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RELAZIONE SUL SAGGIO DI C.

TAYLOR, ETICA E UMANIT


(a cura di P. Costa, Milano 2004)

CAPITOLO I Oltre lepistemologia

In questo saggio Taylor intende mettere in discussione le pretese dellepistemologia moderna, che
aveva conosciuto una significativa fase di prestigio durante lapogeo dellempirismo logico, in
particolar modo nel mondo anglosassone.
Fu con il testo di Richard Rorty La filosofia e lo specchio della natura (1979) che limpresa
epistemologica cominci a trovarsi minata alle sue stesse basi, e in primo luogo a quello che era stato
fino ad allora il suo centro: la credenza in una impresa fondativa. Lidea di fondo di Rorty consisteva
in sostanza in una denuncia del fondazionalismo, nel tentativo di andare oltre lepistemologia.
Lassunto di base era che la vera scienza fondativa non potesse dipendere da una scienza empirica a
meno di non volersi trovare imbrigliata in una evidente circolarit senza soluzione. C per unaltra
interpretazione ed questa su cui Taylor in particolar modo si concentra che insiste, pi che sul
fondazionalismo, su una concezione di conoscenza intesa come rappresentazione corretta di una realt
indipendente. La conoscenza, in questo senso, andava intesa come la raffigurazione interiore di una
realt esterna. Questa idea si conciliava, tra le altre cose, con la meccanizzazione dellimmagine del
mondo che cominci a prendere forma nel XVII secolo e che entr ben presto in contrasto con la
concezione aristotelica dominante: secondo questultima, nel momento in cui conosciamo qualcosa,
la nostra mente diventa tuttuno con loggetto considerato. Questa teoria, che Taylor definisce
partecipativa, dipendeva in gran parte dalla filosofia platonica delle forme; una volta eliminata
questa, in seguito alla rivoluzione scientifica del Seicento, la visione rappresentativa cominci ad
apparire come la sola alternativa disponibile. Da questo momento, la conoscenza venne fatta
dipendere da una relazione esistente tra gli oggetti esterni e i vari stati interiori che tali oggetti causano
in noi. Ma tale congruenza doveva essere realizzata e stabilita attraverso un metodo affidabile, in
grado di produrre quella che Cartesio defin vidence. La certezza, in ultima analisi, doveva essere
generata attraverso una svolta riflessiva, tramite la quale il soggetto arriva ad esaminare il fondamento
stesso delle proprie opinioni allinterno della propria mente. Lideale della certezza autoprodotta che
in qualche modo ne deriv, dice Taylor, deve essere compreso come qualcosa di simile a un ideale
morale. Tanto che essere liberi nel senso moderno significa essere autoresponsabili, ovvero affidarsi
al proprio giudizio e trovare il proprio fine in s stessi.
Da una simile nozione di libert derivarono poi alcune credenze antropologiche: limmagine del
soggetto come agente distaccato, distinto dai mondi naturali e sociali; la visione puntiforme del s,
cio di un agente in grado di trattare strumentalmente tali mondi; infine, la visione atomistica della
societ come teatro di fini individuali.
Linadeguatezza della visione epistemologica va spiegata, afferma Taylor, attraverso largomento
delle condizioni trascendentali: tale argomento, di origine kantiana, prende le mosse da quelle che
sono le condizioni fondamentali affinch si abbia consapevolezza di qualcosa come lesperienza o il
mondo in primo luogo. Le condizioni trascendentali sono in prima istanza condizioni di
intenzionalit: le nostre idee sono anzitutto idee di o su qualcosa. In secondo luogo, se i nostri stati
devono valere a pieno titolo come esperienza di una realt oggettiva, essi devono formare un insieme
coerente, ovvero essere legati da regole; in questo modo, in quanto agenti, noi siamo in grado di
identificare certe condizioni senza le quali la nostra attivit conoscitiva risulterebbe incoerente.
Cadono cos le pretese del fondazionalismo, secondo cui sarebbe possibile scavare sotto le nostre
rappresentazioni ordinarie per scoprire altre rappresentazioni pi basilari; e in ogni caso, ribadisce
Taylor, noi potremmo anche tracciare una linea di demarcazione tra limmagine che abbiamo di un
dato oggetto e loggetto stesso. Ma non potremmo fare altrettanto tra il mio modo di rapportarmi
alloggetto e loggetto stesso.
Taylor riprende dunque il tema della chiarificazione delle condizioni di intenzionalit, mediante la
quale potremmo giungere a una migliore comprensione di noi stessi in quanto agenti conoscenti
nonch in quanto esseri linguistici. Si tratta di un percorso che ci permetterebbe inoltre di definire
ancora meglio alcune delle questioni antropologiche che sottendono alle nostre credenze morali e
spirituali, in vista di una ulteriore autocomprensione di noi stessi.
Vi poi un altro percorso di critica dellepistemologia che prende per le mosse dalle intuizioni di
Nietzsche sulla teoria intesa come una sorta di violenza: un tale tipo di critica afferma la priorit
della volont, negando alla ragione il potere di orientare le nostre scelte su che cosa dovremmo essere.
Alle spalle di una simile concezione vi una nozione del s come opera darte, come autocreazione,
di una soggettivit affrancata dai vincoli derivanti da presunti significati inconfutabili della vita
(Derida).
Viceversa, la strada intrapresa da Taylor, ossia la critica dellepistemologia a partire dalle condizioni
di intenzionalit, mira a mostrarci qualcosa in pi su ci che veramente siamo: a rivelarci, infine,
qualcosa della nostra natura pi profonda e autentica in quanto individui.
PARTE SCELTA
CAPITOLO III - Che cos lagire umano?

Il presente saggio, selezionato tra quelli presenti allinterno del volume Etica e umanit, pone una
domanda specifica che ben si integra tra le altre nel tentativo di chiarificare le intenzioni del filosofo
canadese: mostrare e articolare la complessa relazione tra etica e antropologia. Largomento, piuttosto
complesso, sfida la credenza comune e diffusa secondo la quale la riflessione morale sarebbe
separabile da una accurata e puntuale indagine sulla natura delluomo. Ci significa, per altro verso,
approfondire il nostro modo di intendere beni, diritti e doveri morali alla luce appunto della nostra
concezione della natura umana; concezione che, come anche avr modo di riassumere in questa
relazione, deve molto alle teorie sviluppatesi nel corso della modernit.

Uno dei fili conduttori fondamentali della riflessione tayloriana lidea che lagente umano sia capace
di valutazioni forti: in quanto tale, egli capace di orientarsi, nelle proprie scelte come nel proprio
agire, sulla base di tutta una serie di distinzioni qualitative che sono dotate di un valore intrinseco e
sono classificate secondo un ordine gerarchico di importanza. Le valutazioni forti, nellottica di
Charles Taylor, sono intese come il tentativo di intendere e definire la realt umana in un modo ben
preciso, secondo il quale i sentimenti morali del soggetto e gli orizzonti di senso rivestono la massima
importanza. Nonostante luomo non possa essere definito come un essere normativamente morale,
Taylor rileva tuttavia che una componente essenziale dellautocomprensione degli agenti sia la
consapevolezza almeno parziale di muoversi in un universo che non mai moralmente neutro, ma
che presenta invece una complessa assiologia che richiede una costante articolazione ed
esplicitazione. Questo fatto va tenuto presente perch per sapere chi siamo, cio per trovare la nostra
identit, abbiamo bisogno di sapere come ci collochiamo rispetto al nostro orizzonte morale di
riferimento. Tale universo morale, come si diceva, necessita di essere continuamente rimesso in
discussione e ri-articolato, non essendo un qualcosa di gi dato e fisso: la sua intrinseca qualit, anzi,
chiarisce la responsabilit e la profondit spirituale del soggetto che ne fa parte. Naturalmente il
complesso lavoro di articolazione che impegna ciascuno di noi col proprio orizzonte morale non
arbitrario: esso va sintonizzato, per cos dire, sulla base di un senso embrionale di ci che per noi
riveste unimportanza decisiva, al quale noi tentiamo di restare fedeli. La stessa esistenza di una
realt etica la condizione che d il via, sostiene e giustifica il complesso lavoro di articolazione
di cui si diceva, che si incarna nello specifico allinterno delle varie e diverse pratiche umane. Tali
pratiche, naturalmente, sono informate da regole che costituiscono il senso profondo della pratica
stessa piuttosto che esistere separatamente da esse. Le pratiche, per specificare ulteriormente, sono la
continua interpretazione e reinterpretazione di ci che la regola significa: questo continuo lavoro di
interpretazione fa s che le pratiche cambino nel corso del tempo mantenendo per la propria identit.

Vale la pena per di esaminare pi nel dettaglio il saggio in questione: qui Taylor intende analizzare
la nozione di agente umano responsabile, operando una distinzione rispetto ad altri tipi di agenti quali
potrebbero essere, ad esempio, gli animali. Che cosa differenzia dunque lagire umano da altri tipi di
agire? Prendendo in prestito la distinzione di Harry Frankfurt tra desideri di primo e di secondo grado,
Taylor afferma che ci che specificamente umano la capacit di valutare i propri desideri alla luce
di un certo orizzonte morale, di considerarne cio alcuni come desiderabili e altri come indesiderabili.
Luomo pu attuare una valutazione qualitativa dei propri desideri, classificando gli stessi in base a
categorie come superiore-inferiore, virtuoso-vizioso, profondo-superficiale, nobile-indegno e cos
via. Egli giudica i propri desideri come appartenenti a modelli di vita qualitativamente differenti luno
dallaltro. Se dunque nel caso di una valutazione debole ci che ci interessa lesito del nostro agire,
nel caso della valutazione forte ci che ci interessa invece la qualit della nostra motivazione.
Uno dei nemici, per cos dire, del concetto di valutazione forte, rappresentato dallutilitarismo:
questa particolare dottrina ha sempre portato con s la tendenza a liberarsi delle distinzioni qualitative
di valore, partendo dalla convinzione che esse siano di ostacolo alla percezione delle vere basi delle
nostre preferenze; le quali basi sarebbero piuttosto quantitative. Secondo gli utilitaristi, sbarazzarsi
delle valutazioni forti consentirebbe di ridurre la ragion pratica a calcolo.
La differenza importante che merita di essere sottolineata che nelle valutazioni deboli, perch
qualcosa sia giudicato buono sufficiente che sia desiderato, mentre nelle valutazioni forti esiste un
senso del termine buono per il quale lessere desiderato non rappresenta una condizione sufficiente.
Nel caso delle valutazioni deboli, quando un desiderio viene accantonato ci accade a causa della sua
contingente incompatibilit con unalternativa pi desiderata; nel caso delle valutazioni forti, invece,
le distinzioni valutative sono caratterizzate contrastivamente: ciascun termine di coppie quali quelle
che citavamo pocanzi pu essere compreso solamente in relazione al termine opposto. Non si pu
avere unidea di che cosa sia il coraggio, ad esempio, se non si conosce la codardia. Nel caso delle
valutazioni forti, dunque, il desiderio eventualmente respinto non respinto in ragione di un conflitto
contingente o occasionale con un altro fine; il conflitto pi profondo.
Vi poi unulteriore demarcazione tracciata da Taylor: un soggetto che valuta solo debolmente,
afferma, pu essere definito come un semplice soppesatore di alternative. Certo anchegli, cos come
il valutatore forte, gi riflessivo in un senso minimo. Ci significa che egli possiede una dimensione
necessaria di ci che noi definiamo una persona, un s; tuttavia difetta di quella che Taylor
metaforicamente definisce come profondit. Il valutatore forte, al contrario, possiede un linguaggio
pi ricco: sicch egli, trovandosi di fronte a degli incommensurabili, riesce pi agevolmente ad
articolare la superiorit di A rispetto a B. Inoltre un agente di questo tipo comprende che le
motivazioni e i desideri non contano solo in virt dellattrattiva degli appagamenti (come accade
spesso e volentieri per il valutatore debole) ma anche in virt del tipo di vita e del tipo di soggetto a
cui questi desideri appartengono. Caratterizzare una inclinazione come pi o meno degna significa
definirla nei termini del tipo di qualit di vita che essa esprime e sostiene; e riflettere sui nostri desideri
tenendo presente lorizzonte di una certa qualit di vita che significa poi riflettere sul tipo di esseri
che siamo, dice Taylor ci conduce al centro della nostra esistenza in quanto agenti.

Dunque abbiamo appena esaminato una dimensione essenziale del s, vale a dire la capacit di
valutare fortemente. Nella restante parte del saggio, Taylor procede ad esaminare unaltra dimensione
essenziale: la responsabilit.
La nozione di responsabilit, a ben vedere, gi implicita in un certo senso in quella di volont: una
componente della capacit di valutare i desideri sembra essere infatti la possibilit di accantonare il
desiderio migliore per lasciare spazio a quello pi pressante. Noi consideriamo lagente come
responsabile anche di tali valutazioni, o desideri di secondo grado; questi non sono soltanto dati,
ma anche approvati, ed particolarmente in questultimo senso che essi chiamano in causa la nostra
responsabilit. Sorgono per non pochi dubbi sul modo in cui dovremmo intendere questa nozione di
responsabilit: unimportante corrente di pensiero della modernit, dice Taylor, ha voluto intenderla
nei termini della scelta, e pi precisamente di una scelta radicale, non fondata su alcuna ragione. Un
esempio emblematico di questo modo di intendere la responsabilit offerto dalla tesi sartriana
secondo la quale il progetto fondamentale che ci definisce si basa appunto su una scelta radicale:
secondo Sartre non c modo di risolvere un conflitto tra due pretese o inclinazioni forti che
interpellano la lealt morale di un soggetto, n possibile ricorrere a considerazioni di livello
superiore. In realt, come Taylor argomenta contro il dilemma posto in Lexistentialisme est un
humanisme, si tratta di un dilemma semplicemente perch le richieste stesse non sono state create
dalla scelta radicale: se cos fosse, infatti, il soggetto coinvolto potrebbe in qualunque momento
eliminare il problema dichiarando una delle richieste concorrenti come esclusa.
Lesistenza dei dilemmi morali non argomenta a favore dellidea che le nostre valutazioni si basino
sulla scelta radicale. Per Taylor vero proprio il contrario: se si accetta la teoria della scelta radicale,
i dilemmi morali diventano inconcepibili. Tale teoria strutturalmente incoerente, in quanto cerca di
preservare sia la valutazione forte sia la scelta radicale: un agente che facesse affidamento sulla stessa,
dovrebbe scegliere sempre che si possa parlare di scelta come un semplice soppesatore; ci che
lo spinge a giudicare una delle alternative come pi degna non il fatto che essa appare come tale
nella sua esperienza (poich in tal caso le sue valutazioni sarebbero giudizi), ma piuttosto che egli
spinto verso luna piuttosto che verso laltra dopo aver considerato le attrattive di entrambe. Il
problema, evidenzia Taylor, che nella scelta radicale lagente non consulta affatto le preferenze. Ma
una scelta compiuta senza riferimento a nulla, da parte di un agente che non avverte alcuna
sollecitazione verso una delle due alternative, pu definirsi una scelta?
Unaltra ragione che dovrebbe spingere a rifiutare la dottrina della scelta radicale fa capo alla nozione
di identit. Il concetto di identit infatti connesso a certe valutazioni forti che sono imprescindibili
da me stesso, e ci essenzialmente perch tramite tali valutazioni forti io mi identifico, plasmo la mia
identit e il mio mondo interiore: se respingessi le mie convinzioni basate su valutazioni forti, in
sostanza, rinnegherei me stesso ritrovandomi interiormente lacerato e incapace di valutazioni davvero
autentiche. Lagente della scelta radicale, a livello teorico, non dovrebbe possedere alcun orizzonte
di valutazione ed essere quindi privo di identit: sarebbe un soggetto alienato, una figura dellio
disincarnato e oggettivante che la societ moderna aspira a mettere in campo.
Resta il fatto che la vera forza della teoria della scelta radicale deriva dallintuizione che vi sia una
pluralit di visioni morali rispetto alle quali gli agenti difficilmente riescono a formulare un giudizio
definitivo.

Ma come dobbiamo intendere allora la responsabilit del soggetto agente, una volta eliminata lipotesi
della scelta radicale? Per rispondere alla domanda, Taylor parte dalla constatazione che le nostre
valutazioni non sono scelte, bens articolazioni del nostro senso di ci che superiore-inferiore,
degno-indegno, ecc. Noi siamo agenti capaci di dare una formulazione, attraverso parole e immagini,
alle nostre motivazioni; siamo cio capaci di articolare i nostri desideri e le nostre aspirazioni. Ma tali
articolazioni non sono pure e semplici descrizioni, bens tentativi di formulare ci che inizialmente
confuso o mal formulato. E questo genere di riformulazione non lascia il suo oggetto immutato, nel
senso che le nostre autointerpretazioni sono in parte costitutive della nostra esperienza; ci significa,
detto in altri termini, che alcuni tipi di esperienza non sono possibili senza certe autodescrizioni. I
nostri tentativi di dare una adeguata formulazione a ci che per noi importante devono insomma
essere fedeli a qualcosa, e questo qualcosa non un oggetto indipendente con uno specifico grado
prefissato di evidenza, ma piuttosto un senso perlopi inarticolato di ci che ha (per noi)
unimportanza decisiva.
Dunque le nostre articolazioni, dal momento che in parte definiscono i nostri oggetti, impegnano la
nostra responsabilit: anzitutto perch noi riteniamo altri agenti responsabili e li giudichiamo
moralmente alla luce di ci che essi vedono o non vedono. Ma ancor pi perch ogni nostra
valutazione costitutivamente una articolazione di intuizioni spesso parziali e confuse, e quindi lascia
sempre spazio ad una qualche rivalutazione; dunque siamo responsabili nel senso che per noi sempre
possibile che una nuova intuizione possa modificare e migliorare le nostre valutazioni e, in definitiva,
anche noi stessi.

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