Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Si tratta della copia digitale di un libro che per generazioni stato conservata negli scaffali di una biblioteca prima di essere digitalizzato da Google
nellambito del progetto volto a rendere disponibili online i libri di tutto il mondo.
Ha sopravvissuto abbastanza per non essere pi protetto dai diritti di copyright e diventare di pubblico dominio. Un libro di pubblico dominio
un libro che non mai stato protetto dal copyright o i cui termini legali di copyright sono scaduti. La classificazione di un libro come di pubblico
dominio pu variare da paese a paese. I libri di pubblico dominio sono lanello di congiunzione con il passato, rappresentano un patrimonio storico,
culturale e di conoscenza spesso difficile da scoprire.
Commenti, note e altre annotazioni a margine presenti nel volume originale compariranno in questo file, come testimonianza del lungo viaggio
percorso dal libro, dalleditore originale alla biblioteca, per giungere fino a te.
Google orgoglioso di essere il partner delle biblioteche per digitalizzare i materiali di pubblico dominio e renderli universalmente disponibili.
I libri di pubblico dominio appartengono al pubblico e noi ne siamo solamente i custodi. Tuttavia questo lavoro oneroso, pertanto, per poter
continuare ad offrire questo servizio abbiamo preso alcune iniziative per impedire lutilizzo illecito da parte di soggetti commerciali, compresa
limposizione di restrizioni sullinvio di query automatizzate.
Inoltre ti chiediamo di:
+ Non fare un uso commerciale di questi file Abbiamo concepito Google Ricerca Libri per luso da parte dei singoli utenti privati e ti chiediamo
di utilizzare questi file per uso personale e non a fini commerciali.
+ Non inviare query automatizzate Non inviare a Google query automatizzate di alcun tipo. Se stai effettuando delle ricerche nel campo della
traduzione automatica, del riconoscimento ottico dei caratteri (OCR) o in altri campi dove necessiti di utilizzare grandi quantit di testo, ti
invitiamo a contattarci. Incoraggiamo luso dei materiali di pubblico dominio per questi scopi e potremmo esserti di aiuto.
+ Conserva la filigrana La "filigrana" (watermark) di Google che compare in ciascun file essenziale per informare gli utenti su questo progetto
e aiutarli a trovare materiali aggiuntivi tramite Google Ricerca Libri. Non rimuoverla.
+ Fanne un uso legale Indipendentemente dallutilizzo che ne farai, ricordati che tua responsabilit accertati di farne un uso legale. Non
dare per scontato che, poich un libro di pubblico dominio per gli utenti degli Stati Uniti, sia di pubblico dominio anche per gli utenti di
altri paesi. I criteri che stabiliscono se un libro protetto da copyright variano da Paese a Paese e non possiamo offrire indicazioni se un
determinato uso del libro consentito. Non dare per scontato che poich un libro compare in Google Ricerca Libri ci significhi che pu
essere utilizzato in qualsiasi modo e in qualsiasi Paese del mondo. Le sanzioni per le violazioni del copyright possono essere molto severe.
La missione di Google organizzare le informazioni a livello mondiale e renderle universalmente accessibili e fruibili. Google Ricerca Libri aiuta
i lettori a scoprire i libri di tutto il mondo e consente ad autori ed editori di raggiungere un pubblico pi ampio. Puoi effettuare una ricerca sul Web
nellintero testo di questo libro da http://books.google.com
I PROMESSI SPOSI
'
li
'"
-
PROMESSI SPOSI
DI
ALESSANDRO MANZONI
MILANO
GIUSEPPE REDAELLI
1 8 C 5.
\
.1 .
Propriet letteraria
INTRODUZIONE
I
INTRODUZIONE. 7
n'abilit mirabile , le qualit pi opposte, trova la maniera di riu
scir rozzo insieme e affettato, nella slessa pagina, nello stesso periodo,
nello stesso vocabolo. Ecco qui : declamazioni ampollose , composte a
forza di solecismi pedestri, e da per tutto quella goffaggine ambiziosa,
WT il proprio carattere degli scritti di quel secolo, in questo paese.
In vero, non cosa da presentare a lettori d'oggigiorno: son troppo
ammaliziati, troppo disgustati di questo genere di stravaganze. Meno
male, che il buon pensiero m' venuto sul principio di questo scia
gurato lavoro: e me ne lavo le mani.
Nell'atto per di chiudere lo scartafaccio, per riporlo, mi sapeva
male che una storia cosi bella dovesse rimanervi tuttavia sconosciuta;
perch, in quanto storia, pu essere che al lettore ne paia altrimenti ,
ma a me era parsa bella, come dico ; molto bella. Perch non si po
trebbe, pensai, prender la serie de' fatti da questo manoscritto, e ri
farne la dicitura? Non essendosi presentato alcuna obiezion ragio
nevole, il partito fu subito abbracciato. Ed ecco P origine del presente
libro, esposta con un'ingenuit pari all' importanza del libro medesimo.
Taluni per di que' fatti , certi costumi descritti dal nostro autore,
e'eran sembrati cosi nuovi, cos strani, per non dir peggio, che, prima
<li prestargli fede, abbiam voluto interrogare altri testimoni ; e ci siam
messi a frugar nelle memorie di quel tempo, per chiarirci se veramente
il mondo camminasse allora a quel modo. Una tale indagine dissip
tutti i nostri dubbi : a ogni passo ci abbattevamo in cose consimili, e
in cose pi forti: e, quello che ci parve pi decisivo, abbiam perfino
ritrovati alcuni personaggi, de' quali non avendo mai avuto notizia
fuor che dal nostro manoscritto, eravamo in dubbio se fossero real
mente esistiti. E, all'occorrenza, citeremo alcuna di quelle testimo
nianze, per procacciar fede alle cose, alle quali, per la loro stranezza,
il lettore sarebbe pi tentato di negarla.
Ma, rifiutando come intollerabile la dicitura del nostro autore, che
dicitura vi abbiam noi sostituita? Qui sta il punto.
Chiunque , senza esser pregato , s' intromette a rifar r opera altrui ,
s'espone a rendere uno stretto conto della sua, e ne contrae in certo
modo l'obbligazione: questa una regola di fatto e di diritto, alla quale
non pretendiam punto di sottrarci. Anzi , per conformarci ad essa di
buon grado, avevam proposto di dar qui minutamente ragione del mode
<li scrivere da uoi tenuto; e, a questo Une, siamo andati, per tutto il
S INTRODUZIONE.
tempo del lavoro, cercando d'indovinare le critiche possibili e contin
genti, con inteniione di ribatterle tutte anticipatamente. N in onesto
sarebbe stata la difficolt; giacch (dobbiam dirlo a onor del vero) noi
ci si present alla mente una critica, che non le venisse Insieme una
risposta trionfante, di quelle risposte che , non dico risolvon le que
stioni, ma le mutano. Spesso anche, mettendo due critiche alle mani"
tra loro, le facevam battere runa dall'altra; o, esaminandole ben a.
fondo, riscontrandole attentamente, riuscivamo a scoprire e a mostrare
che, cos opposte in apparenza, eraniper d'uno stesso genere, nasce-
van tutt'e due dal non badare ai fatti e ai princpi su cui il giudizio;
doveva esser fondato ; e, messele, con loro gran sorpresa, insieme, Ie
mandavano insieme a spasso. Non ci sarebbe mai stato autore che
provasse cos ad evidenza d'aver fatto bene. Ma che? quando siamo
stati al punto di raccapezzar tutte le dette obiezioni e risposte, per
disporle con qualche ordine, misericordia! venivano a fare un libro.
Veduta la qual cosa, abbiamlmesso da parte il pensiero, per due ra
gioni che il lettore trover certamente buone : la prima, che un libro-
impiegato a giustificarne un altro, anzi lo stile d'un altro, potrebbe-
parer cosa ridicola: la seconda, che di libri basta uno per volta, quando,
non d' avanzo.
1 PROMESSI SPOSI
CAPITOLO PRIMO.
CAPITOLO I. 25
il bicchiere, con la mano non ben ferma, e votandolo poi
in fretta, come se fosse una medicina.
Vuol dunque ch' io sia costretta di domandar qua e l
cosa sia accaduto al mio padrone? disse Perpetua, ritta
dinanzi a lui, con le mani arrovesciate sui fianchi, e le
gomita appuntate davanti, guardandolo fisso, quasi volesse
succhiargli dagli occhi il segreto.
Per amor del cielo ! non fate pettegolezzi , non fate
schiamazzi : ne va ne va la vita !
La vita !
La vita.
Lei sa bene, che ogni volta che m' ha detto qualche
cosa sinceramente, in confidenza, io non ho mai
Brava! come quando
Perpetua s' avvide d' aver toccato un tasto falso ; onde,
cambiando subito il tono, signor padrone, disse, con
voce commossa e da commovere, io le sono sempre
stata affezionata; e, se ora voglio sapere, per premura,
perch vorrei poterla soccorrere, darle un buon parere,
Elevarle l' animo....
II fatto sta che don Abbondio aveva forse tanta voglia di
scaricarsi del suo doloroso segreto, quanta ne avesse Per
petua di conoscerlo : onde, dopo aver respinti sempre pi
debolmente i nuovi e pi incalzanti assalti di lei, dopo
averle fatto pi d'una volta giurare che non fiaterebbe,
finalmente, con molte sospensioni, con molti ohim, le rac
cont il miserabile caso. Quando si venne al nome terribile
del mandante, bisogn che Perpetua proferisse un nuovo e
pi solenne giuramento ; e don Abbondio, pronunziato quel
nome, si rovesci sulla spalliera della seggiola, con un gran
sospiro, alzando le mani, in atto insieme di comando e di
supplica, e dicendo: per amor del cielo !
Delle sue ! esclam Perpetua. Oh che birbone ! oh
che soverchiatore ! oh che uomo senza timor di Dio !
Volete tacere? o volete rovinarmi del tutto?
. Ohi siam qui soli che nessun ci sente. Ma come far,
povero signor padrone ?
Oh vedete, disse don Abbondio, con voce stizzosa:
26 I PROMESSI SPOSI
vedete che bei pareri mi sa dar costei ! Viene a do
mandarmi come far, come far ; quasi fosse lei nell' im
piccio, e toccasse a me di levamela.
Ma! io l' avrei bene il mio povero parere da darle;
ma poi
Ma poi, sentiamo.
Il mio parere sarebbe che, siccome tutti dicono che il
nostro arcivescovo un sant' uomo, e un uomo di polso, e
che non ha paura di nessuno, e, quando pu fare star a do
vere un di questi prepotenti, per sostenere un curato, ci
gongola; io direi, e dico che lei gli scrivesse una bella let
tera, per informarlo come qualmente
Volete tacere ? volete tacere ? Son pareri codesti da
dare a un pover' uomo ? Quando mi fosse toccata una
schioppettata nella schiena, Dio liberi ! l' arcivescovo me
la leverebbe?
Eh ! le schioppettate non si danno via come confetti: e
guai se questi cani dovessero mordere tutte le volte che
abbaiano ! E io ho sempre veduto che a chi sa mostrare
i denti, e farsi stimare, gli si porta rispetto; e, appunto
perch lei non vuol mai dir la sua ragione, siam ridotti
a segno che tutti vengono, con licenza, a
Volete tacere ?
Io taccio subito ; ma per certo che, quando il mondo
s' accorge che uno, sempre, in ogni incontro, pronto a
calar le
Volete tacere ? tempo ora di dir codeste baggianate ?
Basta : ci penser questa notte ; ma intanto non cominci
a farsi male da s, a rovinarsi la salute ; mangi un boccone.
Ci penser io, rispose, brontolando, don Abbondio :
4. sicuro ; io ci penser, io ci ho da pensare. E s' alz, con
tinuando : non voglio prender niente ; niente : ho altra
voglia: lo so anch'io che tocca a pensarci a me. Ma! la
doveva accader per l' appunto a me.
Mandi almen gi quest' altro gocciolo, disse Perpe
tua, mescendo. Lei sa che questo le rimette sempre 1
stomaco.
Eh ! ci vuol altro, ci vuol altro, ci vuol altro.
CAPITOLO I. 27
Cosi dicendo, prese il lume , e, brontolando sempre :
una piccola bagattella ! a un galantuomo par mio ! e do
mani com' andr? e altre simili lamentazioni, s' avvi per
saure in camera. Giunto su la soglia, si volt indietro verso
Perpetua, mise il dito sulla bocca, disse, con tono lento e
solenne : per amor del cielo ! e disparve.
CAPITOLO n.
CAPITOLO III.
CAPITOLO IV.
CAPITOLO V.
CAPITOLO VI.
p CAPITOLO VII.
CAPITOLO VIII.
CAPITOLO IX.
CAPITOLO X. .
\
Vison de'momenti in cui l'animo, particolarmente de' gio
vani, disposto in maniera che ogni poco d' istanza basta
a ottenerne ogni cosa che abbia un' apparenza di bene e di
sacrifizio : come un flore appena sbocciato, s'abbandona mol
lemente sul suo fragile stelo, pronto a concedere le sue fra
granze alla prim' aria che gli aliti punto d' intorno. Questi
momenti, che si dovrebbero dagli altri ammirare con timido
rispetto, son quelli appunto che l' astuzia interessata spia
attentamente e coglie di volo, per legare una volont che
non si guarda.
Al legger quella lettera, il principe vide subito lo spi
raglio aperto alle sue antiche e costanti mire. Mand a dire
a Gertrude che venisse da lui; e aspettandola, si dispose a
batter il ferro, mentr'era caldo. Gertrude comparve, e, senza
alzar gli occhi in viso al padre, gli si butt in ginocchioni
davanti, ed ebbe- appena fiato di dire : perdono ! Egli le
fece cenno che s' alzasse ; ma, con una voce poco atta a rin
corare, le rispose che il perdono non bastava desiderarlo n
chiederlo ; ch' era cosa troppo agevole e troppo naturale a
chiunque sia trovato in colpa, e tema la punizione ; che in
somma bisognava meritarlo. Gertrude domand, sommes
samente e tremando, che cosa dovesse fare. Il principe
(non ci regge il cuore di dargli in questo momento il titolo
di padre) non rispose direttamente, ma cominci a parlare
a lungo del fallo di Gertrude : e quelle parole frizzavano
sull' animo della poveretta, come lo scorrere d' una mano
ruvidasur una ferita. Continu dicendo che, quand'anche
caso mai che avesse avuto prima qualche intenzione di
collocarla nel secolo, lei stessa ci aveva messo ora un osta
colo insuperabile; giacch a un cavalier d'onore, com'era
lui, non sarebbe mai bastato l' animo di regalare a un ga
lantuomo una signorina che aveva dato un tal saggio di s.
La misera ascoltatrice era annichilata : allora il principe,
raddolcendo a grado a grado la voce e le parole, prosegu
dicendo che per a ogni fallo c' era rimedio e misericordia;
ICO I PROMESSI SPOSI
che il suo era di quelli per i quali il rimedio pi chia
ramente indicato : ch' essa doveva vedere, in questo tristo
accidente, come un avviso che la vita del secolo era troppo
piena di pericoli per lei
Ah si ! esclam Gertrude, scossa dal timore, preparata
dalla vergogna, e mossa in quel punto da una tenerezza
istantanea.
Ah! lo capite anche voi, riprese incontanente il prin
cipe. Ebbene, non si parli pi del passato : tutto can
cellato. Avete preso il solo partito onorevole, conveniente,
che vi rimanesse ; ma perch l' avete preso di buona voglia,
e con buona maniera, tocca a me a farvelo riuscir gradito
in tutto e per tutto : tocca a me a farne tornare tutto il
vantaggio e tutto il merito sopra di voi. Ne prendo io la
cura. Cos dicendo, scosse un campanello che stava sul
tavolino, e al servitore che entr, disse: la principessa e
il principino subito. E seguit poi con Gertrude : voglio
metterli subito a parte della mia consolazione ; voglio che
tutti comincin subito a trattarvi come si conviene. Avete
sperimentato in parte il padre severo; ma da qui innanzi
proverete tutto il padre amoroso.
A queste parole, Gertrude rimaneva come sbalordita.
Ora ripensava come mai quel s che le era scappato, avesse
potuto significar tanto, ra cercava se ci fosse maniera di
riprenderlo, di restringerne il senso; ma la persuasione
del principe pareva cos intera, la sua gioia cos gelosa, la
benignit cos condizionata, che Gertrude non os proferire
una parola che potesse turbarle menomamente.
Dopo pochi momenti, vennero i due chiamati, e vedendo
l Gertrude, la guardarono in viso, incerti e maravigliati.
Ma il principe, con un contegno lieto e amorevole, che
ne prescriveva loro un somigliante, ecco, disse, la
pecora smarrita : e sia questa l' ultima parola che richiami
triste memorie. Ecco la consolazione della famiglia. Gertrude
non ha pi bisogno di consigli; ci che noi desideravamo
per suo bene, l' ha voluto lei spontaneamente. risoluta,
m'ha fatto intendere che risoluta A questo passo,
alz essa verso il padre uno sguardo tra atterrito e
CAPITOLO X. 161
supplichevole, come per chiedergli che sospendesse, ma
egli prosegu francamente: che risoluta di prendere
il velo.
Brava! bene! esclamarono, a una voce, la madre e
il figlio, e l'uno dopo l'altra abbracciaron Gertrude; la quale
ricevette queste accoglienze con lacrime, che furono inter
pretate per lacrime di consolazione. Allora il principe si
diffuse a spiegar ci che farebbe per render lieta e splen
dida la sorte della figlia. Parl delle distinzioni di cui go
drebbe nel monastero e nel paese ; che, l sarebbe come una
principessa, come la rappresentante della famiglia; che, ap
pena l'et l'avrebbe permesso, sarebbe innalzata alla prima
dignit; e, intanto, non sarebbe soggetta che di nome. La
principessa e il principino rinnovavano, ogni momento, le
congratirlazioni e gli applausi: Gertrude era come domi
nata da un sogno.
Converr poi fissare il giorno, per andare a Monza, a
far la richiesta alla badessa, disse il principe. Come sar
contenta ! Vi so dire che tutto il monastero sapr valutar
l' onore che Gertrude gli fa. Anzi perch non ci andiamo
oggi ? Gertrude prender volentieri un po' d' aria.
Andiamo pure, disse la principessa.
, Vo a dar gli ordini, disse il principino.
Ma profer sommessamente Gertrude.
Piano, piano, riprese il principe: lasciam decidere
a lei: forse oggi non si sente abbastanza disposta, e le pia
cerebbe pi aspettar fino a domani. Dite: volete che an
diamo oggi o domani ?
Domani, rispose, con voce fiacca, Gertrude, alla quale
pareva ancora di far qualche cosa, prendendo un po' di
tempo.
Domani, disse solennemente il principe : ha stabi
lito che si vada domani. Intanto io vo dal vicario delle mo
nache, a fissare un giorno per l'esame. Detto fatto, il
principe usc, e and veramente (che non fu piccola degna
zione) dal detto vicario ; e concertarono che verrebbe di l
a due giorni.
In tutto il resto di quella giornata, Gertrude non ebbe
I Promessi Sposi. 11
162 I PROMESSI SPOSI
un minuto di bene. Avrebbe desiderato riposar l'animo da
tante commozioni, lasciar, per dir cosi, chiarire i suoi pen
sieri, render conto a s stessa di ci che aveva fatto, di
ci che le rimaneva da fare, sapere ci che volesse, ral
lentare un momento quella macchina che, appena avviata,
andava cos precipitosamente; ma non ci fu verso. L'oc
cupazioni si succedevano senza interruzione ; s'incastravano
l'una con l'altra. Subito dopo partito il principe, fu condotta
nel gabinetto della principessa, per essere, sotto la sua
direzione, pettinata e rivestita dalla sua propria cameriera.
Non era ancor terminato di dar l' ultima mano, che furori
avvertite ch' era in tavola. Gertrude pass in mezzo agl' in
chini della servit, che accennava di congratularsi per la
guarigione, e trov alcuni parenti pi prossimi, ch' erano
stati invitati in fretta, per farle onore, e per rallegrarsi
con lei de' due felici avvenimenti, la ricuperata salute, e la
spiegata vocazione.
La sposina (cosi si chiamavan le giovani monacande, e
Gertrude, al suo apparire, fu da tutti salutata con quel
nome), la sposina ebbe da dire e da fare a rispondere a' com
plimenti che le foccavan da tutte le parti. Sentiva benzene
ognuna delle sue risposte era come un' accettazione e una
conferma; ma come rispondere diversamente? Poco dopo
alzati da tavola, venne l' ora della trottata. Gertrude entr
in carrozza con la madre, e con due zii ch' erano stati al
pranzo. Dopo un solito giro, si riusc alla strada Marina,
che allora attraversava lo spazio occupato ora dal giardin
pubblico, ed era il luogo dove i signori venivano in car
rozza a ricrearsi delle fatiche della giornata. Gli zii par
larono anche a Gertrude, come portava la convenienza in
quel giorno : e uno di loro, il qual pareva che, pi dell' altro,
conoscesse ogni persona, ogni carrozza, ogni livrea, e aveva
ogni momento qualcosa da dire del signor tale e della
signora tal altra, si volt a lei tutt'a un tratto, e le disse:
ah furbetta! voi date un calcio a tutte queste corbellerie;
siete una dirittona voi; piantate negl'impicci noi poveri
mondani, vi ritirate a fare una vita beata, e andate in
paradiso in carrozza.
CAPITOLO X. 163
Sul tardi, si torn a casa; e i servitori, scendendo in
fretta con le torce, avvertirono che molte visite stavano
aspettando. La voce era corsa; e i parenti e gli amici
venivano a fare il loro dovere. S'entr nella sala della con
versazione. La sposina ne fu l' idolo, il trastullo, la vittima.
Ognuno la voleva per s: chi si faceva prometter dolci,
chi prometteva visite, chi parlava della madre tale sua
parente, chi della madre tal altra sua conoscente, chi lodava
il cielo di Monza, chi discorreva, con gran sapore, della
gran figura ch' essa avrebbe fatta l. Altri, che non avevan
potuto ancora avvicinarsi a Gertrude cos assediata, sta
vano spiando l' occasione di farsi innanzi, e sentivano un
certo rimorso, fin che non avessero fatto il loro dovere.
A poco a poco, la compagnia s'and dileguando; tutti
se n' andarono senza rimorso, e Gertrude rimase sola
co' genitori e il fratello.
Finalmente, disse il principe, ho avuto la con
solazione di veder mia figlia trattata da par sua. Bisogna
per confessare che anche lei s' portata benone, e ha fatto
vedere che non sar impicciata a far la prima figura, e a
sostenere il decoro della famiglia.
Si cen in fretta, per ritirarsi subito, ed esser pronti
presto la mattina seguente.
Gertrude contristata, indispettita e, nello stesso tempo, un
po' gonfiata da tutti que' complimenti, si ramment in quel
punto ci che aveva patito dalla sua carceriera; e, vedendo
il padre cos disposto a compiacerla in tutto, fuor che In
una cosa, volle approfittare dell' auge in cui si trovava, per
acquietare almeno una delle passioni che la tormentavano.
Mostr quindi una gran ripugnanza a trovarsi con colei,
lagnandosi fortemente delle sue maniere.
. Come ! disse il principe : v' ha mancato di rispetto
colei ! Domani, domani, le laver il capo come va. Lasciate
fare a me, che le far conoscere chi lei, e chi siete voi.
E a ogni modo, una figlia della quale io son contento, non
deve vedersi intorno una persona che le dispiaccia. Cos
detto, fece chiamare un' altra donna, e le ordin di servir
Gertrude; la quale intanto, masticando e assaporando la
1G4 I PROMESSI SPOSI
soddisfazione che aveva ricevuta, si stupiva di trovarci cosi
poco sugo, in paragone del desiderio che n' aveva avuto.
Ci che, anche suo malgrado, s' impossessava di tutto il suo
animo, era il sentimento de' gran progressi che aveva fatti,
in quella giornata, sulla strada del chiostro, il pensiero che
a ritirarsene ora ci vorrebbe molta pi forza e risolutezza
di quella che sarebbe bastata pochi giorni prima, e che
pure non s' era sentita, d' avere.
La donna che and ad accompagnarla in camera, era una
vecchia di casa, stata gi governante del principino, che
aveva ricevuto appena uscito dalle fasce, e tirato su fino
all' adolescenza, e nel quale aveva riposte tutte le sue com
piacenze, le sue speranze, la sua gloria. Era essa contenta
della decisione fatta in quel giorno, come d'una sua propria
fortuna ; e Gertrude, per ultimo divertimento, dovette suc
ciarsi le congratulazioni, le lodi, i consigli della vecchia, e
sentir parlare di certe sue zie e prozie, le quali s'eran tro
vate ben contente d' esser monache, perch, essendo di quella
casa, avevan sempre goduto i primi onori, avevan sempre
saputo tenere uno zampino di fuori, e, dal loro parlatorio,
avevano ottenuto cose che le pi gran dame, nelle loro sale,
non c'eran potute arrivare. Le parl delle visite che avrebbe
ricevute : un giorno poi, verrebbe il signor principino con
la sua sposa, la quale doveva esser certamente una gran
signorona; e allora, non solo il monastero, ma tutto il paese
sarebbe in moto. La vecchia av eva parlato mentre spogliava
Gertrude, quando Gertrude era a letto; parlava ancora, che
Gertrude dormiva. La giovinezza e la fatica erano state pi
forti de' pensieri. Il sonno fu affannoso, torbido, pieno di
sogni penosi, ma non fu rotto che dalla voce strillante della
vecchia, che venne a svegliarla, perch si preparasse per
la gita di Monza. ,
Andiamo, andiamo, signora sposina: giorno fatto; e
prima che sia vestita e pettinata, ci vorr un' ora almeno.
La signora principessa si sta vestendo ; e l' hanno svegliata
quattr' ore prima del solito. Il signor principino gi sceso
alle scuderie, poi tornato su, ed all' ordine per partire
quando si sia. Vispo come una lepre, quel diavoletto: ma!
CAPITOLO X. 165
stato cos fin da bambino; e io posso dirlo, che l'ho
portato in collo. Ma quand' pronto, non bisogna farlo
aspettare, perch, sebbene sia della miglior pasta del mondo,
allora s'impazientisce e strepita. Poveretto! bisogna com
patirlo: il suo naturale: e poi questa volta avrebbe anche
un po' di ragione, perch s' incomoda per lei. Guai chi lo
tocca in que' momenti t non ha riguardo per nessuno, fuorch
per il signor principe. Ma, un giorno, il signor principe
sar lui; pi tardi che sia possibile, per. Lesta, lesta,
signorina! Perch mi guarda cosi incantata ? A quest'ora
dovrebbe esser fuor della cuccia.
All'immagine del principino impaziente, tutti gli altri
pensieri che s'erano affollati alla mente risvegliata di
Gertrude, si levaron subito, come uno stormo di passere
all'apparir del nibbio. Ubbid, si vest in fretta, si lasci
pettinare, e comparve nella sala, dove i genitori e il fratello
eran radunati. Fu fatta sedere sur una sedia a braccioli, e
le fu portata una chicchera di cioccolata : il che, a que'tempi ,
era quel che gi presso i Romani il dare la veste virile.
Quando vennero a avvertir ch' era attaccato, il principe
tir la figlia in disparte, e le disse : ors, Gertrude, ieri
vi siete fatta onore : oggi dovete superar voi medesima. Si
tratta di fare una comparsa solenne nel monastero e nel
paese dove siete destinata a far la prima figura. V aspet
tano inutile dire che il principe aveva spedito
un avviso alla badessa, il giorno avanti. V aspettano, e
tutti gli occhi saranno sopra di voi. Dignit e disinvoltura.
La badessa vi domander cosa volete : una formalit. Po
tete rispondere che chiedete d'essere ammessa a vestir l' abito
in quel monastero, dove siete stata educata cos amorevol
mente, dove avete ricevute tante finezze: che la pura
verit. Dite quelle poche parole, con un fare sciolto : che non
s' avesse a dire che v' hanno imboccata, e che non sapete
parlare da voi. Quelle buone madri non sanno nulla del
l'accaduto: un segreto che deve restar sepolto nella
famiglia; e perci non fate una faccia contrita e dub
biosa, che potesse dar qualche sospetto. Fate vedere d
che sangue uscite: manierosa, modesta; ma ricordatevi
166 I PROMESSI SPOSI
che, in quel luogo, fuor della famiglia, non ci sar nessuno
sopra di voi.
Senza aspettar risposta, il principe si mosse ; Gertrude, la
principessa e il principino lo seguirono ; scesero tutti le scale,
e montarono in carrozza. Gl' impicci e le noie del mondo, e
la vita beata del chiostro, principalmente per le giovani di
sangue nobilissimo, furono il tema della conversazione, du
rante il tragitto. Sul finir della strada, il principe rinnov
l'istruzioni alla figlia, e le ripet pi volte la forinola della
risposta. All'entrare in Monza, Gertrude si sent stringere il
cuore; ma la sua attenzione fu attirata per un istante da
non so quali signori che, fatta fermar la carrozza, recitarono
non so qual complimento. Ripreso il cammino, s' and quasi
di passo al monastero, tra gli sguardi de' curiosi, che ac
correvano da tutte le parti sulla strada. Al fermarsi della
carrozza, davanti a quelle mura, davanti a quella porta, il
cuore si strinse ancor pi a Gertrude. Si smont tra due
ale di popolo, che i servitori facevano stare indietro. Tutti
quegli occhi addosso alla poveretta l' obbligavano a studiar
continuamente il sut> contegno : ma pi di tutti quelli insie
me, la tenevano in suggezione i due del padre, a' quali essa,
quantunque ne avesse cos gran paura, non poteva lasciar di
rivolgere i suoi, ogni momento. E quegli occhi governavano
le sue mosse e il suo volto , come per mezzo di redini
invisibili. Attraversato il primo cortile, s' entr in un altro,
e li si vide la porta del chiostro interno, spalancata e tutta
occupata da monache. Nella prima fila, la badessa circondata
da anziane ; dietro, altre monache alla rinfusa, alcune in
punta di piedi ; in ultimo le converse ritte sopra panchetti.
Si vedevan pure qua e l luccicare a mezz' aria alcuni
occhietti, spuntar qualche visino tra le tonache: eran lo
pi destre, e le pi coraggiose tra l' educande, che, ficcan
dosi e penetrando tra monaca e monaca, eran riuscite a
farsi un po' di pertugio, per vedere anch' esse qualche cosa.
Da quella calca uscivano acclamazioni ; si vedevan molte
braccia dimenarsi, in segno d' accoglienza e di gioia. Giun
sero alla porta; Gertrude si trov a viso a viso con la
madre badessa. Dopo i primi complimenti, questa, con una
CAPITOLO X. 167
laniera tra il giulivo e il solenne, le domand cosa deside
rasse in quel luogo, dove non c'era chi le potesse negar nulla.
Son qui , cominci Gertrude ; ma, al punto di pro
ferir le parole che dovevano decider quasi irrevocabilmente
-del suo destino, esit un momento, e rimase con gli occhi
fissi sulla folla che le stava davanti. Vide, in quel momento,
una di quelle sue note compagne, che la guardava con
un' aria di compassione e di malizia insieme, e pareva che
dicesse : ah ! la c' cascata la brava. Quella vista, risve
gliando pi vivi nell'animo suo tutti gli antichi sentimenti,
le restitu anche un po' di quel poco antico coraggio: e gi
-stava cercando., una risposta qualunque, diversa da quella
che le era stata dettata ; quando, alzato lo sguardo alla faccia
del padre, quasi per esperimentar le sue forze, scorse su
quella un' inquietudine cosi cupa, un' impazienza cosi mi
naccevole, che, risoluta per paura, con la stessa prontezza
-che avrebbe preso la fuga dinanzi un oggetto terribile, pro
segui : son qui a chiedere d' esser ammessa a vestir l'abito
religioso, in questo monastero, dove sono stata allevata
cos amorevolmente. La badessa rispose subito, che le
dispiaceva molto, in una tale occasione, che le regole non
.le permettessero di dare immediatamente una risposta, la
quale doveva venire dai voti comuni delle suore, e alla
<iuale doveva precedere la licenza de' superiori. Che per
Gertrude, conoscendo i sentimenti che s' avevan per lei in
quel luogo, poteva preveder cn certezza qual sarebbe
questa risposta ; e che intanto nessuna regola proibiva alla
badessa e alle suore di manifestare la consolazione che
sentivano di quella richiesta. S'alz allora un frastono
-confuso di congratulazioni e d'acclamazioni. Vennero subito
gran guantiere colme di dolci, che furon presentati, prima
alla sposina, e dopo ai parenti. Mentre alcune monache
facevano a rubarsela, e altre complimentavan la madre,
altre il principino, la badessa fece pregare il principe che
volesse venire alla grata del parlatorio, dove l' attendeva.
Era accompagnata da due anziane ; e quando lo vide
comparire, signor principe, disse : per ubbidire alle
regole per adempire una formalit indispensabile,
166 I PROMESSI SPOSI
sebbene in questo caso . . . pure devo dirle che, ogni
volta che una figlia chiede d' essere ammessa a vestir
l'abito, la superiora, quale io sono indegnamente,
obbligata d' avvertire i genitori che se, per caso
forzassero la volont della figlia, incorrerebbero nella
scomunica. Mi scuser
Benissimo, benissimo, reverenda madre. Lodo la sua
esattezza : troppo giusto Ma lei non pu dubitare ...
Oh! pensi, signor principe,... ho parlato per obbligo
preciso,... del resto.....
Certo, certo, madre badessa.
Barattate queste poche parole, i due interlocutori s'inchi
narono vicendevolmente, e si separarono, come se a tutt' e
due pesasse di rimaner li testa testa; e andarono a riunirsi
ciascuno alla sua compagnia, l'uno fuori, l'altra dentro
la soglia claustrale.
Oh via, disse il principe : Gertrude potr presto
godersi a suo bell' agio la coinpagnia di queste madri. Per
ora le abbiamo incomodate abbastanza. Cos detto, lece
un inchino; la famiglia si mosse con lui; si rinnovarono i
complimenti, e si part.
Gertrude, nel tornare, non aveva troppa voglia di discor
rere. Spaventata del passo che aveva fatto, vergognosa della
sua dappocaggine, indispettita contro gli altri e contro se
stessa, faceva tristamente il conto dell'occasioni, che le ri
manevano ancora di dir di no; e prometteva debolmente e
confusamente a s stessa che, in questa, o in quella, o in
quell'altra, sarebbe pi destra e pi forte. Con tutti questi
pensieri, non le era per cessato affatto il terrore di quel
cipiglio del padre ; talch, quando, con un'occhiata datagli
alla sfuggita, pot chiarirsi che sul volto di lui non c'era
pi alcun vestigio di collera, quando anzi vide che si mo
strava soddisfattissimo di lei, le parve una bella cosa, e
fu, per un istante, tutta contenta.
Appena arrivati, bisogn rivestirsi e rilisciarsi; poi il
desinare, poi alcune visite, poi la trottata, poi la conversa
zione, poi la cena. Sulla fine di questa, il principe mise in
campo un altro affare, la scelta della madrina. Cosi si
CAPITOLO X. 169
chiamava una dama, la quale, pregata da' genitori, diventava
custode e scorta della giovane monacanda, nel tempo tra la
richiesta e l'entratura nel monastero; tempo che veniva
speso in visitar le chiese, i palazzi pubblici, le conversazioni,
le ville, i santuari: tutte le cose insomma pi notabili della
citt e de' contorni ; affinch le giovani, prima di proferire
un voto irrevocabile, vedessero bene a cosa davano un calcio.
Bisogner pensare a una madrina, disse il principe:
perch domani verr il vicario delle monache, per la for
malit dell' esame, e subito dopo, Gertrude verr proposta
in capitolo, per esser accettata dalle madri. Nel dir que
sto, s'era voltato verso la principessa ; e questa, credendo che
fosse un invito a proporre, cominciava: ci sarebbe
Ma il principe interruppe: No, no, signora principessa:
la madrina deve prima di tutto piacere alla sposina ; e ben
ch l'uso universale dia la scelta ai parenti, pure Gertrude
ha tanto giudizio, tanta assennatezza, che merita bene che
si faccia un'eccezione per lei. E qui, voltandosi a Gertrude,
in atto di chi annunzia una grazia singolare , continu :
ognuna delle dame che si son trovate questa sera alla con
versazione, ha quel che si richiede per esser madrina d'una
figlia della nostra casa; non ce n' nessuna, crederei, che
non sia per tenersi onorata della preferenza: scegliete voi.
Gertrude vedeva bene che far questa scelta era dare un
nuovo consenso; ma la proposta veniva fatta con tanto
apparato, che il rifiuto, per quanto fosse umile, poteva parer
disprezzo, o almeno capriccio e leziosaggine. Fece dunque
anche quel passo ; e nomin la dama che, in quella sera,
le era andata pi a genio; quella cio che le aveva fatto
pi carezze, che l' aveva pi lodata, che l' aveva trattata
con quelle maniere famigliari, affettuose e-premurose, che,
ne' primi momenti d' una conoscenza, contraffanno un' an
tica amicizia. Ottima scelta, disse il principe, che desi
derava e aspettava appunto quella. Fosse arte o caso, era
avvenuto come quando il giocator di bussolotti facendovi
scorrere davanti agli occhi le carte d' un mazzo, vi dice che
ne pensiate una, e lui poi ve la indoviner ; ma le ha fatte
scorrere in maniera che ne vediate una sola. Quella dama
ITO I PROMESSI SPOSI
era stata tanto intorno a Gertrude tutta la sera, l' aveva
tanto occupata di s, che a questa sarebbe bisognato uno
sforzo di fantasia per pensarne un' altra. Tante premure poi
non eran senza motivo : la dama aveva, da molto tempo,
messo gli occhi addosso al principino, per farlo suo genero :
quindi riguardava le cose di quella casa come sue proprie ;
ed era ben naturale che s' interessasse per quella cara Ger
trude, niente meno de' suoi parenti pi prossimi.
Il giorno dopo, Gertrude si svegli col pensiero dell' esa
minatore che doveva venire ; e mentre stava ruminando se
potesse cogliere queir occasione cos decisiva, per tornare
indietro, e in qual maniera, il principe la fece chiamare.
Ors, figliuola, le disse: finora vi siete portata egre
giamente : oggi si tratta di coronar 1' opera. Tutto quel che
s' fatto finora, s' fatto di vostro consenso. Se in questo
tempo vi fosse nato qualche dubbio, qualche pentimentuccio,
grilli di giovent, avreste dovuto spiegarvi; ma al punto
a cui sono ora le cose, non pi tempo di far ragazzate.
Queir uomo dabbene che deve venire stamattina, vi far
cento domande sulla vostra vocazione : e se vi fate monaca
di vostra volont, e il perch e il per come, e che so io?
Se voi titubate nel rispondere, vi terr sulla corda chi sa
quanto. Sarebbe un' uggia, un tormento per voi ; ma ne po
trebbe anche venire un altro guaio pi serio. Dopo tutte le
dimostrazioni pubbliche che si son fatte, ogni pi piccola
esitazione che si vedesse in voi, metterebbe a repentaglio
il mio onore, potrebbe far credere ch' io avessi presa una
vostra leggerezza per una ferma risoluzione, che avessi pre
cipitata la cosa, che avessi che so io? In questo caso,
mi troverei nella necessit di scegliere tra due partiti dolo
rosi : o lasciar* che il mondo formi un tristo concetto della
mia condotta : partito che non pu stare assolutamente con
ci che devo a me stesso. 0 svelare il vero motivo della
vostra risoluzione e Ma qui, vedendo che Gertrude
era diventata scarlatta, che le si gonflavan gli occhi, e il
viso si contraeva, come le foglie d' un fiore, nell' afa che
precede la burrasca, tronc quel discorso, e, con aria serena,
riprese : via, via, tutto dipende da voi, dal vostro giudizio.
CAPITOLO X. 171
So che n'avete molto, e non siete ragazza da guastar
sulla fine una cosa fatta bene ; ma io doveva preveder tutti
i casi. Non se ne parli pi; e restiam d'accordo che voi
risponderete con franchezza, in maniera di non far nascer
dubbi nella testa di quell' uomo dabbene. Cos anche voi ne
sarete fuori pi presto. E qui, dopo aver suggerita qual
che risposta all' interrogazioni pi probabili, entr nel solito
discorso delle dolcezze e de' godimenti ch' eran preparati a
Gertrude nel monastero ; e la trattenne in quello, fin che
venne un servitore ad annunziare il vicario. Il principe
rinnov in fretta gli avvertimenti pi importanti, e lasci
la figlia sola con lui, com' era prescritto.
L' uomo dabbene veniva con un po' d' opinione gi fatta
che Gertrude avesse una gran vocazione al chiostro: perch
cos gli aveva detto il principe, quando era stato a invitarlo.
vero che il buon prete, il quale sapeva che la diffidenza
era una delle virt pi necessarie nel suo ufizio, aveva per
massima d' andar adagio nel credere a simili proteste, e di
stare in guardia contro le preoccupazioni ; ma ben di rado
avviene che le parole affermative e sicure d' una persona
autorevole, in qualsivoglia genere, non tingano del loro
colore la mente di chi le ascolta.
Dopo i primi complimenti, signorina, le disse, io
vengo a far la parte del diavolo ; vengo a mettere in dub
bio ci che, nella sua supplica, lei ha dato per certo ; vengo
a metterle davanti agli occhi le difficolt, e ad accertarmi
se le ha ben considerate. Si contenti ch' io le faccia qual
che interrogazione.
Dica pure, rispose Gertrude.
Il buon prete cominci allora a interrogarla, nella forma
prescritta dalle regole. Sente lei in cuor suo una libera,
spontanea risoluzione di farsi monaca? Non sono state
adoperate minacce, o lusinghe ? Non s' fatto uso di nes
suna autorit, per indurla a questo ? Parli senza riguardi,
e con sincerit, a un uomo il cui dovere di conoscere
la sua vera volont, per impedire che non le venga usata
violenza in nessun modo.
La vera risposta a una tale domanda s' affacci subito
172 I PROMESSI SPOSI
alla mente di Gertrude, con un' evidenza terribile. Per dare
quella risposta, bisognava venire a una spiegazione, dire
di che era stata minacciata, raccontare una storia
L' infelice rifugg spaventata da questa idea; cerc in fretta
un'altra risposta; ne trov una sola che potesse liberarla
presto e sicuramente da quel supplizio , la pi contraria
al vero. Mi fo monaca, disse, nascondendo il suo tur
bamento, mi fo monaca, di mio genio, liberamente.
Da quanto tempo le nato codesto pensiero? do
mand ancora il buon prete.
L' ho sempre avuto, rispose Gertrude, divenuta, dopo
quel primo passo, pi franca a mentire contro s stessa.
Ma quale il motivo principale che la induce a farsi
monaca?
Il buon prete non sapeva che terribile tasto toccasse ; e
Gertrude si fece una gran forza per non lasciar trasparire
sul viso l' effetto che quelle parole le producevano nel-
l' animo. Il motivo, disse, di servire a Dio, e di
fuggire i pericoli del mondo.
Non sarebbe mai qualche disgusto? qualche mi
scusi capriccio ? Alle volte, una cagione momentanea
pu fare un' impressione che par che deva durar sempre ; e
quando poi la cagione cessa, e l'animo si muta, allora
No, no, rispose precipitosamente. Gertrude : la
cagione quella che le ho detto.
Il vicario, pi per adempire interamente il suo obbligo,
che per la persuasione che ce ne fosse bisogno, insistette
con le domande ; ma Gertrude era determinata d'ingannarlo.
Oltre il ribrezzo che le cagionava il pensiero di render con
sapevole della sua debolezza quel grave e dabben prete,
che pareva cos lontano dal sospettar tal cosa di lei ; la po
veretta pensava poi anche ch' egli poteva bene impedire
che si facesse monaca ; ma l finiva la sua autorit sopra di
lei, e la sua protezione. Partito che fosse, essa rimarrebbe
sola col principe. E qualunque cosa avesse poi a patire in
quella casa, il buon prete non n'avrebbe saputo nulla, o sapen
dolo, con tutta la sua buona intenzione, non avrebbe potuto
far altro che aver compassione di lei, quella compassione
CAPITOLO X. 173
tranquilla e misurata, che, in generale, s'accorda, come per
cortesia, a chi abbia dato cagione o pretesto al male che gli
fanno. L'esaminatore fu prima stanco d'interrogare, che
la sventurata di mentire : e, sentendo quelle risposte sem
pre conformi, e non avendo alcun motivo di dubitare della
loro schiettezza, mut finalmente linguaggio; si rallegr
con lei, le chiese, in certo modo, scusa d'aver tardato tanto
a far questo suo dovere ; aggiunse ci che credeva pi
atto a confermarla nel buon proposito ; e si licenzi.
Attraversando le sale per uscire, s' abbatt nel principe,
il quale pareva che passasse di l a caso ; e con lui pure si
congratul delle buone disposizioni in cui aveva trovata la
sua figliuola. Il principe era stato fino allora in una sospen
sione molto penosa: a quella notizia, respir, e dimen
ticando la sua gravit consueta, and quasi di corsa da
Gertrude, la ricolm di lodi, di carezze e di promesse, con
un giubilo cordiale, con una tenerezza in gran parte sin
cera: cos fatto questo guazzabuglio del cuore umano.
Noi non seguiremo Gertrude in quel giro continuato di
spettacoli e di divertimenti. E neppure descriveremo, in
particolare e per ordine, i sentimenti dell'animo suo in tutto
iiuel tempo : sarebbe una storia di dolori e di fluttuazioni,
troppo monotona, e troppo somigliante alle cose gi dette.
L' amenit de' luoghi, la variet degli oggetti, quello svago
che pur trovava nello scorrere in qua e in l all'aria aperta,
le rendevan pi odiosa l'idea del luogo dove alla fine si
smonterebbe per l' ultima volta, per sempre. Pi pungenti
ancora eran V impressioni che riceveva nelle conversazioni
e nelle feste. La vista delle spose alle quali si dava questo
titolo nel senso pi ovvio e pi usitato, le cagionava un' in
vidia, un rodimento intollerabile; e talvolta l'aspetto di
qualche .altro personaggio le faceva parere che, nel sentirsi
'lare quel titolo, dovesse trovarsi il colmo d' ogni felicit.
Talvolta la pompa de' palazzi, lo splendore degli addobbi, il
brulicho e il fracasso giulivo delle feste, le comunicavano
un'ebbrezza, un ardor tale di viver lieto, che prometteva a
s stessa di disdirsi, di soffrir tutto, piuttosto che tornare
all'ombra fredda e morta del chiostro. Ma tutte quelle
174 I PROMESSI SPOSI
risoluzioni sfumavano alla considerazione pi riposata delle
difficolt, al solo fissar gli occhi in viso al principe. Talvolta
anche, il pensiero di dover abbandonare per sempre que' go
dimenti, gliene rendeva amaro e penoso quel piccol saggio ;
come l' infermo assetato guarda con rabbia , e quasi re
spinge con dispetto il cucchiaio d' acqua che il medico gli
concede a fatica. Intanto il vicario delle monache ebbe rila
sciata l'attestazione necessaria, e venne la licenza di tenere
il capitolo per l'accettazione di Gertrude. Il capitolo si
tenne; concorsero, com'era da aspettarsi, i due terzi de'voti
segreti ch'eran richiesti da' regolamenti; e Gertrude fu ac
cettata. Lei medesima, stanca di quel lungo strazio, chiese
allora d'entrar pi presto che fosse possibile, nel monastero.
Non c'era sicuramente chi volesse frenare una tale im
pazienza. Fu dunque fatta la sua volont ; e, condotta pom
posamente al monastero, vesti l'abito. Dopo dodici mesi di
noviziato, pieni di pentimenti e di ripentimenti, si trov
al momento della professione, al momento cio in cui con
veniva, o dire un no pi strano, pi inaspettato, pi
scandaloso che mai, o ripetere un s tante volte detto ; lo
ripet, e fu monaca per sempre.
una delle facolt singolari e incomunicabili della reli
gione cristiana, il poter indirizzare e consolare chiunque, in
qualsivoglia congiuntura, a qualsivoglia termine, ricorra ad
essa. Se al passato c' rimedio, essa lo prescrive, lo sommi
nistra, d lume e vigore per metterlo in opera, a qualunque
costo; se non c', essa d il modo di far realmente e in
effetto, ci che si dice in proverbio, di necessit virt. In
segna a continuare con sapienza ci ch' stato intrapreso
per leggerezza; piega l'animo ad abbracciar con propen
sione ci che stato imposto dalla prepotenza, e d a una
scelta che fu temeraria, ma che irrevocabile, tutta la san
tit, tutta la saviezza, diciamolo pur francamente, tutte le
gioie della vocazione. una strada cos fatta che, da qua
lunque laberinto, da qualunque precipizio, l'uomo capiti
ad essa, e vi faccia un passo, pu d'allora in poi camminare
con sicurezza e di buona voglia, e arrivar lietamente a un
lieto fine. Con questo mezzo, Gertrude avrebbe potuto
CAPITOLO X. 175
essere una monaca santa e contenta, comunque lo fosse di
venuta. Ma l' infelice si dibatteva in vece sotto il giogo, e
cosi ne sentiva pi forte il peso e le scosse. Un rammarico
incessante della libert perduta, l'abborrimento dello stato
presente, un vagar faticoso dietro a desidri che non sa
rebbero mai soddisfatti, tali erano le principali occupazioni
dell' animo suo. Rimasticava queir amaro passato, ricom
poneva nella memoria tutte le circostanze per le quali si
trovava l ; e disfaceva mille volte inutilmente col pensiero
ci che aveva fatto con l'opera; accusava s di dappocag
gine, altri di tirannia e di perfidia; e si rodeva. Idolatrava
insieme e piangeva la sua bellezza, deplorava una giovent
destinata a struggersi in un lento martirio, e invidiava, in
certi momenti, qualunque donna, in qualunque condizione,
con qualunque coscienza, potesse liberamente godersi nel
mondo que' doni.
La vista di quelle monache che avevan tenuto di mano a
tirarla l dentro, le era odiosa. Si ricordava l'arti e i rag
giri che avevan messi in opera, e le pagava con tante sgarba
tezze, con tanti dispetti, e anche con aperti rinfacciamenti.
A quelle conveniva le pi volte mandar gi e tacere : perch
il principe aveva ben voluto tiranneggiar la figlia quanto
era necessario per ispingerla al chiostro; ma ottenuto l' in
tento, non avrebbe cos facilmente sofferto che altri pre
tendesse d'aver ragione contro il suo sangue: e ogni po' di
rumore che avesser fatto, poteva esser cagione di far loro
perdere quella gran protezione, o cambiar per avventura
il protettore in nemico. Pare che Gertrude avrebbe dovuto
sentire una certa propensione per l' altre suore, che non
avevano avuto parte in quegl' intrighi, e che, senza averla
desiderata per compagna, l'amavano come tale; e pie,
occupate e ilari, le mostravano col loro esempio come anche
l dentro si potesse non solo vivere, ma starci bene. Ma
queste pure le erano odiose, per un altro verso. La loro
aria di piet e di contentezza le riusciva come un rimpro
vero della sua inquietudine, e della sua condotta bisbetica ;
e non lasciava sfuggire occasione di deriderle dietro le
spalle, come pinzochere, o di morderle come ipocrite. Forse
176 I PROMESSI SPOSI
sarebbe stata meno avversa ad esse, se avesse saputo o
indovinato che le poche palle nere, trovate nel bossolo
che decise della sua accettazione, c'erano appunto state
messe da quelle.
Qualche consolazione le pareva talvolta di trovar nel
comandare, nell'esser corteggiata in monastero, nel ricever
visite di complimento da persone di fuori, nello spuntar
qualche impegno, nello spendere la sua protezione, nel
sentirsi chiamar la signora; ma quali consolazioni! Il
cuore, trovandosene cos poco appagato, avrebbe voluto di
quando in quando aggiungervi, e goder con esse le con
solazioni della religione; ma queste non vengono se non
a chi trascura queil' altre : come il naufrago, se vuole af
ferrar la tavola che pu condurlo in salvo sulla riva, deve
pure allargare il pugno, e abbandonar l' alghe, che aveva
prese , per una rabbia d' istinto.
Poco dopo la professione, Gertrude era stata fatta mae
stra dell'educande ; ora pensate come dovevano stare quelle
giovinette, sotto una tal disciplina. Le sue antiche confidenti
eran tutte uscite ; ma lei serbava vive tutte le passioni di
quel tempo ; e, in un modo o in un altro, l' allieve dovevan
portarne il peso. Quando le veniva in mente che molte di
loro eran destinate a vivere in quel mondo dal quale essa
era esclusa per sempre, provava contro quelle poverine un
astio, un desiderio quasi di vendetta; e le teneva sotto, le
bistrattava, faceva loro scontare anticipatamente i piaceri
che avrebber goduti un giorno. Chi avesse sentito, in
que' momenti, con che sdegno magistrale le gridava, per
ogni piccola scappatella, l'avrebbe creduta una donna d'una
spiritualit salvatica e indiscreta. In altri momenti, lo
stesso orrore per il chiostro, per la regola, per l'ubbidienza,
scoppiava in accessi d'umore tutto opposto. Allora, non
solo sopportava la svagatezza clamorosa delle sue allieve,
ma l'eccitava ; si mischiava ne' loro giochi, e li rendeva pi
sregolati ; entrava a parte de' loro discorsi, e li spingeva
pi in l dell' intenzioni con le quali esse gli avevano inco
minciati. Se qualcheduna diceva una parola sul cicalio della
madre badessa, la maestra lo imitava lungamente, e ne
cxriTOi.o x. 177
faceva una scena di commedia; contraffaceva il volto d'una
monaca, l'andatura d'un'altra: rideva allora sgangherata
mente ; ma eran risa che non la lasciavano pi allegra di
prima. Cos era vissuta alcuni anni, non avendo comodo,
n occasione di far di pi ; quando la sua disgrazia volle
ohe un'occasione si presentasse.
Tra l'altre distinzioni e privilegi che le erano stati con
cessi, per. compensarla di non poter esser badessa, c' era
anche quello di stare in un quartiere a parte. Quel lato del
monastero era contiguo a una casa abitata da un giovine,
scellerato di professione, uno de' tanti, che, in que' tempi, e
co' loro sgherri, e con l'alleanze d'altri scellerati, potevano,
nno a un certo segno, ridersi della forza pubblica e delle
leggi. Il nostro manoscritto lo nomina Egidio, senza parlar
del casato. Costui; da una sua flnestrina che dominava un
cortiletto di quel quartiere, avendo veduta Gertrude qual
che volta passare o girondolar l, per ozio, allettato anzi
che atterrito dai pericoli e dall'empiet dell'impresa, un
giorno os rivolgerle il discorso. La sventurata rispose.
In que' primi momenti, prov una contentezza, non
schietta al certo, ma viva. Nel vto uggioso dell'animo suo
s'era venuta a infondere un'occupazione forte, continua e,
<lirei quasi, una vita potente ; ma quella contentezza era
simile alla bevanda ristorativa che la crudelt ingegnosa
degli antichi mesceva al condannato, per dargli forza a so
stenere i tormenti. Si videro, nello stesso tempo, di gran
novit in tutta la sua condotta: divenne, tutt'a un tratto,
pi regolare, pi tranquilla, smesse gli scherni e il brontolio,
si mostr anzi carezzevole e manierosa, dimodoch le suore
si rallegravano a vicenda del cambiamento felice ; lontane
com'erano dall' immaginarne il vero motivo, e dal compren
dere che quella nuova virt non era altro che ipocrisia ag
giunta all' antiche magagne. Quell' apparenza per, quella,
per dir cos, imbiancatura esteriore, non dur gran tempo,
almeno con quella continuit e uguaglianza: ben presto tor
narono in campo i soliti dispetti e i soliti capricci, torna
rono a farsi sentire l' imprecazioni e gli scherni contro la
prigione claustrale, e talvolta espressi in un linguaggio
/ Promessi Sposi. 12
178 I PROMESSI SPOSI
insolito in quel luogo, e anche in quella bocca. Per, ad
ognuna di queste scappate veniva dietro un pentimento, una
gran cura di farle dimenticare, a forza di moine e buone
parole. Le suore sopportavano alla meglio tutti questi alt' e
bassi, e gli attribuivano all'indole bisbetica e leggiera
della signora.
Per qualche tempo, non parve che nessuna pensasse pi
in l ; ma un giorno che la signora, venuta a parole con
una conversa, per non so che pettegolezzo, si lasci andare
a maltrattarla fuor di modo, e non la finiva pi, la conversa,
dopo aver sofferto, ed essersi morse le labbra un pezzo,
scappatale finalmente la pazienza, butt l una parola, che
lei sapeva qualche cosa, e che, a tempo e luogo, avrebbe
parlato. Da quel momento in poi, la signora non ebbe pi
pace. Non pass per molto tempo, che la conversa fu aspet
tata in vano, una mattina, a' suoi ufizi consueti: si va a
veder nella sua cella, e non si trova : chiamata ad alta
voce ; non risponde : cerca di qua, cerca di l, gira e rigira,
dalla cima al fondo; non c' in nessun luogo. E chi sa
quali congetture si sarebber fatte, se, appunto nel cercare,
non si fosse scoperto una buca nel muro dell' orto ; la qual
cosa fece pensare a tutte, che fosse sfrattata di l. Si fe
cero gran ricerche in Monza e ne' contorni, e principalmente
a Meda, di dov'era quella conversa ; si scrisse in varie parti :
non se n' ebbe mai la pi piccola notizia. Forse se ne sa
rebbe potuto saper di pi, se, invece di cercar lontano, si
fosse scavato vicino. Dopo molte maraviglie, perch nessuno
l' avrebbe creduta capace di ci, e dopo molti discorsi, si
concluse che doveva essere andata lontano, lontano. E per
ch scapp detto a una suora: s' rifugiata in Olanda di
sicuro , si disse subito, e si ritenne per un pezzo, nel
monastero e fuori, che si fosse rifugiata in Olanda. Non
pare per che la signora fosse di questo parere. Non gi che
mostrasse di non credere, o combattesse l' opinion comune,
con sue ragioni particolari : se ne aveva, certo, ragioni non
furono mai cosi ben dissimulate ; n c'era cosa da cui s'aste
nesse pi volentieri che da rimestar quella storia, cosa di
cui si curasse meno che di toccare il fondo di quel mistero.
CAPITOLO X. 170
Ma quanto meno ne parlava, tanto pi ci pensava. Quante
volte al giorno l'immagine di quella donna veniva a cac
ciarsi d' improvviso nella sua mente, e si piantava li, e non
voleva moversi ! Quante volte avrebbe desiderato di veder
sela dinanzi viva e reale, piuttosto che averla sempre fissa
nel pensiero, piuttosto che dover trovarsi, giorno e notte,
in compagnia di quella forma vana, terribile, impassibile !
Quante volte avrebbe voluto sentir davvero la voce di colei,
qualunque cosa avesse potuto minacciare, piuttosto che aver
sempre nell'intimo dell'orecchio mentale il susurro fanta
stico di quella stessa voce, e sentirne parole ripetute con
una pertinacia, con un' insistenza infaticabile, che nessuna
persona vivente non ebbe mai!
Era scorso circa un anno dopo quel fatto, quando Lucia
fu presentata alla signora, ed ebbe con lei quel colloquio
al quale siam rimasti col racconto. La signora moltiplicava
le domande intorno alla persecuzione di don Rodrigo, e en
trava in certi particolari, con una intrepidezza, che riusci
e doveva riuscire pi che nuova a Lucia, la quale non aveva
mai pensato che la curiosit delle monache potesse eserci
tarsi intorno a simili argomenti. I giudizi poi che quella
frammischiava all'interrogazioni, o che lasciava trasparire,
non eran meno strani. Pareva quasi che ridesse del gran
ribrezzo che Lucia aveva sempre avuto di quel signore, e do
mandava se era un mostro, da far tanta paura : pareva quasi
che avrebbe trovato irragionevole e sciocca la ritrosia della
giovine, se non avesse avuto per ragione la preferenza data
a Renzo. E su questo pure s'avanzava a domande, che fa
cevano stupire e arrossire l'interrogata. Avvedendosi poi di
aver troppo lasciata correr la lingua dietro agli svagamenti
del cervello, cerc di correggere e d'interpretare in meglio
quelle sue ciarle; ma non pot fare che a Lucia non ne
rimanesse uno stupore dispiacevole, e come un confuso spa
vento. E appena pot trovarsi sola con la madre, se n' apr
con lei ; ma Agnese, come pi esperta, sciolse, con poche
parole, tutti que' dubbi, e spieg tutto il mistero. Non te
ne far maraviglia, disse: quando avrai conosciuto il
mondo quanto me, vedrai che non son cose da farsene
180 I promessi srosi
maraviglia. I signori, chi pi, chi meno, chi per un verso, chi
per un altro, han tutti un po' del matto. Convien lasciarli
dire, principalmente quando s' ha bisogno di loro; far vista
d' ascoltarli sul serio, come se dicessero delle cose giuste.
Hai sentito come m' Ha dato sulla voce, come se avessi detto
qualche gran sproposito ? Io non me ne son fatta caso punto.
Son tutti cos. E con tutto ci, sia ringraziato il cielo, che
pare che questa signora t' abbia preso a ben volere, e voglia
proteggerci davvero. Del resto, se camperai, figliuola mia,
e se t' accader ancora d' aver che fare con de' signori, ne
sentirai, ne sentirai, ne sentirai.
Il desiderio d'obbligare il padre guardiano, la compiacenza
di proteggere, il pensiero del buon concetto che poteva frut
tare la protezione impiegata cos santamente, una certa in
clinazione per Lucia, e anche un certo sollievo nel far del
bene a una creatura innocente, nel soccorrere e consolare
oppressi, avevan realmente disposta la signora a prendersi
a petto la sorte delle due povere fuggitive. A sua richiesta,
e a suo riguardo, furono alloggiate nel quartiere della fat-
toressa attiguo al chiostro, e trattate come se fossero
addette al servizio del monastero. La madre e la figlia si ral
legravano insieme d'aver trovato cos presto un asilo sicuro
e onorato. Avrebber anche avuto molto piacere di rimanervi
ignorate da ogni persona ; ma la cosa non era facile in un
monastero: tanto pi che c' era un uomo troppo premuroso
d' aver notizie d' una di loro, e nell' animo del quale, alla
passione e alla picca di prima s'era aggiunta anche la stizza
d' essere stato prevenuto e deluso. E noi, lasciando le donne
nel loro ricovero, torneremo al palazzotto di costui, nell'ora
in cui stava attendendo l'esito della sua scellerata spedizione.
CAPITOLO XI.
*
199
CAPITOLO XII.
CAPITOLO XIII.
CAPITOLO XIV.
CAPITOLO XV.
CAPITOLO XVI.
CAPITOLO XVII.
CAPITOLO XVIII.
CAPITOLO XIX.
CAPITOLO XX.
CAPITOLO XXI.
CAPITOLO XXII.
a
CAPITOLO XXII. 351
,vita il paragone delle parole : e le parole eh' esprimono-
quel sentimento, fossero anche passate sulle labbra di tutti
gl' impostori e di tutti i beffardi del mondo, saranno sem
pre belle, quando siano precedute e seguite da una vita
di disinteresse e di sacriflzio.
In Federigo arcivescovo apparve uno studio singolare e
continuo di non prender per s, delle ricchezze, del tempo,
delle cure, di tutto s stesso in somma, se non quanto fosse
strettamente necessario. Diceva, come tutti dicono, che le
rendite ecclesiastiche sono patrimonio de' poveri: come poi
intendesse infatti una tal massima, si veda da questo. Volle
che si stimasse a quanto poteva ascendere il suo manteni
mento e quello della sua servit ; e dettogli che seicento scudi
(scudo si chiamava allora quella moneta d' oro che, rima
nendo sempre dello stesso peso e titolo, fu poi detta zecchino),
diede ordine che tanti se ne contasse ogni anno dalla sua
cassa particolare a quella della mensa ; non credendo che a
lui ricchissimo fosse lecito vivere di quel patrimonio. Del
suo poi era cos scarso e sottile misuratore a s stesso, che
badava di non ismettere un vestito, prima che fosse logoro
affatto : unendo per, come fu notato da scrittori contempo
ranei, al genio della semplicit quello d'una squisita pulizia:
due abitudini notabili infatti, in queil' et sudicia e sfar
zosa. Similmente, affinch nulla si disperdesse degli avanzi
della sua mensa frugale, gli assegn a un ospizio di poveri ;
e uno di questi, per suo ordine, entrava ogni giorno nella
sala del pranzo a raccoglier ci che fosse rimasto. Cure,
che potrebbero forse indur concetto d' una virt gretta ,
misera, angustiosa, d' una mente impaniata nelle minuzie,
e incapace di disegni elevati ; se non fosse in piedi questa
biblioteca ambrosiana, che Federigo ide con s animosa
lautezza, ed eresse, con tanto dispendio, da' fondamenti ;
per fornir la quale di libri e di manoscritti, oltre il dono
de'gi raccolti con grande studio e spesa da lui, sped otto
uomini, de'pi colti ed esperti che pot avere, a farne incetta,
per l' Italia, per la Francia, per la Spagna, per la Germa
nia, per le Fiandre, nella Grecia, al Libano, a Gerusalemme.
Cos riusc a radunarvi circa trentamila volumi stampati, e
352 I PROMESSI SPOSI
quattordicimila manoscritti. Alla biblioteca un un collegio
di dottori (furon nove, e pensionati da lui fin che visse;
dopo, non bastando a quella spesa l'entrate ordinarie, furon
ristretti a due) ; e il loro uflzio era di coltivare vari studi,
teologia, storia, lettere, antichit ecclesiastiche, lingue
orientali, con l' obbligo ad ognuno di pubblicar qualche la
voro sulla materia assegnatagli ; v' un un collegio da lui
detto trilingue, per lo studio delle lingue greca , latina e
italiana; un collegio d'alunni, ,che venissero istruiti in
,quelle facolt e lingue, per insegnarle un giorno; v' un una
stamperia di lingue orientali, dell'ebraica cio, della caldea,
dell'arabica, della persiana, dell'armena; una galleria di
quadri, una di statue, e una scuola delle tre principali arti
del disegno. Per queste, pot trovar professori gi formati;
per il rimanente, abbiam visto che da fare gli avesse dato
la raccolta de' libri e de' manoscritti ; certo pi difficili
a trovarsi dovevano essere i tipi di quelle lingue, allora
molto men coltivate in Europa che al presente; pi ancora
de'tipi, gli uomini. Baster il dire che, di nove dottori, otto
ne prese tra i giovani alunni del seminario ; e da questo si
pu argomentare che giudizio facesse degli studi consumati
e delle riputazioni fatte di quel tempo: giudizio conforme
a quello che par che n' abbia portato la posterit, col met
tere gli uni e le altre in dimenticanza. Nelle regole che sta
bil per l' uso e per il governo della biblioteca, si vede un
intento d' utilit perpetua, non solamente bello in s, ma
in molte parti sapiente e gentile molto al di l dell' idee e
dell' abitudini comuni di quel tempo. Prescrisse al bibliote
cario che mantenesse commercio con gli uomini pi dotti
d'Europa, per aver da loro notizie dello stato delle scienze,
e avviso de' libri migliori che venissero fuori in ogni ge
nere, e farne acquisto ; gli prescrisse d' indicare agli stu
diosi i libri che non conoscessero, e potesser loro esser
utili ; ordin che atutti, fossero cittadini o forestieri, si desse
comodit e tempo di servirsene, secondo il bisogno. Una
tale intenzione deve ora parere ad ognuno troppo naturale,
e immedesimata con la fondazione d' una biblioteca: allora
non era cos. E in una storia dell' ambrosiana, scritta (col
CAPITOLO XXII. 355
costrutto e con l' eleganze comuni del secolo) da un Pier
paolo Bosca, che vi fu bibliotecario dopo la morte di Fede
rigo, vien notato espressamente, come cosa singolare, che in
questa libreria, eretta da un privato, quasi tutta a sue spese,
i libri fossero esposti alla vista del pubblico, dati a chiunque
-Ii chiedesse, e datogli anche da sedere, e carta, penne e cala
maio, per prender gli appunti che gli potessero bisognare ;
mentre in qualche altra insigne biblioteca pubblica d'Italia,
i libri non erano nemmen visibili, ma chiusi in armadi,
donde non si levavano se non per gentilezza de'bibliotecari,
quando si sentivano di farli vedere un momento ; di dare
<ii concorrenti il comodo di studiare, non se n' aveva nep-
pur l'idea. Dimodoch arricchir tali biblioteche era un sot-
trar libri all' uso comune : una di quelle coltivazioni, come
ce n' era e ce n' tuttavia molte, che isteriliscono il campo.
Non domandate quali siano stati gli effetti di questa fon
dazione del Borromeo sulla coltura pubblica : sarebbe facile
dimostrare in due frasi, al modo che si dimostra, che furon
miracolosi, o che non furon niente ; cercare e spiegare, fino a
un certo segno, quali siano stati veramente, sarebbe cosa di
molta fatica, di poco costrutto, e fuor di tempo. Ma pensate
che generoso, che giudizioso, che benevolo, che perseverante
amatore del miglioramento umano, dovess' essere colui che
volle una tal cosa, la volle in quella maniera, e l' esegu, in
mezzo a queir ignorantaggine, a queir inerzia, a quell'anti
patia generale per ogni applicazione studiosa, e per conse
guenza in mezzo ai cos' importa ? e c'era altro da pensare ?
e che beli' invenzione ! e mancava anche questa, e simili;
che saranno certissimamente stati pi che gli scudi spesi
-da lui in quell'impresa; i quali furon centocinquemila ,
la pi parte de' suoi.
Per chiamare un tal uomo sommamente benefico e libe
rale, pu parer che non ci sia bisogno di sapere se n' abbia
spesi molt'altri in soccorso immediato de' bisognosi ; e ci son
forse ancora di quelli che pensano che le spese di quel ge
nere, e sto per dire tutte le spese, siano la migliore e la
pi utile elemosina. Ma Federigo teneva l' elemosina pro
priamente detta per un dovere prin cipalissimo; e qui, come
/ Promessi Sposi. 23
354 I PROMESSI SPOSI
nel resto, i suoi fatti furon consentanei all' opinione. La sua
vita fu un continuo profondere ai poveri ; e a proposito d
questa stessa carestia di cui ha gi parlato la nostra storia ,
avremo tra poco occasione di riferire alcuni tratti, dai quali
si vedr che sapienza e che gentilezza abbia saputo mettere
anche in questa liberalit. De' molti esempi singolari che
d'una tale sua virt hanno notati i suoi biografi, ne ci
teremo qui un solo. Avendo risaputo che un nobile usava
artifizi e angherie per far monaca una sua figlia, la quale
desiderava piuttosto di maritarsi, fece venire il padre ; e
cavatogli di bocca che il vero motivo di quella vessazione era
il non avere quattromila scudi che, secondo lui, sarebbero
stati necessari a maritar la figlia convenevolniente, Fe
derigo la dot di quattromila scudi. Forse a taluno parr
questa una larghezza eccessiva, non ben ponderata, troppo
condiscendente agli stolti capricci d'un superbo ; e che quat
tromila scudi potevano esser meglio impiegati in cent'altre
maniere. A questo non abbiamo nulla da rispondere, se non
che sarebbe da desiderarsi che si vedessero spesso eccessi
d' una virt cos libera dall' opinioni dominanti (ogni tempo
ha le sue), cosi indipendente dalla tendenza generale, come,
in questo caso, fu quella che mosse un uomo a dar quat
tromila scudi, perch una giovine non fosse fatta monaca.
La carit inesausta di quest'uomo, non meno che nel dare,
spiccava in tutto il suo contgno. D facile abbordo con
tutti, credeva di dovere specialmente a quelli che si chia
mano di bassa condizione, un viso gioviale, una cortesia
affettuosa ; tanto pi, quanto ne trovan meno nel mondo.
E qui pure ebbe a combattere co'galantuomini del ne quid
nimis, i quali, in ogni cosa, avrebbero voluto farlo star
ne' limiti, cio ne' loro limiti. Uno di costoro, una volta che,
nella visita d'un paese alpestre e salvatico, Federigo istruiva
certi poveri fanciulli, e, tra l' interrogare e l' insegnare, gli
andava amorevolmente accarezzando, l' avvert che usasse
pi riguardo nel far tante carezze a que' ragazzi, perch
eran troppo sudici e stomacosi : come se supponesse, il buon
uomo, che Federigo non avesse senso abbastanza per fare
una tale scoperta, o non abbastanza perspicacia, per trovar
CAPITOLO XXII. 355
da s quel ripiego cos fino. Tale , in certe condizioni di tempi
e di cose, la sventura degli uomini costituiti in certe dignit :
che mentre cos di rado si trova chi gli avvisi de' loro
mancamenti, non manca poi gente coraggiosa a riprenderli
del loro far bene. Ma il buon vescovo, non senza un certo
risentimento, rispose : sono mie anime, e forse non vedranno
mai pi la mia faccia ; e non volete che gli abbracci ?
Ben raro per era il risentimento in lui, ammirato per
la soavit de'suoi modi, per una pacatezza imperturbabile,
che si sarebbe attribuita a una felicit straordinaria di tem
peramento ; ed era l' effetto d' una disciplina costante sopra
un' idole viva e risentita. Se qualche volta si mostr severo,
anzi brusco, fu co' pastori suoi subordinati che scoprisse
rei d' avarizia o di negligenza o d' altre tacce specialmente
opposte allo spirito del loro nobile ministero. Per tutto
ci che potesse toccare o il suo interesse, o la sua gloria tem
porale, non dava mai segno di gioia, n di rammarico, n
d'ardore, n d'agitazione : mirabile se questi moti non si de
stavano nell'animo suo, pi mirabile se vi si destavano. Non
solo da' molti conclavi ai quali assistette, riport il con
cetto di non aver mai aspirato a quel posto cos desidera
bile all' ambizione, e cos terribile alla piet ; ma una volta
che un collega, il quale contava molto, venne a offrirgli il
suo voto e quelli della sua fazione (brutta parola, ma era
quella che usavano), Federigo rifiut una tal proposta in
modo, che quello depose il pensiero, e si rivolse altrove.
Questa stessa modestia, quest' avversione al predominare
apparivano ugualmente nell'occasioni pi comuni della vita.
Attento e infaticabile a disporre e a governare, dove rite
neva che fosse suo dovere il farlo, sfugg sempre d'impicciarsi
negli affari altrui; anzi si scusava a tutto potere dall' inge-
rirvisi ricercato : discrezione e ritegno non comune, come
ognuno sa, negli uomini zelatori del bene, qual era Federigo.
Se volessimo lasciarci andare al piacere di raccogliere i
tratti notabili del suo carattere, ne risulterebbe certamente
un complesso singolare di meriti in apparenza opposti, e
certo difficili a trovarsi insieme. Per non ometteremo di
notare un' altra singolarit di quella bella vita : che, piena
356 I PROMESSI SPOSI
come fu d' attivit, di governo, di funzioni, d' insegnamento,
d' udienze, di visite diocesane, di viaggi, di contrasti, non
solo lo studio c'ebbe una parte, ma ce n'ebbe tanta, che per
un letterato di professione sarebbe bastato. E infatti, con
tant' altri e diversi titoli di lode, Federigo ebbe anche, presso
i suoi contemporanei, quello d' uom dotto.
Non dobbiamo per dissimulare che tenne con ferma per
suasione, e sostenne in pratica, con lunga costanza, opinioni,
che al giorno d' oggi parrebbero a ognuno piuttosto strane
che mal fondate ; dico anche a coloro che avrebbero una
gran voglia di trovarle giuste. Chi lo volesse difendere in
questo, ci sarebbe quella scusa cos corrente e ricevuta,
ch' erano errori del suo tempo, piuttosto che suoi: scusa che,
per certe cose , e quando risulti dall' esame particolare
de' fatti, pu aver qualche valore, o anche molto ; ma che
applicata cos nuda e alla cieca, come si fa d' ordinario, non
significa proprio nulla. E perci, non volendo risolvere con
formole semplici questioni complicate, n allungar troppo
un episodio, tralasceremo anche d' esporle ; bastandoci d' a-
vere accennato cos alla sfuggita che , d' un uomo cos
ammirabile in complesso, noi non pretendiamo che ogni
cosa lo fosse ugualmente ; perch non paia che abbiam
voluto scrivere un'orazion funebre.
Non certamente fare ingiuria ai nostri lettori il supporre
che qualcheduno di loro domandi se di tanto ingegno e di
tanto studio quest'uomo abbia lasciato qualche monumento.
Se n' ha lasciati ! Circa cento son l' opere che rimangon di
lui, tra grandi e piccole, tra latine e italiane, tra stampate
e manoscritte, che si serbano nella biblioteca da lui fondata :
trattati di morale, orazioni, dissertazioni di storia, d' anti
chit sacra e profana, di letteratura, d' arti e d' altro.
E come mai, dir codesto lettore, tante opere sono
dimenticate, o almeno cos poco conosciute, cos poco ricer
cate ? Come mai, con tanto ingegno, con tanto studio, con
tanta pratica degli uomini e delle cose, con tanto meditare,
con tanta passione per il buono e per il bello, con tanto
candor d' animo, con tant' altre di quelle qualit che fanno
il grande scrittore, questo, in cento opere, non ne ha
CAPITOLO XXII. 357
lasciata neppur una di quelle che son riputate insigni anche
da chi non le approva in tutto, e conosciute di titolo anche
da chi non le legge? Come mai, tutte insieme, non sono
bastate a procurare, almeno col numero, al suo nome una
fama letteraria presso noi posteri?
La domanda ragionevole senza dubbio, e la questione,
molto interessante ; perch le ragioni di questo fenomeno si
troverebbero con l' osservar molti fatti generali : e trovate,
condurrebbero alla spiegazione di pi altri fenomeni simili.
Ma sarebbero molte e prolisse : e poi se non v' andassero a
senio? se vi facessero arricciare il naso? Sicch sar me
glio che riprendiamo il filo della storia, e che, in vece di
cicalar pi a lungo intorno a quest'uomo, andiamo a vederlo
in azione, con la guida del nostro autore.
CAPITOLO XXIII.
CAPITOLO XXIV.
CAPITOLO XXV.
CAPITOLO XXVI.
CAPITOLO XXVII.
CAPITOLO XXVIII.
C) Pag. 16.
462 I PROMESSI SPOSI
un altro presidente d'un tal corpo, di fare un ragionamento
simile; se ragionamento si pu chiamare.
In quanto a Don Gonzalo, poco dopo quella risposta, s
n' and da Milano ; e la partenza fu triste per lui, come lo
era la cagione. Veniva rimosso per i cattivi successi della
guerra, della quale era stato il promotore e il capitano ;
e il popolo lo incolpava della fame sofferta sotto il suo go
verno. (Quello che aveva fatto per la peste, o non si sapeva,
o ceTto nessuno se n' inquietava, come vedremo pi avanti,
fuorch il tribunale della sanit, e i due medici special
mente.) AH' uscir dunque, in carrozza da viaggio, dal pa
lazzo di corte, in mezzo a una guardia d'alabardieri, con due
trombetti a cavallo davanti, e con altre carrozze di nobili
che gli facevan seguito, fu accolto con gran fischiate da
ragazzi ch' eran radunati sulla piazza del duomo , e cha
gli andaron dietro alla rinfusa. Entrata la comitiva nella
strada che conduce a porta ticinese, di dove si doveva
uscire, cominci a trovarsi in mezzo a una folla di gente
che, parte era l ad aspettare, parte accorreva ; tanto pi
che i trombetti, uomini di formalit, non cessaron di sonare,
dal palazzo di corte, fino alla porta. E nel processo che si
fece poi su quel tumulto, uno di costoro, ripreso che, con
quel suo trombettare, fosse stato cagione di farlo crescere,
risponde: caro signore, questa la nostra professione; et
se S. E. non hauesse hauuto a caro che noi hauessimo sonato,
doveva comandarne che tacessimo. Ma don Gonzalo, o per
ripugnanza a far cosa che mostrasse timore, o per timore di
render con questo pi ardita la moltitudine, o perch fosse
in effetto un po' sbalordito , non dava nessun ordine. La
moltitudine, che le guardie avevan tentato in vano di
respingere, precedeva, circondava, seguiva le carrozze,
gridando : la va via la carestia, va via il sangue de' pol
veri, e peggio. Quando furon vicini alla porta, comincia
rono anche a tirar sassi, mattoni, torsoli, bucce d'ogni sorte,
la munizione solita in somma di quelle spedizioni ; una parte
corse sulle mura, e di l fecero un'ultima scarica sulle
carrozze che uscivano. Subito dopo si sbandarono.
In luogo di don Gonzalo, fu mandato il marchese Ambrogio
CAPITOLO XXVIII. 46*
Spinola, il cui nome aveva gi acquistata, nelle guerre, di
Fiandra, quella celebrit militare che ancor gli rimane.
Intanto l' esercito alemanno, sotto il comando supremo
lei conte Rambaldo di Collalto, altro condottiere italiano,
di minore, ma non d' ultima fama, aveva ricevuto l' ordine
definitivo di portarsi all'impresa di Mantova; e nel mese
di settembre, entr nel ducato di Milano.
La milizia, a que' tempi, era ancor composta in gran parte
di soldati di ventura arrotati da condottieri di mestiere,
per commissione di questo o di quel principe, qualche volta
anche per loro proprio conto, e per vendersi poi insieme con
essi. Pi che dalle paghe, erano gli uomini attirati a quel
mestiere dalle speranze del saccheggio e da tutti gli allet
tamenti della licenza. Disciplina stabile e generale non ce
n' ora ; n avrebbe potuto accordarsi cos facilmente con
l'autorit in parte indipendente de' vari condottieri. Questi
poi in particolare, n erano molto raffinatori in fatto di di
sciplina, n, anche volendo, si vede come avrebbero potuto
riuscire a stabilirla e a mantenerla ; ch soldati di quella
razza, o si sarebbero rivoltati contro un condottiere nova
tore che si fosse messo in testa d'abolire il saccheggio ; o per
lo meno, l' avrebbero lasciato solo a guardar le bandiere.
Oltre di ci. siccome i principi, nel prendere, per dir cos,
ad affitto' quelle bande, guardavan' pi ad aver gente in
quantit, per assicurar l' imprese, che a proporzionare il
numero alla loro facolt di pagare, per il solito molto
scarsa; cos le paghe venivano per lo pi tarde, a conto,
a spizzico; e le spoglie de' paesi a cui la toccava, ne di
venivano come un supplimento tacitamente convenuto.
celebre, poco meno del nome di Wallenstein, quella sua
sentenza : esser pi facile mantenere un esercito di cento
mila uomini, che uno di dodici mila. E questo di cui parliamo
era in gran parte composto della gente che, sotto il suo co
mando, aveva desolata la Germania, in quella guerra ce
lebre tra le guerre, e per s e per i suoi effetti, che ricevette
poi il nome da' trent'anni della sua durata : e allora ne cor
reva l' undecimo. C era anzi, condotto da un suo luogote
nente, il suo proprio reggimento; degli altri condottieri^
464 I PROMESSI SPOSI
la pi parte avevan comandato sotto di lui, e ci si trovava
pi d'uno di quelli che, quattr'anni dopo, dovevano aiutare
a fargli far quella cattiva fine che ognun sa.
Eran vent' otto mila fanti, e sette mila cavalli ; e, scen
dendo dalla Valtellina per portarsi nel mantovano, do-
vevan seguire tutto il corso che fa l'Adda per due rami
di lago, e poi di nuovo come fiume fino al suo sbocco in
Po, e dopo avevano un buon tratto di questo da costeg
giare: in tutto otto giornate nel ducato di Milano.
Una gran parte degli abitanti si rifugiavano su per i
monti, portandovi quel che avevan di meglio, e cacciandosi
innanzi le bestie ; altri rimanevano, o per non abbandonar
qualche ammalato, o per preservar la casa dall'incendio, o
per tener d'occhio cose preziose nascoste, sotterrate; altri
perch non avevan nulla da perdere, o anche facevan conto
d' acquistare. Quando la prima squadra arrivava al paese
della fermata, si spandeva subito per quello e per i circon
vicini, e li metteva a sacco addirittura : ci che c' era da
godere o da portar via, spariva; il rimanente, lo distrugge
vano o lo rovinavano; i mobili diventavan legna, le case,
stalle: senza parlar delle busse, delle ferite, degli stupri.
Tutti i ritrovati, tutte l'astuzie per salvar la roba, riu
scivano per lo pi inutili, qualche volta portavano danni
maggiori. I soldati, gente ben pi pratica degli stratagemmi
anche di questa guerra, frugavano per tutti i buchi delle
case, smuravano, diroccavano; conoscevan facilmente negli
orti la terra smossa di fresco ; andarono fino su per i monti
a rubare il bestiame; andarono nelle grotte, guidati da
qualche birbante del paese, in cerca di qualche ricco che
vi si fosse rimpiattato; lo strascinavano alla sua casa, e
con tortura di minacce e di percosse, lo costringevano a
indicare il tesoro nascosto.
Finalmente se n' andavano ; erano andati ; si sentiva da
lontano morire il suono de' tamburi o delle trombe ; succe
devano alcune ore d' una quiete spaventata ; e poi un nuovo
maledetto batter di cassa, un nuovo maledetto suon di
trombe, annunziava un'altra squadra. Questi, non trovando
pi da far preda, con tanto pi furore facevano sperpero
CAPITOLO XXVIII. 465
,del resto, bruciavan le botti votate da quelli, gli usci delle
stanze dove non c' era pi nulla, davan fuoco anche alle
case; e con tanta pi rabbia, s'intende, maltrattavan le
persone; e cos di peggio in peggio, per venti giorni: ch
in tante squadre era diviso l' esercito.
Colico fu la prima terra del ducato, che invasero que' de
mni; si gettarono poi sopra Bellano; di l entrarono e si
sparsero nella Valsassina, da dove sboccarono nel territorio
di Lecco.
t
CAPITOLO XXIX.
CAPITOLO XXX.
CAPITOLO XXXI.
O Pag. 24.
494 I PROMESSI SPOSI
spedire un commissario che, strada facendo, prendesse un
medico a Como, e si portasse con lui a visitare i luoghi
indicati. Tutt' e due, o per ignoranza o per altro, si la-
sciorno persuadere da un vecchio et ignorante barbiero
di Bellano, che quella sorte de mali non era Peste (*);
ma, in alcuni luoghi, effetto consueto dell'emanazioni
autunnali delle paludi , e negli altri , effetto de' disagi e
degli strapazzi sofferti, nel passaggio degli alemanni. Una
tale assicurazione fu riportata al tribunale, il quale pare
che ne mettesse il cuore in pace.
Ma arrivando senza posa altre e altre notizie di mone
da diverse parti, furono spediti due delegati a vedere e a
provvedere : il Tadino suddetto, e un auditore del tribunale.
Quando questi giunsero, il male s'era gi tanto dilatato,
che le prove si offrivano, senza che bisognasse andarne
in cerca. Scorsero il territorio di Lecco, la Valsassina, le
coste del lago di Como, i distretti denominati il Monte di
Brianza, e la Gera d'Adda; e per tutto trovarono paesi
chiusi da cancelli all'entrature, altri quasi deserti, e gli
abitanti scappati e attendati alla campagna, o dispersi:
et ci parevano, dice il Tadino, tante creature selua-
tiche, portando in mano chi l' herba menta, chi la ruta,
chi il rosmarino et chi una ampolla d'aceto. S' infor
marono del numero de' morti: era spaventevole; visita
rono infermi e cadaveri, e per tutto trovarono le brutte
e terribili marche della pestilenza. Diedero subito, per
lettere, quelle sinistre nuove al tribunale della sanit, il
quale, al riceverle, che fu il 30 d' ottobre, si dispose,
dice il medesimo Tadino, a prescriver le bullette, per chiu
der fuori dalla citt le persone provenienti da' paesi dove
il contagio s'era manifestato; et mentre si compilaua la
grida, ne diede anticipatamente qualche ordine somma
rio a' gabellieri.
Intanto i delegati presero in fretta e in furia quelle mi
sure che parver loro migliori ; e se ne tornarono, con la
trista persuasione che non sarebbero bastate a rimediare e
a fermare un male gi tanto avanzato e diffuso.
(*) Tadino, pag. 24.
CAPITOLO XXXI.
Arrivati il 14 di novembre, dato ragguaglio, a voce e di
nuovo in iscritto, al tribunale, ebbero da questo commis
sione di presentarsi al governatore, e d' esporgli lo stato
delle cose. V'andarono, e riportarono: aver lui di tali
nuove provato molto dispiacere, mostratone un gran sen
timento; ma i pensieri della guerra esser pi pressanti:
sed belli graviores esse curas. Cos il Ripamonti, il quale
aveva spogliati i registri della Sanit, e conferito col Ta
dino, incaricato specialmente della missione: era la se
conda, se il lettore se ne ricorda, per quella causa, e con
quell'esito. Due o tre giorni dopo, il 18 di novembre, eman
il governatore una grida, in cui ordinava pubbliche feste,
per la nascita del principe Carlo , primogenito del re Fi
lippo IV, senza sospettare o senza curare il pericolo d' un
gran concorso, in tali circostanze : tutto come in tempi or
dinari, come se non gli fosse stato parlato di nulla.
Era quest' uomo, come gi s' detto, il celebro Ambrogio
Spinola, mandato per raddirizzar quella guerra e riparare
agli errori di don Gonzalo, e incidentemente, a governare ;
e noi pure possiamo qui incidentemente rammentar che
mor dopo pochi mesi, in quella stessa guerra che gli stava
tanto a cuore; e mor, non gi di ferite sul campo, ma in
letto, d' affanno e di struggimento, per rimproveri, torti,
disgusti d' ogni specie ricevuti da quelli a cui serviva. La
storia ha deplorata la sua sorte, e biasimata l' altrui sco
noscenza ; ha descritte con molta diligenza le sue imprese
militari e politiche, lodata la sua previdenza, l' attivit, la
costanza: poteva anche cercare cos'abbia fatto di tutte
queste qualit, quando la peste minacciava, invadeva una
popolazione datagli in cura, o piuttosto in balia.
Ma ci che, lasciando intero il biasimo, scema la mara
viglia di quella sua condotta, ci che fa nascere un' altra e
pi forte maraviglia, la condotta della popolazione mede
sima, di quella, voglio dire, che, non tocca ancora dal con
tagio, aveva tanta ragion di temerlo. All' arrivo di quelle
nuove de' paesi che n' erano cos malamente imbrattati, di
paesi che formano intorno alla citt quasi un semicircolo,
in alcuni punti distante da essa non pi di diciotto o venti
496 I PROMESSI SPOSI
miglia; chi non crederebbe che vi si suscitasse un movi
mento generale, un desiderio di precauzioni bene o male
intese, almeno una sterile inquietudine? Eppure, se in
qualche cosa le memorie di quel tempo vanno d' accordo,
nell' attestare che non ne fu nulla. La penuria dell' anno
antecedente, le angherie della soldatesca, le afflizioni d'ani
mo, parvero pi che bastanti a render ragione della mor
talit : sulle piazze, nelle botteghe, nelle case, chi buttasse
l una parola del pericolo, chi motivasse peste, veniva ac
colto con beffe incredule, con disprezzo iracondo. La me
desima miscredenza, la medesima, per dir meglio, cecit
e fissazione prevaleva nel senato, nel Consiglio de' decu
rioni, in ogni magistrato.
Trovo che il cardinal Federigo, appena si riseppero i
primi casi di mal contagioso, prescrisse, con lettera pa
storale a' parrochi, tra le altre cose, che ammonissero pi
e pi volte i popoli dell' importanza e dell' obbligo stretto
di rivelare ogni simile accidente, e di consegnar le robe
infette o sospette (*): e anche questa pu essere contata
tra le sue lodevoli singolarit.
Il tribunale della sanit chiedeva, implorava coopera
zione, ma otteneva poco o niente. E nel tribunale stesso, la
premura era ben lontana da uguagliare l' urgenza : erano,
come afferma pi volte il Tadino, e come appare ancor me
glio da tutto il contesto della sua relazione, i due fisici che,
persuasi della gravit e dell' imminenza del pericolo, sti-
molavan quel corpo, il quale aveva poi a stimolare gli altri.
Abbiam gi veduto come, al primo annunzio della peste,
andasse freddo nell' operare, anzi nell' informarsi : ecco ora
un altro fatto di lentezza non men portentosa, se per non
era forzata, per ostacoli frapposti da magistrati superiori.
Quella grida per le bullette, risoluta il 30 d' ottobre, non
fu stesa che il d 23 del mese seguente, non fu pubblicata
che il 29. La peste era gi entrata in Milano.
Il Tadino e il Ripamonti vollero notare il nome di chi
C) Storia di Milano rlel Conte Pietro Verri; Milano 1825, Tom. *,p. 155.
CAPITOLO XXXI. 501
divenuta troppo comune e troppo palese per andarne senza,
trovarono quello di febbri maligne, di febbri pestilenti:
miserabile transazione, anzi trufferia di parole, e che pur
faceva gran danno ; perch, figurando di riconoscere la ve
rit, riusciva ancora a non lasciar credere ci che pi im
portava di credere, di vedere, che il male s'attaccava per
mezzo del contatto. I magistrati, come chi si risente da un
profondo sonno, principiarono a dare un po' pi orecchio
agli avvisi, alle proposte della Sanit, a far eseguire i suoi
editti, i sequestri ordinati, le quarantene prescritte da
quel tribunale. Chiedeva esso di continuo anche danari
per supplire alle spese giornaliere, crescenti, del lazze
retto, di tanti altri servizi; e li chiedeva ai decurioni, in
tanto che fosse deciso (che non fu, credo, mai, se non col
fatto) se tali spese toccassero alla citt, o all' erario regio.
Ai decurioni faceva pure istanza il gran cancelliere, per
ordine anche df governatore, ch' era andato di nuovo n
metter l'assedio a quel povero Casale; faceva istanza il
senato, perch pensassero alla maniera di vettovagliar la
citt, prima che, dilatandovisi per isventura il contagio, le
venisse negato pratica dagli altri paesi; perch trovassero
il mezzo di mantenere una gran parte della popolazione,
a cui eran mancati i lavori. I decurioni cercavano di far
danari per via d' imprestiti, d' imposte ; e di quel che ne
raccoglievano, ne davano un po' alla Sanit, un po' a' po
veri ; un po' di grano compravano : supplivano a una parte
del bisogno. E le grandi angosce non erano, ancor venute.
Nel lazzeretto, dove la popolazione, quantunque deci
mata ogni giorno, andava ogni giorno crescendo, era un' al
tra ardua impresa quella d' assicurare il servizio e la su
bordinazione , di conservar le separazioni prescritte , di
mantenervi in somma o, per dir meglio, di stabilirvi il
governo ordinato dal tribunale della sanit : ch , fin
da'primi momenti, c'era stata ogni cosa in confusione, per
la sfrenatezza di molti rinchiusi, per la trascuratezza e per
la connivenza de' serventi. Il tribunale e i decurioni, non
sapendo dove battere il capo, pensaron di rivolgersi ai
cappuccini , e supplicarono il padre commissario della
502 I PROMESSI SPOSI
provincia, il quale faceva le veci del provinciale, morto poco
prima, acci volesse dar loro de' soggetti abili a governare
quel regno desolato. Il commissario propose loro, per
principale, un padre Felice Casati, uomo d' et matura, il
quale godeva una gran fama di carit, d' attivit, di man
suetudine insieme e di fortezza d'animo, a quel che il se
guito fece vedere, ben meritata ; e per compagno e come
ministro di lui, un padre Michele Pozzobonelli, ancor gio
vine, ma grave e severo, di pensieri come d'aspetto. Furono
accettati con gran piacere; e il 30 di marzo, entrarono
nel lazzeretto. Il presidente della Sanit li condusse in
giro, come per prenderne il possesso ; e, convocati i ser
venti e gl'impiegati d'ogni grado, dichiar, davanti a loro,
presidente di quel luogo il padre Felice, con primaria e
piena autorit. Di mano in mano poi che la miserabile ra
dunanza and crescendo, v'accorsero altri cappuccini; e
furono in quel luogo soprintendenti, concessori , ammini
stratori, infermieri, cucinieri, guardarobi, lavandai, tutto
ci che occorresse. Il padre Felice, sempre affaticato e
sempre sollecito, girava di girno, girava di notte, per
i portici, per le stanze, per quel vasto spazio interno, tal
volta portando un' asta, talvolta non armato che di cilizio ;
animava e regolava ogni cosa; sedava i tumulti, faceva
ragione alle querele, minacciava, puniva, riprendeva, con
fortava, asciugava e spargeva lacrime. Prese, sul principio,
la peste ; ne guar, e si rimise, con nuova lena, alle cure di
prima. I suoi, confratelli ci lasciarono la pi parte la vita,
e tutti con allegrezza.
Certo, una tale dittatura era uno strano ripiego ; strano
come la calamit, come i tempi ; e quando non ne sapessimo
altro, basterebbe per argomento, anzi per saggio d'una
societ molto rozza e mal regolata, il veder che quelli a cui
toccava un cos importante governo, non sapesser pi farne
altro che cederlo, n trovassero a chi cederlo, che uomini,
per istituto, il pi alieni da ci. Ma insieme un saggio
non ignobile della forza e dell' abilit che la carit pu
dare in ogni tempo, e in qualunque ordin di cose, il veder
quest' uomini sostenere un tal carico cos bravamente. E
CAPITOLO XXXI. 503
fu bello lo stesso averlo accettato, senz' altra ragione che
il non esserci chi lo volesse, senz' altro fine che di servire,
.senz' altra speranza in questo mondo, che d'una morte
molto pi invidiabile che invidiata ; fu bello lo stesso esser
loro offerto, solo perch era difficile e pericoloso, e si sup
poneva che il vigore e il sangue freddo, cosi necessario e
raro in que' momenti , essi lo dovevano avere. E perci
l'opera e il cuore di que' frati meritano che se ne faccia
memoria, con ammirazione, con tenerezza, con quella specie
di gratitudine che dovuta, come in solido, per i gran ser
vizi resi da uomini a uomini, e pi dovuta a quelli che non se
la propongono per ricompensa. Che se questi Padri iui non
si ritrouauano, dice il Tadino, al sicuro tutta la Citt
4 annichilata si trouaua ; puoich fu cosa miracolosa l'hauer
questi Padri fatto in cos puoco spatio di tempo tante
cose per benefitio publico , che non hauendo hauuto
agiutto, o almeno puoco dalla Citt, con la sua industria
et prudenza haueuano mantenuto nel Lazeretto tante
migliaia de poueri. Le persone ricoverate in quel luogo,
durante i sette mesi che il padre Felice n' ebbe il governo,
furono circa cinquantamila, secondo il Ripamonti; il quale
dice con ragione , che d' un uomo tale avrebbe dovuto
ugualmente parlare , se in vece di descriver le miserie
d'una citt, avesse dovuto raccontar le cose che posson
farle onore.
Anche nel pubblico, quella caparbiet di negar la peste
andava naturalmente cedendo e perdendosi, di mano in
mano che il morbo si diffondeva, e si diffondeva per via
<lel contatto e della pratica ; e tanto pi quando, dopo esser
qualche tempo rimasto solamente tra' poveri, cominci a
toccar persone pi conosciute. E tra queste, come allora
fu il pi notato, cosi merita anche adesso un'espressa men
zione il protofisico Settala. Avranno almen confessato che
il povero vecchio aveva ragione ? Chi lo sa ? Caddero in
fermi di peste, lui, la moglie, due figliuoli, sette persone di
servizio. Lui e uno de' figliuoli n'usciron salvi; il resto mor.
Questi casi, dice il Tadino, occorsi nella Citt in case
Nobili, disposero la Nobilflta, et la plebe a pensare, et
504 i Promessi sposi
gli increduli Medici, et la plebe ignorante et temeraria
cominci stringere le labra, chiudere li denti, et inarcare
le ciglia.
Ma l' uscite, i ripieghi, le vendette, per dir cos, della
caparbiet convinta, sono alle volte tali da far desiderare
che fosse rimasta ferma e invitta, fino all' ultimo, contro la
ragione e l' evidenza : e questa fu bene una di quelle volte.
Coloro i quali avevano impugnato cosi risolutamente, e cos
a lungo, che ci fosse vicino a loro, tra loro, un germe di
male, che poteva, per mezzi naturali, propagarsi e fare
una strage ; non potendo ormai negare il propagamento-
di esso, e non volendo attribuirlo a que' mezzi (che sarebbe
stato confessare a un tempo un grand' inganno e una gran
colpa), erano tanto pi disposti a trovarci qualche altra
causa, a menar buona qualunque ne venisse messa in
campo. Per disgrazia, ce n' era una in pronto nelle idee
e nelle tradizioni comuni allora, non qui soltanto, ma in
ogni parte d' Europa: arti. venefiche, operazioni diaboliche^
gente congiurata a sparger la peste, per mezzo di veleni
contagiosi, di malie. Gi cose tali, o somiglianti, erano-
state supposte e credute in molte altre pestilenze, e qui
segnatamente, in quella di mezzo secolo innanzi. S'ag
giunga che, fin dall' anno antecedente, era venuto un di
spaccio, sottoscritto dal re Filippo IV, al governatore, per
avvertirlo ch' erano scappati da Madrid quattro francesi,
ricercati come sospetti di spargere unguenti velenosi ,
pestiferi : stesse all' erta, se mai coloro fossero capitati a
Milano. Il governatore aveva comunicato il dispaccio al
senato e al tribunale della sanit; n, per allora, pare che
ci si badasse pi che tanto. Per, scoppiata e riconosciuta
la peste, il tornar nelle menti queil' avviso poto servir di
conferma al sospetto indeterminato d'una frode scellerata;,
pot anche essere la prima occasione di farlo nascere.
Ma due fatti, l'uno di cieca e indisciplinata paura, l'altro
di non so quale cattivit, furon quelli che convertirono quel
sospetto indeterminato d' un attentato possibile , in so
spetto, e per molti in certezza, d'un attentato positivo,
e d' una trama reale. Alcuni? ai quali era parso di vedere,
CAPITOLO XXXI. 505
la sera del 17 di maggio, persone in duomo andare un
gendo un assito che serviva a dividere gli spazi assegnati
a' due sessi, fecero, nella notte, portar fuori della chiesa
l'assito e una quantit di panche rinchiuse in quello ; quan
tunque il presidente della Sanit, accorso a far la visita,
con quattro persone dell' ufizio, avendo visitato l'assito,
le panche, le pile dell' acqua benedetta, senza trovar nulla
che potesse confermare l'ignorante sospetto d'un attentato
venefico, avesse, per compiacere all'immaginazioni altrui,
e pi tosto per abbondare in cautela , che per bisogno ,
avesse, dico, deciso che bastava dar una lavata all' assito.
Quel volume di roba accatastata produsse una grand' im
pressione di spavento nella moltitudine, per cui un oggetto
diventa cos facilmente un argomento. Si disse e si credette
generalmente che fossero state unte in duomo tutte le pan
che, le pareti, e fin le corde delle campane. N si disse
soltanto allora : tutte le memorie de' contemporanei che
parlano di quel fatto (alcune scritte molt' anni dopo), ne
parlano con ugual sicurezza: e la storia sincera di esso,
bisognerebbe indovinarla, se non si trovasse in una lettera
del tribunale della sanit al governatore, che si conserva
nell'archivio detto di san P'edele; dalla quale l'abbiamo
cavata, e della quale sono le parole che abbiam messe in
corsivo.
La mattina seguente, un nuovo e pi strano, pi signi
ficante spettacolo colp gli occhi e le menti de' cittadini.
In ogni parte della citt, si videro le porte delle case c
le muraglie, per lunghissimi tratti, intrise di non so che
sudiceria, giallognola, biancastra, sparsavi come con delle
spugne. O sia stato un gusto sciocco di far nascere uno
spavento pi rumoroso e pi generale, o sia stato un pi
reo disegno d'accrescer la pubblica confusione, o non saprei
che altro ; la cosa attestata di maniera, che ci parrebbe
men ragionevole l' attribuirla a un sogno di molti, che al
fatto d' alcuni : fatto, del resto, che non sarebbe stato, n
il primo n l'ultimo d" tal genere. Il Ripamonti, che spesso,
su questo particolare dell'unzioni, deride, e pi spesso
deplora la credulit popolare, qui afferma d' aver veduto
06 I PROMESSI SPOSI
queir impiastramento, e lo descrive (*). Nella lettera so
praccitata, i signori della Sanit raccontan la cosa ne' me
desimi termini; parlan di visite, d'esperimenti fatti con
quella materia sopra de' cani, e senza cattivo effetto; ag
giungono, esser loro opinione, che cotale temerit sia
pi tosto proceduta da insolenza, che -da fine scelerato:
pensiero che indica in loro, fino a quel tempo, pacatezza
d'animo bastante per non vedere ci che non ci fosse stato.
L' altre memorie contemporanee, raccontando la cosa, ac
cennano anche, essere stata, sulle prime, opinion di molti,
che fosse fatta per burla, per bizzarria ; nessuna parla di
nessuno che la negasse ; e n'avrebbero parlato certamente,
se ce ne fosse stati; se non altro, per chiamarli strava
ganti. Ho creduto che non fosse fuor di proposito il riferire
e il mettere insieme questi particolari, in parte poco noti,
in parte affatto ignorati, d'un celebre delirio; perch, negli
errori e massime negli errori di molti, ci che pi in
teressante e pi utile a osservarsi, mi pare che sia appunto
la strada che hanno fatta, l'apparenze, i modi con cui
hanno potuto entrar nelle menti, e dominarle.
La citt gi agitata ne* fu sottosopra : i padroni delle
case, con paglia accesa, abbruciacchiavano gli spazi unti;
i passeggieri si fermavano, guardavano, inorridivano, fre
mevano. I forestieri, sospetti per questo solo, e che allora
si conoscevan facilmente al vestiario, venivano arrestati
nelle strade dal popolo, e condotti alla giustizia. Si fecero
interrogatri , esami d' arrestati , d' arrestatori , di testi
moni ; non si trov reo nessuno : le menti erano ancor ca
paci di dubitare, d'esaminare, d'intendere. Il tribunale
della sanit pubblic una grida, con la quale prometteva
premio e impunit a chi mettesse in chiaro l' autore o gli
autori del fatto. Ad ogni modo non parendoci comteniente,
dicono que' signori nella citata lettera, che porta la data
CAPITOLO XXXII.
(1) Memoria delle cose notabili successe in Milano inlorno al mal con-
taggioso l'anno 1630, ee. raccolte da D. Pio la Croce, Mila.no, 1750.
tratta evidentemente da scritto inedito d'autore vissuto al tempo della
pestilenza: se pure non una semplice edizione, piuttostoche una nuova
compilazione.
(2) Si unguenta scelerata et unctores in urbe essent... Si non es-
sent... Certiusque adeo malum. Ripamonti, pag. 185.
CAPITOLO XXX\l. 511
dell'unzioni s'era intanto ridestato, pi generale e pi
furioso di prima.
S' era visto di nuovo, o questa volta era parso di vedere,,
unte muraglie, porte d' ediflzi pubblici, usci di case, mar
telli. Le nuove di tali scoperte volavan di bocca in bocca ;
e, come accade pi che mai, quando gli animi son preoccu
pati, il sentire faceva l'effetto del vedere. Gli animi, sempre
pi amareggiati dalla presenza de' mali, irritati dall' insi
stenza del pericolo, abbracciavano pi volentieri quella
credenza : ch la collera aspira a punire : e, come osservo
acutamente, a 'questo stesso proposito, un uomo d'inge
gno (*), le piace pi d' attribuire i mali a una perversit
umana, contro cui possa far le sue vendette, che di rico
noscerli da una causa, con la quale non ci sia altro da fare
che rassegnarsi. Un veleno squisito, istantaneo, penetran
tissimo, eran parole pi che bastanti a spiegar la violenza,
e tutti gli accidenti pi oscuri e disordinati del morbo. Si
diceva composto, quel veleno, di rospi, di serpenti, di bava
e di materia d' appestati, di peggio, di tutto ci che selvagge
e stravolte fantasie sapessero trovar di sozzo e d' atroce.
Vi s' aggiunsero poi le malie, per le quali ogni effetto di
veniva possibile, ogni obiezione perdeva la forza, si scio
glieva ogni difficolt. Se gli effetti non s' eran veduti subito
dopo quella prima unzione, se ne capiva il perch; era
stato un tentativo sbagliato di venefici ancor novizi: ora
l' arte era perfezionata, e le volont pi accanite nell' infer
nale proposito. Ormai chi avesse sostenuto ancora ch' era
stata una burla, chi avesse negata l' esistenza d' una trama,
passava per cieco, per ostinato; se pur non cadeva in
sospetto d' uomo interessato a stornar dal vero l' attenzion
del pubblico, di complice, d' untore : il vocabolo fu ben
presto comune, solenne, tremendo. Con una tal persua
sione che ci fossero untori, se ne doveva scoprire, quasi
infallibilmente: tutti gli occhi stavano all'erta; ogni atto
poteva dar gelosia. E la gelosia diveniva facilmente cer
tezza, la certezza furore.
(*) P. Verri, Osservazioni sulla tortura: Scrittori italiani d'economia
politica; parte moderna, tom. 17, pag. 303.
512 I PROMESSI SPOSI
Due fatti ne adduce in prova il Ripamonti, avvertendo
d' averli scelti, non come i pi atroci tra quelli che segui
vano giornalmente, ma perch dell' uno e dell' altro era
stato pur troppo testimonio.
Nella chiesa di sant' Antonio, un giorno di non so quale
solennit, un vecchio pi che ottuagenario, dopo aver pre
gato alquanto inginocchioni, volle mettersi a sedere; e
prima, con la cappa, spolver la panca. Quel vecchio unge
la panche ! gridarono a una voce alcune donne che vider
l' atto. La gente che si trovava in chiesa (in chiesa!), fu
addosso al vecchio ; lo prendon per i capelli, bianchi co
m' erano; lo carican di pugni e di calci; parte lo tirano,
parte lo spingon fuori; se non lo finirono, fu per istrasci-
narlo, cos semivivo, alla prigione, ai giudici, alle torture.
Io lo vidi mentre lo strascinavan cos, dice il Ripa
monti: e non ne seppi pi altro: credo bene che non
abbia potuto sopravvivere pi di qualche momento.
L'altro caso (e segu il giorno dopo) fu ugualmente strano,
ma non ugualmente funesto. Tre giovani compagni francesi,
un letterato, un pittore, un meccanico, venuti per veder
V Italia, per istudiarvi le antichit, e per cercarvi occasion
di guadagno, s' erano accostati a non so qual parte esterna
del duomo, e stavan l guardando attentamente. Uno che
passava, li vede e si ferma ; gli accenna a un altro, ad altri
che arrivano : si form un crocchio, a guardare, a tener
il' occhio coloro, che il vestiario, la capigliatura, le bisacce,
accusavano di stranieri e, quel ch' era peggio, di francesi.
Come per accertarsi ch' era marmo, stesero essi la mano
a toccare. Bast. Furono circondati, afferrati, malmenati,
spinti, a furia di percosse, alle carceri. Per buona sorte, il
palazzo di giustizia poco lontano dal duomo ; e per uns
sorte ancor pi felice, furon trovati innocenti, e rilasciati.
N tali cose accadevan soltanto in citt: la frenesia
s' era propagata come il contagio. Il viandante che fosse
incontrato da de' contadini, fuor della strada maestra, o
che in quella si dondolasse a guardar in qua e in l, o si
buttasse gi per riposarsi ; lo sconosciuto a cui si trovasse
qualcosa di strano, d sospetto nel volto, nel vestito, erano
CAPITOLO XXXII. 513
untori: al primo avviso di chi si fosse, al grido d'un ra
gazzo, si sonava a martello, s' accorreva ; gl' infelici eran
tempestati di pietre, o, presi, venivan menati, a furia
di popolo, in prigione. Cosi il Ripamonti medesimo. E
la prigione, fino a un certo tempo, era un porto di sal
vamento.
Ma i decurioni, non disanimati dal rifiuto del savio pre
lato, andavan replicando le loro istanze, che il voto pub
blico secondava rumorosamente. Federigo resistette ancor
qualche tempo, cerc di convincerli ; questo quello che
pot il senno d' un uomo, contro la forza de' tempi, e l' in
sistenza di molti. In quello stato d' opinioni, con l'idea del
pericolo, confusa com' era allora, contrastata, ben lontana
dall' evidenza che ci si trova ora, non difficile a capire
come le sue buone ragioni potessero, anche nella sua mente,
esser soggiogate dalle cattive degli altri. Se poi, nel ceder
che fece, avesse o non avesse parte un po' di debolezza della
volont, sono misteri del cuore umano. Certo, se in alcun
caso par che si possa dare in tutto l' errore all' intelletto,
e scusarne la coscienza, quando si tratti di que' pochi (e
questo fu ben nel numero), nella vita intera de' quali appa
risca un ubbidir risoluto alla coscienza, senza riguardo
a interessi temporali di nessun genere. Al replicar del
l' istanze, cedette egli dunque, acconsent che si facesse la
processione, acconsent di pi al desiderio, alla premura
generale, che la cassa dov' eran rinchiuse le reliquie di san
Carlo, rimanesse dopo esposta, per otto giorni, sull' altar
maggiore del duomo.
Non trovo che il tribunale della sanit, n altri, facessero
rimostranza n opposizione di sorte alcuna. Soltanto, il
tribunale suddetto ordin alcune precauzioni che, senza
riparare" al pericolo, ne indicavano il timore. Prescrisse
pi strette regole per l' entrata delle persone in citt ; e,
per assicurarne l' esecuzione , fece star chiuse le porte :
come pure, a fine d' escludere, per quanto fosse possibile,
dalla radunanza gli infetti e i sospetti, fece inchiodar gli
usci delle case sequestrate : le quali, per quanto pu va
lere, in un fatto di questa sorte, la semplice affermazione
/ Promessi Sposi. 33
$14 I PROMESSI SPOSI
d'uno scrittore, e d'uno scrittore di quel tempo, erari
circa cinquecento (*).
Tre giorni furono spesi in preparativi : V undici di giu
gno, ch' era il giorno stabilito, la processione usci, sull'alba,
dal duomo. Andava dinanzi una lunga schiera di popolo,
, donne la pi parte, coperte, il volto d' ampi zendali, molte
scalze, e vestite di sacco. Venivan poi l' arti , precedute
da' loro gonfaloni, le confraternite, in abiti vari di forme
e di colori ; poi le fraterie, poi il clero secolare, ognuno
con l' insegne del grado, e con una candela o un torcetto
in mano. Nel mezzo, tra il chiarore di pi fitti lumi, tra
un rumor pi alto di canti, sotto un ricco baldacchino,
s' avanzava la cassa, portata da quattro canonici, parati in
gran pompa, che si cambiavano ogni tanto. Dai cristalli
traspariva il venerato cadavere vestito di splendidi abiti
pontificali, e mitrato il teschio ; e nelle forme mutilate e
scomposte, si poteva ancora distinguere qualche vestigio
dell' antico sembiante, quale lo rappresentano l' immagini,
quale alcuni si ricordavan d' averlo visto e onorato in vita.
Dietro la spoglia del morto pastore (dice il Ripamonti, da
cui principalmente prendiamo questa descrizione), e vi
cino a lui, come di meriti e di sangue e di dignit, cosi ora
anche di persona, veniva l' arcivescovo Federigo. Seguiva
l'altra parte del clero; poi i magistrati, con gli abiti di >
maggior cerimonia; poi i nobili, quali vestiti sfarzosa
mente, come a dimostrazione solenne di' culto, quali, in
segno di penitenza, abbrunati, o scalzi e incappati, con
la buffa sul viso ; tutti con torcetti. Finalmente una coda
d'altro popolo misto.
Tutta la strada era parata a festa; i ricchi avevan ca
vate fuori le suppellettili pi preziose; le facciate delle
case povere erano state ornate da de' vicini benestanti,
o a pubbliche spese ; dove in luogo di parati, dove sopra i
parati, c' eran de' rami fronzuti; da ogni parte pendevano
quadri, iscrizioni, imprese; su' davanzali delle finestre
C) Pag. 102.
522 1 PROMESSI SPOSI
la mensa domestica, il letto nuziale, si temevano, come
agguati, come nascondigli di veneflzio.
La vastit immaginata, la stranezza della trama turba-
van tutti i giudizi, alteravan tutte le ragioni della fiducia
reciproca. Da principio, si credeva soltanto che quei sup
posti untori fosser mossi dall' ambizione e dalla cupidigia;
andando avanti, si sogn, si credette che ci fosse una non
so quale volutt diabolica in queir ungere, un' attrattiva
che dominasse le volont. I vaneggiamenti degl'infermi
che accusavan s stessi di ci che avevan temuto dagli
altri, parevano rivelazioni, e rendevano ogni cosa, per dir
cosi, credibile d' ognuno. E pi delle parole, dovevan far
colpo le dimostrazioni, se accadeva che appestati in delirio
andasser facendo di quegli atti che s' erano figurati che do
vessero fare gli untori: cosa insieme molto probabile, e
atta a dar miglior ragione della persuasion generale e del
l' affermazioni di molti scrittori. Cos, nel lungo e tristo
periodo de' processi per stregoneria , le confessioni , non
sempre estorte, degl' imputati, non serviron poco a pro-
movere e a mantener l' opinione che regnava intorno ad
essa: ch, quando un' opinione regna per lungo tempo, e in
una buona parte del mondo, finisce a esprimersi in tutte le
maniere, a tentar tutte l' uscite, a scorrer per tutti i gradi
della persuasione ; ed difficile che tutti o moltissimi cre
dano a lungo che una cosa strana si faccia, senza che
venga alcuno il quale creda di farla.
Tra le storie che quel delirio dell' unzioni fece immagi
nare, una merita che se ne faccia menzione, per il credito
che acquist, e per il giro che fece. Si raccontava, non da
tutti nell' istessa maniera (che sarebbe un troppo singoiar
privilegio delle favole), ma a un dipresso, che un tale, il
tal giorno, aveva visto arrivar sulla piazza del duomo un
tiro a sei, e dentro, con altri, un gran personaggio, con
una faccia fosca e infocata, con gli occhi accesi, coi capelli
ritti, e il labbro atteggiato di minaccia. Mentre quel tale
stava intento a guardare, la carrozza s'era fermata; e il
cocchiere l' aveva invitato a salirvi ; e lui non aveva saputo
dir di no. Dopo diversi rigiri, erano smontati alla porta
CAPITOLO XXXII. 523
<T un tal palazzo, dove entrato anche lui, con la compagnia,
aveva trovato amenit e orrori, deserti e giardini, caverne
e sale; e in esse, fantasime sedute a consiglio. Finalmente,
gli erano state fatte vedere gran casse di danaro, e detto
che ne prendesse quanto gli fosse piaciuto, con questo per,
che accettasse un vasetto d' unguento, e andasse con esso
ungendo per la citt. Ma non avendo voluto acconsentire,
s' era trovato, in un batter d' occhio, nel medesimo luogo
dov'era stato preso. Questa storia, creduta qui general
mente dal popolo, e, al dir del Ripamonti, non abbastanza
derisa da qualche uomo di peso (*), gir per tutta Italia e
fuori. In Germania se ne fece una stampa : l' elettore ar
civescovo di Magonza scrisse al cardinal Federigo, per
domandargli cosa si dovesse credere de' fatti maravi-
gliosi che si raccontavn di Milano ; e n' ebbe in risposta
ch'eran sogni.
D' ugual valore, se non in tutto d' ugual natura, erano i
sogni de' dotti ; come disastrosi del pari n' eran gli effetti.
Vedevano, la pi parte di loro, l' annunzio e la ragione in
sieme de' guai in una cometa apparsa l' anno 1628, e in una
congiunzione di Saturno con Giove, inclinando, scrive il
Tadino, la congiontione sodetta sopra questo anno 1630,
tanto chiara, che ciascun la poteua intendere. Mortales pa
rat morbos, miranda videntur. Questa predizione, ca
vata, dicevano, da un libro intitolato Specchio degli alma
nacchi perfetti, stampato in Torino, nel 1623, correva per
le bocche di tutti. Un' altra cometa, apparsa nel giugno
dell'anno stesso della peste, si prese per un nuovo avviso;
anzi per una prova manifesta dell' unzioni. Pescavan ne' li
tri, e pur troppo ne trovavano in quantit, esempi di peste,
come dicevano, manufatta : citavano Livio, Tacito, Dione,
che dico? Omero e Ovidio, i molti altri antichi che hanno rac
contati o accennati fatti somiglianti : di moderni ne avevano
ancor pi in abbondanza. Citavano cent' altri autori che
hanno trattato dottrinalmente, o parlato incidentemente
n Pag. 123, m.
CAPITOLO XXXII. 525
Se fosse stato uno solo che connettesse cos, si dovrebbe
dire che aveva una testa curiosa ; o piuttosto non ci sa
rebbe ragion di parlarne; ma siccome eran molti, anzi
quasi tutti, cosi storia dello spirito umano, e d occasion
d'osservare quanto una serie ordinata e ragionevole d' idee
possa essere scompigliata da un' altra serie d' idee, che ci
,si getti a traverso. Del resto, quel Tadino era qui uno de
gli uomini pi riputati del suo tempo.
Due illustri e benemeriti scrittori hanno affermato che il
cardinal Federigo dubitasse del fatto dell' unzioni (1). Noi
vorremmo poter dare a queil' inclita e amabile memoria
una lode ancor pi intera, e rappresentare il buon prelato,
in questo, come in tant' altre cose, superiore alla pi parte
de' suoi contemporanei, ma siamo in vece costretti di notar
di nuovo in lui un esempio della forza d' un' opinione co
mune anche sulle menti pi nobili. S' visto, almeno da
quel che ne dice il Ripamonti, come da principio, vera
mente stesse indubbio: ritenne poi sempre che in quel-
l' opinione avesse gran parte la credulit, l' ignoranza^ la
paura, il desiderio di scusarsi d' aver cos tardi riconosciuto
il contagio, e pensato a mettervi riparo; che molto ci fosse
d' esagerato, ma insieme, che qualche cosa ci fosse di vero.
Nella biblioteca ambrosiana si conserva un'operetta scritta
di sua mano intorno a quella peste; e questo sentimento
c' accennato spesso, anzi una volta enunciato espressa
mente. Era opinion comune, dice a un di presso, che
di questi unguenti se ne componesse in vari luoghi, e che
molte fossero l' arti di metterlo in opera : delle quali al
cune ci paion vere, altre inventate. Ecco le sue parole :
Unguenta vero hcec aebant componi conficique rnulti-
fariam, fraudisque vias fuisse complures ; quarum sane
fraudum, et artium, aliis quidem assentimur , alias
vero fictas fuisse commentitiasque arbitramur (2).
Ci furon per di quelli che pensarono fino alla fine, e fin
(1) Muratori ; Del governo della peste; Modena, 17I4, pag. 117.
P. Verri; opuscolo citato, pag. 26I.
(2) ne Pestilentia, qua? Mediolani anno 1630 magnani slragem edidit.
526 I PROMESSI SPOSI
che visserov che tutto fosse immaginazione : e lo sappiamo,
non da loro, cb nessuno fu abbastanza ardito per esporre
al pubblico un sentimento cos opposto a quello del pub
blico ; lo sappiamo dagli scrittori che lo deridono o lo ri
prendono o lo ribattono, come un pregiudizio d' alcuni, un
errore che non s' attentava di venire a disputa palese, ma
che pur viveva ; lo sappiamo anche da chi ne aveva noti
zia per tradizione. Ho trovato gente savia in Milano,
dice il buon Muratori, nel luogo sopraccitato, che aveva
buone relazioni dai loro maggiori, e non era molto per-
suasa che osse vero il fatto di quegli unti velenosi. S
vede ch' era uno sfogo segreto della verit, una confidenza
domestica : il buon senso e' era ; ma se ne stava nascosto,
per paura del senso comune.
I magistrati, scemati ogni giorno, e sempre pi smarriti
e confusi, tutta, per dir cos, quella poca risoluzione di cui
eran capaci, l' impiegarono a cercar di questi untori. Tra le-
carte del tempo della peste,- che si conservano nell' archi
vio nominato di sopra, e una lettera (senza alcun altro
documento relativo) in cui il gran cancelliere informa, sul
serio e con gran premura, il governatore d' aver ricevuto
un avviso che, in una casa di campagna de' fratelli Giro
lamo e Giulio Monti, gentiluomini milanesi, si componeva
veleno in tanta quantit, che quaranta uomini erano occu
pati en este exercicio, con F assistenza di quattro cavalieri
bresciani, i quali facevano venir materiali dal veneziano,
para la fabrica del veneno. Soggiunge che lui aveva preso,
in gran segreto, i concerti necessari per mandar l il po
dest di Milano e l' auditore della Sanit, con trenta sol
dati di cavalleria; che pur troppo uno de' fratelli era stato
avvertito a tempo per poter trafugare gl' indizi del delitto,
e probabilmente dall' auditor medesimo, suo amico ;H e che
questo trovava delle scuse per non partire ; ma che non
ostante, il podest co' soldati era andato a reconocer la
casa, y a ver si hallard algunos vestigios, e prendere in
formazioni, e arrestar tutti quelli che fossero incolpati.
La cosa dov finire in nulla, giacch gli scritti del tempo
che parlano de' sospetti che c'eran su que' gentiluomini ,,
CAPITOLO XXXII. 527
non citano alcun fatto. Ma pur troppo, in un' altra occa
sione, si cred d' aver trovato.
I processi che ne vennero in conseguenza, non eran cer
tamente i primi d' un tal genere : e non si pu neppur con
siderarli come una rarit nella storia della giurisprudenza.
Ch, per tacere dell'antichit, e accennar solo qualcosa
de' tempi pi vicini a quello di cui trattiamo, in Palermo,
del 152(3; in Ginevra, del 1530, poi del 1545, poi ancora
del 1574; in Casal Monferrato, del 1536; in Padova, del
1555; in Torino, del. 1599, e di nuovo, in quel medesi-
m' anno 1630, furon processati e condannati a supplizi, per
lo pi atrocissimi, dove qualcheduno, dove molti infelici,
come rei d'aver propagata la peste, con polveri, o con
unguenti, o con malie, o con tutto ci insieme. Ma l' affare
delle cos dette unzioni di Milano, come fu il pi celebre,
cos fors' anche il pi osservabile; o, almeno, c' pi
campo di farci sopra osservazione, per esserne rimasti
documenti pi circostanziati e pi autentici. E quantun
que uno scrittore lodato poco sopra se ne sia occupato,
pure, essendosi lui proposto, non tanto di farne propria
mente la storia, quanto di cavarne sussidio di ragioni, per
un assunto di maggiore, o certo di pi immediata impor
tanza, c' parso che la storia potesse esser materia d' un
nuovo lavoro. Ma non cosa da uscirne con poche parole ;
e non qui il luogo di trattarla con l' estensione che me
rita. E oltre di ci, dopo essersi fermato su que' casi, il
lettore non si curerebbe pi certamente di conoscere ci
che rimane del nostro racconto. Serbando per a un al
tro scritto la storia e l' esame di quelli, torneremo final
mente a' nostri personaggi , per non lasciarli pi , fino
alla fine.
CAPITOLO XXXIII.
capitolo xxxrv. .
CAPITOLO XXXV.
CAPITOLO XXXVI.
CAPITOLO XXXVII.
CAPITOLO XXXVIII.
FINE.
1
ri