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Index 13, 1984 Per una storia del lusso nella cultura materiale fra tarda repubblica e alto impero Giuseppe Pucci Una trattazione esauriente di questo tema dovrebbe abbracciare un orizzonte eccezionalmente vasto, data l’estensione che ha ormai assunto la nozione di cultura materiale. Se dovessi seguire la traccia indicata recent mente da uno studioso noto per i suoi lavori in questo campo, dovrei esaminare almeno «gli alimenti, le fibre ¢ le loro trasformazione in tessuti, Yedilizia di abitazione e le sue tecniche, le merci piti varie (metalliche, vitree, ceramiche, litiche ¢ in materiali organici), gli edifici del lavoro e del commercio (fattorie, ville, officine, magazzini), i contenitori, [...] Partigia- nato di lusso, le arti e gli edifici relativi alla cura del corpo, allo spettacolo, alla vita pubblica e religiosa, i mezzi dell’illuminazione e del riscaldamen- to», e via di questo passo. Nel tentativo di non essere né troppo prolisso né troppo desultorio, prenderd le mosse da quelle che gid Catone individuava come tre forme specifiche di lusso: l’edilizia, Ja suppellettile, gli abiti*. Per quanto attiene al primo item, anche fermandomi solo sugli edifici privati, come intendo fare, la materia resta sempre enorme. Mi limiterd a ricordare alcuni dati, per il periodo che pit interessa in questa sede, al fine di offrire qualche spunto di riflessione ai colleghi non archeologi. Dunque, nel corso del II sec. la casa di tipo italico, cioé con vani disposti attorno a un atrio centrale, si viene a modificare con l’aggiunta di tutta una serie di ambienti di origine ellenistica (che infatti mantengono il loro nome greco): gli oeci, i triclinia, e soprattutto il peristylium, il quale perd non ha pid la funzione di ambiente centrale che aveva nella casa ellenistica, ma si situa dietro al corpo raccolto attorno all’atrio e prende il posto dell"heredium, trasformando cos! il vecchio orto in giardino di lusso, curato secondo i principi dell’ars topiaria, che si ispira piuttosto ai paradeisoi dei sovrani ellenistici*. Del resto, & stato pit volte osservato che le grandi domus tardo- repubblicane hanno delle reggie ellenistiche non solo le dimensioni — anzi in certi casi sono piti grandi* — ma anche in certo senso la funzione, dato che presentano chiaramente una parte privata e una pubblica in cui i grandi aristocratici trattavano gli affari e ricevevano le loro clientele cosi come i sovrani ellenistici tenevano la loro corte. Vitruvio conferma che i vestibula regalia, i peristylia amplissima e le silvae ambulationesque laxiores erano necessari perché nelle domus signorili si tenevano spesso sia consigli pubblici che giudizi e arbitrati privati®. I lusso era funzionale all’attivita e allo status del proprietario. La /uxuria si 2 GIUSEPPE PUCCI 1F3 introduce naturalmente anche nella decorazione: i pavimenti accolgono ora nel cocciopesto signino emblemata di mosaici figurati e la decorazione parietale, col cosiddetto I stile, anch’esso di origine greca, imita in stucco dipinto un rivestimento marmoreo. Ma anche il marmo autentico fa la sua comparsa. Dapprima forse in sordina nelle ville suburbane, poi intorno al 100 con grande clamore sul Palatino, nella casa di Crasso’. Sempre intorno al 100 nel bagno delle case private compare il riscaldamento a suspenswrae una novita forse introdotta dalla Grecia in Campania da C. Sergio Orata’, Ancora negli stessi anni viene di moda il cosiddetto II stile che sfonda illusionisticamente le pareti, trasformandole in scene di teatro di barocca sontuosita e in loggiati aperti su vedute paesistiche, o fa posto a megalogra- fie con precisi riferimenti all’arte aulica dell’ellenismo. Le esagerazioni della fase matura di questo stile, dopo la meta del I sec. a.C., detteranno a Vitruvio una celebre tirata contro i novi mores’ che facevano trovare eleganti decorazioni false e irrazionali. Il colore dominante negli affreschi & il rosso, ricavato dal cinabro, sostanza costosissima che i] committente era tenuto a fornire al pittore fuori contratto. Ricercato era anche l’azzurro vestoriano, la cui produzione — come é noto — fu impiantata in Italia da Vestorio, il banchiere puteolano amico di Cicerone’. Larredamento delle case private si arricchisce tra Il e I sec. di suppellettile adeguata ai nuovi parametri del lusso che la conquista dell’Asia aveva imposto: trapezofori, candelabri, letti di bronzo cesellato arrivano in quantita dalle officine greche, in particolare da Delo. Da Delo veniva probabilmente la nave di Anticitera, naufragata verso P80. Un po’ pid antico, tra il 100 e il 90, & un altro celebre relitto, quello di Mahdia, che portava dal Pireo in Italia un carico di pezzi architettonici e altri oggetti d’arte di marmo e di bronzo, opera di botteghe ateniesi. Il loro valore é stato recentemente stimato in circa un milione di sesterzi'*. Non moltissimo, se si ricorda che la casa di Crasso era valutata 6 milioni di HS e quella di Scauro piti di due volte tanto. Valore piti che altro di arredamento hanno gran parte delle opere d’arte acquistate in quest’epoca dai privati. La scelta — come dimostra Pepistolario ciceroniano — teneva conto pit della congruenza del soggetto con l'ambiente cui era destinato che dei valori estetici!. Il lusso avanzava in fretta. Nel 78 a.C. la casa pitt bella era stimata quella di Lepido. Una generazione dopo essa era scesa al centesimo posto”. Il fatto & che una bella casa in un quartiere di lusso era indispensabile per chi aspirava a cariche politiche. Cn. Ottavio, il primo esponente di questa famiglia a diventare console (nel 165 a.C.), fu aiutato nell’elezione proprio dalla sua casa sul Palatino, che — dice Cicerone — ‘votava’ per lui'’, Ancora Vitruvio trovava logico che forenses ¢ diserti avessero delle dimore elegantiora et spatiosiora'. In un’epoca di guerre civili e proscrizioni, anche spregiudicati avventu- rieri potevano ammassare fortune e vivere nel lusso pitt smaccato, anzi certo usavano di quel lusso per consolidare la propria immagine publica. B) PER UNA STORIA DEL LUSSO NELLA CULTURA MATERIALE 3 Crisogono, liberto di Silla, aveva la casa piena di opere d’arte ¢ di bronzi corinzi e deliaci, tra cui uno stravagante bollitore automatico (authepsa) pagato a un prezzo tale che chi presenziava casualmente all’asta aveva creduto che si stesse vendendo un fondo. Un Trimalcione «avant lettre» questo Crisogono, ma molto meno innocuo e simpatico, come sappiamo ®. Eppure la luxuria delle case urbane era relativa se confrontata con qualia delle villae. Catone, in quel frammento che ho citato all’inizio", si vanta di essere arrivato a 70 anni (siamo percid nel 164) conservando le sue ville inexcultas et rudes. Il che dimostra che altri non potevano dire altrettanto. Se la villa di Scipione Africano a Literno commuoyeva Seneca per la sua sobriet& spartana”, le ville che nei decenni successivi l’aristocra- zia romana costru{ nel Lazio e in Campania, con epicentro sul litorale di Baia, erano di un lusso inaudito, e il fenomeno ha il carattere di una vera e propria rivoluzione del costume. In un altro frammento, del 152, Catone parla di villae expolitae”, e di villae expolitissimae parla Scipione Emiliano intorno al 140 (a quest’ ultimo personaggio, va ricordato, Velleio attribui- sce la conversione di Roma all’otivm™). Nel 125 Emilio Lepido Porcina fu espulso dal senato per aver costruito una villa troppo lussuosa ad Alsium” Nel I sec. il lusso crebbe ancora, e diventd un topos polemico: basti pensare a Sallustio, che parla di case ¢ ville in urbium modum aedificatae*. Scauro aveva a Tivoli una villa che valeva il doppio della sua casa di Roma: 30 milioni di HS®. Ma non é solo I’aristocrazia senatoria ad avere ville di lusso. Lucullo, a chi gli rimproverava lo sfarzo della sua villa di Tuscolo, rispondeva: che volete, sopra di me c’é un cavaliere € sotto un liberto. Dato che le loro ville sono magnifiche, bisognera pure che io mi conceda quello che é lecito a persone inferioris ordinis*. Di Lucullo va ricordata anche la villa che faceva parte dei suoi orti suburbani sul Pincio. Filippo Coarelli ha dimostrato che l’architettura del complesso imitava intenzionalmente quella del santuario della Fortuna di Preneste, con tutte le implicazioni che un fatto del genere comporta®. Sarebbe impossibile qui esporre in dettaglio la storia delle ville dal II sec. a.C. al II sec. d.C, Sulla baia di Napoli solo dalle fonti ne sono note un cemtinaio™. Nella regione vesuviana ne sono state scavate pit di 60”. Una ventina sono note dalle fonti nel tuscolano™ e altrettante attorno a Tivo- li®. Una trentina erano nell’ager Cosanus™. Pjuttosto, per concludere questo punto, vorrei soffermarmi un mo- mento su Varrone. Varrone sa bene che é impossibile all’epoca sua tornare alla villa catoniana. La sua preoccupazione é perd quella di conciliare la voluptas con l'utilitas, la delectatio con il fructus. Percid vorrebbe che la pars urbana, la residenza padronale, non si abbellisse troppo a detrimento della pars rustica. Vorrebbe ammirare nelle ville non solo pinacothecas ma anche oporothecas*'. Gli fa eco Vitruvio quando dice che se nelle ville si costruisce qualcosa di pitt elegante (delicatius), cid deve avvenire sine impeditione rusticae utilitatis”. Un ottimo esempio ci viene proprio da Varrone. Come ha visto Coarelli, l’uccelliera della sua villa di Cassino aveva a modello 4 GIUSEPPE PUCCI (4) V'aedes Catuli di Roma, che a sua volta derivava da architetture ellenisti- che®. In realta tanto Varrone che gli altri agronomi* sanno benissimo che il lusso della villa stimola il dominus a soggiornare pitt a hungo sul fiwadus, ¢ che cid influisce sul buon andamento dell’azienda. Gli antichi insomma avevano coscienza del fatto che il lusso delle dimore rurali era direttamente funzionale alla produttivita. Solo quando era fine a se stesso diventava un elemento di disgregazione e di corruzione. Invertendo l’ordine degli altri due items catoniani, accennerd adesso ancor pid cursoriamente, se possibile, al lusso degli abiti. E plausibile che lo sfarzo nel vestire fosse in eta tardorepubblicana riprovevole; ma in definitiva abbiamo relativamente poche tracce di restrizioni nella legislazione suntuaria (e comunque minori di quelle relative al lusso della mensa), Se si esclude un provyedimento sui fulloni del 217, la cui vera finalita, come riconosce Clemente, ci sfugge®, & solo con la lex Oppia che si colpisce il lusso delle vesti muliebri colorate. Superato tuttavia lo choc di Canne, gid vent’anni dopo la legge fu abrogata**. Catone, che si batté ovviamente contro I’abrogazione e che si vantava di non aver mai indossato una veste babilonese avuta in eredita”, durante la sua censura del 184 elevd anche la tassazione degli abiti femminili®, Ma dopo non conosco vere e proprie leggi sull’abbigliamento: e infatti la luxwria dilagd anche in questo campo. Valga per tutti Pesempio della porpora. Quando nel 63:aiC B. Lenrehe Spinther per primo tinse la sua toga pretesta con porpora di Tiro, la cosa fece scandalo, anche perché il prezzo superava i mille denari la libbra. Ma ai tempi di Plinio tutti avevano la porpora nei loro triclinii. D’alora parte si sa che le qualita piti economiche scendevano a 50 denari la libbra®. Molto pitt costosi erano certamente gli abiti ricamati alla maniera frigia, la seta della Cina e le vesti attaliche, trapunte d’oro™. Agrippina arrivé a sfoggiare un abito tessuto d’oro, sine alia materia". Ma anche una materia prima semplice come la lana poteva diventare oggetto di lusso. Per ottenere particolari colorature si tingeva il vello degli animali vivi, sicché poteva capitare di vedere grepgi di tutte le tinte, come se le pecore fossero venute al mondo in quel modo — dice Plinio — cogente luxuria®. In linea generale Postilita maggiore si avverte nelle fonti per il lusso degli abiti femminili, E questo credo che dipenda da un fatto: che essi normalmente non potevano essere fatti in casa. Si sa bene che forza avesse il topos della donna /anifica. Ancora Augusto pretendeva di indossare abiti fers dalla moglie, dalla sorella e dalle ature donne della sua famiglia®. E pid tardi Columella se la prendera esplicitamente con le matrone che per il duxus e limertia non sovrintendono pid alla tessitura ma comprano fuori le vesti totibus censibus"', Insomma era un pericolo sia per i costumi che per I'economia della casa. Pensiamo anche che un certo tipo di abiti di lusso era la divisa e insieme il ferro del mestiere delle prostitute... E veniamo infine al terzo e ultimo punto di questa relazione: la suppellettile da mensa*. 6) PER UNA STORIA DEL, LUSSO NELLA CULTURA MATERIALE 5 E stato osservato che a chi volesse studiare l’evoluzione del lusso nella societa contemporanea il vasellame offrirebbe solo un modesto aiuto per cogliere le differenze di fortuna; mentre almeno fino al secolo scorso Varredo da tayola permetteva di giudicare a colpo d’occhio l’agiatezza di una casa. I grandi romanzieri spesso caratterizzavano i personaggi e la posizione sociale descrivendone l’argenteria 0 le porcellane. E il sistema usato gia da Petronio. La prima cosa che colpisce il visitatore di Trimalcione @ il portiere che sbuccia i piselli in un piatto @argento”. E poi per tutta la cena il vasellame sara sempre in primo piano, sotto i riflettori. Tutto il mondo antico ha del resto un interesse molto maggiore del nostro per il vasellame. Pensiamo solo ai Deipnosofisti di Ateneo che discutono per un intero libro di vasi da bere con un’erudizione estenuante! Tra Valtro, anche a livello lessicale vasa ha in latino un valore pitt pregnante, dato che pud stare per tutto il mobilio; ovvero per tutto il bagaglio. Se cominciamo a prendere in considerazione il vasellame pid lussuoso, vediamo che il possesso degli argentea vasa, dell’ argentum factum, emerge chiaramente, ancora meglio del possesso dell’oro, come un co- stante punto di riferimento per la determinazione della /uxuria, da Polibio a Livio, a Velleio Patercolo, a Valerio Massimo, a Plinio, e cosf via. Fino al III sec. aC. Roma non conié moneta d’argento e anche la suppellettile argentea di proprieta privata fu abbastanza rara. Se per Plinio la storia di un tale che dopo aver celebrato un trionfo fu multato dai censori per il possesso di cinque libbre d’argento aveva gid il sapore di una favola (fabulosum)* & pur fededegno l’episodio di P, Cornelio Rufino, due volte console e dittatore, antenato di Silla, espulso dal senato da Fabrizio nel 275 perché possedeva dieci libre di vasellame d’argento”. Fabrizio invece possedeva d’argento solo la patera e la saliera per i sacrifici®. Proprio questi due tipi di oggetti furono lasciati ai proprietari quando nel corso della I guerra punica i senatori ¢ tutti gli abbienti furono chiamati a dare l’oro e Targento alla patria*, Il che dimostra che era l’aspetto privato ¢ laico del lusso a essere penalizzato, facendo salvo quello attinente del culto. Quindi gia sul finire del IIT sec. a.C. la quantita di vasellame d’argento privato daveva essere discreta, e l’aneddoto degli ambasciatori cartaginesi che invitati a turno dai maggiorenti romani si accorgono di aver mangiato sempre negli stessi piatti d’argento™ si riferisce a un’epoca pitt antica, alla I guerra punica probabilmente, o é una storiella edificante inventata pitt tare In effetti a parte l’argento grezzo della Sardegna e della Spagna, conquistate in quegli anni, grandi quantita di argento lavorato arrivava come bottino di guerra. Le fonti ci insistono molto, con abbondanza di cifre: da Siracusa nel 211, da Taranto nel 209, da Cartagena nel 201°. E infatti la commedia plautina da per usuale negli stessi anni il vasellame @argento nelle case romane™. Nel II sec. i trionfi sui sovrani ellenistici fanno affluire a Roma opere d’arte d’ogni tipo. Ovviamente, non potendo trattare qui tutti gli aspetti dell’impatto di Roma con la cultura figurativa 6 GIUSEPPE PUCCI [6] greca, continuo a limitarmi al vasellame. Enorme abbondanza di vasi d’argento cesellato fu esibita nel trionfo di Flaminio, nel 194%; di Scipione Asiatico nel 188% e soprattutto in quello di Emilio Paolo nel 168%. Dove finivano tutti questi oggetti? In parte finivano nei templi, come donari, in parte rimanevano proprieta dell’erario, ma in parte finivano anche nelle case private. Certo, nel 172 gli ambasciatori degli Eroli furono fatti cenar: dal console che li ospitava in piatti di terracotta*, ma gli aristocratic dovevano avere gid parecchio vasellame d’argento, se nel 161 Gaio Fannio fece divieto ai principes civitatis di esporre argenteria per pit di 100 libbre durante i ludi megalensi®. E chiaro che pit che il possesso privato é l’esibizione della ricchezza privata in occasioni pubbliche che si vuole impedire, per evitare per esempio che il lusso della mensa favorisse la creazione di clientele e turbasse i meccanismi tradizionali della politica. Plinio, indica una data precisa per la fine della verecundia nei confronti del vasellame d’oro ¢ d'argento: il 133, una generazione dopo. E anno in cui fu venduta all’asta Peredita di Attalo, Pid in Ik Plinio si corregge: l’inizio della corruzione dei costumi fu la conquista della Grecia, tredici anni prima. Per ironia della sorte pitt crescevano i vizi e pitt le cose andavano bene per Roma: infatti Pariterque luxuria nata est et Carthago sublata®!. Prima della guerra sillana cerano a Roma piti di 150 lances d’argento da 100 libbre, che, dice sempre Plinio, causarono la proscrizione dei loro proprietari®. I collezionisti pagavano cifre molto alte. Crasso comprd due coppe cesellate da Mentore per 100.000 HS, ma — cosa interessante — non se ne servi mai per un residuo di verecundia®. Chi la verecundia non sapeva neanche cosa fosse era il famigerato Verre, sulle cui particolari forme di collezionismo siamo molto bene informati da Cicerone. A Siracusa aveva perfino allestito un’officina in cui si smontavano e si rimontayano su altri vasi emblemata rubati ai ricchi provinciali®. In eta imperiale si facevano follie per l'argentum vetus, firmato dai maestri ellenistici come Pasiteles Boethos, e addirittura dai grandissimi del V e VI secolo®, le cui firme perd erano spesso e volentieri falsificate. «Ma il mercato antiquario doveva essere accessibile a pochi. Tutti gli altri, quelli abbastanza ricchi —e dovevano essere tanti — da permettersi un servizio d’argento, si rivolgevano alle manifatture sorte nel I sec. appunto per soddisfare questa clientela medio-alta. Plinio ci dice con quale capricciosa incostanza si ricercavano ora i vasa furniana, ora i gratiana, ora j clodiana’*. Questi servizi venivano di solito tenuti sugli abaci, tavolini da esposizione, che non a caso Livio enumera tra gli oggetti di /uxuria portati a Roma dall’Asia®. Uno di questi abaci é dipinto nella tomba di Vestorio Prisco a Pompei Probabilmente come Livio la pensava quel Frontone che davanti a ‘Tiberio propose una legge contro il vasellame d’oro e, ottenutola, si spinse fino a chiedere la limitazione del possesso di argenteria, oltre che di suppellettile e di schiavi. La proposta fu respinta con un intervento contrario di Asinio Gallo”. Questo discorso é notevole, perché suona 7] PER UNA STORIA DEL LUSSO NELLA CULTURA MATERIALE z come una definitiva liquidazione di tutte le passate polemiche sul lusso. Sembra —e Tacito dice chiaramente che Asinio interpretava il pensiero della maggioranza — che la societa che aveva visto tramontare larepubblica e consolidarsi il principato volesse finalmente liberarsi del complesso di colpa con cui era convissuta per un paio di secoli. Basta con la finzione che siano ancora i tempi di Fabrizio. Tutto deve avere — dice Asinio— come unico termine di confronto lo Stato. Se questo con limpero si ingrandito, 2 logico che si siano ingrandite anche le ricchezze private. L’eccessivo e il modesto devono essere commisurati solo alla condizione personale. Se senatori e cavalieri hanno un particolare censo devono avere anche appropriati mezzi per procurarsi la requies animi e la salubritas corpo- rum — cosa che evidentemente davano V’argento e gli schiavi. In realtd gid nella prima etd imperiale non c’era famiglia agiata che non possedesse dell'argentum escarium 0 potorium, dall'epoca di Calvo si facevano in argento perfino i vasa coquinaria”. Vivere con nullum argenteum vas in usu, come capitd a Domiziano da ragazzo, significava vivere nell'inopia”'. Tanto per dare un’idea, il tesoro di Boscoreale contava 109 pezzi, quello della casa del Menandro 118 pezzi”. E non si trattava certo delle famiglie pit ricche del loro tempo. Un papiro berlinese della meta del I sec. riporta la lista del vasellame di un signore egiziano: sono 228 pezzi, per un peso di 310 libbre, ¢ il testo é certamente incompleto, dato che mancano completamente i vasi da bere”. Non solo nel palazzo imperiale, ma anche in molte case private c’erano schiavi ab argento. Uno schiavo di Claudio, dispensator ad fiscum gallicum, aveva uno stuolo di vicarii, tra cui due ab argento”. Un altro schiavo di Claudio, dispensator dell’ Hispania Citerior, possedeva un piatto di 500 libbre®. L’argento era uno status-symbol per tutti: tanto pit doveva esserlo per gli alti burocrati di umile origine. L’evoluzione del costume fu pid rapida di quella del diritto. Cid si vede benissimo dalla difficolt’ che incontrano i giuristi di eta imperiale nel definire la supellee. Questo termine in origine non indicava nulla di prezioso, ma solo il mobilio comune, distinto percid dall’argenteria. Col crescere del lusso, dice Celso”, supellex comprese il mobilio decorato di avorio, di tartaruga, di bronzo, d’argento, di pietre preziose, d’oro e questo creava dei problemi. Di norma i giuristi mostrano di considerare preva- Jente la funzione, indipendentemente dalla materia prima, e quindi tendono a mettere tra la supellex anche i letti d’avorio e altri oggetti preziosi, escludendo solo, per antica tradizione, Vargentum escarium vel potorinm ei bronzi che non avevano funzione utilitaria, l'aes non vulgare”. Ora, finché si parla di argento e di bronzo cesellato, il carattere di bene di lusso 8 evidente di per sé. II discorso si fa pit complesso quando si tratta di definire i] Jusso non giuridicamente, ma di fatto, in altri generi di suppellertile domestica, di materia meno preziosa. Qui le fonti_ scritte soccorrono meno e si richiede all’archeologo una lettura del materiale pit che mai attenta al contesto. Fard qualche esempio, sempre rimanendo nell’ambito cronologico del nostro colloquio. Morel” ha richiamato 8 GIUSEPPE PUCCI [8] Pattenzione sul fatto che nel corso del III secolo i vasi per conservare e per versare in ceramica fine, che in quest’epoca é la vernice nera, diventano sempre piti rari, mentre i vasi per bere spariscono completamente dopo il 2° terzo del II sec. In realt’ la spiegazione va cercata nella concorrenza di altri tipi di ceramica, come i bicchieri a pareti sottili che imitano meglio le forme metalliche, come pit tardi il vetro; e per quanto riguarda le forme profonde, nella prevalenza del vasellame bronzeo. Plauto e Catone ci testimoniano che i] bronzo era comunemente usato per conservare ¢ travasare i liquidi. La documentazione archeologica é scarsa per un periodo cos! antico, dato che il bronzo veniva rifuso, ma i materiali pompeiani dimostrano che questa prevalenza del bronzo sulla ceramica, almeno per certi usi, perdura e probabilmente si accentua nella prima eta imperiale. Certo nel caso di Pompei non si pud sottovalutare la vicinanza di Capua. Sappiamo che Capua produsse bronzo almeno per tutto il I sec. d.C., esportandolo un po’ dappertutto, specie a nord delle Alpi, dove il vasellame di bronzo era ancora un genere lussuoso o semilussuoso. In Italia, invece, gid in etd tardorepubblicana non lo & pid, ¢ la modesta campana supellex di Orazio® non é la ceramica campana, come aveva pensato Lamboglia, ma con tutta probabiliti proprio la chincaplieria di bronzo fatta a Capua, di fattura sempre pit: andante. Certo, c’era bronzo e bronzo. Cosa ben diversa era, per esempio, il bronzo corinzio™, per il quale i romani avevano una passione smodata. Perfino il sobrio Augusto ne era praecupidus® e Tiberio impose un calmiere ai prezzi da capogiro™, che perd non dovette avere molto effetto. Ma per tornare al rapporto ceramica-merallo, sappiamo che i vasi per bere gia alla fine del III o agli inizi del II sec. erano d’argento, almeno sulle tavole dei ricchi. Parallela- mente i vasi per funzioni religiose, come le patere umbilicate, spariscono dalla vernice nera perché sono realizzati in materiali pid nobili. Un topos sul quale tornano con particolare insistenza gli scrittori di eth imperiale & proprio l’austerita della vecchia religione che si accontentava di umili vasi di terracotta, mentre ai loro tempi tutto é cambiato". Va tuttavia osservata una cosa interessante: la materia poteva anche cambiare, ma il Jessico era pit conservativo: in conviviis a Graecia venit epichysis et cyathus, in sacrificiis remansit guttus et simpuvium™. Certo sarebbe assurdo dire che la ceramica scompare dalle tavole modeste. Sappiamo bene che non & cosi. Ma il crescere del lusso determina la fortuna o il tramonto di certe forme, e il favore sembra senza dubbio andare a quelle che imitano i vasi metallici. Anche nella ceramica romana insomma si pud constatare quella duplicit’s di ispirazione di cui parla Schiering per la ceramica greca: un’ispirazione propriamente ceramica, e un’ispirazione toreutica, che punta a ricavare dalPargilla risultati estetici propri dei metalli: sottigliezza, spigoli vivi, baccellature, rilievi che imitano la caelatwra®, La subordinazione della ceramica al metallo 2 nello stesso tempo un indizio del suo scadere di pregio. Ed @ quasi in tono patetico che Marziale" esorter’ a non disprezzare i vasi aretini. 9] PER UNA STORIA DEL LUSSO NELLA CULTURA MATERIALE 9 per la verita si apre il problema di quale ceramica aretina voglia finvenilese Marziale. In eta augustea gli artigiani grecanici delle botteghe di un Perennius o di un Rasinius avevano creato prodotti di alta qualita. La forma delle loro coppe imitava quella dei vasi d’argento, e la decorazione a matrice derivava anch’essa in alcuni casi dai vasi metallici, ma contraria- mente a quello che si crede, anche in quei casi é provato che non si tratta di calco meccanico, ma sempre di rielaborazioni con una propria dignita artistica”. Nessuno pretende che questi vasi valessero quanto quelli di metallo, ma non sarebbe giusto sottovalutarli eccessivamente. Con questi prodotti di serie di fatto si metteva alla portata di tutti non tanto il lusso della materia quanto la raffinatezza dell’opus, ossia la forma greca, proposta attraverso un eclettismo che attinge ora al tardo classicismo, ora all’arte pergamena, ora a quella alessandrina®. IIproblema é che nell’epoca in cui scriveva Marziale circolava solo la sigillata tardo-italica, la cui decorazione é di un livello molto pit scadente. Per le persone facoltose a questo punto la ceramica pud essere appetibile solo a certe condizioni, per esempio per la stravaganza delle dimensioni o per le difficolta teeniche di realizzazione. Cosi si ha notizia di una patina dell’imperatore Vitellio costata mille HS, tanto grande che per cuocerla si dovette costruire un’apposita fornace in campagna. A mostruosita del genere si riferisce forse Plinio quando dice che la /uxuria arrivé a tal punto che i vasi di terracotta costavano pit dei vasi murrini®. Diversamente, se i vasi in ceramica non avevano nessuna originalita, a uno snob come Trimalcione non restava che camuffarli, ed esibire cosi accanto alle mense totae argenteae dei vasi d’argilla rivestiti d’oro, calices fictiles inauratos®. I che del resto si accorda benissimo con i piatti truccati che serve agli ospiti: le finte uova di pavone, il maiale farcito di tordi, e cosi via. In fondo é lo stesso gusto della manipolazione, ma non come ripiego, bensi per sorprendere e impressionare. Ma basta quel che si é detto per affermare che la ceramica normale era universalmente disprezzata e addirittura per sostenere, come si é fatto recentemente”, che le officine di terra sigillata italica entrarono in crisi per un calo della domanda di mercato interna, come se a un tratto tutti quanti fossero diventati cosf schifiltosi da non voler pit mangiare sulla terraglia? Strano che poi continuassero ad arrivare dall’Africa piatti di ceramica ancora per quattro © cinque secoli™. E chiaro che é un problema di livelli di lettura, sia del materiale che delle fonti. Per esempio, alcuni dei passi di poeti che generalmente si citano, a ben vedere o non si riferiscono con certezza alla ceramica fine 0 sono chiaramente caricaturali. Cosi i duo calices comprati per un asse da un personaggio di Marziale” non é detto che costassero veramente un asse. Marziale vuole dire solo che era roba da quattro soldi. Inoltre, una merce che sul ]uogo di produzione ¢ a buon mercato, pud essere piti costosa altrove. C’é tutto un aspetto psicologico che ci pud sfuggire. Faccio un esempio. Ci sono dei vasi fatti in Gallia a imitazione di quelli aretini che hanno un bollo che dice arretinum verum. Un archeologo 10 GIUSEPPE PUCCI [10] con un po’ di esperienza non ci casca, ma forse ci cascava qualche contadino della Narbonense, che conosceva la fama dell’aretina ed era pronto a pagare un po’ di pit per averla™. Si tratta sempre di rapportare il lusso al contesto. Giovenale si vergognava di cenare coi piatti di terracotta’, ma un legionario lo trovava dignitoso, Certo, nella villa della Pisanella a Boscoreale la sigillata si & trovata nelle stanze degli schiavi®, ma il padrone di quella villa mangiava in uno dei tesori di argenteria pid splendidi di tutta l’antichita. Anche qui bisogna fare delle proporzioni. Forse quella stessa sigillata era un lusso che un pastore di Garama non si poteva permettere. Il passo di Plinio che elen- cai centri di produzione della ceramica finisce con una frase che spesso non si cita: et sic gentes nobilitantur [...] insignibus rotae officinis” . La nobilitas veniva dunque a queste citta dagli esculenta, dal vasellame ordinario, che non é necessariamente un bene di lusso ma @ in grado di assicurare la rinomanza di certe attivita®. Certo, quello che si diceva dianzi sulla dipendenza morfologica del vasellame da mensa ceramico da quello metallico é vero, e se ne ha una prova anche a livello lessicale attraverso l’uso del termine torewma riferito alla terracotta”. Un processo inverso ci é attestato invece da Ateneo a proposito di Cleopatra, che volendo imitare la /xuria dei Romani si era procurata della suppellettile nuova d’oro e d’argento, ma continuava a usare il vecchio termine collettivo kéramon'®. Potevano definirsi toreumata perfino dei modesti vasi di vetro. In quest’epoca il vetro non é pit un lusso come lo era quando Scauro decoré la parte mediana della scena del suo teatro, nel 58 a.C., di mosaici di pasta vitrea: inanditum genus luxuriae per Plinio™!, Dalla fine del I sec. a.C., cioé da quanto fu scoperto il procedimento della soffiatura, il vetro ebbe a Roma un prezzo molto basso". Il che non toglie ovviamente che certi prodotti dove l’opus prevaleva sulla materia toccassero prezzi altis- simi: vedi i due bicchieri venduti in eta neroniana per 6000 HS". Anche il vetro cammeo sar stato molto pregiato. Pensiamo a quell’oggetto stu- pendo che é il vaso Portland. O anche i vasi ossidiani, di pasta nera, di cui sono stati trovati recentemente quattro esemplari a Stabia con incrosta- zioni di lapislazzuli e oro™. In linea generale anche il vetro si studid di imitare la forma e la decorazione del pit nobile vasellame metallico. 1 prodotti che uscivano dalle manifatture di Puteoli, dove c’era un intero quartiere, la regio vici vitrari, che viveva di questa attivita, dovevano essere economici e molto diffusi. Il vetro incolore, quello piti simile al cristallo, aveva soppiantato nell’uso del bere l’argento ¢ !’oro. Trimalcione quando dice di preferire il vetro al bronzo corinzio perché non da cattivo odore dice una cosa che pensavano probabilmente in molti perd, siccome «noblesse oblige», sente il bisogno di farsi perdonare dal suo uditorio. Se non si rompessero, Trimalcione preferirebbe le coppe di vetro perfino all’oro, ma intanto vilia sunt", E qui segue l’aneddoto, noto in varie versioni, del vetraio che aveva (11) PER UNA STORIA DEL LUSSO NELLA CULTURA MATERIALE 1 inventato il yetro flessibile ¢ a cui Tiberio fece secondo Plinio distruggere Pofficina e secondo Trimalcione addirittura tagliare la testa". Generalmente si pensa che il vetro costava in antico pit della ceramica. E questo un po’ perché siamo suggestionati dalla realta moderna e un po’ perché nelle stratigrafie si trova pi ceramica che vetro. In realta questo & uno di quei casi in cui l’evidenza di scavo rischia di portare fuori strada, come dimostra il fatto che a Pompei —e di norma nelle necropoli — il vetro @ netramente superiore alla ceramica fine”. Troppo spesso in effetti si dimentica un fatto banale: che i vetri rotti venivano recuperati e rifusi, esattamente come i metalli. Marziale ricorda un ambulante di Trastevere che dava zolfanelli in cambio di vetri rotti', e secondo Cassio Dione all’epoca di Claudio era possibile ottenere la cittadinanza dando alla persona giusta qualche pezzo di vetro rotto™. Il che significa un valore minimo, ma.un valore reale. Del resto a Pompei é stato trovato un lingotto di vetro fuso, e sempre nella villa della Pisanella a Boscoreale fu trovato un cesto di vimini pieno di vetri frantumati destinati probabilmente a essere rifusi""°. Quindi anche di questo dobbiamo tener conto quando parliamo del vetro in rapporto al lusso. I vetro si prestava molto bene a imitare altri prodotti della toreutica, per esempio i gia citati vasi murrini, sulla cui natura le fonti sciorinano tutta una specie di mitologia, ma che devono essere identificati con i vasi di onice, di sardonica o di altre pietre dure, tipo Tazza Farnese o coppa dei Tolomei!™, Si tratta anche in questo caso di un fenomeno che va nella direzione di molti altri che abbiamo visto in questa carrellata, che sara bene affrettarsi a concludere con un paio di riflessioni finali. Quest’epoca che comprende l’ultima parte della repubblica e lalto impero @ una delle pochissime di tutta la storia antica in cui una forte mobilita sociale, a volte perfino impetuosa, pur non arrivando al punto d mettere in discussione l’assetto degli ordini e degli status, ha potutc attraversare verticalmente la cultura — materiale e non — dei vari ceti Forse maj prima della nascita della borghesia moderna strati sociali tant yasti hanno avuto non solo ’opportunita materiale ma anche la libert ideologica di appropriarsi di modi di vivere, di comparire, di rappresentars degli status pit elevati. Perché il lusso non é soltanto nel valore deg! oggetti posseduti. Nei casi che ho esposto non si cerca di contraffare |: materia preziosa, ma di riprodurre nella materia meno costosa ¢ pitt adatta allo scopo la forma, il gusto, l’esteticita del prodotto di lusso, che sono fatti di cultura, Tra chi poteva permettersi una coppa d’argento cesellato e chi si accontentava di una riproduzione in ceramica invetriata, per esempio, c’era una grossa differenza di fortuna, ma entrambi trovavano belle le stesse cose. Diciamo meglio: la cosa veramente importante era che al secondo era socialmente riconosciuto di poter trovar belle le stesse cose. Noi non possiamo determinare la consapevolezza dei produttori di quelle merci in antico, ma io mi chiedo, al di 1a del moralismo e della 12 GIUSEPPE PUCCI (12) deformazione caricaturale che troppo spesso ci offrono le fonti, se non cera tra loro chi avrebbe condiviso questa frase di Wedgwood il celebre ceramista neoclassico: «i signori hanno avuto vasi preziosi nei loro palazzi abbastanza a lungo. Ora il popolo ne vuole una quantit’ per sé a prezzi ridotti»"*, Perché — dice Varrone — se a chi ha sete basta un bicchiere qualsiasi, chiunque é dotato di bumanitas lo vorrebbe anche bello!, E quando un illuminista bolognese del Settecento, il conte Aldrovandi, apri una manifactura di ceramiche ad uso popolare volle accuratamente evitare stili e temi popolari, perché —sosteneva con coraggioso para- dosso — il lusso & la moneta dei poveri'™, Siena. Grusepre Pucci 1, A. Carandini, in Prefazione a J. Kolendo, Liagricoltura nell’Italia romana (Roma 1980) xv ss. Dello stesso autore si veda Archeologia ¢ cultura materiale” (Bari 1979). Ho trattato della cultura materiale della prima era imperiale in un capitolo della Storia della societt italiana (Milano, Teti) vol. II, che per difficolt materiali non ha ancora visto la luce. 2. Gell, 13. 24: neque mibi - inquit - aedificato, neque vasum neque vestimen- tam ullum est in manu pretiosum. E singolare che quando Sallustio vorr’ esemplificare le cose appetibili che potevano causare la proscrizione dei loro proprietari. (Cat. 51.33) ricorrer’ alla stessa triade: nam uti quisque domum aut villam, postremo vas aut vestimentim alicuius concupiverat, dabat operam uti is in proscriptorum numero eset. 3. Una buona sintesi di questa materia si trova in E. La Rocca - M. De Vos, Guida archeologica di Pompei (Milano 1976) 28 ss, e A. e M. De Vos, Pompei, Ercolano, Stabia (Roma-Bari 1982) 332ss. Sempre utile P.Grimal, Les jardins romaine? (Paris 1969). Altre osservazioni interessanti dello stesso autore in Le siscle des Scipions. Rome et U’bellénisme au temps des guerres puniques? (Paris 1975) spec, 260ss. Importanti molti dei contributi al colloquio di Gottinga del 1974: ora in Hellenismus in Mittelitalien, Abhandl, Akad. der Wissen, in Goettingen, PhilologHist. Kl. 97 (1976). 4. Per primo, a mia cono- scenza, D.S. Robertson, A Handbook of Greek. & Roman Architecture (Cambridge 1929) 300, hha fatto notare che la reggia di Pergamo appare piccola cosa di fronte alla casa del Fauno di Pompei. 5. Cfr. Vitr. 6.5.2. 6, Vedi da ultimo F. Coarelli, J! commercio delle opere d’arte in eta tardo-repubblicana, in DdA. IMs. 1/1 (1983) 455s, in part. 49- 50. 7. Val. Max. 9.1.1; Plin. Nat. Hist. 9. 168. 8. Vite. 7.5.1, Un ottimo commento é in G. Becatti, Arte e gusto negli scrittori latini (Fi 1951) 135 ss. (dove fra l’altro si osserva che Paltrettanto celebre critica del Vasari all’arte gotica ¢ esemplata proprio sul testo vitruviano). 9. Vitr. 7.11.1; Plin. Nat. Hist. 33.162. Su Vestorio, da ultimo J.-P. Morel, Les producteurs de biens artisanaux en Italie 4 la fin de la république, in Les «bourgeoisies» municapales italiennes aux F* et Il siécles av. J-C. (Na- poli-Parigi 1983) 21 ss., in part. 29-30 (con bibl. precedente). 10. Coa- (43) PER UNA STORIA DEL LUSSO NELLA CULTURA MATERIALE 13 relli, IJ commercio cit. 11. Becatti, oc. 92ss. 12. Plin. Nat. Hist. 36.109. 13. De off 1.138. 14. Vitr. 65.2. 15, Cic. Pro Sex. Roscio Amer. 46.133. 16. Cfr. nt. 2. 17. Sen. Ep. mor. 86.4. 18. Cfr. J.H.D’Arms, Romans on the Bay of Naples (Cambridge Mass. 1970) e Id., Commerce and Social Standing in Ancient Rome (Cambridge Mass.-Londra 1981) spec. 72ss. 19. Malcovati, ORE 185, p.75. 20. Gell. 2.20.6=Malcovati, ORF. 20, p.129; Vell. 2.4.1. 21. Val. Max. 8. 1, damn. 7. 22. Catil. 12.3. Agli occhi di Strabone, 5.2.5, le ville dei Romani erano comparabili alle reggie persiane. 23. Plin. Nat. Hist. 36.115. 24. Cic. de leg. 3.13.30. 25. F. Coarelli, Architettura sacra e architettura privata nella tarda Repubblica, in Architecture et sociéte de UVarchaisme grea 4 la fin de la République romaine, Coll. Ecol. Francaise de Rome 66 (Parigi-Roma 1983) 1915s, spec. 200-206. 26. Cfr. D’Arms, Romans on the Bay of Naples cit. 27. A. e M.De Vos, o.c. 240. 28. F.Coarelli, Dintorni di Roma (Roma-Bari, 1981) 116ss. 29. F. Coarelli, Lazio (Bari-Roma 1982) 99ss. 30. La rico- gnizione in quest’area é condotta dalle Universita di Siena e Pisa. In attesa della pubblicazione definitiva si yedano intanto M.G. Celuzza-E. Regoli, La Valle d'Oro nel territorio di Cosa, in DdA. Is., 4/1 (1982) 31s. e AAVV., Ricognizione archeologica nell’ager Cosanus e nella walle dell’Albe- gna. Rapporto preliminare 1982/83, in ArchMed. 10 (1983) 439 ss. 31, Varr,. de re rust, 1.2.10; 1.13.67; 1.4.1; 3.3.1. 32. Vitr. 6.6.5. 33. Coarelli, Architettura sacra e architettura privata cit. 206-215. 34. Cato 4; Colum. 12, praef. 35. G. Clemente, Le leggi sul lusso e la societé romana tra Ill e I secolo a.C., in A. Giardina-A. Schiavone (edd.), Societa romana e produzione schiavistica, Modelli etici, diritto e trasforma- zioni sociali (Roma-Bari 1981) 1ss., in part. n.45. 36. Sulla legge Oppia vedi da ultimo il saggio di P. Desideri Catone e le donne (il dibattito liviano sull’abrogazione della lex Oppia), in Opus 3 (1984). 37. Cle- mente, a.c. 12. 38. Liv. 39.44.1; Plut. Cat M. 18. - 39. Plin. Nat. Hist. 9.13758. 40. Si raccomandano ancora le voci del Daremberg- Saglio, in particolare Phrygium opus, serica, vestis, 41: Plin. Nat. Hist 33.63. 42. Plin. Nat. Hist. 8.197. 43. Suet. Aug, 23. 44. Co- lum. 12, praef 45. Abiti molto colorati, per esempio, erano tipici delle prostitute: meretricii colores (Sen. Nat, Quaest, 7.31), ma va detto anche che gia Tertulliano si lamentava che era diventato impossibile distinguere solo dall’abito una prostituta da una donna onesta (De cult. fem. 12; Apol. 16; De pall. 4). — 46, J.P. Morel, La vaisselle de table a Rome aux II* et I” siécle avant J.-C. et au I* siécle aprés J.-C: contribution @ l'étude du luxe, in Annuaire de VEcole Pratique des Hautes Etudes (IV* section) (1963-1964); ss.; Id., La ceramica e il vetro, in Pompei 79, a cura di F. Zevi (Napoli 1979) 241 ss. 47. Satyr. 28. 48. Plin. Nat. Hist. 33.142. 49. Gell. 4.8.7; Liv. Epit. 14; Plut. Sulla 1; Val. Max. 2.9.4. 50. Val. Max. 4.4.3. 61. Liv. 36.35. 52. Plin. Nat. Hist. 33.50. 53. Cfr. D.E. Strong, Greek and Roman Gold and Silver Plate (London 1966) 123 ss. 54, Aulul. 339; Psewd. 183. 55. Liv. 34.52. 56. Plin. Nat. Hist. 33. 148. 57. Plut. Aem. Paul 32. 58. Plin. Nat. Hist. 14 GIUSEPPE PUCCI [14] 33.142-143. 59. Gell. 2.24. 60. Cfr. E. Gabba, Ricchezza e classe dirigente romana fra Ill e I sec. a.C., in RSI. 93 (1981) 541 ss., in part. 553 ss.; Clemente, ac. 8ss. 61. Plin, Nat. Hist. 33.150. 62. Plin. Nat. Hist. 33.145. 63. Plin. Nat. Hist. 33.147. 64. Cie. I Vern. 4.24.54. 65. Cfr. Daremberg-Saglio, s.v. «argentum», vol. I p.411a. 66. Plin Nat. Hist, 33.139. 67. Liv. 39.6. 68. G. Spano, La tomba dell’edile C. Vestorio Prisco in Pompei, in MemLinc. (1942-1943) 237 ss. 69. Tac. Ann. 2.33. 70. Plin. Nat. Hist. 33.140. 71. Suet. Domit. 1 72. Strong, oc. 1253s. 73, Cfr. A. Oliver]. Shelton, Silver on Papy rus, in Archaeology (1979) 1, 21ss. 74. CIL. VI 5197. 75. Plin. Nat, Hist. 33.52. 76. D, 3310.7, 77. Per questi problemi yedi I, Calabi Limentani, Studi sulla societd romana. Il lavoro artistico (Mi- lano-Varese 1958) 104ss. 78. J.-P. Morel, Céramique campanienne. Les formes (Paris 1981) 503 ss. A questo eccellente lavoro molto deve questa parte del mio scritto. 79. Sat. 1.6.118. 80. Cfr. Daremberg-Saglio, s.v. «corinthium aes» vol. 1, p. 1507 ss. 81. Suet. Aug 70. 82. Suet. Tib, 34. 83. Pers. 2.59; Tuven. 6.342, 84, Liv. 5.124. 85. Cfr. W. Schiering, Griechische Tongefisse. Gestalt, Gestimmung und Formwan- del (Berlin 1967) e il commento di Morel, Céramique campanienne cit. 523 ss. 86. 14.98. 87. Cfr. A.Stenico, I figli di Agamennone a Sminthe. Toreutica e ceramica arretina, in Arte in Europa. Studi in onore di Wart Arslan (Milano 1966) 5ss. 88. G. Pucci, La ceramica aretina: simagerie» e correnti artistiche, in L’art décoratif 4 Rome a la fin de la république et a début du principat, Coll. de Ecole Frangaise de Rome 55 (Roma 1981) 101, 89. Plin. Nas. Hist. 35.163. 90. Satyr. 79. 91. Ch. Goudineau, La céramique dans l'économie de la Gaule, in Les dos- siers de Varchéologie 6 (1974) 103ss, 92. Una recente sintesi sulla produzione di terra sigillata africana e sulla sua esportazione in A. Caran- dini, Pottery and the African Economy, in Trade in the Ancient Economy, a cura di P,Garnsey, K.Hopkins, C.R. Whittaker (London 1983) 145 ss, 93. 9.5.22. 94. Ho trattato questo tema in Pottery and Trade in the Roman Period, in Trade in Ancient Economy cit., 105 ss, in part. 110. 95, 3.168. 96. Cfr. Morel, Za ceramica e il vetro cit, 250. 97. Nat. Hist. 35.160. 98. Pucci, Pottery and Trade cit. 113. 99. Esempi in Martial. 4.16.16; 14.102. Cfr. Morel, Céramique campanienne cit. 527. 100. Athen. 6.229; Morel, ibid. 101. Nat. Hist. 36.114. 102. Strab. 16.2.25. 103. Plin. Nat. Hist.36.195. 104. Morel, La ceramica e il vetro cit. 257. 105. Satyr. 50. 106. Plin. Nat. Hist. 36.66; Petron. Satyr. 51. 107. Morel, La ceramica e il vetro cit. 258-261. 108. I 41.3-5. 109. 60.17.6. 120. Morel, La ceramica e il vetro cit. 256. 121. Sui murrhina vasa si veda la corrispondente voce del Daremberg-Saglio, vol. III p. 2046 ss. 122. Cfr. G. Pucci, Elgin o della manifattura, in DdA. 8-9 (1974-75) p. 478 ss. 123. De Ll. 8.31. 124. Cfr. G. Bertocchi-F. Liverani, Ceramiche bolo- gnesi del Settecento (Bologna 1981) 49 ss. Il lusso é la moneta de’ poveri & il (15) PER UNA STORIA DEL LUSSO NELLA CULTURA MATERIALE 15 titolo di una dissertazione data alle stampe nel 1793. Per un migliore in- quadramento di questa tematica si veda 'Untroduzione di C. Borghero all’antologia La polemica sul lusso nel Settecento francese (Torino 1974). Spunti interessanti sull’antichita sono nel libro di P. Veyne, La pain et le cirque (Paris 1976) spec. 148 ss.€ 471 ss. [GP]

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