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EZIO ALBRILE “la sofferenza dell’uomo &, perd, Ia pitt profonda di tutte le sofferenze.” (Nietzsche) LA VISIONE E L'ENIGMA. LIMMAGINE DELL’ ANTHROPOS NEL SINCRETISMO GNOSTICO L In una sequenza aramaica del Libro di Daniele & contenuto il resoconto di un’esperienza estatico-visionaria che probabilmen- te risale all’anno 168 a.C.; essa e un documento prezioso per lo studio delle tradizioni bibliche riguardanti il «Figlio dell/Uomo», bar ‘ends, lo “AvOeEa@nog gnostico-ellenistico:' un Uomo si dirige con le nubi del cielo verso il trono dove & assiso I’«Antico di Giorni», ‘attiq yomayyd, e li acquisisce il «potere eterno», sollan ‘alam; sui popoli e sulle nazioni del cosmo. Non é altro che una variante di un pitt antico motivo visio- nario, il quale presuppone un’ermeneutica sostanzialmente dif- ferente da quella proposta dal «Daniele» biblico.’ Lo stesso (pre- sunto) Daniele fa riferimento a questa tradizione estatica e pro- fetica quando «osservando nelle visioni notturne», hazé hawét ba-hezwé lélyd,* dice di vedere «uno simile ad un uomo», letteral- mente uno come un Figlio d’Uomo», kebar ‘ends.’ Il riferimento ovvio @ alla damit kamaréh adam, \'«immagine in sembianze di Uomo» di Ezechiele 1, 26. In entrambe le visioni accanto all’'Uomo o «Figlio dell‘Uomom, sta una figura arcaica, «Antico di Giorni», un «vegliardo» che ritroviamo in sembianze di Noé nell’Enoch Etiopico e nell’ Apocrifo della Genesi di Qumran,’ ed incredibilmen- te in un testo mandaico, dove Ptahil, il Demiurgo decaduto e 76 GLI ARCONTI DI QUESTO MONDO maldestro’ privato dello splendore, separato dalla Luce che la Vita ha reciso dietro di sé», @ rappresentato con il «capo pit bian- co della spuma dell’acqua, ¢ Ia barba pitt bianca dei fiocchi di lana» (d-hiuar righ mn haupia mia uziqnh mn supia d-aqamra hiua- ra)’. Tale figura visionaria, sorta di entita crepuscolare nelle fat- tezze di un vecchio dalla barba e dai capelli bianchi come lana, si manifesta quale «Dio del Tempo»’ compendiante in sé i tre momenti cruciali del divenire, cioé il passato, il presente ed il futuro: notevoli sono quindi le affinita genetiche con lo Zrvan/Zurwin iranico, il «Tempo infinito», Zroan akarana (pah- lavi Zurwan T akanarag), 0 «Tempo dal lungo dominio», Zrvan darago x" adata , ovverosia con Zal-e zar, il «vecchio vegliardo», Yeroe della genia di Rustam che nello Sah-nameh di Firdusi nasce con il capo ricoperto da una folta chioma bianca come la neve.” Ma torniamo ad Ezechiele. Il Profeta narra, nel primo capito- lo del libro che porta il suo nome, le vicende che durante I’esilio babilonese, nel 593 a.C., lo condussero alla vocazione estatica; quale proemio alla visione egli percepisce in tutta la sua possen- te numinosita il kabéd , la «Gloria» del Signore" intesa quale splendore sorgivo contemplato e percepito al medesimo tempo in forma umana e luminosa : @ Y«immagine in sembianze di Uomo», damiit kamareh adam , tramite cui il segreto celato in Dio si rivela nel tempo. Nella visione di Ezechiele troviamo inoltre dei motivi che entreranno a far parte del linguaggio simbolico mistico-cabbalistico: tra questi sono da menzionare la merkabah , il «carro» o «trono» di Dio scolpito in pietra di zaffiro, e il hasmal, il «fulgore di metallo splendente» che promana dall’immagine dell’Adamo celeste. Quanto narrato da Ezechiele presuppone che una manifesta- zione divina in sembianze umane sia ontologicamente in antite- sia quella meramente corporea descritta in Genesi 2,7. In altre parole cid significa che l’Antico Testamento conosce una distin- zione tra ‘Adamo celeste, cioe Uomo creato ad «immagine», selem, di Dio in Genesi 1,27, 0 ! Adamo terreno, I’uomo plasmato EZIO ALBRILE 7 dalla «terra», adamah; ed @ probabilmente ad una tale dicotomia a cui fa riferimento l’apostolo Paolo (0 presunto tale) quando dice che 8} mEdrog &vOeamog Ex YAg LOIKOG, SedtEpOg vBQaMOG EE odeavod «il primo uomo, tratto dalla terra, é terreno, il secondo uomo proviene dai cieli».” Gest Cristo, secondo San Paolo, assume le fattezze dell’Adamo divino e celeste evocato in Ezechiele 1,26; per capire come questo concetto sia giunto sino a lui si possono ipotizzare due vie: una @ rappresentata dalla letteratura apocalittica, il cui testo pitt popolare @ il Libro di Enoch noto in varie versioni ma che tradisce una Vorlage aramaica," mentre I'altra si identifica nella tradizione mistica e filosofica alessandrina (cioe giudaico-elleni- stica) della prima diaspora. IL. La visione di Ezechiele @ la fonte ispiratrice dei maggiori pro- feti dell’Antico Testamento; tra questi il Deutero Isaia descrive come alla fine dei tempi la «Gloria», il kabad splendente di Dio, condurra il Popolo d’Israele fuori dall’esilio babilonese, verso Gerusalemme. Qui é la «Gloria» di Dio ipostatizzata, cioe Dio stesso, che assume le fattezze di una figura escatologica e mes- sianica. II compito del kabod, come del Messia, é infatti quello di sottrarre il Popolo d’Israele alla diaspora. Nell’Enoch Etiopico troviamo qualcosa di simile al kabéd di Ezechiele: é il «Figlio dell/Uomo», una figura messianica nella quale confluiscono l’'immagine di giudice escatologico che «rove- scera i re dai loro troni e dai loro regni... e pieghera la facia dei potenti», e quella dello “AvOpanoc celeste disvelante «i sacelli dei misteri»:"* come abbiamo notato per la visione del bar ‘ena¥ di Daniele, anche al «Figlio dell’Uomo» enochico @ unita un’‘imma- gine arcaica di «vegliardo», di «guida» eonica, il «Capo dei 78 GLI ARCONTI DI QUESTO MONDO. Giorni», re’sa mawa ‘el , la cui testa & bianca, candida come lana.” Una simile tipologia visionaria @ da collegarsi ad un altro importante apocrifo intertestamentario, i] Quarto libro di Ezra , in Cui il kabéd di Dio si manifesta nel giudizio finale, nella perce- zione dell’£oxotov quale «splendore luminoso dell’ Altissimo»."* Il Quarto Libro di Ezra & un apocrifo attribuito ad un perso- naggio, Ezra, che nelle intenzioni dell’autore dovrebbe coincide- re con quello dell’omonimo libro dell’ Antico Testamento, ma che in realta non ha alcuna relazione storica con esso; é stato infatti scritto da un giudeo probabilmente verso il 100 d.C., in ebraico © in aramaico. Da questo originale, oggi perduto, venne tratta una versione greca, o pid d’una, anch’essa perduta: esso é percid attestato da sette versioni condotte su quella greca o su altre derivate da essa, di cui al momento la piti vicina al testo origi- nario é quella latina.” La sesta visione di IV Ezra é un prezioso documento apoca- littico” in cui aspettative messianiche e imagerie onirica si fondo- no in un intreccio narrativo suggestivo: é notte, ed un vento impetuoso agitando le acque del mare, dal profondo di esse fa sorgere «qualcosa di simile ad un uomo»* che si innalza volan- do assieme alle nubi del cielo (convolabat ipse homo cum nubibus caeli)." Questo personaggio messianico scolpisce un grande monte e vi ascende in volo (sculpsit montem magnum et volavit super eum). Giunto sulla cima, dalla sua bocca fuoriesce un fiume di fuoco e di fiamme (fluctus ignis et spiritus flammae) che annienta ed incenerisce la moltitudine vociante, che nel frattempo si era riunita ai piedi del monte per muovergli guerra.* Non vi @ dubbio che la figura umana di questa sequenza apocalittica corrisponda al Messia atteso nella fine dei tempi, cioé nel tempo prefigurato ritualmente dalla festa di Pesah, quan- do egli «si ergera sulla vetta del Monte Sion»* Limmagine del vento impetuoso @ «terribile» (poBepdg) che agita le acque primordiali dalle quali sorge il Redentore celeste EZIO ALBRILE 79 nelle sembianze di 2oy6g 0 vos (dalla forma serpentina @ comune nel linguaggio simbolico della gnosi sethiana:* cosi nei Perati I'a- bisso fluidico é «procreatore di Titani», e ancora di piti nei Sethiani di Ippolito” e nella Parafrasi di Séem di Nag-Hammadi* dove nella Tenebra acquatica e spaventosa, immagine della «matrice impu- ra», si manifesta il principio noetico, cio’ il «Dio perfetton,” tére0g Be0g, il Dio finale identico al Salvatore cosmico. Un altro testo gnostico-sethiano di Nag-Hammadi, Y'Apocalisse di Adamo, ha dei sorprendenti paralleli con la visione di Ezra: si tratta della descrizione ~ cioé ’anabasi /catabasi - del Messia che sorge dalle acque, ascende al cielo, e trova rifugio su di un monte.” Entrambi i testi tradiscono un influsso iranico: si tratta del classico mitologhema mazdeo — di cui ho parlato dif- fusamente in altri miei lavori® — del Saoxyant- (pahlavi Sasans), il «Benefattore futuro», il Salvatore futuro che si manifesta sul lago Kansaoya,* una figura escatologica «la cui forma é il Sole», xwarsed kirb,” la quale rivela sulle acque la propria essenza lumi- nosa. I] monte su cui trova rifugio il Salvatore/Messia é inoltre legato ad una serie di tradizioni iraniche che sfociano nelle leg- gende cristiane sui Re Magi e sul Mons victorialis, il monte salvi- fico, sede di taumaturgia, che nell’epopea firdusiana ospita I’in- domito Zal, versione neopersiana dell’onnipresente Dio del Tempo Zurwan. Infine, l’immagine del Messia nella visione di Ezra, che dalla montagna su cui é salito annienta i nemici som- mergendoli in un fiume di fuoco, evoca un altro episodio saliente dell’apocalittica iranica di cui @ protagonista Mar Gotihr, il Drago lunare:* alla fine dei tempi le fiamme proma- nanti dal suo nimbo infuocato faranno liquefare il metallo di Sahrewar (< X$a0ra vairya) racchiuso nei monti ¢ nelle colline, fornendo cosi il fiume di metallo fuso necessario a sterminare i peccatori e quindi a purificare I’umanita dal male. Insospettabilmente I’epifania visionaria del Tempo, iposta- tizzata in forma umana, si ritrova in Giovanni di Patmos: egli ritiene che Gesii, dopo I’ascensione celeste, si sia trasmutato nel 80 GLI ARCONTI DI QUESTO MONDO. Figlio dell’Uomo, identificandosi al kabéd , la Gloria luminosa di Dio. Il Messia Agnus dei di Apocalisse 14,1 in piedi sul Monte Sion, nel resoconto visionario di San Giovanni si trasforma in una figura umana che estende il proprio dominio cosmico in senso spazio-temporale: Kai i8ob vegén Aevech, Kai éxi thy vepédnv Kadipevov Bporov vidy avdednov, Exev Eni cfg Kea &b70d orégavov ypooodv Kai év th xerpi adtod Spénavov dE. .. ed ecco una nube bianca, e assiso sopra alla nuvola, uno simile a Figlio d’Uomo, il quale recava sul capo un diadema aureo e nella mano una falce tagliente».* Liiconografia della falce affilata nelle mani del Saloator mundi, con la quale egli «miete Yuva della collera di Dio» evoca Vimmagine di Xpévog - Saturnus nelle vesti di un inesorabile Dio del Tempo, versione ellenistica del’implacabile Zurwan irani- co.” Tale sovrapposizione tra il giudeo-cristiano ed ellenistico Messia-Kocpoxpétwp* ricorre in un’altra sequenza dell’ Apocalisse giovannea, che segue ed amplifica la tradizione visionaria di Ezechiele, e nella quale le due figure, I’Adamo cele- ste ed il «Vegliardo» dai capelli bianchi coincidono in un unico personaggio, esi, lo dpotov vidv avOgenon vestito di una lunga tunica che reca sul dorso una cintura d’oro. Egli ha una chioma bianca come la neve e la lana pitt candide, ed i suoi occhi risplen- dono come fiamme di fuoco.” La visione di Giovanni & fortemente intrisa di elementi apo- calittici giudaico-ellenistici, ed in parte iranici; nondimeno un‘a- naloga tipologia estatico-visionaria (ed onirica) si ripropone nella tradizione mistica alessandrina. Un documento importan- te a riguardo @ la Exagage di Ezechiele il Tragico, un autore giu- daico-ellenistico la cui opera @ frammentariamente tramandata nella Praeparatio evangelica di Eusebio di Cesarea. $i trata di una specie di rivisitazione drammaturgica dell’ Esodo, in cui l’autore EZIO ALBRILE 81 descrive un’esperienza visionaria nella quale Mosé vede sulla cima del Monte Sinai un grande trono che si innalza sin nelle profondita del cielo (odgavod nrvx6c): Il siede un Uomo (grt < (6) @%s) indiademato che nella mano sinistra reca un grande scettro. L'Uomo & certamente I’Adamo luminoso di Ezechiele 1,26, la gloriosa e splendida manifestazione di Dio in sembianze umane. Con la destra I'uomo celeste fa cenno a Mosé di avvici- narsi e gli consegna lo scettro. Poi invita Mos? stesso a sedere sul grande trono porgendogli il diadema regale. Cosi intronizzato Mosé contempla I’intera ecumene, le regioni infere e quelle che sovrastano il cielo, egli in altre parole acquisisce 'identita di Kosmokrator il cui potere si estende su terra, cielo ed inferi, cio sullo ierocosmo intero: quale tributo, ed atto di sottomissione, una moltitudine di astri cade ai suoi piedi (tt xAiWog aotépov mpdg yoouoto Exixt’) e sfila di fronte a lui come si trattasse di un esercito in parata (KépLol mapfiyev ¢ nupepBori Bpotdy)."" La visione di Dio in sembianze umane implica quindi una deificatio, concezione in parte estranea alla mentalitd giudaica. Nella figura dell’Uomo, d 06s, assiso sul trono cosmico, conflui scono ~ come nel caso del Gesii giovanneo - le due immagini dello ‘attiq yomayya - Aidy e del bar ‘enas di Daniele: cid signifi- ca che l’aspetto aionico e I’aspetto soteriologico del tempo coin- cidono nella figura del Messia - Koopoxpétap sintesi di istante e di eternita, di giovinezza transitoria e di «vecchiaia> infinita." B Venigma gnostico in cui @ celata la possibilita di emancipazione dalla ciclicita del tempo: verisimilmente le ruote del carro colme di «spirito», rvah, nella visione di Ezechiele® alludono a questo: nel loro apparire in forma di gemme dai colori cangianti, iridate, esse rappresentano il fluire del tempo quale caleidoscopico ed inesorabile mutare del divenire sidereo; liberarsi da questo invi- luppo cosmico* corrisponde cosi all’acquisizione del potere regale sul tempo. La percezione del kabad di Dio si @ quindi tra- slato in un altro milieu culturale, quello alessandrino. 82 GLI ARCONTI DI QUESTO MONDO. i. Filone Alessandrino nella sua monumentale opera sostiene ripetutamente che l‘uomo é immagine («az’ eixdve) del Logos, vera eixév di Dio.” In cid egli si riallaccia ad una tradizione ese- getica giudaico-ellenistica (alessandrina) incline ad interpretare i due uomini di Genesi 1,27 e 2,7 quale antitesi tra I’ Adamo celeste e l’Adamo terreno. Di fatto le Quaestiones et solutiones in Genesim di Filone pre- sentano non pochi problemi di traduzione e di interpretezione, poiché la quasi totalita del testo greco originario é andato per- duto, e cid che rimane é una versione armena dello stesso pub- blicata (con traduzione latina) nel 1826 da J.B.Aucher, e pit recentemente tradotta in inglese da Ralph Marcus, ed in fran- cese dall’abate Ch.Mercier.” Motivazioni filologiche e testuali fanno ritenere con certezza che la versione armena trascriva il senso originale dell’opera, tranne in pochi punti, dove il testo greco utilizzato dal traduttore armeno era corrotto, ambiguo, 0 inusualmente oscuro. Dell'intera opera @ fondamentale il passo dove si discorre dei due uomini creati in Paradiso: «.. qualcuno, credendo che il Paradiso sia un giardino, ha detto che siccome I’uomo creato é di natura sensibile, giusta- mente egli dovrebbe dimorare in un luogo sensibile, mentre Yuomo secondo I'immagine 2 intelligibile e invisibile,ed appar- tiene alla categoria delle idee* incorporee. Da parte mia, pero, direi che il Paradiso dev’essere inteso come simbolo della Sapienza...» Questa tradizione esegetica & molto antica, e pud aver tratto origine dalle speculazioni mistiche sull’Uomo celeste inteso come personificazione di Dio: come s’é detto, I’Antico Testa- mento parla di due Adami, uno celeste ed immateriale, l’altro corporeo e terreno. E quindi logico che le cerchie mistiche giu- daico-alessandrine abbiano identificato la manifestazione di Dio in forma umana descritta dal profeta Ezechiele, con I’«idea di EZIO ALBRILE 83 uomo» di impronta platonica. Dio e Uomo appaiono quindi asintotici, strano e paradossale mélange di mito giudaico e filoso- fia greca. A dire il vero Platone non si é mai pronunciato sull’e- sistenza 0 meno nel mondo iperuranio di un‘ipotetica «idea di uomo». Nel Parmenide perd, fa parodizzare dall’Eleate stesso la concezione di un ei8og &v8emnov un’«idea di uomo» che dovrebbe esistere separata (zapic) dal resto dell’umanita.” In svariate fonti medio- e neo-platoniche si discute la natura eidetica dell’uomo. Ovviamente la tradizione platonica alessan- drina non é estranea a queste speculazioni : nel Didaskalikos del medio-platonico Alcinoo leggiamo che «l‘idea considerata in rap- porto a Dio, rappresenta la sua intellezione»® Gott d& f Wéa dg lev mpd¢ Dedv vonoig adtod); la tematica doveva essere molto dibattuta, visto che Plutarco aveva consacrato un trattato, oggi perduto, proprio al dilemma del dove fosse il «luogo delle idee».” Alessandro di Licopoli, il filosofo «semicristiano»* ultimo araldo della scuola platonica alessandrina, fa riferimento a que- ste problematiche quando confuta il mito manicheo sulla crea- zione dell’uomo:" la mitologia greca conosce numerosi racconti e tradizioni sulla nascita dell’uomo, molto pitt bizzarri e straor- dinari di quelli narrati da Mani,* ma Alessandro di Licopoli trova inconciliabile ed assurdo nel mito manicheo il suo senso letterale, privo di una qualsivoglia allegoria che rinvii ad altro, ad un‘immagine veritiera del mondo eidetico. Nessun insegna- mento edificante — secondo Alessandro — si pué trarre dall’affa- bulazione di Mani, questo per un motivo essenziale: 'idea gno- stica della creazione dell’uomo da parte degli Arconti, che ne plasmano la forma copiando I’immagine apparsa loro nel Sole (kate thy doeicav év HAi@ eixdva) *non é altro che una rivisi- tazione maldestra della esemplarita eidetica in Platone. La criti- ca di Alessandro inerisce la nozione di «immagine» (eixéy) inte- sa nel senso platonico di doppio fenomenico di una realta intel- legibile: I'uomo empirico @ in questa prospettiva la copia o il riflesso dell'uomo in s@, dell’«idea di uomo» che in rapporto 84 GLI ARCONTI DI QUESTO MONDO all'individuo corporeo @ un «archetipor (&pzetomoc)” 0 un «modello» (napéSerypa)*. A questo intende riferirsi Alessandro quando parla dell’«uomo reale», cio’ dell’«uomo che esiste real- mente»,” 6 dv &vOeanoc. Filone Alessandrino® commentando il fatidico passo di Genesi 2,7 nel quale si parla dell’Uomo plasmato dalla terra (yf) sottolinea la differenza che esiste tra ’uomo cosi foggiato (Thaodévtog &vOEMnov)" e quello generato ad immagine di Dio (ty eixdva. deod yeyovétog)® di Genesi 1,27 : mentre il primo & un’entita somatica dotata di anima e di sensi, di nature mortale, polarizzato sessualmente (maschio o femmina), il secondo, V Adamo celeste, @ 6 8& Katé& thy eixdva idéa®, cioe é un’idea di «natura incorruttibile», &pdaetos pboer.* Ma lesegesi giudaico-ellenistica (alessandrina) dei due Adami ha radici lontane: gli gnostici Valentiniani insegnano che il Demiurgo omicida, nella sua ignorante unicita, crea i cieli senza sapere cosa sia il mondo celeste, il xA*{pap. luminoso, pla- sma Adamo senza aver nozione dell’Uomo ipercosmico, e crea la terra senza sapere cosa sia veramente la terra. In tutto questo arrabattarsi cosmogonico egli «ignorava le idee di cid che face- va», iryvonkévar ardtv tas iSéag dv Enoier. E il tipico «rovescia- mento di prospettiva» nell’esegesi gnostica della Septuaginta di Genesi 1,1-3 secondo cui prima Dio cre6 un cielo spirituale ed una terra celeste, in seguito contraffatti dal Demiurgo omicida.* E importante sottolineare come nella apy genesiaca |’ele- mento primigenio (da cui scaturisce la creazione) non @ la Luce, bensi la Tenebra: su di essa Dio enuncia il fiat lux, il TevnOqto 9G, dove la parola chiave & 6 pag «Uomo», e non td as, «Luce». Interpretazione attestata anche dall’autore della Cohortatio ad Graecos, falsamente attribuita a Giustino, il quale facendosi portavoce del metodo esegetico gindaico-alessandri- no, parla di un tdv pev npdtepov dvopacdévre dévOewnov" creato dopo il cielo e la terra; ed a sostegno della sua interpretazione lo Pseudo-Giustino cita ancora un passo dell’Tliade omerica: EZIO ALBRILE 85 Koohy yap 5h yatav Gerxiter pevectvov.* Un’ermeneutica visionaria che presuppone una certa fami- gliarita con la damit kamareh adam di Ezechiele, che @ sia Luce che Uomo, e la cui origine é certamente da rintracciarsi nelle cer- chie gnostico-giudaiche alessandrine. Tale interpretazione misti- ca, attestata in seguito nei targumim e nei midrasim, @ ben pre- sente a chi traduce nei LXX la visione di Ezechiele, poiché la fati- dica damiit kamaréh adam in greco diventa dpotapa ag é8o¢ &v8penov, «uno simile all’idea di Uomo»,* pedissequa citazione della et80g avdgdnov del Parmenide platonico.” La sovrapposizione tra l’Adamo celeste di Ezechiele, e l’'idea platonica di Uomo é esplicita nei precursori di Filone, che distin- guono nettamente tra una étxéy, intesa quale Uomo ideale, ed una Ket’ eixdve, concepita come uomo empirico. In un docu- mento valentiniano che ha I’aria di essere molto antico, la cosid- detta Epistola dogmatica, nella finitudine primordiale, il Silenzio, Euyf, attua con lo “AvOgwnos I’unione con la Luce, generando nello splendore sorgivo I’Eone “AAjOe1e, «Verita»,” affinché la Luce, androgina come I’Uomo, si possa dividere tra elemento maschile e quello femminile. Secondo lo gnostico Saturnino d’Antiochia (II sec. d.C.), il kabéd/* lo “Avdpanog splendente, nel sembiante di «una lumino- sa immagine dal sommo potere» (desursum a summa potestate lucida imagine apparente)” disvela se stesso ai sette angeli creatori del cosmo: é l’esegesi «rovesciata» di Genesi 1,26 che si trasforma in una catastrofe antropogonica, poiché gli angeli non potendo trattenere immagine lucente apparsa nei cieli, plasmano un uomo che non puéd reggersi in piedi e quasi vermiculus scarizaret. Liimmagine dello Avdgenos celeste diviene quindi il modello dell’involucro somatico di Adamo. Sembra una rivisitazione piuttosto antica del mito platonico sull’esemplarita eidetica e divina, noto nella gnosi e nell’ermetismo in molteplici interpre- 86 GLI ARCONTI DI QUESTO MONDO. tazioni. E ben presente a Mani, il fondatore della «Religione della Luce», che lo trasforma a fini mitopoietici: nel mito mani- cheo I'Uomo celeste, archetipale e perfetto, ha smarrito la pro- pria virgo Iucis (medio-persiano kanig rds) cio’ la propria lumi- nosa identit femminile, Vanima viva (medio- persiano griw zindag) che deve reintegrare in se stesso; nel mito, perd, 2 il Legatus Tertius, il Narisahyazd delle fonti medio-persiane, che disvelando le proprie forme agli Arconti” rende possibile la crea- zione dell'Uomo plasmato a sua immagine, evento nel quale concorda la mitografia manichea compendiata in Alessandro di Licopoli. Filone sottolinea pitt volte nella sua opera” come I'Uomo celeste sia sessualmente indifferenziato, né maschio e né femmi- na: bersaglio della sua polemica sono le interpretazioni, diffuse in ambito alessandrino, che asseriscono come I'Uomo divino, VAnthropos celeste, sia androgino: «maschio e femmina li cred» dice Genesi 1,27, odxét’ adtév, ahd’ «arrtodg» enupéper min dvvtveds. Quindi non pitt «lui» ma «esi» enunciato al plu- rale.* E interessante sottolineare come una variante esegetica del testo filoniano sia rintracciabile nelle giudeo-cristiane Omelie Pseudo-Clementine: Ato Kai d &v yewntoig yovenKdy mpatog Avev, eita o év vioig avoednwV debtepog EnAAdEV.” Da rilevare come le interpretazioni rabbiniche seriori, riguar- danti l’androginia dellUomo primigenio, dipendano proprio da questo milieu esegetico gnostico- alessandrino. Lo "AvOewnog androgino, che al medesimo tempo é «Figlio dell'Uomo», compare nella Lettera di Eugnosto di Nag-Hammadi, un documento gnostico di probabile origine alessandrina”* in esso lo splendore ineffabile che promana dal Padre trascendente sirivela in un «Uomo androgino», il cui nome maschile é «gene- rato, [vot<] perfetton,” mentre quello femminile @ névoogos EZIO ALBRILE 87 copia yevéterpa «onnisciente genitrice Sophia».® Ovviamente la tradizione @ pre-filoniana, e lo iato con il pensiero del filosofo-esegeta alessandrino é notevole. Filone, da buon razio- nalista, tende a definire I'uomo con categorie logiche, cio’ come ‘un’entita asessuata. Ma i suoi predecessori, pit drastici ed «anti- clericali», la pensano diversamente e propendono per un’esege- si assoluta e radicale su due punti fondamentali: da un lato con- siderano la polarita maschile-femminile, ed il mysterium coniuc- tionis relativo, come esistente fin dall’inizio in Dio, e dall’altro ritengono - platonicamente - I’«idea di Uomo», la eiBog avopo- nov, dimorare da sempre nella mente divina. Queste, per sommi capi, le basi speculative delle cerchie sapienzali giudaico-elleni- stiche, il cui punto di riferimento é quell’universo multicultura- le, apice della sapienza antica, che fa capo alla citta di Alessan- dria d’Egitto. Vv. Ispirato dalla religiosita cosmica dell’Egitto antico, in partico- lare dalla teogonia eliopolitana che disquisisce con spregiudicata liberta sulle vicende sessuali dei propri dai, ’Asclepio ermetico™ espone teologicamente il mistero dell’unione sessuale,* che l’au- tore enfatizza come «mistero della riproduzione eterna», aeter- num procreandi mysterium.® La scaturigine di questo arcano sta nel cupiditas amorque divinus innatus est" poiché la divinita si manife- sta nella natura maschile ed in quella femminile in seguito all’u- nione dei sessi: utraque sexus fecunditate plenissima.© Nel complesso itinerario sincretistico-religioso che porta alla genesi dello gnosticismo , si pud ipotizzare V'integrazione e la sovrapposizione tra questa imagerie a sfondo sessuale e la visio- ne del kabod inteso quale Gloria ipostatica di Dio, il cui esito é la teofania Luminescente dell’Anthropos sintesi di splendore e di androginia divini. Di fatto lo gnostico Valentino ~ Papa mancato ~ approva il matrimonio e I’unione sessuale: egli sostiene che 88 GLI ARCONT! DI QUESTO MONDO l’«accoppiamento», svgvyia, @ il riflesso terreno, corporeo e fenomenico, delle «emanazioni divine», le Sei@v mpoBorGv ori- ginarie. La complementarieta dei sessi, espressione della totalita insita nel divino, si manifesta dunque per Valentino nell’Eone androgino "Avieanog ed ’ExxAnota, versione eidetica del «amistero della camera nuziale». Il concetto é alla base dell’antro- pologia gnostico-valentiniana: gli elementi spirituali abbando- nata l’anima, accompagnati dalla Madre celeste, si congiungono con il proprio sposo-angelo” ed entrano nella «camera nuziale», vojp@ve,, dove si trasformano in «Eoni noetici», Ai@ves voepoi, celebrando le «nozze noetiche ed eterne”, voepodg Kai aiavioug yopos, della ovtvyio.* Un testo a coloritura pitt «sethiana», il Vangelo di Tomaso (logion 22), incline ermeneuticamente al trascendimento della differenziazione sessuale, non va lontano dall’esegesi valentinia- na (ed in parte filoniana) quando sostiene che: «... quando del maschio e della femmina farete un unico essere, sicché non vi sia piti né maschio né femmina... allora entrerete nel Regno».” I medesimo logion gnostico @ citato in Acta Petri, nel contesto della crocefissione «rovesciata» di Pietro:* il npatog &v8eenoc fu creato in posizione eretta, Adamo con il suo peccato capovolse, sovverti l’ordine voluto da Dio; crocefisso con la testa rivolta in basso, Pietro diventa l’immagine di questa natura decaduta che vede tutto rovesciato: colui che ha ristabilito l’ordine primigenio @ Gest Cristo e la sua otadpaoig. La menzione del logion gnosti- co, enunciato come j:votiptoy, @ quindi il corrispondente gno- mologico del «pensiero», évvowe, e della «figura», oxfua, che i credenti vedono contemplando la crocefissione; esso rappresen- ta il ripristino delle condizioni iniziali, pre-lapsarie, in cui si manifesta ai fedeli «l'immagine dell/Uomo che nacque per primo (yéveow yopicavtoc)”. EZIO ALBRILE 89 La Gloria di Dio, lo splendore sorgivo, il kabéd , fa propria in ambito alessandrino la tipologia dei misteri orfici. Secondo la tradizione orfica, Dioniso 0 Zagreo,” mentre si osserva autocon- templandosi in uno specchio, viene sopraffatto dai Titani, che ne dilaniano con ferocia il corpo. Nell’alveo di questa tradizione cruenta si pud ascrivere inoltre il motivo dell’Orfeo decapitato, del quale da notizia V’erudito scoliaste bizantino Giovanni Tzetze.” Tornando al nostro mito, Zeus per punizione sopprime i Titani, e dalle loro ceneri crea l’uomo. Pit recentemente sullo sfondo della metafisica neoplatonica, questo mito viene applica- to alla mnyata yoxn, l’Anima mundi frantumata e dispersa nelle anime individuali. Le cerchie ermetiche utilizzano la tematica dell’‘immagine riflessa nello specchio in diversi contesti: cosi nel Poimandres il Notg-Luce, Padre del Tutto e principio androgini- co universale* crea un &vOpenog che in realta @ la sua stessa immagine,® eixdve. Questo &vOewnog si riflette, come in un specchio, nelle acque inferiori, e disvela l'immagine di Dio alla odors. In un trattato gnostico-sethiano di Nag-Hammadi, V'Hypostasis Archonton, il kabod lucente personificato nell’Immortalita, proietta la propria ombra sulle acque del Chaos primigenio: su di esse «apparve la sua immagine, e le potenze delle tenebre se ne innamorarono»;* evento che ha un parallelo nello et8mAov év ty bAn, un’ «immagine nella materia» che secondo gli Gnostikoi di Plotino” illumina le tenebre, e dalla quale tramite un processo esasperato ed iperbolico di riflessione, e di duplicazione di «immagine di immagine» nasce il Anjnovpydg gnostico. Il mitologhema ha una variante significati- va nel resoconto che gli Acta Archelai danno del sistema di Basilide gnostico, dove la fisionomia dell’Anthropos si sovrap- pone ad un altro personaggio pleromatico, la Sophia, la Sapienza originaria e divina, che nelle sembianze della Luce Primigenia si riflette specchiandosi nelle Tenebre abissali.* 90 GLI ARCONTI DI QUESTO MONDO. v. Visionario e alchimista, il «santissimo» Zosimo di Panopoli nel commentario Sulla Lettera Omega interpreta la pericope di Genesi 2,7-8, dove Dio plasma I’Adamo corporeo e lo pone in Paradiso, quale dualismo antropogonico che oppone I’uomo car- nale a quello spirituale. In cid non si discosta dalla tradizione esegetica gnostico-alessandrina: Zosimo difatti argomenta che Uomo spirituale, menzionato come a¢, «Uomo», cio® la Gloria, il fulgore divino ipostatizzato, dimora «nel giardino attraversato da un dolce venticello»” v t@ nopadeto d1e- nveo.év@). Lantropomorfismo si @ quindi trasposto da Dio alla sua munifica e gloriosa manifestazione in forma di Uomo; even- to parallelo al Poimandres ermetico dove 6 8& navtwy ndtnp 6 Nods, dv Goh Kai pi, axexonoev “AvOponov abt) tov, «il Nous, Padre del Tutto, che é Vita e luce, generd allora Anthropos, a lui simile», ossia concepi nel mondo intellegibile, nel cosmo pleromatico, I’ «idea di uomo», 1 eiSog tod “Aviganov." Di con- seguenza, prosegue Zosimo, la eijapjtévn, personificata negli ot Gpxovtes," sorta di creature inferiori, demoni astrali veicoli del fato, persuadono 4x ad indossare il corpo dell’ Adamo terreno «plasmato dalle loro mani»™ évddcacdar tov 200" evi Gv Ad) legando cosi és agli inesorabili lacci del divenire. Si ripresenta quindi il mitologhema gnostico che narra la creazione/plasma- zione dell’Adamo somatico, e limprigionamento in esso dello avedc luminoso; a questo si associa il tema del Deus patibilis, cio@ della «scissione del divino» come la chiama G.Quispel,"" ascrivile ai misteri orfico-dionisiaci"® e qui trasfusa nella tradi- zione gnostico-giudaica. L’Orfismo ha dato un contributo notevole, anche se non deci- sivo™ al formarsi dei modelli espressivi ed esegetici cari alla gnosi alessandrina. Secondo gli Orfici, Zeus @ un grande Dio, di dimensioni enormi, in cui si compendia il tutto: Zebg Kegan, (Zev pésole, Atdg 8° &k névea. térvKtoR. EZIO ALBRILE 91 «Zeus il capo, [Zeus il centr]o, da Zeus il tutto & creato»."” Cosi recita il Papiro di Derveni. Divinita androgina, Zeus & sia maschio, che ninfa immortale», e possiede un corpo cosmico «fondamento della terra e del cielo stellato»,* a ragione pud quindi essere definito un Makroanthropos . Questa imagerie divina @ applicata a Serapide/Osiride in ambiente egiziano prima del IV sec. a. C. . Lo testimoniano i Saturnali di Macrobio: l’autore latino, discorrendo dello straordi- nario culto (paene attonitae venerationis observat) tributato ad Iside ed a Serapide in Alessandria d’Egitto™, sostiene che al simulacro del dio @ unita immagine di un Aidv tricefalo," dai volti di lupo (il passato), di leone (il presente), e di cane (il futuro), rac- chiusa nelle spire di un gigantesco serpente. Quale attestazione della potenza ed onniscienza di Serapide Aegyptii deum maximum prodiderunt,” Macrobio cita poi un oracolo che il dio ha rivelato in sogno a Nicocreonte re di Cipro (morto nel 311 a.C.),"" dove Serapide stesso si manifesta in sembianze macroantropiche: _odpévtog KOG}I0G KEPAAH, YaOTHP dE Déihacoa, yore SE j1or nodec eit, to 8° obat” ev aidépr Keteen, Spyo BE tmhavyés RapRedv 60s HeAoro. «.. la mia testa 2 il mondo celeste, il mio ventre il mare, i miei piedi la terra, ed i miei orecchi sono nell’aria, il mio sguardo che splende da lontano é la Luce scintillante del Sole». Antropomorfismi e suggestioni orfico-gnostiche che proba- bilmente sono alla base di un testo cardine della mistica giudai- a, la Si‘ur qomal, la «Misura della Statura», un componimento enigmatico recentemente ricostruito ed edito da M.S.Cohen," nel quale si enunciano le membra del corpo del kabod divino. Opera di forte carica simbolica, la Si‘ur qomah trasporta il lettore in un ambiente iconico e religioso per molti aspetti sorprenden- te: la statura di cui si parla é naturalmente quella di Dio, la glo- 92 GLI ARCONTI DI QUESTO MONDO. riosa manifestazione in forma umana del kabod, descritta con una minuzia estrema di dettagli fisici, tale da produrre nel letto- re un effetto fortemente straniante: ripetere il nome di una delle membra divine significa di fatto impossessarsi del suo potere, trasformarsi interiormente e coscientemente in quella stessa parte del personaggio pleromatico, diventando in altre parole parte del macroantropo eidetico. Il linguaggio simbolico della Si‘ur qomah & certamente la fonte ispiratrice della grandiosa e sublime rappresentazione cab- balistica dell’Adam qadmon, ! Adamo primigenio. Ma non sol ritroviamo infatti le intuizioni antropomorfiche della Si‘ur gomah in alcune sequenze del Sefer ha-zohar, meglio conosciuto come Zohar, il «Libro dello Splendore»’ insostituibile opera dell’ecclet- tismo cabbalistico medievale,* dove per esempio la figura immobile assisa sul trono celeste si sdoppia in due rappresenta- zioni distinte, chiamate Arik anpin, «Dal volto lungo», e Zeer anpin, «Dal volto piccolo» (ovvero, in senso traslato, il «Longanime» e I’«Irascibile»), che stanno ad indicare due gradi del divino. Queste entita sono descritte in dettaglio, con partico- lare indugio sui tratti del capo, in allusione al mistero del dina- mismo sefirotico-emanativo" di impronta chiaramente gnosti- co-orfica. VI. Una fase intermedia nello sviluppo di questo linguaggio simbolico, sospeso tra antropomorfismo orfico e misticismo gno- stico-giudaico, si trova nella cosiddetta «Predica dei Naasseni» — come la defini I'impareggiabile Richard Reitzenstein -, un docu- mento trasmesso da Ippolito nella sua Refuutatio" che compendia miti e tradizioni di area greca, ebraica, babilonese ed iranica, inclini a presentare la dottrina gnostica sulla catabasi/anabasi dell’Anthropos celeste quale espressione ultima di una fede arcaica, immutabile ed eterna, e soprattutto non cristiana. EZIO ALBRILE 93 Nella «Predica dei Naasseni» si possono discernere tre fon- damentali linee di sviluppo:" un «Inno ad Attis» glossato da un commentario pagano; una sorta di «Trattato sull’Anthropos» vergato probabilmente da uno Gnostikos ad Alessandria d’Egitto pit o meno nel 100 d.C.: in questa seconda fonte si narra di come V'ecumene intera venererebbe inconsapevolmente I’'Uomo androgino ed archetipale: tutti gli uomini infatti ospitano in se stessi un frammento luminoso, lo nvetja, appartenente all’Anthrdpos originario frantumatosi in illo tempore. L'ultima fase di sviluppo del documento naasseno potrebbe essere infine la rielaborazione del tutto, fatta da un ignoto autore valentinia- no forse nella Roma del 180 d.C."" Il redattore della seconda fonte si serve di un linguaggio diretto e senza sottintesi — in sin- tonia con le rappresentazioni della Si‘ur gomah — enunciando in termini parecchio espliciti le membra del Makroanthropos quali la testa, la bocca, le mani, il ventre, il fallo..., nell’intento di susci- tare nel lettore uno stato di empatia con I’immagine dell/Uomo archetipale e originario, e quindi ricondurre la coscienza ad una condizione di purita primigenia. Il corpo di Adamo secondo il nostro autore é stato foggiato quale eixdv dell’ «Uomo superio- re» (&v@ &vOednov) I’Anthropos eidetico che un ignaro citaredo ha «cantato sotto il nome di Adamas». Il «grande Uomo dal- Valto», lo 6 péyac &vOpanog &vordev, il grande Anthropos padre del tutto, @ vincolato, soggiogato per mezzo della Yoxh, l’Anima, e rinchiuso fatalmente nell’involucro somatico.™ Quando l’uomo terreno si dibatte nell’angoscia e soffre in balia delle passioni pid infime, é ’Anthropos cosmico che soffre assie- mea lui.” Lo stesso Mani aveva ben presente queste dottrine sullo “AvOeomos quando concepi, in forma di affabulazione mitologi- ca, il grandioso dramma cosmogonico del principio luminoso caduto in balia delle Tenebre. Il suo Uomo archetipale e primi- genio, il mpdtog &vOeanog in siriaco ‘naia qadmaya, che nel mondo iranico assume la fisionomia di Ohrmizdbay, il «Dio 94 GLI ARCONTI DI QUESTO MONDO. Ohrmazd», @ inghiottito dalle potenze delle Tenebre, e la sua Anima imprigionata, «crocefissa» nella in, Nella visione mani- chea @ Dio stesso che soffre, il Jesus patibilis, *I80‘-gyan:™ la sostanza luminosa é oppressa nel cosmo arcontico, affitta e lace- rata dalle passioni e dal male, cid avviene, secondo leresiologo Tito di Bostra, poich?: Tod yap puotds Svtog RaDNTOd kai adtog &v ein nadntds, ob% Erepog dy nape % pc... Lomologia tra Dio, Luce e Redentore celeste, conduce ad una situazione paradossale ed estrema, che si spiega con I’in- consueta asserzione, formulata negli Atti dei Martiri Persiani Acepsima, Giuseppe ed Eitala, nella quale é ribadita I’idea della passione antropocosmica di Dio: "Erohornopnoe Mévng Kai dnéxcewvey ov Dedv adtod™, La sofferenza dell’Anima e la morte dell’uomo intesa come estinzione dell’involucro somatico corrispondono alla «sigilla- zione del Dio cosmico», cio® all’agonia del Makroanthrépos cele- ste dilaniato nel mondo: é la otocopmarg del Jesus patibilis «sospe- so ad ogni albero», come riferisce Sant’ Agostino.” Secondo un testo manicheo in medio-iranico (partico), il noto «Frammento di ZarathuStra» che Reitzenstein con un abbaglio credette autenticamente zoroastriano,”” la liberazione dalla $4n oscura giungera accompagnata da un allegro squillo di tromba (damed sifor sadgar) che annunziera I’«adunata delle anime verso la salvezza» (amwarded gyanan 6 boy-);* questo suono adamanti- no é il Logos, la Parola vivente, il «discorso puro che fa da guida all’Anima che @ nel corpo», saxwan pawag ¢@ wxad ast wadag 5 gyan ké pad tanbar.” EZIO ALBRILE 95 idea @ parallela, se non speculare, a quella gnostica della ovaréyer ta éAn la «raccolta delle membra»,™ ossia la ricom- posizione dei frammenti di Luce macroantropica inghiottiti e dispersi nelle Tenebre. La figura del Gesii cosmico™ si sovrap- pone quindi alla Yuy dei Naasseni, che «non conserva mai la stessa figura, la stessa forma»' (ob yap péver Emi oxhpatog dS jLopgijs), ma é disseminata nell’universo intero. Monoimo I’Arabo, al quale Ippolito dedica una sezione della sua Refutatio, non @ conosciuto in altre fonti se non in Teodoreto. di Ciro,"* che probabilmente trae le sue informazioni dallo stesso Ippolito. La sua dottrina ha molto in comune con i cosiddetti «sistemi triadici» della gnosi ofitico-sethiana, confutati nel quinto libro della Refutatio. Come i Naasseni anche Monoimo distingue fra un Uomo ingenerato (&yévntov), incorruttibile (G@baetov) ed eterno (Gidiov) che é la fonte del Tutto (kvoewnov eivat 10 nav ot &exh tv dAev), ed un Figlio dell'Uomo, generato (yevntév), capace di soffrire (nadntdv), nato dall’eternita (%xpovag yevdpevov), privo di volonta (oBovartac) indefinibile, (angoopictac)."* L'Uomo iniziale @ inteso come un’entita eidetica, la tedeiov dwv0ednov jieyiotny eixve, la «grande immagine dell’'Uomo perfetto» concepita quale pure monade indifferenziata, uno iofa indistinto «immagine di quell’Uomo invisibile e perfettor (gotiv sixov tod tedetov &vOednoD exetvon tod Gopétov) . val. Quando San Paolo nomina Gesit quale ultimo Adamo e Messia escatologico, lo fa usando i moduli espressivi della Chiesa di Gerusalemme"™ e dell’Apocalisse giovannea. Paolo non menziona mai Gesti come «Figlio dell/Uomo», bensi come «secondo Anthrépos»,"” riallacciandosi ad una tradizione esege- tica testimoniata e tramandata fra gli altri da Ezechiele il Tragico e da Zosimo di Panopoli.!® 96 GLI ARCONTI DI QUESTO MONDO. Nella Lettera agli Efesini Paolo (0 chi per lui) definisce) la Chiesa (ExxAnoia)come il Corpo di Cristo:" essa @ il nanpope. che colma il tutto, e che si irradia spazialmente ai suoi membri disseminati in cielo ed in terra. Indubbio sembra il raffronto con il motivo gnostico-valentiniano del congiungimento celeste tra gli éuvec Anthropos ed Ekklesia , ma di pitt si impone il paral- Ielo con il linguaggio simbolico della e di conseguenza con i modelli visionari della Si‘ur qomah, nei quali Vimmagine macroantropica che si estende nello spazio cosmico assume la fisionomia dell’ Adamo primigenio. Si pud ritenere che in cid San Paolo sia stato influenzato dalla dottrina orfica sul corpo cosmico di Dio, naturalmente la cosa & pitt complessa, e-gli apporti speculativi nell’epistolario paolino sono certamente molteplici: basti ancora citare un passo della Lettera ai Colossesi dove si legge che Uomo nuovo» (véov GvOewnov) si «rinnova conoscendo |’immagine di chi I’ha crea- to»'® (avaxarvoopevoy eis éxtyvwow Kat’ eixdva tod Kticavtog «bt6v). Implicito @ il riferimento neoplatonico, quindi giudai- co-ellenistico, all’«idea di uomo», la etSog &vdgdanov modello ed archetipo celeste dell’uomo terreno. Altrove Paolo descrive il Cristo come Advayig e Eopic di Dio:"* @ evidente Vallusione a Gesii quale entita androgina e, di riflesso, alla concezione gnostica dello "Avignos eidetico. Nella gia menzionata Lettera di Eugnosto di Nag Hammadi, il Figlio dell’Uomo @ al medesimo tempo maschio, Tevérap, e femmina, Zooia, e disvela la sua essenza androgina manifestandosi in un mirabile e sublime, grande aidv luminoso."® Questi, ed altri paralleli esegetici, confermano l’ipotesi per cui la terminologia paolina — come intui Reitzenstein — dipende da una koiné misterica di area ellenistico-alessandrina: una temperie culturale evocata ancora in Matteo 11,27 dove Gesit viene rappre- sentato come espressione ed incarnazione della Sapienza divina, tramite la quale @ possibile conoscere il mister del Padre ineffa- bile: EZIO ALBRILE 97 od Tov natépa tig éxrpvooxer ei [i d vidg Kai @ ev Bovantar 6 vidg &moxaddyor. Giovanni di Patmos definisce Gest come 8dc* che fv mpog tov Yedv sin da prima della creazione, scende nel mondo, e al compiersi dei teinpi viene reintegrato, riammesso nella «Gloria» originaria, il kabad sorgivo. Quando disserta della donna samaritana, sposata per ben cinque volte e che ore vive in concubinaggio," autore del quar- to evangelo allude probabilmente al motivo gnostico della Sapienza decaduta.'“ Lo strano episodio non lascia infatti senza esito la verve esegetica del valentiniano Eracleone:"”’ secondo il celebre maestro gnostico «la Samaritana non aveva marito nel mondo, poiché suo marito era nell’Eone>"® ("Exei &v t@ Kdopo obx elzev GvSpa h Lopapeitis, fiv yp adriig o caving ev 7 aidvo. I numero dei marit: (in tutto sei) spiegherebbe poi la malvagitd materiale e «arcontica» in cui la sventurata donna — immagine della Sophia celeste e pleromatica - @ incappata, maltrattata e costretta a prostituirsi (nopvedovoa Kai éveBprCopévn)."* Tl tema della samaritana-Sophia decaduta ne introduce uno pitt vasto, quello del male e del suo agire mondano: gli Gnostici credono che il male abbia una propria realtd ontologica nel mondo, I'huius mundi arcontico, poich® Dio, il Dio sconosciuto e trascendente, sta al di 1a della eipopyévn. La lacerazione creatasi nel xdipope. originario ha portato, per puro errore, alla creazio- ne di un mondo che é trappola e prigione per le scintille di Luce primigenia. Nel Manicheismo questo motivo cosmogonico si differenzia ulteriormente, poiché il Padre della Luce, bay Zurwan nelle versioni iraniche del mito, mette in atto il processo demiur- gico unicamente per recuperare la sostanza luminosa intrappo- lata nella 64; una visione sostanzialmente e radicalmente diver- sa da quella cristiana, in cui la creazione é intesa come compi- mento di un fine divino. 98 GLI ARCONTI DI QUESTO MONDO VIL. Sotto questa visuale dualistica, 'Anthropos gnostico rappre- senta quindi la visibilita del de6g &yvaotos, la sua percepibilita in termini spazio-temporali. Tale concezione del divino soprav- vive e si perpetua in Adakas, contrazione di Adam kasia,'* Y«Adamo segreto» dei Mandei, una etnia religiosa a carattere gnostico-sincretistico tuttora esistente nella bassa Mesopotamia tra le paludi dell’Traq e dell’Tran."" L’Adam kasia 8 omologo del kabod di Ezechiele'® la splendida e gloriosa manifestazione di Dio in sembianze umane. Il Ginza, uno dei pit importanti testi mandaici, presenta Adakas, l/Adamo segreto e spirituale,'* quale «custodep, natra,™ del mana, lo xvetj1o. luminoso proveniente dal mondo ipercosmico. E significativo che uno dei nomi di Adakas sia Tan(n)a, termine di incerta etimologia’ che in mandaico desi- gna la «matrice» o I’«utero» cosmico da cui derivano gli esseri di Luce; tana/tan(n)a potrebbe collegarsi al medio-persiano tan, «corpo»: la tradizione mazdea parla infatti di un tan T pasén, il «corpo finale», visione macroantropica dello gozatov che si rea- lizza nel fraigird (< fraxd.karati) , la trasfigurazione del mondo, il Rinnovamento finale, quando I’esistenza sara «tesa splendida» dall’ultimo Saosyant- , egli stesso immaginato quale Anthrépos'* primigenio e finale. La tradizione mazdeo-zoroastriana non & nuova a questa rappresentazione religiosa: secondo la Rivayat pahlavi che accompagna il Dadestan i denig'"” Ohrmazd colloca le creazioni ahuriche in una forma macroantropica, una sorta di corpo umano dove esse vengono alimentate allo stato méndg, invisibile ed eidetico. Le creazioni perfette traggono quindi orig’ ne dalle diverse parti di questo embrione macroantropico. Il mito @ di origine indo-europea, ed @ stato avvicinato a quello del Purusa vedico,* ed a quello del npdtog &vdgwnos iranico!” Gayémart. Altre suggestive speculazioni tra macrocosmo e microcosmo si possono rintracciare ancora nel Bundahisn, dove Ja terra viene creata nelle «sembianze di un uomo», e nel EZIO ALBRILE 99 Wizidagiha t Zadspram, ’« cristiano in Alessandro di Licopoli, in Salesianum, 31(1969), p.561 n.1 e ss; vd. anche E.Albrile, Alessandro di Licopoli e il Manicheismo. Ontologia ¢ soteriologia in un mito gnostico, in Teresianum, 48(1997), pp.738 ss. 54. Cf. Contra manich. Cap.XXill (Brinkmann p.32,10-12). 55. Cir. A.Villey in op.cit. p.307. 56. Brinkmann p.32,11. 57. Ibid. p.32,13. 58. Contra manich. Cap.I (Brinkmann p.1,14). 59. Brinkmann p.32,16; per i paralleli con la nozione di «uomo essenziale», o antitetica e di polarit& opposta a quella pan-iranica della religionsgeschichtliche Schule!): cfr. in pattic. Psyche and Destiny: On the Question of Correspondences between Gnostic Soteriology and Orphic-Platonic Soteriology, ivi pp.196-207. 107. Pap. Dervent lin.27 (West p-126 e p.101). 108. Cfr. West p.102. 109. Sat. I, 20,13-15 (Marinone pp.282-285). 110. Cfr. RCumont. Une représentation du dieu alexandrin du temps, in Comptes Rendus de l'Académie des Inscriptions & Belles-Lettres, 1928, pp.274-282; vd. anche G.casadio. Dall'Aion ellenistico agli coni-angeli gnostici, in Avalon, 42/2 (1997), pp.45-62. 111. Sat. I, 20,16 (Marinone pp.284-285). 112. Cfr. Rvan den Broek, The Sarapis Oracle in Macrobius: Sat.I,20,16-17, in M.B.de Boer-T.A.Edridge (eds.), Honrmages a M.J.Vermaseren, Vol.1, (EPRO 68/1), Leiden, 1978, pp.123-141. EZIO ALBRILE 113 113. Sat120,17 (Marinone pp.284-285). 114, Sefer ha-qomah, in M.S.Cohen, The Shiur Qomah. Texts and Recensions, Tiibingen, 1985, pp.125-182; trad. it. di E.Loewenthal, in G.Busi- E.Loewenthal (cur), Mistica Ebraicn. Testi della tradizione segreia del giuciai- smo dal III al XVII secolo, Torino, 1995, pp.73-85. 115. Cfr. G.Busi, La Qabbalah, (Biblioteca Essenziale Laterza 12), Roma-Bari, 1998, p.73. 116. Ibid., pp.73-74. 117. Cf. Hipp. Ref.V,64-10,2; vd. anche Kraeling pp.38 ss. 118. Cfr. Quispel p.182. 119. Per questa ipotesi cfr. la ricostruzione di J.Frickel, Hellenistische Erlésung in Christlicher Deutung. Die gnostische Naassenerschrift, (Nag Hammadi Studies XIX), Leiden, 1984, pp.7-36; 37 ss. 120. Hipp.Ref-V,7,6 (Wendland p.80,7-8). 121. Ibid.V,7,7 (Wendland p.80,10-14). 122. Ibid.V,7,8 (Wendland p.80,15ss.). 123. Cf. quanto dice RC.Andreas in R.Reitzenstein, Die Gottin Psyche in der hel- lenistischen und friihchristlichen Literatur, in Siteungsberichte der Heidelberger Akademie der Wissenschafien, Phil.-hist. Klasse, 10(1917), p.5 na. 124. Advmanich.1,36 (PG 18,1129). 125. Cfr. Les Versions Grecques des Actes des Martyrs Persans sous Sapor II, ed. H.Delehaye, (PO II/4, 512 [112)), Turnhout, 1981. 126. Contra Faust.manich.XX,2 (PL 42,369). 127. Maggiori ragguagli nel mio Zurvan tra i Mandei? Un excursus sulle origi- ni dello gnosticismo, in Teresianum, 47(1996), pp.213-214; cfr. anche Kraeling p.69. 128. M7 I Ri-Vi, in Mir.Man.III p.25 [870],7-8 (testo g 14-17); cfr. Boyce p.107 (testo ax,1); Klimkeit p.47. 14 GLI ARCONTI DI QUESTO MONDO 129. M7 II Ri, in Mir.Mar-III p.28[873],6-7 (testo g 124-133); cfr. Boyce p.109 (testo az,1); Klimkeit p.48. 130. Cfr. in partic. H-Ch.Puech in Annuaire de I'Ecole Pratique des Hautes Etu- dies: Section des Sciences Religieuses, 1962-1963, pp.84 ss.; vd. anche il mio articolo cit. alla n.74, pp.144 ss. 131. Sulla figura di Gesti nel manicheismo, vd. in partic. la monografia di E.Rose, Die manichiiische Christologie, (Studies in Oriental Religions 5), baden, 1979, passim; cfr. anche le nuove versioni dei testi cristologi- ci di Turfan di E.Morano, The Sogdian Hymms of Stellung Jesu, in East and West, 32(1982), pp.9-43. 132. Hipp.Ref.V,7,8 (Wendland p.80,19-20). 133. Cfr. Haer,fab.comp., 18 (PG 83,369); vd. anche quanto detto in Falk p.179. 134. Hipp.Ref.VIIL, 12,2-3 (Wendland p.232,7-10).. 135. Ibid. VIII, 12, 6-7 (Wendland p.232 , 20-26) . 136. La cosiddetta «Chiesa della Circoncisione», secondo una felice espressio- ne coniata da Padre Bagatti, cfr. B.Bagatti, L’Eglise de la Circoncision, (Publications du Studium Biblicum Franciscanum, Collection minor n.2), Jérusalem, 1965, in partic. pp.3 s8.; 27 ss. 137. 11 Cor15A7. 138. Cf. Quispel p.182. 139, Ef.1,22-23. 140. Col.3, 10. 141. Cor. 24. 142. Eug.III,82,15-83,2 (Parrott p.118). 143. Giov. 1, 14. 144, Ibid.1,1. EZIO ALBRILE 115 145. Ibid.4,17-18. 146. Ho approfondito queste tematiche nel mio lavoro La Maculazione Redentrice. Uno studio sull’ Evangelium Aegyptiorum (di prossima pubbli- cazione); cfr. anche Quispel pp.171-173. 147. Cfr. YJanssens, L'Episode de Ia Samaritaine chez Héracleon, in J-Coppens- A.Descamps-E.Massaux (eds.), Sacra Pagina, Miscellanea Biblica Congressus Internationalis Catholic’ de Re Biblica, (Bibliotheca Ephemeridum Theologicarum Lovaniensium Vol.XIL-XII), Vol.ll, Paris- Gembloux, 1959, pp.77-85. 148. Origene, In Ioh.XIII,11. 149.Sul motivo della fornicazione e delle violenze , (Collana di Studi Etno-Archeologici Religiosi 1), Milano-Basilea. 1973, passim; H.Halm, Die Schia, Darmstadt, 1988, pp.193 ss. 177.Cfr. WMadelung, Cosmogony and Cosmology: VI. In Isma'ilism, in Encyclopaedia Irantca, cit. p.322. 178. Cfr. H.Halm, Kosmologie und Heilslehre der frithen Ismaitiya, Wiesbaden, 1978, pp.75-80; SM.Stern, Studies in Early Isma'zlism, Jerusalem-Leiden, 1983, pp.6-9. 179. Su questo vd. il fondamentale lavoro di Nina G.Garsoian, The Paulician Heresy. A Study of the Origin and Development of Paulicianism in Armenia and the Eastern Provinces of the Byzantine Empire, The Hague- Paris, 1967. 180. Per quanto segue cfr. Zambon pp.43-44. 181. Cfr. Zambon pp.20 ss. 182. Zambon pp.109-110 (rec. di Carcassonne); pp.118-119 (rec. di Vienna). 183. Zambon p-115 (rec. di Carcassonne). 184. Cfr. RReitzenstein, Die Vorgeschichte der christlichen Taufe, mit Beitragen von L.Troje, Leipzig-Berlin, 1929, p.308 (rec.B).

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