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Capitolo IV
GREGORIO VII
Nonostante si debba ridimensionare il ruolo avuto da Ildebrando di Soana in quella che venne
definita la riforma gregoriana (un movimento che coinvolge la vita religiosa dell'Occidente
dallXI al XII secolo), egli rimane pur sempre il maggiore protagonista di quei fatti, che assunsero,
suo malgrado, il volto politico della lotta per le investiture nel conflitto con limperatore Enrico IV
( 1106).

Aspetti generali della riforma


La riforma del clero, sulla linea di un disciplinamento riguardo soprattutto al concubinato,
sembra essere un motivo ricorrente nellazione della gerarchia, fin dai tempi delle riforma
carolingia, quando si cerc con la regola canonicale di costringere il clero alla vita comune,
limitando al massimo la relazione con donne. Secondo alcuni, l'unico risultato ottenuto sarebbe
stato quello della diminuzione di preti coniugati e dellaumento dei concubini. Con la riforma
Cluniacense si cerc di far passare il modello delluomo vergine, come il solo capace di una
mediazione efficace nel rapporto con Dio. Uomini come Arialdo ed Erlembaldo, con i loro seguaci
laici, si mostrarono sensibili a queste sollecitazioni, affermando ancor pi chiaramente la stretta
dipendenza tra il dovere dei chierici allamministrazione dei sacramenti e la loro condizione di
celibi: la castit come nota distintiva dello status clericale, rispetto al quello laicale, era conditio
sine qua non per poter entrare nell'ordine dei mediatori della salvezza ed essere nel contempo
amministratori affidabili del patrimonio materiale della Chiesa, che non poteva essere impiegato per
scopi diversi da quello del servizio ai poveri. La lotta al nicolaismo si legava cos, in modo stretto,
all'altro aspetto della riforma, che era la simonia (compravendita dei sacramenti), prevalenza
dell'interesse materiale su quello spirituale o peggio a danno di quest'ultimo.

Sinodo di Sutri (1046)


Allinizio del movimento di riforma si colloca proprio lazione di un Imperatore tedesco,
Enrico III, venuto a Roma per sottrarre il dominio sul papato alle famiglie romane il quale, per poter
mettere un po di ordine tra i pretendenti al trono, organizza a Sutri un sinodo, concluso con l
autodeposizione di Gregorio VI, che scopre solo durante lassemblea sinodale il vizio formale
della propria elezione, pesantemente segnata da un traffico di denaro, cio da simonia.
Gli studi sul sinodo di Sutri sembrano subire una svolta definitiva con le ricerche di F.J.
Schmale (La deposizione di Gregorio VI a Sutri, in Annuarium Historiae Conciliorum 11 [1979]),
che contrastano con i giudizi precedenti (Borrino, Fliche-Martin e Violante), indicando come chiave
di volta l'analisi di due fonti fino ad allora ignorate, perch di parte papale, Desiderio di
Montecassino e Bonizzone di Sutri, ma che nella struttura generale corrisponderebbero in pieno
allo schema dei sinodi medievali.
Secondo ci che riferiscono gli autori indicati dallo Schmale, i sinodali avrebbero chiesto a
Gregorio VI di illustrare le circostanze della sua elezione papale, decisa per liberare il papato dalla
figura scomoda dell'immorale Benedetto IX, ed egli avrebbe confessato che per il bene della Chiesa
si era proceduto alla raccolta di denaro per allestire lelezione canonica. Dopo la narrazione dei fatti
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lassemblea avrebbe chiesto allo stesso Gregorio di riconoscere come ci fosse stato un inganno
del diavolo e di decidere, da s stesso, la propria colpevolezza e quindi la necessita di giungere alla
deposizione, o all'autodeposizione, per essere incorso nella simonia.
A Sutri tra i cappellani di Grogorio VI cera anche Idelbrando e dopo quei fatti egli avrebbe
seguito il presule in Germania, dimorando con lui a Colonia, fino al tempo della sua morte. Al
periodo successivo alla morte di Gregorio risale la sua monacazione a Cluny.

Leone IX
Nel gennaio del 1049 Ildebrando incontr probabilmente Leone IX ( 1054) in viaggio verso
Roma e si un a lui divenendo cos un membro di quel gruppo di riformatori (Umberto da
Silvacandida, Federico di Lorena) che il nuovo papa volle accanto a s per il rinnovamento della
Chiesa.
Sono gli anni in cui il problema della riforma del clero comincia ad essere fortemente sentito
e imposto dal centro della cristianit. Oltre al rinnovo del collegio cardinalizio, il nuovo papa inizi
la prassi dei viaggi in tutta Europa, che contribuirono ad allargare il raggio della sua azione di
riforma ad un numero sempre pi grande di vescovi e abati, che poi si riunivano in Roma per
concili generali in cui si deliberavano provvedimenti di riforma.
Una tradizione storiografica favorevole all'iniziativa gregoriana sosterrebbe che Ildebrando,
incontrando Leone IX, lo avrebbe rimproverato di aver accettato lelezione imperiale, violando le
norme canoniche, che prevedevano l'elezione in Roma con il consenso di clero e popolo. Alla morte
di Leone IX, la stessa corrente storiografica aggiunge che egli sarebbe stato incaricato, dal clero e
dal popolo di Roma, di recarsi in Germania per trattare con Enrico III lelezione del papa
successivo. Entrambe queste affermazioni sembrano esagerare il ruolo di Idebrando, che in quel
tempo non avrebbe ancora avuto un posto di tale preminenza nella curia pontificia. Lo avrebbe
assunto per durante il pontificato Stefano IX, che aveva fatto giurare solennemente ai vescovi, ai
cardinali e al popolo romano di aspettare il ritorno di Idebrando a Roma, nel caso della sua morte,
prima di procedere allelezione.

Ildebrando tra Stefano IX e Nicol II


E fu proprio con lelezione di Federico di Lorena, Stefano IX ( 1058) assente Ildebrando, ma
desiderato e indicato dallo stesso Federico come prossimo papa, che approfittando della minorit di
Enrico, lelezione papale venne sottratta alla designazione imperiale, iniziando quel processo di
emancipazione che trover due anni dopo, nel decreto di Nicol II ( 1061) la sua piena
affermazione.
Nell'aprile del 1050 si tenne infatti nella basilica lateranense un grande sinodo riformatore, il
cui decreto pi importante riguardava appunto la prassi dellelezione pontificia: ai cardinali vescovi
veniva dato un posto di preminenza nella scelta del candidato, lasciando al re tedesco l'honor e la
riverentia. Si sanzionava cos, da un punto di vista giuridico, quanto era avvenuto nellelezione di
Nicol II, in cui aveva dominato la volont collettiva di un gruppo di notevolissime personalit e
che aveva incorniciato nello stesso tempo un intervento di Ildebrando in favore della completa
rinuncia ai beni posseduti in proprio, per i chierici che abbracciavano la vita comune1.
Il sinodo si manteneva su posizioni molto pi moderate rispetto a quelle di Idebrando,
limitandosi a prescrivere, per il clero, una generica convivenza attorno alla chiesa ricevuta con
l'ordinazione, condividendo i beni che gli venivano dal beneficio annesso.
1

Ildebrando interveniva condannando cos indirettamente la regola di Aquisgrana dell816, che si esprimeva in modo
contrario. significativo inoltre che egli criticasse la regola di Aquisgrana, non solo per il contenuto, ma anche perch
le sue disposizioni erano state frutto della volont di un laico - l'Imperatore Ludovico -, che aveva osato legiferare in
materia ecclesiastica.
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Emerge fin da questo momento la differenza fra le posizioni di Idebrando e quelle degli altri
riformatori come Pier Damiani e Umberto da Silvacandida, i quali erano pi inclini a sottigliezze
teologiche; pi pratico, essenziale ed attento agli scopi pastorali il primo.
La controversia eucaristica animata da Berengario di Tours2, anchessa trattata nel concilio
del 1059, venne lasciata sbrigare ad Umberto da Silvacandida, che compose anche la professione di
fede a cui fu sottoposto Berengario, e non sembra in alcun modo che Ildebrando sia intervenuto
nella vicenda, deludendo forse le attese che lo Scolastico e i suoi seguaci avevano riposto in lui.
Piuttosto, Ildebrando aveva richiesto da tempo a Pier Damiani una collezione di canoni sulla
Chiesa di Roma e i privilegi del suo vescovo nel governo di tutti i fedeli. Per problemi dibattuti da
tempo nel gruppo dei riformatori (vita comune del clero, presenza del laicato nella vita ecclesiale,
ruolo del monachesimo) e soprattutto quelli che si presentavano con una certa urgenza, come il
matrimonio e il concubinato dei preti, la dispersione del patrimonio ecclesiastico e lusurpazione
dellautorit laica nellassegnazione delle cariche ecclesiastiche e non ultimi i temi che implicavano
questioni teologiche come la validit delle ordinazioni simoniache. Ildebrando indicava una via di
soluzione nella riscoperta del primato romano e di tutte le funzioni ad esso connesse: lobbedienza
alla Chiesa di Roma veniva a costituire in sintesi la pietra di paragone per la vita autenticamente
cristiana. Egli mirava ad un processo di rinnovamento pi rapido possibile della vita cristiana, i cui
canali privilegiati dovevano essere clero e vita monastica (specie quella proposta da nuovi
movimenti come i Vallombrosani, che si vedranno attivi contro Pietro Mezzabarba3), che perci
andavano riformati per primi, con lo strumento dellautorit romana, riducendo allessenziale i
termini della questione: o con Roma o contro Roma.

Politica normanna
San Leone IX aveva tentato in tutti i modi di cacciare i Normanni che avevano occupato il
meridione italiano scacciandone i bizantini, per sino mettendosi a capo di una spedizione militare
che si risolse in clamoroso insuccesso nel 1053. Anzi, il papa stesso cadde prigioniero dei
Normanni i quali lo trattennero a Benevento, finch non si fosse disposto a riconoscere il dominio
normanno nel meridione, sebbene il trattato riconoscesse che al pontefice la propriet della citt di
Benevento.
Ci comport che come conseguenza i Normanni costituiranno come una nuova sicurezza per
il papato: Ildebrando nel marzo-aprile 1059, dopo lintronizzazione di Niccol II, stipuler
2

Riportando le nozioni aristoteliche di sostanza e accidente, Berengario afferma che se una sostanza scompare,
scompaiono anche le sue propriet, che sono intrinsecamente legate ad essa: se nell'Eucaristia la sostanza del pane e del
vino scomparisse, dovrebbero scomparire le propriet accidentali, come il sapore, lodore, il colore, ecc; dal momento
che questo non avviene, le sostanze del pane e del vino devono continuano a sussistere durante la consacrazione. Per
Berengario il pane e il vino sono soltanto un simbolo di realt spirituali, un signum sacrum, un sacramento nel senso
agostiniano, ossia un segno visibile che ci permette di afferrare, al di l dell'apparenza sensibile, l'idea della Passione di
Cristo. Ma Cristo morto, nella carne, una volta sola e dopo la Resurrezione il suo corpo incorruttibile e non pu
dunque soffrire ancora: Il pane e il vino vengono chiamati carne e sangue di Cristo perch, in memoria della sua
crocefissione, si celebra il suo sacrificio.
3
Pietro Mezzabarba (Pavia, ... Firenze, post 1071) fu vescovo di Firenze tra il 1062 circa al 1068. I Mezzabarba erano
una famiglia nobile di Pavia, citt di origine anche di Pietro. Divenne vescovo simoniacamente, pagando
profumatamente il collegio elettore. Fu strenuamente attaccato dal monachesimo cittadino e da una parte dei fedeli. La
sua deposizione avvenne grazie allimpegno e alla lotta di San Giovanni Gualberto ( 1073) e dei monaci appartenenti
allordine da lui fondato, i Vallombrosani. Il Mezzabarba fu comunque appoggiato dal braccio secolare, mentre San
Giovanni fece partire la sua crociata dalla chiesa di San Salvi, dove esisteva un monastero in aperta campagna, a una
mezzora di cammino dalle mura. Pi volte il Vescovo minacci di far fare una strage nel convento che si ergeva come
una spina nel fianco del suo controllo cittadino e infine le fazioni si incontrarono nei pressi della Badia a Settimo, dove
successe un fatto miracoloso. Il monaco vallombrosano, Pietro Aldobrandeschi (San Pietro Igneo), si sottopose alla
prova del fuoco per dimostrare la santit delle ragioni del loro partito, uscendone indenne e venendo da allora
soprannominato Pietro Igneo. Il Mezzabarba venne cos deposto e San Giovanni Gualberto inizi la sua opera di
rifondazione spirituale della citt contro la simonia. L'ex-vescovo mut le sue convinzioni ed arriv a chiedere asilo ai
Vallombrosani, da lui cos aspramente perseguitati in passato, i quali lo accolsero come monaco.
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unalleanza con i Normanni che rovesciava lindirizzo politico della S. Sede nei confronti dellItalia
meridionale e gettava i presupposti dellautonomia pontificia nei confronti dei tedeschi: proprio
quando questi ultimi rifiutavano la riforma romana, respingendo i legati del pontefice, che
intendevano promuovere un concilio per la promulgazione dei decreti, Roberto il Guiscardo si
presentava come garante della fedele osservanza del decreto sullelezione pontificia.
Naturalmente la corte tedesca, in quel momento retta dallimperatrice Agnese in quanto
Enrico IV era ancora minorenne, non stava a guardare e i risultati della sua politica si manifestarono
con tutta evidenza gi alla morte di Nicol II, quando, legandosi agli interessi di una parte della
popolazione romana, costituita dalla fazione dei simoniaci e dei nicolaiti, avversa alla riforma,
fece eleggere nel sinodo di Basilea (ottobre 1061) il vescovo di Parma, Cadalo, che assunse il nome
di Onorio II ( 1072 - antipapa). Allo stesso tempo i cardinali romani, sostenuti militarmente dai
Normanni, sceglievano per il soglio pontificio Anselmo da Lucca, che prese il nome di Alessandro
II ( 1073). Nonostante che Onorio II riuscisse a scendere allUrbe, Ildebrando organizz una
resistenza armata contro di lui uscendone vincitore.

Alessandro II
Il pontificato di Alessandro II fu una tappa essenziale nel cammino della riforma e in esso il
ruolo giocato da Idebrando fu essenziale: la corrispondenza di Pier Damiani era spesso indirizzata al
Pontefice e al suo Arcidiacono (Ildebrando).
La debolezza delle forze politiche, che caratterizzava i regni europei di quel tempo, facilitava
l'inserimento della Sede Apostolica nelle questioni della chiesa locale e molti episcopati e
monasteri, anche coloro che si mostravano gelosi della propria autonomia si rivolgevano a Roma,
per risolvere controversie giuridico-amministrative, alle quali erano stati incapaci di dare una
soluzione. Roma, da parte sua, approfittava di ogni tipo di strumento che fosse utile per diffondere
la sua concezione di riforma.
Si trattava di una lotta senza quartiere a favore del rinnovamento della Chiesa e tutti, ciascuno
per la propria parte, dovevano contribuirvi. in questo contesto che nasce la figura di miles Christi
nel senso gregoriano del termine.
A Guglielmo di Normandia che vinse ad Hastings (1066) Aroldo, sostenuto da Stigand,
arcivescovo di Canterbury sostenitore dell'antipapa Benedetto IX, si riconobbe una sorta di
cavalierato spirituale, inviandogli il Gonfalone di S. Pietro. Lo stesso si sarebbe fatto nei confronti
dei Normanni, nella guerra ingaggiata contro i Musulmani in Sicilia, e con i cavalieri francesi,
impegnati nella riconquista iberica. Tutto questo andava naturalmente inserito in un contesto pi
ampio di lotta a favore della fede, ingaggiata contro eretici e infedeli, in varie parti d'Europa; una
sorta di guerra santa, che urtava contro i principi di un Pier Damiani, il quale avrebbe preferito
una maggior oculatezza nella scelta dei mezzi coattivi da parete della Chiesa e che aveva
polemizzato, gi a suo tempo, per le azioni militari di Leone IX contro i Normanni.

I Vallombrosani e la Pataria
Alcune diatribe tra Ildebrando e Pier Damiani erano dovute soprattutto alle simpatie del primo
per alcune concezioni riguardanti il ministero ordinato, provenienti dai nuovi movimenti di monaci
e laici impegnati nella riforma dei costumi del clero. Il fine teologo, diversamente dal pastore, era
preoccupato per lo sconvolgimento che esse avrebbero potuto procurare alla gerarchia di valori,
sostenuta per secoli dalla Chiesa.
I nodi vennero al pettine in seguito al concilio romano del 1067, quando Giovanni Gualberto
era intervenuto per chiedere la deposizione di Pietro Mezzabarba, vescovo di Firenze, reo, presunto,
di simonia. Si apr allora una discussione sulla validit dei sacramenti amministrati dagli eretici,
condotta sulla linea di uno scritto indirizzato da Pier Damiani ai Fiorentini, in cui accusava i
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Vallombrosani di una predicazione demagogica rivolta al laicato, definendoli locuste che divorano
i verdi pascoli della Santa Chiesa.
Anni prima, in viaggio per la Germania, Ildebrando, assieme ad Anselmo da Lucca
(Alessandro II), era venuto in contatto con il movimento laicale patarino, attivo a Milano. Erano
giunte a Roma, in quel tempo, parecchie lamentele dellalto clero milanese, che accusava il
movimento guidato da Arialdo e Landolfo di violenze contro il vescovo e il clero, perch essi erano
contrari sostenitori del matrimonio e del concubinato dei preti.
da far risalire a questa appassionata esperienza, della vicenda milanese, la considerazione di
Ildebrando per la funzione politico-religiosa del laicato, a favore della riforma del clero, sotto il
controllo dellautorit romana.
Quando nel 1067 fu ritrovato il corpo di Arialdo, fatto assassinare dal nipote
dell'Arcivescovo, il movimento milanese riprese vigore, promuovendo azioni di forza contro il
vescovo Guido e i preti a lui legati. Dovettero allora intervenire Umberto da Silvacandida e
Giovanni Minuto, card. di S. Maria in Trastevere, per porre dei limiti allazione antigerarchica della
Pataria. Nuovo stimolo alla lotta, i capi della pataria lavrebbero allora ricevuto da Ildebrando,
interessato a sottrarre allinfluenza della corte tedesca lelezione del nuovo vescovo della citt.
In realt si tendeva a collocare nella sede milanese un rappresentate della riforma romana, per
spezzare cos lasse, nato al tempo dello scisma di Cadalo, tra i vescovi lombardi e la corte tedesca.
Si delineava gi quella politica di contrasto tra Roma e la visione ecclesiastica di Enrico IV, in cui
la sede Milanese avrebbe giocato un ruolo centrale. Furono forse questi fatti di Milano a spingere
Alessandro II a scomunicare alcuni collaboratori del re di Germania: vescovi che si erano dimostrati
ribelli alle iniziative pontefice e che invitati a Roma, per dimostrare le legittimit della loro
ordinazione, non si erano presentati.
Di fatto la politica tedesca della Reichskirche contava gi da tempo su un largo ceto di
ministeriales, vescovi fedeli all'imperatore, preposti al governo dei beni della corona, la cui
investitura era segnata da un sistema che la riforma romana qualificava ormai nettamente come
simoniaca. Scomunicare questi ultimi, anche se non era direttamente toccata la figura del re,
significava attaccare indirettamente la sua politica.

Il Pontificato
Lelezione pontificia e la fase moderata della riforma
Il 21 aprile 1073 mor Alessandro II, il giorno dopo, nella basilica lateranense, mentre si
stavano svolgendo i suoi funerali, il popolo acclam Ildebrando come nuovo papa. Il card. Ugo il
Bianco, dal pulpito, caldeggi l'elezione dell'arcidiacono, che fu largamente approvata dal clero di
Roma, cardinali, vescovi e abati, e si procedette alla sua intronizzazione a S. Pietro in Vincoli. Il
nuovo incarico radic ancora pi profondamente nella coscienza di Ildebrando, ora Gregorio VII, la
necessit pastorale di una riforma, al servizio della quale egli intendeva mettere a disposizione, da
quel momento in poi, tutte le valenze dellautorit di cui era stato investito.
Annunciare la verit e la giustizia a qualunque costo, come una missione ricevuta da Dio,
diventa il suo compito impellente.
Nella prima fase del suo pontificato, egli cerc, con tutti i mezzi, di guadagnarsi tra i vescovi
dei collaboratori alla sua causa, convinto che senza di loro egli non avrebbe potuto portare a
compimento il suo piano di riforma. A Milano, ad esempio, spia di controllo dei rapporti tra
episcopato europeo e riforma romana, mentre si manteneva fermo nella condanna di Goffredo egli
non fece alcun cenno alle condizioni degli altri vescovi, limitandosi ad appoggiare lazione di
Erlembaldo nella lotta a favore della libert della chiesa milanese. Davanti a Matilde e Beatrice di
Canossa, che avrebbero voluto misure pi drastiche, egli si giustific confessando apertamente la
sua speranza, di poter recuperare, alla causa della riforma, anche quellepiscopato che era ritenuto
notoriamente simoniaco.
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Con lidea della Militia Christi e il concetto di guerra santa, egli avrebbe voluto risolvere il
problema Normanno e lunione con la chiesa greca. Rivolgendosi a Guglielmo di Borgogna e
pregandolo di costituire, assieme a Raimondo di St-Gilles e Amedeo II di Savoia, un esercito, per
liberare la Chiesa dai suoi nemici vicini (Roberto il Guiscardo) e lontani, egli pensava allidea di
crociata per la liberazione del S. Sepolcro e alla sconfitta degli infedeli: le buone disposizioni di
Michele VII e i temporanei accordi con Enrico IV facevano ben sperare.
Anche il concilio del 1074 si mantenne su una linea morbida, distinguendosi nettamente dai
successivi che, al suo confronto, parvero pi dei tribunali inquisitoriali ante litteram, che delle
assemblee di riforma. In questo primo concilio i decreti emanati si limitavano ad ingiungere una
astensione dei concubini dalla celebrazione della messa e lallontanamento dei simoniaci dal
ministero ecclesiastico, perch coloro che erano stati deputati al ministro ecclesiastico dall'amore
di Dio, esposti alla vergogna e allammirazione del popolo si pentano e cambino la loro condotta.
Si trattava di provvedimenti disciplinari, lontani dalla questione sacramentale, messa in
campo da Umberto da Silvacandida. Pi che la soluzione di problemi teologici, come stato detto,
Ildebrando riteneva necessario giungere ad un risultato di natura pastorale. La pubblicazione di
questi decreti ebbero scarsa accoglienza tra i vescovi e tra i pi tenaci, nel resistere alle ingiunzioni,
erano sicuramente i tedeschi. Essi rifiutavano la proposta romana, soprattutto perch non
accettavano i connotati di unautorit pontificia, che limitasse eccessivamente quella vescovile e
guardavano con ostilit all'idea di un concilio nazionale, che fosse presieduto dai legati papali e non
dai metropoliti; in tutto questo essi erano inoltre sostenuti dal clero minore, che non intendeva
sottomettersi alle misure contenute nei decreti di riforma.
I rapporti con Enrico IV erano buoni, fino ad ora, ed Ildebrando si compiaceva di come egli
aveva accolto i legati pontifici, invitandolo quindi ad una maggior collaborazione per la riforma e
chiedendo, come si e visto, il suo appoggio per la missione in Oriente.

Concilio della Quaresima del 1075


Sentendosi responsabile di fronte a Dio, per il governo della Chiesa, davanti al rifiuto di
collaborare oppostogli dall'episcopato, a Gregorio sembr ad un certo punto non importare pi delle
prerogative consuetudinarie della gerarchia locale. Per far fronte ai gravi abusi dovuti a concubinato
e simonia era necessario combattere con urgenza, preoccupati soltanto di essere ossequienti alla
volont di Dio, incarnata dai provvedimenti assunti dal pontefice di Roma. Problemi di
ecclesiologia e di sacramentaria, riguardo alle ordinazioni dei simoniaci, venivano saltati, ancora
una volta, in virt di un urgenza pastorale e i risultati furono evidenti soprattutto nel sinodo romano
del 1075.
Naturalmente, per tutta questa fase del processo di riforma, va tenuto conto della dimensione
personale di Gregorio, che davanti alla situazione della Chiesa del tempo vive momenti di grande
solitudine e tristezza, perch, prigioniero di un ministero altissimo, si sentiva chiamato ad
intervenire con dei mezzi drastici, arrivando a sconvolgere profondamente tutto lassetto politicoistituzionale dellOccidente.
Il concilio della Quaresima del 1075 ebbe tutti i crismi di unassise giudiziaria, in cui si
comminarono numerose scomuniche contro i vescovi che si rifiutavano di collaborare con la
riforma romana e il clero concubinario e simoniaco. Soprattutto si giunse a formulare un decreto
contro linvestitura laica, che veniva in qualche modo eguagliata alla simonia. Di conseguenza
sintaccava anche il problema sacramentale, perch lo scomunicato amministrava invalidamente. In
ultima analisi allora la validit del sacramento veniva ad essere condizionata dallobbedienza a
Roma, mentre mai prima dora il re aveva pensato di far dipendere la validit del sacramento
dallinvestitura. Si proibiva cos ad ogni autorit secolare di dare un vescovado e, sempre sotto pena
di scomunica, si proibiva ad ogni metropolita di ordinare i vescovi, che avessero ricevuto in
precedenza un vescovado da un laico.
Si pensava cos di togliere alla radice quel bubbone che impediva ai vescovi di impegnarsi a
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livello pastorale in quanto fagocitati da questioni inerenti allamministrazione del feudo. Di fatto i
risultati non furono conformi alle intenzioni. Si colpiva cio il legame politico tra vescovi e re,
impedendo a questultimo di servirsi di collaboratori, caduti sotto la scomunica, con il risultato di
indebolire notevolmente quel sistema ottoniano-salico, basato sulla doppia valenza, politica e
pastorale, del ministero episcopale, che aveva garantito fino a quel momento la base istituzionale
del governo dellimpero tedesco.
Gregorio VII, a parere di Miccoli,
non riusciva ad impugnare le ragioni di fondo di quellambizione (dei vescovi), cio la ricchezza e la
potenza dei vescovadi, ma solo un tramite per arrivarvi, e cio lalleanza politica coi re: scatenandosi cos
contro la violenta opposizione delle autorit secolari, che vedevano cos minacciato uno dei loro
tradizionali strumenti di governo. Peggio: vedevano addirittura messa in discussione la loro autorit su di
una parte considerevole del loro stesso regno. Il problema della riforma, nonostante tutte le illusioni del
pontefice, veniva cos ancora una volta procrastinato, anzi dirottato verso un falso scopo, dal momento
che si lasciavano di fatto inalterate le struttura portanti della chiesa feudale, che stavano alla base degli
abusi, che pur Gregorio VII aveva cos violentemente denunciato. In questo equivoco, che rivela insieme
i limiti teorici e pratici della riforma romana (almeno da Umberto da Silvacandida in poi), sta una delle
ragioni principali del tragico fallimento del pontificato di Gregorio e di tutto landamento
successivamente assunto dalla lotta per la riforma, che per lunghi anni si polarizzer intorno al durissimo
conflitto per le investiture, mettendo in moto tutta una serie di forze estranee in realt a profonde esigenze
religiose... e Gregorio finir suo malgrado col trovarsi impegnato in una lotta non sua, quella intorno al
trono tedesco, che opporr Enrico IV alle ambizioni autonomistiche dei grandi principi del regno4.

Se vero quanto affermato dal Miccoli, che cio Gregorio avrebbe sbagliato bersaglio nella
sua azione di riforma, adoperando larma spirituale della scomunica che toccava lelemento
sacramentale per una realt dai forti connotati politici, come era linvestitura, anche vero che
lunione tra realt ecclesiastica e politica, pur se ambigua, era talmente radicata nel sistema stesso
della Christianitas, nella quale aveva dato anche i suoi effetti, sul piano pratico, che non era
possibile agire a livello religioso pretendendo di lasciare inalterato quello politico. Senza voler
togliere delle responsabilit a Gregorio resta pur vero quanto affermava il Capitani, della situazione
generale della Christianitas prima che egli varcasse il soglio pontificio:
Alla morte del pontefice (Alessandro II), se ancora non sera aperto il conflitto (tra papato e impero), era
perlomeno certo che i termini di esso erano ormai chiari a tutti: esso si sarebbe determinato proprio su
quello che per secoli era stato il terreno concettualmente e giuridicamente ambiguo, pur nellefficacia
operativa in seno alla Christianitas altomedioevale e alla societ carolingia e post carolingia: la doppia
ascendenza, politica ed ecclesiastica, del patrimonio e della funzione episcopale e, pi generalmente,
clericale in seno a quella societ5.

Il Dictatus papae
Fatti tutti gli sconti dovuti al clima generale in cui veniva ad operare Gregorio, resta ora da
specificare le caratteristiche del suo singolare apporto. Se fino ad anni fa era incerta lorigine di un
documento venuto alla luce probabilmente nel periodo di maggiore crisi tra papato e vescovi,
allincirca verso il 1074, dopo lintervento del Fuhrman al convegno di Salerno del 1985 (La
riforma gregoriana, Salerno 20-25 maggio 1985), risulta ormai chiaro che si tratta di
unespressione personalissima dello stesso Gregorio: lindice di una raccolta di canoni che egli
avrebbe commissionato a Pier Damiani, ma che non fu mai realizzata, perch nessun canonista
avrebbe mai potuto giustificare, dal punto di vista canonico, le esigenze di Ildebrando, tanto era
dirompente, rispetto alla tradizione, ci che egli si era proposto di fare (si veda la cronaca del
convegno in Studi Medievali 26/1 (1985), 485-486).

G. MICCOLI, La storia religiosa, in Storia dItalia 2, 501-502; giudizio ampiamente condiviso da O. CAPITANI,
LItalia medievale, 54.
5
O. CAPITANI, L'italia medievale, 46
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Si tratta qui naturalmente del Dictatus papae, una collezione di 27 proposizioni riguardanti
privilegi, prerogative e funzioni della Chiesa di Roma, circa la deposizione e riconciliazione dei
vescovi; linvio dei legati (anche di grado inferiore a quello episcopale), con facolt di giudicare e
deporre i presuli, in virt del mandato pontificio; la deposizione dellimperatore e lo scioglimento
dei sudditi dal giuramento di fedelt; la concessione ai sudditi di muovere accuse contro i superiori
se colpevoli. La Chiesa di Roma, perch fondata direttamente da Cristo, avrebbe funzione di
modello del vivere cristiano a cui tutti si dovrebbero sottoporre e le sue sentenze godrebbero di
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ingiudicabilit, infallibilit e irrevocabilit: quod catholicus non habeatur, qui non concordat
Romane ecclesie (XXVI).
Questo, che a parere del Fuhrman non avrebbe avuto rapporti con il passato, ma che non pu
in ogni caso essere spuntato dal nulla, dunque da considerare una rilettura personale della storia
del primato, in funzione di garantirne un ampio esercizio che sia appannaggio di esigenze pastorali
di una Chiesa bisognosa di urgenti interventi di riforma. Gregorio lo avrebbe usato per scopi
esclusivamente religiosi, pur essendo incappato in complicati intrighi politici, ereditati dal sistema
ecclesiastico carolingio e ottoniano-salico, altri pontefici, come ad esempio un Bonifacio VIII, ne
avrebbero fatto uso in termini esclusivamente politici, pur intendendo difendere, nelle strutture
giuridiche favorevoli alla Chiesa immunit, esenzione fiscale, foro , la sua stessa autonomia di
fronte al potere secolare. La lotta per le immunit, oggetto di molti concordati del periodo moderno,
continuer fin dentro le aule dei parlamenti nazionali del XIX, in Italia essa otterr una delle sue pi
pesanti sconfitte con la recezione delle leggi Siccardi6.

La riforma nelle nazioni europee e in Germania


Gregorio si impegn ad allargare la collaborazione alla riforma in Polonia, dove regnava
Boleslao II, in Ungheria, dove si era assicurato lappoggio di Stefano, nel regno Croato-Dalmata,
mandando al re Demetrio il vessillo di S. Pietro; con Guglielmo il Conquistatore venne continuato il
rapporto di collaborazione ingaggiato gi dai suoi predecessori e anche in Spagna, lopera dei legati
risult di una certa efficacia. Vennero mandati dei missionari in Norvegia e Svezia. In Italia, oltre
alla collaborazione mostrata da Beatrice e Matilde, nei territori toscani, rimaneva incerta la
situazione nella parte meridionale, a causa della ribellione del Guiscardo e in quella settentrionale,
dove era ancora attivo il movimento anti-gregoriano, legato alle vicende dello scisma di Cadalo.
Dove per la riforma incontrava un fronte compatto dopposizione era la Germania.
Dallassunzione del potere di Ottone I di Sassonia in poi, si era andato strutturando, specie al
di l delle alpi, la figura del vescovo conte, che era imitata solo da alcuni, pochi esempi, al di qua
del promontorio alpino; unico caso era forse costituito dall'arcidiocesi di Milano. In questo ambito
si scaten dunque la resistenza contro i provvedimenti gregoriani. Le ostilit cominciarono dopo la
vittoria sui Sassoni, da parte di Enrico, mentre Gregorio stava aspettando legati da parte del re, per
discutere e chiarire la sua posizione, rispetto alle investiture. Dopo il preannunciato ritardo della
legazione imperiale, sembra che Enrico avesse fatto capire al papa di voler trattare pubblicamente la
questione della corona imperiale.
Ad Enrico premeva probabilmente assicurarsi l'appoggio papale contro le spinte
autonomistiche dei principi, manifestatesi gi al tempo della crisi causata dagli scontri con la
Sassonia. Gregorio reag a queste sollecitazioni, irrigidendo la sua posizione. Fu cos che Everardo,
conte fedele al re, scendeva in Italia, mettendo a Milano come arcivescovo un certo Tedaldo,
suddiacono milanese e cappellano del re, e cercando contemporaneamente alleanze con i Normanni
- Roberto il Guiscardo. Enrico, dal canto suo, procedeva allinvestitura del vescovadi di Fermo e
Spoleto. Alla minaccia di scomunica riferita oralmente al re da parte di Gregorio, segu un'azione
corale dei vescovi tedeschi, che a Worms (24/1/1076), istigati da Ugo il Bianco e convinti che
l'attentato del Natale 1075 al papa ad opera di Cencio fosse il segno dellinstabilit della corte
pontificia, dichiararono Gregorio VII traditore del re, delatore dei vescovi e decaduto, nominando
Enrico patrizio romano; i vescovi Lombardi riuniti a Piacenza seguirono le orme dei loro colleghi
6

Sono note come leggi Siccardi le leggi separatiste n. 1013 del 9 aprile 1850 e n. 1037 del 5 giugno 1850 dellallora
Regno di Sardegna, che abolirono i privilegi goduti fino allora dal clero cattolico, allineando la legislazione piemontese
a quella degli altri stati europei. Esse sono le leggi pi note del quadro legislativo in materia ecclesiastica che fu
impostato in Piemonte fra il 1848 e il 1861 e successivamente esteso e ampliato al Regno d'Italia. Diversamente dalle
leggi Siccardi le altre iniziative di legge ebbero un netto carattere neo-giurisdizionalista. Fra queste le pi importanti
furono la cosiddetta legge Rattazzi n. 878 del 29 maggio 1855 e le leggi eversive (soppressione degli istituti religiosi) n.
3036 del 7 luglio 1866 e n. 3848 del 15 agosto 1867.
Capitolo IV Gregorio VII

67
tedeschi.

Linizio della lotta


Diversamente da come pensava l'episcopato tedesco, la posizione del papa non fu scossa da
queste prese di posizione, anzi, con la scomunica lanciata da Gregorio nel sinodo quaresimale del
1076, molti vescovi che si erano piegati malvolentieri alle decisioni di Worms si riconciliarono con
Roma e domandando perdono accettarono la penitenza; i Sassoni approfittarono della situazione,
tutte le tendenze autonomistiche ripresero vigore e i pi irriducibili antagonisti della politica
enriciana proposero l'elezione di un nuovo re. Per evitare il precipitare della crisi politica e la
paventata elezione di un nuovo re, Gregorio accett dei compromessi: il re licenzi i consiglieri
scomunicati e promise obbedienza al papa; il problema delle investiture fu omesso dallaccordo.
Ma la macchina politica era gi stata messa in moto ed era difficile ormai arrestarla; Gregorio
vi si trovava come avvinghiato. I principi tedeschi si riunirono a Tribur e decisero di convocare una
grande assemblea ad Augusta, in cui, sotto la presidenza del papa, si sarebbe dovuto decidere il
destino del regno. Spostata la data della sua convocazione, per limpossibilit di recarsi in Germania
da parte di Gregorio, entro il termine stabilito, Enrico cerc di bloccare liniziativa papale che
avrebbe potuto mettere in pericolo la sua posizione.
Durante linverno egli raggiunse il pontefice, che gi si era incamminato verso la Germania,
presso la dimora di Matilde, a Canossa. Davanti a Ugo di Cluny, Matilde e Adelaide di Savoia e a
numerosi cardinali Enrico fu riammesso alla comunione con la Chiesa. La temporanea alleanza tra
Gregorio e principi tedeschi, avversi ad Enrico, cominci a rivelare le sue ambiguit e a Forchheim,
le istanze politiche di questi ultimi si rivelarono, in tutta la loro chiarezza, con lelezione di Rodolfo
di Svezia come nuovo re. Gregorio si trovava allora tra due fuochi: da una parte non avrebbe mai
potuto approvare le mire esclusivamente politiche dei principi, dallaltra si trovava lalleanza
vescovi-Enrico, che bloccava i suoi propositi di riforma.
Il conflitto si era complicato di motivi squisitamente politici, configurandosi sempre pi come un
conflitto tra scelte ed indirizzi che trovavano gi su questo piano unassoluta inconciliabilit. I tre anni
che vanno da Canossa alla seconda scomunica contro Enrico rappresentano lestremo sforzo di Gregorio
di sfuggire a questa stretta e al pesante condizionamento che i suoi alleati tedeschi rappresentavano per
cercare di scegliere in base a criteri completamente diversi da quelli che animavano la opposizione antienriciana, della quale egli del resto gi da tempo aveva avvertito le intenzioni e le motivazioni affatto
consone alle sue7.

Gregorio mantenne per anni la neutralit, rifiutando di riconoscere la legittimit dellelezione


di Rodolfo, ma alla fine nel sinodo del 1080 scomunic nuovamente Enrico, a motivo del suo
rifiuto a partecipare ad unassemblea di conciliazione con il suo avversario, in cui egli stesso
avrebbe dovuto fare da arbitro. Sarebbe stata questa la migliore sanzione alla riforma Gregoriana,
che aveva puntato sul primato assoluto della sede romana, come strumento di riforma, e che
avrebbe potuto cogliere notevoli vantaggi da unassemblea che aveva chiamato il papa a fare da
arbitro (O. CAPITANI, LItalia Medievale, 60).
Dal sinodo del 1079 era partita una legazione composta da Pietro Igneo, vescovo di Albano e
Uldarico, vescovo di Padova, con lincarico di organizzare un colloquium fra i due pretendenti al
trono e soprattutto di fissare ad Enrico un termine improrogabile. Giunti in Germania essi trovarono
una situazione che si volgeva gradualmente a vantaggio di Enrico, che per questo cercava di
dilazionare il pi possibile i tempi, per ottenere una resa completa del suo avversario, prima di
presentarsi davanti a Gregorio. Il papa, che aveva creduto ancora di poter trovare una soluzione alla
controversia, per procedere poi alla riforma, o meglio, di poter addirittura trarre vantaggio da una
debolezza politica di Enrico, per piegarlo ad una collaborazione nellestirpare simonia e
concubinato dal campo della Chiesa, si trovava a gareggiare con lui su un piano decisamente
7

MICCOLI, BBSS, 345-346


Capitolo IV Gregorio VII

68
politico ed ad essere costretto, alla fine, per non lasciargli un eccessivo vantaggio, a procedere con
una scelta politicamente sbagliata e moralmente ingiusta. Con la condanna del 1080, ai danni di
Enrico,
egli indicava s il fallimento di quella che era stata la sua politica nei confronti del regno tedesco, ma
anche, proprio perch cos disperatamente impolitica era questa nuova condanna e la conferma di Rodolfo
a re, il profondo impegno di giustizia che sempre lo aveva animato. La strada che egli imboccava era
ormai la guerra: e in questo impegno, duro e pesante e tragicamente sanguinoso, verranno in gran parte
assorbiti i suoi ultimi anni di pontificato8.

La guerra
Il re, con il sostegno della maggior parte dellepiscopato, radun unassemblea a Magonza,
che decise la deposizione di Gregorio e lelezione di un nuovo papa. A Bressanone egli diede
dunque attuazione concreta alle precedenti minacce, dichiarando deposto Gregorio e facendo
eleggere al suo posto Guiberto di Ravenna, Clemente III (antipapa). Morto in battaglia Rodolfo,
Enrico punt dunque su Roma con lintento di intronizzarvi il nuovo papa. A Roma, dopo che
Gregorio aveva rifiutato lultima proposta di Enrico (la sua incoronazione in cambio dellantipapa)
e aveva visto passare dalla parte imperiale molti notabili e 13 cardinali, il popolo ed il clero
intronizzarono Clemente III, che a Pasqua del 1084 incoron a sua volta Enrico IV imperatore. Con
l'arrivo di Roberto il Guiscardo, in aiuto al papa, lo scontro divenne inevitabile e Roma fu messa a
ferro e fuoco, con grande sdegno dei romani, davanti ai quali Gregorio non poteva che fuggire alla
volta di Salerno: qui mor, il 25 maggio 1085, pronunciando quelle parole che vennero scritte poi
nella sua tomba: dilexi iustitiam et odio habui iniquitatem, idcirco morior in exilio.
La Chiesa, l'Impero, l'Europa occidentale tutta, dopo Gregorio VII, pur attraverso revisioni, anche
profonde, della politica ecclesiastica del grande pontefice romano che si operarono gi dalla sua
scomparsa, non tornarono mai pi a essere quelle che i suoi stessi immediati predecessori avevano
conosciuto e, forse, serano perfino illusi di poter mantenere. L'ideale di unit di regnum et sacerdotium,
che pur nelle pi svariate contraddizioni aveva rappresentato una costante ideologia per il mondo
occidentale da Carlo Magno a Enrico III era definitivamente compromessa: clero e laicato avrebbero
cominciato ad acquistare una coscienza delle loro differenze assai maggiore di quella che avevano, per
secoli, potuto avere9.

Verso il Concordato di Worms


La politica flessibile di Urbano II
Alla morte di Gregorio il partito dei riformatori dovette attendere che Enrico e Clemente si
allontanassero da Roma, prima di procedere alla designazione del nuovo papa, nella persona
dellabate Desiderio di Montecassino. Perch egli accettasse lelezione pontificia si dovette
attendere quasi un anno (24 maggio 1086) e finalmente, il 9 maggio 1087, si pot procedere
allincoronazione di Vittore III, avvenuta in S. Pietro, grazie anche alla protezione dei Normanni,
ma subito si trincer a Montecassino dove spirer il 16 ottobre del 1087. Aspirava ad una
conciliazione con lImpero, tentata gi durante lassedio di Roma del 1082, rischiando quasi una
scomunica da parte di Gregorio. Non pot giungere a tale scopo causa la brevit del suo pontificato.
Eletto papa Ugo di Ostia, cluniacense, col nome di Urbano II, si cerc di aggirare lostacolo
del rapporto papato-impero, isolando la realt tedesca per mezzo di una politica di conciliazione con
le altre nazioni europee, nel tentativo di coinvolgerle a favore del partito riformatore-gregoriano.
Procedendo in modo accomodante, nell'applicazione dei principi della riforma (lotta alla simonia,
8
9

MICCOLI, BBSS, 349


CAPITANI, L'Italia Medievale, 62
Capitolo IV Gregorio VII

69
concubinato e investitura laica), si concesse il riconoscimento a vescovi investiti da re, validit alle
ordinazioni eseguite dall'arcivescovo di Milano, Tedaldo, nei casi in cui non ci fosse stata simonia e
infine, validit anche ai sacramenti amministrai dai preti caduti nello scisma.
Urbano II cerc inoltre di sostenere lazione della riforma mediante un lungo viaggio
apostolico, che attraverso la Toscana e la Lombardia lo avrebbe condotto in Francia: nel sinodo di
Piacenza del 1095 si rinnov il giudizio di invalidit per le ordinazioni simoniache e quelle
compiute da scismatici; a Clermont si proib qualsiasi forma di vassallaggio, di un chierico nei
confronti di un laico, e si minacciarono di scomunica quei vescovi che avessero sotto di se chierici
ordinati da laici; si invitarono tutte le forze dEuropa alla crociata, pro sola divotione per la
liberazione di Gerusalemme.
La funzione del papato romano come centro di coordinamento della societ cristiana nelle sue
motivazioni religiose e ideali e politiche trovava nella proclamazione della crociata una forma di coagulo
singolare ed efficace. Era linizio di una supremazia, il riconoscimento di una identit sul piano pratico
che condannava allisolamento, anche se non allimmediato successo, Enrico IV e Clemente III10.

Pasquale II e la scelta pauperistica


Alla morte di Urbano II (luglio 1099), venne eletto il card. Raniero con il nome di Pasquale II
( 1118). Nicolaismo e simonia erano abusi contro cui si lottava sia nellobbedienza romana sia in
quella imperiale di Clemente III. La differenza fra le parti consisteva soltanto in una diversa
concezione dellesercizio del primato, che con Ildebrando sarebbe giunto a livelli inaccettabili,
non tanto per giudizi espressi in ambito spirituale, ma per la pretesa di agire anche sul piano
materiale-temporale, arrivando fino alla deposizione dei sovrani. I clementisti non avevano
comunque alcuna valenza politica e i due protagonisti della discussione intorno al problema delle
investiture erano rimasti il papa di Roma e l'Imperatore.
La questione si era risolta facilmente in Inghilterra, dove il re si era accontentato
dellomaggio feudale prima della consacrazione episcopale con la relativa rinuncia del re di
consegnare il pastorale e lanello (definitivamente definita nella dieta di Clarendon 1164). Pi o
meno lo stesso avvenne in Francia, dove grazie a Ivo di Chartres si era arrivati a distinguere bene
tra ufficio pastorale e beni temporali. Pertanto il re Filippo I ( 1108) rinunciava allinvestitura con
lanello e il pastorale; per converso voleva ottenere il diritto di permettere e di approvare le elezioni
ecclesiastiche e di investire con le temporalit leletto, dietro presentazione del giuramento di
fedelt. Un criterio questo che alla fine fu seguito anche altrove. Per la Germania per le cose erano
pi complicate: i beni assoggettati al controllo dei vescovi tedeschi erano considerevoli e il re non
poteva permettersi di perdere il diretto dominio su di essi.
Nel 1110 Enrico V, gi in precedenza appoggiato dal papa nella sua lotta contro il padre
Enrico IV, incominci il suo viaggio verso Roma e a Sutri stabil un accordo segreto con Pasquale
II, giungendo ad un compromesso sulla questione delle investiture che prevedeva una novit
assoluta: i vescovi avrebbero dovuto rinunciare ai regalia, cio tutti i benefici temporali concessi in
precedenza da re e imperatori, ad eccezione di decime e donazioni private, e il re avrebbe rinunciato
ad ogni pretesa di investitura sacra. L'approdo pauperistico di Sutri si configurava cos come
l'ideale punto d'arrivo delle dure lotte e dell'impegno di tutti i riformatori (MICCOLI, La storia
religiosa, 513-514).
Non a caso, come ricorda sempre il Miccoli, nella solenne rinuncia alla regalia, Pasquale II
aveva ricordato tutti i danni causati alla Chiesa dal compromesso con il secolo. Non era dunque il
potere laico ad aver corrotto lesercizio pastorale dei vescovi e del clero in genere, ma il potere che
veniva dalla gestione delle ricchezza. La libert della Chiesa e la sua riforma si sarebbe ottenuta non
con il divieto fatto al re di investire i vescovi, ma solo togliendo la ricchezza di mano agli
ecclesiastici.
10

CAPITANI, L'Italia Medievale, 70


Capitolo IV Gregorio VII

70
In occasione dellincoronazione imperiale di Enrico V, si fece precedere a tale solenne atto la
lettura del compromesso raggiunto a Sutri, il 12 febbraio 1111. Nella chiesa di S. Pietro, scoppi
una rivolta, animata dagli stessi ecclesiastici che non volevano rinunciare a incarichi pubblici su
citt, ducati, margraviati, telonei ecc., che erano appunto i famosi regalia. Il re, che non voleva
rinunciare allincoronazione, imprigion papa e cardinali e costrinse Pasquale II a riconoscergli il
diritto di investitura con anello e pastorale e ad incoronarlo imperatore riconoscendoli daltro canto
la libera elezione dei prelati (accordo di Ponte Mammolo, 11 aprile 1111). Anche se pi tardi i
sinodi romani del 1112 e del 1116 tornarono a vietare linvestitura, annullando laccordo di Ponte
Mammolo, non fu lanciata alcuna scomunica contro Enrico V, segno che il compromesso di Sutri
non era stato del tutto ripudiato e sarebbe stato rimesso in circolo, sotto altra forma, alla prima
occasione opportuna.
Sutri avrebbe allora un duplice significato: da una parte indicherebbe la via alla soluzione del
problema delle investiture, nel riconoscimento dellintangibilit del diritto imperiale sulle regalie
(CAPITANI, L'Italia Medievale, 83.85); dall'altra, esso avrebbe segnato la sconfitta di quella linea di
riforma che aspirava a realizzare in termini di povert una nuova presenza cristiana all'interno della
vita sociale (MICCOLI, La storia religiosa, 516). Se durante il pontificato di Pasquale II non si
giunse ad una soluzione del problema delle investiture, era per stato avviato un processo culturale
che, attraverso il riconoscimento della distinzione tra ufficio ecclesiastico e beni temporali, avrebbe
condotto fino alla soluzione proposta nel concordato di Worms.

Concordato di Worms
Il 23 settembre 1122, Callisto II ( 1124) concluse dunque a Worms un accordo con
lImperatore: prevedeva, in Germania, linvestitura dei regalia non pi per mezzo di anello e
pastorale ma mediante lo scettro, prima della consacrazione episcopale e, per converso, si
riconosceva allimperatore, e non solo a lui personalmente, ma anche ai suoi successori, il diritto di
assistere alle elezioni dei prelati in Germania, purch fosse esclusa la simonia o la coarcizione. I
Gregoriani non videro di buon occhio la concessione fatta allImperatore di investire per sceptrum;
essi, pi di ogni altro, erano sensibili allequivoco che si stava consumando a Worms: era chiaro che
quel compromesso doveva riguardare solo una tregua di fatto, non pi che una strategia politica
contingente, e non doveva essere in alcun modo un punto acquisito a livello del diritto. L'aver
distinto ufficio e beneficio, non bast ad eliminare i problemi delle relazioni tra sacerdotium e
regnum o, meglio, imperium e i fatti intervenuti al tempo di Bonifacio VIII e Filippo il Bello,
Ludovico il Bavaro e Giovanni XXII stanno l a dimostrarlo, il Concordato, nonostante la buona
volont dei contraenti, conteneva notevoli ambiguit, foriere di nuovi scontri.
Ma, sebbene si debba riconosce un parziale successo, la portata relativa di tale traguardo
consent alla Chiesa di porre una pietra miliare alla lotta per le investiture, durata quasi
cinquantanni grazie ad una saggia arrendevolezza e ad una pi equa delimitazione delle esigenze
da entrambe le parti. Certamente limpero era riuscito ad affermare buona parte dei suoi diritti. Ma
la vincitrice sostanziale nella contesa era stata la Curia: infatti linvestitura da parte dei laici nella
sua vecchia forma venne eliminata, le elezioni dei vescovi e degli abati e la facolt di disporre dei
simboli dellufficio spirituale furono restituiti alla Chiesa, e la tutela esercitata dal potere temporale
su quello spirituale fu infranta. Di una conferma dellelezione papale da parte dellimperatore non
era naturalmente pi il caso di parlare. Lo sviluppo di tutta la situazione conteneva oltre che un
grande successo per il papato, le basi per un aumento ancora pi rilevante della sua potenza.
Per lapprovazione e la proclamazione solenne del concordato di Worms, Callisto II nel 1123
celebr un importante concilio in Laterano, il nono concilio ecumenico, il primo celebrato in Occidente; la convocazione e la direzione dello stesso, a differenza dei concili dellantichit cristiana,
spett ora naturalmente solo al papa. Nel concilio fu inoltre emanata una serie di canoni disciplinari,
che per lo pi richiamavano disposizioni precedenti, allo scopo di eliminare vari disordini e abusi
nella Chiesa.
Capitolo IV Gregorio VII

71
CONCORDATO DI WORMS (1122)
PRIVILEGIO DELL 'IMPERATORE.
In nome della santa ed indivisibile Trinit. lo, Enrico, per grazia di Dio augusto imperatore dei Romani, per amore di Dio e della Santa Chiesa
Romana e del nostro papa Callisto e per la guarigione della mia anima, cedo a Dio e ai suoi santi apostoli Pietro e Paolo e alla Santa Chiesa Cattolica
ogni investitura con anello e pastorale, e concedo che in tutte le chiese esistenti nel mio regno e nel mio impero vi siano elezioni canoniche e libere
consacrazioni. Restituisco alla medesima Santa Chiesa Romana i possedimenti e le regalie del beato Pietro, che le furono tolti dall'inizio di questa
controversia fino ad oggi, sia ai tempi di mio padre sia ai miei, e che io posseggo; dar fedelmente il mio aiuto perch vengano restituiti quelli che
non ho. Ugualmente render, secondo il consiglio dei principi e secondo giustizia, i possedimenti di tutte le altre chiese e dei principi e degli altri
chierici o laici, perduti in questa guerra, e che sono in mia mano; per quelli che non lo sono, dar fedelmente il mio aiuto, si che vengano restituiti. Ed
assicuro una sincera pace al nostro papa Callisto e alla Santa Chiesa Romana e a tutti coloro che sono o son stati dalla sua parte. Fedelmente dar il
mio aiuto quando la Santa Chiesa Romana me lo chieder, e le render debita giustizia se mi far lagnanza. Tutto ci stato redatto col consenso e il
consiglio dei principi di cui seguono i nomi: Adalberto, arcivescovo di Magonza, F. arcivescovo di Colonia, H. vescovo di Ratisbona, O. vescovo di
Bamberga, B. vescovo di Spira, H. di Augusta, G. di Utrecht, 0. di Costanza, E. abate di Fulda, Enrico duca, Federico duca, S. duca, Pertolfo duca,
Teipoldo margravio, Engelberto margravio, Gotifredo conte Palatino, Ottone conte Palatino, Berengario conte Palatino.
lo, Federico, arcivescovo di Colonia, e gran cancelliere, ho riveduto ci.
PRIVILEGIO DEL PONTEFICE.
lo, Callisto vescovo, servo dei servi di Dio, concedo a te, diletto figlio Enrico, per grazia di Dio augusto imperatore dei Romani, che abbian luogo alla
tua presenza, senza simonia e senza alcuna violenza, le elezioni dei vescovi e degli abati di Germania che spettino al regno; si che se sorga qualche
ragione di discordia tra le parti, secondo il consiglio e il parere del metropolita e dei comprovinciali tu dia consenso ed aiuto alla parte pi sana.
L'eletto riceva da te le regalie per mezzo dello scettro e per esse eseguisca secondo giustizia i suoi doveri verso di te. Colui che consacrato nelle altre
regioni dell'Impero invece riceva da te le regalie entro sei mesi, per mezzo dello scettro, e per esse eseguisca secondo giustizia i suoi doveri verso di
te, salve restando tutte le prerogative riconosciute alla Chiesa Romana. Secondo il dovere del mio ufficio, ti dar aiuto in ci di cui tu mi farai
lagnanza e in cui mi chiederai soccorso. Assicuro una pace sincera, a te e a tutti coloro che sono o sono stati del tuo partito durante questa discordia.

Capitolo IV Gregorio VII

72

Scisma di Michele Cerulario e papa Leone IX


Lestraniamento progressivo tra Chiesa ortodossa e Chiesa cattolica
Intendiamo inserire qui, a mo di appendice, completando quanto abbiamo gi premesso a p.
44s.: la progressiva crisi che estrani lOccidente dallOriente e che prima port alla stallo
scismatico tra papa Niccol I e il patriarca Fozio, che raggiunse il suo apice critico tra Cerulario e
Leone IX e il suo parossismo conclamato nella conquista crociata di Costantinopoli (1204).
Nuova materia di controversia costitu il quarto matrimonio dellimperatore Leone VI. Nel
906, esso non fu riconosciuto dal patriarca Nicola I conformemente al diritto della Chiesa orientale,
mentre lo fu dal papa Sergio III. Di conseguenza il nome del papa fu cancellato dai dittici (tavolette
della prece eucaristica) e il patriarca addirittura deposto. Successivamente rimesso al suo posto, egli
preg papa Giovanni X di inviare dei rappresentanti. Nel frattempo Costantinopoli aveva proibito le
quarte nozze, cosa che un sinodo (921) e anche i legati papali accettarono. Allora il nome del papa
fu reinserito nei dittici. A partire da questa controversia della tetragamia nella Chiesa ortodossa
vietato dopo dallora un quarto matrimonio, mentre lOccidente non conosce una simile limitazione.
La mancanza di contatti e di collaborazione fra oriente e occidente fu aggravata nel secolo X
dalla situazione del papato; in oriente esistevano un governo ecclesiastico abbastanza forte e
lirradiamento teologico-ecclesiale di un Michele Psello e di un Simeone il Nuovo Teologo, nonch
una missione bizantina vivace. Tensioni si ebbero con lincoronazione di Ottone il Grande a
imperatore (962), con luso del Filioque nel simbolo anche in Roma da parte di Sergio III (nel
1009 il suo nome fu perci cancellato dai dittici a Costantinopoli) e con laggiunta ufficiale fattane
da Benedetto VIII (1014) su pressione dellimperatore Enrico II. Neppure il comune pericolo
normanno riusc a migliorare il clima. Ambedue le parti avevano quasi perso la coscienza di
appartenere a ununica Chiesa.
Quando in oriente governava il patriarca Michele Cerulario11 (1043-58), uomo energico e
geloso della propria indipendenza, il movimento riformista, gi da tempo allopera in Occidente per
migliorare le condizioni della Chiesa, ritenne di dover intervenire anche nelle comunit bizantine
dellItalia meridionale. Michele Cerulario reag violentemente, ordin, senza neppure prendere in
considerazione la possibilit di unintesa, la chiusura delle chiese latine di Costantinopoli e
condann le consuetudini occidentali. Questi interventi e sconfinamenti da una parte e dallaltra
sono un indice della profonda estraniazione delle Chiese e di una grave diffidenza reciproca. Luna
e laltra parte arrivarono addirittura ad accusarsi vicendevolmente di eresia. Tuttavia il pericolo
normanno le costrinse a riconciliarsi. Il patriarca scrisse perci al papa, e questi invi una
delegazione a Costantinopoli. La scelta del card. Umberto da Silva Candida12 a capo delegazione
non giov per alla riconciliazione, perch questo fiero sostenitore della riforma non aveva alcuna
comprensione per e della Chiesa orientale. Egli arriv nellaprile del 1054 e fu accolto
solennemente dallimperatore, ma meno solennemente dal patriarca che sollev pi di una riserva:
la delegazione sarebbe stata influenzata dal suo nemico personale, il plenipotenziario bizantino
nellItalia meridionale; essa non poteva addirittura essere stata inviata dal papa, perch questi era
prigioniero dei Normanni (a Benevento); infine anche i nuovi sigilli dei documenti sarebbero stati
sconosciuti al patriarca. Latmosfera risultava cattiva in partenza, per dei dialoghi di riconciliazione.
11

Michele Cerulario (1000-1058), nato in una grande famiglia di Costantinopoli, era diventato monaco dopo la carcerazione per un complotto contro limperatore. L amicizia di un altro imperatore gli valse la dignit patriarcale nel
1043. Si mostr molto avverso ai Latini. Nel 1058, fu arrestato e deportato dallimperatore Isacco Comneno e mor
prima di essere giudicato.
12
Umberto entr nel 1015 nel monastero di Moyenmoutier (Vosgi) e divenne un convinto fautore della riforma della
Chiesa. Il papa Leone IX che era stato vescovo di Toul lo port a Roma come segretario, lo fece cardinale e gli affid
molti incarichi, tra cui quello di Costantinopoli. Era un uomo di carattere, ma rude, senza elasticit e senza
comprensione per le diversit.
Capitolo IV Gregorio VII

73
Il cardinale, con in mente le idee occidentali sul cesaropapismo, non si rese conto degli
effettivi rapporti di potere e cerc lappoggio dellimperatore, mentre tratt il patriarca come un
suo subalterno (W. de Vries). Infine perse la pazienza e scomunic il patriarca unitamente ai suoi
sostenitori (non per tutta la Chiesa ortodossa), deponendo sullaltare della Haghia Sophia durante
la celebrazione eucaristica del 16 luglio del 1054 un documento da lui compilato. Non sappiamo se
egli allora fosse a conoscenza che il papa era morto tre mesi prima, n possediamo alcuna
testimonianza di un incarico conferitogli dal papa di scomunicare il patriarca. La bolla di
scomunica composta da Umberto mostra chiaramente fino a che punto la mentalit della Chiesa
romana si fosse trasformata sotto l'influsso del movimento riformatore e quanto poco gli uomini di
tale movimento avessero capito della Chiesa orientale, nonch dei suoi usi e delle sue consuetudini.
Umberto pretese di scoprire in essa le tracce di tutte le grandi eresie..., e accus addirittura i bizantini di aver stralciato il Filioque dal Credo, cosa con cui dimostr la sua ignoranza nel campo
della storia della Chiesa (F. Dvornik).
Dopo un tentativo imperiale di riconciliazione andato a vuoto, un sinodo radunato a
Costantinopoli scomunic il 24 luglio, lautore della bolla di scomunica e i suoi collaboratori.
Neppure questo sinodo del patriarca scomunic, ad esempio, il papa o tutta la Chiesa occidentale.
Perci le scomuniche del 1054 non segnarono lavvento dello scisma definitivo, che
sopravvenne solo con la conquista crociata di Costantinopoli del 1204 e con le sue conseguenze.
Nel 1054 fall piuttosto un tentativo di riconciliazione, che era stato intrapreso su una base sbagliata
e in condizioni sfavorevoli. La letteratura polemica, che da allora cominci a proliferare, consolid
ancora di pi i fronti.

Sentenza di scomunica del cardinale Umberto contro Michele Cerulario (1054)


Quanto a Michele, al quale si attribuisce abusivamente il titolo di patriarca, e ai sostenitori della sua pazzia,
essi seminano una abbondante zizzania di eresia, ogni giorno, nella citt di Costantinopoli. Come i simoniaci,
vendono il dono di Dio (...). Come i nicolaiti, permettono ai ministri del santo altare di contrarre matrimonio (...).
Come gli pneumatomachi (coloro che combattono lo Spirito), essi hanno soppresso nel simbolo la processione
dello Spirito Santo a filio (...). Come i manichei dichiarano che il pane fermentato animato. Inoltre, lasciando
crescere barba e capelli, rifiutano la comunione a coloro che, seguendo il costume della Chiesa romana, si fanno
tagliare i capelli e si radono la barba (...).
Per questo motivo, non potendo sopportare queste ingiurie inaudite e questi oltraggi verso la prima sede
apostolica, noi firmiamo contro Michele e i suoi discepoli lanatema che il nostro reverendissimo papa aveva
pronunciato contro di loro qualora non avessero ritrattato:
Che Michele il neofita, che porta abusivamente il titolo di patriarca (...), e tutti quelli che lo seguono negli
errori suddetti, cadano sotto lanatema, Maranath, con i simoniaci (...) e tutti gli eretici, anzi con il diavolo e i suoi
angeli a meno che non si convertano. Amen, amen, amen!
Citato in M. JUGIE, Le schisme byzantin, 205s.

Non mancarono i tentativi per ristabilire la reciproca concordia e la pace sebbene i moventi
degli imperatori orientali fossero il pi delle volte di natura politico-militare e quelli dei papi di
natura politico-ecclesiale, ma non ecumenici nel senso odierno del termine. Una parte si aspettava
aiuti militari contro linvadenza dellislam, laltra il riconoscimento del primato nel senso
occidentale di sottomissione alla giurisdizione papale. A questo riguardo non possiamo parlare
retrospettivamente di un ritorno della Chiesa bizantina sotto lobbedienza della sede papale,
perch una subordinazione del genere, quale allora venne richiesta, non mai esistita n prima n
dopo.
Tentativi del tipo descritto ve ne furono sotto Gregorio VII e limperatore Michele VII (107178), ma senza successo. Limperatore Niceforo III (1078-81), che non vi era favorevole, fu
addirittura scomunicato dal papa, cos come lo fu Alessio I (1081-1118), senza che ci avesse
tuttavia delle ripercussioni in Costantinopoli. Urbano II cerc di riguadagnare Alessio, tolse la
scomunica e prospett degli aiuti militari. E con questo siamo allinizio delle crociate, il cui ruolo
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fu oltremodo nocivo per le relazioni fra le Chiese.
Solo dopo quasi un millennio, il 7 dicembre 1965, tali scomuniche furono
contemporaneamente tolte a Roma da Paolo VI e a Costantinopoli dal patriarca ecumenico
Atenagora I, che con questo gesto vollero cancellarle dalla memoria e dal seno della Chiesa e
condannarle alloblio.
Dichiarazione comune del papa Paolo VI e del patriarca Atenagora (7 dicembre 1965)
Tra gli ostacoli che si trovano sul cammino dello sviluppo di questi rapporti fraterni (tra la Chiesa Cattolica Romana e la Chiesa Ortodossa) di fiducia e di stima, c il ricordo delle decisioni, degli atti e degli incidenti penosi
che hanno portato, nel 1054, alla sentenza di scomunica lanciata contro il patriarca Michele Cerulario e due altre
personalit, dai legati della sede romana guidati dal cardinale Umberto. Tali legati furono essi stessi poi colpiti da
una sentenza analoga da parte del patriarca e del Sinodo costantinopolitano.
Il papa Paolo VI e il patriarca Atenagora I con il suo Sinodo, consapevoli di esprimere il sentimento comune di
giustizia e il sentimento unanime dei loro fedeli e ricordando il comando del Signore: Se dunque tu, nel fare la
tua offerta allaltare (Mt 5,23-24) dichiarano di comune accordo:
a) di deplorare le parole offensive, i rimproveri senza fondamento e i gesti condannabili che, da una parte e
dallaltra, hanno contrassegnato o accompagnato i tristi avvenimenti di quellepoca;
b) di deplorare, anche, e di cancellare dalla memoria e dal seno della Chiesa, le sentenze di scomunica che vi
hanno fatto seguito ed il cui ricordo stato, fino ai nostri giorni, un ostacolo al riavvicinamento nella carit e di
condannarle alloblio;
c) di deplorare, infine, i dolorosi precedenti e gli avvenimenti ulteriori che, sotto linflusso di vari fattori, tra i
quali lincomprensione e la reciproca diffidenza, hanno, alla fine, condotto alla rottura effettiva della
comunione ecclesiastica.
Il papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora I con il suo Sinodo sono consapevoli che questo gesto di giustizia e di
perdono reciproco non pu bastare a mettere fine alle controversie antiche o pi recenti che sussistono tra la
Chiesa Cattolica Romana e la Chiesa Ortodossa e che, mediante lazione dello Spirito Santo, saranno superate
grazie alla purificazione dei cuori, al rammarico dei torti avutisi nel corso della storia, cos come grazie alla
volont efficace di giungere a una comprensione e ad unespressione comune della fede apostolica e delle sue
esigenze.
Tratto da J. COMBY, Per leggere la storia della Chiesa 1, Roma s.a., 110

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