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Workshops?
Appunti sullo studio delle maestranze nella
decorazione architettonica romana
Filippo Demma
Keywords: Architectural decoration; maestranze; officine; workshop; Bauhtte; Werkstatt; Atelier; marble; stone working
Parole chiave: decorazione architettonica; maestranze; officine; workshop; Bauhtte; Werkstatt;
Atelier; marmo; lavorazione della pietra
Abstract: The idea of workshop in architectural decoration studies is the subject of this paper,
exhaminating the history of the research in the last 100 years. The purpose of the article is to provide
a critical overview of different methodologies used by scholars to address the problem of the production of architectural elements in Roman Empire.
Il contributo esamina levoluzione del concetto di "officina" nella storia degli studi sulla decorazione
architettonica e affronta criticamente i differenti approcci metodologici seguiti per lidentificazione
degli artigiani negli ultimi cento anni, allo scopo di delineare un quadro di sintesi utile al dibattito
scientifico.
Nel campo della ricerca sulla produzione degli elementi architettonici - fatti salvi
i rarissimi casi in cui sono state rinvenute officine vere e proprie1 - la letteratura critica
sul tema delle maestranze2 non affatto uniforme e le posizioni degli studiosi oscillano
tra due estremi. Come si vedr tra poco, in alcuni studi il riconoscimento di officine
vere e proprie, intese come gruppi di artigiani organizzati dei quali sidentificano formazione culturale, provenienza, numero di componenti, articolazione interna, commesse
eseguite e raggio di azione. Altri studiosi, allopposto, dubitano persino della possibilit
di interpretare determinate caratteristiche dei loro materiali come segni dello stile di un
gruppo o di un individuo e intendono il concetto di officina come unastrazione concettuale con la quale spiegare un certo ordine di differenze o di affinit nellesecuzione
di materiali coevi. Particolari cui non possibile attribuire un significato cronologico
e che, pertanto, non possono essere ricondotte al concetto di stile dellepoca, ma che, a
loro giudizio, non hanno nemmeno una complessit tale da fornire un numero di indizi
adeguato allidentificazione delle caratteristiche di un gruppo di lavoro.
Proviamo dunque a porci delle domande: come si definisce, o meglio, che cosa
1 Per lofficina di marmorario rinvenuta a Cordoba cfr. Gutierrez-Deza 2004; sulle officine del vicus Lartidianus, tra Puteoli e Baiae, si veda Demma 2010.
2 La sintesi che qui si presenta prende in considerazione una serie di studi, editi per lo pi nella seconda
met del XX secolo, che riguardano le prospettive metodologiche utilizzate nella storia della ricerca sul
tema delle maestranze. Lo spazio a disposizione ha naturalmente imposto delle scelte, pertanto ci si limitati a considerare - oltre alle pubblicazioni che hanno finora avuto il ruolo pi ampio nellorientare la
ricerca - quegli articoli a volte anche brevi, che presentassero per una specifica riflessione metodologica
sul tema. La selezione sicuramente parziale, ma la relazione presentata al convegno non intendeva in
alcun modo essere esauriente; si pi modestamente limitata a proporre qualche spunto di riflessione e di
discussione in un consesso che ha visto presenti alcuni degli archeologi che hanno contribuito a fondare le
basi di questa disciplina ed ha rappresentato per tutti i partecipanti unoccasione unica di arricchimento.
What We Talk About When We Talk About Workshops, Filippo Demma, Thiasos Monografie X, 2016, pp. 251-262 1
sintende comunemente nella storia degli studi per officina di produzione di elementi
architettonici decorati ? che cosa stato finora considerato un indicatore per il riconoscimento delle maestranze ? Quali sono stati i criteri adottati per identificare le officine?
Quali sono i casi concreti verificati che si possono in qualche modo considerare paradigmatici per i diversi indirizzi di ricerca ?
Chiariamo innanzitutto alcune questioni preliminari.
Prima questione: nel campo della decorazione architettonica, lapprovvigionamento dei materiali da costruzione gi di per s connesso con il problema delle maestranze, in almeno due sensi. Innanzitutto, lo stadio di lavorazione nel quale i blocchi
lasciano la cava non sempre il medesimo e non sempre esattamente determinabile,
cosicch in alcuni casi pu essere necessario distinguere tra chi opera in cava e chi termina il lavoro in situ, e quindi eventualmente parlare di due o pi gruppi di artigiani, che
in alcuni situazioni possono coincidere tra loro. Simili distinzioni sono assai difficili da
stabilire e, nella storia degli studi, sono accennate solo in ricerche dedicate a prodotti di
cava e semilavorati, che esulano dal tema di questa comunicazione3.
Lapprovvigionamento dei materiali, inoltre, connesso con il problema delle maestranze perch pu succedere che la scelta di una determinata qualit imponga limpiego
di maestranze esperte nel suo trattamento; classico il caso del pentelico, spesso lavorato
da gruppi di scalpellini che seguivano i carichi di marmo provenienti dallAttica. Esamineremo di seguito alcune ricerche che hanno sviluppato considerazioni legate a questo
fenomeno.
Seconda questione preliminare: non questa la sede per analizzare la struttura del
mercato degli elementi architettonici decorati e tuttavia, in linea generale, si pu certamente affermare che, sebbene le necessit di una societ dinamica come quella romana
implicassero senzaltro la continua ideazione e realizzazione di progetti edilizi, dalle residenze private ai monumenti funerari, tuttavia la soddisfazione di questi bisogni implicava pi raramente la produzione di grandi quantit di elementi decorativi litici o addirittura marmorei, e poche devono essere state le officine stabili che potevano sostentarsi con
quel tipo di commesse, nella citt romana media. Daltra parte le commesse cittadine,
provinciali o urbane, per la realizzazione di edifici pubblici non erano cosa che potesse
dare una continuit di lavoro tale da sostenere a lungo pi gruppi stabili e strutturati
di artigiani. Chi guardasse le cose in questottica potrebbe essere portato a pensare, col
Leon, 4 che squadre di artigiani potessero essere formate di volta in volta dai redemptores
marmorarii in base alle commesse ottenute, e che nemmeno a Roma esistessero grosse
officine fisse e strutturate che gestivano in proprio gli affari. Questo implicherebbe che
lo stile individuale di ogni scalpellino si formasse attraverso esperienze distinte in pi
gruppi di lavoro diversi, e allenterebbe in un certo senso la cogenza del concetto di officina, intesa come gruppo unitario ed in evoluzione comune, poich la cifra stilistica di un
singolo team sarebbe destinata a durare lo spazio di un solo progetto. Questo solo uno
dei modelli interpretativi possibili, e risulta probabilmente vero, cio, una situazione del
genere, date le effettive condizioni di mercato e di lavoro sopra accennate, ha unelevata
probabilit di essersi verificata. E, per inciso, sarebbe un modello assai adatto a spiegare
casi come quello di Narbonne e forse anche quello di Lattara illustrati nel corso di
questo stesso convegno da Y. Maligorne e R. Pell. In una situazione media nella quale
le commesse pubbliche non dovevano essere numerosissime, mentre quelle private non
dovevano, se non in casi eccezionali, implicare una grossa mole di lavoro, la strutturazione pi probabile del mercato deve aver visto lesistenza di piccoli gruppi di artigiani che
soddisfacevano le esigenze della committenza privata, e si univano, magari sotto la guida
di capiofficina esterni, nel caso di grosse commesse statali, o comunque di incarichi di
maggior impegno.
3 Si vedano, a titolo desempio: Hankey 1965; Baccini Leotardi 1979; Asgari 1988; Marmi Antichi I
e II; Classical Marble 1988; Asgari 1990; Waelkens 1985; Pensabene 1998; Hermann, Tycot 2009;
Nogales, Beltran 2009.
4 Leon 1971, pp. 136-157.
2 Decor
Heinrich 2002.
Zevi, Cavalieri Manasse 2005.
7 Schrner 1993, pp.131-2.
8 Khler 1935.
9 Khler 1937.
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a dire resa comparabile dei medesimi temi decorativi e ricorrenza di determinate iconografie. Sono queste le stesse basi metodologiche del lavoro cardine condotto a termine
nel 1970 da W.D. Heilmeyer sullevoluzione dei capitelli corinzi10, opera nella quale lo
studioso identifica lapporto di gruppi di artigiani, tradizioni ed officine differenti nella
formazione del modello di capitello corinzio normale e nella sua evoluzione. Le osservazioni sparse del Khler vengono sviluppate, ampliate e sistematizzate, poi, applicate ad
un corpus di materiali vastissimo, vengono utilizzate per il suo ordinamento.
Piuttosto legati ai metodi della cultura materiale sono gli studi della scuola inglese,
che hanno avuto come iniziatore J.B. Ward Perkins11, per il quale lanalisi stilistica solo
una delle fonti a disposizione, utilizzata con pari dignit accanto a quelle scritte ed ai
dati archeologici relativi allesame della circolazione dei marmi. Il titolo di un contributo
apparso nel 1979 emblematico in proposito: Taste, tradition and technology. Some aspects
of the architecture of the late Republican and early Imperial Central Italy12. Limportanza
attribuita allesame del materiale nella determinazione e nellidentificazione di un
gruppo di artigiani pensiamo naturalmente ai lavori su Nicomedia, e sulla Tripolitania
- porta decisamente lindagine sulla decorazione architettonica oltre lambito della storia
dellarte, per collocarlo in quello pi ampio della cultura materiale.
I saggi dellHeilmeyer e del Ward-Perkins hanno incontrato unenorme fortuna ed
hanno trovato un foltissimo seguito. Entrambe le prospettive confluiscono nel metodo
sviluppato da P. Pensabene, che ncora lanalisi stilistica alla realt locale ed al processo
produttivo attraverso gli studi sulla circolazione di materiali e modelli nellintero mondo romano13, e si orienta nel senso di una piena rispondenza alle esigenze della ricerca
sulla cultura materiale che a partire dagli anni 70 andava caratterizzando gli studi archeologici anche italiani pensiamo alla lezione di R. Bianchi Bandinelli. Il discorso
metodologico di Pensabene, partito dai contesti pi prossimi a Roma, si allargato alla
considerazione delle singole realt provinciali, consentendogli di sviluppare in maniera
originale concetti come tradizione decorativa e stile regionale, basati sullidea che certi
modelli adottati nel centro dellimpero si diffondessero nelle provincie e si fondessero
con le tradizioni locali, dando origine a stili regionali tipici, condizionati dalluso del
materiale e da gusti e possibilit economiche dei committenti. Lapprofondimento dellanalisi di singole regioni lo ha spinto a individuare modelli complessi nella circolazione
di maestranze itineranti e nella formazione di officine locali, allinterno delle quali egli
riconosce, di volta in volta, le componenti principali. Ad esempio, nei lavori degli anni
90 sulla Provenza, sulla Penisola Iberica e sulla Syria 14 - le caratteristiche dei materiali
gli suggeriscono lipotesi che capiofficina di provenienza probabilmente urbana lavorino
affiancati ad elementi locali. Il criterio adoperato per lo studio dellattivit delle officine
orientali in Sicilia tra II e III secolo basato sullattenzione alla qualit dei marmi, al tipo
di edifici e committenze e, tecnicamente, sullanalisi stilistica degli elementi decorativi
che accomunano alcuni materiali prodotti nelle stesse pietre e per lo stesso tipo di edifici
e committenti15.
Pi in generale, dopo, ed in parte accanto alla grande sistemazione delle principali
classi di materiale operata soprattutto da studiosi tedeschi16, a partire dalla met degli
anni 70 ci si concentra di pi sullo studio di singoli contesti, ma si estende lanalisi a tutte
10
Heilmeyer 1970.
Gli studi principali su questo argomento sono Ward Perkins 1948; Idem 1951; Idem 1971; Idem 1980.
12 Ward Perkins 1979.
13 Cfr. Pensabene 1972; Pensabene 1972a; Pensabene 1973; Pensabene 1976; Pensabene 1978; Pensabene 1982; Pensabene 1983 etc.
14 Pensabene 1993; Pensabene 1994; Pensabene 1997.
15 Pensabene 1996-7.
16 Oltre ai lavori dellHeilmeyer sui capitelli corinzi erano ormai da tempo disponibili, per le cornici, quelli
della serie Rmische Geblke, opera del Tobelmann (1923) e del Khler (1953), per architravi soffitti e
basi i lavori del Wegner (1957; 1965), mentre quelli del Ronczewsky (1932) Bingl (1980) e dello Hermann (1980; 1988) classificavano gli altri tipi di capitelli. Il lavoro di Pensabene (1973) che, studiando il
materiale di Ostia, delinea uno schema evolutivo di tutti i tipi ivi attestati, si configurava come una sorta di
sintesi, per di pi disponibile in italiano.
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le classi di materiali presenti. In tutti questi lavori, nella maggior parte dei casi, ci si limita
ad osservazioni pi o meno puntuali o ad ipotesi sulla struttura delle officine17.
Differente il punto di vista dal quale partono, invece, le ricerche di S. Walker, K.S.
Freyberger; J. Rohmann e H. Heinrich. Come il predecessore di Heilmeyer era stato
Khler, cos lantesignano del noto volume di Freyberger del 1990 di cui parleremo tra
un attimo - un breve articolo che S. Walker aveva pubblicato negli AA una decina di
anni prima18. Esaminando un gruppo di capitelli con acanto spinoso, la studiosa aveva fatto due affermazioni basilari: gli artigiani si specializzano nel trattare una definita
qualit di marmo e cambiare qualit comporta difficolt; lo stile difficilmente dissociabile dalla tecnica. Non necessario sottolineare linfluenza dei criteri del Ward-Perkins
sulla prima affermazione. La seconda precisava il concetto di stile in maniera forse pi
meccanica, ma certo pi facilmente leggibile. Conseguentemente, la Walker identificava
la sua officina sulla base del materiale utilizzato (il marmo pentelico) e della tecnica di
produzione impiegata. Il modo di lavorazione dei capitelli adottato dallofficina ateniese
prevedeva una serie di steps successivi, messi in opera con una sequenza ben definita
nelluso degli strumenti, che lasciano sul marmo delle tracce individuabili e distinguibili
da altre, tipiche di artigiani differenti che lavorano secondo criteri diversi. In poche parole, considerando i capitelli dal punto di vista del processo di lavorazione e degli utensili
adoperati per ottenere certi effetti, si adotta un approccio pi vicino al produttore antico
che non a quello dellosservatore moderno.
Freyberger sistematizza questo punto di vista19 e lo applica alla gran mole dei capitelli urbani prodotti in circa un secolo e mezzo, a gruppi e serie definite e datate per
via esterna. Il passo preliminare consiste nello spiegare come certi ordini di variazioni
allinterno del corpus esaminato siano determinate dalladozione di modelli differenti,
siano cio di ordine tipologico, non dipendano dal processo di produzione, e si pongano quindi sostanzialmente a monte di questo. In questo modo, dopo aver sgombrato il
campo da tutti i dati che possono risultare da una semplice analisi tipologica, lo studioso
passa a definire tre modalit di lavorazione differenti, che producono tre livelli qualitativi
diversi, li ritiene caratteristici di tre distinti gruppi di scalpellini, e poi segue la attivit
loro e dei loro epigoni tra la fine del I e linizio del III secolo d.C. La qualit del materiale
lunico discrimine per distinguere tra i prodotti di officine diverse, le loro realizzazioni
vengono univocamente identificate in base a tracce riconoscibili del procedimento tecnico che ne caratterizza il lavoro di produzione.
Un approfondimento di questa metodologia impiegato dal Rohmann nellanalisi
dei capitelli di Pergamo, dove lo studio delle officine, individuate applicando il metodo di
Freyberger, viene portato fino allidentificazione dello Handschrift dei singoli artigiani20.
Nel mettere in pratica le sequenze costanti di azioni che appartengono ad una determinato processo di lavorazione, ogni scalpellino ha una sua maniera peculiare di utilizzare
gli utensili, una sua grafia, e lascia cos tracce pi o meno individuabili sulla pietra, inter-
17
Ci riferiamo, in pratica, a tutti gli studi italiani tra gli anni 70 e 90, a titolo desempio ne citiamo alcuni
tra i pi consultati, e nei quali viene in qualche modo affrontata, o almeno citata, la questione delle botteghe. Rossignani 1975 si occupa dei materiali di Parma: lanalisi riguardante le officine si ispira al metodo
di Heilmeyer pi volte citato rifacendosi a criteri largamente stilistici. In particolare la decorazione del
teatro consente di individuare due tipi dintervento nellornamentazione principale: la cura nellesecuzione
plastica, che tradisce labitudine a lavorare il marmo, segnala la presenza di artigiani urbani; la presenza
di durezze e reminiscenze tardo-repubblicane indicano maestranze locali. Ma losservazione resta a livello
di suggerimento, e non supportata da una padronanza del metodo, tanto che pi avanti Rossignani
1975, p. 87 si afferma che andr accertato se le assonanze formali tra materiali di citt diverse indicano
circolazione degli stessi artigiani. In Cavalieri Manasse 1978, su Trieste e Pola, la questione delle officine
non affrontata, ci si limita a proporre una provenienza urbana per alcuni pezzi di qualit migliore, come
gli elementi del tempio di Pola. Sperti 1983, esaminando larco di S. Tomio a Verona ipotizza un influsso
asiatico sulla base della sequenza delle modanature. Per il resto largomento non viene affrontato.
18 Walker 1977.
19 Freyberger 1990; si veda anche Freyberger 1998
20 Per una discussione metodologica di questo lavoro cfr. Demma 2007, pp. 50-55.
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sottosquadro. Poi allarga lorizzonte e indica come tipici di questo gruppo di artigiani
anche ladozione di alcuni elementi decorativi particolari, o limpiego di sequenze definite
di motivi sempre sulla stessa modanatura e nella stessa posizione. In realt, alcune delle
caratteristiche rilevate dalla Vandeput come peculiari dellofficina di Sagalasso sono
comuni in tutto il mondo microasiatico, tanto da venire utilizzate come indicatori della
presenza di officine itineranti al di fuori dellAsia Minore, e nella fattispecie proprio in
Sicilia28. Il criterio piuttosto confuso e metodologicamente poco chiaro, tanto che,
quando si passa ad analizzare monumenti differenti e ad attribuirli ad officine esterne
alla citt, si fa ricorso ad una serie di confronti piuttosto larga, con materiali differenti
ed eterogenei.
Decisamente misti anche i criteri adottati da A. Roth-Congs, che studia, invece, la
decorazione proto-augustea della Provenza. Lanalisi stilistica sulle tracce di Heilmeyer
rigorosa e coerente nellindividuazione dei tipi dacanto impiegati e dei loro modelli. La
studiosa francese abbozza, poi, una struttura per spiegare le differenze e le affinit che
i materiali esaminati presentano tra di loro e definisce una Scuola con una nozione
piuttosto ampia che ingloba le diverse maniere nelle quali differenti ateliers si rapportano
a modelli identici. In questottica, nellambito della Scuola Provenzale circolerebbero
tra le botteghe gli stessi cartoni per profili e modanature, mentre soluzioni affini
sarebbero proposte per gli altri temi (acanto, ornamentazione delle cornici etc.). Se in
due contesti distinti, oltre che gli stessi modelli, si adottano le stesse soluzioni particolari
si pu ipotizzare di trovarsi di fronte allattivit di un medesimo atelier. Uno di questi
viene identificato e se ne riconosce lattivit nei principali centri della regione. In realt,
per la definizione di Scuola si utilizza un criterio generico, e si attribuiscono ad essa
prerogative piuttosto proprie come gi detto- degli architetti. Daltra parte, il concetto
di atelier non viene circoscritto, ci si limita a raggruppare materiali simili ed a suggerire
due o tre casi nei quali si riconosce lattivit di unofficina29.
In realt le difficolt, anche teoriche, nascono quando si esamina materiale
tipologicamente vario: non si riesce ad applicare a trabeazioni e fregi vegetali, altamente
standardizzati e ripetitivi, gli stessi criteri proficuamente utilizzati con i capitelli, e,
piuttosto che cedere le armi, si ricorre allausilio della tipologia e delliconografia.
Larchitettura della Provenza stata il banco di prova sul quale, naturalmente, si
formata la ricerca francese pi recente, a partire dai lavori di Amy, Rolland e Gros
degli anni 60 e 70 del secolo scorso30. Per ci che attiene al nostro tema, la prospettiva
metodologica di questi studi, come pure di quelli pi tardi sviluppati sullAquitania da
D. Tardy e dalla sua scuola31, collocabile nella linea evolutiva dellanalisi tipologica
e stilistica propria dellindirizzo Khler-Leon-Hailmeyer-Pensabene sopra esaminata.
La produzione scientifica pi recente, ad esempio quella dedicata a Lugdunum ed alla
lugdunense32, affronta in maniera pi decisa ed autonoma i temi legati alla ricerca sugli
ateliers, ma resta priva di spunti metodologici particolarmente meditati. Lesame dei
singoli temi ornamentali e la loro forma, la sintassi decorativa, la scelta di un motivo
piuttosto che un altro continuano ad essere utilizzati come criterio di assegnazione
dei materiali allattivit di diverse officine, andando incontro agli inconvenienti sopra
esaminati. Pi interessante, metodologicamente meditato, e dunque foriero di risultati
pi affidabili, sembra lo studio sulla circolazione dei materiali costruttivi importati ed
il loro collegamento con artigiani itineranti, e/o con la formazione di maestranze locali
che si specializzano nel trattamento di pietre importate33. Come si gi visto a proposito
28 Oltre alle palmette, onnipresenti sulla decorazione siciliana attribuita ad officine orientali, anche la corona liscia decisamente diffusa (Pensabene 1996-7, passim).
29 Completamente privo di elaborazione in merito un altro testo francese, il saggio di M. Janon sui rinceaux della Narbonese (Janon 1986), che si limita ad identificare un atelier attivo ad Arles e Vaison in base
a pure e semplici consonanze iconografiche tra i materiali, senza approfondire nemmeno lesame stilistico
e senza esplicitare i criteri adottati.
30 cfr. ad esempio Amy et al. 1962; Rolland 1969; Amy, Gros 1979.
31 cfr. ad esempio Tardy 1989; Tardy 1994.
32 cfr. ad esempio Fellague 2008.
33 Gros 1987; Gros 2004; Tardy 1994; Maligorne 2006; Fellague 2008.
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delle officine orientali attive a Roma ed in Sicilia nel II d.C., lincrocio dei dati sulla
circolazione dei materiali e di quelli derivati dallanalisi stilistica, rende pi affidabili le
ipotesi di attribuzione; anche se un peso forse inferiore al dovuto viene dato alla figura
degli architetti.
Il tema dei materiali importati e della circolazione di maestranze allogene
ovviamente comune a tutte le ricerche sui contesti provinciali occidentali34, dove spesso
Romanizzazione e Monumentalizzazione sono sinonimi e per la verit anche a quelli
orientali pi periferici35 - e costituisce lelemento pi innovativo e metodologicamente
meditato anche delle ricerche spagnole pi recenti36, anchesse tradizionalmente connesse
agli studi stilistici, forse qui direttamente ispirati pi di tutti dal lavoro di P. Pensabene37.
Il ruolo dei modelli che nella storia degli studi si immaginino variamente rappresentati su cartoni e disegni, da prototipi in pietra o marmo oppure da calchi in gesso nella trasmissione di iconografie ed elementi stilistici stato recentemente e brillatemente affrontato anche da S. Sande a proposito del tempio dei Castori e dello sviluppo della
tradizione augustea38. Linterrelazione tra lesistenza e la diffusione di modelli, la loro
disponibilit per le imprese edili, il ruolo degli architetti, le preferenze dei committenti,
la resa stessa dei modelli e quindi lesame iconografie ornamentali e sintassi decorative
correttamente individuate e distinte tra loro stata a livello metodologico puntualizzata assai chiaramente da G. Plattner nei suoi studi su Efeso e Pergamo39. Piuttosto
che sulle officine in termini generici, lattenzione si sposta qui coerentemente, secondo
le tracce gi contenute nel pionieristico saggio del Leon di cui si ampiamente discusso
sopra, sullorganizzazione delle imprese e quindi dei cantieri edili. Bauhtten, dunque,
non semplicemente Werksttten.
Lattenzione sui medesimi aspetti stata parallelamente, e indipendentemente,
portata avanti da una serie di studi italiani degli anni pi recenti. Alle dinamiche di cantiere, alla circolazione di marmi e modelli, alle interrelazioni culturali ricostruite sulla
base di analisi fondate sulle tecniche esecutive e inquadrate dallesame di interrelazioni
tra la committenza e le maestranze, sono particolarmente attenti gli studi della scuola
romana, tra i quali ci limitiamo a citare in particolare i lavori di M. Milella sul foro di
Traiano, di F. Caprioli sul tempio di Vesta e le ricerche di G. Mesolella sui centri del Lazio
meridionale costiero40.
Partendo invece dalle prospettive dischiuse negli anni 990 dagli studi di J. Delaine
sulle terme di Caracalla e pi in generale sugli aspetti ingegneristici ed economici dellarchitettura imperiale romana, P. Barresi ha lavorato alla quantificazione dei costi dellarchitettura pubblica ed alla loro incidenza nelle realizzazioni monumentali, sviluppando
una intera metodologia per indagare i meccanismi delle commesse ed il rapporto tra
committenti, impresari ed esecutori degli edifici e delle loro decorazioni. Qualche anno
fa il metodo, messo a punto per le indagini sullarchitettura dellAsia Minore, stato applicato allo studio dellanfiteatro maggiore di Puteoli ed alla sua decorazione marmorea,
dando risultati piuttosto interessanti41.
In conclusione, si tentato di ripercorrere brevemente le principali linee evolutive
delle recenti metodologie dindagine sul tema delle maestranze nella decorazione
architettonica, partendo dalla fondazione delle basi della disciplina negli anni 30
e cercando di individuarne lo sviluppo nella ricerca contemporanea e gli apporti
specifici delle diverse tendenze nazionali. Il tutto, lo ripetiamo, senza nessuna pretesa di
completezza, ma con lunico obiettivo di fornire una base alla discussione sul metodo.
34
Per lAfrica, oltre alle ricerche di Ward Perkins, cfr. ad esempio Ferchiou 1989.
Cfr. ad esempio Dentzer-Feydi 1989; Pensabene 1997.
36 Marquez 2002; Ramallo 2006; Domingo, Garrido, Mar 2011; Felipe Colodrero 2012.
37 cfr. Ramallo 1992; Ramallo 1996; Recasens 1982; Diaz Martos 1986; Cisneros 1988; De la Barrera 2000; Marquez 1990; Marquez 1993; Gutierrez Behemerid 1996-97.
38 cfr. S. Sande in Zahle 2009.
39 Plattner 2004; Plattner 2007; Plattner 2009.
40 Milella 1994; Milella 2004; Mesolella 1994; Mesolella 2012; Caprioli 2007.
41 Barresi 2004 e Demma 2004.
35
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