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Capitolo IV
GREGORIO VII
Nonostante si debba ridimensionare il ruolo avuto da Ildebrando di Soana in quella che venne
definita la riforma gregoriana (un movimento che coinvolge la vita religiosa dell'Occidente
dallXI al XII secolo), egli rimane pur sempre il maggiore protagonista di quei fatti, che assunsero,
suo malgrado, il volto politico della lotta per le investiture nel conflitto con limperatore Enrico IV
( 1106).
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lassemblea avrebbe chiesto allo stesso Gregorio di riconoscere come ci fosse stato un inganno
del diavolo e di decidere, da s stesso, la propria colpevolezza e quindi la necessita di giungere alla
deposizione, o all'autodeposizione, per essere incorso nella simonia.
A Sutri tra i cappellani di Grogorio VI cera anche Idelbrando e dopo quei fatti egli avrebbe
seguito il presule in Germania, dimorando con lui a Colonia, fino al tempo della sua morte. Al
periodo successivo alla morte di Gregorio risale la sua monacazione a Cluny.
Leone IX
Nel gennaio del 1049 Ildebrando incontr probabilmente Leone IX ( 1054) in viaggio verso
Roma e si un a lui divenendo cos un membro di quel gruppo di riformatori (Umberto da
Silvacandida, Federico di Lorena) che il nuovo papa volle accanto a s per il rinnovamento della
Chiesa.
Sono gli anni in cui il problema della riforma del clero comincia ad essere fortemente sentito
e imposto dal centro della cristianit. Oltre al rinnovo del collegio cardinalizio, il nuovo papa inizi
la prassi dei viaggi in tutta Europa, che contribuirono ad allargare il raggio della sua azione di
riforma ad un numero sempre pi grande di vescovi e abati, che poi si riunivano in Roma per
concili generali in cui si deliberavano provvedimenti di riforma.
Una tradizione storiografica favorevole all'iniziativa gregoriana sosterrebbe che Ildebrando,
incontrando Leone IX, lo avrebbe rimproverato di aver accettato lelezione imperiale, violando le
norme canoniche, che prevedevano l'elezione in Roma con il consenso di clero e popolo. Alla morte
di Leone IX, la stessa corrente storiografica aggiunge che egli sarebbe stato incaricato, dal clero e
dal popolo di Roma, di recarsi in Germania per trattare con Enrico III lelezione del papa
successivo. Entrambe queste affermazioni sembrano esagerare il ruolo di Idebrando, che in quel
tempo non avrebbe ancora avuto un posto di tale preminenza nella curia pontificia. Lo avrebbe
assunto per durante il pontificato Stefano IX, che aveva fatto giurare solennemente ai vescovi, ai
cardinali e al popolo romano di aspettare il ritorno di Idebrando a Roma, nel caso della sua morte,
prima di procedere allelezione.
Ildebrando interveniva condannando cos indirettamente la regola di Aquisgrana dell816, che si esprimeva in modo
contrario. significativo inoltre che egli criticasse la regola di Aquisgrana, non solo per il contenuto, ma anche perch
le sue disposizioni erano state frutto della volont di un laico - l'Imperatore Ludovico -, che aveva osato legiferare in
materia ecclesiastica.
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Emerge fin da questo momento la differenza fra le posizioni di Idebrando e quelle degli altri
riformatori come Pier Damiani e Umberto da Silvacandida, i quali erano pi inclini a sottigliezze
teologiche; pi pratico, essenziale ed attento agli scopi pastorali il primo.
La controversia eucaristica animata da Berengario di Tours2, anchessa trattata nel concilio
del 1059, venne lasciata sbrigare ad Umberto da Silvacandida, che compose anche la professione di
fede a cui fu sottoposto Berengario, e non sembra in alcun modo che Ildebrando sia intervenuto
nella vicenda, deludendo forse le attese che lo Scolastico e i suoi seguaci avevano riposto in lui.
Piuttosto, Ildebrando aveva richiesto da tempo a Pier Damiani una collezione di canoni sulla
Chiesa di Roma e i privilegi del suo vescovo nel governo di tutti i fedeli. Per problemi dibattuti da
tempo nel gruppo dei riformatori (vita comune del clero, presenza del laicato nella vita ecclesiale,
ruolo del monachesimo) e soprattutto quelli che si presentavano con una certa urgenza, come il
matrimonio e il concubinato dei preti, la dispersione del patrimonio ecclesiastico e lusurpazione
dellautorit laica nellassegnazione delle cariche ecclesiastiche e non ultimi i temi che implicavano
questioni teologiche come la validit delle ordinazioni simoniache. Ildebrando indicava una via di
soluzione nella riscoperta del primato romano e di tutte le funzioni ad esso connesse: lobbedienza
alla Chiesa di Roma veniva a costituire in sintesi la pietra di paragone per la vita autenticamente
cristiana. Egli mirava ad un processo di rinnovamento pi rapido possibile della vita cristiana, i cui
canali privilegiati dovevano essere clero e vita monastica (specie quella proposta da nuovi
movimenti come i Vallombrosani, che si vedranno attivi contro Pietro Mezzabarba3), che perci
andavano riformati per primi, con lo strumento dellautorit romana, riducendo allessenziale i
termini della questione: o con Roma o contro Roma.
Politica normanna
San Leone IX aveva tentato in tutti i modi di cacciare i Normanni che avevano occupato il
meridione italiano scacciandone i bizantini, per sino mettendosi a capo di una spedizione militare
che si risolse in clamoroso insuccesso nel 1053. Anzi, il papa stesso cadde prigioniero dei
Normanni i quali lo trattennero a Benevento, finch non si fosse disposto a riconoscere il dominio
normanno nel meridione, sebbene il trattato riconoscesse che al pontefice la propriet della citt di
Benevento.
Ci comport che come conseguenza i Normanni costituiranno come una nuova sicurezza per
il papato: Ildebrando nel marzo-aprile 1059, dopo lintronizzazione di Niccol II, stipuler
2
Riportando le nozioni aristoteliche di sostanza e accidente, Berengario afferma che se una sostanza scompare,
scompaiono anche le sue propriet, che sono intrinsecamente legate ad essa: se nell'Eucaristia la sostanza del pane e del
vino scomparisse, dovrebbero scomparire le propriet accidentali, come il sapore, lodore, il colore, ecc; dal momento
che questo non avviene, le sostanze del pane e del vino devono continuano a sussistere durante la consacrazione. Per
Berengario il pane e il vino sono soltanto un simbolo di realt spirituali, un signum sacrum, un sacramento nel senso
agostiniano, ossia un segno visibile che ci permette di afferrare, al di l dell'apparenza sensibile, l'idea della Passione di
Cristo. Ma Cristo morto, nella carne, una volta sola e dopo la Resurrezione il suo corpo incorruttibile e non pu
dunque soffrire ancora: Il pane e il vino vengono chiamati carne e sangue di Cristo perch, in memoria della sua
crocefissione, si celebra il suo sacrificio.
3
Pietro Mezzabarba (Pavia, ... Firenze, post 1071) fu vescovo di Firenze tra il 1062 circa al 1068. I Mezzabarba erano
una famiglia nobile di Pavia, citt di origine anche di Pietro. Divenne vescovo simoniacamente, pagando
profumatamente il collegio elettore. Fu strenuamente attaccato dal monachesimo cittadino e da una parte dei fedeli. La
sua deposizione avvenne grazie allimpegno e alla lotta di San Giovanni Gualberto ( 1073) e dei monaci appartenenti
allordine da lui fondato, i Vallombrosani. Il Mezzabarba fu comunque appoggiato dal braccio secolare, mentre San
Giovanni fece partire la sua crociata dalla chiesa di San Salvi, dove esisteva un monastero in aperta campagna, a una
mezzora di cammino dalle mura. Pi volte il Vescovo minacci di far fare una strage nel convento che si ergeva come
una spina nel fianco del suo controllo cittadino e infine le fazioni si incontrarono nei pressi della Badia a Settimo, dove
successe un fatto miracoloso. Il monaco vallombrosano, Pietro Aldobrandeschi (San Pietro Igneo), si sottopose alla
prova del fuoco per dimostrare la santit delle ragioni del loro partito, uscendone indenne e venendo da allora
soprannominato Pietro Igneo. Il Mezzabarba venne cos deposto e San Giovanni Gualberto inizi la sua opera di
rifondazione spirituale della citt contro la simonia. L'ex-vescovo mut le sue convinzioni ed arriv a chiedere asilo ai
Vallombrosani, da lui cos aspramente perseguitati in passato, i quali lo accolsero come monaco.
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unalleanza con i Normanni che rovesciava lindirizzo politico della S. Sede nei confronti dellItalia
meridionale e gettava i presupposti dellautonomia pontificia nei confronti dei tedeschi: proprio
quando questi ultimi rifiutavano la riforma romana, respingendo i legati del pontefice, che
intendevano promuovere un concilio per la promulgazione dei decreti, Roberto il Guiscardo si
presentava come garante della fedele osservanza del decreto sullelezione pontificia.
Naturalmente la corte tedesca, in quel momento retta dallimperatrice Agnese in quanto
Enrico IV era ancora minorenne, non stava a guardare e i risultati della sua politica si manifestarono
con tutta evidenza gi alla morte di Nicol II, quando, legandosi agli interessi di una parte della
popolazione romana, costituita dalla fazione dei simoniaci e dei nicolaiti, avversa alla riforma,
fece eleggere nel sinodo di Basilea (ottobre 1061) il vescovo di Parma, Cadalo, che assunse il nome
di Onorio II ( 1072 - antipapa). Allo stesso tempo i cardinali romani, sostenuti militarmente dai
Normanni, sceglievano per il soglio pontificio Anselmo da Lucca, che prese il nome di Alessandro
II ( 1073). Nonostante che Onorio II riuscisse a scendere allUrbe, Ildebrando organizz una
resistenza armata contro di lui uscendone vincitore.
Alessandro II
Il pontificato di Alessandro II fu una tappa essenziale nel cammino della riforma e in esso il
ruolo giocato da Idebrando fu essenziale: la corrispondenza di Pier Damiani era spesso indirizzata al
Pontefice e al suo Arcidiacono (Ildebrando).
La debolezza delle forze politiche, che caratterizzava i regni europei di quel tempo, facilitava
l'inserimento della Sede Apostolica nelle questioni della chiesa locale e molti episcopati e
monasteri, anche coloro che si mostravano gelosi della propria autonomia si rivolgevano a Roma,
per risolvere controversie giuridico-amministrative, alle quali erano stati incapaci di dare una
soluzione. Roma, da parte sua, approfittava di ogni tipo di strumento che fosse utile per diffondere
la sua concezione di riforma.
Si trattava di una lotta senza quartiere a favore del rinnovamento della Chiesa e tutti, ciascuno
per la propria parte, dovevano contribuirvi. in questo contesto che nasce la figura di miles Christi
nel senso gregoriano del termine.
A Guglielmo di Normandia che vinse ad Hastings (1066) Aroldo, sostenuto da Stigand,
arcivescovo di Canterbury sostenitore dell'antipapa Benedetto IX, si riconobbe una sorta di
cavalierato spirituale, inviandogli il Gonfalone di S. Pietro. Lo stesso si sarebbe fatto nei confronti
dei Normanni, nella guerra ingaggiata contro i Musulmani in Sicilia, e con i cavalieri francesi,
impegnati nella riconquista iberica. Tutto questo andava naturalmente inserito in un contesto pi
ampio di lotta a favore della fede, ingaggiata contro eretici e infedeli, in varie parti d'Europa; una
sorta di guerra santa, che urtava contro i principi di un Pier Damiani, il quale avrebbe preferito
una maggior oculatezza nella scelta dei mezzi coattivi da parete della Chiesa e che aveva
polemizzato, gi a suo tempo, per le azioni militari di Leone IX contro i Normanni.
I Vallombrosani e la Pataria
Alcune diatribe tra Ildebrando e Pier Damiani erano dovute soprattutto alle simpatie del primo
per alcune concezioni riguardanti il ministero ordinato, provenienti dai nuovi movimenti di monaci
e laici impegnati nella riforma dei costumi del clero. Il fine teologo, diversamente dal pastore, era
preoccupato per lo sconvolgimento che esse avrebbero potuto procurare alla gerarchia di valori,
sostenuta per secoli dalla Chiesa.
I nodi vennero al pettine in seguito al concilio romano del 1067, quando Giovanni Gualberto
era intervenuto per chiedere la deposizione di Pietro Mezzabarba, vescovo di Firenze, reo, presunto,
di simonia. Si apr allora una discussione sulla validit dei sacramenti amministrati dagli eretici,
condotta sulla linea di uno scritto indirizzato da Pier Damiani ai Fiorentini, in cui accusava i
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Vallombrosani di una predicazione demagogica rivolta al laicato, definendoli locuste che divorano
i verdi pascoli della Santa Chiesa.
Anni prima, in viaggio per la Germania, Ildebrando, assieme ad Anselmo da Lucca
(Alessandro II), era venuto in contatto con il movimento laicale patarino, attivo a Milano. Erano
giunte a Roma, in quel tempo, parecchie lamentele dellalto clero milanese, che accusava il
movimento guidato da Arialdo e Landolfo di violenze contro il vescovo e il clero, perch essi erano
contrari sostenitori del matrimonio e del concubinato dei preti.
da far risalire a questa appassionata esperienza, della vicenda milanese, la considerazione di
Ildebrando per la funzione politico-religiosa del laicato, a favore della riforma del clero, sotto il
controllo dellautorit romana.
Quando nel 1067 fu ritrovato il corpo di Arialdo, fatto assassinare dal nipote
dell'Arcivescovo, il movimento milanese riprese vigore, promuovendo azioni di forza contro il
vescovo Guido e i preti a lui legati. Dovettero allora intervenire Umberto da Silvacandida e
Giovanni Minuto, card. di S. Maria in Trastevere, per porre dei limiti allazione antigerarchica della
Pataria. Nuovo stimolo alla lotta, i capi della pataria lavrebbero allora ricevuto da Ildebrando,
interessato a sottrarre allinfluenza della corte tedesca lelezione del nuovo vescovo della citt.
In realt si tendeva a collocare nella sede milanese un rappresentate della riforma romana, per
spezzare cos lasse, nato al tempo dello scisma di Cadalo, tra i vescovi lombardi e la corte tedesca.
Si delineava gi quella politica di contrasto tra Roma e la visione ecclesiastica di Enrico IV, in cui
la sede Milanese avrebbe giocato un ruolo centrale. Furono forse questi fatti di Milano a spingere
Alessandro II a scomunicare alcuni collaboratori del re di Germania: vescovi che si erano dimostrati
ribelli alle iniziative pontefice e che invitati a Roma, per dimostrare le legittimit della loro
ordinazione, non si erano presentati.
Di fatto la politica tedesca della Reichskirche contava gi da tempo su un largo ceto di
ministeriales, vescovi fedeli all'imperatore, preposti al governo dei beni della corona, la cui
investitura era segnata da un sistema che la riforma romana qualificava ormai nettamente come
simoniaca. Scomunicare questi ultimi, anche se non era direttamente toccata la figura del re,
significava attaccare indirettamente la sua politica.
Il Pontificato
Lelezione pontificia e la fase moderata della riforma
Il 21 aprile 1073 mor Alessandro II, il giorno dopo, nella basilica lateranense, mentre si
stavano svolgendo i suoi funerali, il popolo acclam Ildebrando come nuovo papa. Il card. Ugo il
Bianco, dal pulpito, caldeggi l'elezione dell'arcidiacono, che fu largamente approvata dal clero di
Roma, cardinali, vescovi e abati, e si procedette alla sua intronizzazione a S. Pietro in Vincoli. Il
nuovo incarico radic ancora pi profondamente nella coscienza di Ildebrando, ora Gregorio VII, la
necessit pastorale di una riforma, al servizio della quale egli intendeva mettere a disposizione, da
quel momento in poi, tutte le valenze dellautorit di cui era stato investito.
Annunciare la verit e la giustizia a qualunque costo, come una missione ricevuta da Dio,
diventa il suo compito impellente.
Nella prima fase del suo pontificato, egli cerc, con tutti i mezzi, di guadagnarsi tra i vescovi
dei collaboratori alla sua causa, convinto che senza di loro egli non avrebbe potuto portare a
compimento il suo piano di riforma. A Milano, ad esempio, spia di controllo dei rapporti tra
episcopato europeo e riforma romana, mentre si manteneva fermo nella condanna di Goffredo egli
non fece alcun cenno alle condizioni degli altri vescovi, limitandosi ad appoggiare lazione di
Erlembaldo nella lotta a favore della libert della chiesa milanese. Davanti a Matilde e Beatrice di
Canossa, che avrebbero voluto misure pi drastiche, egli si giustific confessando apertamente la
sua speranza, di poter recuperare, alla causa della riforma, anche quellepiscopato che era ritenuto
notoriamente simoniaco.
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Con lidea della Militia Christi e il concetto di guerra santa, egli avrebbe voluto risolvere il
problema Normanno e lunione con la chiesa greca. Rivolgendosi a Guglielmo di Borgogna e
pregandolo di costituire, assieme a Raimondo di St-Gilles e Amedeo II di Savoia, un esercito, per
liberare la Chiesa dai suoi nemici vicini (Roberto il Guiscardo) e lontani, egli pensava allidea di
crociata per la liberazione del S. Sepolcro e alla sconfitta degli infedeli: le buone disposizioni di
Michele VII e i temporanei accordi con Enrico IV facevano ben sperare.
Anche il concilio del 1074 si mantenne su una linea morbida, distinguendosi nettamente dai
successivi che, al suo confronto, parvero pi dei tribunali inquisitoriali ante litteram, che delle
assemblee di riforma. In questo primo concilio i decreti emanati si limitavano ad ingiungere una
astensione dei concubini dalla celebrazione della messa e lallontanamento dei simoniaci dal
ministero ecclesiastico, perch coloro che erano stati deputati al ministro ecclesiastico dall'amore
di Dio, esposti alla vergogna e allammirazione del popolo si pentano e cambino la loro condotta.
Si trattava di provvedimenti disciplinari, lontani dalla questione sacramentale, messa in
campo da Umberto da Silvacandida. Pi che la soluzione di problemi teologici, come stato detto,
Ildebrando riteneva necessario giungere ad un risultato di natura pastorale. La pubblicazione di
questi decreti ebbero scarsa accoglienza tra i vescovi e tra i pi tenaci, nel resistere alle ingiunzioni,
erano sicuramente i tedeschi. Essi rifiutavano la proposta romana, soprattutto perch non
accettavano i connotati di unautorit pontificia, che limitasse eccessivamente quella vescovile e
guardavano con ostilit all'idea di un concilio nazionale, che fosse presieduto dai legati papali e non
dai metropoliti; in tutto questo essi erano inoltre sostenuti dal clero minore, che non intendeva
sottomettersi alle misure contenute nei decreti di riforma.
I rapporti con Enrico IV erano buoni, fino ad ora, ed Ildebrando si compiaceva di come egli
aveva accolto i legati pontifici, invitandolo quindi ad una maggior collaborazione per la riforma e
chiedendo, come si e visto, il suo appoggio per la missione in Oriente.
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livello pastorale in quanto fagocitati da questioni inerenti allamministrazione del feudo. Di fatto i
risultati non furono conformi alle intenzioni. Si colpiva cio il legame politico tra vescovi e re,
impedendo a questultimo di servirsi di collaboratori, caduti sotto la scomunica, con il risultato di
indebolire notevolmente quel sistema ottoniano-salico, basato sulla doppia valenza, politica e
pastorale, del ministero episcopale, che aveva garantito fino a quel momento la base istituzionale
del governo dellimpero tedesco.
Gregorio VII, a parere di Miccoli,
non riusciva ad impugnare le ragioni di fondo di quellambizione (dei vescovi), cio la ricchezza e la
potenza dei vescovadi, ma solo un tramite per arrivarvi, e cio lalleanza politica coi re: scatenandosi cos
contro la violenta opposizione delle autorit secolari, che vedevano cos minacciato uno dei loro
tradizionali strumenti di governo. Peggio: vedevano addirittura messa in discussione la loro autorit su di
una parte considerevole del loro stesso regno. Il problema della riforma, nonostante tutte le illusioni del
pontefice, veniva cos ancora una volta procrastinato, anzi dirottato verso un falso scopo, dal momento
che si lasciavano di fatto inalterate le struttura portanti della chiesa feudale, che stavano alla base degli
abusi, che pur Gregorio VII aveva cos violentemente denunciato. In questo equivoco, che rivela insieme
i limiti teorici e pratici della riforma romana (almeno da Umberto da Silvacandida in poi), sta una delle
ragioni principali del tragico fallimento del pontificato di Gregorio e di tutto landamento
successivamente assunto dalla lotta per la riforma, che per lunghi anni si polarizzer intorno al durissimo
conflitto per le investiture, mettendo in moto tutta una serie di forze estranee in realt a profonde esigenze
religiose... e Gregorio finir suo malgrado col trovarsi impegnato in una lotta non sua, quella intorno al
trono tedesco, che opporr Enrico IV alle ambizioni autonomistiche dei grandi principi del regno4.
Se vero quanto affermato dal Miccoli, che cio Gregorio avrebbe sbagliato bersaglio nella
sua azione di riforma, adoperando larma spirituale della scomunica che toccava lelemento
sacramentale per una realt dai forti connotati politici, come era linvestitura, anche vero che
lunione tra realt ecclesiastica e politica, pur se ambigua, era talmente radicata nel sistema stesso
della Christianitas, nella quale aveva dato anche i suoi effetti, sul piano pratico, che non era
possibile agire a livello religioso pretendendo di lasciare inalterato quello politico. Senza voler
togliere delle responsabilit a Gregorio resta pur vero quanto affermava il Capitani, della situazione
generale della Christianitas prima che egli varcasse il soglio pontificio:
Alla morte del pontefice (Alessandro II), se ancora non sera aperto il conflitto (tra papato e impero), era
perlomeno certo che i termini di esso erano ormai chiari a tutti: esso si sarebbe determinato proprio su
quello che per secoli era stato il terreno concettualmente e giuridicamente ambiguo, pur nellefficacia
operativa in seno alla Christianitas altomedioevale e alla societ carolingia e post carolingia: la doppia
ascendenza, politica ed ecclesiastica, del patrimonio e della funzione episcopale e, pi generalmente,
clericale in seno a quella societ5.
Il Dictatus papae
Fatti tutti gli sconti dovuti al clima generale in cui veniva ad operare Gregorio, resta ora da
specificare le caratteristiche del suo singolare apporto. Se fino ad anni fa era incerta lorigine di un
documento venuto alla luce probabilmente nel periodo di maggiore crisi tra papato e vescovi,
allincirca verso il 1074, dopo lintervento del Fuhrman al convegno di Salerno del 1985 (La
riforma gregoriana, Salerno 20-25 maggio 1985), risulta ormai chiaro che si tratta di
unespressione personalissima dello stesso Gregorio: lindice di una raccolta di canoni che egli
avrebbe commissionato a Pier Damiani, ma che non fu mai realizzata, perch nessun canonista
avrebbe mai potuto giustificare, dal punto di vista canonico, le esigenze di Ildebrando, tanto era
dirompente, rispetto alla tradizione, ci che egli si era proposto di fare (si veda la cronaca del
convegno in Studi Medievali 26/1 (1985), 485-486).
G. MICCOLI, La storia religiosa, in Storia dItalia 2, 501-502; giudizio ampiamente condiviso da O. CAPITANI,
LItalia medievale, 54.
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O. CAPITANI, L'italia medievale, 46
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Si tratta qui naturalmente del Dictatus papae, una collezione di 27 proposizioni riguardanti
privilegi, prerogative e funzioni della Chiesa di Roma, circa la deposizione e riconciliazione dei
vescovi; linvio dei legati (anche di grado inferiore a quello episcopale), con facolt di giudicare e
deporre i presuli, in virt del mandato pontificio; la deposizione dellimperatore e lo scioglimento
dei sudditi dal giuramento di fedelt; la concessione ai sudditi di muovere accuse contro i superiori
se colpevoli. La Chiesa di Roma, perch fondata direttamente da Cristo, avrebbe funzione di
modello del vivere cristiano a cui tutti si dovrebbero sottoporre e le sue sentenze godrebbero di
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ingiudicabilit, infallibilit e irrevocabilit: quod catholicus non habeatur, qui non concordat
Romane ecclesie (XXVI).
Questo, che a parere del Fuhrman non avrebbe avuto rapporti con il passato, ma che non pu
in ogni caso essere spuntato dal nulla, dunque da considerare una rilettura personale della storia
del primato, in funzione di garantirne un ampio esercizio che sia appannaggio di esigenze pastorali
di una Chiesa bisognosa di urgenti interventi di riforma. Gregorio lo avrebbe usato per scopi
esclusivamente religiosi, pur essendo incappato in complicati intrighi politici, ereditati dal sistema
ecclesiastico carolingio e ottoniano-salico, altri pontefici, come ad esempio un Bonifacio VIII, ne
avrebbero fatto uso in termini esclusivamente politici, pur intendendo difendere, nelle strutture
giuridiche favorevoli alla Chiesa immunit, esenzione fiscale, foro , la sua stessa autonomia di
fronte al potere secolare. La lotta per le immunit, oggetto di molti concordati del periodo moderno,
continuer fin dentro le aule dei parlamenti nazionali del XIX, in Italia essa otterr una delle sue pi
pesanti sconfitte con la recezione delle leggi Siccardi6.
Sono note come leggi Siccardi le leggi separatiste n. 1013 del 9 aprile 1850 e n. 1037 del 5 giugno 1850 dellallora
Regno di Sardegna, che abolirono i privilegi goduti fino allora dal clero cattolico, allineando la legislazione piemontese
a quella degli altri stati europei. Esse sono le leggi pi note del quadro legislativo in materia ecclesiastica che fu
impostato in Piemonte fra il 1848 e il 1861 e successivamente esteso e ampliato al Regno d'Italia. Diversamente dalle
leggi Siccardi le altre iniziative di legge ebbero un netto carattere neo-giurisdizionalista. Fra queste le pi importanti
furono la cosiddetta legge Rattazzi n. 878 del 29 maggio 1855 e le leggi eversive (soppressione degli istituti religiosi) n.
3036 del 7 luglio 1866 e n. 3848 del 15 agosto 1867.
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tedeschi.
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politico ed ad essere costretto, alla fine, per non lasciargli un eccessivo vantaggio, a procedere con
una scelta politicamente sbagliata e moralmente ingiusta. Con la condanna del 1080, ai danni di
Enrico,
egli indicava s il fallimento di quella che era stata la sua politica nei confronti del regno tedesco, ma
anche, proprio perch cos disperatamente impolitica era questa nuova condanna e la conferma di Rodolfo
a re, il profondo impegno di giustizia che sempre lo aveva animato. La strada che egli imboccava era
ormai la guerra: e in questo impegno, duro e pesante e tragicamente sanguinoso, verranno in gran parte
assorbiti i suoi ultimi anni di pontificato8.
La guerra
Il re, con il sostegno della maggior parte dellepiscopato, radun unassemblea a Magonza,
che decise la deposizione di Gregorio e lelezione di un nuovo papa. A Bressanone egli diede
dunque attuazione concreta alle precedenti minacce, dichiarando deposto Gregorio e facendo
eleggere al suo posto Guiberto di Ravenna, Clemente III (antipapa). Morto in battaglia Rodolfo,
Enrico punt dunque su Roma con lintento di intronizzarvi il nuovo papa. A Roma, dopo che
Gregorio aveva rifiutato lultima proposta di Enrico (la sua incoronazione in cambio dellantipapa)
e aveva visto passare dalla parte imperiale molti notabili e 13 cardinali, il popolo ed il clero
intronizzarono Clemente III, che a Pasqua del 1084 incoron a sua volta Enrico IV imperatore. Con
l'arrivo di Roberto il Guiscardo, in aiuto al papa, lo scontro divenne inevitabile e Roma fu messa a
ferro e fuoco, con grande sdegno dei romani, davanti ai quali Gregorio non poteva che fuggire alla
volta di Salerno: qui mor, il 25 maggio 1085, pronunciando quelle parole che vennero scritte poi
nella sua tomba: dilexi iustitiam et odio habui iniquitatem, idcirco morior in exilio.
La Chiesa, l'Impero, l'Europa occidentale tutta, dopo Gregorio VII, pur attraverso revisioni, anche
profonde, della politica ecclesiastica del grande pontefice romano che si operarono gi dalla sua
scomparsa, non tornarono mai pi a essere quelle che i suoi stessi immediati predecessori avevano
conosciuto e, forse, serano perfino illusi di poter mantenere. L'ideale di unit di regnum et sacerdotium,
che pur nelle pi svariate contraddizioni aveva rappresentato una costante ideologia per il mondo
occidentale da Carlo Magno a Enrico III era definitivamente compromessa: clero e laicato avrebbero
cominciato ad acquistare una coscienza delle loro differenze assai maggiore di quella che avevano, per
secoli, potuto avere9.
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concubinato e investitura laica), si concesse il riconoscimento a vescovi investiti da re, validit alle
ordinazioni eseguite dall'arcivescovo di Milano, Tedaldo, nei casi in cui non ci fosse stata simonia e
infine, validit anche ai sacramenti amministrai dai preti caduti nello scisma.
Urbano II cerc inoltre di sostenere lazione della riforma mediante un lungo viaggio
apostolico, che attraverso la Toscana e la Lombardia lo avrebbe condotto in Francia: nel sinodo di
Piacenza del 1095 si rinnov il giudizio di invalidit per le ordinazioni simoniache e quelle
compiute da scismatici; a Clermont si proib qualsiasi forma di vassallaggio, di un chierico nei
confronti di un laico, e si minacciarono di scomunica quei vescovi che avessero sotto di se chierici
ordinati da laici; si invitarono tutte le forze dEuropa alla crociata, pro sola divotione per la
liberazione di Gerusalemme.
La funzione del papato romano come centro di coordinamento della societ cristiana nelle sue
motivazioni religiose e ideali e politiche trovava nella proclamazione della crociata una forma di coagulo
singolare ed efficace. Era linizio di una supremazia, il riconoscimento di una identit sul piano pratico
che condannava allisolamento, anche se non allimmediato successo, Enrico IV e Clemente III10.
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In occasione dellincoronazione imperiale di Enrico V, si fece precedere a tale solenne atto la
lettura del compromesso raggiunto a Sutri, il 12 febbraio 1111. Nella chiesa di S. Pietro, scoppi
una rivolta, animata dagli stessi ecclesiastici che non volevano rinunciare a incarichi pubblici su
citt, ducati, margraviati, telonei ecc., che erano appunto i famosi regalia. Il re, che non voleva
rinunciare allincoronazione, imprigion papa e cardinali e costrinse Pasquale II a riconoscergli il
diritto di investitura con anello e pastorale e ad incoronarlo imperatore riconoscendoli daltro canto
la libera elezione dei prelati (accordo di Ponte Mammolo, 11 aprile 1111). Anche se pi tardi i
sinodi romani del 1112 e del 1116 tornarono a vietare linvestitura, annullando laccordo di Ponte
Mammolo, non fu lanciata alcuna scomunica contro Enrico V, segno che il compromesso di Sutri
non era stato del tutto ripudiato e sarebbe stato rimesso in circolo, sotto altra forma, alla prima
occasione opportuna.
Sutri avrebbe allora un duplice significato: da una parte indicherebbe la via alla soluzione del
problema delle investiture, nel riconoscimento dellintangibilit del diritto imperiale sulle regalie
(CAPITANI, L'Italia Medievale, 83.85); dall'altra, esso avrebbe segnato la sconfitta di quella linea di
riforma che aspirava a realizzare in termini di povert una nuova presenza cristiana all'interno della
vita sociale (MICCOLI, La storia religiosa, 516). Se durante il pontificato di Pasquale II non si
giunse ad una soluzione del problema delle investiture, era per stato avviato un processo culturale
che, attraverso il riconoscimento della distinzione tra ufficio ecclesiastico e beni temporali, avrebbe
condotto fino alla soluzione proposta nel concordato di Worms.
Concordato di Worms
Il 23 settembre 1122, Callisto II ( 1124) concluse dunque a Worms un accordo con
lImperatore: prevedeva, in Germania, linvestitura dei regalia non pi per mezzo di anello e
pastorale ma mediante lo scettro, prima della consacrazione episcopale e, per converso, si
riconosceva allimperatore, e non solo a lui personalmente, ma anche ai suoi successori, il diritto di
assistere alle elezioni dei prelati in Germania, purch fosse esclusa la simonia o la coarcizione. I
Gregoriani non videro di buon occhio la concessione fatta allImperatore di investire per sceptrum;
essi, pi di ogni altro, erano sensibili allequivoco che si stava consumando a Worms: era chiaro che
quel compromesso doveva riguardare solo una tregua di fatto, non pi che una strategia politica
contingente, e non doveva essere in alcun modo un punto acquisito a livello del diritto. L'aver
distinto ufficio e beneficio, non bast ad eliminare i problemi delle relazioni tra sacerdotium e
regnum o, meglio, imperium e i fatti intervenuti al tempo di Bonifacio VIII e Filippo il Bello,
Ludovico il Bavaro e Giovanni XXII stanno l a dimostrarlo, il Concordato, nonostante la buona
volont dei contraenti, conteneva notevoli ambiguit, foriere di nuovi scontri.
Ma, sebbene si debba riconosce un parziale successo, la portata relativa di tale traguardo
consent alla Chiesa di porre una pietra miliare alla lotta per le investiture, durata quasi
cinquantanni grazie ad una saggia arrendevolezza e ad una pi equa delimitazione delle esigenze
da entrambe le parti. Certamente limpero era riuscito ad affermare buona parte dei suoi diritti. Ma
la vincitrice sostanziale nella contesa era stata la Curia: infatti linvestitura da parte dei laici nella
sua vecchia forma venne eliminata, le elezioni dei vescovi e degli abati e la facolt di disporre dei
simboli dellufficio spirituale furono restituiti alla Chiesa, e la tutela esercitata dal potere temporale
su quello spirituale fu infranta. Di una conferma dellelezione papale da parte dellimperatore non
era naturalmente pi il caso di parlare. Lo sviluppo di tutta la situazione conteneva oltre che un
grande successo per il papato, le basi per un aumento ancora pi rilevante della sua potenza.
Per lapprovazione e la proclamazione solenne del concordato di Worms, Callisto II nel 1123
celebr un importante concilio in Laterano, il nono concilio ecumenico, il primo celebrato in Occidente; la convocazione e la direzione dello stesso, a differenza dei concili dellantichit cristiana,
spett ora naturalmente solo al papa. Nel concilio fu inoltre emanata una serie di canoni disciplinari,
che per lo pi richiamavano disposizioni precedenti, allo scopo di eliminare vari disordini e abusi
nella Chiesa.
Capitolo IV Gregorio VII
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CONCORDATO DI WORMS (1122)
PRIVILEGIO DELL 'IMPERATORE.
In nome della santa ed indivisibile Trinit. lo, Enrico, per grazia di Dio augusto imperatore dei Romani, per amore di Dio e della Santa Chiesa
Romana e del nostro papa Callisto e per la guarigione della mia anima, cedo a Dio e ai suoi santi apostoli Pietro e Paolo e alla Santa Chiesa Cattolica
ogni investitura con anello e pastorale, e concedo che in tutte le chiese esistenti nel mio regno e nel mio impero vi siano elezioni canoniche e libere
consacrazioni. Restituisco alla medesima Santa Chiesa Romana i possedimenti e le regalie del beato Pietro, che le furono tolti dall'inizio di questa
controversia fino ad oggi, sia ai tempi di mio padre sia ai miei, e che io posseggo; dar fedelmente il mio aiuto perch vengano restituiti quelli che
non ho. Ugualmente render, secondo il consiglio dei principi e secondo giustizia, i possedimenti di tutte le altre chiese e dei principi e degli altri
chierici o laici, perduti in questa guerra, e che sono in mia mano; per quelli che non lo sono, dar fedelmente il mio aiuto, si che vengano restituiti. Ed
assicuro una sincera pace al nostro papa Callisto e alla Santa Chiesa Romana e a tutti coloro che sono o son stati dalla sua parte. Fedelmente dar il
mio aiuto quando la Santa Chiesa Romana me lo chieder, e le render debita giustizia se mi far lagnanza. Tutto ci stato redatto col consenso e il
consiglio dei principi di cui seguono i nomi: Adalberto, arcivescovo di Magonza, F. arcivescovo di Colonia, H. vescovo di Ratisbona, O. vescovo di
Bamberga, B. vescovo di Spira, H. di Augusta, G. di Utrecht, 0. di Costanza, E. abate di Fulda, Enrico duca, Federico duca, S. duca, Pertolfo duca,
Teipoldo margravio, Engelberto margravio, Gotifredo conte Palatino, Ottone conte Palatino, Berengario conte Palatino.
lo, Federico, arcivescovo di Colonia, e gran cancelliere, ho riveduto ci.
PRIVILEGIO DEL PONTEFICE.
lo, Callisto vescovo, servo dei servi di Dio, concedo a te, diletto figlio Enrico, per grazia di Dio augusto imperatore dei Romani, che abbian luogo alla
tua presenza, senza simonia e senza alcuna violenza, le elezioni dei vescovi e degli abati di Germania che spettino al regno; si che se sorga qualche
ragione di discordia tra le parti, secondo il consiglio e il parere del metropolita e dei comprovinciali tu dia consenso ed aiuto alla parte pi sana.
L'eletto riceva da te le regalie per mezzo dello scettro e per esse eseguisca secondo giustizia i suoi doveri verso di te. Colui che consacrato nelle altre
regioni dell'Impero invece riceva da te le regalie entro sei mesi, per mezzo dello scettro, e per esse eseguisca secondo giustizia i suoi doveri verso di
te, salve restando tutte le prerogative riconosciute alla Chiesa Romana. Secondo il dovere del mio ufficio, ti dar aiuto in ci di cui tu mi farai
lagnanza e in cui mi chiederai soccorso. Assicuro una pace sincera, a te e a tutti coloro che sono o sono stati del tuo partito durante questa discordia.
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Michele Cerulario (1000-1058), nato in una grande famiglia di Costantinopoli, era diventato monaco dopo la carcerazione per un complotto contro limperatore. L amicizia di un altro imperatore gli valse la dignit patriarcale nel
1043. Si mostr molto avverso ai Latini. Nel 1058, fu arrestato e deportato dallimperatore Isacco Comneno e mor
prima di essere giudicato.
12
Umberto entr nel 1015 nel monastero di Moyenmoutier (Vosgi) e divenne un convinto fautore della riforma della
Chiesa. Il papa Leone IX che era stato vescovo di Toul lo port a Roma come segretario, lo fece cardinale e gli affid
molti incarichi, tra cui quello di Costantinopoli. Era un uomo di carattere, ma rude, senza elasticit e senza
comprensione per le diversit.
Capitolo IV Gregorio VII
73
Il cardinale, con in mente le idee occidentali sul cesaropapismo, non si rese conto degli
effettivi rapporti di potere e cerc lappoggio dellimperatore, mentre tratt il patriarca come un
suo subalterno (W. de Vries). Infine perse la pazienza e scomunic il patriarca unitamente ai suoi
sostenitori (non per tutta la Chiesa ortodossa), deponendo sullaltare della Haghia Sophia durante
la celebrazione eucaristica del 16 luglio del 1054 un documento da lui compilato. Non sappiamo se
egli allora fosse a conoscenza che il papa era morto tre mesi prima, n possediamo alcuna
testimonianza di un incarico conferitogli dal papa di scomunicare il patriarca. La bolla di
scomunica composta da Umberto mostra chiaramente fino a che punto la mentalit della Chiesa
romana si fosse trasformata sotto l'influsso del movimento riformatore e quanto poco gli uomini di
tale movimento avessero capito della Chiesa orientale, nonch dei suoi usi e delle sue consuetudini.
Umberto pretese di scoprire in essa le tracce di tutte le grandi eresie..., e accus addirittura i bizantini di aver stralciato il Filioque dal Credo, cosa con cui dimostr la sua ignoranza nel campo
della storia della Chiesa (F. Dvornik).
Dopo un tentativo imperiale di riconciliazione andato a vuoto, un sinodo radunato a
Costantinopoli scomunic il 24 luglio, lautore della bolla di scomunica e i suoi collaboratori.
Neppure questo sinodo del patriarca scomunic, ad esempio, il papa o tutta la Chiesa occidentale.
Perci le scomuniche del 1054 non segnarono lavvento dello scisma definitivo, che
sopravvenne solo con la conquista crociata di Costantinopoli del 1204 e con le sue conseguenze.
Nel 1054 fall piuttosto un tentativo di riconciliazione, che era stato intrapreso su una base sbagliata
e in condizioni sfavorevoli. La letteratura polemica, che da allora cominci a proliferare, consolid
ancora di pi i fronti.
Non mancarono i tentativi per ristabilire la reciproca concordia e la pace sebbene i moventi
degli imperatori orientali fossero il pi delle volte di natura politico-militare e quelli dei papi di
natura politico-ecclesiale, ma non ecumenici nel senso odierno del termine. Una parte si aspettava
aiuti militari contro linvadenza dellislam, laltra il riconoscimento del primato nel senso
occidentale di sottomissione alla giurisdizione papale. A questo riguardo non possiamo parlare
retrospettivamente di un ritorno della Chiesa bizantina sotto lobbedienza della sede papale,
perch una subordinazione del genere, quale allora venne richiesta, non mai esistita n prima n
dopo.
Tentativi del tipo descritto ve ne furono sotto Gregorio VII e limperatore Michele VII (107178), ma senza successo. Limperatore Niceforo III (1078-81), che non vi era favorevole, fu
addirittura scomunicato dal papa, cos come lo fu Alessio I (1081-1118), senza che ci avesse
tuttavia delle ripercussioni in Costantinopoli. Urbano II cerc di riguadagnare Alessio, tolse la
scomunica e prospett degli aiuti militari. E con questo siamo allinizio delle crociate, il cui ruolo
Capitolo IV Gregorio VII
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fu oltremodo nocivo per le relazioni fra le Chiese.
Solo dopo quasi un millennio, il 7 dicembre 1965, tali scomuniche furono
contemporaneamente tolte a Roma da Paolo VI e a Costantinopoli dal patriarca ecumenico
Atenagora I, che con questo gesto vollero cancellarle dalla memoria e dal seno della Chiesa e
condannarle alloblio.
Dichiarazione comune del papa Paolo VI e del patriarca Atenagora (7 dicembre 1965)
Tra gli ostacoli che si trovano sul cammino dello sviluppo di questi rapporti fraterni (tra la Chiesa Cattolica Romana e la Chiesa Ortodossa) di fiducia e di stima, c il ricordo delle decisioni, degli atti e degli incidenti penosi
che hanno portato, nel 1054, alla sentenza di scomunica lanciata contro il patriarca Michele Cerulario e due altre
personalit, dai legati della sede romana guidati dal cardinale Umberto. Tali legati furono essi stessi poi colpiti da
una sentenza analoga da parte del patriarca e del Sinodo costantinopolitano.
Il papa Paolo VI e il patriarca Atenagora I con il suo Sinodo, consapevoli di esprimere il sentimento comune di
giustizia e il sentimento unanime dei loro fedeli e ricordando il comando del Signore: Se dunque tu, nel fare la
tua offerta allaltare (Mt 5,23-24) dichiarano di comune accordo:
a) di deplorare le parole offensive, i rimproveri senza fondamento e i gesti condannabili che, da una parte e
dallaltra, hanno contrassegnato o accompagnato i tristi avvenimenti di quellepoca;
b) di deplorare, anche, e di cancellare dalla memoria e dal seno della Chiesa, le sentenze di scomunica che vi
hanno fatto seguito ed il cui ricordo stato, fino ai nostri giorni, un ostacolo al riavvicinamento nella carit e di
condannarle alloblio;
c) di deplorare, infine, i dolorosi precedenti e gli avvenimenti ulteriori che, sotto linflusso di vari fattori, tra i
quali lincomprensione e la reciproca diffidenza, hanno, alla fine, condotto alla rottura effettiva della
comunione ecclesiastica.
Il papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora I con il suo Sinodo sono consapevoli che questo gesto di giustizia e di
perdono reciproco non pu bastare a mettere fine alle controversie antiche o pi recenti che sussistono tra la
Chiesa Cattolica Romana e la Chiesa Ortodossa e che, mediante lazione dello Spirito Santo, saranno superate
grazie alla purificazione dei cuori, al rammarico dei torti avutisi nel corso della storia, cos come grazie alla
volont efficace di giungere a una comprensione e ad unespressione comune della fede apostolica e delle sue
esigenze.
Tratto da J. COMBY, Per leggere la storia della Chiesa 1, Roma s.a., 110