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L’organizzazione e l’intervento del PCL: la

costruzione di un partito comunista rivoluzionario


1. Il raggruppamento: una strategia di costruzione del Partito in questa fase storica

1.1 1989. Berlino, Praga, Timisoara: nel giro di pochi mesi si disgregava il blocco sovietico
nell’Europa continentale. Nel 1991, infine, si disgregava la stessa URSS. Nel corso di
quegli stessi due anni il Partito Comunista Italiano concludeva la sua parabola storica
riposizionando politicamente e ideologicamente la grande maggioranza del suo gruppo
dirigente e della sua organizzazione sul fronte destro della socialdemocrazia europea.
Questa conclusione della sua esperienza, strettamente in relazione con i paralleli processi in
corso in Urss, collassava definitivamente l’influenza politica e sociale che lo stalinismo
italiano aveva costruito nel corso di una lunga fase storica, dal ruolo assunto nella lotta
partigiana alla ripresa delle lotte operaie alla fine degli anni ‘60. Un’influenza che era
riuscito a mantenere in larghi strati popolari, di classe e di avanguardia nonostante l’aperta
contraddizione tra il riferimento ideale al comunismo e le scelte concrete dell’alleanza dei
produttori, del compromesso storico e della politica dell’austerità.

1.2 Nel dopoguerra il gruppo dirigente del PCI ha elaborato un originale sintesi politica e
teorica, con la quale ha accompagnato la formazione e le lotte di diverse generazioni operaie e
studentesche. Una sintesi costruita da Togliatti, con il supporto di tutti i dirigenti del PCI (da
Secchia ad Amendola), che collocava il “nuovo partito” su quattro assi principali: una relazione
al contempo stretta ed articolata con il “campo socialista” staliniano; un autonomia contingente
intrecciata ad una subordinazione strategica alle dinamiche del gruppo dirigente sovietico; la
“via nazionale al socialismo”, che poneva il Partito nel quadro costituzionale della nuova
Repubblica e offriva la prospettiva di una trasformazione lenta e progressiva del sistema sociale
italiano; la costruzione di un profondo radicamento nella classe operaia ed in tutte le classi
subalterne del paese, tentando di raccogliere e rappresentare le diverse espressioni di lotta che in
esse si sviluppavano; l’alleanza con il grande capitale, con la sua frazione produttiva
“intelligente”, giustificata con un analisi dell’arretratezza sociale ed economica italiana che non
permetteva a questa frazione di compiere la propria missione storica di modernizzare il paese.
Una sintesi che nel corso degli anni e dei diversi accadimenti storici conosceva un lento e
progressivo scostamento sia del proprio asse sociale (una graduale dislocazione dalla classe
operaia al blocco con i ceti medi negli anni ’50 sino ad arrivare, negli anni ’80, ad una
impostazione che richiamava l’interclassismo), sia della propria collocazione internazionale
(dalla fedele appartenenza al “campo socialista” negli anni ‘50, alla critica e differenziazione
interna negli anni 60, sino alla contrapposizione berlingueriana negli anni ’70). Uno
scostamento che però, sino al 1989, non era mai arrivato a mettere in discussione sul piano
simbolico e teorico l’assetto storico del PCI.

1.3 Una sintesi che ha prodotto una cultura ed una mitologia che ha profondamente influenzato
la classe, le avanguardie politiche, sindacali e sociali nel nostro paese: quadri operai, militanti
politici, studenti e intellettuali nel corso di diverse generazioni hanno assorbito la costruzione
teorica e politica offerta dal gruppo dirigente togliattiano. Una sintesi realizzata con l’arbitraria
ricostruzione della storia del movimento operaio e del Partito, l’oscuramento di ogni diversa
tradizione, la marginalizzazione delle organizzazioni delle estrema sinistra, prima durante e
dopo la svolta del ‘68 – ‘69. Questo complesso impasto di immaginari rivoluzionari, di modalità
staliniste nella militanza e nell’organizzazione del Partito, di radicamento nella classe e di
moderazione dettata dalla strategia dei fronti popolari ha profondamente in-formato ampi strati
di classe, sia componendo un senso comune di massa che guidando e raccogliendo le
avanguardie che si esprimevano sul terreno della lotta di classe. La tensione interna tra
radicamento nella classe, mitologia rivoluzionaria, fedeltà di campo e collocazione politica
riformista si è rotta solamente con l’implosione delle burocrazie del 1989, a conclusione di un
logorante decennio seguito all’esaurimento del compromesso storico, con la
responsabilizzazione del PCI e della CGIL nella gestione della crisi economica, il suo
contemporaneo coinvolgimento sia nel controllo delle lotte operaie sia nel loro sviluppo
(movimento degli autoconvocati e referendum sulla scala mobile).

1.4 Alla fine degli anni ‘80 giungevano contemporaneamente a compimento gli itinerari delle
più significative organizzazioni della nuova sinistra sopravvissute al lungo ’68 italiano.
Democrazia proletaria chiudeva la propria storia di rassemblement di diverse componenti non
staliniste dopo la scissione della sua ala “ambientalista” e un conflitto paralizzante tra un’ipotesi
neocomunista (costruzione progressiva di una nuova organizzazione in grado di realizzare
l’unità dei comunisti con la minoranza del PCI) ed un’ipotesi di rappresentanza politica dei
movimenti (costruzione progressiva di un Movimento Politico per l’Alternativa, in grado di
realizzare uno stretto rapporto con i movimenti studenteschi, operai e ambientalisti che si
dipanavano all’orizzonte a cavallo dei primissimi anni ‘90).
L’arcipelago dell’autonomia operaia, sopravvissuto all’ondata repressiva dei primi anni ottanta,
implodeva con lo sgretolamento del Coordinamento antinucleare e antimperialista, proprio nel
momento in cui la vicenda milanese del Leoncavallo rilanciava sul territorio nazionale la prassi
dei centri sociali. Il dispiegarsi dei centri sociali come luoghi di aggregazione tendeva a mettere
sempre più in risalto la dimensione sociale e culturale dell’underground giovanile, occultando in
molte di queste realtà (ma non in tutte) sia una progettualità che una prassi politica e
determinando spesso (ma non sempre) pratiche “concertative” con le amministrazioni locali di
sinistra (e non solo). Il tentativo di rilanciare un percorso politico organizzato dell’autonomia di
classe vedeva nel corso degli anni 90 il suo sostanziale esaurimento ed un tendenziale
ripiegamento sul territorio o in aree sindacali di base. Il nucleo veneto, che in questi anni ha
mantenuto ed anzi sviluppato una propria realtà organizzativa e politica, si impegnava in una
transizione teorica verso “la moltitudine” e un’impostazione democratico radicale (o come forse
loro preferirebbero, democratico costituente), con una parallela ridislocazione politica nel
quadro istituzionale con la partecipazione diretta ad alcune competizioni elettorali (Padova,
Treviso) e l’ingresso, almeno di alcune loro significative componenti, nei Verdi del triveneto
(entrismo sui generis?). Infine in molte realtà rimangono attivi circuiti soggettivi, collettivi, sedi
locali di associazioni ambientaliste, terzomondiste o sindacali che hanno costituito un fronte di
riposizionamento dell’impegno di molti militanti di queste aree, senza un collegamento ed un
inquadramento nazionale organico né sul piano teorico, né su quello politico, né su quello
organizzativo.

1.5 Il lungo decennio degli anni 80, aperto dalla sconfitta alla Fiat, segnato dalla repressione e
chiuso con il movimento studentesco della Pantera ha logorato le organizzazioni e gli impianti
teorici di questi soggetti che, avendo promosso politiche rivoluzionarie, le avevano legate in
particolare al ciclo di lotte nelle quali erano inserite, alla radicalità di una particolare
composizione di classe o alle tenuta di una particolare avanguardia sociale o di fabbrica.
L’intensa esperienza militante di un quindicennio, la contrapposizione diretta con l’apparato del
PCI, la costruzione di una cultura e di una prassi nella nuova sinistra italiana ha però lasciato
tracce profonde in migliaia di militanti, in diversi circuiti di avanguardia sociale, in molteplici
centri di elaborazione teorica e politica. Se si sono logorate molte esperienze organizzative,
nelle strutture locali, nei collettivi e nelle associazioni sul territorio spesso rimangono vive
pratiche, impostazioni e anche mitologie di quell’arco storico. Una disposizione alla militanza,
una tendenza all’eclettismo teorico, una specifica attenzione alla composizione di classe ed ai
cicli di lotta, una propensione alla selezione dei gruppi dirigenti attraverso meccanismi
informali e leaderistici, una forte tensione al coinvolgimento ed alla partecipazione della base
militante, un estremismo politico spesso legato ad impostazione sostanzialmente
“terzoperiodista” (svolta ultrasinistra del Comintern tra il ‘29 ed il ’33) sono elementi diversi di
queste impostazioni e pratiche, presenti in una parte limitata ma significativa dell’avanguardia
politica e sociale del nostro paese.

1.6 La nascita di Rifondazione Comunista nel biennio 1991/92 ha ereditato questi percorsi
storici, in nome dell’identità comunista e della resistenza alle politiche neoliberiste. Ma un
percorso di reale rifondazione, di bilancio storico dell’esperienza del novecento comunista e di
elaborazione di un nuovo progetto rivoluzionario non è mai stato realmente avviato. Il PRC ha
assemblato le diverse componenti della minoranza del PCI e della nuova sinistra italiana,
collocando rapidamente queste diverse tradizioni nello schieramento del centrosinistra (1994,
partecipazione ali Progressisti). Da una parte ha permesso di coagulare le soggettività presenti e
riorganizzare settori di classe in un contesto segnato da imponenti offensive antioperaie e
antipopolari (la finanziaria Amato, la fine della scala mobile, la riforma delle pensioni, la scesa
in campo di Berlusconi), dall’altro ha dato vita ad un partito-contenitore dal punto di vista
teorico e programmatico, riposizionandole sul crinale di una grande alleanza con i settori liberali
progressisti. In qualche modo l’esperienza di Rifondazione Comunista ha permesso di
cristallizzare per un quindicennio le tradizioni, le impostazioni e le prassi politiche che la hanno
preceduta, lasciando avanzare il processo di logoramento avviato nel decennio precedente per
poi avviare, a cavallo della sua ricollocazione all’opposizione del primo governo Prodi, un
nuovo assetto teorico (nonviolenza, movimentismo, sinistra europea, alleanza dell’Unione) ed
una nuova prospettiva politica (la ricomposizione della sinistra italiana). Ma in questi quindici
anni ha nel contempo permesso di sperimentare un primo percorso di raggruppamento
programmatico dei marxisti rivoluzionari. Dall’esperienza del secondo congresso e dell’ampio
fronte di opposizione contro l’alleanza dei Progressisti, passando per la costituzione dell’area
congressuale di Progetto Comunista durante e contro la prima esperienza di governo Prodi
(1997), sino alla costituzione dell’AMR Progetto Comunista nel periodo del movimentismo
bertinottiano e della preparazione al rientro organico nell’Unione (inizio 2003), si è definita
progressivamente una proposta politica complessiva che ha coinvolto centinaia di compagni e
compagne, provenienti dalla LCR, da Dp, da altre organizzazioni dell’estrema sinistra italiana
come da militanti e quadri del PCI.

1.7 Il campo ideologico e immaginario dell’avanguardia politica e sociale della classe, dei
militanti nelle scuole e nelle università, delle ridotte di classe operaia alla Fiat o alla Fincantieri,
del nuovo precariato operaio e dei servizi è stato segnato da questo quindicennio in cui si sono
intrecciate le sconfitte politiche dello stalinismo e della nuova sinistra, il permanere di orizzonti
ideologici e teorici cristallizzati, l’espressione diretta di un nuovo ciclo di lotta studentesco,
operaio e sociale.
2.
La proposta di un percorso di raggruppamento per la costruzione di un partito comunista
rivoluzionario nasce dalla constatazione di questo permanere delle precedenti tradizioni e
dall’esperienza di costruzione nel PRC di un progetto politico rivoluzionario. La proposta
del raggruppamento emerge dalla necessità di non contarsi sui percorsi e le appartenenze del
passato, di non riunire ecletticamente diverse impostazioni tenute insieme solo dalla
contingente collocazione politica, di non omettere un bilancio del ‘900 e delle diverse
esperienze del movimento operaio, dei suoi tentativi di organizzarsi e di trasformare il modo
di produzione capitalista. La proposta è quella di convergere su un comune programma
essenziale, aprendo su questa base comune e grazie ad essa, un confronto di analisi e di
elaborazione sulle scelte per il futuro.
3.

1.8 La scelta del raggruppamento a partire da alcuni elementi programmatici essenziali non
era scontata: potevamo fare scelte diverse. Il gruppo di compagni e compagne che hanno
lanciato la proposta del McPCL, raccolto nella maggioranza dell’AMR Progetto Comunista,
poteva proporre il rilancio di una costituente dei comunisti, la chiamata a raccolta di tutta
l’opposizione di classe al governo Prodi o la pura e semplice scissione della propria
tendenza dal PRC. E’ stata fatta una scelta differente, valutando i limiti e le contraddizioni
di questi percorsi. La scelta della scissione del PRC dell’AMR Progetto comunista garantiva
la continuità di un percorso programmatico ed organizzativo realizzato nell’esperienza
decennale di opposizione dentro Rifondazione. Ma l’ipotesi di una semplice scissione di
questa esperienza non coglieva la rilevanza e l’estensione dei processi di crisi e di
ricollocazione nell’avanguardia politica dovuti alla svolta del PRC, come, su un piano più
vasto, non era in grado di interloquire da una parte con l’esaurimento dell’esperienza del
socialismo reale e delle impostazioni neo-togliattiane, dall’altra con il fallimento
dell’esperienze delle organizzazioni di estrema sinistra nate negli anni ‘70.
Questa proposta di raggruppamento, considerati i percorsi delle diverse organizzazioni e
delle diverse componenti dell’estrema sinistra italiana, non può che rivolgersi a all’insieme
dei militanti e delle avanguardie politiche prima considerate: a singoli, nuclei, gruppi e
soggettività che hanno attraversato questo quindicennio con la tensione di un bilancio della
propria esperienza storica e la volontà di individuare i nodi di una prospettiva rivoluzionaria
per il nuovo secolo. Un percorso di raggruppamento che non ha caratterizzato solo il
movimento costitutivo, ma che probabilmente caratterizza questa fase storica, la nascita ed
il consolidamento del Partito Comunista dei Lavoratori.
Questa proposta di raggruppamento si è concretizzata in 4 punti che traducono a positivo un
bilancio sostanziale dell’esperienza del movimento operaio novecentesco, delle sue derive
socialdemocratiche e staliniste, attorno ad alcuni principi programmatici che orientano
l’azione futura:
4.
- l’opposizione al governo Prodi come a tutti i governi della borghesia: l’autonomia e
l’indipendenza politica della classe operaia e dei suoi rappresentanti come asse centrale
della propria collocazione
5.
- la rivoluzione intesa come presa del potere politico: l’obbiettivo del cambiamento del
modo di produzione capitalistico può essere raggiunto solo attraverso la dittatura del
proletariato nella forma dell’autorganizzazione consiliare delle masse
6.
- la prassi politica della nuova organizzazione non deve dividersi fra propaganda di un
programma massimo (la rivoluzione) ed obbiettivi minimi immediati: l’intervento politico
contingente deve riuscire ad intrecciare le rivendicazioni di larghe masse con l’obbiettivo
politico dell’abbattimento del modo di produzione capitalista

- il processo di costruzione dell’organizzazione sul piano nazionale è intrecciato e parallelo a quello


internazionale: il raggruppamento a partire da elementi programmatici di fondo è un percorso da
attivare contemporaneamente per il partito e per l’ internazionale.

Una definizione programmatica essenziale su cui oggi si ritiene possibile definire un partito
comunista rivoluzionario, raggruppare l’avanguardia politica e costruire un’organizzazione
adeguata, conquistare l’avanguardia di classe nel fuoco delle lotte contro il capitalismo.

2. Dal Movimento al Partito: bilanci e prospettive nella


costituzione di un partito rivoluzionario
2.1 In quest’anno di vita abbiamo raccolto un’avanguardia politica di più di un migliaio di persone,
compagni e compagne che condividevano la necessità di un opposizione comunista e della
ricostruzione di un partito rivoluzionario. Abbiamo avviato un processo strutturazione del partito,
tessendo i fili di una difficile ricostruzione nel momento in cui il Prc si collocava al governo del
paese. Abbiamo ripreso, per la prima volta in Italia da molti anni, la costruzione di un progetto
politico rivoluzionario e presentato pubblicamente, in diversi appuntamenti elettorali, il nostro
programma (ottenendo limitati ma significativi risultati).

2.2 Questo percorso di costruzione del movimento costitutivo del PCL ha registrato importanti
successi: una crescita organizzativa lenta e costante, l’acquisizione e diffusione di nuove sedi del
partito, l’avvicinamento e l’iscrizione (in particolare negli ultimi mesi) di nuclei operai significativi.
Attualmente infatti il mcPCL è presente con nuclei di compagni/e in tutte le regioni e circa 70/80
province, con più di una cinquantina di sezioni provinciali costituite in 16 regioni (siamo al
momento molto deboli –con meno di 5 compagni/e iscritti- sostanzialmente solo in Friuli Venezia
Giulia e Basilicata). Negli ultimi mesi inoltre abbiamo visto la ripresa di un processo costitutivo di
nuove sezioni in diverse province (tra cui Enna, Caltanisetta, Ravenna, Ascoli, Varese, ecc).
Uno dei segnali più incoraggianti della strutturazione e dello sviluppo del Movimento sul piano
nazionale è stata la capacità inaspettata di molte sezioni locali di reperire sedi pubbliche in diverse
città: Torino, Tigullio, Savona, Milano, Lodi, Bologna, Cesena, Firenze, Roma, Reggio Calabria,
Ragusa, Eboli, Lecce, Foggia, Cagliari, Sassari, ecc. La mancanza di risorse finanziarie che
caratterizza il Movimento poteva determinare una situazione diversa di maggior debolezza ed
esitazione nelle organizzazioni locali. L’impegno di molti compagni/e e delle sezioni in questo
senso è stato estremamente positivo, anche se da una parte molto è ancora da fare per individuare in
tutti i territori sedi pubbliche e dall’altra il loro sostentamento (affitto, luce, gas, telefono, ecc) può
risultare molto oneroso sul piano locale.

Negli ultimi mesi, infine, abbiamo registrato l’avvicinamento o l’iscrizione al Movimento di diversi
gruppi di lavoratori, attivi nelle proprie organizzazioni sindacali o comunque nell’intervento nella
propria azienda (dalla Fiat di Torino all’Emilia Romagna), iniziando a coinvolgere nel nostro
progetto politico nuovi settori, seppur ancor limitati, dell’avanguardia sociale di classe.
Due limiti principali hanno però caratterizzato e continuano a caratterizzare la nostra
organizzazione: una limitata presenza di nuclei organizzati di avanguardia di classe (benché la
nostra composizione sia in maggioranza proletaria, in particolare operaia, anche tra i giovani), un
debole radicamento nelle aree metropolitane con una diffusione nazionale ma una scarsa
concentrazione territoriale.

2.3 La collocazione del PRC al governo ha determinato in ampi strati popolari e di classe un certo
sbandamento: ad un iniziale perplessità rispetto scelte di politica economica inattese (Dpef 2006 e
Finanziaria) è seguita una progressiva estraniazione di importanti settori di classe. Ma nonostante i
fischi di Mirafiori, gli scioperi dei metalmeccanici, le manifestazioni di Vicenza e del 9 giugno in
questi settori sono ancora presenti ampie e profonde titubanze. La limitatezza delle contestazioni al
nuovo patto di luglio ed agli evidenti sbandamenti contrattuali della Cgil in questi mesi (chimici,
commercio, poste, pubblico impiego) ci riportano questa rappresentazione. In molte realtà
importanti della lotte di classe di questo periodo, dalla Fincantieri a Melfi, la rottura con la sinistra
di governo non è ancora stata consumata. L’intervento del mcPCL e della sinistra di opposizione in
questo difficile anno è stata segnata dalla battaglia antimperialista: la mobilitazione contro la guerra
in Libano, la manifestazione di novembre a Roma in contrapposizione ad una sinistra pacifista ed
interventista, i cortei romani di marzo e del 9 giugno contro l’intervento militare in Afghanistan.
Mobilitazioni in cui è difficile incontrare un impegno di massa in ampi settori di lavoratori, del
cuore organizzato della classe. Il radicamento del mcPCL segna quindi ancora una presenza
episodica e scomposta nei posti di lavoro, nei settori cruciali del sistema produttivo,
nell’avanguardia di classe del nostro paese. Molti sono ancora i settori militanti da conquistare e
significative le difficoltà e ritrosie incontrate.

2.4 La costruzione del mcPCL si è caratterizzata per un’ampia diffusione nazionale, una presenza in
quasi tutte le regioni italiane. Ma è una strutturazione ancora a macchia di leopardo, con una forte
diffusione nei piccoli centri ed un difficile coordinamento fra i compagni. Un dato certamente
positivo è stata la capacità di diffondersi e strutturarsi nel territorio, ma in nessuna area registriamo
lo sviluppo di un radicamento rilevante a livello politico, sociale o elettorale (come è stato, ad
esempio, Milano per molte organizzazione della cosiddetta nuova sinistra italiana). Il PCL ha oggi
un limitato numero di compagni/e iscritti nelle grandi città (con alcune eccezioni come Torino e
Bologna), in un quadro che però vede significative sezioni sia per numero di iscritti che per
intervento politico in alcuni hinterland (Milano, Genova, Reggio Calabria). In questo quadro è
necessario approfondire l’analisi e l’inchiesta sulla strutturazione del tessuto metropolitano, sulla
formazione di grandi aree policentriche intorno ai capoluoghi di regione, sulla composizione e
scomposizione della classe e dei ceti popolari in questi contesti, sulle modalità organizzative e le
linee politiche particolari del nostro intervento.

2.5 Nei prossimi mesi appare difficile che questi limiti potranno essere superati. La dinamica della
lotta di classe nel nostro paese difficilmente incontrerà accelerazioni significative: la nuova riforma
delle pensioni e l’avvio estivo di una nuova stagione concertativa ha trovato e troverà in autunno
significative opposizioni. Siamo impegnati, con il massimo sforzo, per avviare a maturazione una
rottura nell’avanguardia di classe e nel complesso dei lavoratori con il governo di centrosinistra e le
burocrazie sindacali. Ad oggi è difficile prevederne la portata e la dinamica. Ma è anche complesso
per le nostre forze riuscire a cogliere e direzionare una realtà di classe scomposta e parcellizzata dal
significativo incremento della precarietà negli ultimi anni. Inoltre nei prossimi mesi è probabile che
si struttureranno altre forze nella sinistra di opposizione. Da una parte la possibile nascita di un
nuovo soggetto intorno a Sinistra critica, dall’altra la possibile ripresa di un protagonismo politico
in alcuni settori dei sindacati di base possono coagulare soggetti e settori di classe oggi critici, ma
ancora profondamente legati ad impostazioni, prassi, abitudini delle tradizioni della precedente fase
storica. Possono cioè svilupparsi nuove organizzazioni in grado di cristallizzare aree significative
dell’avanguardia sociale e di classe in formazioni ideologiche movimentiste, sindacaliste o che
ripropongono un ennesima articolazione dell’unità dei comunisti.

La costruzione del PCL nella prossima fase sarà quindi determinata soprattutto dallo sviluppo di
una nostra azione quotidiana, dalla crescita della nostra capacità di radicamento nella classe,
dall’espansione del nostro intervento nelle lotte. Il nostro principale obbiettivo diventa quello di
consolidare l’organizzazione, un partito comunista e rivoluzionario dell’ordine di qualche migliaio
di iscritti, e di dargli una proiezione nella classe. Per raggiungere questo obbiettivo, dobbiamo
costruire un partito di avanguardia, in grado di agire sul terreno della propaganda, dell’agitazione,
della direzione delle lotte e della ricomposizione politica della classe.

3. Partito e lotta di classe: l’organizzazione dell’avanguardia


politica
“Parecchi dei nostri critici immaginano che Marx abbia affermato che lo sviluppo economico e la
lotta di classe non soltanto creano le condizioni della produzione socialista, ma generano anche
direttamente la coscienza della sua necessità. Ed ecco questi critici obiettare che il paese del più
avanzato sviluppo capitalistico, l'Inghilterra, è il più estraneo, fra tutti i paesi moderni, a questa
coscienza…La coscienza socialista sarebbe, per conseguenza, il risultato necessario, diretto della
lotta di classe proletaria. Ma ciò è completamente falso…
La coscienza socialista è un elemento importato nella lotta di classe del proletariato e non qualche
cosa che ne sorge spontaneamente … il compito della socialdemocrazia è di introdurre nel
proletariato la coscienza della sua situazione e della sua missione. Non occorrerebbe far questo se la
coscienza emanasse da sé dalla lotta di classe.”

(K. Kautsky, Neue Zeit, 1901-1902, XX, I, n. 3, pag. 79)

3.1.1 Può sembrare strano aprire questo capitolo con una citazione di Kautsky, marchiato nella
storia del movimento operaio per le sue scelte nel corso della prima guerra mondiale, contro
l’ottobre e la dittatura del proletariato. Ma questa citazione ci ricorda che all’inizio del secolo scorso
tutta la sinistra della seconda internazionale (da Lenin alla Luxemburg, da Kautsky a Bebel) era
chiamata a confrontarsi con il problema della relazione tra classe e partito, tra lotte contro il capitale
e transizione al socialismo. Il contributo essenziale delle esperienze del movimento operaio a
cavallo del ‘900 è proprio la focalizzazione che la coscienza socialista, il progetto di abbattere il
modo di produzione capitalista, non è un portato diretto delle lotte dei lavoratori contro di esso.

3.1.2 La contraddizione capitale-lavoro, tra l’accumulazione attraverso l’estorsione di plusvalore e


la difesa dei salari da parte dei lavoratori, informa di sé tutto il sistema produttivo ed, anzi, per sua
interna dinamica, tende progressivamente ad estendersi ed approfondirsi ciclicamente. Al di là di
alcune fasi espansive in cui il capitale è in grado di accrescere sostanzialmente la produttività e
quindi di ridistribuire una quota maggiore di salario (aumentando il potere di acquisto reale dei
lavoratori, pur diminuendo quello relativo), le fasi di crisi per i cicli e gli squilibri del modo di
produzione capitalista comportano inevitabili periodi di tagli ai salari reali, di compressione del
potere d’acquisto, di aumento dello sfruttamento dei lavoratori attraverso l’allungamento del tempo
e/o l’intensificazione dei ritmi di lavoro. La classe operaia, cioè i lavoratori impiegati nelle imprese
produttrici di plusvalore (siano esse produttrici di beni materiali o immateriali), è portata
inevitabilmente a scontrarsi con i padroni dei mezzi di produzione per difendere le proprie
condizioni di vita. Sottolineare questo dato non è né inutile né scontato, in un momento storico in
cui per molti anni sono prevalse, anche nel movimento operaio, teorie ed ideologie che hanno
propagandato la “nuova economia”, il superamento di fatto della contraddizione capitale-lavoro,
l’esaurimento della classe operaia.

Dalla “soffitta” in cui Bernestein e Croce relegavano Marx all’inizio del ‘900 alle analisi
sull’integrazione degli operai in una società “ad una sola dimensione” negli anni ’60, arrivando sino
alle recenti ipotesi sulla fine del lavoro e la società della conoscenza, più e più volte si sono
succedute raffinate teorie sull’esaurimento del movimento operaio e della sua contraddizione
irriducibile con il capitale. Ma dagli scioperi del Lancashire nell’800 a quelli di Torino nel 1943,
dalle lotte operaie del 1969 ai conflitti coreani nella prima metà degli anni ’90, dall’occupazione
degli stabilimenti Gm di Flint nel 1936 alle recenti lotte della Fiat di Melfi, più e più volte il
movimento operaio ho rivelato la necessità del capitale di estorcere plusvalore, la sua incapacità ad
integrare definitivamente i lavoratori, l’inevitabilità del conflitto di classe. Anche là dove nascevano
stabilimenti con un nuovo proletariato di recente immigrazione contadina, in “prati verdi” senza
tradizioni consolidate di lotta, senza organizzazione e coscienza di classe.

3.1.3 Ma questa lotta non comporta automaticamente una transizione storica ad un diverso modo di
produzione, una crescita inarrestabile della socializzazione del lavoro cooperativo che si impone di
fatto a pochi capitalisti “rentier” isolati e produttivamente inutili. Al di là di questa o quella
citazione dotta di alcuni testi di Marx, al di là di questa o quella sperimentazione estemporanea di
“spazi liberati dal capitale” che si imporrebbero in modo epidemico negli interstizi del modo di
produzione capitalista, l’esperienze storica e la nostra esperienza quotidiana ci raccontano una storia
diversa.
La struttura produttiva capitalista rivolge continuamente sé stessa, alla ricerca di nuovo profitto e di
nuova accumulazione. E rivolgendo continuamente sé stessa, cambiando prodotti e innovando i
processi, scopone e ricompone continuamente il lavoro associato: rompe filiere, trasferisce imprese,
modifica mansioni ed incarichi. E di conseguenza rivolge l’identità sociale e politica della classe.
Da una parte il capitale usa il suo potere politico, la gestione dello Stato e dei suoi apparati
ideologici e repressivi, per imporre la sua riproduzione e la sua estensione. Dall’altra la coscienza
socialista, l’obbiettivo non solo di difendere il salario ma di abbattere il modo di produzione
capitalista, non sorge spontaneamente nella lotta di classe. L’obbiettivo di conquistare il potere
politico e di cambiare il sistema sociale attraverso la forza dello Stato, di sostituire alla dittatura
della borghesia una dittatura consiliare della classe, comporta la necessità di costruire politicamente
questo percorso e di non lasciarlo al libero sviluppo della lotta dei lavoratori. Qui, in questo
obbiettivo ed in questa strategia, si pone la centralità e l’attualità del contributo teorico di Lenin alla
costruzione ed allo sviluppo del movimento comunista. Il “che fare?” (1902), testo da cui abbiamo
tratto la citazione di Kautsky che apre questa parte del documento, sottolinea come la tendenza
inevitabile del movimento operaio a collocarsi su un terreno economico di lotta renda necessaria la
costruzione di un partito politico organizzato e consapevole del suo progetto politico di transizione
socialista.
3.1.4 “La storia di tutti i paesi attesta che con le sue sole forze la classe operaia è in grado di
elaborare soltanto una coscienza tradeunionista, cioè la convinzione della necessità di unirsi in
sindacati, di condurre la lotta contro i padroni, di cercar di ottenere dal governo determinate leggi
necessarie agli operai, ecc.”, (Lenin, 1902, “Che fare?” II capitolo, "La spontaneità delle masse").
La coscienza di classe ha uno sviluppo discontinuo e contraddittorio, tanto più discontinuo e tanto
più contraddittorio quanto più si è immersi in una fase di scomposizione e disorganizzazione della
classe. Questo non vuole dire naturalmente che i lavoratori si limitano sempre ad una lotta di
carattere sindacale o economico, che non sono in grado di sviluppare una lotta politica senza un
partito comunista e la sua direzione. Ma indica che la classe, o almeno la sua maggioranza, anche
nel fuoco della lotta, non è in grado di darsi spontaneamente un programma ed un’azione socialista.
E la storia dei conflitti operai del secolo scorso ci dimostra che la lotta di classe senza un progetto
politico comunista è destinata ad essere travolta, soprattutto quando questa si colloca in un
momento rivoluzionario di crisi generale del sistema capitalista, o momentaneamente integrata. La
molteplicità ed il frazionamento dei movimenti antagonisti di questi anni rendono quindi ancora più
attuale la necessità di definire il partito ed un programma di superamento della società capitalistica:
la presa del potere e la trasformazione modo di produzione capitalista attraverso lo Stato.
L’antagonismo operaio, contadino, giovanile si esprime in questi anni, da Seattle alla Francia, dalla
Cina al Sudafrica. Non è finita la lotta di classe, ma è in crisi la capacità di costruire un progetto di
società socialista, è in crisi la direzione comunista del movimento operaio.

3.1.5 Il partito è quindi il luogo in cui si definisce una coscienza socialista della classe:
l’organizzazione che si raggruppa su un programma di transizione socialista, che lotta per
conquistare la maggioranza della classe a questo programma e realizzare la rivoluzione. Il partito
non è quindi il luogo di organizzazione e di raccolta della classe, di tutta la classe. Non è un partito
di massa che raccoglie tutti i diversi strati sociali e politici del mondo del lavoro o che struttura i
molteplici antagonismi delle diverse frazioni del proletariato. La classe infatti è strutturata in “una
serie di fasce concentriche di proletari di numero crescente e di consapevolezza decrescente”,
(Trotsky, 1904, “I nostri compiti politici”). Se l’obbiettivo fondamentale che il partito si pone è la
presa del potere per la transizione socialista, se l’obbiettivo è la rivoluzione, il partito non è né un
partito dei lavoratori (di tutti i lavoratori), né un contenitore dei diversi programmi politici che nella
classe si coagulano. Il partito che intendiamo costruire, a partire dal fondamentale contributo
leniniano e dall’esperienza del movimento comunista, è un partito di avanguardia. Un partito che si
pone l’obbiettivo di portare nella classe la coscienza di un programma rivoluzionario e comunista.
Quindi, un partito comunista dei lavoratori.

3.1.6 Un partito di avanguardia. Ma questa caratterizzazione ancora non è sufficiente a definirlo. Se


l’obbiettivo è quello di raccogliere i settori di classe che intendono portare avanti un programma
socialista, è un partito che intende organizzare l’avanguardia politica della classe, e non
semplicemente la sua avanguardia sociale e di lotta. Cioè organizza quei lavoratori, studenti, operai,
precari ed intellettuali che assumono il suo progetto politico, concordano con il suo programma e si
organizzano per raggiungerlo. In questa caratterizzazione del partito è implicita la diversità con altri
modelli che si sono diffusi durante il ciclo di lotte degli anni 60 e 70. Esperienze che hanno
impostato il partito rivoluzionario come partito delle avanguardie di classe, di massa o di
movimento: Lotta continua, Potere operaio come molti settori dell’Autonomia (ma non solo) hanno
privilegiato e teorizzato la raccolta e l’organizzazione di operai, studenti, precari che
rappresentavano, per il loro ruolo e la loro militanza, i settori che in quel ciclo di lotta erano in
grado di esprimere con maggiore radicalità l’antagonismo della classe nei confronti del capitale.
Una radicalità antagonista che era ed è indipendentemente dallo sviluppo, dalla comprensione e
dall’accordo con un programma socialista di transizione. Partiti di estrema sinistra che erano
organizzazioni, se non di massa, dell’attività di massa: partiti del movimento. Il partito
rivoluzionario è per noi invece un partito di avanguardia politica: un partito di programma. Quindi
un’organizzazione in cui, secondo la celebre proposta Leniniana per lo statuto del Posdr nel 1903,
“si considera membro del partito chiunque ne riconosca il programma e sostenga il partito sia coi
mezzi materiali che partecipando personalmente a una delle sue organizzazioni”.

3.2 “Chiunque ne riconosca il programma…”: un’organizzazione per ricomporre politicamente la


classe, per la dittatura del proletariato

3.2.1 Il partito come avanguardia politica è quindi innanzitutto il suo programma: non un elenco di
rivendicazioni, la costruzione di un insieme più o meno coordinato di obbiettivi per i diversi settori
di classe, la mediazione fra gli interessi e gli immaginari dei suoi settori più organizzati o radicali. Il
programma è per noi l’obbiettivo della rivoluzione e della conquista del potere, la dittatura del
proletariato e la democrazia consiliare, il progetto di una transizione ad un modo di produzione
socialista. Compito principale dei comunisti in questa specifica fase storica è quello di raggrupparsi
attorno a questo programma, conquistare ad esso l’avanguardia della classe operaia e in prospettiva
la sua maggioranza. Partecipare quindi con le proprie forze alle resistenze contro l’imperialismo ed
il colonialismo, promuovendo fra le masse il proprio programma di liberazione non solo nazionale,
ma anche sociale e lavorando per conquistare ad esso la classe operaia e i proletari tutti. La
dialettica inestricabile fra lotta di liberazione nazionale e lotta per la liberazione sociale e
l’internazionalismo sono elementi costitutivi di qualunque organizzazione che voglia coerentemente
definirsi comunista.

3.2.2 Il ruolo del partito, il suo intervento per portare una coscienza socialista nella classe è tanto
più urgente quanto più questa fase storica è segnata dalla lunga fase stagnazionista seguita alla crisi
dei primi anni ’70, da continue ristrutturazioni e dislocazioni della filiera produttiva, da significative
espansioni del capitale sia nello spazio (estensione del modo di produzione capitalista nel blocco
sovietico ed in Cina) che nella struttura sociale (attraverso la rimessa a valore dei monopoli
pubblici), da estesi ampliamenti del proletariato attraverso l’aumento della forza lavoro. Il
proletariato ha oggi più di ieri diverse sfaccettature ed interessi, è diviso da differenti appartenenze
etniche e identità di riferimento, esprime distinti livelli di coscienza di classe, punti di vista, progetti
politici. La ripresa negli ultimi anni, dentro il movimento noglobal come nelle lotte delle comunità
contadine indiane, nei movimenti indio sudamericani come nella gioventù precaria dell’Europa di
prospettive comunitariste, anarchiche, nazionaliste di destra e di sinistra, pacifiste o prodhuniane
sono espressione contemporanea della crisi dello stalinismo e del movimento comunista mondiale,
come dell’articolazione e della scomposizione della classe. La sua ricomposizione non dipende
solamente dall’andamento del ciclo del capitale e dalla ripresa di un nuovo ciclo di lotta, dalla
velocità con cui saranno riorganizzata dal capitale in nuovi processi produttivi e dalla sua capacità
di riorganizzare una propria avanguardia sociale, ma anche dalla sviluppo della consapevolezza e
della coscienza del suo sfruttamento comune, dallo definizione di un proprio programma politico,
dalla sua organizzazione in un partito comunista. Il partito si forma come avanguardia politica dei
settori di classe che maturano questa necessità e lottano per il suo programma.

3.3 “partecipando personalmente ad una delle sue organizzazioni”: la militanza


3.3.1 Un partito di avanguardia è un partito di militanti. La tradizione togliattiana che ha
profondamente influenzato la storia, l’immaginario e l’impostazione teorica del movimento operaio
italiano, ha particolarmente insistito sull’opportunità della costruzione di un partito comunista di
massa, sino a trasformarla in un senso comune di larga parte dei militanti di sinistra italiani.
Un’impostazione strettamente connessa alla costruzione del “partito nuovo”, di quella sostanziale
rifondazione politica ed organizzativa che il PCI ha conosciuto durante la lotta partigiana e
nell’immediato dopoguerra. Un’impostazione cioè legata a quella strategia del gruppo dirigente
stalinista del PCI che abbiamo ricordato nei primi capoversi di questo documento. Un partito che
intendeva collocarsi saldamente all’interno della nuova repubblica borghese, avendo nel contempo
la necessità di confrontarsi elettoralmente e politicamente con un partito cattolico di massa. Un
partito che intendeva raccogliere al suo interno l’espressione politica di tutta la classe lavoratrice
italiana, indipendentemente dai propri livelli di coscienza e progettualità politica, per emarginare
quella tradizione e organizzazione socialista egemone prima della seconda guerra mondiale. Un
partito che si proponeva un lungo cammino di riforme di struttura all’interno della società
capitalistica, egemonizzando tutte le diverse espressioni della lotta di classe e collocandole al
contempo in una pratica politica moderata e riformista.
I nostri obbiettivi sono diversi. La nostra strategia ed il nostro programma politico sono diversi. La
nostra organizzazione deve essere diversa, lavorando sia nel partito che nel senso comune dei
militanti di sinistra per rendere evidente questa diversità e le sue conseguenze sia sul piano
dell’organizzazione che della militanza soggettiva.

3.3.2 Se il nostro obbiettivo è portare una coscienza socialista nei lavoratori e non solamente una
coscienza di classe, se il nostro obbiettivo è costruire una consapevolezza in larghi strati di
lavoratori della necessità di una transizione socialista e non solamente il consolidamento di un
antagonismo con il capitale, se il nostro obbiettivo cioè è la rivoluzione, è necessario un partito di
avanguardia politica. Un partito di militanti e non un partito di massa. Compagni e compagni che
non offrono solamente un’adesione ideale, che non entrano nel partito e si organizzano in esso
solamente sulla spinta della propria identità di classe o per l’interesse della difesa della propria
condizione materiale, ma condividono pienamente un programma politico rivoluzionario, ne
discutono la realizzazione in funzione della fase del ciclo capitalista e della condizione della classe,
agiscono in modo organizzato in questa direzione. Se la fase che il congresso fondativo del PCL
apre è quella del consolidamento del partito, il nostro principale obbiettivo organizzativo è quella
della costruzione della militanza tra i nostri iscritti, della formazione dei compagni e delle
compagne, della selezione del gruppo dirigente. Parallelamente cioè alla conquista di nuovi
compagni e compagne in seguito al nostro intervento nelle lotte di classe ed alla presentazione del
nostro programma politico, parallelamente alla conclusione di un processo di raggruppamento di
quei settori militanti dell’avanguardia sociale e politica disponibili a questo processo, è necessario
“spiegare pazientemente” la differenza tra i nostri obbiettivi politici e quella tradizione togliattiana
che si è così profondamente radicata nel senso comune del movimento operaio italiano. E trarre da
questa consapevolezza le necessarie conseguenze organizzative.

3.3.3 Il nostro principale obbiettivo organizzativo nella prossima fase è quindi quello di costruire,
collettivamente e soggettivamente, una partecipazione militante e non soltanto un’adesione al
partito. Questo percorso, a fronte di un senso comune radicato in molti decenni di storia e rilanciato
dall’esperienza di Rifondazione comunista, non può essere né facile né immediato. Tanto più in una
fase storica che, come abbiamo sottolineato più volte, vede una scomposizione della classe, uno
sbandamento della sua coscienza, un indebolimento della partecipazione e della militanza anche
nelle organizzazioni di difesa degli interessi di classe. La necessità quindi della costruzione di un
partito di avanguardia politica di militanti deve essere capace di dialettizzarsi sia con la tradizione
del partito di massa sia con una debole composizione politica della classe e della sua avanguardia.
E’ necessario quindi una profonda discussione nel partito per costruire questa struttura militante, è
necessario individuare una proposta di adesione comprensibile a quei compagni e quelle compagne
che si avvicinano al nostro programma ed alla nostra organizzazione.

La proposta che avanziamo è quindi duplice. Da una parte quella di individuare un percorso di
strutturazione della militanza nel PCL, un percorso che preveda momenti precisi di verifica
soggettiva e collettiva della propria forma di partecipazione al partito. Dall’altra quella di mantenere
comunque un’adesione non militante al partito, rivolta a quei compagni ed a quelle compagne che
condividono il nostro programma, che decidono di accompagnarci in un percorso di lotta e di
sviluppo del PCL, ma che non maturano ancora una partecipazione piena alla nostra organizzazione
di avanguardia. La proposta che avanziamo è cioè di avviare nel 2008 il primo tesseramento al PCL
con le stesse modalità politiche e organizzative del Movimento costitutivo (adesione ai 4 punti
fondativi, quota di iscrizione individuale limitata), di discutere e “spiegare pazientemente” per tutto
il corso dell’anno la necessità e gli obbiettivi di un organizzazione militante, di avviare con il
tesseramento 2009 una duplice forma di adesione al PCL, iscritti e militanti. Il PCL avrà quindi in
quel momento una doppia modalità di partecipazione alla propria organizzazione: l’iscrizione,
rivolta a compagni e compagne che aderiscono al nostro programma, e l’iscrizione militante, rivolta
ai compagni che si impegnano nelle nostre strutture organizzate e che contribuiscono,
soggettivamente ed economicamente, alla vita del partito. La scelta della forma di adesione, la
semplice iscrizione o la militanza, non può essere che una scelta individuale di ogni iscritto, che può
ovviamente discutere con il gruppo dirigente della propria sezione la propria collocazione. Se
l’obbiettivo che abbiamo è quello della costruzione di un partito di avanguardia politica,
l’organizzazione del partito, le sue scelte, i gruppi dirigenti, l’indicazione della linea politica non
può che essere decisa da quei compagni e compagne che scelgono un’adesione piena al PCL: la
proposta che avanziamo implica di conseguenza che a partire dal tesseramento 2009 il diritto di
voto attivo e passivo sia limitato ai militanti. I gruppi dirigenti locali e nazionali, le decisioni
congressuali e le scelte di linea politica sono innanzitutto valutati nel corpo militante
dell’organizzazione, eliminando o comunque limitando tutte quelle pratiche deteriori di costruzione
di cordate, “cammellamenti” e “comitati elettorali” che hanno attraverso la vita e la discussione
interna sia del PCI che di Rifondazione comunista. La forma di adesione non militante al PCL si
configura quindi come un percorso di avvicinamento o accompagnamento del partito che non può
comunque essere considerata né inutile né inessenziale. Una forma di adesione che deve trovare una
propria collocazione anche sul piano formale sia tenendo conto, con valore consultivo, dei voti e
degli orientamenti di questi iscritti in tutte le decisioni assunte, sia prevedendo forme e momenti
specifici di compartecipazione alla scelte dell’organizzazione.

3.4 “sostenga il partito con mezzi materiali…”: le quote di finanziamento

3.4.1 Il primo punto programmatico su cui è nato il PCL è la difesa dell’autonomia politica della
classe operaia, un’organizzazione in grado di realizzare il proprio programma rivoluzionario. La
prima condizione della propria autonomia politica è la capacità di garantirsi un’autonoma
sopravvivenza finanziaria. Questa condizione garantisce l’indipendenza e nel contempo limita la
capacità di esistenza, d’azione e di intervento reale. Una condizione che, in quanto organizzazione
politica delle classi subalterne, è sempre stata difficile da realizzare in tutta la storia del movimento
operaio. L’esperienza storica del movimento comunista ci dice che, al di là di espedienti legali ed
illegali che hanno garantito estemporaneamente fondi al partito (dalla pratica dei matrimoni di
convenienza all’esproprio nelle banche caucasiche), la principale fonte di raccolta delle risorse
necessarie non può che essere l’autofinanziamento.

3.4.2 Le esigenze economiche di un organizzazione appena nata e con i nostri obbiettivi politici
sono immense. Dall’acquisizione di una propria sede nazionale all’individuazione delle sedi locali,
dal finanziamento della vita democratica interna all’organizzazione di iniziative sul territorio, dalla
stampa e propaganda all’intervento nelle lotte sociali. La possibilità di consolidare il partito nei
prossimi anni è legata alla nostra capacità di costruire nei prossimi mesi un minimo centro
nazionale funzionante, di poter intervenire con efficacia e puntualità nel dibattito politico nazionale
e nelle lotte sociali in corso (volantini, manifesti, spazi sui giornali, strumenti di comunicazione,
ecc), di garantire un confronto ed un dibattito democratico interno (riunioni, bollettino di
discussione, ecc), di poter supportare la costruzione delle sezioni locali e l’intervento sul territorio
(sedi, strumenti di stampa, spostamento di compagni/e del nazionale, ecc). Il complesso di queste
iniziative è estremamente oneroso per un’organizzazione giovane e che non dispone di alcun
finanziamento esterno (soldi pubblici, area organizzata di simpatizzanti, rete stabile di donatori
eccellenti, ecc).

In primo luogo per poter programmare e realizzare gli investimenti necessari al funzionamento
dell’organizzazione (affitto sedi, rimborsi ai compagni/e, stampa, computer, ecc) e programmare
consapevolmente la propria attività è assolutamente necessario garantire un entrata costante e
continuativa al centro nazionale.

Nel corso del 2007 il Coordinamento nazionale del Movimento costituivo del PCL ha individuato
una prima forma di autofinanziamento, che dovrebbe entrare a regime in autunno: l’impegno di
tutti/e gli/le iscritti/e ad un sostegno stabile e continuativo, versato in base alle concrete
disponibilità dei compagni/e, che le sezione locali indirizzano parzialmente con quote mensili
complessive al centro nazionale. L’adesione a questo dispositivo è stata realizzata in forma
volontaria, tenendo conto della situazione economica di ognuno (stipendio, situazione familiare,
contesto in cui si vive, ecc).

3.4.3 La proposta che avanziamo per consolidare questo meccanismo di finanziamento è quello di
legarlo alla militanza, come tradizione delle organizzazioni comuniste, dandogli una maggior
formalizzazione e strutturazione. Si propone cioè che, con l’avvio del tesseramento militante, sia
previsto il versamento da parte di tutti gli iscritti militanti di una quota minima mensile
proporzionale al proprio reddito netto reale (al netto della tassazione e complessivo di tutte le
proprie entrate), dell’ordine di 1 punto percentuale ogni 500 euro. Il sistema proporzionale che si
propone è analogo a quello dell’Irpef, la percentuale è calcolata relativamente ad ogni quota di
reddito: se una persona ha un reddito netto complessivo di 1.200 euro, ad esempio, versa di quota
mensile l’1% sui primi 500 euro (5 euro) più il 2% dai 500 ai 1000 (10 euro), più il 3% dai 1000 ai
1200 (6 euro), per un totale di 21 euro.
Questa quota, comprensiva di tutti i contributi stabilmente versati all’organizzazione (locali e
nazionali), è intesa come quota minima, salvo eccezioni che potranno tenere conto dei carichi
familiari o di vita dei singoli iscritti/e (nucleo famigliare, parenti a carico, particolari condizioni di
salute, ecc), concordando con il gruppo dirigente della sezione il proprio contributo effettivo
(riducendolo entro una certa parte della quota, individuata da una decisione degli organismi
dirigenti nazionali). La Direzione Nazionale determina a carico di ogni sezione provinciale la parte
delle quote dei propri militanti da trasferire al centro nazionale, tenendo conto di alcuni parametri,
ovvero: numero di militanti, posizione economica e situazione lavorativa dei militanti (ad esempio
chi è disoccupato non è tenuto al pagamento della quota mensile), carichi familiari o di vita degli
iscritti, eventuali spese di affitto della sezione. I coordinatori di sezione si preoccupano di
raccogliere le quote e di versarle mensilmente agli organismi dirigenti nazionali.

3.5 La discussione nel Partito: diritto al dissenso e unità programmatica.

“Senza teoria rivoluzionaria non vi può essere movimento rivoluzionario. Non si insisterà mai
troppo su questo concetto in un periodo in cui la predicazione opportunistica venuta di moda è
accompagnata dall’esaltazione delle forme più anguste di azione pratica… bisogna essere ben miopi
per giudicare inopportune e superflue le discussioni di frazione e la rigorosa definizione delle varie
tendenze.” (Lenin, “Che fare?”, 1902)

3.5.1 Le strutture ed il confronto interno delle organizzazioni della sinistra italiana, come abbiamo
già ricordato, sono state profondamente influenzate da due diverse esperienze storiche: la
degenerazione stalinista del PCI e le formazioni della “nuova sinistra”, spesso al contempo basiste e
leaderistiche (per quanto sembri contraddittorio, questi due elementi più che contrapporsi, spesso si
accompagnano).
La prima era fondamentalmente caratterizzata da tre elementi fra loro intrecciati: una ferrea
limitazione del dibattito entro un quadro ristretto sia organizzativo che politico (sostanzialmente nel
gruppo dirigente centrale e entro l’impostazione teorica dominante in quella fase nella casa madre
sovietica); una fedeltà ed una subordinazione al gruppo dirigente nei quadri intermedi e
nell’apparato; un ampio potere di indirizzo e gestione concentrato nella segreteria generale del
Partito, per molti decenni una carica a vita (il primo a dimettersi per motivi di salute fu Natta nel
1987), che nei momenti storici cruciali era in grado di imporsi sul gruppo dirigente centrale
appellandosi direttamente alla base ed al gruppo dirigente intermedio (Togliatti con la svolta di
Salerno, Berlinguer sulla Nato, Occhetto con la Bolognina).

Le formazioni delle cosiddetta nuova sinistra italiana sono state caratterizzate da altri elementi,
spesso in antitesi con questa tradizione: una molteplicità di programmi politici che si raggruppavano
sulla base della contingenza politica; la conseguente costruzione di organizzazioni contenitore, nel
quale sussistevano gruppi, poli o tendenze organizzate; la costruzione di un gruppo dirigente
collettivo autorevole, in grado di mediare le diverse linee e, all’occasione, di attivare e chiamare al
confronto interno le proprie aree di riferimento nel corpo dell’organizzazione. In alcune
organizzazioni era più rilevante l’influenza dei dirigenti centrali; in altre la composizione di linee
programmatiche diverse che si consolidavano territorialmente, costituendo di fatto una federazione
nazionale di gruppi/collettivi locali e nel contempo controllando se non reprimendo nei rispettivi
territori le altre impostazioni; in altre infine era più esplicita l’organizzazione in tendenze che si
richiamavano ad alcuni dirigenti nazionali.

Rifondazione comunista è riuscita, nella sua evoluzione quindicinale, a realizzare un coacervo


organizzativo del peggio di entrambe queste tradizioni: il potere quasi illimitato della segreteria e
della presidenza del Partito, in un originale diarchia poi ridotta a uno; la fedeltà e la subordinazione
al gruppo dirigente centrale dell’apparato; la costruzione di cordate politiche e territoriali, ecc.

3.5.2 Rispetto a queste tradizioni, ci sembra utile tornare ad alcune impostazioni proprie
dell’esperienza bolscevica prima del 1921: un’organizzazione unita su un programma, centralizzata
nella propria azione e nel contempo con la massima libertà interna di elaborazione, confronto e
discussione sull’analisi della fase politica ed i suoi compiti.

Un’organizzazione unita su un programma. La stessa esperienza di Dp o de PRC mostra come il


tentativo di raggruppare diverse impostazioni e tradizioni, senza una definizione di un programma
condiviso, comporti l’inevitabile conseguenza di determinare organizzazioni-contenitore.
Organizzazioni cioè schiacciate dal continuo confronto e dalla spossante mediazione interna sugli
obbiettivi di fondo del partito, che spesso trovano l’unica ragione di sviluppo nella contingenza
politica ed elettorale, subendo inevitabilmente una fortissima pressione a degenerare in una pratica
politica riformista. Al contrario, la scelta politica che abbiamo impresso al PCL sin dalla nascita del
movimento è quella di un’organizzazione che si costituisce e si sviluppa a partire da alcuni elementi
programmatici chiari e fondanti, su un nocciolo progettuale condiviso che limita e definisce il
campo dell’appartenenza al partito e il suo dibattito. L’esperienza concreta di confronto interno che
abbiamo vissuto durante quest’ultima anno ci sembra confermi, a negativo, questa impostazione
politico organizzativa del partito. La separazione che abbiamo conosciuto alla scorsa Assemblea
nazionale con compagni e compagne che ci hanno accompagnato, anche con impegno e generosità,
nei primi mesi del mcPCL, seppur limitata quantitativamente, ha rivelato quanto sia importante
definire chiaramente un’impostazione programmatica e non identitaria del partito. Al di là delle
diverse valutazioni sulle motivazioni della divergenza e sui tempi della rottura che hanno
attraversato alcune aree del mcPCL, la conclusione di questa vicenda con la costituzione del
Coordinamento per l’Unità dei comunisti ha reso esplicita l’esistenza di progetti politici diversi e
divergenti. Da una parte lo sviluppo progressivo di un partito programmatico (per l’autonomia della
classe, la dittatura del proletariato e un metodo d’azione transitorio, in un processo storico
costitutivo parallelo sul piano nazionale e su quello internazionale); dall’altra la costruzione di un
rassemblement di diverse soggettività comuniste che si collocano all’opposizione del governo
Prodi, indipendentemente dalla propria tradizione ed impostazione teorica, ma al contempo anche
indipendentemente dal proprio programma politico non contingente. Due progetti politici che come
hanno rivelato quelle aspre settimane di dibattito, difficilmente riescono a convivere in
un’organizzazione di avanguardia, e non di massa, senza degenerare rapidamente in pratiche di
confronto confusive e comportamenti distruttivi.

La costruzione di un partito leninista, programmatico e di avanguardia, comporta quindi


conseguentemente la definizione del suo dibattito all’interno di quel quadro progettuale:
un’articolazione ed una discussione sull’analisi della fase, sulle strategie per sviluppare il partito e
la lotta di classe, sulla linea politica contingente, ma non un confronto tra programmi diversi.

Un organizzazione centralizzata. L’autonomia di azione delle singole strutture (sezioni, cellule,


commissioni, ecc), la libera espressione dei singoli militanti ed iscritti al Partito, l’indipendente
elaborazione di analisi e proposta di tutti i compagni/e non può prescindere dalla necessità di
comporre un’analisi della situazione, una linea d’azione ed un’attività coordinata centralmente.
L’esperienza bolscevica, con il secondo congresso del Posdr (1903), si costituisce a partire dalla
rivendicazione della necessità di centralizzare l’organizzazione, limitando l’autonomia e
l’indipendenza che sino ad allora avevano conosciuto i suoi comitati territoriali, come alcune
strutture etniche ad esso aderenti (il Bund ebraico). Si può pensare che questa sia una vecchia
discussione, un’esperienza passata in un contesto diverso da quello attuale: la grandezza e
l’arretratezza sociale della Russia, la clandestinità a cui era costretta l’organizzazione. Ma proprio
questi elementi potrebbero essere considerati come eccellenti ragioni per una maggior flessibilità
organizzativa: per la diversità nazionale e sociale dei territori, per la pervasività di un
organizzazione centralizzata da parte della polizia segreta zarista (che infatti era presente ad ai suoi
massimi livelli). Ed oggi modelli organizzativi federalistici, orizzontali, a “rete” sono difesi sulla
base di queste motivazioni, come sulla necessità di rispondere maggiormente alla strutturazione
odierna delle società a capitalismo avanzato (velocità dei processi, articolazione complessa del
sistema sociale, scomposizione dalla classe e delle soggettività in lotta). Modelli che sottolineano la
prevalenza delle strutture territoriali sono radicati in una certa tradizione della nuova sinistra,
marcando l’importanza della presenza nella lotte e marginalizzando nel contempo come politicista
ogni tentativo di centralizzare l’iniziativa del partito.

Ma il centralismo politico aveva delle regioni all’inizio del secolo scorso come ce le ha oggi: un
partito programmatico, l’obbiettivo rivoluzionario e la conquista della maggioranza della classe ad
un programma di transizione socialista. Per permettere l’evoluzione di una coscienza socialista, è
necessario che un programma sia proposto al complesso della classe, che il partito agisca unito in
quella direzione, risolvendo e mediando al suo interno le diverse posizioni e composizioni di classe,
senza lasciarsi travolgere dai particolari punti di vista dell’articolazione sociale. Il centralismo ha
quindi sua una pratica: la costruzione di un gruppo dirigente centrale unico, unica struttura del
partito che elabora un’analisi della fase, detta la linea politica dell’organizzazione, definisce le
scelte e la collocazione del partito, indica le priorità d’azione ed i settori di intervento. Un gruppo
dirigente con la possibilità di quindi di intervenire, riprendere e correggere singoli, organismi e
strutture territoriali.

Un’organizzazione democratica. La tradizione stalinista così profondamente radicata nella storia


della sinistra italiana ha comportato, e spesso ancora oggi comporta, due diversi elementi che
distorcono e annullano la funzione positiva del centralismo organizzativo.
Innanzitutto la tendenza, spesso sotto la pressione di un oggettiva condizione di difficoltà, a
irregimentare la libera espressione di tutti i compagni/e nel dibattito del partito.
Un’irregimentazione che può essere strutturale (limitando il confronto politico nei gruppi dirigenti
centrali) o generalizzata (limitando il diritto di espressione delle diverse posizioni politiche). E’
quindi fondamentale ribadire e garantire, al di là della contingenza e della particolarità di ogni
situazione d’emergenza, il diritto intangibile degli iscritti e dei militanti all’espressione nel partito,
individuale e collettiva, delle proprie posizioni politiche. Individuale e collettiva, in quanto è utile
garantire ed incentivare il confronto ed il dibattito tra tutti i compagni e le compagne, ma anche
l’organizzazione in tendenza politica quando si evidenzino elementi di divergenza politica rilevante
nell’analisi di fase o nella proposta di linea politica. Diritto alla tendenze implica rappresentanza
proporzionale negli organismi dirigenti e nei congressi, accesso a tutti gli strumenti
dell’organizzazione, espressione e circolazione di contributi, materiali, documenti, mozioni di
singoli o tendenze che ne facciano richiesta. Espressione e circolazione che, nel contempo, proprio
per poter raggiungere il corpo del partito e non sue singole parti, deve preferibilmente trovare
realizzazione in appositi strumenti informativi e di dibattito, e non in una prassi confusiva lasciata
alla libera autoespressione. Oltre all’ovvia possibilità per tutti gli iscritti ed i militanti di riunirsi,
formalmente ed informalmente, per costituirsi in tendenza e definire nel tempo la sua posizione
politica. Un diritto intangibile solo “nel partito”, in quanto la formulazione illimitata di questo
diritto deve nel contempo trovare una regolazione all’espressione pubblica fuori dal partito.
Tracciare un confine certo su quando l’azione di un singolo o di un’area del partito si trasformi da
battaglia politica in un intervento contro il partito o in una differenziazione programmatica
sostanziale è impossibile. E’ la pratica concreta che rivela la natura dei processi, ci pare quindi utile
indicare sinteticamente il principio politico che deve regolare questa questione e non individuare
un’astratta regolazione statutaria: la necessità di un comportamento prudente nell’espressione delle
pubbliche divergenze e nel contempo la libera espressione interna delle proprie posizioni, in forma
individuale e collettiva. E d’altra parte crediamo che lo sviluppo di un partito rivoluzionario, spesso
contraddittorio come contraddittorio è l’andamento della lotta di classe, comporti inevitabilmente
l’apertura di percorsi di dissenso e divergenza che possono portare a rotture organizzative o alla
nascita di percorsi, politici o organizzativi, diversi. Queste polemiche e divisioni attraversano la
storia del movimento operaio e di quello comunista e crediamo che attraverseranno anche la storia e
lo sviluppo del nostro partito. Ma che sia importante affrontarli senza anatemi e scomuniche,
prendendo atto delle eventuali diversità che emergeranno, sempre disponibili a riprendere un
cammino comune nel momento in cui queste divergenze vengano meno o siano superate dai fatti.
In secondo luogo la tendenza ad assumere da parte dell’ufficio organizzativo, dell’apparato politico
e per così dire burocratico, una funzione preminente nel partito. Una tendenza che si accompagna
alla subordinazione del corpo dei militanti a queste strutture, nel contempo passivamente subita
dagli iscritti e attivamente edificata da settori del gruppo dirigente. Una preminenza dell’apparato
organizzativo che spesso sfocia nella gestione personale dell’organizzazione, o nella gestione di un
gruppo limitato di compagni (una cricca o cordata, che si unifica non sulla base di una posizione
politica, ma delle posizioni organizzative che si ricoprono). Una gestione che si concretizza nel
controllo di informazioni, conoscenze politico organizzative, strumenti che sono patrimonio di tutto
il partito e del complesso del gruppo dirigente, non di una sua parte (sia essa di maggioranza o di
minoranza). Questi elementi d’altronde non sono estranei anche a certe tradizioni della nuova
sinistra come a settori antistalinisti. Nella stessa esperienza dell’Associazione Progetto Comunista è
stata presente una degenerazione di una parte rilevante del suo gruppo dirigente, con pratiche di
cricca, monopolio delle informazioni, appropriazione dei poteri e degli averi dell’associazione. La
difesa del partito e della sua centralizzazione passa necessariamente per la difesa della democrazia
della sua struttura, per l’assunzione inderogabile di alcune prassi e regole di funzionamento:
- gli incarichi politici ed esecutivi sono delegati ai singoli compagni/e da organismi collettivi
(congresso, assemblea di circolo, gruppi dirigenti); ad essi è quindi sempre riportata la
responsabilità e la decisione in ultima istanza del proprio operato; in questo quadro non è consentito
alcun monopolio delle informazioni, degli strumenti o delle strutture da parte di singoli, gruppi o
tendenze organizzate.

- l’individuazione dei delegati e degli organismi dirigenti politici nel partito avviene per votazione
segreta e nominativa. Nominativa nel senso che non è consentita l’indicazione di compagni da parte
del gruppo dirigente centrale né la formazione di liste bloccate: per la formazione degli organismi o
l’indicazione di delegati le liste devono sempre essere aperte, con più nomi e l’indicazione segreta
di un numero minimo di preferenze. In caso di un dissenso politico è prevista la formazione di liste
contrapposte.
Sulla base inoltre dell’esperienza maturata, si ritiene utile rinunciare all’individuazione di due
organismi che hanno assunto una certa rilevanza nella storia dei partiti comunisti: la carica di
segretario nazionale e la commissione di controllo. La prima, come rilevato precedentemente, è
spesso divenuta l’espressione massima dell’apparato e della degenerazione stalinista delle
organizzazioni comuniste. Si ritiene quindi preferibile l’individuazione di organi esecutivi ristretti
ma collettivi, in cui procedere ad una responsabilizzazione funzionale dei membri, la cui azione
deve però sempre essere sotto il controllo dell’organismo nel suo complesso. La commissione di
controllo è d’altra parte un organismo pensato da Lenin come antidoto alla burocratizzazione dopo
la presa del potere, non come Tribunale supremo sull’applicazione dello Statuto del Partito.
Organismo che per di più, nonostante le aspettative o le speranze leniniane, nel corso degli anni è
diventato uno degli snodi di questo processo di burocratizzazione e non un limite al suo estendersi.
Dal punto di vista moderno, le commissioni di controllo sono spesso organismi di
prepensionamento di anziani dirigenti o di verifica di giovani, senza una reale autonomia di
giudizio. Una pantomima del sistema giudiziario borghese, in cui in ultima istanza a prevalere è
comunque l’opinione politica del gruppo dirigente politico. Si ritiene quindi più economico e
trasparente affidare direttamente a questi organismi, o a commissioni istituite ad hoc da essi, la
valutazione di eventuali questioni di carattere statutario.

Unità di programma, centralismo e democrazia. E’ il loro stretto intreccio, senza accentuare


sproporzionatamente nessuno di questi tre elementi, che permette la costruzione di un partito di
avanguardia e la sua azione politica nella classe proletaria.

4. Lotta di classe e direzione: l’intervento di massa del Partito


“Senza una organizzazione dirigente l’energia delle masse si volatilizzerebbe come il vapore non
racchiuso in un cilindro a pistone. Eppure il movimento dipende dal vapore e non dal cilindro o dal
pistone.” (Trotsky, 1930, Prefazione alla “Storia della rivoluzione russa”)

4.1.1 Il partito è lo strumento principale attraverso cui il programma socialista si coagula e si


infonde ai lavoratori ed al proletariato in generale. Un processo di trasmissione e maturazione della
coscienza politica della classe che è realizzato attraverso la sua elaborazione teorica, la sua
propaganda, ma soprattutto attraverso l’azione ed l’intervento nel conflitto di classe. Perché sempre
l’esperienza concreta è in grado di insegnare più di qualunque scritto teorico e propagandistico, per
quanto brillante esso possa essere. Perché se l’obbiettivo è la rivoluzione, la transizione ad un
diverso modo di produzione, questo processo è realizzabile solo attraverso l’antagonismo di classe
del modo di produzione capitalista. Non si può rivoluzionare il sistema sociale attraverso l’azione di
un gruppo ristretto di compagni, non è il partito da solo che è in grado di condurre la lotta al posto
della classe; non è solo la salda convinzione socialista e la conseguente impostazione politica che
permette la conquista del potere. Senza la capacità radicarsi nella classe, di convincere la
maggioranza dei lavoratori a sostenere il suo programma, senza la costruzione di un’evoluzione
politica delle lotte sociali la sua azione è inefficace. Quindi il primo compito del partito, una volta
che si è raggruppato su una base programmatica, è quello di organizzarsi nella classe, di analizzare
la composizione e la coscienza di classe, di partecipare e innescare le lotte.
Il rapporto tra classe e partito è sempre un rapporto difficile, stretto tra l’obbiettivo della presa del
potere e l’espressione diretta del conflitto capitale-lavoro, nel tentativo di far evolvere in senso
socialista la coscienza di classe e nel contempo con la necessità di rappresentare interessi e
immaginari dei lavoratori. Una relazione complessa, in cui è necessario collocare l’azione del
partito sul crinale dell’avanzamento della coscienza della maggioranza dei lavoratori e non solo di
una sua minoranza organizzata. Affinché il partito non si escluda dalla classe, saldo nelle proprie
impostazioni ma isolato dai lavoratori, anche dalle sua avanguardie sociali, diventando una setta;
affinché il partito non insegua la consapevolezza e gli interessi che questo o quel settore del
proletariato, ora più organizzato ora più combattivo, senza mettere in relazione l’antagonismo di
classe con l’obbiettivo rivoluzionario, diventando una semplice coda politica della coscienza
instabile dei lavoratori. Come sottolineava Lenin, il partito deve riuscire ad essere nella sua azione
sempre una spanna sopra la coscienza della classe: una spanna sopra, per indicare il percorso
attraverso cui raggiungere la rivoluzione; ma non più di una spanna, per non rischiare di essere
isolati ed incompresi anche dalle stesse avanguardie sociali della classe. Il rapporto tra classe e
partito è una relazione dialettica e processuale, non una conquista consolidata una volta per tutte,
che quindi è sempre necessario verificare e analizzare con il mutare della situazione contingente,
con l’evoluzione della fase economica, con le trasformazioni della composizione di classe.

4.1.2. In questi anni registriamo nel nostro paese un ciclo di lotte estremamente disarticolate, spesso
tra loro isolate nello spazio o nel tempo. E’ vero che abbiamo conosciuto il dispiegarsi di un forte
movimento antiglobalizzazione e per un'altra globalizzazione. Da Seattle e Praga, da Genova a
Cancun, da Firenze a Mumbay questo secolo si è aperto con grandi cortei che, dopo il crollo del
socialismo reale, hanno rilegittimato nei settori intellettuali e in larghi strati di massa la
contestazione al sistema capitalista ed il conflitto di piazza; forum sociali mondiali, continentali e
territoriali che hanno costruito momenti di interconnessione tra differenti frazioni del proletariato e
del semiproletariato, arene di confronto fra diversi programmi politici rivoluzionari, riformisti e
qualche volta anche reazionari. Ma al di là di alcuni eventi, spesso legati alla semplice
contestazione di appuntamenti istituzionali (G8, Consiglio europeo, Davos, ecc), questo ciclo di
mobilitazioni ha mostrato una scarsa capacità a radicasi nei territori ed una certa inadeguatezza a
rilanciare i diversi conflitti che confluivano nelle mobilitazioni, spesso raccogliendo nel territorio
solo avanguardie politiche e burocrazie associative varie. Il dispiegarsi del conflitto di classe nel
nostro paese si è infatti concentrato in questi anni su due versanti: alcune lotte sindacali, spesso
legate non tanto a vertenze di settore ma alla vita e alle condizioni di lavoro di singoli stabilimenti;
alcune lotte popolari locali, legate a particolari scelte urbanistiche estremamente impattanti sul
territorio.
La recente vicenda delle lotte di Melfi, alla Fincaniteri, nell’Atesia a Roma, tra gli
autoferrotranviari del nord ci raccontano di conflitti significativi e radicali, che hanno colpito
l’immaginario e la discussione politica nel nostro paese. Se osserviamo questi episodi
parallelamente alla vicenda dell’insieme dei rinnovi contrattuali di questi anni (metalmeccanici,
scuola, poste, ecc), o ad alcune ristrutturazioni di importanti aziende nazionali (il gruppo Fiat o la
Zanussi), l’immagine complessiva che emerge è però quella della frammentazione e della scarsa
comunicazione fra i diversi momenti di lotta e fra i diversi settori di classe coinvolti. In momenti
estremamente significativi per le condizioni della classe lavoratrice italiana, che hanno coinvolto
nelle loro conseguenze l’insieme delle relazioni sindacali in Italia (gli ultimi rinnovi del Ccnl dei
metalmeccanici, i tentativi di introdurre forti differenziazioni salariali tra gli insegnati di scuola e
università; la ristrutturazione dell’organizzazione del lavoro alle poste o alle ferrovie, la
privatizzazione dei grandi monopoli statali e delle municipalizzate) i settori di classe coinvolti sono
stati quasi sempre isolati nel confronto in corso. La ristrutturazione della Fiat a cavallo del 2000 ha
visto ogni stabilimento lottare per sé stesso, per garantirsi il mantenimento dei livelli produttivi
anche a spese degli altri stabilimenti o di altri settori di classe: Pomegliano, Mirafiori e Termini
Imerese hanno aperto molteplici trattative, che hanno comportato una competizione strisciante per
l’incremento dei ritmi di lavoro; lo stesso avvio dei fondi di solidarietà è avvenuto per stabilimento,
non riuscendo neanche sul versante del sostegno alle lotta a coordinare i lavoratori coinvolti. E
simili dinamiche sono riscontrabili in altre vicende importanti, come la ristrutturazione alla Zanussi
o la lotta degli operatori call-center all’Atesia di Roma.

Nel contempo momenti importanti di ricomposizione e riunficazione hanno varcato i confini di


classe: importanti episodi di conflitto sociale, con forti connotati di radicalità, si sono espressi in
lotte comunitarie di territori che subivano scelte urbanistiche devastanti. Val Susa, Scanzano,
Vicenza sono state rivolte di popolo contro la Tav, la localizzazione di siti di stoccaggio nucleare e
l’allargamento di basi militari che hanno ricomposto un ampio fronte interclassista: piccoli
proprietari di case e terreni, studenti, lavoratori e disoccupati come anche settori speculativi che
venivano colpiti dalla nuova organizzazione che il territorio avrebbe subito.
Quindi una fase segnata non da un ciclo di lotte in grado di organizzare la classe e comporre una
coscienza più avanzata del proletariato, spesso nemmeno sul terreno dell’antagonismo del capitale:
da una parte lotte che si organizzavano per stabilimenti o categorie, ma isolate nella filiera
produttiva o nel più ampio scontro di classe con il capitale; dall’altro lotte associative, che
raccoglievano interessi di classe e prospettive diverse, ma fortemente connotate dalla particolare
vertenza che le scatenava.

In un quadro così articolato e diversificato è complesso impostare una battaglia politica su obbiettivi
rivoluzionari e transitori. Componendo questa analisi della lotta di classe in Italia con le
considerazioni sui processi di ricomposizione politica e sull’azione di raggruppamento da noi
avviata (vedi capitolo 2), è necessario valutare consapevolmente come disporre delle limitate risorse
militanti e finanziarie del partito, centralizzare l’analisi e l’elaborazione di una strategia di
intervento nella classe, ma soprattutto costruire una prassi quotidiana d’azione delle nostre sezioni,
tenendo conto dell’obbiettivo di consolidare il nostro partito e reclutare nuove forze militanti.
Questo impostazione comporta un intervento quotidiano minimo di tutte le nostre strutture, al
contempo molteplice e progressivo: un’azione di propaganda, agitazione, direzione e
ricomposizione politica della classe.

4.2 La propaganda e l’agitazione

4.2.1 L’obbiettivo prioritario della prossima fase è quello della conquista al programma e alla
militanza nel partito delle avanguardie di classe. Un’azione concentrata, secondo l’impostazione
leniniana, a diffondere e “spiegare pazientemente” il nostro programma. Come ricordato prima,
questo compito può essere sviluppato dal partito se esso è in grado di porsi “una spanna sopra la
coscienza di classe”, non registrando passivamente l’evoluzione del conflitto con il capitale. Quindi
se esso è in grado di raccontare e raccogliere le diverse esperienze di lotta, di criticare gli altri
progetti politici presenti nel movimento, di presentare il nostro programma rivoluzionario e di
articolarlo con la coscienza espressa dalla classe (programma di transizione). E’ fondamentale
quindi sviluppare un’incessante opera di propaganda, che è il compito primo e essenziale di ogni
nostra struttura. Far conoscere la nostra esistenza, le nostre analisi, le nostre posizioni, il nostro
programma. E spiegarle pazientemente. Un’azione che si esplica prioritariamente attraverso tre
strumenti: il giornale, i mezzi di comunicazione informatici ed i volantini.
4.2.2 Il giornale del nostro partito (il giornale comunista dei lavoratori) è il nostro principale
strumento di propaganda verso l’avanguardia politica che intendiamo raggruppare e verso la classe.
In questa duplice funzione è presente una certa contraddizione tra l’obbiettivo di illustrare posizioni
e programmi ad un settore di militanti che già si pone su un piano politico (polemica con gli altri
programmi della sinistra di classe, articolazione e discussione sull’analisi di fase e la linea da
assumere) e l’obbiettivo di raccontare e spiegare pazientemente il nostro programma ad un più largo
settore di massa. Questa contraddizione, ad oggi, non può comunque trovare la sua soluzione più
ovvia e conseguente: la realizzazione di un foglio di massa con una frequente periodicità
(settimanale o quindicinale) da distribuire davanti i posti di lavoro, nel corso degli scioperi e nei
mercati; la definizione di una rivista di analisi e riflessione politica mensile o bimensile da
distribuire alle manifestazioni, alle iniziative del partito, alle assemblee pubbliche. Il giornale
comunista dei lavoratori dovrà quindi assumere in una fase temporanea un ruolo ibrido, sia nella
periodicità sia nell’impostazione editoriale, almeno sino a quando non saranno individuate le
risorse, militanti e finanziarie, per la pubblicazione di una rivista periodica (nel più breve tempo
possibile). Ma in ogni modo è prioritario che tutte le sezioni utilizzino pienamente e regolarmente
questo strumento, attivando non solo una sua distribuzione a militanti, iscritti e simpatizzanti, ma
organizzando una diffusione costante sia alle avanguardie politiche (manifestazioni, assemblee,
cortei), sia a quelle sociali (fabbriche, posti di lavoro, scuole, università).
In articolazione con il giornale è necessario consolidare e sviluppare gli strumenti informatici del
partito. L’utilizzazione del computer è ancora, nel nostro paese, estremamente limitata ad alcuni
settori giovanili, a lavoratori con mansioni medio alte, a intellettuali e militanti politici. Soprattutto
alcuni settori della classe operaia organizzata (grandi e piccole fabbriche), dei settori centrali del
movimento operaio, sono ancora restii all’utilizzazione ed ai costi di questo mezzo di
comunicazione di massa. In ogni modo il sito internet deve assumere una valenza di giornale
telematico, di raccolta di analisi e approfondimenti, a cui sarà importante affiancare nel più breve
tempo possibile l’attivazione di una newsletter di informazione sulle posizioni e le iniziative del
partito.
Infine assumono una un’importanza fondamentale i volantinaggi periodici, nostro unico reale
mezzo di interlocuzione con la classe nel suo complesso. E’ importante che ogni sezione si attivi a
costruire e sviluppare una costanza di intervento, non una sua estemporaneità rispetto ad
appuntamenti contingenti (scioperi, iniziative del partito o eventi politici rilevanti sul piano
nazionale od internazionale). Una presenza estemporanea infatti produce una scarso effetto rispetto
alle energie militanti e le risorse impegnate: è al contrario più utile concentrare la propria iniziativa
su una limitata selezione di luoghi, in cui presentarsi ad intervalli regolari. Questo tipo di intervento,
consentendo nel tempo una conoscenza personale del luogo da parte dei militanti e dei militanti da
parte dei lavoratori, permette da una parte di attivare contatti e dall’altra di sviluppare un intervento
sulle condizioni ed i conflitti specifici della situazione considerata. E’ quindi importante che le
cellule e le sezioni analizzino il proprio territorio e selezionino i luoghi da privilegiare, con
particolare riguardo per i settori rilevanti della classe (grandi stabilimenti, concentrazioni o filiere di
piccole e medie aziende, ecc). In questa direzione intende anche muoversi il gruppo dirigente
centrale, selezionando con tutte le sezioni alcuni significative concentrazioni di lavoratori in cui
sviluppare un volantinaggio nazionale regolare nel tempo (su base bisettimanale o mensile a
seconda delle forze e delle disponibilità). Ovviamente, la scelta nazionale e territoriale di questi
luoghi, non può che privilegiare quei luoghi di lavoro e di studio in cui è già attiva una presenza
organizzata o militante del partito.

4.2.3 Uno dei principali obbiettivi del PCL, sin dalla sua nascita come movimento costitutivo, è
stato quello di sviluppare una propria autonoma capacità di intervento nella classe, evitando di
limitarsi ad essere un gruppo con un’attività puramente propagandistica. Lo sviluppo di un
intervento militante nelle condizioni di vita e di lotta della classe comporta un’analisi delle
specifiche condizioni nelle quali si interviene (contratti di secondo livello, contratti di categoria,
vertenza in un’azienda, una scuola od un’università), un’elaborazione di una minima proposta di
intervento (individuazione di parole d’ordine e rivendicazioni), un’azione ad essa conseguente
(volantinaggi, intervento in assemblee, organizzazione e/o partecipazione ad iniziative di sciopero,
ecc). Quindi comporta la costruzione di un minimo di organizzazione e coordinamento fra i diversi
compagni militanti ed iscritti al partito. Un primo livello può essere realizzato a partire dall’azione
propagandistica portata avanti nei luoghi di lavoro selezionati, utilizzando volantini a due facciate:
in una riportando il testo propagandistico nazionale, nell’altra elaborando un testo sulla specifica
situazione, su cui è stato possibile raccogliere le informazioni anche grazie ai contatti sviluppati con
la classica azione di propaganda. L’articolazione di un intervento specifico nei luoghi di lavoro,
ovviamente, è realizzata più efficacemente attraverso la presenza al suo interno di militanti, iscritti e
simpatizzanti al partito. La distribuzione interna di volantini (bacheche, mense, ecc) può segnare un
primo avanzamento in questa direzione, che può svilupparsi nell’organizzazione di interventi
coordinati alle assemblee sindacali, la proposta di comportamenti di voto (su contratti, ecc, con
motivazioni specifiche e non solo analisi generali), la partecipazione o l’organizzazione di iniziative
di lotta, ecc. Questa azione (interventi, discussioni informali, proposte di iniziativa, documenti)
deve essere discussa collettivamente nelle cellule e nelle sezioni di appartenenza. Ovviamente,
considerando le limitate risorse del partito, come è importante selezionare i luoghi in cui sviluppare
l’iniziativa di propaganda, tanto più è fondamentale scegliere i settori in cui sviluppare un
intervento che può essere estremamente più dispendioso in termini di energie. Nelle grandi
fabbriche o nelle filiere produttive diffuse? Tra i precari (cooperative, interinali, cocopro, ecc) o tra
i migranti? Nei licei o negli istituti tecnici e professionali? La scelta deve ovviamente basarsi sulla
situazione specifica, sull’effettiva presenza di militanti e simpatizzanti, sulla dinamica della lotta di
classe, ma anche su alcune consolidate esperienze della storia del movimento operaio. Nelle realtà
(fabbriche, imprese, uffici pubblici) dove è forte il potere contrattuale dei lavoratori nel processo
produttivo, dove le mansioni ed i compiti dei salariati sono indispensabili al funzionamento
dell’impresa (come in una catena di montaggio, dove il blocco di un solo reparto ferma la filiera o
come in alcuni settori dei trasporti, dove lo sciopero di particolari figure professionali ferma tutto il
servizio) è importante radicare il partito all’interno del processo produttivo, costruire cellule nel
posto di lavoro. Perché è in quello specifico luogo che più facilmente si esprimerà lo scontro di
classe e in cui sarà necessario essere presenti per influenzarlo (resistenza spontanea all’aumento di
tempi e ritmi, assemblee di reparto e di azienda; proposta e votazione di iniziative, ecc). Ma in altri
settori, dove la filiera produttiva è estremamente diffusa o il controllo dei lavoratori sul processo
produttivo è estremamente basso (piccole aziende, distretti industriali, servizi alla persona come fast
food e commercio) questo radicamento interno può avere molto meno significato, anche per il forte
turn over della stessa forza lavoro: in questi casi è più utile sviluppare un intervento di appoggio e
di sostegno alle lotte, collegandole ed associandole a livello territoriale, sia fra di loro che con altri
settori della classe (tramite lo sviluppo di fogli di informazione e lotta, la costruzione di incontri
pubblici, la raccolta di solidarietà militante od economica di gruppi, sindacati, associazioni, ecc).
Ovviamente in queste poche righe avanziamo unicamente un’indicazione di massima: nella realtà
spesso questi elementi non sono evidenti o sono intrecciati in particolari bilanciamenti (pensiamo
alla realtà dell’Atesia di Roma), in cui è necessario analizzare caso per caso la situazione e la scelta
ottimale. Quello che intendiamo suggerire è l’adozione di un metodo nella costruzione
dell’intervento collettivamente discusso nella propria struttura, senza lasciarsi trascinare unicamente
dalla giusta spinta ad essere presenti e a realizzare iniziative pubbliche. In questo intervento, infine,
è importante sviluppare un coordinamento con i compagni/e e le strutture del partito limitrofe, che
possono coadiuvare l’azione nei momenti cruciali, ma soprattutto costruire un’integrazione e
centralizzazione dei diversi interventi: i coordinamenti regionali e soprattutto la commissioni
centrali di settore avranno questa delicata ed importante funzione.
4.3 La direzione delle lotte e la ricomposizione della classe

4.3.1 L’obbiettivo politico organizzativo di ogni intervento è sostanzialmente duplice. Da una parte
conquistare politicamente avanguardie e lavoratori al partito, al suo programma e progetto politico.
Dall’altra conquistare la direzione della lotta, cioè conquistare la maggioranza dei lavoratori o dei
proletari interessati alla nostra proposta di azione. Ovviamente questi obbiettivi non devono
oscurare e contraddire lo sviluppo di una coscienza antagonista della classe e, possibilmente, di un
successo nella lotta.

All’interno del proletariato e di ogni conflitto anticapitalista si confrontano diversi progetti e


programmi politici, oltre che diverse frazioni e soggettività della classe. L’azione del PCL, avendo
ben presente l’obbiettivo transitorio dell’unità della classe, è consapevole della necessità di superare
le divisioni identitarie e soggettive che nella classe si sviluppano. Ma nel contempo ha la massima
consapevolezza che questa unità segna un reale passo avanti in senso rivoluzionario solo se è
un’unità politica socialista (volontà di conquistare il potere ed avviare una transizione socialista).
L’intervento del PCL nelle occasioni di lotta è quindi un’azione nel contempo di ricostruzione
dell’unità delle rivendicazioni espresse dai diversi settori dei lavoratori e di battaglia nei confronti
degli altri programmi politici presenti tra loro. Quindi una battaglia per la direzione del movimento
di lotta, per la direzione della classe operaia.

4.3.2 Dopo il 1989 ed in parallelo con la fase di scomposizione e ricomposizione che la classe
proletaria sta attraversando a livello mondiale, si è registrata una ripresa ed una diffusione in larghi
strati della avanguardie sociali e politiche di prospettive e progetti politici non rivoluzionari e
antirivoluzionari. Se larga parte delle forze riformiste stanno ricollocando il proprio radicamento e
la propria prospettiva politica in un impostazione al contempo interclassista e liberale, diverse
impostazioni democratico-radicali, comunitariste, populiste e anarchiche hanno conosciuto una
nuova diffusione in significativi strati di classe e settori di movimento. All’interno delle lotte
noglobal, come nell’area dei sindacati di base, in molti centri sociali, nel vasto e variegato mondo
dell’associazionismo e dei collettivi locali di sinistra e di estrema sinistra si sono infatti espresse
diverse opzioni, facenti più o meno riferimento a variopinte esperienze straniere: dal movimento
zapatista e il suo rifiuto della presa del potere al nazionalismo populista e statalista di Chavez; dalla
battaglia antimperialista della resistenza islamica alle esperienze, di sapore proudhoniano, di
autogestione ed eliminazione degli scambi monetari dell’Argentina del 2001; dalla proiezione
autorganizzata di un sindacalismo rivoluzionario alla costruzione di nuove grandi alleanze tra
capitale e lavoro, tra la sinistra ed il centro liberale. Rispetto queste diverse tendenze non ci
accontentiamo di costruire un’unità di azione od una convergenza nel confronto, come una diffusa
teoria movimentista ha sostenuto in questi anni. Al contrario, intendiamo aprire una serrata
polemica nel movimento e nelle lotte, per conquistare l’egemonia e guidare il conflitto di classe
verso una politica rivoluzionaria, la presa del potere e la transizione socialista. Certo una battaglia
politica non venata da settarismo, come spesso paradossalmente è proprio agito da quelle
organizzazioni che in nome dell’unità e della retorica movimentista, si concepiscono come le uniche
soggettività politiche delle lotte tendendo ad emarginare le altre.
4.3.2 In questo quadro, è utile sottolineare che la ricomposizione sociale della classe è un’azione
prioritariamente svolta dal capitale stesso. La continua trasformazione del processo produttivo alla
ricerca di un maggior profitto comporta la ciclica scomposizione e ricomposizione della filiera
produttiva che, a sua volta, scompone e ricompone mansioni, ruoli, identità sociali dei lavoratori.
Negli anni ’50 l’introduzione alla Fiat della catena di montaggio ha prima scomposto le isole
produttive e la coscienza di classe espressa dagli operai professionali, ma contemporaneamente a
ricomposto gli operai semplici intorno ad essa, permettendo la ripresa negli anni ’60 di un nuovo
ciclo di lotte operaie. Così oggi siamo probabilmente immersi in una fase di profonda
ristrutturazione delle filiere produttive, con la delocalizzazione e l’automazione dei processi
produttivi, che hanno disorganizzato la coscienza e l’organizzazione della forza lavoro.
Difficilmente sarà l’azione del nostro partito, come quella di qualunque organizzazione politica, a
ricomporre la classe: sarà lo sviluppo stesso della dinamica capitalista e, al suo interno l’azione
sindacale e di difesa delle condizioni dei salariati, che ricomporranno le filiere produttive ed il
lavoro. Il nostro compito è un altro: contribuire a sviluppare una ricomposizione politica, verso
l’obbiettivo della rivoluzione e della transizione socialista. Questa azione può svilupparsi
fondamentalmente attraverso due strumenti.

Su un piano più arretrato, “economico”, l’elaborazione e la proposta di una vertenza generale del
mondo del lavoro, per evitare la contrapposizione ed il conflitto tra le diverse frazioni del
proletariato. Un’azione cioè volta a portare sino in fondo la coscienza antagonista della classe, ed
innanzitutto la consapevolezza della necessità della sua unità per vincere. Un processo in grado di
invertire l’azione del capitale, che lavora incessantemente a dividere il lavoro non solo attraverso la
ristrutturazione dei processi produttivi, ma anche marcando le differenze fra diverse identità sociali
(differenze biologiche o socialmente costruite come l’età, il sesso, il luogo di nascita, le proprie
abitudini culturali, la religione). Un’unità d’azione della classe tesa ad evitare che la difesa o il
rafforzamento di un settore di classe avvenga a spese di altri settori (giovani, donne, precari,
migranti), come molte volte è successo in questi anni, dalla riforma delle pensioni del ’95 alle leggi
sul controllo delle migrazioni.

Su un piano più direttamente politico, la proposta del programma di transizione, in cui le specifiche
rivendicazioni dei diversi settori di lotta si possano connettere al programma socialista della presa
del potere e della rivoluzione. Ci impegniamo cioè affinché le diverse lotte, anche quelle vincenti
sul terreno dell’antagonismo di classe, non vengano riassorbite nel tempo da una cambio di fase del
ciclo capitalista, da una ristrutturazione del processo produttivo o da una nuova regolazione delle
relazioni sociali. L’esperienza del ‘900 ci mostra come molte lotte operaie e contadine vincenti, dal
Messico rivoluzionario dell’inizio del secolo alle guerriglie di indipendenza africane, hanno
prodotto nuovi regimi funzionali sia all’equilibrio capitalista che allo smantellamento della
coscienza di classe.

L’obbiettivo della ricomposizione di classe è quindi per noi un obbiettivo di ricomposizione politica
che si intreccia strettamente con la nostra battaglia di direzione delle lotte.

4.4 Persistere nel percorso di raggruppamento: la nostra azione nei confronti delle aree critiche del
prc e della sinistra sociale.
4.4.1. Più volte abbiamo sottolineato che il cambio di fase che caratterizza la fondazione del PCL è
legato allo sviluppo di una nostra azione quotidiana, alla crescita della nostra capacità di
radicamento nella classe, all’espansione del nostro intervento nelle lotte. Un processo di
consolidamento del PCL che si gioca in particolare sul terreno della nostra definizione politico-
organizzativa e dello sviluppo del nostro intervento di massa. Ma questo elemento essenziale della
nostra crescita non può oscurare la necessità di persistere nell’azione di raggruppamento avviata
con il processo del movimento costitutivo, perché ancora perdurano in ampi strati dell’avanguardia
sociale e politica quei processi di evoluzione ed involuzione che abbiamo sottolineato aprendo il
documento: il permanere di una profonda influenza delle impostazioni teoriche del ciclo precedente
e loro persistente crisi politica, una confusione teorica diffusa ed una sostanziale disponibilità
riprendere l’elaborazione di un progetto comunista realmente rivoluzionario.

4.4.2 Il PRC si avvia nei prossimi mesi ha segnare una cesura storica, sul piano simbolico ed
organizzativo, del proprio percorso politico. Il prossimo congresso del partito, infatti, approverà
l’avvio di una fase costituente di un nuovo soggetto politico che andrà oltre l’impostazione della
stessa Sinistra Europea. Il processo federativo della sinistra dell’Unione è ancora indeterminato nei
suoi risultato e segnato da profondi conflitti e quotidiane contraddizioni tra le sue componenti (Prc,
PdCI, Verdi, Sd). Ma al di là delle concrete formule organizzative e dei particolari bilanciamenti
politici cge emergeranno, si sta costituendo una nuova soggettività che, riunendo simbolicamente e
concretamente i percorsi di Occhetto e Bertinotti con quelli di Cossutta e Mussi, supererà
definitivamente le ragioni e le speranze che hanno caratterizzano la nascita di Rifondazione
comunista. Sul terreno della costruzione di una massa critica sufficiente ad influenzare la linea
politica dell’Unione, per evitare di essere marginalizzati da nuove riforme elettorali, viene scaricata
l’identità comunista e la prospettiva anticapitalista, che sono stati tra gli elementi fondanti del PRC.

4.4.3 Certamente l’entrata nel governo Prodi e la corresponsabilizzazione piena nella sua azione
politica è stato un momento centrale e un punto di non ritorno in questa evoluzione del Prc. Come
l’impostazione della “non violenza” ed il “superamento del ‘900” che hanno caratterizzato la
costituzione della Sinistra Europea hanno segnato un passaggio fondamentale nell’impianto teorico
ed ideologico di Rifondazione. Ma in larghi settori della militanti, in molti simpatizzanti e
compagni di strada, questa evoluzione progressiva è penetrata lentamente, impedendo di vedere
l’intreccio e la reciproca implicazione tra impianto teorico, forma organizzativa, proposta politica.
Sbandamenti, malumori e dissensi hanno accompagnato le diverse scelte: l’entrata nell’Unione, la
partecipazione alle primarie, l’alleanza elettorale, il taglio delle candidature scomode, la presidenza
della Camera a Bertinotti, l’entrata nel governo, questo o quel’altro voto parlamentare considerato
particolarmente scandaloso a seconda della propria sensibilità e terreno di militanza, ecc.
Atteggiamenti e dissensi che hanno favorito una passivizzazione ma non ancora una rottura con il
partito, nella speranza di una nuova svolta, della ripresa di una politica di conflitto e movimento,
come già accadde nel 97/98. Il combinato disposto dei prossimi mesi, la costituzione di un nuovo
soggetto che supera definitivamente l’identità comunista e la permanenza subordinata in un governo
ormai marcatamente antioperaio (riforma delle pensioni e della legge Biagi), può essere il momento
decisivo della rottura. Una proposta politica va avanzata ora a questi compagni, per tentare di
impedire un loro abbandono della militanza od un coinvolgendo stabile nel percorso della sinistra
dell’Unione.

4.4.4 Questa proposta politica non può che inserirsi in un terreno di scontro e polemica con le aree
organizzate dissidenti nel Prc.
Sinistra critica sta avanzando una proposta politica segnata da un atteggiamento codista nei
confronti del movimento e delle lotte, oltre che da contraddizioni e ambiguità profonde: in
Rifondazione e fuori di essa; all’opposizione del governo Prodi ma votando 25 fiducie al governo;
costruendo un soggetto politico, ma non un partito; anticapitalisti ma senza un identità, un nome, un
programma comunista.

Essere comunisti ha rivelato in questi mesi la sua piena empasse strategica, determinata dalla
riproposizione di un’impostazione teorica neotogliattiana concretamente fuori da ogni contesto
storico: il gruppo dirigente grassiano ha deciso di ricomporsi e subordinarsi alla proposta unitaria
del nuovo soggetto politico, il gruppo dell’Ernesto si prepara ad una battaglia congressuale ed a una
resistenza interna in cui non è avanzata nessuna proposta concreta di sviluppo politico od
organizzativo indipendente, pur evidenziando la mutazione strutturale e fondativa del PRC.
Falcemartello prosegue la propria esperienza storica di entrismo strategica: come nel 1991 decise
per qualche tempo di organizzare una presenza nel nascente Pds oltre che in Rifondazione, oggi si
prepara a consolidarsi come corrente interna al Prc per strutturarsi come tale nel nuovo soggetto
politico. Fedeli allo loro impostazione di fondo, in cui davanti ai tentennamenti della classe e della
sua avanguardia, è necessario abdicare alla presentazione pubblica ed esplicita di un progetto
politico ed organizzativo rivoluzionario.

Lasciati a questa opposizione, militanti ed avanguardie sociale significative rischiano di disperdersi,


di ripiegare, di lanciarsi in percorsi politici al contempo velleitari ed ambigui. A questi militanti
dobbiamo avanzare una proposta di raggruppamento coerente, comunista rivoluzionaria, praticabile.
Il Partito comunista dei lavoratori.

4.4.5 In diversi settori del sindacalismo di base come in molti comitati locali (contro la guerra, sulla
Palestina, sui migranti, ecc), in molti collettivi studenteschi come in diversi centri sociali, la
permanenza al governo e l’evoluzione politica della sinistra dell’Unione segnano un momento si
rottura, il passaggio ad una sinistra d’opposizione. Un passaggio segnato dalle manifestazioni del 9
giugno e da Vicenza, dal voto al referendum sindacale e dagli scioperi contro l’ennesima riforma
delle pensioni. Un passaggio che sottolinea il bisogno di costruire una prospettiva politica a questa
opposizione. Compagni e compagne che spesso, a partire dal proprio punto di vista particolare,
avanzano su questo terreno ipotesi e speranze confederative (la “cosa rossissima”), pensando di far
convergere direttamente sul terreno politico l’opposizione di sinistra al governo Prodi, di coagulare
in un unico soggetto quanto e quanti si sono mobilitati contro l’intervento in Irak ed in Afghanistan,
la manifestazione del 9 giungo e l’opposizione (o il boicottaggio) al referendum sindacale di
ottobre, le prossime mobilitazioni contro il nuovo accordo di luglio (sciopero del 9 novembre e
manifestazione nazionale di fine mese) e quelle contro i provvedimenti più retrivi delle
amministrazioni locali di centrosinistra (da Cofferati a Dominici). Una prospettiva ora ingenua, ora
interessata, ora semplicemente confusa che sottolinea la giusta necessità di trovare un momento
ricompositivo ed una prospettiva politica di sviluppo dell’opposizione, ma che nasconde sia le
molte contraddizioni tattiche interne a questa nascente opposizione di sinistra (sul referendum
sindacale, sullo sciopero generale, sulle forme della manifestazione nazionale di novembre) sia la
necessità di individuare un progetto condiviso e non solo una momentanea collocazione politica. A
questi soggetti, a queste compagne e compagni va sottolineata la necessità di costruire una
prospettiva politica a partire da una proposta programmatica, al contempo radicale e coerente, per
consolidare nel tempo qualunque ipotesi politica. Una prospettiva politica che, per noi, non può che
essere un partito comunista e rivoluzionario, il partito comunista dei lavoratori.

4.4.6 Per avanzare a questi settori la nostra proposta politica, per costruire un percorso di
raggruppamento, è importante individuare dei canali di collegamento ed un terreno su cui
sviluppare una rapporto di confronto. E’ importante cioè che sin dai prossimi mesi, parallelamente
al congresso fondativo del Pcl, tutte le sezioni del nostro partito si attivino su questo fronte
d’intervento. Organizzando presentazioni pubbliche del partito e del congresso in tutte le città;
intervenendo attivamente in mailing list e siti internet di discussione, scrivendo e distribuendo
appelli e lettere aperte agli iscritti al Prc, intervenendo in assemblee e dibattiti pubblici sulla sinistra
ed il suo futuro. Un’azione che può essere sviluppata anche sul terreno della costruzione di un’unità
d’azione con collettivi, associazioni, comitati locali e circoli di partito, con una chiara e definita
piattaforma d’intervento su questioni particolari o locali (come sulla questione sicurezza a Bologna
e Firenze). Un’unità d’azione che può essere un primo terreno per sviluppare una proposta di rottura
politica ed organizzativa con le forze della sinistra dell’Unione, verso un partito rivoluzionario con
una base programmatica essenziale esplicita e chiaramente delineata. Il partito comunista dei
lavoratori.

4.5 L’attività quotidiana delle strutture del Partito: funzioni organizzative ed interventi prioritari

4.5.1 La città è lo spazio per eccellenza del capitalismo. Il luogo in cui si è raccolta la forza lavoro
liberata dai precedenti legami sociali, dove più facilmente si sviluppano processi di disgregazione,
di scomposizione delle classi, di atomizzazione e anomia degli individui. Ma nel contempo la città è
anche il luogo privilegiato della concentrazione della classe e quindi della sua ricomposizione
politica, lo spazio di formazione e di azione dei movimenti politici e sociali di massa.
In Italia emerge sempre più una crescita urbana in aree metropolitane diffuse e policentriche, che
rompono la classica strutturazione comunale del territorio: negli ultimi anni i comuni delle
metropoli hanno visto diminuire la propria popolazione e il proprio tessuto industriale, a fronte di
una forte crescita e connessione del tessuto urbano con l’hinterland.
In questi anni nelle città si è organizzato il lavoro precario, il movimento di occupazione delle case,
i centri sociali. Ma si sono anche evidenziati processi di degrado e destrutturazione delle periferie,
con la crescita di movimenti reazionari piccolo borghesi (come molti comitati di quartiere per la
sicurezza), lo sviluppo della estrema destra e l’indebolimento delle organizzazioni del movimento
operaio. Scanzano, Val Susa, Melfi sono tra i conflitti più significativi degli ultimi anni: tutti
episodi di lotta di classe esterni al tessuto metropolitano, legati a territori non urbani o a specifici
siti produttivi. Anche questo, probabilmente, è un sintomo della fase di ripresa ma anche di
difficoltà che la lotta di classe vive nel nostro paese. Nonostante questo, a partire anche dalla nostra
debolezza nel tessuto metropolitano, è importante sviluppare un’azione di propaganda nelle città.
Tutti i nostri compagni/e e le nostre strutture territoriali devono lavorare con particolare impegno
per sviluppare un nostro intervento ed un nostro radicamento nelle città e nell’ambiente
metropolitano.

4.5.2 Raggruppamento, priorità alle città, propaganda, intervento, direzione, ricomposizione di


classe. Molti compiti con forze limitate. Anche per questo è importante che tutte le sezioni e le
cellule individuino, dopo un ampio confronto interno, un proprio progetto di intervento, sulla base
di considerazioni non solo estemporanee. Il primo passo è quello di conoscere il proprio ambito di
intervento, conducendo una breve inchiesta in grado di raccogliere:
- la situazione economica e sociale del proprio territorio,con particolare riferimento alla
composizione produttiva e della classe lavoratrice (tassi di occupazione e disoccupazione, presenza
migranti, occupati per settore, distribuzione territoriale del lavoro, ecc).

- l’elenco dei principali luoghi di lavoro presenti (recuperandolo dalle banche dati e le mappature
esistenti, come quelle di www.unioncamere.it, in cui sono indicati le aziende per comune, in ordine
di settore, fatturato e numero di dipendenti). Le informazioni sono spesso lacunose (mancano gli
enti pubblici, i dipendenti considerati sono solo quelli a tempo indeterminato registrati, il fatturato
annuo è spesso indicativo ed impreciso). Ma l’elenco può rappresentare un primo database da
aggiornare e modificare con informazioni raccolte successivamente tramite altre ricerche e contatti
personali.

- le informazioni necessarie all’intervento diretto (presenza e orari dei turni, cancelli utilizzati,
presenza e consistenza sindacale, ecc).

- una mappatura dei conflitti e delle vicende aziendali, raccogliendo articoli di giornale, analisi ed
interventi particolari, vicende contrattuali (molto utile può sempre essere il sito della camera di
commercio), ecc.

Sulla base delle risorse militanti e finanziarie, della situazione socioeconomica e dell’espressione
del conflitto di classe nel proprio territorio, sezioni e nuclei possono definire un proprio progetto, in
cui indicare metodi d’azione (propaganda, intervento, lotta per la direzione), obbiettivi di
reclutamento e di crescita dell’influenza del partito. Nel momento in cui si definisce un progetto è
importante considerare le conseguenze nella strutturazione organizzativa che questo comporta:
individuazione delle priorità finanziarie, strutturazione delle cellule, costruzione dei gruppi dirigenti
e assegnazione delle responsabilità politiche ed organizzative. E’ in funziona di una chiara
esplicitazione di un progetto che possono consapevolmente essere assunte le decisioni migliori
riguardo la sede (zona, costi, dimensioni); gli investimenti (computer, macchina a stampa, volantini,
manifesti); la costituzione di cellule di settore, di fabbrica o di un certo territorio; le responsabilità
individuali (anche se in linea generale, viste le priorità indicate, è utile che in ogni sezione sia
presente un tesoriere, per curare tutte le imprescindibili questioni legate all’autofinanziamento; un
responsabile della propaganda, per curare la diffusione del giornale e dei volantini; un responsabile
tesseramento e rapporti con le cellule, per curare il reclutamento e l’attivazione della militanza nel
partito. Ed è utile che queste figure si coordinino strettamente nel lavoro quotidiano della sezione).

4.5.3 L’intervento quotidiano minimo delle strutture del nostro partito, nell’ottica di una
indispensabile influenza di massa, deve potersi determinare ed essere garantito in ogni situazione. Il
congresso da perciò mandato all’Esecutivo Nazionale di predisporre l’organizzazione di un servizio
d’ordine a tutela e garanzia del corretto svolgimento di ogni tipo di iniziativa pubblica del partito,
contro ogni provocazione da qualunque parte essa provenga.

5. La struttura del Partito


5.1 I nuclei, le cellule e le sezioni provinciali
5.1.1 La cellula è la struttura di base del Partito, costituita dall’assemblea di sezione. Tutti i

compagni/e dovrebbero appartenere ad una cellula, la struttura collettiva in cui concentrano la


propria militanza ed il proprio intervento. La cellula è costituita su base territoriale (paese,
quartiere, città) o di settore (azienda, gruppo di aziende, scuola, università, ecc): raggruppa un
numero ristretto di compagni (5/10), che si vede continuativamente (riunioni settimanali o al
massimo quindicinali) e coordinano l’intervento esterno (analisi del contesto, elaborazione di linea,
volantinaggi, interventi in assemblee e mobilitazioni, organizzazione di iniziative). Nel corso della
propria attività la cellula dovrebbe alternare riunioni organizzative con riunioni di discussione, sia
sulla situazione politica generale che sulle scelte del partito. In linea teorica, la cellula è la prima
struttura che un compagno/a che si avvicina al partito dovrebbe conoscere e in cui dovrebbe
inserirsi, in quanto questa è la principale struttura operativa e di intervento del partito. In questo
anno e mezzo di vita del movimento costitutivo la struttura delle cellule non è stata particolarmente
diffusa nel mcPCL, considerata la necessità di confronto proprio di una fase costitutiva, l’incontro
tra esperienze e provenienze diverse, una certa abitudine per i molti compagni/e che provenivano
dal Prc ad un’azione di tendenza interna e non di organizzazione indipendente. E’ importante però
che la fase congressuale segni un cambio di passo, che il passaggio ad una strutturazione più precisa
dell’organizzazione, ad una definizione della sua linea politica, ad uno sviluppo della propaganda e
dell’intervento del PCL determinino nel corso del prossimo anno la costituzione di un significativo
numero di cellule attive del partito.

5.2.1 Il PCL nasce, come sottolineato precedentemente, dal raggruppamento di compagni e


compagne provenienti da aree e percorsi diversi, interni ed esterni al Prc. Spesso, per la storia del
Prc, per le caratteristiche del territorio, per i legami personali tra compagni e compagne, gli iscritti
di una zona hanno alle spalle percorsi omogenei. E’ importante che nella nostra organizzazione ci
siano spazi di confronto, elaborazione e decisione che prescindano da questi ambiti, evitando per
quanto possibile la costituzione di strutture omogenee che si sommino federalisticamente tra loro.
Questa strutturazione contrasta infatti la logica di funzionamento che intendiamo assumere. Anche
per questo motivo è stata indicata nello Statuto la sezione provinciale come struttura decisionale di
base del partito: per l’attuale consistenza numerica ed organizzativa, questa dimensione dovrebbe
assicurare un minimo confronto tra provenienze diverse e nel contempo garantire la possibilità di
una gestione efficace dei tempi e della strutturazione del dibattito. E’ la sezione provinciale
(assemblea degli iscritti) che individua le cellule da costituire, discute la linea politica centrale e
decide quella locale. La sezione dovrebbe convocare riunioni mensili (o al massimo, per le sezioni
più grandi e con una consolidata strutturazione in cellule, bimestrali) di discussione politica sulla
situazione internazionale, quella nazionale e quella della sezione. Per la gestione quotidiana
dell’iniziativa è prevista l’elezione di un comitato provinciale, su base politica e funzionale. I
coordinatori di cellula non eletti in questo organismo è utile che siano invitati alle riunioni, per
permettere al comitato provinciale di tenere conto dell’esperienze e delle valutazioni di tutte le
cellule e ad ogni singola cellula di inquadrare il proprio intervento in quello complessivo della
sezione. Vista la debolezza e la necessità di concentrare le forze che caratterizza questa fase del
PCL, il comitato provinciale coordina ed indirizza le diverse cellule sulle priorità del proprio
intervento.
E’ importante che le sezioni organizzino iniziative sul territorio di propaganda (presentazione
pubblica delle nostra posizioni) e dibattiti su questioni politiche ed internazionali di attualità, su
questioni storiche o teoriche rilevanti. Al fine di garantire una discussione efficace ed un continuo
monitoraggio sul proprio sviluppo, è utile che la sezione definisca in documenti scritti i propri
obbiettivi politici ed organizzativi su base almeno semestrale, da porre a verifica al termine del
periodo indicato, sulla base di quanto indicato nel capitolo 4 di questo documento.
Nelle realtà dove la nostra consistenza non permette ancora la costituzione di una sezione
provinciale, i nostri compagni si organizzano attraverso un nucleo costitutivo, che è una struttura
politica ed organizzativa autonoma (seppur non strutturata come una sezione) attraverso cui
possono sviluppare un primo intervenendo esterno, raggruppare compagni e compagne, conquistare
iscritti e militanti al PCL per costituire formalmente una sezione.

5.2 I gruppi dirigenti del Partito: coordinamenti regionali, congresso, comitato politico, Direzione e
Comitato esecutivo.

5.2.1 Considerando le nostre dimensioni, l’attuale consistenza organizzativa e il percorso politico


proposto si individuano 4 fondamentali organi decisionali: il congresso, il comitato politico, la
Direzione, il Comitato esecutivo. A queste strutture si aggiungono come organi di raccordo e
coordinamento dell’iniziativa i coordinamenti regionali e le commissioni di settore.

5.2.2 Il massimo organo del partito è il congresso, momento di confronto e decisione


sull’articolazione del programma, sulla collocazione e la linea politica, sulla strutturazione
organizzativa. Il congresso è la massima forma democratica di confronto nell’organizzazione, in cui
tutti i militanti (e gli iscritti con parere consultivo) devono avere possibilità di esprimere e
presentare la propria posizione politica individuale e collettiva. In una fase di avvio del partito,
nonostante gli evidenti limiti economici dell’organizzazione, si ritiene utile ed importante una
convocazione regolare, almeno biennale, del congresso.

Il Comitato politico è il principale organo dirigente del PCL, stabilisce le analisi e le linee politiche
contingenti del Partito. E’ pensato come una struttura in grado di riunire il corpo principale del
partito, di verificare la sua organizzazione e la sua iniziativa, riunendosi di norma due volte l’anno,
al massimo tre. In funzione di questi obbiettivi, si propone che il comitato politico sia composto da
due diverse componenti: dai membri eletti dai delegati al congresso su base regionale
(rappresentanza proporzionale iscritti) e da un eventuale quota di compagni per un riequilibrio delle
componenti politiche congressuali, indicati con voto segreto dai delegati che si riconoscono nelle
eventuali diverse mozioni/documenti politici. La sua composizione complessiva, decisa dal
congresso, è di 45 compagni/e.

La Direzione ha tre principali funzioni: valuta le scelte contingenti nel quadro delle linee politiche
tracciate dal Comitato Politico; garantisce la centralizzazione del partito e la sua azione coordinata,
sia sul piano settoriale che territoriale; gestisce il centro nazionale, il bilancio e la struttura operativa
dell’organizzazione. Riunito tendenzialmente su base mensile per garantire la continuità di analisi e
l’approfondimento della discussione, è composto da 15 compagni/e. E’ eletta dal Comitato Politico,
su liste contrapposte o lista aperta.

Questa articolazione degli organismi dirigenti del Partito permette di costruire un gruppo dirigente
centralizzato e relativamente ristretto a cui affiancare, nelle discussioni e nelle decisioni politiche
fondamentali, un organo che tiene conto dell’articolazione territoriale del partito.
Il Comitato esecutivo segue la gestione quotidiana del Partito, sia sul lato politico-organizzativo che
nella conduzione della linea politica, secondo i deliberati degli altri due organismi dirigenti. Eletto
dal comitato politico, è composto di norma da 3 a 5 membri: considerando la particolare
caratterizzazione di questo organismo (gestione quotidiana dell’organizzazione), si propone la sua
elezione su lista bloccata, con la possibilità di presentare più liste, anche fra loro parzialmente
sovrapposte (presenza di candidati in più liste). La votazione è in ogni caso segreta e, nel caso di
presentazione di una sola lista, è richiesto il voto favorevole dei 3/4 dei votanti.

5.2.3 I Coordinamenti Regionali sono, in questa fase di consolidamento, strutture di coordinamento


degli sforzi per diffondere su tutto il territorio il partito e la sua iniziative (in particole nelle
province dove non sono presenti sezioni), oltre che ovviamente momento di collegamento tra le
diverse sezioni e luogo di attivazione di campagne su tematiche comuni. Da questo punto di vista,
anche sulla base dell’esperienza sviluppata come Movimento, il Coordinamento non è una struttura
né di direzione né di collegamento organizzativo tra il centro nazionale e le sezioni provinciali. Non
ha compiti di discussione o supervisione del dibattito o delle iniziative delle singole sezioni, né è
cinghia di trasmissione della linea politica alle singole sezioni.

Le commissioni di settore, coordinate dal Direzione ed elette in comitato politico, hanno il compito
di elaborare analisi e proposte sui singoli settori di intervento, oltre che quello di supportare il
Direzione nella gestione del partito e del suo intervento (preparazione volantini, comunicati,
circolari informative e materiali di propaganda). In questo ambito si ritiene, in questa fase di
sviluppo e consolidamento dell’organizzazione, di collocare anche la struttura giovanile del partito.
Senza aprire oggi una discussione sul senso e la funzione di un organizzazione giovanile
indipendente, né quella sull’esistenza e la composizione dell’identità sociale giovanile, si ritiene
infatti più adeguato rimandare questa discussione e le conseguenti decisioni al prossimo congresso
del partito. Si ritiene comunque utile ed importante mantenere e sviluppare il positivo lavoro che la
commissione giovani ha avviato nel mcPCL, sia coordinando l’intervento concreto del partito tra i
giovani e gli studenti sia identificando e mettendo in collegamento i compagni e le compagne
giovani iscritte alla nostra organizzazione. In questa direzione si propone di affidare alla
Commissione giovani l’elaborazione di un Bollettino interno di discussione, confronto e proposta
sulla questione giovanile. Inoltre ed infine si valuta come assolutamente necessaria, in vista del
prossimo congresso del Partito, l’organizzazione di una conferenza nazionale per delegati nel 2008,
in cui affrontare la discussione sull’intervento tra i giovani e sulla questione giovanile, che prepari
uno specifico documento (o più documenti) per sciogliere questo nodo politico ed organizzativo al
prossimo congresso, con una decisione di tutto il corpo del partito.

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