikolaevic Tichonov (Leningrado, Mochovaja 36,
Casa Editrice della Letteratura Universale). Si ripresero allora i rapporti postali
con l’estero, e Tichonov riceveva molti libri e riviste stranieri. Durante una
seduta qualcuno mi diede il numero di una rivista francese di pittura. Aprii:
una foto di Modigliani…Una croce…Un lungo articolo-necrologio, dal quale
appresi che era un grande pittore del ventesimo secolo (ricordo che vi veniva
paragonato a Botticelli), che su di lui esistevano già delle biografie in inglese
e in italiano. Poi negli anni trenta mi parlò molto di lui Erenburg, che gli de-
dicò dei versi nel libro Liriche delle vigilie, e che lo aveva conosciuto a Parigi
più tardi di me. Lessi di Modigliani anche nel libro di Carco, Da Montmartre
al Quartiere Latino, e in un romanzo feuiletton, in cui l’autore lo metteva ac-
canto a Utrillo. Posso affermare con sicurezza che questa figura non è affatto
simile all’Amedeo del dieci-undici e che ciò che di lui ha fatto l’autore concer-
ne la categoria degli espedienti vietati.
Da noi lo conoscono, adesso, tutti coloro che si interessano di arte contempo-
ranea. E all’estero, è cosi famoso che gli han consacrato, purtroppo , il film
Montparnasse 19.”21
Anna, esattamente un anno prima di morire e ben cinquantaquattro anni dopo
il loro ultimo addio, tornerà a Parigi e andrà vedere quella casa dove lei e Ame-
deo erano stati felici. Chissà cosa provò nel rivedere quella quella finestra……
Era il 1965.
Anna Achmatova morirà a Domodedovo, nei dintorni di Mosca, il 5 marzo
1966.

21
Op.cit. p.158

87
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