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Con immagini, suoni, parole


Come le associazioni e le cooperative sociali comunicano
una nuova cultura sulla disabilità
a cura di Nicola Rabbi

Nicola Rabbi, giornalista specializzato in informa-


zione sociale e nuove tecnologie della comunicazio-
ne, è direttore della testata giornalistica on line
www.bandieragialla.it; lavora da vent’anni al Cen-
tro Documentazione Handicap: troppo tempo?

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1. Introduzione di Nicola Rabbi

Le associazioni, le cooperative sociali, i gruppi di volontariato (ma anche gli enti


locali) sanno quanto sia importante non solo fornire servizi efficaci alle persone
disabili, ma anche promuovere una cultura diversa, rivolta alla popolazione in ge-
nerale e non unicamente a chi si trova ad avere a che fare con la disabilità. In
particolare occorre fornire una rappresentazione corretta e positiva della persona
disabile, una rappresentazione capace di coniugare le potenzialità che chiunque
può avere (e il suo diritto a una vita piena e felice), in qualsiasi situazione, con i
limiti dolorosi che un deficit impone. Saper comunicare con queste modalità la si-
tuazione di una persona svantaggiata diventa dunque importante per modificare i
pregiudizi e i luoghi comuni che continuano a pesare.
In questo numero monografico di “HP-Accaparlante” abbiamo voluto raccontare
come il privato sociale (associazioni e cooperative sociali in primis) investa una
parte delle sue attività in azioni di comunicazione utilizzando strumenti diversi,
anche se la scelta dell’audiovideo, considerando l’impatto che ha su una popola-
zione abituata all’immagine televisiva, esercita un influsso particolarmente forte.
Abbiamo riportato esperienze diverse tra loro, realizzate in varie parti d’Italia, dal
concorso cinematografico “Cinem/abili” proposto da realtà associative genovesi
ai documentari dell’Associazione Italiana Persone Down (AIPD) di Roma, passan-
do per il festival dello spot pubblicitario organizzato dalla Ledha di Milano e per il
Festival Internazionale delle Abilità Differenti di Carpi, che coniuga teatro, musi-
ca, incontri e cinema. Ci siamo occupati anche di un’esperienza milanese di co-
municazione via web che, seppure rivolta in prevalenza verso gli utenti e quindi di
carattere riabilitativo, diviene pubblica per il fatto stesso di essere veicolata da
Internet. Sempre riguardo a Milano, abbiamo riportato la pluriennale esperienza
di “Giallo di sera”, il giornale dei centri socio-educativi del comune. Il lavoro ter-
mina con un articolo di inquadramento teorico relativo alla comunicazione sociale
del Terzo Settore.

2. Il festival nazionale Cinem/abili


di Genova di Paolo Borio, esperto di cinema della coope-
rativa Zelig di Genova

Cinem/abili è un’iniziativa nata dal felice incontro e dalla fattiva collaborazione di


alcune realtà genovesi, in particolare Co.Ser.Co., cooperativa sociale onlus che
opera da tempo nel campo della disabilità (con varie diramazioni) e la cooperativa

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[ Cinema ]

Zelig, che cura l’attività del Club amici del cinema, uno storico cineclub genovese
attivo da anni nella diffusione e nella promozione del cinema di qualità attraverso
festival, rassegne tematiche e varie iniziative.
Spesso queste iniziative partono da temi che il cinema stesso offre; rassegne su
cinema e handicap, per esempio, erano già state organizzate sull’onda dell’usci-
ta di pellicole che offrivano argomenti di riflessione e potevano stimolare l’inte-
resse e la partecipazione di associazioni legate alla disabilità.

Breve storia del festival


Nel 2004 è stata presentata una pubblicazione curata da Beppe Iannicelli nel-
l’ambito delle iniziative CGS, dal titolo Cinema e Handicap – Schermi di solida-
rietà, che raccoglie vari interventi di esperti e contiene una guida ragionata ai
film e alle varie tipologie di handicap, corredata da una ricca filmografia e schede
di titoli significativi a opera del sottoscritto.
Proprio da questi presupposti e dalla partecipazione a serate specifiche ha preso
avvio un progetto ideato da Paolo Caredda (direttore artistico di Cinem/abili e for-
matore di Isforcoop). L’incontro con la cooperativa Zelig, con il suo presidente
Giancarlo Giraud, con Gianfranco Caramella e a opera del sottoscritto ha permes-
so poi di coordinare il progetto, che in pochi mesi ha visto la definizione di un
programma e il lancio di un concorso. Grazie al contributo della regione Liguria e
di altri sponsor è stato possibile realizzare la prima edizione di Cinem/abili, che,
tenutasi a Genova dal 4 al 5 novembre del 2004, ha visto la partecipazione di
molti video, alcuni di buona qualità e tutti comunque interessanti per la diffusio-
ne di tendenze e idee.
Iniziative collaterali hanno permesso di discutere alcuni temi legati alla disabilità,
con una buona ricaduta sui mass media locali e con la partecipazione di alcune
realtà liguri (Consulta regionale handicap, Fadivi e altre).
La presenza al festival di Stefano Rulli, uno dei più importanti sceneggiatori ita-
liani, ha reso ancora più prestigiosa l’iniziativa; la collaborazione con lo stesso
Rulli, poi, è sfociata qualche tempo dopo nella presentazione a Genova del suo
film Un silenzio particolare, premiato con il David di Donatello e incentrato sul
suo rapporto di padre con il figlio disabile.
Alla proiezione del film hanno assistito studenti e insegnanti di Scienze della For-
mazione e numerosi addetti ai lavori. La partecipazione di studenti delle scuole
(che votano i video) e di ragazzi disabili è un punto di forza di Cinem/abili e ha
permesso di diffondere tra le nuove generazioni spunti e idee d’integrazione e so-
prattutto di conoscenza del cosiddetto “pianeta handicap”.
Il festival (che si avvale di una giuria di qualità formata da critici e operatori del

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settore) premia i vincitori con una somma in denaro che incentiva la realizzazione
di nuove produzioni; i video selezionati, inoltre, vengono riproposti in serate spe-
ciali o in sale cinematografiche del circuito genovese durante l’anno.

Una crescita costante


Le edizioni successive hanno visto una costante crescita del festival. Nel 2006 il
numero dei video in concorso è aumentato e l’iniziativa collaterale è stata una
rassegna specifica dedicata al regista Daniele Segre, autore indipendente parti-
colarmente attento a tematiche sociali e al cinema della realtà, che è stato pre-
sente alle proiezioni e agli incontri con il pubblico. Interessante anche la collabo-
razione con il Progetto Equalsport, che ha visto l’apertura di un settore del festi-
val dedicato al tema “Sport come integrazione sociale”.
Nel 2007 la formula si è consolidata, con la presenza di nuovi sponsor e l’am-
pliamento della rete di contatti; ancora in crescita il numero dei partecipanti, al-
cuni dei quali sono stati invitati alle proiezioni e agli incontri tenutisi nella sala
della biblioteca Berio di Genova dal 27 al 29 novembre. Come appendice dell’edi-
zione 2007 presto si organizzerà una serata dedicata alla regista Alina Marazzi,
autrice che ha affrontato con sensibilità tematiche riguardanti le donne e ha assi-
curato la sua presenza all’iniziativa.
Da ricordare, inoltre, che tutti i video delle tre edizioni di Cinem/abili fanno parte
di uno specifico archivio sui temi dell’handicap, custodito presso la Mediateca
dello Spettacolo e della Comunicazione del centro civico di Genova-Sampierdare-
na e consultabile da chiunque voglia approfondire l’argomento. Il festival rappre-
senta di anno in anno una scommessa, un progetto che si spera possa aprire
nuovi spazi e nuove opportunità alla cultura della disabilità, nonché un’occasione
per costruire percorsi di comunicazione e integrazione utilizzando le potenzialità
del cinema e dell’immagine audiovisiva.

Il cinema per combattere i pregiudizi


Gli organizzatori dell’iniziativa sono tutti appassionati di cinema e lo considerano
un linguaggio popolare e artistico che ha contribuito (e può ancora contribuire) a
diffondere “raffigurazioni dell’handicap”, a esaminarne vari aspetti contrapponen-
dosi a forme di rappresentazione edulcorata, sconfinanti talvolta nel sentimenta-
le e nel pietistico.
Era il 1962 quando John Cassavetes, con il film Gli esclusi, apriva al cinema luo-
ghi e situazioni mai indagati prima, alla ricerca di un cinema verità che scuotesse
le coscienze. Un’operazione nuova, che affrontava un argomento praticamente
mai trattato dal cinema, utilizzando ragazzi disabili come attori.

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[ Cinema ]

Da allora alcune cose sono cambiate. Oggi parole ed espressioni come “barriere
architettoniche”, “spazio disabili”, “integrazione” e “inclusione” sono entrate nel
linguaggio comune, ma ciò che è soprattutto mutato, al di là della legislazione
sul tema, è la rappresentazione sociale del disabile, non più visto come un sog-
getto impossibilitato a compiere alcune azioni o diverso dai “sani” ma considera-
to come un cittadino dotato di diritti e di doveri come tutti, e assistito in caso di
discriminazione. Occorre sempre ricordare, però, che sul piano pratico molti
obiettivi non sono ancora stati raggiunti e che spesso i disabili e i loro familiari
devono intraprendere difficili battaglie per vedere riconosciuti diritti legittimi.
Il lavoro di Cinem/abili contribuisce sicuramente a dare risalto a un cinema rigo-
roso ospitando autentici autori militanti, con i loro linguaggi originali e lontani da
stereotipi. Ma Cinem/abili offre soprattutto l’occasione di confrontarsi con la
contemporaneità attraverso video che rappresentano un significativo campione
della produzione audiovisiva su queste tematiche, e permettono un utile confron-
to fra le tendenze in atto.
Proprio questa forma di comunicazione ha forti potenzialità e costituisce una ti-
pologia espressiva autonoma, territorio di sperimentazione di nuovi stili, nuove
tecnologie, nuovi approcci comunicativi. Il video, infine, è uno spazio di autopro-
duzione e indipendenza, espressione della creatività giovanile, moda e fenomeno
di tendenza e più in generale un possibile spazio di libertà da schemi e condizio-
namenti produttivi. Dare spazio alle idee, e quindi alle varie produzioni indipen-
denti, autoprodotte o inserite in progetti più ampi (con la partecipazione di enti e
associazioni), significa, al di là di pregi e difetti, creare un laboratorio interessan-
te, vivo e rappresentativo, nonché realizzare, come già accennato in precedenza,
un utile archivio. Sono molte, infatti, le modalità di approccio a tematiche così
complesse e queste necessitano di essere rappresentate con grande sensibilità.
I video in questi anni hanno offerto un ventaglio di proposte che testimoniano in-
teresse, voglia di sperimentare e soprattutto capacità di interagire con i disabili
divenuti protagonisti e “attivi comunicatori” con i propri corpi e con le proprie
emozioni.

Per contatti
Co.Ser.Co.
tel. 010/247.18.28-24.71.82
e-mail: cinemabili@coserco.it

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3. I film che hanno vinto l’edizione 2007
di Cinem/abili di Luca Giommi
Il sesto rigo
“Suonare per me è… classica. Classica perché ci vuole più… musica… più cultu-
ra, diciamo”. Che ne condividiate o meno il giudizio musicale, la frase di Pietro,
violino dell’orchestra Esagramma di Milano (tel. 02/392.50.91), ricorda una ve-
rità e al contempo racconta la sfida sottesa al progetto di questa orchestra aper-
ta a musicisti disabili: se la disabilità e gli handicap sono anche un fatto cultura-
le, perché non affrontarli con la cultura? Cultura intesa come uno spazio libero,
di creazione e/o esecuzione ed espressione, in cui le differenti capacità possano
dispiegarsi, evidenziarsi e al tempo stesso annullarsi, retrocedere dietro il risulta-
to artistico di un lavoro collettivo che si può comunicare, cioè rendere pubblico.
Un progetto che, approfondendo le inclinazioni e le competenze tecniche degli al-
lievi, produce cultura musicale e insieme tenta di agire sulla cultura personale e
generale.
Il documentario Il sesto rigo di Raffaella Pusceddu racconta proprio l’esperienza
dell’orchestra sinfonica Esagramma, il cui nome allude al rigo in più, il sesto ap-
punto, creato dagli elementi disabili dell’orchestra stessa. Lo fa proponendo, con
stile da documentario televisivo, sette storie di altrettanti/e musicisti/e disabili e
dei loro familiari, che vengono alternate con immagini delle prove d’orchestra e
approfondimenti della direttrice e di altri insegnanti di musica.
Ne esce un quadro in cui spesso l’impegno musicale richiede ai musicisti disabili
l’acquisizione di ulteriori abilità, alcune delle quali verranno utilizzate anche nella
vita quotidiana, per esempio la capacità di gestire le proprie emozioni nel mo-
mento di un confronto pubblico.
La regista è attenta a mantenersi in equilibrio tra il dato biografico e il dato musi-
cale e di esperienza di lavoro collettiva. È infatti la scelta di questo momento di
“socialità” così impegnativo e che necessita di piena collaborazione e fiducia re-
ciproca il tratto più riconoscibile del progetto musicale, come spiega uno dei
maestri di musica in esso coinvolti: “Dove c’è più profondità, più spessore, c’è
più spazio per i pensieri e per le emozioni”.
E la “musicalità” realizzata dall’orchestra diviene, in quanto processo e prodotto
culturale, un’occasione di visibilità, di proposta pubblica di un’opera e di se stessi.

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[ Cinema ]

Zio c’è!
Zio c’è!, cortometraggio di Andrea Castoldi, racconta in modo sobrio e ironico il
passaggio da un “prima” a un “dopo” all’interno di un ospizio.
Qui ogni giorno si svolge uguale all’altro, ostaggio della regolarità, della monoto-
nia dei gesti degli anziani ospiti, delle quali nessuno, all’interno della clinica, si
prende cura, se non per definirne inequivocabilmente la natura bizzarra. Eccelle
in questo atteggiamento il direttore dell’ospizio, la cui scarsa premura e la cui
umanità professionale si riflettono, così ci suggerisce il regista, in un rapporto
sentimentale arido, fiacco e ordinario come la vita dei pazienti (e di chi li ha in cu-
ra) all’interno della clinica.
Il parallelo tra la vicenda privata e quella lavorativa del direttore continuerà, pun-
tualmente, per tutta la durata del cortometraggio, fino all’auspicabile happy end.
Le “regolari” stranezze degli ospiti della clinica vengono utilizzate dal direttore
per autoassolversi agli occhi di un nuovo arrivato, al quale presenta alcuni anzia-
ni nel suo primo giorno di lavoro. Come dire che, di fronte a tanta senile ottusità,
il compito di chi lavora in quella struttura non può essere che di natura assisten-
ziale e medica e non può che risolversi nella gestione, nell’amministrazione del-
l’esistente, senza aspirare a possibili evoluzioni.
Basterà invece la passione del giovane neo-assunto (un infermiere? un assisten-
te di base?) a determinare dei cambiamenti piccoli ma significativi.
In fondo egli non fa che assecondare le inclinazioni, le aspettative e i desideri dei
pazienti, così da riuscire, insieme a loro, a portarli a compimento rendendoli pas-
sibili di variazioni. Il giovane riesce a creare le condizioni ambientali e contestuali
per una realizzazione più piena delle potenzialità degli ospiti della clinica. È come
se si premurasse di “ricordare ai vecchi che hanno ancora molto da dirci”, risve-
gliando in loro un’attività creativa anestetizzata. Così il direttore dell’ospizio, as-
sentatosi per un convegno geriatrico, al suo ritorno si trova di fronte a pazienti di-
versi ed è incapace, sul momento, di affrontare una realtà di certo più mobile e
meno scontata.
A convincerlo definitivamente della positività della nuova situazione e del nuovo
approccio terapeutico sarà il mazzo di margherite che uno degli ospiti gli regalerà
al posto delle solite erbacce che fino ad allora si ostinava a raccogliere, forse per
dispetto o come forma di protesta silenziosa. All’apertura professionale del diret-
tore corrisponderà la soluzione delle sue tensioni sentimentali, sancita dal dono
di quello stesso mazzo di margherite alla sua compagna.

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4. Un documentario per cambiare
i pregiudizi di Anna Contardi, assistente sociale,
coordinatrice dell’Associazione Italiana Persone Down di Roma

Le chiavi in tasca è il primo filmato che abbiamo prodotto nel 1985. Molta gente
non conosce le persone con la sindrome di Down e parlare di loro senza farle
parlare direttamente, a nostro parere, non permetteva di comunicare in modo
adeguato chi fossero, con la loro diversità e la loro molteplicità. In un primo mo-
mento ci rivolgemmo a un regista, Roberto Capanna, che collaborava con noi. Ini-
ziammo con un film in cui volutamente a parlare non erano gli esperti, ma le fa-
miglie e le stesse persone Down. Il film raccontava chi erano le persone Down, in
tutte le loro fasce di età, partendo dalla comunicazione della diagnosi fino agli
adulti lavoratori.
L’informazione è una delle linee guida della nostra associazione: per questo ab-
biamo realizzato una serie di documentari. Uno dei più recenti e significativi è Ra-
gazzi in gamba, un documentario girato nel 1996 per aiutare le persone a essere
autonome, con uno scopo espressamente didattico.

L’affettività per le persone Down


Il documentario che ha rappresentato la più grande sfida è stato A proposito di
sentimenti, girato nel 1999 da Daniele Segre, al quale proponemmo di realizzare
un’opera sull’amore, dal momento che ci sembrava valesse la pena di approfon-
dire questo argomento. Abbiamo avuto la fortuna di riuscire a vendere il soggetto
alla RAI e questo ci ha permesso di ottenere i finanziamenti necessari. Il film
prendeva spunto da alcune storie di coppie che avevano deciso di raccontare la
loro esperienza. Presentammo il film al festival di Venezia, e quindi esso entrò in
un circuito normale, non speciale. Fu trasmesso anche su Rai 3 in seconda sera-
ta e all’estero con sottotitoli, approdando infine a un festival di film d’amore a
Parigi. In Italia è stato utilizzato con le famiglie di persone Down e con un pubbli-
co più ampio, come momento di riflessione sui sentimenti e sulla molteplicità dei
caratteri delle persone Down, in attività di formazione per operatori e con gli stu-
denti delle scuole superiori.
Non si tratta di una fiction né di un classico documentario: è girato con una tecni-
ca cinematografica. Abbiamo costruito un set dove i protagonisti si raccontavano
e le storie erano intervallate da immagini quotidiane; la struttura è dunque filmi-
ca, ma si tratta di un film verità.
In questo caso il soggetto del film è stato scritto direttamente da me. Abbiamo
scelto i temi che volevamo affrontare, ovvero il fidanzamento tra due persone

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[ Cinema ]

Down, la sessualità, la gelosia… Poi il film è stato realizzato con un lavoro di squa-
dra. La nostra tecnica consisteva nel porre ai ragazzi alcune domande e lasciare
che i discorsi cominciassero a svilupparsi senza interruzioni da parte nostra.

Far “vedere” l’autonomia e il lavoro


Nel 2003 abbiamo girato un film dedicato ai temi del lavoro, Lavoratori in corso,
con un altro regista, Cristian Angeli, lo stesso che aveva realizzato Ragazzi in
gamba, il nostro secondo film.
Lavoratori in corso ha una struttura più classica dal momento che si tratta di un
film a episodi, incentrato su persone Down che lavorano o stanno cercando un la-
voro.
Con Daniele Segre, nel 2006, abbiamo girato il nostro ultimo film, Futuro presen-
te, che tratta i temi dell’autonomia e dell’uscita dalla casa dei genitori, raccon-
tando la storia di persone Down di età differenti. Il filmato è stato montato se-
guendo cronologicamente una normale giornata a Roma, dalla mattina alla sera,
in cui incontriamo varie persone Down che fanno cose diverse. L’idea delle storie
è mia, il montaggio è opera di Segre. Abbiamo prima documentato tutto quello
che volevamo raccontare e poi trovato un filo logico che potesse aiutare lo spet-
tatore nella comprensione dei temi.
Come associazione facciamo ampio uso del video amatoriale ma per questi docu-
mentari ci affidiamo a mezzi più professionali dal momento che sono rivolti a un
pubblico più ampio e vogliamo che vengano trasmessi in televisione. Utilizziamo
spesso le immagini, comunque, anche per il lavoro con i ragazzi, le famiglie e gli
educatori all’interno dell’associazione.
Tutti i protagonisti dei nostri film erano ben consapevoli di quello che stavano fa-
cendo dato che non c’era una telecamera nascosta: i patti erano chiari e, ogni
volta che qualche persona Down ha manifestato dei disagi, specifiche parti sono
state eliminate. Per alcuni questa esperienza è stata un’occasione di riflessione,
come nel caso del film A proposito di sentimenti. Abbiamo coinvolto anche prota-
gonisti diversi per ogni film.
Non saprei valutare l’impatto che questi video hanno avuto sul pubblico… Forse
lo si può misurare pensando alla copertura che hanno ottenuto dai mass media
in determinate occasioni, come a Venezia. Questi film, comunque, sono utili per
cambiare una certa mentalità, ma il cambiamento più importante è provocato
dall’incontro diretto.
Prossimamente vorremmo realizzare un film sulla scuola ma non sappiamo quan-
do sarà possibile: non abbiamo ancora un finanziatore e per un film professiona-
le occorrono circa cinquantamila euro.

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Tv, film e disabilità
Fino a 20 anni fa in televisione si parlava di persone con deficit intellettivo sol-
tanto per fatti di cronaca dal risvolto negativo o in termini pietistici; per questo
abbiamo deciso di raccontare in un altro modo la disabilità. In questi ultimi anni,
però, ci sono stati dei cambiamenti: le persone Down sono “passate” in televisio-
ne in modo diverso. Abbiamo iniziato a vederle comparire in film come Johnny
Stecchino, uscito nel 1991, L’Ottavo giorno, che ha vinto la Palma d’oro a Can-
nes nel 1996, e altri ancora (per esempio Ti voglio bene Eugenio); di tutti questi
il più geniale è forse Johnny Stecchino, in cui il disabile diventa un personaggio
fra tanti altri. Negli ultimi anni questo cambiamento è avvenuto anche nei telefilm
nostrani. La presenza di disabili nei film è molto positiva perché consente di di-
mostrare che le persone Down sono persone come le altre.
Per quanto riguarda l’informazione ci sono state esperienze interessanti come la
trasmissione “Racconti di vita”, ma si tratta di esperienze di nicchia. Sull’intratte-
nimento televisivo ci sarebbe molto da dire: sto pensando ai talk show come
quelli di Maurizio Costanzo, ad “Amici”, a “Le Iene”… Da una parte è utile che i
disabili “approdino” in televisione, ma è fondamentale non sostituire vecchi ste-
reotipi con nuovi stereotipi, come spesso avviene nel “Maurizio Costanzo Show”;
altre trasmissioni, come “C’è posta per te”, corrono il rischio della caricatura. Se
una persona Down viene ridicolizzata in una trasmissione questa immagine di-
storta può arrivare agli spettatori. Affinché ciò non accada i curatori dei program-
mi devono imparare a trattare gli adulti da adulti e non da bambini.
Il programma “Le Iene”, invece, ha affrontato il problema in modo corretto.

Associazione Italiana Persone Down (AIPD)


tel. 06/372.39.09
aipd@aipd.it
www.aipd.it

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[ Cinema ]

I video prodotti dall’AIPD


ABD – Associazione Bambini Down
LE CHIAVI IN TASCA
ABD – Associazione Bambini Down, 1985, Roma
Supporto: VHS
Regia: R. Capanna
Durata: 54’

Calignano M.
PASSO DOPO PASSO. CORSO DI EDUCAZIONE ALLE AUTONOMIE DI BASE E MOTORIE
AIPD sezione di Nardò, s.d., Nardò
Supporto: DVD
Ideazione: Maria Teresa Calignano
Produzione: AIPD sezione di Nardò
Durata: 30’

AA.VV.
RAGAZZI IN GAMBA. IL CLUB DEI RAGAZZI DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA
PERSONE DOWN. COME EDUCARE ALL’AUTONOMIA
AIPD Nazionale, 1996, Roma
Supporto: DVD, VHS
Regia: Christian Angeli
Produzione: Associazione Italiana Persone Down
Durata: 38’

Contardi A., Colapinto M., Segre D.


A PROPOSITO DI SENTIMENTI
AIPD Nazionale, 1999, Roma
Supporto: DVD, VHS
Regia: Daniele Segre
Soggetto: Anna Contardi, Michela Colapinto, Daniele Segre
Produzione: RAI; AIPD; Fondazione Verso il Futuro; I Cammelli
Durata: 35’
Disponibile anche con sottotitoli in inglese, francese, spagnolo

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Contardi A., Buzzelli A., Angeli C., Ottaviani L.
LAVORATORI IN CORSO
AIPD Nazionale, 2003, Roma
Supporto: DVD, VHS
Regia: Christian Angeli
Soggetto: Anna Contardi, Alessandra Buzzelli, Christian Angeli e Leo-
nardo Ottaviani
Produzione: Comune di Roma; AIPD
Durata: 28’
Disponibile anche con sottotitoli in inglese e spagnolo

Ferri R., Scala A.


TUTTI I BAMBINI SONO UGUALI, MA TUTTI SONO DIVERSI. STORIE DI INTEGRAZIONE
NELLA SCUOLA DELL’INFANZIA
AIPD sezione di Roma, 2004, Roma
Supporto: DVD, VHS
Ideazione: Rosa Ferri, Anna Scala
Regia: Franco Letti
Produzione: AIPD sezione di Roma; Mercedes Benz s.p.a. di Roma
Durata: 37’

Contardi A.
FUTURO PRESENTE
AIPD Nazionale, 2005, Roma
Supporto: DVD
Soggetto: Anna Contardi
Regia: Daniele Segre
Produzione: Comune di Roma; Associazione Italiana Persone Down
Durata: 50’
Disponibile anche con sottotitoli in inglese

È possibile richiedere i video telefonando allo 06/372.39.09.

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5. Ledha Spot: un concorso


di sceneggiature per spot sociali
a cura di Nicola Rabbi

Intervista a Mirko Locatelli, regista, direttore artistico della mediateca Ledha


di Milano

In che contesto nasce il Ledha Spot festival?


Il Ledha Spot festival è un’iniziativa che la mediateca Ledha ha ideato per coinvol-
gere i giovani nella realizzazione di una campagna di comunicazione sull’inserimen-
to lavorativo delle persone con disabilità. Lo scopo era stimolarli a riflettere su que-
sto tema e aprire questo confronto anche con chi era semplicemente interessato
alla comunicazione e aveva una scarsa conoscenza del mondo della disabilità.
Da quando collaboro con Ledha come direttore artistico della mediateca il mio
obiettivo è appunto quello di avvicinare le persone all’universo dell’handicap uti-
lizzando la grande forza comunicativa delle arti visive: attraverso film, documen-
tari e spot si può veicolare una serie di temi e argomenti che altrimenti molti non
affronterebbero mai.

Quali sono le tue esperienze come regista e perché ti sei dedicato al tema della
disabilità?
Ho cominciato a occuparmi di cinema sette anni fa quando, insieme a mia moglie
Giuditta Tarantelli, ho fondato la casa di produzione Officina Film.
Abbiamo iniziato con piccole produzioni finché, nel 2004, è arrivato il primo film,
Come prima, un mediometraggio di 60 minuti che racconta il ritorno a casa di un
adolescente divenuto tetraplegico in seguito a un incidente in motorino.
L’anno dopo abbiamo prodotto Crisalidi, un documentario che mette a confronto
un gruppo di giovani, disabili e non, su temi come l’adolescenza, la visione di sé
e degli altri, l’importanza del corpo.
Sono partito da questi film perché, essendo anch’io tetraplegico, conoscevo be-
ne l’argomento che stavo trattando. Penso che sia una prerogativa fondamentale
del lavoro che svolgo conoscere ciò di cui si decide di parlare, altrimenti si ri-
schia di rimanere in superficie.

Che cos’è il Ledha Spot festival e come è strutturato?


È un concorso la cui formula è semplice: i partecipanti devono avere meno di
trent’anni e ideare la sceneggiatura di tre spot che sensibilizzino l’opinione pubbli-
ca sul tema dell’inserimento lavorativo delle persone con disabilità. La giuria effet-

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tua la scelta della campagna migliore e vengono realizzati i tre spot del vincitore.

Come è andata la prima edizione?


Alla prima edizione sono arrivati una cinquantina di progetti. Abbiamo premiato
Simone Mignoni, uno studente universitario di 22 anni autore di tre spot molto di-
vertenti, capaci di comunicare efficacemente un messaggio inclusivo sull’inseri-
mento lavorativo delle persone con disabilità.
Non svelerò altro poiché gli spot sono visibili sul sito www.youtube.com/mediate-
caledha.

Perché l’uso del linguaggio pubblicitario e in particolare dello spot video per par-
lare di disabilità?
L’obiettivo della mediateca Ledha è quello di diffondere una serie di iniziative le-
gate alla comunicazione e volte a promuovere l’inclusione sociale delle persone
con disabilità; lo spot pubblicitario ci sembrava uno dei mezzi più efficaci e diretti
per il target al quale facciamo riferimento.

Che progetti avete per il futuro?


Per il 2009 stiamo pensando a un’iniziativa che coinvolga i giovani nelle scuole e
non solo; per festeggiare i trent’anni della Ledha ci occuperemo di diritti utilizzan-
do il linguaggio del cinema e della letteratura.

In base alle tue conoscenze come è stato trattato fino a oggi il tema della disabi-
lità dagli spot pubblicitari?
La pubblicità agisce solitamente su tre fronti. Esistono gli spot che fanno leva sul
sentimento della pietà, e che solitamente servono a chiedere donazioni: pensia-
mo ai primi piani dei bambini africani o alle mani che si stringono con una voce
rassicurante che ci parla sulle immagini al ralenti; poi ci sono quelli con un conte-
nuto provocatorio, che hanno l’obiettivo di far parlare di sé e spesso suscitano
polemiche, ma questo accade raramente in Italia, a parte l’ultima provocazione
di Oliviero Toscani che comunque non era propriamente una campagna per il so-
ciale; infine vengono quelli che sdrammatizzano e lanciano un messaggio facen-
do sorridere, a mio parere i migliori, anche se non sempre adatti per raggiungere
determinati obiettivi.

Per informazioni
tel. 02/657.04.25
www.ledhaspotfestival.it – www.officinafilm.com

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[ Pubblicità / Internet ]

6. “Intrusi? No, semplicemente fuori posto”


di Nicola Rabbi

La prima edizione del Ledha Spot festival ha visto la vittoria della campagna pub-
blicitaria ideata da Simone Mignoni e diretta da Mirko Locatelli. Sul web è possi-
bile trovare i tre spot in questione.
Nel primo si vede un’orchestra in cui dei musicisti sorridenti iniziano ad accorda-
re gli strumenti; la macchina da presa passa infine sul direttore che, mentre si
appresta a dirigere, si blocca stupito guardando intensamente un punto davanti a
sé. Poi la macchina da presa inquadra due persone (una disabile e l’altra no) ve-
stite da cuochi e chiaramente fuori posto. Una voce fuori campo inizia a dire “In-
trusi? No, semplicemente fuori posto. Le capacità di un lavoratore non dipendo-
no dalla sua disabilità, nel posto giusto tutti siamo abili al lavoro. Il lavoro è un
diritto, per tutti”. A metà del testo la scena attorno ai due cuochi scompare e si
trasforma nell’accogliente cucina di un ristorante.
Nel secondo spot l’ambientazione riprende quella della cucina del ristorante, ma
qui le persone fuori posto sono due professionisti in giacca e cravatta muniti di
carte e computer: due persone normodotate che però vengono percepite e si
sentono come inadatte, non abili al luogo in cui si trovano. Anche qui la scena
cambia e i due personaggi si ritrovano in un ufficio consono a loro.
Nell’ultimo video, come in un gioco circolare, sono due musicisti (tra cui una ra-
gazza non vedente) a ritrovarsi fuori posto nell’ufficio in cui lavorano dei sorriden-
ti professionisti; alla fine anche loro si ritroveranno al posto giusto, nell’orchestra
che avevamo già visto nel video iniziale.

7. Vostromondo.it, Internet e disabilità


di Modesto Prosperi (*), psicologo

www.vostromondo.it è probabilmente il primo sito in Italia per giovani con disabi-


lità intellettiva. “L’idea ci è venuta in occasione dell’Anno del disabile 2003”, di-
ce Ferruccio Frigerio, esperto informatico e presidente dell’associazione Servizi
di Volontariato per il Sostegno Sociale (SVSS). Dopo 30 anni di lavoro all’IBM,
con altri ex colleghi ha messo in comune le competenze professionali acquisite
sul campo, realizzando un progetto per aiutare i giovani con difficoltà psichiche a
socializzare.
“Leggendo un giornale avevamo saputo che era stata tentata un’esperienza simile
in Francia: la Fondazione Jérôme Lejeune aveva creato il sito www.planete21.net

21 HP 2008 #3
(il nome richiama la trisomia 21)”, dice Frigerio. “All’inizio pensavamo di tradurre
in italiano i contenuti del sito francese, ma quando siamo andati a Parigi a parla-
re con i responsabili abbiamo deciso diversamente”. Il loro sito ha solo 4 o 5 an-
ni, ma la grafica risulta già un po’ superata, “Così ci siamo messi a inventarne
uno noi”.

Il sito
I giovani che decidono di navigare nel nuovo sito si trovano ad affrontare un viag-
gio virtuale accompagnati da “Pongo”, la simpatica mascotte che invita a prende-
re il treno per uscire dalla città grigia (simbolo della malattia mentale) per entrare
nella valle verde di www.vostromondo.it, lasciandosi alle spalle una galleria che
rappresenta il buio della mente. Il viaggiatore che può entrare e utilizzare il sito
senza ostacoli, grazie anche all’accessibilità certificata, può scegliere in quale
stazione fermarsi: scuola/amici, tempo libero, cinema, teatro, TV, libri, lavoro,
eventi, viaggi e sport.
“Lo scopo del sito” dice ancora Frigerio “è quello di mettere in comunicazione tra
loro i giovani, farli divertire attraverso giochi psico-pedagogici adatti a loro e infor-
marli su fatti di attualità”. Ogni stazione è affidata a un volontario dell’associazio-
ne SVSS, che si preoccupa di tenerla aggiornata con foto e brevi articoli in un lin-
guaggio semplice. “Io per esempio” dice Frigerio “sono un appassionato di mon-
tagna e di pesca e mi occupo della rubrica dedicata allo sport”.
A ogni stazione Pongo annuncia la fermata. Il giovane viaggiatore può scegliere
se giocare o leggere una notizia, ma anche decidere di inviare foto digitali o di
partecipare a un forum. “Ai giovani piace molto scriversi” assicura il presidente
dell’associazione “i messaggi sono tutti filtrati e mandati on line 24 ore dopo per
evitare comunicazioni inadatte”.
In Italia esistono molti siti sulla disabilità, secondo Frigerio, ma sono di servizio,
informano su leggi, regolamenti, indicazioni per richiedere contributi... di conse-
guenza interessano soprattutto i genitori. I destinatari quindi non sono i giovani.
Anche per l’associazione è importante raggiungere la famiglia, ma per aiutare i fi-
gli a navigare e scoprire un mondo nuovo.
Il nuovo sito italiano www.vostromondo.it vuole dunque essere una risposta all’i-
solamento che tanti disabili rischiano di provare quando si ritrovano chiusi tra le
mura domestiche. Comunicare con gli amici e conoscere cose nuove diventa per
loro un’esigenza vitale. “Munirsi di un computer oggi non è un problema, per que-
sto esistono sussidi, il vero ostacolo è la mentalità, e a tal proposito in Italia sia-
mo molto indietro rispetto alla Francia”.
Per questo sito sono stati messi a punto degli accorgimenti per facilitare la co-

HP 2008 #3 22
[ Internet ]

municazione. La visione dei siti esterni è avvenuta con criteri rigorosi e sempli-
cità compatibile con le problematiche degli utenti.

Operare insieme: sinergia tra privato, pubblico e


ricerca
I giovani con disabilità mentali spesso frequentano Centri Diurni, ma soltanto du-
rante il giorno; per il resto del tempo sono a casa, come pure nei weekend. Il pro-
blema di questi giovani, allora, è trovare qualcosa da fare quando sono in fami-
glia. “Questo disagio” racconta Frigerio “è stato ben espresso da un disabile che
per descrivere tutti i giorni della settimana aveva disegnato una serie di casette
bianche ma, quando è arrivato il sabato e la domenica, ha colorato le casette di
nero”.
L’azione di SVSS è proseguita ulteriormente, arrivando fino a una collaborazione
stabile con il Centro Diurno per Disabili Barabino del comune di Milano, presso il
quale è stata allestita un’aula informatica che favorisse l’accesso ai servizi del
sito.
Si è reso necessario l’allestimento di una sala ausili, che ha comportato notevoli
investimenti in termini di risorse umane e finanziarie. Agli investimenti di SVSS,
che ha sostenuto completamente l’allestimento della sala, si sono affiancati gli
interventi di società e aziende del settore quali Software Factory (www.sofware-
factor y.it) per il finanziamento dello sviluppo del sito internet, Andyvision
(www.andyvision.it) per la realizzazione tecnica del sito internet e Atelier 51
(www.atelier51.it) per l’ideazione e la realizzazione grafica.
Il sito è stato progettato in maniera tale da superare gli standard previsti per l’ac-
cessibilità. A tal fine sono stati individuati dei software applicativi specifici per fa-
cilitare l’apprendimento e la riabilitazione. Si fa riferimento per esempio a prodot-
ti che offrono un catalogo di immagini e significati, che possono essere assem-
blati in strisce di comunicazione simili a vignette, che raccontano il pensiero della
persona. Completa la dotazione l’utilizzo di ausili quali la tastiera facilitata con di-
verse opzioni di utilizzo, mouse e trackball, sensori, comunicatore simbolico e la
possibilità di effettuare comandi toccando direttamente il monitor.
Tali ausili si sono dimostrati strumenti efficaci ma non sempre di facile uso.
Un altro aspetto consiste anche nell’attivare la formazione specialistica di tutti gli
operatori coinvolti nel progetto, grazie alla collaborazione con il dott. Guerreschi del
Centro Ausili dell’Istituto di Ricovero e Cura Scientifico “E. Medea”, e alla Direzione
Centrale dei Servizi Socio-Sanitari del Comune di Milano, ora Settore Salute. È sta-
ta svolta una prima fase di formazione finalizzata all’apprendimento delle tecnologie
avanzate per la gestione degli ausili informatici e del relativo approccio educativo.

23 HP 2008 #3
L’esperienza
La collaborazione con i Servizi Socio-Sanitari del comune di Milano è stata avviata
da due anni attraverso una sperimentazione confluita in seguito in un progetto sta-
bile al cui interno è collocata la sala informatica di cui si è riferito in precedenza.
La dottoressa Tina Lomascolo, psicologa del Centro Diurno per Disabili del comu-
ne di Milano, supervisiona l’intervento, dalla valutazione dei soggetti alla realiz-
zazione degli interventi. Coordina l’intervento garantendo i rapporti con le fami-
glie, con l’associazione SVSS e con l’Ente di formazione.
Il progetto si prefigge di ridurre l’isolamento sociale delle persone disabili e delle
loro famiglie, attraverso la creazione di una rete di relazioni tra famiglie di sogget-
ti con disabilità intellettive e relazionali, soggetti disabili e Servizi che si occupa-
no di disabilità. Tale percorso è raggiunto utilizzando innovative tecnologie infor-
matiche per interventi abilitativi-riabilitativi nell’area della comunicazione, della
socializzazione e dell’apprendimento, attraverso una serie di proposte inerenti al-
l’informazione, la comunicazione, il gioco.
L’intervento ha consentito all’équipe di operatori dei Centri Diurni Barabino, Gon-
zaga e Noale di Milano, insieme con un campione di 20 persone con ritardo intel-
lettivo e compromissioni motorie, di acquisire consapevolezza delle proprie espe-
rienze/conoscenze ed elaborare in forma grafico-semantica i loro vissuti, ricorren-
do al computer, agli ausili e a specifici programmi che permettono di mantenere
una modalità “sintattica”, che rispetta i vincoli temporo-spaziali e i nessi causali
della comunicazione.
È chiaro che tutto questo lavoro è un esempio di come una metodologia di ap-
prendimento delle nuove metodiche di lavoro informatiche può produrre un positi-
vo impatto motivazionale, sia sugli utenti sia sulle famiglie.
Il sito www.vostromondo.it e la sala informatica diventano insieme un reale so-
stegno per lo svolgimento di attività educative nel Centro Diurno e per la gestione
del tempo libero dei figli. Inoltre, sia il sito sia la sala si prefiggono di far ricorso
ad ausili e strumenti informatici tecnologicamente avanzati allo scopo di limitare
le conseguenze negative associate alla disabilità. Ed ecco che allora il sito, rag-
giungibile direttamente da un collegamento al desktop, è in grado di coinvolgere
le famiglie in percorsi anche informativi e di sostegno. Questo produce per i sog-
getti disabili seguiti nuove forme d’interazione positiva con l’ambiente e nuove
forme di socializzazione, che favoriscono scelte autonome per raggiungere un
comportamento d’interazione sociale più maturo e un livello più elevato di parte-
cipazione sociale.

HP 2008 #3 24
[ Internet ]

Partecipanti e modalità di lavoro


I destinatari di questo progetto sperimentale sono soggetti con ritardo mentale
medio con accertata intenzionalità comunicativa e compromissioni nell’area della
comunicazione espressiva e dei processi di socializzazione. Fanno parte integran-
te dell’intervento anche le famiglie dei soggetti individuati; si è verificato che an-
ch’esse possiedono una strumentazione informatica adeguata per un collega-
mento alla rete. In tal modo si è garantita la possibilità di promuovere e favorire
processi di generalizzazione delle abilità acquisite.
Sono state attuate sessioni di lavoro quotidiano, con programmi abilitativi d’inse-
gnamento individualizzato, da parte degli operatori dei Centri coinvolti. Gli educa-
tori, grazie al significativo bagaglio professionale, sono riusciti in breve tempo ad
applicare strategie d’insegnamento finalizzate all’apprendimento dell’uso corretto
degli strumenti e ausili tecnologicamente avanzati. Attraverso l’applicazione di
specifiche tecniche di intervento, tra cui prompt e dimostrazioni, con un fading
graduale degli aiuti all’incremento delle abilità di risposta, questi operatori sono
riusciti ad avvicinare al computer e a Internet persone alle quali prima tali stru-
menti erano preclusi.
Gli interventi sono stati rigorosamente individualizzati in funzione delle caratteri-
stiche intellettive, motorie e sensoriali del singolo utente. Ogni risultato è stato
testato attraverso schede di verifica iniziale e finale.
Il sito consente l’utilizzo della posta attraverso un mediatore, come nelle liste di di-
scussione dei forum, che permette alla persona disabile di trovare un interlocutore
valido. Nel sito si possono poi reperire varie stazioni che corrispondono ai seguenti
grandi temi: sport, scuola, amicizia, libri, cinema, teatro, TV, viaggi e tempo libero.
Ogni parte del sito è stata testata per l’accessibilità attraverso Bobby e W3C.

I risultati
L’apprendimento di strategie comunicative, basate prevalentemente su modalità
grafico-simboliche di comunicazione, mediate dall’uso di ausili e supporti tecnolo-
gici, ha permesso ai soggetti seguiti la riduzione dell’isolamento dal contesto.
Gli indicatori dell’efficacia del programma d’intervento sono stati individuati nella
frequenza di comunicazioni adeguate e funzionali tra soggetti disabili, diversi con-
testi di vita degli stessi e servizi. Tale percorso è stato realizzato attraverso l’uso
del sito e l’accesso alla sala.
A lungo termine si prevede un percorso che porti alla costruzione di un’identità
personale e sociale “adulta”, con la possibilità da parte delle persone seguite di
effettuare, comunicandole, scelte autonome, incrementando gradualmente l’indi-
pendenza e la motivazione.

25 HP 2008 #3
L’ausilio di strumenti tecnologici adeguati dovrebbe permettere inoltre il supera-
mento dell’inibizione di competenza data dall’interazione (dipendenza) costante
dei diversi operatori e caregiver.
Afferma la dottoressa Lomascolo: “Dopo due anni di sperimentazione possiamo
confermare l’efficacia del progetto; vediamo realizzati nei nostri interventi notevo-
li progressi e un’alta motivazione degli utenti seguiti. Grazie a adattamenti indivi-
dualizzati consentiti dagli ausili hardware, diversi disabili riescono a utilizzare il
computer e grazie alla formazione si è riusciti anche a adattare strumenti e pro-
grammi standard a usi più specifici e abilitativi”.

Le famiglie
Un genitore ci racconta: “I parenti dei soggetti in carico ai servizi hanno visitato il
Centro e la sala informatica, e soprattutto si sono resi conto di ciò che i loro figli
riescono a fare”.
Dice ancora: “Tutti hanno iniziato utilizzando i giochi; lo scopo, infatti, è quello di im-
parare divertendosi, poi abbiamo puntato al percorso legato alle finalità che aveva-
mo individuato nel nostro progetto: comunicare con gli altri, mettersi in contatto con
i diversi servizi, scrivere e attendere che qualcuno risponda, ma c’è anche la possi-
bilità di ascoltare musica e richiedere le canzoni preferite. Il sito, oltre che per mio
figlio, è un grande aiuto anche per me genitore che ho trovato un appoggio in più”.
Possiamo fare un bilancio affermando che questa esperienza ha permesso d’in-
tervenire fondamentalmente sull’aspetto motivazionale degli utenti ma anche de-
gli operatori, aprendo nuove aree d’intervento. Le risorse offerte dalla collabora-
zione con i parenti degli utenti aggregati in associazioni sono il vero motore inno-
vativo del “fare”, perché creano sinergie e riducono l’isolamento. Il fatto di poter
coinvolgere operatori e ricercatori con questa esperienza in service fra diversi
servizi ha consentito l’avvio di un confronto sull’operatività. Abbiamo constatato
il decremento delle forme di aiuto da parte dell’operatore verso l’utenza, grazie
ai progressi ottenuti dal supporto integrato e alla formazione.
Certo i problemi non mancano, partendo dalla mancanza di ricerca e materiale
pubblicato per arrivare fino alla difficoltà di disporre di fondi per operare in un
settore molto costoso. L’impegno e lo sforzo di aggiornamento richiesti al perso-
nale costituiscono una risorsa ma anche una sfida nel proseguire il cammino. Og-
gi tra le principali difficoltà c’è il bisogno di disporre di schede valutative legate
al percorso dell’utente e il bisogno di un maggior rigore metodologico. La forma-
zione per gli operatori, che deve essere propedeutica a ogni progetto d’interven-
to, deve inoltre rivolgersi anche ai parenti degli utenti in maniera tale da poter
esportare il lavoro anche nell’ambito familiare.

HP 2008 #3 26
[ Giornali ]

Quando abbiamo iniziato non ci aspettavamo di vedere dei progressi veloci, era-
vamo consapevoli che per attivare le abilità cognitive e di autonomia era neces-
sario molto tempo. Per questo siamo rimasti sorpresi dal vedere come l’entusia-
smo provato dagli utenti nel partecipare al progetto potesse tradursi in un moto-
re per l’apprendimento in tempi più brevi.

Chi vuole confrontarsi con questa esperienza può visitare il sito www.vostromon-
do.it.

Per contatti
modesto.prosperi@fastwebnet.it

(*) L’articolo è tratto da “QUID – Quadrimestrale di Informatica e Disabilità”,


n. 2, Parma, Casa Editrice Spaggiari, 2006.

8. “Giallo di sera”, il giornale dei Centri


Socio-Educativi del comune di Milano
a cura di Nicola Rabbi
Intervista ad Alberto Dubini, direttore del Centro Diurno Barabino, e a Federica
Persico e Patrizia Allegri, educatrici e redattrici

Come nasce “Giallo di sera”?


Patrizia: “Giallo di sera” nasce nell’aprile del 1985 come attività di laboratorio di
un centro territoriale riabilitativo (come allora venivano chiamati questi centri); su-
bito dopo è stato coinvolto un altro centro. Nel 1986 l’esperienza redazionale è
stata aperta a tutti i centri di Milano, alcuni hanno aderito e il giornale è decollato.
È nato come un giornalino di 56 pagine in formato A4, ciclostilato, realizzato in
parte all’interno del centro e in parte da uno sponsor; usciva in 5.000 copie e
veniva spedito in tutta Italia.
Intorno agli anni Novanta l’educatore che si era occupato di questo progetto cam-
biò lavoro e lasciò nelle nostre mani questa iniziativa.
Con il tempo sono aumentati i centri che hanno aderito alla redazione del giorna-
lino e abbiamo cambiato anche formato passando all’A3, che ricorda più la for-
ma di un giornale.

Qual è il vostro progetto editoriale oggi?


Federica: Attualmente “Giallo di sera” coinvolge nel lavoro quattordici centri, di

27 HP 2008 #3
cui sei gestiti direttamente dal comune di Milano e altri otto convenzionati con il
privato sociale. Il giornale, per cui lavorano ottanta ragazzi, esce quattro volte al-
l’anno e viene stampato in 1.500 copie; mediamente, di queste, 100 copie ven-
gono spedite in tutta Italia.
Le attività per gestire “Giallo di sera” si possono suddividere in due parti; come
redazione centrale, infatti, da un lato dobbiamo coordinare questi quattordici cen-
tri e dall’altro dobbiamo lavorare anche con i ragazzi del nostro centro.
Come redazione centrale in corrispondenza dell’uscita di ogni numero organizzia-
mo un’assemblea di redazione a cui partecipano tutti i centri coinvolti, sia gli
operatori sia gli utenti. Ogni centro porta il proprio articolo e ogni ragazzo legge
la parte che ha scritto. L’assemblea ha un valore più educativo che operativo per
la costruzione del giornalino, dato che è importante per i ragazzi leggere quello
che hanno scritto. In questo momento, visto il numero delle persone coinvolte,
non si riesce a organizzare più di tanto il contenuto del giornale.
Qui vengono comunque raccolti gli ar ticoli e si costruisce il menabò. Abbiamo
strutturato il giornale in diverse sezioni come la “cronaca interna”, dove sono
raccolti gli articoli scritti all’interno dei centri, e la “cronaca esterna”, per tutti
quegli interventi che riguardano realtà esterne; abbiamo anche uno spazio per le
“interviste”, e così via. Una volta pronto il menabò, diamo tutto il materiale a un
operatore esterno pagato dal comune di Milano che lo impagina con il computer,
per poi mandarlo allo stampatore.
Una volta stampato il giornalino arriva al nostro centro di via Barabino dove, coin-
volgendo anche gli utenti di altri centri, viene fascicolato dai ragazzi e dagli opera-
tori. “Giallo di sera” viene distribuito alla zona di appartenenza del nostro centro
e agli utenti; in parte viene spedito e le copie rimanenti vengono consegnate alla
Circoscrizione. Il giornale viene spedito per lo più ad altri centri diurni o a realtà
editoriali come la nostra, che esistono in varie parti d’Italia. Le copie date alla
Circoscrizione vengono poi distribuite nelle biblioteche, portate ai vigili urbani, al-
le associazioni, al servizio materno infantile e così via. A volte distribuiamo le co-
pie direttamente ai passanti e ai negozianti.
Patrizia: Inizialmente il discorso della distribuzione è stato molto faticoso. Quan-
do portavamo il giornale fuori dal centro ci guardavano in modo strano, la gente
aveva un atteggiamento pietistico e dentro di sé pensava: “Poverini, questi ragaz-
zi, cosa possiamo fare per loro, cosa possiamo offrire?”. Ma adesso non è più
così, l’iniziativa è stata capita, anzi: se la distribuzione è in ritardo ci chiedono
quando arriva il giornalino. Si è infatti costruito un rapporto con la popolazione,
con i negozianti principalmente e anche con gli uffici del comune: questo è un
aspetto molto importante. La distribuzione è un momento molto gratificante per i

HP 2008 #3 28
[ Giornali ]

ragazzi, perché le persone li fermano per strada e chiedono loro quale pagina
hanno scritto, di che cosa hanno parlato e così via.

Come viene scritto il giornale, come vi collaborano gli utenti?


Federica: È l’incontro di redazione la sede in cui tutti esprimono un’idea a propo-
sito degli articoli da scrivere; programmiamo spesso interviste a persone esterne
come i vigili del fuoco, i negozianti, i semplici passanti… Inizialmente il primo
contatto con queste realtà è telefonico, li avvisiamo prima e il più delle volte ve-
niamo ben accolti.
Un altro momento fondamentale è quello della rielaborazione, in cui i ragazzi scri-
vono quello che hanno vissuto. È un momento molto delicato, che dipende dalle
capacità dei singoli ragazzi; noi dobbiamo mettere insieme tutte queste situazioni,
rielaborarle e far sì che ne esca un articolo che rappresenti adeguatamente i ra-
gazzi, dato che si capisce benissimo se un articolo viene “aggiustato” da un ope-
ratore. Poi i ragazzi sono bravissimi a trovare nuove parole, per esempio lo stesso
nome del giornale deriva da un lapsus di un ragazzo che invece del noto proverbio
“Rosso di sera bel tempo si spera” ha detto “Giallo di sera bel tempo si spera”.

Qual è il significato di un giornale come questo? È più uno strumento interno indi-
rizzato all’utenza o ha anche una sua funzione verso l’esterno, come momento in
cui i centri socio-educativi si raccontano?
Alberto: Tutto viene fatto in funzione di una migliore condizione di vita sociale de-
gli utenti; questo è un lavoro altamente socializzante dato che è un lavoro di
gruppo in cui il disabile partecipa alla redazione, all’impaginazione, alla diffusio-
ne del giornale. Quando i ragazzi escono con gli educatori per loro è una gioia
perché viene riconosciuto il loro lavoro, si sentono riconosciuti attraverso un pro-
dotto che hanno realizzato.
Ma attraverso questa iniziativa si fa anche conoscere agli altri il lavoro dei centri
socio-educativi; questo serve alle persone per rendersi conto che anche un disa-
bile può essere un giornalista. La prima volta che ho portato a casa mia un nu-
mero di “Giallo di sera” i miei figli hanno detto: “Ah, fanno anche un giornalino”;
questa constatazione mi è servita per capire l’importanza di questo prodotto edi-
toriale. In questo modo la gente si rende conto di ciò che un disabile può fare e
comunicare.
Patrizia: Per me ha un grande valore di comunicazione esterna; la disabilità non
viene vista come qualcosa di chiuso o una realtà difficile da affrontare ma quasi
come una sorta di normalità. Questo giornale serve anche a far arrivare all’ester-
no le attività dei centri dato che questi articoli parlano di noi, di quello che faccia-

29 HP 2008 #3
mo. Addirittura, da qualche anno, nell’ultima pagina del giornale c’è un piccolo
spazio in cui il nostro direttore scrive un articolo su una serie di realtà che il co-
mune di Milano promuove: uno spazio per dare delle notizie, insomma.
Alberto: Nel giornale si è anche pensato di creare uno spazio, riservato alla dire-
zione centrale, dove si parla di tutte le iniziative che il comune organizza per i
centri per i disabili. In questo modo i servizi possono comunicare con le famiglie
dei disabili e anche con le altre realtà territoriali.

Come partecipa alla costruzione del giornale il privato sociale?


Patrizia: La maggior parte dei centri partecipanti è gestita da cooperative che la-
vorano in convenzione con il comune.
Alberto: Il privato sociale è soddisfatto di questa iniziativa che è sostenuta eco-
nomicamente dal comune; solo per la tipografia spendiamo 6.816 euro all’anno,
poi ci sono le altre spese di spedizione. Noi al privato sociale non chiediamo nul-
la, è un servizio che offre il comune.

Per il futuro intendete apportare dei cambiamenti al progetto editoriale?


Federica: “Giallo di sera” è una iniziativa sempre in movimento; la novità di que-
st’anno è stata l’aggiunta di due pagine (siamo passati da dodici a quattordici)
per permettere ad altri centri di partecipare con materiale da pubblicare. Inten-
diamo allargare sempre di più la redazione e vogliamo pubblicare anche degli
speciali con una tiratura limitata (fotocopiati da noi): quest’anno ne abbiamo già
realizzati due, uno dedicato alle attività svolte sui computer all’interno del nostro
centro e uno dedicato al torneo di calcio.

Per informazioni
Centro Diurno Disabili Barabino
Via Barabino 4 - Milano
Tel. 02/539.53.60

HP 2008 #3 30
[ Giornali ]

9. Il lavoro raccontato dai “giornalini”


dei centri diurni di Nicola Rabbi (*)
Sfogliandoli distrattamente possono sembrare dei “giornalini” semplici e con po-
che pretese, ma attenzione, dietro queste pagine a volte strampalate e ricche di
immagini si celano storie di persone e di rapporti, progetti di lavoro, montagne di
emozioni che interi libri “scientifici” non riuscirebbero a descrivere adeguatamen-
te. Ne parliamo con Andrea Canevaro, del Dipartimento di Scienze dell’Educazio-
ne dell’Università di Bologna.

Sono ormai diverse le esperienze di piccole riviste, “giornalini” che vengono com-
posti all’interno dei centri per disabili, esperienze che si possono incontrare in
varie parti d’Italia: ma qual è il loro valore educativo?
II maggior valore credo sia quello che riguarda la memoria; ci sono spesso tenden-
ze a “ridurre” chi ha un deficit molto grave, ridurlo a una persona che ha giornate
sempre uguali, che fa le stesse cose; in questo siamo aiutati anche da una lettera-
tura scientifica che ci racconta che la persona con una grave disabilità mentale ha
una “viscosità”, una ripetitività, ha bisogno di fare le stesse cose. Io penso che ab-
bia bisogno come tutti di avere delle sicurezze, quindi c’è del vero in quello che si
dice, però è anche vero che ha una vita con una dinamica e questa dinamica biso-
gna saperla leggere, non dimenticarla; i giornalini possono essere uno strumento
utile per mantenere un’attenzione a un qualcosa che può essere raccontato. La ri-
petitività fa sì che gli operatori che lavorano all’interno di un centro pensino di non
avere niente da raccontare agli altri, mentre il giornale è fatto anche per gli altri. Al-
lora farlo può diventare un impegno con se stessi a scoprire quello che può essere
raccontato agli altri e che non è la fotocopia della stessa giornata per 365 giorni
all’anno.

Queste esperienze hanno un valore molteplice; da una parte hanno un significato


interno, nel rapporto tra operatore e utente, dall’altra hanno anche un valore ester-
no, nel rapporto tra il centro riabilitativo e l’Asl e il territorio che lo circonda; infine
possono avere un valore anche tra i diversi centri e servire come collegamento.
Sì, hanno un intreccio di diversi valori; specialmente alcuni “giornalini”, quando
sono fatti con cura, servono come mediatori di rapporti, come possibilità che il
rapporto non si esaurisca nell’assistenzialismo; lasciando una “traccia” e aven-
do una funzione di mediazione le riviste possono essere molto significative pro-
prio per la qualità della relazione tra operatori e utenti, volendo proprio usare
questi termini così burocratici.

31 HP 2008 #3
Attraverso i giornali c’è inoltre una definizione progressiva, aperta e non imbalsama-
ta dell’identità di un centro. Ecco un’altra utilità, quella di pensare la propria iden-
tità in rapporto a quella degli altri centri, ognuno dei quali ha una propria identità.
Fare una rivista per un centro significa allora scoprire la propria identità, mettere
in luce le proprie valenze culturali e operative. Ci sono centri che sono legati per
la loro storia al cinema, alla scrittura o al teatro, tutte caratteristiche che si ri-
scontrano poi nei “giornalini”. Ricordo il caso di un “utente” del Centro Galassia
di Lugo di Romagna che da anni s’interessa alla scrittura; ora è possibile che
non sia immediatamente una scrittura maggiorenne per un’editoria da grande
pubblico, ma potrebbe essere molto importante per un “giornalino”, se questo
non è riduttivo e non diventa uno strumento da dopolavoro ferroviario, ma diviene
un biglietto da visita, una sorta di carta d’identità che è sempre in fieri. Potrebbe
essere giusto allora che ci siano delle vite da raccontare, in modi diversi, attra-
verso la poesia, la fotografia...
I “giornalini” servono proprio per scoprire la propria identità e metterla in contat-
to con l’identità degli altri centri e per costruire poi una rete che permetta delle
valorizzazioni reciproche.

Come si presentano, come si strutturano queste esperienze? Hai in mente qual-


che caso particolare?
L’esperienza che conosco meglio è quella di Ravenna; la rivista “Percorsi” ha
proprio questa funzione di collegare le diverse identità.
Fatto con mezzi modesti, il “giornalino” esiste ormai da una decina di anni e con
il tempo si è affinato, coniugando le esigenze interne con dei fini più alti. “Percor-
si” ha cercato di dare dei contributi di grande serietà, evitando di essere noiosa,
di avere un tono dimesso, per farsi leggere da un numero maggiore di persone.
Prima ho parlato di giornalini da dopolavoro ferroviario, anche con un tono di sim-
patia, perché hanno il difetto di non raggiungere il lettore esterno, ma hanno un
senso più di informazione interna; è proprio ciò che le esperienze di cui stiamo
trattando devono evitare. Vorrei ricordare che questi “giornalini” non sono un pa-
trimonio solo del nord Italia, in quanto ricevo continuamente nuove riviste e alcu-
ne di queste provengono dal sud.

Sei a conoscenza di esperienze analoghe all’estero?


Sì, ho visto pubblicazioni simili in Francia, nella Svizzera francofona, in Belgio, nel
Canada.

HP 2008 #3 32
[ Comunicazione sociale ]

Quali sbocchi possono avere queste riviste, come si possono sviluppare per
diffondersi meglio o diventare più incisive?
Per rispondere a questa domanda bisogna parlare anche dei Centri di documen-
tazione, perché questi materiali sono sicuramente dei materiali fragili che vanno
persi, si buttano via.
La funzione maggiore la dovrebbero avere i Centri di documentazione che non so-
no inerti ma che dovrebbero essere attivi, salvando il materiale prodotto e ren-
dendolo anche consultabile. Poi dovrebbero consentire che qualcuno ogni tanto
ci mettesse mano per riorganizzarlo; sarebbe interessante fare delle antologie o
delle comparazioni antologiche, mettere insieme il meglio di quanto è stato pro-
dotto. E per non renderli deperibili occorre trasformarli; ad esempio con alcuni
numeri di “Percorsi” abbiamo fatto un libro.

(*) Ripubblichiamo questo articolo ancora attuale apparso sulla rivista “HP-Acca-
parlante” n. 17 del 1993, facente parte della monografia Stampati in fronte (repe-
ribile su Internet a questo indirizzo www.mangoni.net/cdh-bo/informazione/hp/ar-
chivio/libro.asp?ID=444) dedicata ai “giornalini” dei centri diurni.

10. Il Festival delle Abilità Differenti


di Carpi di Nicola Rabbi (*)
Il testo seguente vuole analizzare il lavoro di comunicazione svolto dalla coopera-
tiva Nazareno in occasione del Festival Internazionale delle Abilità Differenti (edi-
zione del 2006) che si tiene ogni anno a Carpi; il festival consiste in una serie di
eventi artistico-culturali che si susseguono per sei giorni. Ci vogliamo occupare
solo della comunicazione esterna rivolta ai mass media e analizzeremo il caso
concreto, cioè come il gruppo si è organizzato per comunicare l’evento e i risulta-
ti raggiunti.

Descrizione dell’evento
Il Festival Internazionale delle Abilità Differenti è un evento annuale ideato dalla
cooperativa Nazareno fin dal 1992 (anche se la numerazione del festival viene
fatta a partire dall’edizione del 1999). Il tema dell’evento, che dura sei giorni,
cambia ogni anno e nelle ultime edizioni ha riguardato la relazione, la bellezza, la
dipendenza, la libertà. Ma al di là dell’argomento prescelto i vari festival sono ac-
comunati da un unico strumento: l’espressione artistica, declinata nei suoi più
diversi generi (musica, teatro, cinema, pittura, ecc.). È attraverso l’espressione

33 HP 2008 #3
artistica di persone disabili (ma non solo) che l’argomento annuale viene trattato
in una serie di eventi e incontri pubblici.
Il festival da una dimensione ristretta si è via via sviluppato nel corso degli anni,
coinvolgendo sempre più artisti e spettatori. Dall’edizione del 1995 si introduce la
novità dell’ospite famoso, che dopo quella edizione sarà sempre presente (anzi, a
volte non sarà uno solo). Un ulteriore passo in avanti avverrà dopo l’edizione del
2003, con una professionalizzazione più accentuata del gruppo che se ne occupa.
In queste pagine faremo considerazioni solo sull’evento del 2006 (visto che ab-
biamo tutti i dati necessari), intitolato “Cara beltà”, caso comunque significativo
se si considerano la complessità e i buoni risultati riscontrati in quella edizione.
L’evento è durato dal 10 al 15 maggio 2006 per un totale di sei giorni in cui si
sono succeduti la proiezione di un film (e l’incontro con il regista e l’attrice princi-
pale), quattro spettacoli teatrali, due convegni, una presentazione di un libro con
l’autore, due eventi musicali, due workshop. I personaggi famosi intervenuti a va-
rio titolo sono stati Gene Gnocchi, Milva, Teresa De Sio e Candido Cannavò. Com-
plessivamente gli spettatori intervenuti in questa edizione sono stati 4.000.

Le risorse destinate dall’organizzazione all’ufficio


stampa
Per l’organizzazione dell’evento “Cara beltà” sono stati stanziati dalla cooperati-
va circa 170.000 euro; di queste risorse una parte è stata destinata alle perso-
ne che si sono occupate della comunicazione esterna.
All’interno del gruppo esiste un responsabile di ufficio stampa che viene coadiu-
vato da un’altra persona; in sostanza sono solo due le persone che se ne occu-
pano. Sia la responsabile sia la sua collaboratrice provengono dall’interno della
cooperativa; la responsabile è un’educatrice che durante tutto l’anno fa quel la-
voro e diventa un’addetta stampa solo part-time. Negli anni passati ci si è rivolti
anche a un giornalista esterno per realizzare questo lavoro, ma i risultati non so-
no stati soddisfacenti (a detta dei responsabili).
Dalle interviste realizzate all’interno della cooperativa appare chiaro come l’ap-
partenenza al gruppo e la condivisione dei suoi valori siano elementi importanti e
in definitiva, a detta dei responsabili della cooperativa, questa “appartenenza” fa
sì che la comunicazione sia appropriata e vincente.
Quando viene chiesto loro se sentono la necessità di nominare appositamente una
persona per rivestire questo ruolo, i responsabili, ma anche la diretta interessata,
concordano nel dire che dal punto di vista economico la spesa non è sostenibile e
preferiscono dedicare queste risorse a iniziative diverse (“La costruzione di un nuo-
vo centro diurno… Anche se in prospettiva sarebbe bello un giorno poterlo fare”).

HP 2008 #3 34
[ Comunicazione sociale ]

Alla fine di ogni evento si propone l’idea per quello dell’anno successivo e si co-
mincia a incontrarsi settimanalmente già da luglio. Da dicembre gli incontri si in-
fittiscono e due mesi prima del festival due persone si dedicano a tempo pieno
all’organizzazione dell’evento (ne vengono coinvolte altre, che però se ne occupa-
no solo part-time).

Il problema della formazione


Nella cooperativa non si pone il problema della formazione adeguata per un ad-
detto alla comunicazione verso i media; l’addetto stampa impara facendo. Nel
nostro caso l’addetto stampa non ha seguito corsi di formazione e non gli si è
dato un tempo per l’autoformazione, ma ha iniziato il suo lavoro semplicemente
attraverso un passaggio di consegne con chi l’ha preceduto. Questo non deve
stupire più di tanto visto che la comunicazione efficace viene considerata, all’in-
terno del gruppo, solo quella comunicazione fatta da persone che condividono i
valori e hanno una medesima identità culturale e azione sociale. Questa vicinan-
za di valori (“del sentire”) fa sì che il lavoro di addetto stampa sia svolto con pre-
cisione, determinazione e attenzione nella trasmissione del contenuto che si vuo-
le proporre. Se chi comunica è convinto del messaggio di cui è portatore, se ne è
addirittura entusiasta, questo fa sì che il suo compito sia svolto bene: in queste
poche parole potrebbe essere riassunta l’idea fondamentale di comunicazione
presente all’interno della cooperativa.

Gli strumenti e i metodi di lavoro utilizzati


Gli strumenti utilizzati da chi comunica sono principalmente il comunicato stampa
e la conferenza stampa.
Nel caso del festival viene inviato un comunicato stampa a più riprese agli indiriz-
zari di giornalisti; questi indirizzari sono contenuti in fogli di excel divisi per tipo di
mass media (giornali/periodici, radio/televisioni, siti internet). Il contatto con il
giornalista è personale, nel senso che non si manda un’e-mail in redazione ma si
cerca sempre di stabilire un rapporto con un giornalista in particolare, telefonan-
do più volte (“Anche dieci finché non si riesce ad avere una conferma”). Questa
vicinanza, questo contatto con il giornalista sembra essere un risultato molto im-
portante in questo lavoro visto che, come si dirà in seguito, “Gli articoli migliori
sono scritti da chi partecipa direttamente all’evento”.
Si tengono due conferenze stampa: la prima a Roma, in una sala stampa a Mon-
tecitorio dove viene fatta la presentazione dell’evento, la seconda a Carpi: si trat-
ta di un aperitivo con gli artisti che intervengono alla manifestazione, che rappre-
senta anche una buona occasione di intervista per i giornalisti.

35 HP 2008 #3
Sempre con collaborazioni interne e/o con persone vicine alla cooperativa vengo-
no preparati due spot, uno televisivo e l’altro radiofonico, da proporre capillar-
mente a radio e televisioni.
Per promuovere l’evento, inoltre, si stampano anche 5.000 brochure e 15-
20.000 depliant; le prime vengono spedite, i secondi sono invece distribuiti a
mano da operatori, volontari, amici. Se il depliant consiste in un pieghevole a tre
ante in cui vengono riportate indicazioni precise sugli eventi, la brochure invece è
una pubblicazione di una ventina di pagine a colori che contiene schede di pre-
sentazione degli artisti, dei gruppi teatrali, degli eventi e dei film in programma.

Risultati quantitativi di diffusione nei media


Per quanto riguarda questo aspetto la valutazione è stata abbastanza semplice
in quanto l’ufficio stampa della cooperativa ha condotto un’accurata rassegna
stampa di tutti i mezzi di informazione sui quali è apparsa notizia dell’evento.
Da questo materiale risulta che hanno dato l’informazione:
• otto televisioni di cui quattro televisioni regionali, una nazionale e tre satellitari.
In particolare segnaliamo il servizio apparso su Rai2 nella rubrica “Costume e
società” del 5 giugno;
• quattro radio di cui una nazionale (Rai1 nel programma “Diversi da chi?” del 13
maggio) e tre regionali;
• nove agenzie di stampa;
• tre quotidiani nazionali (“Avvenire”, “Il Resto del Carlino”, “L’Unità”);
• due quotidiani locali (“Il Resto del Carlino” nelle varie edizioni locali, “La Gaz-
zetta”);
• sette settimanali (tra cui l’inserto Salute de “la Repubblica”);
• quattordici periodici specializzati;
• settantaquattro siti internet.

Inoltre la cooperativa aveva prodotto anche uno spot promozionale televisivo ap-
parso su sedici televisioni locali e uno spot radiofonico andato in onda su diciotto
radio (nazionali, regionali, locali).
Considerato lo spazio ridotto che i mass media dedicano alle notizie sul sociale e
considerato che non si tratta di una notizia di cronaca nera o di un’emergenza
(casi in cui la notizia sul tema della disabilità ha più probabilità di passare), i ri-
sultati sopra riportati sono senza dubbio notevoli.

HP 2008 #3 36
[ Comunicazione sociale ]

Qualità del materiale pubblicato sui media e rispon-


denza al proprio messaggio
Un altro indicatore che possiamo utilizzare per valutare il rapporto creato dall’uf-
ficio stampa con i mass media è il contenuto degli articoli che sono stati poi ef-
fettivamente pubblicati. Il riscontro quantitativo di cui abbiamo parlato nel para-
grafo precedente è importante ma da solo non basta: occorre vedere più da vici-
no se il contenuto del messaggio che si voleva comunicare è stato rispettato.
Per farlo ci limitiamo a un campo piccolo ma significativo; prenderemo in esame
tutti gli articoli pubblicati sui quotidiani nazionali e ne vedremo il taglio (la posi-
zione avuta nel giornale), il titolo e il contenuto.
L’edizione del 2006 “Cara beltà” era dedicata alla bellezza e il messaggio ultimo
che voleva comunicare era questo: la cultura contemporanea riduce il concetto di
bellezza a degli stereotipi (l’attrice, l’attore, la forza, la prestanza fisica in genera-
le), quando invece la bellezza è qualcosa di più ed è direttamente collegata con
l’amore; se c’è “una disponibilità a vedere” questa bellezza si può anche cercare
di raggiungerla e l’arte offre la possibilità di farlo. Gli artisti disabili che parteci-
pano all’evento ne sono una prova tangibile.
Un messaggio complesso, difficile da comunicare: ci si può aspettare, al massi-
mo, che trapeli dietro alla notizia degli eventi susseguitisi in quelle giornate.
Il primo articolo, intitolato Disabili, Festival alla ricerca del bello, appare su “Avve-
nire” a p. 11 il 3 maggio; si tratta di un testo di poche battute dove sia il titolo
sia il corpo del messaggio riescono a far passare il messaggio fondamentale ol-
tre alle indicazioni degli eventi in sé.
Vi faremo divertire e pensare: va in scena il Festival dei disabili, questo il titolo
della segnalazione apparsa sul “Corriere della Sera” a p. 21 il 3 maggio; quel
“Festival dei disabili” rende il titolo sicuramente poco felice e nel testo il mes-
saggio base scompare. Oltre alle informazioni di servizio rimane il binomio ar-
te/disabilità, dove la prima è vissuta anche come forma di terapia.
Su “Avvenire” del 13 maggio (pp. 12-13) compare invece un servizio dettagliato
(titolo: Quando la disabilità diventa una vittoria), che racconta varie storie positive
di artisti disabili presenti al festival. Anche nel secondo articolo pubblicato sul
giornale si punta sull’idea che la disabilità non significa negazione della vita e
della possibilità di essere felici.
“Il Resto del Carlino” invece parla, nel servizio apparso il 13 maggio alle pp. 32-
33, soprattutto di una storia, esprimendo un concetto già presente nel titolo
(L’arte che aiuta a ritrovare la vita).
“Avvenire” torna a parlare del festival il 14 maggio (p. 14, Quelle riserve di ener-
gia strappate all’invalidità), presentando due storie.

37 HP 2008 #3
Infine “L’Unità” il 16 maggio a p. 18 pubblica “Disabile” e arruolato, ma sul pal-
co, un articolo in cui si sottolinea il fatto che gli spettacoli sono di buon livello e
che la disabilità può essere una risorsa.
Come si vede da questa sommaria descrizione, il messaggio di base è riuscito a
passare; gli articoli non cadono mai in uno stile pietistico (come avviene spesso
in casi come questo), solo a volte si indugia in toni troppo ottimistici e si ricorre
spesso all’uso di storie significative (che è un criterio di notiziabilità tra i più im-
portanti per chi fa il giornalista).
Per spiegare questi risultati è significativo riportare l’atteggiamento che si adotta
nei confronti dei giornalisti: “Cerchiamo di avere un rapporto diretto”, dice Sergio
Zini, presidente della cooperativa. “Quello che comunichiamo non è sempre sem-
plice e per tentare di far accogliere questo messaggio cerchiamo di far capire lo-
ro quello che stiamo facendo”. Conoscenza diretta, rapporto personale, condivi-
sione di idee e anche “del sentire”, laddove il giornalista risulta disponibile, sono
alla base di questa comunicazione efficace supportata dall’entusiasmo di chi la
promuove.

Elementi di criticità
Il bilancio di un’iniziativa di comunicazione come questa non può che essere po-
sitivo; i risultati, qualitativi e quantitativi, sono innegabili, ma si possono comun-
que indicare punti deboli su cui riflettere in vista di un ampliamento dell’evento.
La decisione di utilizzare del personale interno e di non affidare a un’agenzia la
promozione dell’evento verso i media si è dimostrata in questo caso utile (vista
la forte motivazione del gruppo), ma la scelta di attivare una figura di addetto
stampa solo in previsione del festival può essere riduttiva. Avere a disposizione
una figura professionale di questo tipo aiuta a migliorare costantemente la qua-
lità del festival e serve anche alla cooperativa per gestire i suoi rapporti con l’e-
sterno (anche con le istituzioni); i compiti dell’addetto stampa in questo caso
non si limitano all’evento ma riguardano tutto ciò che concerne l’attività della
cooperativa durante l’anno. Una figura di questo tipo aiuta a migliorare anche la
comunicazione all’interno del gruppo con i soci lavoratori e non, i volontari e gli
utenti, attraverso la creazione di strumenti di comunicazione come house organ,
bollettini telematici, ecc.
Un altro aspetto che potrebbe essere migliorato è il sito (www.nazareno-coopso-
ciale.it), al cui interno troviamo anche la sezione dedicata al festival. Una docu-
mentazione più approfondita di quanto si è fatto potrebbe servire a più scopi. Per
esempio, se oltre alla locandina del festival e ai comunicati stampa fosse dispo-
nibile materiale audio o video relativo ai vari eventi, questo materiale potrebbe

HP 2008 #3 38
[ Comunicazione sociale ]

servire ad altre persone oppure essere trattato o riprodotto in altri contesti (tele-
visioni, radio, eventi teatrali analoghi, ecc.).
Infine, un’ultima considerazione: abbiamo visto in diversi punti di questo scritto
come la condivisione dei valori, il sentire comune, l’entusiasmo per quello che si
fa costituiscano la base dell’azione comunicativa (e sicuramente di tutto l’opera-
to della cooperativa), ma se questo stato di cose entrasse in crisi o fosse solo
momentaneamente in difficoltà, quali sarebbero le conseguenze sulla comunica-
zione? In questo caso una figura professionale specifica potrebbe essere una ga-
ranzia in più.

(*) L’articolo, qui in parte modificato, è apparso su AA.VV., Generare mondo. Il


progetto Quality Time: azioni per lo sviluppo dell’impresa sociale, Milano, Fran-
coAngeli, 2008.

11. Terzo settore e comunicazione, ovvero:


qual è il sociale della comunicazione?
di Sandro Stanzani,
docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università
di Verona

Premessa
Da circa un decennio a questa parte il tema della comunicazione ha conosciuto
un più acceso interesse da parte delle scienze sociali e dell’opinione pubblica,
tant’è che si connota la società contemporanea come società della comunicazio-
ne, mentre le scienze psicologiche, quelle economiche e quelle politiche rifletto-
no sulle ricadute che la comunicazione ha sul benessere soggettivo, così come
sul successo politico dei leader o sul risultato economico-organizzativo delle im-
prese. In un tale panorama, anche un altro fenomeno sociale, oggetto di partico-
lari attenzioni nel corso degli anni Ottanta e Novanta e giudicato da scienziati, po-
litici e operatori depositario di importanti capacità innovative, non poteva non fa-
re i conti con il tema “gemello” della comunicazione. Ci riferiamo al caso del ter-
zo settore che, guadagnando consensi e interesse da parte di molti attori sociali,
ha visto gli studiosi di comunicazione e di marketing interessarsi al fenomeno e
utilizzare gli strumenti concettuali elaborati dai communication studies con l’in-
tenzione di promuovere l’emergenza del nuovo settore sociale. Agli occhi di un
osservatore “esterno” una tale operazione è parsa, in alcuni casi, fuorviante,
perché gli schemi teorici adottati sono stati ottenuti attraverso la ricerca sui pro-

39 HP 2008 #3
cessi comunicativi e organizzativi generati e sviluppati nell’ambito delle organiz-
zazioni for profit e poi, in un certo senso, “appiccicati sopra” le dinamiche comu-
nicative del terzo settore. Ritorna alla mente il titolo di un vecchio libro: Teoria
della società o tecnologia sociale?, attraverso il quale uno degli autori (Jurgen
Habermas) attirava l’attenzione sul rischio che corrono le scienze sociali di appli-
care i risultati delle loro ricerche alla sfera sociale producendo delle tecnologie
che non si interrogano sulle conseguenze inerenti le relazioni umane. Con questo
articolo intendo “scongiurare” il rischio di un tale isomorfismo comunicativo tra i
vari settori della società (Stato, mercato e privato sociale) e contribuire alla rifles-
sione sulla specificità comunicativa del terzo settore.

Tra tanti tipi di comunicazione alla ricerca del


“sociale” della comunicazione
Il pensiero riflesso dell’umanità si è da sempre soffermato sul tema della comu-
nicazione, fornendo una serie notevole di prospettive d’osservazione. Certamen-
te il risultato più eclatante del pensiero riflesso sulla comunicazione è stato l’in-
venzione della comunicazione mediata, realizzata principalmente con l’invenzione
della scrittura e raffinata poi attraverso l’uso della stampa e dei mezzi di comuni-
cazione di massa. L’effetto è stato ovviamente quello di moltiplicare le possibi-
lità comunicative dell’umanità, cosicché oggi ci troviamo di fronte a innumerevoli
tipi di comunicazione, che gli stessi communication studies faticano a codificare
e a interpretare.
Tuttavia, pur nella molteplicità e nella complessità delle dinamiche di sviluppo
della comunicazione mediata, sembra di poter rintracciare una sorta di sottofon-
do comune che funge da motore dei processi: si tratta dell’autonomizzazione de-
gli attori della comunicazione e della comunicazione stessa. Oggi, quando si par-
la di “società in rete” o di “società della comunicazione”, di “società della men-
te”, di “intelligenza collettiva”, di “identità virtuali” e di “esseri digitali”, si pensa
a una società nella quale vi sono sempre più comunicazioni mediate che si auto-
nomizzano dalle relazioni e dai legami sociali della vita quotidiana, così come dal-
le istituzioni sociali e culturali. Uno degli esempi più eclatanti di autonomizzazio-
ne delle comunicazioni dalle relazioni e dai legami sociali è certamente Second li-
fe, un originale gioco in 3D nel quale, in virtù del sistema di comunicazione forte-
mente autonomo che è la rete, i partecipanti (al momento si parla di sei milioni
di giocatori) assumono un’identità virtuale, divengono degli “esseri digitali” con
una vita propria (una seconda vita, liberata da vincoli materiali, relazionali, istitu-
zionali, culturali, ecc.) in un “metamondo”. Ma anche forme più “normali” di co-
municazione tramite internet presentano forti tratti di autonomia dai legami so-

HP 2008 #3 40
[ Comunicazione sociale ]

ciali, culturali, morali e giuridici: si pensi alle chat line, ad altri giochi interattivi e
alle molteplici ribalte per la presentazione (e talvolta per la creazione) del Self
tramite testi e filmati, per esempio attraverso i blog o altro, che consentono la
realizzazione di molteplici incontri casuali nella vita quotidiana mediata. Si tratta
di altrettante occasioni che favoriscono un aumento delle possibilità di comunica-
zione, rendendo queste ultime sempre più numerose, fluide, flessibili e probabili.
Il grande progresso della comunicazione mediata ha reso più indipendenti l’emit-
tente, il ricevente e lo stesso messaggio coinvolti nel processo di comunicazione.
Nella comunicazione mediata non è possibile reperire le informazioni emergenti
dall’interazione faccia a faccia, il tutto avviene nel messaggio enunciato, tutte le
informazioni si riassumono in tale messaggio, che acquista così una certa auto-
sufficienza e autoreferenzialità, divenendo tuttavia il veicolo attraverso il quale
sono simbolizzati e rappresentati i simulacri dell’emittente e del ricevente, per
questo presenti nel processo comunicativo solo come simulacri, e non come sog-
getti in interazione. Un tale processo di autonomizzazione delle dinamiche della
comunicazione ha consentito il moltiplicarsi delle possibilità di comunicazione,
generando molte più possibilità di esperienza, di azione e di relazione sociale dal-
le quali tutti noi oggi traiamo vantaggio. Tuttavia ha, in un certo modo, trascurato
gli aspetti di reciprocità e di legame sociale che, come sanno i sociologi dalle ori-
gini della disciplina (si vedano, per esempio, i lavori di Weber e Simmel), sono im-
pliciti nelle relazioni sociali. Una tale trascuratezza degli aspetti di reciprocità del-
la relazione è talvolta foriera di problemi, di effetti negativi e perversi per la vita
umana in società. Quando le scienze sociali e della comunicazione affermano
che “occorre comunicare per esistere” o che “le cose non comunicate non esi-
stono”, condannano chi comunica, e le cose che comunica, a un sottofondo ni-
chilista o, nel migliore dei casi, a un’originaria condizione di isolamento. Estre-
mizzando, sembra di poter dire che, dal punto di vista della società, oggetti e
soggetti sociali si trovano privati della loro esistenza e possono essere portati al-
la luce solo dalla potenza creatrice della comunicazione.

Il processo di autonomizzazione della comunicazione (dai vincoli delle sfere so-


cio-culturali esterne al sistema dei media, così come l’autonomizzazione dei sin-
goli attori della comunicazione: emittente, ricevente, astanti, ecc.) è stato accom-
pagnato da quello della sua differenziazione. Non si tratta solo della differenzia-
zione tra interazione faccia a faccia, interazione mediata e comunicazione di mas-
sa, ma anche della differenziazione interna ai processi della comunicazione di
massa. Ciò che è più rilevante in questa sede è il processo di differenziazione
che ha portato le scienze della comunicazione a distinguere nell’ambito della co-

41 HP 2008 #3
municazione di massa la comunicazione privata, quella pubblica e quella sociale.
Lo statuto di queste forme di comunicazione è tutt’altro che definito, in particola-
re per ciò che riguarda la comunicazione sociale. In effetti non è chiaro perché si
debba qualificare come sociale una certa forma di comunicazione di massa. Ogni
tipo di comunicazione, in quanto presuppone una forma (più o meno piena) d’in-
terazione, non è di per se stessa sociale? Allora perché parlare di comunicazione
sociale? Che cosa c’è di sociale nella comunicazione sociale? La risposta a que-
sta domanda è decisiva per comprendere il fenomeno. In realtà le diverse defini-
zioni (pubblica, privata e sociale) mettono in relazione i processi della comunica-
zione di massa con le sfere istituzionali della società (Stato, mercato, ecc.).
Un’incursione nei risultati prodotti dalle scienze della comunicazione può tornare
utile per capire meglio il fenomeno. In genere le scienze sociali hanno utilizzato
tre criteri per differenziare i tipi di comunicazione mediatica: l’emittente, il conte-
nuto e la finalità del messaggio.
Molto spesso la distinzione tra i vari tipi di comunicazione è realizzata a partire
dal tipo d’organizzazione che opera come emittente e realizza la campagna. Si
parla così di comunicazione privata in riferimento alla comunicazione pubblicitaria
commerciale a opera delle imprese, mentre si parla di comunicazione pubblica
per le campagne di comunicazione realizzate dagli enti pubblici su tematiche di
interesse generale. All’interno di questa categoria gli autori hanno distinto poi al-
tre tipologie:
– comunicazione istituzionale, volta a dare visibilità e a promuovere l’immagine
degli enti dell’organizzazione pubblica;
– comunicazione (o informazione) normativa, che rende pubbliche le decisioni e
le azioni delle organizzazioni pubbliche;
– comunicazione di pubblico servizio, avente lo scopo di diffondere la conoscen-
za e l’utilizzo dei servizi di interesse generale offerti al cittadino;
– comunicazione di solidarietà sociale, che riguarda l’azione comunicativa degli
enti non profit (Faccioli, 2000; Grandi, 2001).
Si riferiscono invece al contenuto del messaggio Mancini (1999, pp. XI-XIV), che
definisce “comunicazione sociale propriamente intesa” quella comunicazione vol-
ta a promuovere “un’idea, un valore, un tema d’interesse generale relativamente
controverso”, e Gadotti (2001, p. 24), per la quale “la comunicazione sociale è
quell’insieme di attività di comunicazione, messo in atto da un soggetto pubblico
o privato, volto a promuovere finalità non lucrative e avente per oggetto temati-
che di interesse sociale ampiamente condivise”.
Altrove, Gadotti (2005, p. 48) affianca all’aspetto di contenuto lo scopo della co-
municazione sociale che “riguarda temi, questioni e issues di interesse generale,

HP 2008 #3 42
[ Comunicazione sociale ]

il cui obiettivo prioritario è quello di sensibilizzare o educare determinati pubblici


di riferimento”. Al criterio della finalità guarda più decisamente Morcellini (2004),
quando parla della comunicazione sociale come di un ambito estremamente am-
pio ed eterogeneo, caratterizzato da una logica chiamata a provocare un effetto
onda all’interno dei rapporti sociali e da cui si propagano orientamenti condivisi.

Vi è anche chi (Fabris, 1992) utilizza il concetto di comunicazione sociale per ap-
plicarlo esclusivamente al campo della comunicazione persuasiva, cioè alla pub-
blicità, e distingue, nell’ambito della pubblicità senza scopo di lucro, tra:
– advocacy advertising come la forma di comunicazione più simile alla pubblicità
commerciale poiché orientata a “ottenere il consenso intorno a tematiche su
cui esiste una manifesta o latente divergenza di opinioni […]. La sua finalità
consiste essenzialmente nel fare chiarezza su aspetti controversi, sostenendo
posizioni chiaramente di parte, anche se spesso si sottolinea la presunta uni-
versalità delle tesi sostenute” (ibidem, p. 587);
– pubblicità pubblica come forma di comunicazione che si radica nell’attività
informativa svolta dagli enti pubblici moderni, ma da essa si distingue netta-
mente per via del suo dichiarato intento persuasivo intorno a temi di interesse
collettivo, volto a stimolare processi di crescita sociale o a promuovere l’imma-
gine degli enti pubblici, renderne trasparente l’azione e facilitare al cittadino l’u-
so dei servizi;
– pubblicità sociale come forma di comunicazione persuasiva che, indipendente-
mente dall’organismo che la realizza, è finalizzata alla “promozione di finalità
socialmente rilevanti, siano queste la prevenzione dei tumori o la campagna
contro l’Aids, la dissuasione dal fumo…” (ibidem, p. 589).

Questi criteri, che peraltro compaiono spesso affiancati e sovrapposti nei diversi
autori, presentano indubbi motivi d’interesse e utilità, ma risultano tutti in qual-
che modo parziali, non riuscendo a coprire la pluralità di forme comunicative del-
la galassia estremamente diversificata delle organizzazioni di terzo settore, né in
qualche modo a coglierne la specificità.
Ciò diviene possibile alla luce di un criterio più generale e inclusivo. Si tratta di
definire la comunicazione sociale utilizzando il criterio della modalità comunicati-
va, e di considerarla come un particolare tipo di relazione caratterizzata da una
specifica attenzione alla dimensione di reciprocità coinvolta in ogni relazione so-
ciale e tradotta in un codice comunicativo specifico. Quest’ultimo è caratterizzato
dal riconoscimento di un legame con l’interlocutore e da forme di scambio (comu-
nicativo e materiale) nelle quali i partner realizzano mosse di apertura reciproca

43 HP 2008 #3
nella convinzione che queste valorizzino la relazione con l’interlocutore (singolare
o plurale, individuale o collettivo) e che dalla stessa relazione emerga un effetto
positivo per tutti i partner.
In sintesi: la comunicazione sociale è l’insieme delle modalità comunicative ba-
sate sulla fiducia, la cooperazione e la reciprocità, cioè su un modo di interpreta-
re le relazioni sociali e la loro dimensione di legame e riferimento reciproco come
una risorsa e/o come un bene per tutti i soggetti personali coinvolti. La comuni-
cazione sociale si fonda su tali relazioni ed è alimentata da esse, e a sua volta ri-
produce, estende e generalizza orientamenti simbolici (in sintesi: uno “sguardo”
verso il Sé e l’altro) che rafforzano e valorizzano (tutte) le relazioni fiduciarie, di
reciprocità e di responsabilità sociale. Potremmo anche dire, facendo riferimento
a un concetto che si è ormai affermato nel dibattito sociologico internazionale,
che la comunicazione sociale è l’insieme delle relazioni comunicative che produ-
cono e riproducono “capitale sociale”.

Terzo settore e comunicazione sociale


Così intesa, la comunicazione sociale non è un processo tipico di un particolare
emittente. La si può ritrovare nelle comunicazioni delle organizzazioni statali, così
come di quelle imprenditoriali e non profit. Tuttavia le organizzazioni di privato so-
ciale, per le loro caratteristiche specifiche, si candidano a essere il settore della
società nel quale la comunicazione sociale si può realizzare con maggiore facilità
e “felicità”.
Si tratta allora di comprendere quali sono i tratti specifici dell’identità del terzo
settore.
L’interesse per le organizzazioni di terzo settore è maturato nel mondo contem-
poraneo in conseguenza della crisi del welfare state. La crisi ha avuto aspetti di
natura economico-finanziaria, ma sono apparsi anche motivi di insoddisfazione di
tipo simbolico culturale, nel senso che ci si è resi conto dell’esistenza di bisogni
psicologico-relazionali che non potevano trovare la loro soddisfazione nelle strut-
ture del welfare classico, il quale era “solo” in grado di garantire più diritti, più
servizi e più risorse economiche, ma non relazioni interpersonali faccia a faccia,
gratuite e orientate alla persona. Sono così comparse sulla scena esperienze so-
ciali nuove, che hanno tentato di dare risposta ai bisogni psicologico-relazionali
dei cittadini. Su tutte, in Italia, in quegli anni, spiccavano le esperienze del volon-
tariato. All’epoca il volontariato nostrano si autocandidava – nelle parole dei suoi
dirigenti – a svolgere attività di compagnia e accompagnamento, senza sostituirsi
ai servizi di welfare: essi restavano un diritto del cittadino che doveva essere ga-
rantito dalle politiche sociali pubbliche. Dopo quella stagione le esperienze di vo-

HP 2008 #3 44
[ Comunicazione sociale ]

lontariato sono cresciute, sono maturate e hanno certamente modificato la loro


struttura e modalità d’azione. Fenomeni analoghi sono emersi anche in altri Pae-
si occidentali. Le scienze sociali hanno interpretato l’emergere del fenomeno co-
me conseguenza del fallimento, in alcuni settori, dei meccanismi di allocazione
delle risorse tipici del mercato e dello Stato. Una tale teoria fornisce un’immagi-
ne residuale del terzo settore e lo condanna alla marginalizzazione, nel senso
che, una volta messi a punto dei meccanismi per ovviare ai fallimenti dello Stato
e del mercato, il terzo settore è destinato a sparire.
Una teoria più interessante è quella che ne definisce l’identità a partire da alcuni
processi tipici della modernità, in particolare il processo di autonomizzazione
soggettiva e delle sfere sociali operata dalla società moderna. Infatti, se lo Stato
di diritto e il mercato autoregolato possono essere considerate le due istituzioni
principali di cui si è dotata la modernità per realizzare il proprio obiettivo di pro-
mozione dell’autonomia individuale, si può ipotizzare che le organizzazioni di ter-
zo settore siano venute affermandosi nella modernità matura come una forma
istituzionale che, anziché cercare di promuovere l’autonomia, sottolinea e pro-
muove la dimensione di legame e di reciprocità implicata in ogni relazione socia-
le. Dal punto di vista teorico si può ipotizzare che nella relazione sociale sia coin-
volta una dimensione di libera e autonoma intenzionalità soggettiva, senza la
quale non si dà relazione sociale, ma al tempo stesso la relazione sociale è pos-
sibile se è contemplata dagli attori una dimensione di reciprocità che costituisce
un più o meno forte, e più o meno positivo, legame tra gli attori in gioco. Dunque
autonomia e legame sociale sono le due facce della relazione sociale. Le organiz-
zazioni di privato sociale suppliscono a un vuoto simbolico e istituzionale configu-
randosi come il luogo in cui il legame reciproco viene simbolizzato come valore in
sé, come un bene comune, e istituzionalmente tradotto in modalità organizzative
e operative adeguate al contesto sociale moderno (Stanzani, 1998).
È per questo motivo che, dal punto di vista delle modalità d’utilizzo delle risorse
(donazioni e agire volontario), dei fini (prosociali) e dei prodotti dell’azione (beni
relazionali), delle regole e dei criteri di gestione (rendicontabilità sociale, coinvol-
gimento degli stakeholders, governance societaria) e dei valori (reciprocità, fidu-
cia, solidarietà, altruismo, cooperazione), il terzo settore presenta caratteristiche
diverse da quelle tipiche degli altri settori della società. Non è possibile soffer-
marsi in questa sede sugli aspetti citati, ma è chiaro che una tale prospettiva ha
importanti conseguenze per ciò che riguarda i processi comunicativi del terzo set-
tore e lo spinge a realizzare forme di comunicazione sociale sia nelle relazioni in-
terne sia nelle relazioni esterne.
La comunicazione interna. La comunicazione è il medium fondamentale della re-

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lazione interpersonale e va dunque curata in modo particolare all’interno delle or-
ganizzazioni del terzo settore, indirizzandola alla valorizzazione del legame d’inter-
dipendenza tra gli attori, favorendo la partecipazione e la comprensione recipro-
ca, sia per quanto riguarda le relazioni tra i membri dell’organizzazione, sia per
quanto riguarda eventuali relazioni d’aiuto e di cura, che spesso il terzo settore
si è assunto il compito di realizzare.
La comunicazione esterna. Per quanto riguarda la comunicazione esterna vale il
medesimo principio: è la comunicazione del valore attribuito alle relazioni sociali,
alla fiducia, alla cooperazione, alla responsabilità sociale e all’aiuto nei confronti
di chi si trova in situazioni di difficoltà a caratterizzare il terzo settore. Ciò che di-
stingue la comunicazione delle realtà di privato sociale non è la promozione di te-
mi d’interesse generale, ma la comunicazione esterna dell’intrinseca dimensione
di reciprocità della relazione. In un certo senso si tratta di comunicare nella sfera
pubblica un modo di intendere e praticare le relazioni che ne valorizza le dimen-
sioni di reciprocità, di legame e di responsabilità sociale: è questo che rende ef-
fettivamente sociale e credibile la comunicazione delle organizzazioni di terzo set-
tore. La comunicazione esterna può avere come obiettivi la raccolta fondi, la pro-
mozione di tematiche di politica sociale, di tutela dei diritti di categorie svantag-
giate, ecc. Essa sarà efficace nella misura in cui l’organizzazione imposterà la
propria attività comunicativa mostrando di avere a cuore la relazione con le cate-
gorie sociali di cui si occupa.

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