Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
7 HP 2008 #3
1. Introduzione di Nicola Rabbi
HP 2008 #3 8
[ Cinema ]
Zelig, che cura l’attività del Club amici del cinema, uno storico cineclub genovese
attivo da anni nella diffusione e nella promozione del cinema di qualità attraverso
festival, rassegne tematiche e varie iniziative.
Spesso queste iniziative partono da temi che il cinema stesso offre; rassegne su
cinema e handicap, per esempio, erano già state organizzate sull’onda dell’usci-
ta di pellicole che offrivano argomenti di riflessione e potevano stimolare l’inte-
resse e la partecipazione di associazioni legate alla disabilità.
9 HP 2008 #3
settore) premia i vincitori con una somma in denaro che incentiva la realizzazione
di nuove produzioni; i video selezionati, inoltre, vengono riproposti in serate spe-
ciali o in sale cinematografiche del circuito genovese durante l’anno.
HP 2008 #3 10
[ Cinema ]
Da allora alcune cose sono cambiate. Oggi parole ed espressioni come “barriere
architettoniche”, “spazio disabili”, “integrazione” e “inclusione” sono entrate nel
linguaggio comune, ma ciò che è soprattutto mutato, al di là della legislazione
sul tema, è la rappresentazione sociale del disabile, non più visto come un sog-
getto impossibilitato a compiere alcune azioni o diverso dai “sani” ma considera-
to come un cittadino dotato di diritti e di doveri come tutti, e assistito in caso di
discriminazione. Occorre sempre ricordare, però, che sul piano pratico molti
obiettivi non sono ancora stati raggiunti e che spesso i disabili e i loro familiari
devono intraprendere difficili battaglie per vedere riconosciuti diritti legittimi.
Il lavoro di Cinem/abili contribuisce sicuramente a dare risalto a un cinema rigo-
roso ospitando autentici autori militanti, con i loro linguaggi originali e lontani da
stereotipi. Ma Cinem/abili offre soprattutto l’occasione di confrontarsi con la
contemporaneità attraverso video che rappresentano un significativo campione
della produzione audiovisiva su queste tematiche, e permettono un utile confron-
to fra le tendenze in atto.
Proprio questa forma di comunicazione ha forti potenzialità e costituisce una ti-
pologia espressiva autonoma, territorio di sperimentazione di nuovi stili, nuove
tecnologie, nuovi approcci comunicativi. Il video, infine, è uno spazio di autopro-
duzione e indipendenza, espressione della creatività giovanile, moda e fenomeno
di tendenza e più in generale un possibile spazio di libertà da schemi e condizio-
namenti produttivi. Dare spazio alle idee, e quindi alle varie produzioni indipen-
denti, autoprodotte o inserite in progetti più ampi (con la partecipazione di enti e
associazioni), significa, al di là di pregi e difetti, creare un laboratorio interessan-
te, vivo e rappresentativo, nonché realizzare, come già accennato in precedenza,
un utile archivio. Sono molte, infatti, le modalità di approccio a tematiche così
complesse e queste necessitano di essere rappresentate con grande sensibilità.
I video in questi anni hanno offerto un ventaglio di proposte che testimoniano in-
teresse, voglia di sperimentare e soprattutto capacità di interagire con i disabili
divenuti protagonisti e “attivi comunicatori” con i propri corpi e con le proprie
emozioni.
Per contatti
Co.Ser.Co.
tel. 010/247.18.28-24.71.82
e-mail: cinemabili@coserco.it
11 HP 2008 #3
3. I film che hanno vinto l’edizione 2007
di Cinem/abili di Luca Giommi
Il sesto rigo
“Suonare per me è… classica. Classica perché ci vuole più… musica… più cultu-
ra, diciamo”. Che ne condividiate o meno il giudizio musicale, la frase di Pietro,
violino dell’orchestra Esagramma di Milano (tel. 02/392.50.91), ricorda una ve-
rità e al contempo racconta la sfida sottesa al progetto di questa orchestra aper-
ta a musicisti disabili: se la disabilità e gli handicap sono anche un fatto cultura-
le, perché non affrontarli con la cultura? Cultura intesa come uno spazio libero,
di creazione e/o esecuzione ed espressione, in cui le differenti capacità possano
dispiegarsi, evidenziarsi e al tempo stesso annullarsi, retrocedere dietro il risulta-
to artistico di un lavoro collettivo che si può comunicare, cioè rendere pubblico.
Un progetto che, approfondendo le inclinazioni e le competenze tecniche degli al-
lievi, produce cultura musicale e insieme tenta di agire sulla cultura personale e
generale.
Il documentario Il sesto rigo di Raffaella Pusceddu racconta proprio l’esperienza
dell’orchestra sinfonica Esagramma, il cui nome allude al rigo in più, il sesto ap-
punto, creato dagli elementi disabili dell’orchestra stessa. Lo fa proponendo, con
stile da documentario televisivo, sette storie di altrettanti/e musicisti/e disabili e
dei loro familiari, che vengono alternate con immagini delle prove d’orchestra e
approfondimenti della direttrice e di altri insegnanti di musica.
Ne esce un quadro in cui spesso l’impegno musicale richiede ai musicisti disabili
l’acquisizione di ulteriori abilità, alcune delle quali verranno utilizzate anche nella
vita quotidiana, per esempio la capacità di gestire le proprie emozioni nel mo-
mento di un confronto pubblico.
La regista è attenta a mantenersi in equilibrio tra il dato biografico e il dato musi-
cale e di esperienza di lavoro collettiva. È infatti la scelta di questo momento di
“socialità” così impegnativo e che necessita di piena collaborazione e fiducia re-
ciproca il tratto più riconoscibile del progetto musicale, come spiega uno dei
maestri di musica in esso coinvolti: “Dove c’è più profondità, più spessore, c’è
più spazio per i pensieri e per le emozioni”.
E la “musicalità” realizzata dall’orchestra diviene, in quanto processo e prodotto
culturale, un’occasione di visibilità, di proposta pubblica di un’opera e di se stessi.
HP 2008 #3 12
[ Cinema ]
Zio c’è!
Zio c’è!, cortometraggio di Andrea Castoldi, racconta in modo sobrio e ironico il
passaggio da un “prima” a un “dopo” all’interno di un ospizio.
Qui ogni giorno si svolge uguale all’altro, ostaggio della regolarità, della monoto-
nia dei gesti degli anziani ospiti, delle quali nessuno, all’interno della clinica, si
prende cura, se non per definirne inequivocabilmente la natura bizzarra. Eccelle
in questo atteggiamento il direttore dell’ospizio, la cui scarsa premura e la cui
umanità professionale si riflettono, così ci suggerisce il regista, in un rapporto
sentimentale arido, fiacco e ordinario come la vita dei pazienti (e di chi li ha in cu-
ra) all’interno della clinica.
Il parallelo tra la vicenda privata e quella lavorativa del direttore continuerà, pun-
tualmente, per tutta la durata del cortometraggio, fino all’auspicabile happy end.
Le “regolari” stranezze degli ospiti della clinica vengono utilizzate dal direttore
per autoassolversi agli occhi di un nuovo arrivato, al quale presenta alcuni anzia-
ni nel suo primo giorno di lavoro. Come dire che, di fronte a tanta senile ottusità,
il compito di chi lavora in quella struttura non può essere che di natura assisten-
ziale e medica e non può che risolversi nella gestione, nell’amministrazione del-
l’esistente, senza aspirare a possibili evoluzioni.
Basterà invece la passione del giovane neo-assunto (un infermiere? un assisten-
te di base?) a determinare dei cambiamenti piccoli ma significativi.
In fondo egli non fa che assecondare le inclinazioni, le aspettative e i desideri dei
pazienti, così da riuscire, insieme a loro, a portarli a compimento rendendoli pas-
sibili di variazioni. Il giovane riesce a creare le condizioni ambientali e contestuali
per una realizzazione più piena delle potenzialità degli ospiti della clinica. È come
se si premurasse di “ricordare ai vecchi che hanno ancora molto da dirci”, risve-
gliando in loro un’attività creativa anestetizzata. Così il direttore dell’ospizio, as-
sentatosi per un convegno geriatrico, al suo ritorno si trova di fronte a pazienti di-
versi ed è incapace, sul momento, di affrontare una realtà di certo più mobile e
meno scontata.
A convincerlo definitivamente della positività della nuova situazione e del nuovo
approccio terapeutico sarà il mazzo di margherite che uno degli ospiti gli regalerà
al posto delle solite erbacce che fino ad allora si ostinava a raccogliere, forse per
dispetto o come forma di protesta silenziosa. All’apertura professionale del diret-
tore corrisponderà la soluzione delle sue tensioni sentimentali, sancita dal dono
di quello stesso mazzo di margherite alla sua compagna.
13 HP 2008 #3
4. Un documentario per cambiare
i pregiudizi di Anna Contardi, assistente sociale,
coordinatrice dell’Associazione Italiana Persone Down di Roma
Le chiavi in tasca è il primo filmato che abbiamo prodotto nel 1985. Molta gente
non conosce le persone con la sindrome di Down e parlare di loro senza farle
parlare direttamente, a nostro parere, non permetteva di comunicare in modo
adeguato chi fossero, con la loro diversità e la loro molteplicità. In un primo mo-
mento ci rivolgemmo a un regista, Roberto Capanna, che collaborava con noi. Ini-
ziammo con un film in cui volutamente a parlare non erano gli esperti, ma le fa-
miglie e le stesse persone Down. Il film raccontava chi erano le persone Down, in
tutte le loro fasce di età, partendo dalla comunicazione della diagnosi fino agli
adulti lavoratori.
L’informazione è una delle linee guida della nostra associazione: per questo ab-
biamo realizzato una serie di documentari. Uno dei più recenti e significativi è Ra-
gazzi in gamba, un documentario girato nel 1996 per aiutare le persone a essere
autonome, con uno scopo espressamente didattico.
HP 2008 #3 14
[ Cinema ]
Down, la sessualità, la gelosia… Poi il film è stato realizzato con un lavoro di squa-
dra. La nostra tecnica consisteva nel porre ai ragazzi alcune domande e lasciare
che i discorsi cominciassero a svilupparsi senza interruzioni da parte nostra.
15 HP 2008 #3
Tv, film e disabilità
Fino a 20 anni fa in televisione si parlava di persone con deficit intellettivo sol-
tanto per fatti di cronaca dal risvolto negativo o in termini pietistici; per questo
abbiamo deciso di raccontare in un altro modo la disabilità. In questi ultimi anni,
però, ci sono stati dei cambiamenti: le persone Down sono “passate” in televisio-
ne in modo diverso. Abbiamo iniziato a vederle comparire in film come Johnny
Stecchino, uscito nel 1991, L’Ottavo giorno, che ha vinto la Palma d’oro a Can-
nes nel 1996, e altri ancora (per esempio Ti voglio bene Eugenio); di tutti questi
il più geniale è forse Johnny Stecchino, in cui il disabile diventa un personaggio
fra tanti altri. Negli ultimi anni questo cambiamento è avvenuto anche nei telefilm
nostrani. La presenza di disabili nei film è molto positiva perché consente di di-
mostrare che le persone Down sono persone come le altre.
Per quanto riguarda l’informazione ci sono state esperienze interessanti come la
trasmissione “Racconti di vita”, ma si tratta di esperienze di nicchia. Sull’intratte-
nimento televisivo ci sarebbe molto da dire: sto pensando ai talk show come
quelli di Maurizio Costanzo, ad “Amici”, a “Le Iene”… Da una parte è utile che i
disabili “approdino” in televisione, ma è fondamentale non sostituire vecchi ste-
reotipi con nuovi stereotipi, come spesso avviene nel “Maurizio Costanzo Show”;
altre trasmissioni, come “C’è posta per te”, corrono il rischio della caricatura. Se
una persona Down viene ridicolizzata in una trasmissione questa immagine di-
storta può arrivare agli spettatori. Affinché ciò non accada i curatori dei program-
mi devono imparare a trattare gli adulti da adulti e non da bambini.
Il programma “Le Iene”, invece, ha affrontato il problema in modo corretto.
HP 2008 #3 16
[ Cinema ]
Calignano M.
PASSO DOPO PASSO. CORSO DI EDUCAZIONE ALLE AUTONOMIE DI BASE E MOTORIE
AIPD sezione di Nardò, s.d., Nardò
Supporto: DVD
Ideazione: Maria Teresa Calignano
Produzione: AIPD sezione di Nardò
Durata: 30’
AA.VV.
RAGAZZI IN GAMBA. IL CLUB DEI RAGAZZI DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA
PERSONE DOWN. COME EDUCARE ALL’AUTONOMIA
AIPD Nazionale, 1996, Roma
Supporto: DVD, VHS
Regia: Christian Angeli
Produzione: Associazione Italiana Persone Down
Durata: 38’
17 HP 2008 #3
Contardi A., Buzzelli A., Angeli C., Ottaviani L.
LAVORATORI IN CORSO
AIPD Nazionale, 2003, Roma
Supporto: DVD, VHS
Regia: Christian Angeli
Soggetto: Anna Contardi, Alessandra Buzzelli, Christian Angeli e Leo-
nardo Ottaviani
Produzione: Comune di Roma; AIPD
Durata: 28’
Disponibile anche con sottotitoli in inglese e spagnolo
Contardi A.
FUTURO PRESENTE
AIPD Nazionale, 2005, Roma
Supporto: DVD
Soggetto: Anna Contardi
Regia: Daniele Segre
Produzione: Comune di Roma; Associazione Italiana Persone Down
Durata: 50’
Disponibile anche con sottotitoli in inglese
HP 2008 #3 18
[ Pubblicità ]
Quali sono le tue esperienze come regista e perché ti sei dedicato al tema della
disabilità?
Ho cominciato a occuparmi di cinema sette anni fa quando, insieme a mia moglie
Giuditta Tarantelli, ho fondato la casa di produzione Officina Film.
Abbiamo iniziato con piccole produzioni finché, nel 2004, è arrivato il primo film,
Come prima, un mediometraggio di 60 minuti che racconta il ritorno a casa di un
adolescente divenuto tetraplegico in seguito a un incidente in motorino.
L’anno dopo abbiamo prodotto Crisalidi, un documentario che mette a confronto
un gruppo di giovani, disabili e non, su temi come l’adolescenza, la visione di sé
e degli altri, l’importanza del corpo.
Sono partito da questi film perché, essendo anch’io tetraplegico, conoscevo be-
ne l’argomento che stavo trattando. Penso che sia una prerogativa fondamentale
del lavoro che svolgo conoscere ciò di cui si decide di parlare, altrimenti si ri-
schia di rimanere in superficie.
19 HP 2008 #3
tua la scelta della campagna migliore e vengono realizzati i tre spot del vincitore.
Perché l’uso del linguaggio pubblicitario e in particolare dello spot video per par-
lare di disabilità?
L’obiettivo della mediateca Ledha è quello di diffondere una serie di iniziative le-
gate alla comunicazione e volte a promuovere l’inclusione sociale delle persone
con disabilità; lo spot pubblicitario ci sembrava uno dei mezzi più efficaci e diretti
per il target al quale facciamo riferimento.
In base alle tue conoscenze come è stato trattato fino a oggi il tema della disabi-
lità dagli spot pubblicitari?
La pubblicità agisce solitamente su tre fronti. Esistono gli spot che fanno leva sul
sentimento della pietà, e che solitamente servono a chiedere donazioni: pensia-
mo ai primi piani dei bambini africani o alle mani che si stringono con una voce
rassicurante che ci parla sulle immagini al ralenti; poi ci sono quelli con un conte-
nuto provocatorio, che hanno l’obiettivo di far parlare di sé e spesso suscitano
polemiche, ma questo accade raramente in Italia, a parte l’ultima provocazione
di Oliviero Toscani che comunque non era propriamente una campagna per il so-
ciale; infine vengono quelli che sdrammatizzano e lanciano un messaggio facen-
do sorridere, a mio parere i migliori, anche se non sempre adatti per raggiungere
determinati obiettivi.
Per informazioni
tel. 02/657.04.25
www.ledhaspotfestival.it – www.officinafilm.com
HP 2008 #3 20
[ Pubblicità / Internet ]
La prima edizione del Ledha Spot festival ha visto la vittoria della campagna pub-
blicitaria ideata da Simone Mignoni e diretta da Mirko Locatelli. Sul web è possi-
bile trovare i tre spot in questione.
Nel primo si vede un’orchestra in cui dei musicisti sorridenti iniziano ad accorda-
re gli strumenti; la macchina da presa passa infine sul direttore che, mentre si
appresta a dirigere, si blocca stupito guardando intensamente un punto davanti a
sé. Poi la macchina da presa inquadra due persone (una disabile e l’altra no) ve-
stite da cuochi e chiaramente fuori posto. Una voce fuori campo inizia a dire “In-
trusi? No, semplicemente fuori posto. Le capacità di un lavoratore non dipendo-
no dalla sua disabilità, nel posto giusto tutti siamo abili al lavoro. Il lavoro è un
diritto, per tutti”. A metà del testo la scena attorno ai due cuochi scompare e si
trasforma nell’accogliente cucina di un ristorante.
Nel secondo spot l’ambientazione riprende quella della cucina del ristorante, ma
qui le persone fuori posto sono due professionisti in giacca e cravatta muniti di
carte e computer: due persone normodotate che però vengono percepite e si
sentono come inadatte, non abili al luogo in cui si trovano. Anche qui la scena
cambia e i due personaggi si ritrovano in un ufficio consono a loro.
Nell’ultimo video, come in un gioco circolare, sono due musicisti (tra cui una ra-
gazza non vedente) a ritrovarsi fuori posto nell’ufficio in cui lavorano dei sorriden-
ti professionisti; alla fine anche loro si ritroveranno al posto giusto, nell’orchestra
che avevamo già visto nel video iniziale.
21 HP 2008 #3
(il nome richiama la trisomia 21)”, dice Frigerio. “All’inizio pensavamo di tradurre
in italiano i contenuti del sito francese, ma quando siamo andati a Parigi a parla-
re con i responsabili abbiamo deciso diversamente”. Il loro sito ha solo 4 o 5 an-
ni, ma la grafica risulta già un po’ superata, “Così ci siamo messi a inventarne
uno noi”.
Il sito
I giovani che decidono di navigare nel nuovo sito si trovano ad affrontare un viag-
gio virtuale accompagnati da “Pongo”, la simpatica mascotte che invita a prende-
re il treno per uscire dalla città grigia (simbolo della malattia mentale) per entrare
nella valle verde di www.vostromondo.it, lasciandosi alle spalle una galleria che
rappresenta il buio della mente. Il viaggiatore che può entrare e utilizzare il sito
senza ostacoli, grazie anche all’accessibilità certificata, può scegliere in quale
stazione fermarsi: scuola/amici, tempo libero, cinema, teatro, TV, libri, lavoro,
eventi, viaggi e sport.
“Lo scopo del sito” dice ancora Frigerio “è quello di mettere in comunicazione tra
loro i giovani, farli divertire attraverso giochi psico-pedagogici adatti a loro e infor-
marli su fatti di attualità”. Ogni stazione è affidata a un volontario dell’associazio-
ne SVSS, che si preoccupa di tenerla aggiornata con foto e brevi articoli in un lin-
guaggio semplice. “Io per esempio” dice Frigerio “sono un appassionato di mon-
tagna e di pesca e mi occupo della rubrica dedicata allo sport”.
A ogni stazione Pongo annuncia la fermata. Il giovane viaggiatore può scegliere
se giocare o leggere una notizia, ma anche decidere di inviare foto digitali o di
partecipare a un forum. “Ai giovani piace molto scriversi” assicura il presidente
dell’associazione “i messaggi sono tutti filtrati e mandati on line 24 ore dopo per
evitare comunicazioni inadatte”.
In Italia esistono molti siti sulla disabilità, secondo Frigerio, ma sono di servizio,
informano su leggi, regolamenti, indicazioni per richiedere contributi... di conse-
guenza interessano soprattutto i genitori. I destinatari quindi non sono i giovani.
Anche per l’associazione è importante raggiungere la famiglia, ma per aiutare i fi-
gli a navigare e scoprire un mondo nuovo.
Il nuovo sito italiano www.vostromondo.it vuole dunque essere una risposta all’i-
solamento che tanti disabili rischiano di provare quando si ritrovano chiusi tra le
mura domestiche. Comunicare con gli amici e conoscere cose nuove diventa per
loro un’esigenza vitale. “Munirsi di un computer oggi non è un problema, per que-
sto esistono sussidi, il vero ostacolo è la mentalità, e a tal proposito in Italia sia-
mo molto indietro rispetto alla Francia”.
Per questo sito sono stati messi a punto degli accorgimenti per facilitare la co-
HP 2008 #3 22
[ Internet ]
municazione. La visione dei siti esterni è avvenuta con criteri rigorosi e sempli-
cità compatibile con le problematiche degli utenti.
23 HP 2008 #3
L’esperienza
La collaborazione con i Servizi Socio-Sanitari del comune di Milano è stata avviata
da due anni attraverso una sperimentazione confluita in seguito in un progetto sta-
bile al cui interno è collocata la sala informatica di cui si è riferito in precedenza.
La dottoressa Tina Lomascolo, psicologa del Centro Diurno per Disabili del comu-
ne di Milano, supervisiona l’intervento, dalla valutazione dei soggetti alla realiz-
zazione degli interventi. Coordina l’intervento garantendo i rapporti con le fami-
glie, con l’associazione SVSS e con l’Ente di formazione.
Il progetto si prefigge di ridurre l’isolamento sociale delle persone disabili e delle
loro famiglie, attraverso la creazione di una rete di relazioni tra famiglie di sogget-
ti con disabilità intellettive e relazionali, soggetti disabili e Servizi che si occupa-
no di disabilità. Tale percorso è raggiunto utilizzando innovative tecnologie infor-
matiche per interventi abilitativi-riabilitativi nell’area della comunicazione, della
socializzazione e dell’apprendimento, attraverso una serie di proposte inerenti al-
l’informazione, la comunicazione, il gioco.
L’intervento ha consentito all’équipe di operatori dei Centri Diurni Barabino, Gon-
zaga e Noale di Milano, insieme con un campione di 20 persone con ritardo intel-
lettivo e compromissioni motorie, di acquisire consapevolezza delle proprie espe-
rienze/conoscenze ed elaborare in forma grafico-semantica i loro vissuti, ricorren-
do al computer, agli ausili e a specifici programmi che permettono di mantenere
una modalità “sintattica”, che rispetta i vincoli temporo-spaziali e i nessi causali
della comunicazione.
È chiaro che tutto questo lavoro è un esempio di come una metodologia di ap-
prendimento delle nuove metodiche di lavoro informatiche può produrre un positi-
vo impatto motivazionale, sia sugli utenti sia sulle famiglie.
Il sito www.vostromondo.it e la sala informatica diventano insieme un reale so-
stegno per lo svolgimento di attività educative nel Centro Diurno e per la gestione
del tempo libero dei figli. Inoltre, sia il sito sia la sala si prefiggono di far ricorso
ad ausili e strumenti informatici tecnologicamente avanzati allo scopo di limitare
le conseguenze negative associate alla disabilità. Ed ecco che allora il sito, rag-
giungibile direttamente da un collegamento al desktop, è in grado di coinvolgere
le famiglie in percorsi anche informativi e di sostegno. Questo produce per i sog-
getti disabili seguiti nuove forme d’interazione positiva con l’ambiente e nuove
forme di socializzazione, che favoriscono scelte autonome per raggiungere un
comportamento d’interazione sociale più maturo e un livello più elevato di parte-
cipazione sociale.
HP 2008 #3 24
[ Internet ]
I risultati
L’apprendimento di strategie comunicative, basate prevalentemente su modalità
grafico-simboliche di comunicazione, mediate dall’uso di ausili e supporti tecnolo-
gici, ha permesso ai soggetti seguiti la riduzione dell’isolamento dal contesto.
Gli indicatori dell’efficacia del programma d’intervento sono stati individuati nella
frequenza di comunicazioni adeguate e funzionali tra soggetti disabili, diversi con-
testi di vita degli stessi e servizi. Tale percorso è stato realizzato attraverso l’uso
del sito e l’accesso alla sala.
A lungo termine si prevede un percorso che porti alla costruzione di un’identità
personale e sociale “adulta”, con la possibilità da parte delle persone seguite di
effettuare, comunicandole, scelte autonome, incrementando gradualmente l’indi-
pendenza e la motivazione.
25 HP 2008 #3
L’ausilio di strumenti tecnologici adeguati dovrebbe permettere inoltre il supera-
mento dell’inibizione di competenza data dall’interazione (dipendenza) costante
dei diversi operatori e caregiver.
Afferma la dottoressa Lomascolo: “Dopo due anni di sperimentazione possiamo
confermare l’efficacia del progetto; vediamo realizzati nei nostri interventi notevo-
li progressi e un’alta motivazione degli utenti seguiti. Grazie a adattamenti indivi-
dualizzati consentiti dagli ausili hardware, diversi disabili riescono a utilizzare il
computer e grazie alla formazione si è riusciti anche a adattare strumenti e pro-
grammi standard a usi più specifici e abilitativi”.
Le famiglie
Un genitore ci racconta: “I parenti dei soggetti in carico ai servizi hanno visitato il
Centro e la sala informatica, e soprattutto si sono resi conto di ciò che i loro figli
riescono a fare”.
Dice ancora: “Tutti hanno iniziato utilizzando i giochi; lo scopo, infatti, è quello di im-
parare divertendosi, poi abbiamo puntato al percorso legato alle finalità che aveva-
mo individuato nel nostro progetto: comunicare con gli altri, mettersi in contatto con
i diversi servizi, scrivere e attendere che qualcuno risponda, ma c’è anche la possi-
bilità di ascoltare musica e richiedere le canzoni preferite. Il sito, oltre che per mio
figlio, è un grande aiuto anche per me genitore che ho trovato un appoggio in più”.
Possiamo fare un bilancio affermando che questa esperienza ha permesso d’in-
tervenire fondamentalmente sull’aspetto motivazionale degli utenti ma anche de-
gli operatori, aprendo nuove aree d’intervento. Le risorse offerte dalla collabora-
zione con i parenti degli utenti aggregati in associazioni sono il vero motore inno-
vativo del “fare”, perché creano sinergie e riducono l’isolamento. Il fatto di poter
coinvolgere operatori e ricercatori con questa esperienza in service fra diversi
servizi ha consentito l’avvio di un confronto sull’operatività. Abbiamo constatato
il decremento delle forme di aiuto da parte dell’operatore verso l’utenza, grazie
ai progressi ottenuti dal supporto integrato e alla formazione.
Certo i problemi non mancano, partendo dalla mancanza di ricerca e materiale
pubblicato per arrivare fino alla difficoltà di disporre di fondi per operare in un
settore molto costoso. L’impegno e lo sforzo di aggiornamento richiesti al perso-
nale costituiscono una risorsa ma anche una sfida nel proseguire il cammino. Og-
gi tra le principali difficoltà c’è il bisogno di disporre di schede valutative legate
al percorso dell’utente e il bisogno di un maggior rigore metodologico. La forma-
zione per gli operatori, che deve essere propedeutica a ogni progetto d’interven-
to, deve inoltre rivolgersi anche ai parenti degli utenti in maniera tale da poter
esportare il lavoro anche nell’ambito familiare.
HP 2008 #3 26
[ Giornali ]
Quando abbiamo iniziato non ci aspettavamo di vedere dei progressi veloci, era-
vamo consapevoli che per attivare le abilità cognitive e di autonomia era neces-
sario molto tempo. Per questo siamo rimasti sorpresi dal vedere come l’entusia-
smo provato dagli utenti nel partecipare al progetto potesse tradursi in un moto-
re per l’apprendimento in tempi più brevi.
Chi vuole confrontarsi con questa esperienza può visitare il sito www.vostromon-
do.it.
Per contatti
modesto.prosperi@fastwebnet.it
27 HP 2008 #3
cui sei gestiti direttamente dal comune di Milano e altri otto convenzionati con il
privato sociale. Il giornale, per cui lavorano ottanta ragazzi, esce quattro volte al-
l’anno e viene stampato in 1.500 copie; mediamente, di queste, 100 copie ven-
gono spedite in tutta Italia.
Le attività per gestire “Giallo di sera” si possono suddividere in due parti; come
redazione centrale, infatti, da un lato dobbiamo coordinare questi quattordici cen-
tri e dall’altro dobbiamo lavorare anche con i ragazzi del nostro centro.
Come redazione centrale in corrispondenza dell’uscita di ogni numero organizzia-
mo un’assemblea di redazione a cui partecipano tutti i centri coinvolti, sia gli
operatori sia gli utenti. Ogni centro porta il proprio articolo e ogni ragazzo legge
la parte che ha scritto. L’assemblea ha un valore più educativo che operativo per
la costruzione del giornalino, dato che è importante per i ragazzi leggere quello
che hanno scritto. In questo momento, visto il numero delle persone coinvolte,
non si riesce a organizzare più di tanto il contenuto del giornale.
Qui vengono comunque raccolti gli ar ticoli e si costruisce il menabò. Abbiamo
strutturato il giornale in diverse sezioni come la “cronaca interna”, dove sono
raccolti gli articoli scritti all’interno dei centri, e la “cronaca esterna”, per tutti
quegli interventi che riguardano realtà esterne; abbiamo anche uno spazio per le
“interviste”, e così via. Una volta pronto il menabò, diamo tutto il materiale a un
operatore esterno pagato dal comune di Milano che lo impagina con il computer,
per poi mandarlo allo stampatore.
Una volta stampato il giornalino arriva al nostro centro di via Barabino dove, coin-
volgendo anche gli utenti di altri centri, viene fascicolato dai ragazzi e dagli opera-
tori. “Giallo di sera” viene distribuito alla zona di appartenenza del nostro centro
e agli utenti; in parte viene spedito e le copie rimanenti vengono consegnate alla
Circoscrizione. Il giornale viene spedito per lo più ad altri centri diurni o a realtà
editoriali come la nostra, che esistono in varie parti d’Italia. Le copie date alla
Circoscrizione vengono poi distribuite nelle biblioteche, portate ai vigili urbani, al-
le associazioni, al servizio materno infantile e così via. A volte distribuiamo le co-
pie direttamente ai passanti e ai negozianti.
Patrizia: Inizialmente il discorso della distribuzione è stato molto faticoso. Quan-
do portavamo il giornale fuori dal centro ci guardavano in modo strano, la gente
aveva un atteggiamento pietistico e dentro di sé pensava: “Poverini, questi ragaz-
zi, cosa possiamo fare per loro, cosa possiamo offrire?”. Ma adesso non è più
così, l’iniziativa è stata capita, anzi: se la distribuzione è in ritardo ci chiedono
quando arriva il giornalino. Si è infatti costruito un rapporto con la popolazione,
con i negozianti principalmente e anche con gli uffici del comune: questo è un
aspetto molto importante. La distribuzione è un momento molto gratificante per i
HP 2008 #3 28
[ Giornali ]
ragazzi, perché le persone li fermano per strada e chiedono loro quale pagina
hanno scritto, di che cosa hanno parlato e così via.
Qual è il significato di un giornale come questo? È più uno strumento interno indi-
rizzato all’utenza o ha anche una sua funzione verso l’esterno, come momento in
cui i centri socio-educativi si raccontano?
Alberto: Tutto viene fatto in funzione di una migliore condizione di vita sociale de-
gli utenti; questo è un lavoro altamente socializzante dato che è un lavoro di
gruppo in cui il disabile partecipa alla redazione, all’impaginazione, alla diffusio-
ne del giornale. Quando i ragazzi escono con gli educatori per loro è una gioia
perché viene riconosciuto il loro lavoro, si sentono riconosciuti attraverso un pro-
dotto che hanno realizzato.
Ma attraverso questa iniziativa si fa anche conoscere agli altri il lavoro dei centri
socio-educativi; questo serve alle persone per rendersi conto che anche un disa-
bile può essere un giornalista. La prima volta che ho portato a casa mia un nu-
mero di “Giallo di sera” i miei figli hanno detto: “Ah, fanno anche un giornalino”;
questa constatazione mi è servita per capire l’importanza di questo prodotto edi-
toriale. In questo modo la gente si rende conto di ciò che un disabile può fare e
comunicare.
Patrizia: Per me ha un grande valore di comunicazione esterna; la disabilità non
viene vista come qualcosa di chiuso o una realtà difficile da affrontare ma quasi
come una sorta di normalità. Questo giornale serve anche a far arrivare all’ester-
no le attività dei centri dato che questi articoli parlano di noi, di quello che faccia-
29 HP 2008 #3
mo. Addirittura, da qualche anno, nell’ultima pagina del giornale c’è un piccolo
spazio in cui il nostro direttore scrive un articolo su una serie di realtà che il co-
mune di Milano promuove: uno spazio per dare delle notizie, insomma.
Alberto: Nel giornale si è anche pensato di creare uno spazio, riservato alla dire-
zione centrale, dove si parla di tutte le iniziative che il comune organizza per i
centri per i disabili. In questo modo i servizi possono comunicare con le famiglie
dei disabili e anche con le altre realtà territoriali.
Per informazioni
Centro Diurno Disabili Barabino
Via Barabino 4 - Milano
Tel. 02/539.53.60
HP 2008 #3 30
[ Giornali ]
Sono ormai diverse le esperienze di piccole riviste, “giornalini” che vengono com-
posti all’interno dei centri per disabili, esperienze che si possono incontrare in
varie parti d’Italia: ma qual è il loro valore educativo?
II maggior valore credo sia quello che riguarda la memoria; ci sono spesso tenden-
ze a “ridurre” chi ha un deficit molto grave, ridurlo a una persona che ha giornate
sempre uguali, che fa le stesse cose; in questo siamo aiutati anche da una lettera-
tura scientifica che ci racconta che la persona con una grave disabilità mentale ha
una “viscosità”, una ripetitività, ha bisogno di fare le stesse cose. Io penso che ab-
bia bisogno come tutti di avere delle sicurezze, quindi c’è del vero in quello che si
dice, però è anche vero che ha una vita con una dinamica e questa dinamica biso-
gna saperla leggere, non dimenticarla; i giornalini possono essere uno strumento
utile per mantenere un’attenzione a un qualcosa che può essere raccontato. La ri-
petitività fa sì che gli operatori che lavorano all’interno di un centro pensino di non
avere niente da raccontare agli altri, mentre il giornale è fatto anche per gli altri. Al-
lora farlo può diventare un impegno con se stessi a scoprire quello che può essere
raccontato agli altri e che non è la fotocopia della stessa giornata per 365 giorni
all’anno.
31 HP 2008 #3
Attraverso i giornali c’è inoltre una definizione progressiva, aperta e non imbalsama-
ta dell’identità di un centro. Ecco un’altra utilità, quella di pensare la propria iden-
tità in rapporto a quella degli altri centri, ognuno dei quali ha una propria identità.
Fare una rivista per un centro significa allora scoprire la propria identità, mettere
in luce le proprie valenze culturali e operative. Ci sono centri che sono legati per
la loro storia al cinema, alla scrittura o al teatro, tutte caratteristiche che si ri-
scontrano poi nei “giornalini”. Ricordo il caso di un “utente” del Centro Galassia
di Lugo di Romagna che da anni s’interessa alla scrittura; ora è possibile che
non sia immediatamente una scrittura maggiorenne per un’editoria da grande
pubblico, ma potrebbe essere molto importante per un “giornalino”, se questo
non è riduttivo e non diventa uno strumento da dopolavoro ferroviario, ma diviene
un biglietto da visita, una sorta di carta d’identità che è sempre in fieri. Potrebbe
essere giusto allora che ci siano delle vite da raccontare, in modi diversi, attra-
verso la poesia, la fotografia...
I “giornalini” servono proprio per scoprire la propria identità e metterla in contat-
to con l’identità degli altri centri e per costruire poi una rete che permetta delle
valorizzazioni reciproche.
HP 2008 #3 32
[ Comunicazione sociale ]
Quali sbocchi possono avere queste riviste, come si possono sviluppare per
diffondersi meglio o diventare più incisive?
Per rispondere a questa domanda bisogna parlare anche dei Centri di documen-
tazione, perché questi materiali sono sicuramente dei materiali fragili che vanno
persi, si buttano via.
La funzione maggiore la dovrebbero avere i Centri di documentazione che non so-
no inerti ma che dovrebbero essere attivi, salvando il materiale prodotto e ren-
dendolo anche consultabile. Poi dovrebbero consentire che qualcuno ogni tanto
ci mettesse mano per riorganizzarlo; sarebbe interessante fare delle antologie o
delle comparazioni antologiche, mettere insieme il meglio di quanto è stato pro-
dotto. E per non renderli deperibili occorre trasformarli; ad esempio con alcuni
numeri di “Percorsi” abbiamo fatto un libro.
(*) Ripubblichiamo questo articolo ancora attuale apparso sulla rivista “HP-Acca-
parlante” n. 17 del 1993, facente parte della monografia Stampati in fronte (repe-
ribile su Internet a questo indirizzo www.mangoni.net/cdh-bo/informazione/hp/ar-
chivio/libro.asp?ID=444) dedicata ai “giornalini” dei centri diurni.
Descrizione dell’evento
Il Festival Internazionale delle Abilità Differenti è un evento annuale ideato dalla
cooperativa Nazareno fin dal 1992 (anche se la numerazione del festival viene
fatta a partire dall’edizione del 1999). Il tema dell’evento, che dura sei giorni,
cambia ogni anno e nelle ultime edizioni ha riguardato la relazione, la bellezza, la
dipendenza, la libertà. Ma al di là dell’argomento prescelto i vari festival sono ac-
comunati da un unico strumento: l’espressione artistica, declinata nei suoi più
diversi generi (musica, teatro, cinema, pittura, ecc.). È attraverso l’espressione
33 HP 2008 #3
artistica di persone disabili (ma non solo) che l’argomento annuale viene trattato
in una serie di eventi e incontri pubblici.
Il festival da una dimensione ristretta si è via via sviluppato nel corso degli anni,
coinvolgendo sempre più artisti e spettatori. Dall’edizione del 1995 si introduce la
novità dell’ospite famoso, che dopo quella edizione sarà sempre presente (anzi, a
volte non sarà uno solo). Un ulteriore passo in avanti avverrà dopo l’edizione del
2003, con una professionalizzazione più accentuata del gruppo che se ne occupa.
In queste pagine faremo considerazioni solo sull’evento del 2006 (visto che ab-
biamo tutti i dati necessari), intitolato “Cara beltà”, caso comunque significativo
se si considerano la complessità e i buoni risultati riscontrati in quella edizione.
L’evento è durato dal 10 al 15 maggio 2006 per un totale di sei giorni in cui si
sono succeduti la proiezione di un film (e l’incontro con il regista e l’attrice princi-
pale), quattro spettacoli teatrali, due convegni, una presentazione di un libro con
l’autore, due eventi musicali, due workshop. I personaggi famosi intervenuti a va-
rio titolo sono stati Gene Gnocchi, Milva, Teresa De Sio e Candido Cannavò. Com-
plessivamente gli spettatori intervenuti in questa edizione sono stati 4.000.
HP 2008 #3 34
[ Comunicazione sociale ]
Alla fine di ogni evento si propone l’idea per quello dell’anno successivo e si co-
mincia a incontrarsi settimanalmente già da luglio. Da dicembre gli incontri si in-
fittiscono e due mesi prima del festival due persone si dedicano a tempo pieno
all’organizzazione dell’evento (ne vengono coinvolte altre, che però se ne occupa-
no solo part-time).
35 HP 2008 #3
Sempre con collaborazioni interne e/o con persone vicine alla cooperativa vengo-
no preparati due spot, uno televisivo e l’altro radiofonico, da proporre capillar-
mente a radio e televisioni.
Per promuovere l’evento, inoltre, si stampano anche 5.000 brochure e 15-
20.000 depliant; le prime vengono spedite, i secondi sono invece distribuiti a
mano da operatori, volontari, amici. Se il depliant consiste in un pieghevole a tre
ante in cui vengono riportate indicazioni precise sugli eventi, la brochure invece è
una pubblicazione di una ventina di pagine a colori che contiene schede di pre-
sentazione degli artisti, dei gruppi teatrali, degli eventi e dei film in programma.
Inoltre la cooperativa aveva prodotto anche uno spot promozionale televisivo ap-
parso su sedici televisioni locali e uno spot radiofonico andato in onda su diciotto
radio (nazionali, regionali, locali).
Considerato lo spazio ridotto che i mass media dedicano alle notizie sul sociale e
considerato che non si tratta di una notizia di cronaca nera o di un’emergenza
(casi in cui la notizia sul tema della disabilità ha più probabilità di passare), i ri-
sultati sopra riportati sono senza dubbio notevoli.
HP 2008 #3 36
[ Comunicazione sociale ]
37 HP 2008 #3
Infine “L’Unità” il 16 maggio a p. 18 pubblica “Disabile” e arruolato, ma sul pal-
co, un articolo in cui si sottolinea il fatto che gli spettacoli sono di buon livello e
che la disabilità può essere una risorsa.
Come si vede da questa sommaria descrizione, il messaggio di base è riuscito a
passare; gli articoli non cadono mai in uno stile pietistico (come avviene spesso
in casi come questo), solo a volte si indugia in toni troppo ottimistici e si ricorre
spesso all’uso di storie significative (che è un criterio di notiziabilità tra i più im-
portanti per chi fa il giornalista).
Per spiegare questi risultati è significativo riportare l’atteggiamento che si adotta
nei confronti dei giornalisti: “Cerchiamo di avere un rapporto diretto”, dice Sergio
Zini, presidente della cooperativa. “Quello che comunichiamo non è sempre sem-
plice e per tentare di far accogliere questo messaggio cerchiamo di far capire lo-
ro quello che stiamo facendo”. Conoscenza diretta, rapporto personale, condivi-
sione di idee e anche “del sentire”, laddove il giornalista risulta disponibile, sono
alla base di questa comunicazione efficace supportata dall’entusiasmo di chi la
promuove.
Elementi di criticità
Il bilancio di un’iniziativa di comunicazione come questa non può che essere po-
sitivo; i risultati, qualitativi e quantitativi, sono innegabili, ma si possono comun-
que indicare punti deboli su cui riflettere in vista di un ampliamento dell’evento.
La decisione di utilizzare del personale interno e di non affidare a un’agenzia la
promozione dell’evento verso i media si è dimostrata in questo caso utile (vista
la forte motivazione del gruppo), ma la scelta di attivare una figura di addetto
stampa solo in previsione del festival può essere riduttiva. Avere a disposizione
una figura professionale di questo tipo aiuta a migliorare costantemente la qua-
lità del festival e serve anche alla cooperativa per gestire i suoi rapporti con l’e-
sterno (anche con le istituzioni); i compiti dell’addetto stampa in questo caso
non si limitano all’evento ma riguardano tutto ciò che concerne l’attività della
cooperativa durante l’anno. Una figura di questo tipo aiuta a migliorare anche la
comunicazione all’interno del gruppo con i soci lavoratori e non, i volontari e gli
utenti, attraverso la creazione di strumenti di comunicazione come house organ,
bollettini telematici, ecc.
Un altro aspetto che potrebbe essere migliorato è il sito (www.nazareno-coopso-
ciale.it), al cui interno troviamo anche la sezione dedicata al festival. Una docu-
mentazione più approfondita di quanto si è fatto potrebbe servire a più scopi. Per
esempio, se oltre alla locandina del festival e ai comunicati stampa fosse dispo-
nibile materiale audio o video relativo ai vari eventi, questo materiale potrebbe
HP 2008 #3 38
[ Comunicazione sociale ]
servire ad altre persone oppure essere trattato o riprodotto in altri contesti (tele-
visioni, radio, eventi teatrali analoghi, ecc.).
Infine, un’ultima considerazione: abbiamo visto in diversi punti di questo scritto
come la condivisione dei valori, il sentire comune, l’entusiasmo per quello che si
fa costituiscano la base dell’azione comunicativa (e sicuramente di tutto l’opera-
to della cooperativa), ma se questo stato di cose entrasse in crisi o fosse solo
momentaneamente in difficoltà, quali sarebbero le conseguenze sulla comunica-
zione? In questo caso una figura professionale specifica potrebbe essere una ga-
ranzia in più.
Premessa
Da circa un decennio a questa parte il tema della comunicazione ha conosciuto
un più acceso interesse da parte delle scienze sociali e dell’opinione pubblica,
tant’è che si connota la società contemporanea come società della comunicazio-
ne, mentre le scienze psicologiche, quelle economiche e quelle politiche rifletto-
no sulle ricadute che la comunicazione ha sul benessere soggettivo, così come
sul successo politico dei leader o sul risultato economico-organizzativo delle im-
prese. In un tale panorama, anche un altro fenomeno sociale, oggetto di partico-
lari attenzioni nel corso degli anni Ottanta e Novanta e giudicato da scienziati, po-
litici e operatori depositario di importanti capacità innovative, non poteva non fa-
re i conti con il tema “gemello” della comunicazione. Ci riferiamo al caso del ter-
zo settore che, guadagnando consensi e interesse da parte di molti attori sociali,
ha visto gli studiosi di comunicazione e di marketing interessarsi al fenomeno e
utilizzare gli strumenti concettuali elaborati dai communication studies con l’in-
tenzione di promuovere l’emergenza del nuovo settore sociale. Agli occhi di un
osservatore “esterno” una tale operazione è parsa, in alcuni casi, fuorviante,
perché gli schemi teorici adottati sono stati ottenuti attraverso la ricerca sui pro-
39 HP 2008 #3
cessi comunicativi e organizzativi generati e sviluppati nell’ambito delle organiz-
zazioni for profit e poi, in un certo senso, “appiccicati sopra” le dinamiche comu-
nicative del terzo settore. Ritorna alla mente il titolo di un vecchio libro: Teoria
della società o tecnologia sociale?, attraverso il quale uno degli autori (Jurgen
Habermas) attirava l’attenzione sul rischio che corrono le scienze sociali di appli-
care i risultati delle loro ricerche alla sfera sociale producendo delle tecnologie
che non si interrogano sulle conseguenze inerenti le relazioni umane. Con questo
articolo intendo “scongiurare” il rischio di un tale isomorfismo comunicativo tra i
vari settori della società (Stato, mercato e privato sociale) e contribuire alla rifles-
sione sulla specificità comunicativa del terzo settore.
HP 2008 #3 40
[ Comunicazione sociale ]
ciali, culturali, morali e giuridici: si pensi alle chat line, ad altri giochi interattivi e
alle molteplici ribalte per la presentazione (e talvolta per la creazione) del Self
tramite testi e filmati, per esempio attraverso i blog o altro, che consentono la
realizzazione di molteplici incontri casuali nella vita quotidiana mediata. Si tratta
di altrettante occasioni che favoriscono un aumento delle possibilità di comunica-
zione, rendendo queste ultime sempre più numerose, fluide, flessibili e probabili.
Il grande progresso della comunicazione mediata ha reso più indipendenti l’emit-
tente, il ricevente e lo stesso messaggio coinvolti nel processo di comunicazione.
Nella comunicazione mediata non è possibile reperire le informazioni emergenti
dall’interazione faccia a faccia, il tutto avviene nel messaggio enunciato, tutte le
informazioni si riassumono in tale messaggio, che acquista così una certa auto-
sufficienza e autoreferenzialità, divenendo tuttavia il veicolo attraverso il quale
sono simbolizzati e rappresentati i simulacri dell’emittente e del ricevente, per
questo presenti nel processo comunicativo solo come simulacri, e non come sog-
getti in interazione. Un tale processo di autonomizzazione delle dinamiche della
comunicazione ha consentito il moltiplicarsi delle possibilità di comunicazione,
generando molte più possibilità di esperienza, di azione e di relazione sociale dal-
le quali tutti noi oggi traiamo vantaggio. Tuttavia ha, in un certo modo, trascurato
gli aspetti di reciprocità e di legame sociale che, come sanno i sociologi dalle ori-
gini della disciplina (si vedano, per esempio, i lavori di Weber e Simmel), sono im-
pliciti nelle relazioni sociali. Una tale trascuratezza degli aspetti di reciprocità del-
la relazione è talvolta foriera di problemi, di effetti negativi e perversi per la vita
umana in società. Quando le scienze sociali e della comunicazione affermano
che “occorre comunicare per esistere” o che “le cose non comunicate non esi-
stono”, condannano chi comunica, e le cose che comunica, a un sottofondo ni-
chilista o, nel migliore dei casi, a un’originaria condizione di isolamento. Estre-
mizzando, sembra di poter dire che, dal punto di vista della società, oggetti e
soggetti sociali si trovano privati della loro esistenza e possono essere portati al-
la luce solo dalla potenza creatrice della comunicazione.
41 HP 2008 #3
municazione di massa la comunicazione privata, quella pubblica e quella sociale.
Lo statuto di queste forme di comunicazione è tutt’altro che definito, in particola-
re per ciò che riguarda la comunicazione sociale. In effetti non è chiaro perché si
debba qualificare come sociale una certa forma di comunicazione di massa. Ogni
tipo di comunicazione, in quanto presuppone una forma (più o meno piena) d’in-
terazione, non è di per se stessa sociale? Allora perché parlare di comunicazione
sociale? Che cosa c’è di sociale nella comunicazione sociale? La risposta a que-
sta domanda è decisiva per comprendere il fenomeno. In realtà le diverse defini-
zioni (pubblica, privata e sociale) mettono in relazione i processi della comunica-
zione di massa con le sfere istituzionali della società (Stato, mercato, ecc.).
Un’incursione nei risultati prodotti dalle scienze della comunicazione può tornare
utile per capire meglio il fenomeno. In genere le scienze sociali hanno utilizzato
tre criteri per differenziare i tipi di comunicazione mediatica: l’emittente, il conte-
nuto e la finalità del messaggio.
Molto spesso la distinzione tra i vari tipi di comunicazione è realizzata a partire
dal tipo d’organizzazione che opera come emittente e realizza la campagna. Si
parla così di comunicazione privata in riferimento alla comunicazione pubblicitaria
commerciale a opera delle imprese, mentre si parla di comunicazione pubblica
per le campagne di comunicazione realizzate dagli enti pubblici su tematiche di
interesse generale. All’interno di questa categoria gli autori hanno distinto poi al-
tre tipologie:
– comunicazione istituzionale, volta a dare visibilità e a promuovere l’immagine
degli enti dell’organizzazione pubblica;
– comunicazione (o informazione) normativa, che rende pubbliche le decisioni e
le azioni delle organizzazioni pubbliche;
– comunicazione di pubblico servizio, avente lo scopo di diffondere la conoscen-
za e l’utilizzo dei servizi di interesse generale offerti al cittadino;
– comunicazione di solidarietà sociale, che riguarda l’azione comunicativa degli
enti non profit (Faccioli, 2000; Grandi, 2001).
Si riferiscono invece al contenuto del messaggio Mancini (1999, pp. XI-XIV), che
definisce “comunicazione sociale propriamente intesa” quella comunicazione vol-
ta a promuovere “un’idea, un valore, un tema d’interesse generale relativamente
controverso”, e Gadotti (2001, p. 24), per la quale “la comunicazione sociale è
quell’insieme di attività di comunicazione, messo in atto da un soggetto pubblico
o privato, volto a promuovere finalità non lucrative e avente per oggetto temati-
che di interesse sociale ampiamente condivise”.
Altrove, Gadotti (2005, p. 48) affianca all’aspetto di contenuto lo scopo della co-
municazione sociale che “riguarda temi, questioni e issues di interesse generale,
HP 2008 #3 42
[ Comunicazione sociale ]
Vi è anche chi (Fabris, 1992) utilizza il concetto di comunicazione sociale per ap-
plicarlo esclusivamente al campo della comunicazione persuasiva, cioè alla pub-
blicità, e distingue, nell’ambito della pubblicità senza scopo di lucro, tra:
– advocacy advertising come la forma di comunicazione più simile alla pubblicità
commerciale poiché orientata a “ottenere il consenso intorno a tematiche su
cui esiste una manifesta o latente divergenza di opinioni […]. La sua finalità
consiste essenzialmente nel fare chiarezza su aspetti controversi, sostenendo
posizioni chiaramente di parte, anche se spesso si sottolinea la presunta uni-
versalità delle tesi sostenute” (ibidem, p. 587);
– pubblicità pubblica come forma di comunicazione che si radica nell’attività
informativa svolta dagli enti pubblici moderni, ma da essa si distingue netta-
mente per via del suo dichiarato intento persuasivo intorno a temi di interesse
collettivo, volto a stimolare processi di crescita sociale o a promuovere l’imma-
gine degli enti pubblici, renderne trasparente l’azione e facilitare al cittadino l’u-
so dei servizi;
– pubblicità sociale come forma di comunicazione persuasiva che, indipendente-
mente dall’organismo che la realizza, è finalizzata alla “promozione di finalità
socialmente rilevanti, siano queste la prevenzione dei tumori o la campagna
contro l’Aids, la dissuasione dal fumo…” (ibidem, p. 589).
Questi criteri, che peraltro compaiono spesso affiancati e sovrapposti nei diversi
autori, presentano indubbi motivi d’interesse e utilità, ma risultano tutti in qual-
che modo parziali, non riuscendo a coprire la pluralità di forme comunicative del-
la galassia estremamente diversificata delle organizzazioni di terzo settore, né in
qualche modo a coglierne la specificità.
Ciò diviene possibile alla luce di un criterio più generale e inclusivo. Si tratta di
definire la comunicazione sociale utilizzando il criterio della modalità comunicati-
va, e di considerarla come un particolare tipo di relazione caratterizzata da una
specifica attenzione alla dimensione di reciprocità coinvolta in ogni relazione so-
ciale e tradotta in un codice comunicativo specifico. Quest’ultimo è caratterizzato
dal riconoscimento di un legame con l’interlocutore e da forme di scambio (comu-
nicativo e materiale) nelle quali i partner realizzano mosse di apertura reciproca
43 HP 2008 #3
nella convinzione che queste valorizzino la relazione con l’interlocutore (singolare
o plurale, individuale o collettivo) e che dalla stessa relazione emerga un effetto
positivo per tutti i partner.
In sintesi: la comunicazione sociale è l’insieme delle modalità comunicative ba-
sate sulla fiducia, la cooperazione e la reciprocità, cioè su un modo di interpreta-
re le relazioni sociali e la loro dimensione di legame e riferimento reciproco come
una risorsa e/o come un bene per tutti i soggetti personali coinvolti. La comuni-
cazione sociale si fonda su tali relazioni ed è alimentata da esse, e a sua volta ri-
produce, estende e generalizza orientamenti simbolici (in sintesi: uno “sguardo”
verso il Sé e l’altro) che rafforzano e valorizzano (tutte) le relazioni fiduciarie, di
reciprocità e di responsabilità sociale. Potremmo anche dire, facendo riferimento
a un concetto che si è ormai affermato nel dibattito sociologico internazionale,
che la comunicazione sociale è l’insieme delle relazioni comunicative che produ-
cono e riproducono “capitale sociale”.
HP 2008 #3 44
[ Comunicazione sociale ]
45 HP 2008 #3
lazione interpersonale e va dunque curata in modo particolare all’interno delle or-
ganizzazioni del terzo settore, indirizzandola alla valorizzazione del legame d’inter-
dipendenza tra gli attori, favorendo la partecipazione e la comprensione recipro-
ca, sia per quanto riguarda le relazioni tra i membri dell’organizzazione, sia per
quanto riguarda eventuali relazioni d’aiuto e di cura, che spesso il terzo settore
si è assunto il compito di realizzare.
La comunicazione esterna. Per quanto riguarda la comunicazione esterna vale il
medesimo principio: è la comunicazione del valore attribuito alle relazioni sociali,
alla fiducia, alla cooperazione, alla responsabilità sociale e all’aiuto nei confronti
di chi si trova in situazioni di difficoltà a caratterizzare il terzo settore. Ciò che di-
stingue la comunicazione delle realtà di privato sociale non è la promozione di te-
mi d’interesse generale, ma la comunicazione esterna dell’intrinseca dimensione
di reciprocità della relazione. In un certo senso si tratta di comunicare nella sfera
pubblica un modo di intendere e praticare le relazioni che ne valorizza le dimen-
sioni di reciprocità, di legame e di responsabilità sociale: è questo che rende ef-
fettivamente sociale e credibile la comunicazione delle organizzazioni di terzo set-
tore. La comunicazione esterna può avere come obiettivi la raccolta fondi, la pro-
mozione di tematiche di politica sociale, di tutela dei diritti di categorie svantag-
giate, ecc. Essa sarà efficace nella misura in cui l’organizzazione imposterà la
propria attività comunicativa mostrando di avere a cuore la relazione con le cate-
gorie sociali di cui si occupa.
Bibliografia
Bruni L., Zamagni S. (2004), Economia civile. Efficienza, equità, felicità pubblica,
Bologna, Il Mulino.
Donati P. (1991), Teoria relazionale della società, Milano, FrancoAngeli.
Donati P. (2006a), Comunicazione, in S. Belardinelli, L. Allodi (a cura di), Sociolo-
gia della cultura, Milano, FrancoAngeli, pp. 53-64.
Donati P. (a cura di) (2006b), Sociologia. Una introduzione allo studio della so-
cietà, Padova, Cedam.
Donati P., Colozzi I. (a cura di) (2004), Il privato sociale che emerge: realtà e di-
lemmi, Bologna, Il Mulino.
Fabris G. (1992), La pubblicità. Teorie e prassi, Milano, FrancoAngeli.
Faccioli F. (2000), Comunicazione pubblica e cultura del servizio. Modelli, attori e
percorsi, Roma, Carocci.
Gadotti G. (a cura di) (2001), La comunicazione sociale. Soggetti, strumenti e lin-
guaggi, Milano, Arcipelago.
HP 2008 #3 46
[ Comunicazione sociale ]
47 HP 2008 #3