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vivere con Dio, di agire per amor suo". Le definizioni teologiche sono pi estese, dovendo rispondere
alle incomprensioni e difficolt sollevate dalla mentalit e cultura di ogni tempo. I teologi, quindi, la
presentano in questi termini: la grazia l'amore di Dio che si rivolge all'uomo in maniera gratuita,
inattesa, incomprensibile e lo conduce alla salvezza nella comunione con Lui, mostrando che la
resistenza a Lui una prigionia dell'uomo in se stesso (alienazione), che pu essere vinta solo da un
intervento liberatore.
Questa descrizione intende dire che: a) la grazia non solo l'amore di Dio, ma Dio stesso, poich
Dio amore (1Gv 4,8); b) la grazia di Dio che si rivolge all'uomo un atto libero dell'infinita bont
divina; c) essa piena gratuit e puro dono; d) essa del tutto inattesa perch dipende solo dalla libera
iniziativa di Dio verso l'uomo peccatore; e) il suo mistero o incomprensibilit dipende dal fatto che
nessuna creatura pu "comprendere" l'immensa bont, amore e benevolenza di Dio, n le forme con
cui la realizza e manifesta (come l'incarnazione, sofferenza, umiliazione, passione e morte del Figlio);
f) il dono con cui Dio salva consiste nella comunione personale di vita con Lui e nel dono di poterlo
conoscere e amare senza limiti; g) Dio vince il peccato, il rifiuto e la chiusura dell'uomo, non con la
violenza, ma liberando e rinnovando interiormente il peccatore, mediante la sua bont, perdono e
amore incondizionato4. Il Signore libera pure l'uomo dall'illusione di poter decidere del senso della
propria vita, fidando solo nel proprio potere. Tale illusione non solo vana e inutile, ma sprofonda la
persona nell'assurdo, l'alienazione totale, il fallimento e la prigionia di s. Questa ricchezza e
profondit del rapporto fra Dio e l'uomo spiega la difficolt di ogni tentativo di definire il termine
grazia. La stupefacente ricchezza di significati concentrati in questa parola spiega pure le ragioni per
cui essa sia divenuta un tema centrale nella Rivelazione, la fede, la vita cristiana e la teologia.
Spiega pure gli ostacoli che la chiesa ha dovuto superare e le difficolt che ha dovuto affrontare per
assicurarne i giusti contenuti e la corretta comprensione teologica. Spiega infine perch, coinvolgendo
quasi tutti i differenti trattati teologici, possa venire sviluppata secondo prospettive molto diverse,
anche se complementari, e venire collocata in settori che vanno dalla teologia sistematica
(antropologia teologica), a quella dei sacramenti, fino alla teologia morale e spirituale. Le definizioni
sopra riportate mostrano pure le ragioni che hanno reso il XX secolo un altro importante momento di
riflessione e comprensione della grazia. In esso si sono approfondite le dimensioni interiori,
individuali e inesperibili su cui si concentravano le precedenti esposizioni, assieme all'attenzione alle
sue dimensioni esterne, comunitarie, sociali e alle sue mediazioni ed esperibilit esterne. Questo
arricchimento si deve, soprattutto, a due fattori: l'accresciuta sensibilit alle tematiche sociali, nel
secolo XIX e XX; il concludersi di alcune idee tipiche della modernit. Ci esige che un discorso
contemporaneo sulla grazia, in Occidente, tenga conto che l'uomo si abituato a ritenersi obbligato
solo a se stesso, a non aspettarsi alcun dono o benevolenza, a ritenere tutto come dovutogli, a contare
solo sulle proprie capacit e realizzazioni, ad attribuirsi il diritto esclusivo di negare o affermare sensi,
valori e significati, in breve, a imporre esclusivamente la sua volont di autonomia assoluta5.
Tali idee e atteggiamenti, di matrice ideologica tecnicista e scientista, bench arretrate e confutate,
condizionano ancora larghe parti della cultura attuale. Esse contrastano radicalmente con la capacit di
pensare la vita come grazia o dono di Dio. Il dono di s generoso e gratuito, che Dio ha attuato in
Cristo diviene, pertanto, un'esigenza specifica dell'evangelizzazione, della catechesi e del dialogo
interculturale del XXI secolo. D'altra parte egualmente necessario non attenuarne la portata mistica,
soprannaturale e religiosa del tema, essenziale per il dialogo interreligioso.
gratuito, avvengono in prospettiva trinitaria, elevando l'uomo all'esistenza della Trinit e aprendolo al
rapporto con ognuna delle persone divine. Questa vita trascendente e divina si attua in una comunione
solidale che ne fonda l'aspetto comunitario o ecclesiale. Appartenere a Cristo, quindi, significa entrare
nell'ambito della intersoggettivit centrata in lui, ossia appartenere alla sua Chiesa. Le persone divine
che si donano e comunicano a noi costituiscono la grazia increata. L'effettiva trasformazione che
provocano nel nostro essere costituisce la grazia creata. Esse indicano la necessit di armonizzare
sempre i seguenti aspetti: appartenenza al mondo della trascendenza divina; partecipazione alla
figliolanza di Dio in Cristo; liberazione dalla schiavit del peccato; vita di autentica libert nel
rapporto con Cristo, liberatore dal peccato e salvatore universale6.
Tale armonizzazione possibile se valorizziamo due elementi da tenere sempre uniti nei diversi
approfondimenti e sistemazioni teologiche. Il primo la grazia interiore, ossia l'aspetto invisibile e
incalcolabile dell'amore divino che opera in noi. Il secondo la grazia esteriore, che riguarda le
mediazioni simboliche, sociali, politiche e le strutture del mondo, attraverso le quali anche la grazia
pu passare. Essi vanno tenuti presente, poich consentono di vedere la grazia come nucleo intimo e
compendio dell'intera realt evangelica. La loro duplice dimensione costituisce un punto chiave della
riflessione teologica, perch esplicita, approfondisce ed esprime maggiormente la ricchezza della
grazia. Un altro elemento imprescindibile la necessit di una stretta cooperazione fra la sovrana
libert e gratuit del dono di Dio e la libert, sostenuta dallo Spirito, della risposta umana. Anche a
questo riguardo la teologia della grazia deve affrontare le difficolt e i problemi sollevati dalla
mentalit moderna e contemporanea. Essi derivano dal mancato riconoscimento dei limiti delle
capacit umane e dal rifiuto dell'umilt che il messaggio dell'umiliazione, passione e morte in croce di
Cristo comporta ed esige riguardo alla fede cristiana.
Di fronte ad esse la dottrina della grazia deve: a) sottolineare la storicit della grazia divina sia nel
suo accadere nell'evento di Cristo, che nel suo comunicarsi nell'evento della chiesa; b) approfondire la
grazia esteriore, ossia ci che la fede scopre e identifica negli avvenimenti terreni, storici e sociali e
afferra come offerte dell'amore divino; c) esprimere il paradosso evangelico della croce, ossia delle
umiliazioni, sofferenze e contraddizioni della vita quotidiana, che riducono al silenzio le pretese
immanenti e le illusioni intramondane. Cos intesa, la grazia indica la vera apertura attuale alla vita
eterna7. Un'altra esigenza sempre pi urgente l'incontro e dialogo della fede con le antiche tradizioni
religiose o le nuove forme emergenti. La prospettiva della grazia non pu trascurare il fatto che in
alcune di esse, sia pure in forme estremamente diverse e imperfette, si possano trovare diverse istanze
salvifiche quali: a) aspirazioni a incontrare Dio; b) desideri d'entrare in comunicazione, dialogo e
comunione con lui; c) ricerca di un soccorso alla propria insufficienza, solitudine, limite e finitezza.
Ovviamente, ogni religione condizionata dalla propria concezione di Dio. Visioni cosmo-vitalistiche,
monistiche, panteistiche di un dio impersonale, non distinto dal mondo, non consentono uno sviluppo
adeguato delle predette istanze. Vi sono, tuttavia, forme religiose che esprimono aspetti pi elevati.
Nell'induismo la Bhakti sottolinea l'amore, abbandono in Dio e unione del cuore con il Signore
supremo. Essa risponde al bisogno di condivisione, amore, fede e visione, che l'uomo prova verso il
divino. Essendo molto ricca di significato, stata tradotta con vari termini: partecipazione amorosa,
amore/fede, devozione, dedizione, attaccamento, affetto, fervore, fedelt, adorazione. Ci perch essa
riguarda quello spazio in cui l'uomo si riconosce come partecipe del divino. Nella sua forma classica,
ossia il Bhagavadgita, il testo ind che maggiormente promuove l'azione e la devozione, la bhakti, sul
piano della conoscenza, mantiene la trascendenza del divino; su quello della rappresentazione,
risponde al desiderio di vedere; su quello dell'attivit e dell'affettivit, mobilita le forze dell'uomo e le
focalizza sul suo oggetto8. Pure la mistica musulmana del Sufi vede Dio come polo di tutta la vita, al
quale si accede per la via del puro amore, vertice della vita spirituale9. Anche in alcune religioni
primitive Dio avvertito come un "tu" che si china su noi per grazia e con amore. Questi casi, tuttavia,
offrono solo accenni a una comunione, non sempre scevra da forme di tipo naturalistico, cosmico e
vitalistico. Solo nella Rivelazione e fede biblico-cristiana, il pieno spazio alla comunione
soprannaturale e interpersonale pu fare superare tali limiti10.
Anche a questo proposito, quindi, il tema della grazia si rivela di particolare importanza,
sottolineando il dono assolutamente libero e gratuito di s che, in Cristo, Dio fa all'uomo, perch
questi lo accolga nella fede, trasformando tutta la sua vita. in questo contesto che le prospettive e le
conseguenze della grazia investono globalmente tutti i temi teologici: rapporto fra vita trinitaria e
universo (creazione, protologia); rapporto fra Dio e uomo peccatore e redento (antropologia teologica,
3
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M. Delahoutre, "Bhakti", GDR, 212-213; "Bhagavadgita", ibid., 211; G.R. Franci (a cura), La Bhakti.
L'amore di Dio nell'induismo, Cuneo 1970.
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valore assoluto e amarlo e servirlo al di sopra di ogni altra cosa. Evidenzi che la grazia illumina
l'intelligenza, fortifica la volont e sostiene tutta la persona.
Contro protestanti e giansenisti ribad che l'uomo, nonostante tutte le difficolt incontrate dopo il
peccato originale (forza della concupiscenza, indebolimento della libert, impossibilit di evitare tutti i
peccati personali ecc.), sotto l'influsso della grazia soprannaturale di Cristo e in forza di essa, pu
orientarsi veramente a Dio e al bene e compiere atti moralmente buoni. La libert umana, infatti, non
stata totalmente distrutta, ma soltanto profondamente ferita, dal peccato originale.
Spirito Santo, che ci guarisce e santifica, per cui in noi la sorgente dell'opera di santificazione (n.
1999). La grazia santificante viene pure detta grazia abituale, perch dono stabile e permanente,
come disposizione soprannaturale ad agire secondo gli inviti della volont divina. Ci la distingue
dalle grazie attuali, che sono gli interventi mediante i quali il Signore continua ad operare in noi, sia
all'inizio della conversione, che in tutto il corso della sua opera di santificazione (n. 2000). Il
Catechismo distingue pure le grazie sacramentali, come doni particolari e specifici dei singoli
sacramenti e le grazie speciali, che si dividono in: carismi, o doni ordinati alla grazia santificante, a
servizio della carit che edifica la Chiesa, che hanno come fine il suo bene comune (n. 2003); grazie di
stato, che aiutano a esercitare le responsabilit inerenti sia alla vita cristiana che ai ministeri della
Chiesa (n. 2004).
2. Grazia e benedizione
Un altro termine molto significativo quello di "benedizione", gesto che spetta al padre e alimenta
la vita, la gioia e la pienezza di forza. Esso, riferito a Dio, indica molto di pi. Quella che Egli rivolge
a Israele, fa di questo popolo una benedizione destinata a tutte le nazioni (Gn 12,3), per consacrare
tutti gli uomini nella sua santit divina. La benedizione manifesta Dio come Padre, che plasma il
destino dei suoi figli (Is 45,10). La grazia diviene un amore paterno che crea dei figli. In pi, l'infinita
santit di Dio stabilisce, con coloro che ama, una promessa di vita santa e una costante vocazione alla
santit. Ci arricchisce di contenuti specifici l'idea dell'incontro personale, nel quale Dio posa
sull'uomo il suo sguardo, il suo sorriso e lo splendore del suo volto. In questo modo i termini e i
concetti che compongono la realt della "grazia" rivelano l'atteggiamento e il contenuto di una libera e
gratuita donazione personale di Dio al suo popolo. Lungo la storia della salvezza, Dio far risplendere
in molti modi il suo favore (hen) su Israele. Stringer un patto di alleanza fondato sulla fiducia e
fedelt (hesed) e risponder con inesauribile compassione e misericordia (rahamim) alle sue continue
infedelt. La grazia esprime, quindi, l'atteggiamento di benevolenza, fondato nell'essere stesso di Dio,
che si rivela all'uomo e lo porta a vivere nel clima della donazione e dell'amore divino. In questa
prospettiva possibile comprendere la serie di fatti che testimoniano concretamente tale grazia: patto
della promessa concluso con Abramo (Gn 15, 1-19); liberazione del popolo dalla schiavit d'Egitto (Es
3,7-8); guida, assistenza e protezione nel cammino alla terra promessa (Es 15,11-13); perdono
incessante delle sue colpe (Nm 14, 18-20); protezione, vita e fertilit (Sal 136, 1-9).
Appare chiaro che il patto d'alleanza e questi favori formano un tutt'uno (1Re 8,23; Dt 7,12). I
profeti ricordano che quest'amore e benevolenza, nonostante le peggiori infedelt d'Israele, non vengono
mai ritirati e che la grazia di Dio non abbandona mai il suo popolo (Is 54,10). Questo, consapevole di ci
8
(Sal 89,29; 106,45), nella sua preghiera chiede al Signore di ricordarsi sempre delle sue misericordie "che
sono dai tempi dei tempi" (Sal 25,6) e di liberarlo definitivamente da ogni timore e affanno. La stessa
preghiera invita ad attendere con ferma fiducia l'opera di Dio, perch "nel Signore la grazia" (Sal
130,7). Tenendo conto di tutti questi aspetti, si pu dire che la grazia esprime la benedizione amorosa,
del Dio pieno di benevolenza, misericordia e perdono. Questo suo essere ed atteggiarsi richiamano
l'uomo ad aver fiducia nel gratuito dono di s, che Dio attua liberamente verso il suo popolo prima, e poi
verso tutta l'umanit. Devono, quindi, credere e sperare nelle sue promesse. La base di tutto ci la sua
incondizionata fedelt alla sua alleanza, che non verr mai ritirata, e alla sua parola, che non verr mai
meno 4.
3. Grazia e alleanza
L'Antico Testamento mostra, dunque, che la grazia non una realt isolata o a s stante, ma
strettamente collegata a molte altre: l'alleanza, l'elezione e la giustificazione. Il tema dell'alleanza, in
ebraico berit, egualmente fondamentale. Nel Medio Oriente antico, a livello sociale e culturale,
indicava l'accordo vigente fra i diversi clan di quei popoli orientali, al fine di evitare scontri e garantire
pace e buoni rapporti vicendevoli, anche l dove non giungevano i vincoli della consanguineit. Ci si
premurava, pertanto, di conferirgli un carattere e valore sacro, mediante i giuramenti e i riti (sacrificio
di un animale e pasto in comune) che lo contrassegnavano. Storia e letteratura del popolo ebraico
ruotano attorno all'idea dell'alleanza stretta da Dio con Israele. In effetti, si pu riconoscere gi una
prima alleanza "noaica" stretta da Dio con No, dopo il diluvio (Gn 9,9) che resta in vigore per tutto il
tempo delle nazioni (CCC nn. 56-58). Essa assume il carattere di una nuova creazione del genere
umano (Gn 9, 1-17). Vi sono poi le due alleanze con Abramo, la prima conclusa con un sacrificio
rituale (Gn 15), come sopra ricordato e la seconda con l'impegno della circoncisione, quale suo segno
(Gn 16-17). Vi poi quella pi solenne con tutto il popolo, ai piedi del Sinai (Es 19, Dt 5) e quella di
Sichem che, dopo la conquista della terra, rinnova il patto (Gs 24,1-28). La sostanza di essa che Dio
intende essere, in modo del tutto speciale, il Dio del suo popolo, rendendo Israele il suo popolo per
eccellenza (Es 6,7; Lv 26,12; Dt 29,12; Os 2,25), la sua nazione santa, il suo regno sacerdotale (Es
19,6) e la sua propriet (Es 19,5; Dt 7,6; 14,2; 26,19; Sal 135,4).
I profeti non smisero mai di sottolineare (Am 5,14; Os 6,7; Ger 11,1-8) che i benefici dell'alleanza
erano garantiti, se Israele rimaneva fedele al Signore (Dt 7,7). Israele, tuttavia, rifiut di rispondere a
Dio come un figlio e di consacrargli la vita e il cuore (Os 4,1; Is 1,4; Ger 9,4), ma fece scaturire le sue
iniquit come l'acqua da un pozzo (Ger 6,7; Ez 16; 20). I profeti, quindi, denunciarono le sue continue
infrazioni del patto (Is 24,5; Ger 11,10; Ez 44,7) e le loro tragiche conseguenze. Queste culminarono
nella distruzione d'Israele, di Giuda, di Gerusalemme, del tempio e nelle rispettive deportazioni e
schiavit. Dio, per, nella sua infinita misericordia, neppure allora abbandon il suo popolo, ma lo
purific, compiendo egli stesso ci che l'uomo era radicalmente incapace di fare. Con l'opera del suo
Spirito (Ez 36,27) preserv un piccolo resto con cui ricostruire un nuovo popolo (Am 3,12; 5,15; Is
10,20-22; 11,11; 28,5). Con esso avrebbe introdotto nel mondo la sua giustizia (Is 45,8; 51,6), avrebbe
trasformato Gerusalemme da citt corrotta in citt santa (Is 1, 21-26), avrebbe tratto dai cuori ostinati e
ribelli, dei cuori nuovi, capaci di conoscerlo (Os 2,21; Ger 31,31). Con tutto questo avrebbe attuato la
nuova alleanza definitiva, eterna (Ger 31,31-34; 32,38-40; Ez 16,6; 16,60; 34,25; 37,26; Is 42,6; 49,8;
53,3; 55,3; 59,21; 61,8; Ml 3,1), universale (Is 49,6) interiore, incisa nei cuori (Os 2,21; Ger 31,31; Ez
36,23-28)5.
4. Grazia ed elezione
L'alleanza descritta nella Scrittura appare la conseguenza dell'elezione del popolo da parte di Dio.
Egli stesso lo ha suscitato, lo ha scelto e ne ha fatto il suo alleato, rendendolo un popolo "a parte" (Nm
23,9). Elezione, quindi, significa suo possesso, unione, intimit, situazione di privilegio. Israele, il pi
piccolo di tutti i popoli, eletto con perfetta gratuit e sovrana libert (Dt 9,5; Gr 18, 2-6). La ragione
unica dell'elezione l'infinito amore di Dio e la sua incrollabile fedelt alle sue promesse (Dt 4, 37;
7,8; 10,15). Essa, tuttavia, non fine a se stessa, ma finalizzata alla missione, nel piano di salvezza
che, da sempre, Dio ha voluto per tutta l'umanit. questo piano che impone obblighi morali e
spirituali, precisi e rigorosi, da adempiere fedelmente. Per questo i peccati, soprattutto l'infedelt dei
singoli e del popolo, sono un tradimento particolarmente grave. L'infinita misericordia del Signore,
9
tuttavia, li perdona, purch il peccatore riconosca le proprie colpe (Gr 14,20), sia spiaciuto per averlo
offeso (Sal 51,19; Is 57,15) e si impegni con tutte le sue forze nella via della conversione,
abbandonando le vie del male (Gr 3,14; Ez 18,30-32; 33,11-16). Questa realt viene pure indicata
come giustificazione.
monarchia, i re sono gli eletti (bahar) di Dio. Rimangono tali pure quando deve rifiutarli e sostituirli,
perch non hanno corrisposto alla missione loro affidata. I salmi 89 e 132 indicano Davide e il suo
casato come eletti per sempre. L'elezione rimane, anche se Dio respinge un determinato "unto" per i
suoi misfatti. Eletto (bahr) diviene ora Israele, la cui grandezza non causa, ma effetto dell'elezione
gratuita di Dio, al quale deve sempre obbedire, come popolo "consacrato", "santo", "particolarmente
suo" (Dt 7,5; 14,2; Es 19,5-6). Ci confermato con l'elezione di Sion/Gerusalemme, destinata a un
solo culto, in un solo tempio, con un solo sacerdozio, cos come c' un solo Dio e una sola elezione.
DTBD, 519.
B. G. Boschi, Esodo, in La Bibbia, (Nuovissima versione dai testi originali), Cinisello Balsamo, 1991, I,
300.
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1. Giustizia e giustificazione
Il termine "giustificazione" ha assunto un notevole significato riguardo al tema della grazia,
soprattutto col sorgere del cristianesimo riformato. Il suo problema, tuttavia, sorto come aspetto
soggettivo della redenzione, riguardo alla sua appropriazione da parte del singolo. Nella Scrittura,
tuttavia, il termine reperibile solo quello di giustizia. La Bibbia ebraica, inoltre, ignora il suo
significato greco di conformit a una norma astratta e impersonale1. Essa, infatti presenta il termine
sedaqah che, sebbene tradotto con "giustizia", presenta un significato fondamentale profondamente
diverso da quello inteso dalle lingue moderne e dal linguaggio comune. Nell'Antico Testamento,
infatti, non si collega all'ordine giuridico o al rispetto delle leggi. Non si limita neppure al pi ampio
senso etico-morale, che indica il rispetto delle esigenze e dei diritti altrui, n al senso religioso, che
indica rettitudine, perfezione, santit ecc. Ad esempio, le sedaqot (giustizie) magnificate nel canto di
Debora (Gdc 5,11) non sono azioni giudiziarie, ma azioni salvifiche di Dio, che nella guerra ha agito a
favore e in soccorso del suo popolo. Questo significato non tardivo, n si limita a questo caso. Anche
nelle profezie pre-esiliche nel loro insieme, infatti, tale famiglia di vocaboli non viene usata per
designare un rapporto dell'uomo verso una norma legale, ma riguarda il Dio del patto, che sempre
fedele alla sua comunit. Probit del popolo e dono di salvezza di Dio formano un tutt'uno. Di
conseguenza, il termine giustizia, riferito all'uomo, indica l'osservanza integrale di tutti i
comandamenti di Dio, mentre riferito alla comunit indica un atteggiamento leale, fedele, costruttivo e
solidale nei suoi confronti.
Riguardo a Dio, invece, indica il suo essere e agire di perfetta integrit, assoluta santit e
perfezione. Si manifesta, quindi, nell'ordine e armonia che egli fa splendere nella creazione, nella forza
meravigliosa e nella delicatezza con cui regge e governa l'universo, infine e soprattutto, nella
misericordia e volont di salvezza, che ispirano i suoi rapporti con l'uomo. La reale giustizia divina
appare nei suoi gesti salvifici e con essi viene identificata. La giustizia di Dio, quindi, viene intesa
nella prospettiva della misericordia. Per questo, creazione, sovranit divina e sedaqah vengono
accostate strettamente nei salmi (5,9; 17,15; 22,32; 31,2; 33,5; 51,16; 71,2; 103,7; 119,40; 143, 1. 11),
di modo che quelli che celebrano la giustizia di Dio, insistono nel sottolinearne la bont e clemenza
(Sal 7,18; 9,5; 96,13; 116,5; 129,3)2. Ci si addice bene al contesto semitico, in cui la giustizia non
tanto l'atteggiamento passivo volto ad applicare imparzialmente la legge, ma l'impegno attivo del
giudice volto a tutelare, con un giudizio favorevole, il pi debole, perseguitato e posto in difficolt (Gr
9,23; 11,20; 23,6). In tale contesto, di conseguenza, non vi alcuna opposizione fra misericordia e
giustizia. Nel Deuteroisaia il concetto di sedeq/sedaqah si tramuta in un elemento che abbraccia
l'intera azione divina della salvezza3.
L'Antico Testamento applica anche all'uomo un concetto di giustizia scevro di ogni legalismo.
Giustizia soprattutto la fede, intesa come mezzo indispensabile per piacere a Dio. Ci appare
chiaramente in Abramo, che credette a Dio, in altri termini si affid fiduciosamente alla promessa di
Dio, che glielo accredit a giustizia (Gn 15,6). Il suo credere significa rinunciare a cercare in se stesso
appoggi e sicurezze, affidandosi totalmente al Signore. La sua giustizia, quindi, fu un atteggiamento di
disponibilit alla comunione con lui. Abramo giusto perch si apre alla comunione con Dio, che si
ripercuote pure sulla comunione con gli uomini. Egli instaura il giusto rapporto con Dio, non per
mezzo di un'azione legale o cultuale, ma perch crede e si affida alla fedelt di Dio o, meglio ancora,
al Dio fedele. I giusti, che il Signore cercava in Sodoma e Gomorra, erano persone solidali con tutte le
altre, che rinunciassero alla violenza. La giustizia, che il Signore esigeva dai re, doveva consentire al
popolo d'Israele una condotta leale, fedele e solidale, confacente ai generosi doni divini ricevuti. Le
prescrizioni e i decreti che Dio diede al suo popolo, erano giusti (Dt 4,8) perch garantivano la pace e
la giustizia se venivano osservati.
Poich tutto ci era grazia di Dio e non merito o conquista d'Israele, la comunione con Dio, la
fedelt alla sua legge e la fedelt alla comunit esigevano la grazia divina. Fede e giustizia, infatti,
sono correlative: giusto colui che crede. Questo concetto ritorna con numerose sfumature nelle
diverse situazioni ed epoche storiche. Negli ultimi libri dell'Antico Testamento si aggiunse, poi, un
ulteriore aspetto: la giustizia sapienza messa in pratica. L'influsso greco si mostra gi in Sap 8,7, ove
dikaiosyne unisce alla giustizia in senso stretto, le altre virt cardinali: la prudenza, fortezza e
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temperanza. Sul termine dikaiosyne nella LXX vi stato un acceso dibattito, per accertare quale fosse
il suo senso genuino: quello greco o quello semitico/biblico? Poich il termine venne usato pure per
tradurre altri termini oltre a sdq, quali 'emet, mispat, hesed prevalsa l'idea che esso abbia mantenuto
il genuino significato biblico relativo alla salvezza4. In altri testi tardivi, giustizia l'elemosina (Si
3,30; Tb 12,8; 14,9), come compassione misericordiosa che diviene carit. in Isaia 40-66, tuttavia,
che la "giustizia di Dio" assume la portata pi ampia, che anticipa il grande tema paolino. Essa indica
sia la salvezza del popolo deportato e prigioniero, che la misericordia e fedelt divina. Tale dono, oltre
la liberazione, comporta il conferimento di beni celesti, come la pace e la gloria, a un popolo il cui
merito solo quello di essere stato eletto da Dio (Is 45,22; 46,12; 51,1; 54,17; 56,1; 59,9). Giustificato
significa glorificato (45,25). La giustizia di Dio la manifestazione della sua misericordia e la
realizzazione, come grazia e dono, delle sue promesse5.
Riassumendo i tratti fondamentali presenti nel termine ebraico sedeq/sedaqah, si pu dire che esso:
1) non appartiene ad alcuna categoria forense, di diritto o altro, ma abbraccia l'intero ambito di vita
degli israeliti, nei rapporti con Dio e col prossimo e pu essere spiegato meglio con le categorie
cultuali anzich giuridiche; 2) indica il concetto di un rapporto che pu essere giustamente inteso
come "patto" e tradotto come "fedelt di comunit". Come, in conformit al patto, la giustizia di Dio si
manifesta nella sua fedelt d'amore, cos il comportamento secondo giustizia, richiesto agli uomini,
la fedelt di tutta la comunit allo stesso patto. Il termine sedeq/sedaqah, quindi, esprime due valori o
significati in stretto e contemporaneo collegamento: la salvezza e il comportamento fedele secondo la
giustizia. Ci rende inseparabile la sedaqah umana da quella divina, perch la sedeq non nell'uomo,
ma l'uomo nella sedeq. Per la grazia l'uomo si trova accolto nella sedeq, divina salvezza, e quindi
impegnato anche a vivere secondo essa, come comportamento conforme alla giustizia6. interessante
notare che occasionalmente per tradurre sedeq furono usati pure termini come dikaioma, eleos e
elemosyne (Dt 6,25; 2Sm 19,25; Sal 23,5).
Le difficolt d'interpretazione s'incontrano pure nell'uso rabbinico, che mostra la stessa duplice
tendenza. Da un lato la sedaqah viene interpretata in modo estremamente riduttivo e unilaterale come
elemosina, beneficenza, opera buona, divenendo un termine quasi tecnico in questo senso. Dall'altro
essa ancora l'essenza di un comportamento gradito a Dio e viene intesa come comando, solo a partire
dalle esigenze del patto con Dio, insite in essa7. Il Nuovo Testamento, e in particolare i vangeli,
mostrano alcuni dei tratti essenziali del modo tradizionale d'intendere la giustizia nell'Antico
Testamento. Dikaios vi indica l'uomo onesto, pio e timorato di Dio, che vive secondo la volont e i
comandamenti divini, per cui giusto (Lc 2,25; 23,50) come erano giusti nell'adempimento degli
ordinamenti divini i patriarchi (Mt 23,35) e i profeti (Mt 13,17; 23,29).
Dio secondo le esigenze della sua infinita giustizia o santit. Era l'atteggiamento che Paolo
giustamente defin come perversione essenziale, ossia il "diritto di gloriarsi davanti a Dio" (Rm3,27).
Esso fa dimenticare all'uomo che la fedele osservanza della Legge essa stessa opera di Dio,
realizzazione della sua grazia e della sua Parola8. La giustizia, quindi, grazia di Dio, non conquista
d'Israele, dono divino estremamente generoso e non conquista umana. Il possesso della terra era il
segno e simbolo di tale azione divina. Dio lo aveva dato gratuitamente al suo popolo, perch fedele
alle promesse che aveva fatto ai loro padri. Dio si rivolgeva al popolo peccatore e lo rendeva giusto,
gli dava la giustizia donandogli la terra. Israele, quindi, giustificato da Dio per pura grazia, per cui
deve attuare al suo interno la stessa compassione, misericordia, fedelt comunitaria verso tutti i poveri,
umili e sofferenti (Am 2,6; 5,7. 12. 24; 6,12). Tale giustizia, che dono divino, la condizione per la
comunione con Dio, la pace e la prosperit anche economica, politica e sociale. Israele e
Gerusalemme, divenuti corrotti, saranno resi giusti dall'intervento risanatore di Dio (Is 1, 21-27).
Poich la giustizia viene da Dio solo, il popolo deve convertirsi a lui, ossia aprirsi a lui e accoglierne il
dono cambiando vita.
Nei profeti la giustificazione il piano e l'azione salvifica di Dio, per tutti coloro che sono lontani
dalla giustizia (Is 46,12). Nei Salmi essa equivale a quello che Dio realizza per l'uomo, nell'ambito sia
personale che comunitario (Sal 9,9; 96,13; 98,9). La proclamazione che sovente troviamo in essi, di
"essere giusto", va interpretata come volont di accogliere la giustizia divina, per cui giusto sinonimo
di credente (Sal 1,5-6; 32,11; 331,1). La letteratura sapienziale tende a identificare la giustizia con la
sapienza. Gli sforzi dell'uomo per capire la realt, il mondo e la storia sono vani, perch il senso di
tutto ci gli sfugge e solo Dio lo conosce. L'uomo deve imparare ad affidarsi a Dio e a ricevere da lui
tutto quello che gli d (Qohelet). Il libro della Sapienza potrebbe riassumersi nella frase che
"conoscere Dio perfetta giustizia e riconoscere la sua potenza radice d'immortalit" (15,3). La
sapienza d la giustizia e questa conferisce la vita immortale e beata. L'ingiustizia la forza al servizio
dell'egoismo, mentre la giustizia l'amore al servizio della vita. Poich in Dio la giustizia la potenza
del suo amore, che salva perdonando, la giustizia dell'uomo non pu essere che amore e perdono
reciproco 9.
1
15
1. Termini e concetti
I vocaboli della radice greca char sono numerosi: charis = favore, benevolenza, ringraziamento,
ricompensa; chrisma = dono dato per benevolenza; charixomai = fare un dono gratuito, un favore,
perdonare; charitoo = colmare di grazia, rendere amabile. Il Nuovo Testamento usa 155 volte il
termine charis, di cui 100 volte in S. Paolo. In Ges il concetto di grazia esprime l'amoroso chinarsi
sui poveri, malati, disperati, perduti (Mt 11,5.28; Mc 10,26; Lc 15), il perdono senza limiti dei peccati
(Mt 18,21-34), la ricompensa nel Regno (Mt 20,1-16) il dono della vita nuova (Lc 13,6-8; 7,35-50;
19,9). In Luca il termine indica il favore e compiacimento di Dio (1,30;2,40). Il saluto dell'Angelo nei
confronti di Maria, checharitomene (Lc 1,28) piena di grazia, o meglio "ricolmata di grazia", ha una
forza e un senso del tutto speciali, relativi alla sua missione e posizione nella storia della salvezza.
Negli Atti degli Apostoli, charis indica la forza che proviene da Dio o dal Cristo glorioso e
accompagna l'attivit degli apostoli, dando successo alla missione (At 6,8; 11,23; 14,26; 15,40; 18,27).
Ges annunzia il vangelo e proclama il regno di Dio, che si compir alla fine dei tempi col suo ritorno
glorioso in cui manifester la sua giustizia. Esige, quindi, la trasformazione interiore (Lc 17,20; Mt
20,28; Mc 8,31-33) che stabilisce una particolare relazione con Cristo.
La metanoia, che provoca in noi, ci fa staccare da tutto e tutti: denaro e beni (Mt 6,19-21; Mc
10,17-27); diritti e onori (Mt 5,39-41; Mc 10,42-44); genitori, famiglia e parenti (Lc 14,26; Mt 10,3439), per farci piccoli e poveri (Mt 5,3: 18,3-4) e renderci capaci di fare sempre e in tutto la volont del
Padre (Mc 3,35; Mt 7,21). Nel vangelo di Giovanni i beni portati da Cristo: vita, luce, spirito, ecc.,
sono tutti doni della sua grazia1. Per Paolo charis la sostanza dell'azione salvifica di Dio in Ges
Cristo e di tutte le conseguenze della sua attualizzazione. La parola grazia, oltre a indicare l'origine
della salvezza, nella scelta libera di Dio, esprime anche che la salvezza solo grazia, perch Dio ha
scelto di giustificare e salvare per grazia. Tale volont non astratta, ma si manifestata in Cristo e
pone il cristiano in comunione con Dio. Grazia , quindi, la comunione con Dio in Cristo, ma anche la
forza interiore che Cristo opera in noi, perch possiamo vincere il peccato e aprirci all'amore stesso di
Dio. Indica, dunque, sia la gratuita volont salvifica di Dio in Cristo, sia la realt della salvezza
donataci in Cristo, sia l'azione salvifica di Dio, con e per mezzo degli uomini.
La parola charis non appare mai pronunciata da Ges, mentre nell'epistolario paolino, come si
detto, ricorre 100 volte, contro le rimanenti 55 del Nuovo Testamento. Segna, quindi, il passaggio dalla
"predicazione di Ges al Cristo predicato" e sottolinea il problema fondamentale della cristologia
moderna2. Il termine esprime la sua continuit con l'Antico Testamento, compendiando la sollecitudine
salvifica di Dio verso l'uomo, dalla quale derivano tutti i doni. In questa prospettiva, la grazia non
pi soltanto uno dei temi della teologia, insieme agli altri, ma il tema, esprimendo la nuova situazione
annunciata dal vangelo, dell'uomo davanti a Dio e con Dio. Sotto quest'aspetto riguarda ogni singolo
tema della teologia. Divenne, infatti, un tema o trattato teologico specifico, non tanto in seguito alle
accentuazioni individualiste della modernit, ma piuttosto per l'accentuazione personalizzante di
Paolo, che sta alle sue radici. Tale personalizzazione non arbitraria, poich esprime una necessit
intrinseca alla realt stessa della grazia, che coinvolge pure il suo complesso e difficile rapporto fra
16
volont divina e libert umana. Il Dono della grazia e della fede, infatti, avvengono in conformit con
l'elezione, la giustificazione e la predestinazione.
(Rm 15,125; Fil 2,12). Essa, soprattutto, nascita alla nuova esistenza (Gv 3,3) dello Spirito che vive
nei figli di Dio (Rm 8,14-17). Il cristiano "chiamato" (Gal 1,6) e "stabilito" (Rm 5,2) nella grazia,
"vive sotto il suo regno" (5,21; 6,14), la vita nuova con Cristo Risorto (6,4.8.11.13). Paolo e Giovanni
concordano pienamente nel mostrare la Grazia di Cristo come dono della vita (Gv 5,26; 6,33; 17,2),
sia di Cristo che dello Spirito Santo (Rm 6,14; 7,6). Per questo libera l'uomo dal peccato e gli porta
frutti di santificazione (6,22; 7,4). Lo Spirito, dono di Dio per eccellenza, attesta in noi che la grazia ci
fa veramente figli di Dio (At 8,20; 11,17; Rm 8,16). Questa la vera giustificazione operata dalla
grazia (Rm 3,23), che ci rende al cospetto di Dio quel che Egli vuole da noi: figli davanti al loro Padre
(Rm 8, 14-17; 1Gv 3,1). La gloria del cristiano sta nel non possedere nulla, ma di ricevere tutto, in
particolare la giustizia (giustificazione) solo per grazia, nella quale soltanto, l'uomo riesce ad essere
pienamente se stesso (Rm 4,2; 5,2; 2Co 12,9; Ef 1,6).
misteriosa e nascosta, che l'intenzione eterna di Dio, ossia il suo disegno di salvare l'umanit
mediante la morte di Cristo. Predestina gli uomini a essere conformi all'immagine di Cristo e divenire
membri della famiglia divina. Dio opera secondo questo disegno, predeterminato a lode della gloria
divina (Ef 1,6.11), mediante la grazia concessa liberamente (Rm 3,24) per salvare i peccatori (Rm
5,6.8). Lo realizza mediante la persona e l'opera di Cristo e l'annuncio del vangelo. In Dio non esiste
parzialit, perch la sua grazia e salvezza sono apparse a tutti gli uomini (Tt 2,11). Paolo annuncia
come Pietro che "Dio non vuole che alcuno perisca ma tutti abbiano modo di pentirsi" (2Pt 3,9),
perch Dio pieno d'amore e di grazia. il Padre, che ci ha donato il Signore Ges Cristo, a chiamare
tutti a s, per quanto peccatori. Ognuno, quindi, deve credere e sperare nella salvezza5.
19
e amicizia con Dio e Cristo. A questi concetti la teologia ne aggiunge altri che li precisano, come la
fruizione, la beatitudine e il gaudio.
1
H.H. Esser, "Grazia", DCBNT, 826-832; Tra le lettere cattoliche, le pi vicine a questi spunti di Paolo sono
1Pt ed Eb.
5
20
pi esse erano pure influenzate dallo scetticismo filosofico, dalle mentalit idolatre e pagane, da
superstizioni e idee sbagliate sugli di. Doveva, dunque, sottolineare le qualit di Dio a proposito
dell'elezione e predestinazione. Esse sono l'amore (Ef 1,4-5; 1Ts 1,4), la misericordia (Rm 9,16) la
grazia (Rm 11,5), la sapienza e scienza (Rm 11,33). Presenta, quindi, il Dio infinitamente amoroso e
misericordioso che, per grazia, elegge e con la sua sapienza predestina. Ci fa escludere in partenza
ogni timore di arbitrio. Dio, perci, concepisce e inserisce il suo piano di salvezza come parte e
strumento di attuazione del suo progetto di amore per l'umanit.
Elezione e predestinazione, quindi, non sono fine a se stessi, ma strumenti di quel progetto
elaborato dal profondo del suo amore e della sua eterna sapienza, che attua nel tempo e nella storia,
mediante la sua grazia. Paolo non entra nei dettagli e non sviluppa per esteso questo progetto o
disegno generale, che abbraccia tutto l'agire di Dio verso il creato e la storia. A lui interessa
considerarlo nella prospettiva della redenzione. Questa finalizzazione alla redenzione, fa s che Dio
faccia concorrere tutte le cose al bene di coloro che ama e lo amano (Rm 8,28) e li chiami, facendo
conoscere la sua multiforme sapienza attraverso la Chiesa (Ef 3,10). Tale disegno imperscrutabile
(1Co 2,16; Rm 11,33-35), ma Dio, che per mezzo dello Spirito Santo scruta le profondit divine (1Co
2,10-11), lo ha rivelato ai credenti (2,12), cos che abbiano gli stessi pensieri di Cristo (2,16). Dio,
quindi, in tutta la sua multiforme sapienza, manifesta il suo pensiero, volont, disegno, misteri divini
ed eterni, perch possano essere conosciuti mediante la Chiesa, corpo di Cristo (Ef 3,11).
Per esprimere l'elezione Paolo usa il verbo eklego, il sostantivo ekloge e l'aggettivo ekletos. Il
verbo, gi nella LXX, indica "scegliere", "scegliere per qualcuno" o "scegliere per s" (1Co 1,27; Ef
1,4). Non implica, tuttavia, il rigetto di chi non scelto, ma aggiunge una sfumatura di gentilezza,
favore e amore (1Co 1,27-28; Ef 1,4). Haireo assume invece il senso di scegliere, pi che di prendere
o mostrare una preferenza (2Ts 2,13; Fil 1,22). Il sostantivo ekloge significa "scelta" e "selezione".
Viene applicato in At 9,15, per dire che Paolo "un vaso di elezione" ed usato quattro volte nella
lettera ai Romani. In 9,11 riferito a Esa e Giacobbe e in 11,5-7 a un'elezione dei giudei credenti,
salvati dalle nazioni incredule. In 11,28 indica la scelta secondo l'alleanza e la promessa. In 1Ts 1,4
riguarda i singoli invitati alla gratitudine per la loro elezione. L'aggettivo ekletos significa "scelto" e
"selezionato" (Rm 8,33; 16,13; Col 3,12; 1Tm 5,21; 2Tm 2,10; Tt 1,1). I credenti furono scelti in
Cristo, prima dei tempi eterni (2Tm 1,9), prima della fondazione del mondo (Ef 1,4) per l'adozione (Ef
1,5), la conformit a Cristo (Rm 8,29), la salvezza dagli inganni dell'anticristo (2Ts 2,13) e la gloria
eterna (Rm 9,23). La fonte dell'elezione sempre la grazia divina e mai la volont umana (Ef 1,4; Rm
9,11; 11,5)2.
Questi termini sono applicati all'elezione sia degli angeli (1Tm 5,21), che delle persone in gruppo
(Rm 8,33; Ef 1,4; Col 3,12; 1Ts 1,4; 2Tm 2,10; Tt 1,1) o singole (Rm 16,13) e d'Israele. Riguardo alle
persone, Paolo mostra le ragioni per cui nulla pu separare da Dio gli eletti scelti, giustificati e
glorificati in Cristo (Rm 8,28-39). Lo scopo della predestinazione l'adozione nella famiglia divina
(Ef 1,3-5). Sommando i vari elementi, appare che l'elezione indica l'atto di amore col quale,
dall'eternit, Dio ha scelto, in Cristo, delle persone perch siano sante e senza colpa, adottandole
nella sua famiglia secondo un disegno che comprende la loro chiamata, giustificazione, santificazione
e glorificazione. Nessuno potr ostacolare questo piano che Dio porter certamente a compimento.
Quanto a Israele, la sua storia complessa un mistero che sar svelato solo nel futuro, quando tutto
Israele sar salvato (Rm 11,26). Per questo la sua elezione dura per sempre, anche se per ora viene
messo da parte.
noi, rivelandoci e facendoci partecipi del mistero trinitario. Egli ricorda come le tre Persone operano
nell'elezione: il Padre e la sua prescienza come causa; il Figlio e la sua redenzione come fine; lo
Spirito e la sua santificazione come strumento e modo (Ef 1,3-14; 1Ts 1,4-5; At 15,7-11.14). Dio,
quindi, non discrimina nessuno, n pagani, n ebrei, ma concede a tutti lo Spirito Santo (At 15,8-11).
Il termine "eletti di Dio" indica sia la sua scelta libera, gratuita e sovrana, che la nostra condizione
personale (Mc 13,20.27; Rm 8,33). Per quanto, invece, riguarda i vari popoli, va ricordato che
l'alleanza attuata con No e l'elezione d'Abramo furono una benedizione per tutte le nazioni.
In Ges, alleanza e benedizione sono portate a compimento per tutti. Gentili e Giudei sono
riconciliati (Ef 2,14) ed eletti per formare quell'unico popolo che Dio si acquistato (Ef 1,11.14).
L'elezione, quindi, abbraccia tutti. Il suo rifiuto, tuttavia, sempre tragicamente possibile, ma non
intacca l'universalit dell'elezione, perch essa non un atto magico, n una passiva accettazione.
Richiede, invece, un consenso positivo e una fede efficace (Gv 6,64; 13,11.15.17; 15,16). Se
necessario, l'eletto deve portare, faticosamente, con sofferenza e a prezzo della propria vita,
l'indispensabile testimonianza davanti a tutti. Il rifiuto riguarda, comunque, l'escatologia ossia gli
ultimi tempi. Per questa ragione non ricaduto sugli ebrei, che "quanto all'elezione, sono amati a
causa dei loro padri, perch i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili" (Rm 11,28-29)3. Rimangono
della massima importanza, dunque, i pochi ma incisivi testi che sottolineano l'elezione in Cristo fin
dall'eternit (2Ts 2,13; Ef 1,4; 1Ptt 1,1s.20; 1Co 2,7; 15,49; 2Co 8,18; Rm 8,14. 29; Gal 4,4; Fil 3,21).
Riassumendo questo aspetto, possiamo dire che i cristiani, grazie all'eterno amore di Dio, sin
dall'eternit, sono eletti in Cristo a essere figli santi e fedeli del Padre e lo divengono in Cristo, con
Cristo e per Cristo, come dice questa espressione dell'elezione che compendia tutta la salvezza4.
4. Giustizia e giustificazione
Come si accennato, l'Antico Testamento non parla di giustificazione, ma di giustizia di Dio e
dell'uomo. Il suo fondamento la fedelt a una relazione di comunione. Dio fedele al suo patto. Non
cos Israele, la cui osservanza della legge doveva consistere nel vivere personalmente e
comunitariamente la fede nella volont di Dio. Per questo il Nuovo Testamento sottolinea l'errore
fondamentale commesso da farisei e dottori della Legge nell'interpretare il significato e il ruolo
dell'antica Legge. Essi credevano che bastasse osservarla minuziosamente e integralmente, nella sua
lettera, per ritenersi "giustificati" davanti a Dio. Ritenevano, quindi, che l'uomo potesse attingere alle
proprie risorse per raggiungere Dio e presentarsi a Lui come esige e si attende da noi. Questo
atteggiamento e dottrina sono denunciati anche da Paolo come suprema perversione del "diritto di
gloriarsi davanti a Dio" (Rm 3,27). Essi nascevano dall'errore di dissociare la Legge dalle promesse
divine e dal dimenticare che l'osservanza, obbedienza e fedelt alla Legge pure essa opera di Dio e
attuazione della sua Parola. Vero e unico giusto davanti a Dio, quindi, soltanto Ges Cristo (At
3,14). Egli l'unico ad essere, davanti al Padre, quello che Egli esattamente si attende: il Servo
obbediente nel quale Egli pu compiacersi (Is 42,1; Mt 3,17). Egli solo comp fino in fondo ogni
giustizia (Mt 3,15), soffr e mor perch Dio fosse pienamente glorificato (Gv 17,1-4).
Egli mostr davanti a tutto il mondo che Dio, con tutta la sua grandezza, degno di ogni sacrificio
e merita di essere amato sopra ogni cosa (Gv 14,30). Nella sua morte, che alcuni videro come
riprovazione (Is 53,4; Mt 27,43-46), Ges trova, invece, la sua giustificazione. L'opera da lui compiuta
(Gv 16,10) riconosciuta dal Padre, che lo risuscita e "giustifica" nel pieno possesso dello Spirito
Santo (1Tm 3,16). La sua risurrezione ha per fine la nostra giustificazione (Rm 4,25). Ci che la
Legge non poteva assolutamente attuare, anzi escludeva categoricamente, ci stato dato dalla grazia
del Padre che, nella Redenzione di Cristo, ce ne ha fatto dono (Rm 3,23). Nel Figlio, che per la sua
obbedienza e giustizia ha meritato la giustificazione per tutti gli uomini, anche noi siamo divenuti
figli. In Ges Cristo Dio ci ha resi capaci: di avere l'atteggiamento giusto che Egli si attende da noi; di
trattarlo come merita; di rendergli la giustizia e gloria alla quale ha diritto. Questo significa essere
giustificati al suo cospetto. Dio, dunque, per pura gratuit, dona all'uomo la grazia di trovare, nel pi
profondo del suo essere, l'atteggiamento giusto da assumere verso di lui, come si addice realmente ai
suoi figli (Rm 8,14-17; 1Gv 3,1). Questa trasformazione interiore non qualcosa di magico, ma
l'opera divina nel profondo del nostro essere (pensieri, parole, opere), che ci libera dall'orgoglio e
amor proprio (Gv 7,18) e ci unisce a Cristo nella fede (Rm 3,28). Credendo in Cristo si diviene giusti e
si entra nel mistero di Dio. Credere significa riconoscere in lui l'inviato del Padre, accogliere le sue
parole, accettare di perdere tutto per il suo Regno. Guadagnare Cristo significa: ricevere da Lui la
23
giustizia che viene da Dio e si fonda nella fede (Fil 3,8); riconoscere l'amore di Dio per noi;
testimoniare che Egli il vero e unico amore (1Gv 4,16)5.
6. Visione riassuntiva
Riassumendo, si pu dire che tutto il Nuovo Testamento parla dell'azione salvifica di Dio, che
Paolo esprime ricorrendo al concetto di giustificazione. La grazia diviene allora la sintesi e l'essenza
dell'evento che dona la giustizia o giustificazione (Rm 3,23). Del resto, pure Paolo usa l'espressione
"opere della fede" (1Ts 1,3) che si pu correttamente tradurre "opere derivanti dalla fede". In Paolo, la
fede assume un'importanza unica perch richiede l'obbedienza (Rm 1,5) e l'attivit. I credenti sono
giustificati in base alla fede, che non deriva da meriti umani, ma dono della grazia di Dio, per sono
giudicati in base alle opere espresse dalla loro fede. Potremmo sintetizzare dicendo: i credenti sono
giustificati dalla fede e giudicati sui suoi frutti. Le opere sono, cos, la testimonianza viva e la
24
dimostrazione visibile di una fede viva, reale e giustificante che esclude la fede morta (Gc 2,14-24). In
questo modi i due aspetti della giustificazione espressi da Paolo e Giacomo si compongono e si
corrispondono9.
Poich tutti senza eccezione, giudei e pagani vivono sotto la schiavit del peccato, che inevitabile
perdizione (Rm 1,24-32; 3,4.10-18), la salvezza necessaria. Poich l'obbedienza alla legge non pu
procurarla, subentrata la potenza universale di Ges, la cui espiazione salva ogni credente dal
giudizio escatologico (Rm 3,22-26). Per questo, pretendere una propria giustizia basata sulle opere
della legge diventa peccato (Gal 4,8-10; 5,1; 6,12-15; Rm 8,15; 9,32; 10,2; Fil 3,7-11). Cristo la fine
della legge e insieme il fine di essa, perch mira al compimento della legge come volont di Dio, nella
legge dell'amore in cui operano e crescono i frutti dello Spirito Santo (Gal 5,22). Bench l'uomo abbia
sempre infranto l'alleanza, Dio l'ha sempre rispettata e mantenuta. Per questo giustifica l'uomo,
rendendolo giusto in base all'espiazione compiuta da Cristo, una volta per tutte, nella sua passione,
morte e risurrezione10.
1
"Choice, choose, chosen", EDOT 10101; "Elect, elected, election", Ib., 196.
10
25
dunque, la santit infinita di Dio e la santit parziale, relativa delle realt che dovevano manifestarla,
pur velandola. Particolarmente importante era la condizione d'Israele, separato dalle nazioni per essere
il popolo santo, sacerdotale, propriet divina. Dio gli mostrava il suo incomprensibile amore, vivendo
e camminando in mezzo ad esso (Es 33,12-17), manifestandosi a lui nella nube, nell'Arca, nel tempio o
nella sua gloria, che lo accompagnava pure nell'esilio (Ez 1,1-28). Questa presenza attiva conferiva al
popolo una dignit che lo obbligava a una santit morale. Per santificarlo, Dio gli comunicava la sua
Legge (Lv 22,31) che doveva preservarlo dalle abominazioni e degradazioni pagane. Questa la forza
che gli dava sicurezza (Is 41,14-20; 54, 1-5), speranza e lo rendeva invincibile (Is 60,9-14).
A questa scelta gratuita e generosa di Dio che lo voleva santo, Israele doveva corrispondere
santificandosi. Ci comprendeva vari aspetti. Doveva purificarsi prima di assistere alle teofanie o
partecipare agli atti di culto (Es 19,10-15). Dio, comunque, che gli conferiva la purit, mediante i
sacrifici (Lv 17,11) o purificandone il cuore (Sal 51). I profeti insistevano che ci che purifica
l'obbedienza a Dio, l'amore, la giustizia (Dt 6,4-9; Is 1,4-20), ossia la santit vissuta, la vita santa in
tutte le sue espressioni familiari, professionali, politiche, economiche, sociali ecc. (Lv 17-26),
l'affrontare le difficolt e sostenere le prove1. In tutto l'Antico Testamento infatti, il termine "santo" in
modo assoluto pu essere detto soltanto di Dio. La sua estensione alle altre realt: Israele, Sion,
tempio, culto frutto dell'amore divino e del mistero dell'alleanza, con cui Egli si comunica per la
salvezza del suo popolo. Quando Dio giura per la sua santit, giura per se stesso, perch la santit il
mistero pi intimo della sua essenza (Am 4,2; Ab 3,3). Per Osea tale santit il suo stesso amore, di
padre tenerissimo che insegna a camminare al suo figlioletto (11,1-4), o di sposo che perdona e
trasforma la sua sposa per vivere in comunione con lei (2,16. 21-25). La santit coincide con l'amore e
la perenne misericordia, che rinnova e trasforma continuamente l'amato, perch sia "verginalmente
santo" come dir, pi tardi, il Terzo Isaia (Is 62,4-5.12).
Isaia presenta l'assoluta santit divina attraverso il triplice "santo" (6,3). La sua "gloria" si
manifesta come potenza d'amore che opera la salvezza. Egli apre al suo popolo la strada che conduce
alla comunione di vita con lui e a una partecipazione al suo essere. Dio si rivolge all'uomo peccatore
come amore che salva, perdonandolo e chiamandolo a una missione di salvezza. Per ottenere ci, la
sua santit fuoco che purifica da ogni impurit, giudizio che contesta ogni infedelt (10,16), grazia
che invita a fede, fiducia e speranza quanti si aprono a lui (30,15). Nel Secondo Isaia vengono
accentuati questi aspetti di Dio: realizzatore del nuovo esodo (43,3-5. 16-21) nella gioia e nella pace (
55,5-12); creatore del suo popolo; sposo tenero che ama di amore sponsale (54,4-10) e offre sempre
misericordia e perdono. In Ezechiele, Dio mostra la sua santit riconducendo il suo popolo nella sua
terra (36,23-24). Questi aspetti della santit divina sono egualmente rintracciabili nella tradizione
orante e liturgica (Sal 99), in cui Dio invocato ed esaltato perch perdona, purificando l'uomo dai
suoi misfatti, dandogli un cuore e uno spirito nuovo e non privando il peccatore pentito del suo spirito
di santit (Sal 51,13). Il peccato una ribellione che contrista il santo spirito del Signore (Ez 36.27).
Il termine santo, che definisce il mistero ineffabile della trascendenza divina, viene poi applicato a
Israele come "popolo del Signore": "Tu sei un popolo santo per il Signore Dio tuo" (Dt7,6; 14,2.21;
26,19; 28,9). Tale santit si esprime come partecipazione alla vita, amore, vita e santit divina. Ci
frutto dell'elezione, che fa del popolo la "propriet" di Dio. Essa puro dono gratuito dell'amore e
benevolenza (grazia) divina e della fedelt alle sue promesse (Dt 7,6-7). Comporta, quindi, che Israele
cammini sempre nelle vie del suo Dio, obbedendo a tutta la sua legge (Dt 26,17-19) di santit (Lv
19,2)2.
santit coinvolge e santifica gli angeli (Mc 8,38), i profeti e gli autori ispirati (Lc 1,70; Mc 6,20; Rm
1,2). Santo il suo tempio e la Gerusalemme celeste (1Co3,17; Ap 21,2). Il suo Spirito Santo
all'origine della nascita redentrice di Ges (Mt 1,18; Lc 1,35) e della sua missione salvifica.
L'effusione dello Spirito su Ges, al suo battesimo, lo indica inviato da Dio, per formare l'umanit
nuova, il popolo nuovo, libero dalle forze del male e del peccato. Ges il nuovo Mos che, nella sua
croce e risurrezione, attua il vero esodo (Lc 9,31) che rivela la gloria del Padre Santo (Gv 17,11).
Per questo, nel quarto vangelo la santit di Dio si manifesta pienamente nell'esaltazione del Figlio,
ossia la sua morte in croce che "attira tutti a s" (Gv 12,32) e la sua resurrezione. La santit di Dio, nel
Nuovo Testamento, appartiene in modo totale a Ges, "il Santo di Dio", perch il Figlio unigenito del
Padre (Lc 1,35), totalmente partecipe della sua vita. La santit di Dio il suo immenso amore che si
rivela in Cristo (Gv 13,1) che sacrifica la propria vita, perch tutti abbiano vita in abbondanza (Gv
10,10). La sua santit investe i suoi eletti (1Pt 1,15) e si manifesta nell'avvento del suo Regno (Mt
6,9). Nel Nuovo Testamento Cristo il Santo di Dio, la cui santit strettamente legata al suo essere
Figlio di Dio, alla sua concezione per opera dello Spirito Santo (Lc 1,35; Mt 1,18) e alla sua unzione
nel battesimo del Battista (At 10,38; Lc 3,22). Vittorioso su tutti gli spiriti impuri riconosciuto anche
da loro "Santo di Dio" (Mc 1,24; 3,11). Come "Santo di Dio" e "Figlio di Dio" possiede il suo Spirito
Santo, anzi ne pieno (Lc 4,1), per cui lo dona, per vincere tutte le potenze del male (Mc 1,24; Lc
4,34) e lo manifesta con le sue opere e dottrina. Esse sono i segni inequivocabili della sua santit. In
Giovanni l'espressione "Santo di Dio" sottolinea che Ges possiede gli stessi attributi di Dio (Gv 6,69;
Ap 3,7; 6,10), ha parole di vita eterna, rivela il Padre (6,68; 14,9), dona lo Spirito (1Gv 2,20). Davanti
a lui ci si sente peccatori come davanti a Dio. (Lc 5,8).
pure Santo come il "Servo" di Dio (At 4,27.30), che porta a compimento la missione del servo,
nell'obbedienza, sofferenza e offerta della propria vita, come sacrificio di salvezza e riconciliazione
(At 3,14; 1Pt 1,18) a favore di tutti gli uomini (At 4, 10-12; Rm 3,21-24). Per questo Dio lo ha esaltato
(Fil 2,9) e risuscitato secondo lo Spirito di santit (Rm 1,4). L'opera salvifica e santificatrice di Ges
raggiunge la sua pienezza nella risurrezione, nella quale "costituito Figlio di Dio con potenza,
secondo lo Spirito di santificazione" (Rm 1,4). Con la pienezza dello Spirito Santo riceve dal Padre la
potenza di effonderlo, come fonte di ogni santificazione (Gv 7,37-39). Asceso alla destra del Padre
(Mc 16,19), pu essere chiamato "il Santo", come il Padre (Ap 3,7; 6,10). Egli colui che santifica i
credenti in lui, perch li introduce nella propria vita divina (Eb 2,10-11). La sua santit identica a
quella del Padre (Gv 17,11), di cui condivide la potenza spirituale, la stessa misteriosa profondit e le
manifestazioni prodigiose. La sua santit lo spinge ad amare i suoi, fino a comunicare loro la gloria
ricevuta dal Padre e a sacrificare la propria vita perch anch'essi siano santificati. cos che mostra la
sua santit (Gv 17,19-24).
Il suo sacrificio, a differenza di quelli dell'Antico Testamento, santifica i credenti in lui, nella verit
(Gv 17,19), perch comunica loro la santit vera. Essi partecipano veramente alla vita di Cristo risorto,
mediante la fede e il battesimo, che conferisce loro "l'unzione che viene dal Santo" (1Co 1,30; Ef 5,26;
1Gv 2,20). Sono quindi "santi in Cristo" (1Co 1,2; Fil 1,1) per la presenza dello Spirito Santo in loro
(1Co 3,16; Ef 2,22), battezzati nello Spirito Santo, come aveva predetto il Battista (Lc 3,16; At 1,5;
11,16). Il termine "Santo" riferito a Dio, designa soprattutto lo Spirito Santo, agente principale della
santificazione, che colma le comunit con i suoi doni e carismi, con un'ampiezza e universalit assai
maggiore rispetto all'Antico Testamento. Questo perch la resurrezione di Cristo compie i tempi
messianici (At 2,16-38).
5. Santit e Chiesa
Per quest'azione universale dello Spirito, che libera l'uomo dai suoi peccati (At 2,38-39; Gv 20,2223) e lo inserisce nella comunit dei santificati dal "sangue dell'alleanza" (Eb 10,29), il termine
"santi", da eccezionale che era nell'Antico Testamento e riservato egli eletti dei tempi escatologici,
nel Nuovo applicato a tutti i cristiani. Dapprima i membri del piccolo gruppo della Pentecoste (At
9,13; 1Co16,1; Ef 3,5), poi la comunit primitiva di Gerusalemme, i fratelli della Giudea (At 9,31-41)
e infine tutti i fedeli (Rm 16,2; 2Co 1,1; 13,12). Lo Spirito li rende partecipi della santit divina, vera
nazione santa e sacerdozio regale. Ricolmandoli della presenza del Dio tre volte santo, li rende
29
"tempio santo del Signore" (Ef 2,21), "edificio spirituale" (1Pt 2,5), "tempio del Dio vivente" (2Co
6,16; 1Co 3, 16-17), "tempio dello Spirito" (1Co 6,19). Guidati da lui i cristiani, frutto della sua azione
santificatrice (Gal 5,22), rendono a Dio il vero culto, offrendosi a lui in Cristo, come sacrificio santo
(Rm 12,12; 15,16; Fil 2,17). La loro santit, che deriva dall'elezione (Rm 1,7; 1Co 1,2), esige di
rompere con il peccato e i costumi pagani (1Ts 4,3), operando secondo la santit che viene da Dio e
non secondo la saggezza della carne (1Co 6,9; 2Co 1,12; Ef 4,30-5,1; Tt 3,4-7; Rm 6,19). Il cristiano,
afferrato da Cristo, deve comunicare a tutte le sue sofferenze e alla sua morte, per giungere alla
risurrezione (Fil 3,10-14).
Finora la santit lotta col peccato e i santi devono santificarsi per essere pronti al ritorno del
Signore (1Ts 3,13; Ap 22,11), glorificato in mezzo ai suoi santi (2Ts1,10; 2,14)4. La Grazia dello
Spirito il fondamento etico-morale della nuova alleanza, in cui l'uomo invitato a essere perfetto
come il Padre celeste (Mt 5,48), imitatore di Dio come figlio carissimo (Ef 5,1), che ama con lo stesso
amore di Cristo (Gv 13,34-35; 15,12-13; Rm 15,7; Ef 5,2; Fil 2,5). Ci impossibile all'uomo, ma
possibile a Dio (Mt 19,26; Mc 10,27; Lc 18,27), per mezzo dell'offerta del corpo di Ges (Eb 10,10).
In questo modo, per il cristiano, l'amore, che si attua nell'offerta di s per i fratelli, diviene la continua
epifania della divina santit salvifica e testimonia la risurrezione di Cristo, gi attiva nella Chiesa (Gv
13,35; Gal 5,6; 6,15). La Chiesa, comunit della nuova alleanza, il popolo santo, sacerdotale, eletto e
chiamato a proclamare le meraviglie della santit divina (1Pt 2,9-10). la famiglia dei santi (Rm 1,7;
1Co 1,2), la sposa santa e immacolata, che Cristo col suo amore rende vergine e rinnova nella fede e
carit. La santit della Chiesa appare in tutti i suoi membri santi e immacolati (Ef 1,4), perch figli di
Dio ed eredi della risurrezione (Rm 6,4). La loro santit dono di Dio, condizione attuata dalla sua
grazia salvifica, apparsa in Cristo e posta in opera dallo Spirito Santo (1Co 6,11).
Per questo il battezzato, pur vivendo nel mondo, non pi di questo mondo (Gv 17,14) e
caratterizza la sua vita con le prove, la lotta, l'ascesi continua. I credenti, gi santi ma non ancora del
tutto, si santificano sempre pi (2Co 7,1) nella docilit allo Spirito, che li apre all'amore del Santo che
li santifica. In questo modo lo Spirito Santo li unisce al Risorto, li trasfigura nella sua immagine
gloriosa (2Co 3,18), li fa vivere in Cristo e Cristo in lui (Gal 2,20). La Chiesa, gi raggiunta dalla
risurrezione salvifica di Cristo (1Co 13,13; Rm 5,45) mediante il battesimo, con ogni eucaristia si
unisce sempre pi strettamente al Risorto, si disseta al suo Spirito (1Co 12,13) e cresce nella speranza
della piena santit, allorch Dio sar tutto in tutti (1Co 15,28). L'invocazione "Vieni Signore Ges"
(Ap 22,17) e l'ammonizione "il santo sia santificato ancora" (Ap 22,11) chiedono a Dio di poter
crescere sempre nella carit operosa (Tt 3,8), nella testimonianza coerente della verit, della fraternit
e dell'amore, perch ogni nazione, razza, popolo e lingua, possa cantare il canto di Mos e dell'Agnello
"Tu solo sei Santo" (Ap 15,3)5.
1
30
prima del peccato e quello dopo il peccato non vi differenza sostanziale e che il peccato originale
non avrebbe tolto nulla di quanto l'uomo aveva prima, ma sarebbe stato solo un cattivo esempio. La
redenzione di Cristo, quindi, non avrebbe ridato nulla, ma solo riparato il cattivo esempio, per cui
l'uomo poteva conquistare, con le sue sole forze, la vita eterna.
Contro Pelagio, Agostino oppose che: prima del peccato originale, c'era la grazia; dopo il peccato,
essa necessaria per non peccare e perseverare nell'amicizia con Dio; la grazia non opera dell'uomo
ma dono gratuito di Dio; Dio opera nella sfera della libera volont senza intaccarla. Difese, quindi,
l'assoluta necessit della grazia di Cristo che, nel giustificare l'uomo decaduto, gli rende la libert,
l'amore, il gusto del bene e della giustizia8. Approfond, inoltre, tutti gli elementi della tradizione
greca: abitazione di Dio nei giusti, partecipazione alla natura divina, inserimento in Cristo. Impost
pure la tematica della grazia in rapporto all'agire morale dell'uomo. La sua preoccupazione di
difenderne il primato, l'efficacia e la gratuit assoluta lo port, tuttavia, a impostare nello stesso modo
il tema della predestinazione, lasciando nell'ombra la volont salvifica universale di Dio e non dando
sufficiente rilievo alla libert dell'uomo. Da ci, in seguito, sarebbero derivati alcuni inconvenienti.
Nel 418 il concilio di Cartagine condann gli errori pelagiani e ribad che la grazia che giustifica
l'uomo: 1) non solo rimette i peccati, ma un soccorso che consente di evitarli; 2) non solo ci fa
conoscere ci che dobbiamo fare o evitare, ma ci fa amare e osservare i comandamenti divini e ci
rende capaci di compiere azioni salutari; 3) non data per renderci pi facile, ma possibile, compiere i
precetti divini. Ci significa, quindi, la necessit assoluta della grazia. La condanna di Pelagio fu
confermata da Papa Zosimo (DS 225-230).
Sempre nel V secolo, prima in Africa (427), poi nel sud della Gallia (Francia) e altrove, alcuni
teologi, fra cui Cassiano (430-435) e Vincenzo di Lerino (435) diffusero idee pelagiane attenuate,
dette perci semipelagiane. Sostenevano la necessit della grazia per la giustificazione, ma non per
l'inizio della fede, ponendone l'iniziativa nelle mani dell'uomo. Tentavano di conciliare le dottrine di
Agostino e Pelagio, dicendo che, nell'opera della grazia, Dio e l'uomo collaborano come "cause
parziali" (sinergetismo). Tali idee le fondavano sul principio delle volont salvifica universale di Dio.
Nel secolo VI, le loro dottrine furono combattute da Cesario di Arles (543), mentre il Concilio di
Oranges (529), confermato e approvato dal Papa Bonifacio II (531) (DS 373-375) le condann. La
dottrina cattolica ribad l'assoluta necessit della grazia divina per tutti gli atti con i quali l'uomo si
dispone alla giustificazione. Come gi detto, alcuni aspetti della teologia di Agostino finirono per
generare alcune difficolt tanto che, nella teologia carolingia, sorse una controversia sul suo pensiero
riguardo alla predestinazione. Agostino, infatti, negli ultimi anni, preoccupato di difendere l'efficacia
della grazia e l'assoluta gratuit della predestinazione, lasci in ombra la volont salvifica universale e
non diede sufficiente rilievo alla libert dell'uomo. Al di l di queste lacune e di un certo rigorismo, la
sua dottrina sulla grazia divenne la fonte della riflessione teologica occidentale9.
Va pure ricordato Leone Magno (V secolo), per la sua dottrina sulla grazia, come partecipazione
alla figliolanza di Cristo. Raccogliendo il pensiero dei Padri latini, sottoline la figliolanza come
nuova nascita e nuova vita, ricevuta con la fede e il battesimo. La grazia partecipazione alla vita di
Cristo, come il battesimo partecipazione alla sua morte e risurrezione. La morte di Cristo, infatti, non
fu un evento puramente biologico, ma la libera decisione con cui prese su di s la morte pi ingiusta e
crudele, nell'obbedienza d'amore al Padre. L'effetto di ci permane indelebile nella sua natura umana,
per cui la sua risurrezione, operata da Dio, rimane la sua azione pi perfetta. Essa per sempre
superiore a ogni azione che un essere umano possa compiere sulla terra e ha impresso, nella natura
umana di Ges, un'impronta che rimane incancellabile per tutta l'eternit. l'impronta che pone la
volont del padre, sempre e in tutto, al primo posto. La grazia del cristiano la partecipazione a questa
grazia di Cristo per cui, senza la sua incarnazione che rende cristiformi, la partecipazione alla natura
divina sarebbe impossibile.
chiaro, quindi, gi dai primi secoli e nei primi padri, che l'uomo diviene santo per la morte
redentrice di Cristo, che ne cancella i peccati e lo rende giusto. Questa giustificazione un
rinnovamento interiore, che facendo abitare Dio nell'uomo, ci rende partecipi della vita divina e ci
conferisce una nuova attivit soprannaturale. Tale dottrina permase nei secoli che seguirono. Nella
riflessione successiva, soprattutto medievale, sorsero invece numerose questioni, centrate sulla
santificazione dell'uomo, che attenuarono gradualmente il vigore della posizione agostiniana, centrata
32
scuola francese (de Brulle, S. Francesco di Sales) e l'Oratorio, sottolineando una devozione
cristocentrica.
4. Sviluppi pi recenti
Abbiamo pure ricordato il razionalismo e l'immanentismo che, negando ogni ordine soprannaturale,
negavano indirettamente pure la grazia12. Il moralismo pedagogico dell'illuminismo e le dispute che lo
seguirono contribuirono a un certo estrinsecismo della dottrina della grazia, contro il quale, in tempi
pi recenti reagirono varie correnti spirituali quali la devozione a Cristo (D. Marmion, R. Guardini), la
mistica della trinit (J. Alfaro), la dottrina dei misteri (O. Casel) e l'inabitazione dello Spirito Santo (H.
Volk). Queste nuove impostazioni contribuirono ad allargare notevolmente le tematiche sulla grazia.
Alcuni aspetti riguardanti la grazia vennero trattati anche nelle encicliche di Pio XII, come
l'inabitazione della Trinit, nell'enciclica Mystici Corporis (1943) e la soprannaturalit dell'ordine di
salvezza, nell'enciclica Humani Generis (1950). Il Concilio Vaticano II, nella costituzione
Sacrosanctum Concilium (1963) ha presentato la liturgia come fonte di ogni virt e grazia, mentre il
decreto Perfectae Caritatis (1965) descrive i consigli evangelici come mezzo per raggiungere la carit
perfetta. La grazia vi sottolineata come libero dono di Dio, in forza del quale l'uomo diviene figlio di
Dio, tempio dello Spirito Santo, partecipe della vita e natura divina13. In risposta alle obiezioni della
cultura moderna, i teologi pi recenti tendono a sottolineare che la grazia sostiene, anzich ledere, la
libert umana. Accompagnando il cristiano nel suo cammino progressivo verso la pienezza e la
perfezione, lo rende sempre pi libero della vera libert dei figli di Dio (Gv 8,36; Rm 8,21), quindi lo
fa sempre pi capace di trasformare il mondo e di attuarvi i compiti e le responsabilit che il Signore
gli affida14.
1
I Clem., 32-35.
Nel corso dei tempi vi furono diversi interventi per chiarire l'autorit della dottrina di Agostino ed evitare
esagerazioni o abusi del suo enorme prestigio, cf: Ep. "Apostolici verba" ad episcopos Galliarum, Maii 431 (DS
237); Ep. "Sicut rationis" ad Possessorem episc. Afrum., 13. Aug. 520 (DS 366); Bonifatius II Ep. "Per filium
nostrum" 25. Ian 531 (399), ai pi recenti, cf Pius XI L. enc. "Ad salutem", 22. Apr 1930 che ricorda: "Augustini
loquentis auctoritas supremae ipsi Ecclesiae docentis auctoritati anteferatur" (AAS 22 (1930), 204). Cf A. Beni,
"Grazia", NDT, 598.
10
11
12
13
14
34
1. Conversione e giustificazione
Il tema della giustificazione, fortemente enfatizzato dai teologi riformati, nella Chiesa cattolica non
ha mai costituito il centro dei problemi relativi alla grazia. Rispetto ad esso il Concilio Vaticano II ha
sottolineato maggiormente la santificazione e la santit. Ci che conta, comunque, porre Dio al
centro della vita e del pensiero umano e mettere ordine nella vita umana, riconoscendo che l'iniziativa
di Dio sovrana, viene prima e che l'azione umana insufficiente senza la grazia. Questi aspetti
appaiono chiaramente nell'impostazione sistematica del trattato sulla Grazia esposta nel Catechismo
della Chiesa Cattolica. Iniziando con la giustificazione (nn. 1987-1995), pone la conversione come
prima azione della grazia divina che opera la giustificazione. Mediante la conversione "l'uomo si volge
verso Dio e si allontana dal peccato, accogliendo cos il perdono e la giustizia dall'Alto" (n. 1989).
Riconferma, quindi, che la giustificazione, secondo la definizione del Concilio di Trento: "non solo
remissione dei peccati" e ribadisce che "anche santificazione e rinnovamento dell'uomo interiore,
attraverso l'accettazione volontaria della grazia e dei doni, per cui l'uomo da ingiusto diviene giusto e
da nemico amico, cos da essere erede secondo la speranza della vita eterna (Tt 3,7)" (n. 1989)1.
La dottrina cattolica sottolinea chiaramente che lo stato d'ingiustizia e inimicizia con Dio, proprio
del peccatore, causato dal peccato originale o dai peccati personali. Il passaggio allo stato di giustizia
e amicizia con Dio, quindi, comporta: 1) la remissione vera e propria dei peccati; 2) il rinnovamento
interiore dell'uomo, reso giusto, amico di Dio, erede della vita eterna e capace di merito. Il Catechismo
della Chiesa Cattolica cita S. Atanasio per sottolineare che con la giustificazione "entriamo a far parte
della natura divina" e che "lo Spirito divinizza coloro nei quali si fa presente2. La vocazione alla vita
eterna dipende interamente dall'iniziativa gratuita di Dio, poich egli solo pu rivelarsi e donarsi.
Inoltre, soprannaturale perch supera tutte le capacit di ogni creatura, quindi anche quelle
dell'intelligenza e della volont dell'uomo (n. 1998).
eccellente dell'amore di Dio (n. 1994), dell'infinito amore e misericordia del Padre, meritataci dalla
Passione del Figlio Ges Cristo (n. 1992), affidata all'azione del maestro interiore che lo Spirito
Santo (n. 1995). La giustificazione comporta l'adozione. Essa, nel linguaggio comune, significa
l'accoglienza e l'aggregazione di una persona estranea in una famiglia, con gli stessi diritti ai beni
(eredit), propri dei figli naturali.
Essa presuppone la comunanza di natura (l'uomo non pu adottare un animale). Dio, pertanto,
adottandoci come figli, ci fa partecipi della sua stessa natura divina. Per questo, Scrittura e Tradizione
parlano di deificazione, nella quale l'uomo, pur rimanendo uomo, partecipa alla natura divina. Paolo
tratta chiaramente dell'adozione in Rm 8,15-17, mentre Giovanni (1,12-13) dice che il Verbo "ha dato
il potere di diventare figli di Dio" a coloro che "da Dio sono nati", ossia quanti credono in lui. Il
termine "generati da Dio" ripetuto pi volte nel Nuovo Testamento: (1Gv 2,29; 3; 4,7; 5,1). Ges
detto primogenito fra molti fratelli (Rm 8,29) e di noi dice che siamo partecipi della natura divina (2Pt
1,4) in senso reale. La nostra differenza dal Figlio Unigenito che, mentre la sua generazione dal
Padre eterna, necessaria, increata e immanente, la nostra invece nel tempo, libera, creata ed esterna.
La vita divina, quindi, ci comunicata in modo creato e la nostra deificazione effetto di una libera
grazia, ma non della natura di Dio. Essa "ci conforma alla giustizia (santit) di Dio, il quale ci rende
interiormente giusti con la potenza della sua misericordia" (n. 1992).
3. La grazia santificante
Approfondito l'argomento della giustificazione, passiamo ora a quello della grazia. Infatti la
giustificazione opera della grazia di Dio, che viene definita come favore e soccorso gratuito che Dio
ci d, perch rispondiamo al suo invito a diventare suoi figli adottivi e a partecipare alla sua natura
divina e alla sua vita eterna (n. 1996). Come si detto per la giustificazione, anche la grazia una
partecipazione alla vita di Dio, che c'introduce nell'intimit della vita trinitaria, ci d la vita dello
Spirito, infonde in noi la carit e forma la Chiesa (n. 1997). Si tratta, dunque, di qualcosa d'intimo e
interiore all'uomo, un dono creato da parte di Dio, gratuito, ossia offerto per pura bont, santificante,
perch ha il potere di renderci veramente santi e di farci crescere nella nostra santificazione. La
giustificazione, infatti, non sarebbe possibile senza l'infusione in noi di un principio soprannaturale,
creato da Dio stesso, che ci abiliti (renda capaci) a operare soprannaturalmente, da figli di Dio. La
grazia santificante , quindi, un dono che lo Spirito Santo effonde nei cuori e "inerisce" (dal latino inhaerere ossia aderire e unirsi intimamente) alle nostre persone. Questo termine gi stato usato dal
Concilio di Trento (DS 1561). Il Catechismo chiama la grazia santificante o deificante, ricevuta nel
battesimo, "grazia di Cristo" e la definisce dono gratuito che Dio ci fa della sua vita. Essa infusa
nella nostra anima dallo Spirito Santo, per guarirci dal peccato e santificarci (n. 1999).
Si tratta di un dono abituale, di una disposizione stabile e soprannaturale a vivere con Dio e agire
per amor suo, secondo la sua vocazione (n. 2000). Nell'operazione misteriosa della giustificazione,
Dio imprime in noi l'immagine di se stesso, della sua intelligenza, volont, verit, bont e amore, in
modo da renderci capaci di conoscere e volere come Lui stesso conosce e vuole. La nuova natura
conferitaci ci abilita a conoscere e amare Dio come Egli stesso si conosce e si ama. La creazione attua
in noi la somiglianza, la giustificazione attua l'immagine. Essa creata, ma tale da rispecchiare
veramente Dio. La grazia santificante pu dirsi il traboccare della natura divina, che si riversa su di noi
e si comunica a noi, per renderci simili a Lui. Se il Figlio l'immagine increata del Padre noi siamo la
sua immagine creata, ma identica. Con la giustificazione, l'uomo, rimanendo uomo, comincia a
conoscere e amare come Dio. Tutto questo si pu pure esprimere con il termine grazia creata. La
giustificazione, tuttavia, significa molto di pi, poich oltre al dono creato, l'uomo riceve il dono
increato che consiste nell'inabitazione delle tre Persone divine nella nostra persona. Si tratta di una
loro presenza speciale: la Trinit stessa viene ad abitare nell'anima del giusto, facendo di essa il
proprio tempio e la propria casa. Le Persone divine sono presenti tutt'e tre, anche se, nel parlare
comune, si attribuisce solo allo Spirito Santo quest'opera di amore.
4. L'inabitazione divina
In noi, Dio presente con la sua stessa sostanza: "se uno mi ama osserver la mia parola, e il Padre
mio lo amer, e verremo a lui e dimoreremo presso di lui" (Gv 13,23). Le tre Persone divine abitano
nell'anima di chi le ama. La loro presenza nell'anima dei giusti realizza le promesse e le profezie
36
dell'Antico Testamento, riguardanti il cuore nuovo e lo spirito nuovo, lo Spirito divino in noi, la
capacit di custodire e attuare i decreti divini (Ez 36,26-28). La realizzazione ha superato di gran lunga
le antiche attese e immaginazioni. Nessuno avrebbe mai immaginato che lo Spirito di Dio potesse
essere una persona divina e che sarebbe venuto ad abitare con il Padre e il Figlio nell'anima resa giusta
dalla grazia divina (santificante). Giustificazione, grazia santificante, inabitazione divina, sono grandi
misteri rivelati, che superano la nostra comprensione. I teologi, tuttavia, hanno cercato di chiarirli in
qualche modo. Per Vasquez-Galtier Dio rimarrebbe presente nell'anima del giusto per produrvi e
conservarvi la grazia santificante, permettendole di operare soprannaturalmente. Per altri Dio sarebbe
presente come il conoscente nel conosciuto, poich la grazia santificante rende l'uomo capace di
conoscere e amare Dio come in se stesso e ci spiegherebbe perch la fede sia l'inizio della visione
intuitiva.
Pi soddisfacente sembra l'esempio di Flick-Alszeghy, per i quali l'inabitazione, essendo
essenzialmente l'amicizia fra l'uomo e Dio instaurata dalla giustificazione, richiederebbe una
comunione vitale, che rende necessaria la presenza di Dio nell'anima. Il Concilio di Trento ha espresso
pure le cause della giustificazione; causa finale (o fine) la gloria di Dio e di Cristo e la vita eterna;
causa efficiente lo stesso Dio misericordioso, che gratuitamente purifica e santifica; causa meritoria
Ges Cristo con la sua passione, morte e risurrezione; causa strumentale il battesimo o lavacro di
rigenerazione; causa formale la giustizia (santit) di Dio con la quale siamo rinnovati, santificati e
resi suoi figli (DS 1529). Riassumendo: la giustificazione che Cristo ci ha meritato e ci conferisce
mediante il ministero della sua Chiesa una rinascita spirituale, una nuova creazione, la deificazione
dell'uomo, effetto di un'operazione misteriosa di Dio che, senza essere una generazione vera e propria,
fa dell'uomo un figlio adottivo di Dio. Con essa Dio conferisce all'uomo una nuova natura, la grazia
santificante e il nuovo agire da "figlio"3. Cos espressa, essa specifica e approfondisce la definizione
sintetica del Catechismo che abbiamo esaminato prima: "la grazia santificante dono abituale,
disposizione stabile e soprannaturale, che perfeziona la persona per renderla capace di vivere con Dio
e di agire per amor suo" (n. 2000).
Questi principi o forze, pertanto, devono essere permanenti come la grazia e sono dette o definite
come virt, secondo la classica definizione delle virt come "abiti" (habitus). Sono dette pure
teologali, perch riguardano specificamente Dio e la vita divina. Esse sono infuse da Dio (Gal 5,5) e
permanenti, perch indispensabili. Devono, quindi, rimanere nei giustificati e di fatto vi "rimangono"
(1Co 13,13; cf. 1Ts 1,3; 5,8) come fondamento di tutta la vita di grazia (Rm 5,1-5). Sono esse che
consentono di conoscere e comprendere il mistero di Cristo e conseguire il fine soprannaturale al quale
il Padre ci ha destinati. Per raggiungere il fine, tuttavia, occorre conoscerlo e per questo necessaria la
fede. Inoltre, non basta conoscerlo, ma occorre avere pure la ferma fiducia di raggiungerlo e per
questo necessaria la speranza nell'aiuto di Dio. Infine, per raggiungerlo, bisogna soprattutto amarlo e
per questo necessaria la carit. Per queste ragioni si pensa che le virt teologali, nel battesimo,
vengano infuse assieme alla grazia. Lo stesso va detto dei "doni": sapienza, intelletto, consiglio,
fortezza, scienza, piet, timor di Dio, (Is 11,1-2; cf CCC 1830-1831) e dei "frutti" dello Spirito Santo:
amore, gioia, pace, pazienza, longanimit, bont, benevolenza, mitezza, fedelt, modestia, continenza,
castit (Gal 5,22-23; cf CCC n. 1832).
Numerosi teologi, assieme a S. Tommaso, ritengono che anche le virt cardinali, dette pure morali
o umane, vengano infuse, dovendo servire a conseguire la pienezza di una vita non solo umana e
naturale, ma anche e soprattutto cristiana e soprannaturale, come esige la santificazione dei credenti5.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica, avendo posto virt, doni e frutti alla base della vita morale, ne
sottolinea ripetutamente la funzione in essa. Le virt teologali "fondano, animano e caratterizzano
l'agire morale del cristiano" (n. 1813), in quanto sono la radice delle virt umane. Inoltre, le rendono
idonee a far partecipare le facolt dell'uomo alla vita divina (n. 1812). I doni, a loro volta, sorreggono
la vita morale, rendendo i battezzati docili alle mozioni dello Spirito Santo (n. 1830). I frutti, infine,
sono le perfezioni che lo Spirito plasma nei giustificati, come primizie della gloria eterna (n. 1832).
1
2
DS, 1528.
S. Atanasio di Alessandria, Epistulae ad Serapionem, 1, 24; PG 26, 585B.
38
ingresso nella sua vita trinitaria, condivisione del suo Spirito, che infonde in noi la carit fraterna e
forma la sua Chiesa (n. 1997).
Questa chiamata alla vita eterna soprannaturale. Superando le capacit dell'intelligenza e le forze
della volont di ogni creatura, dipende solo dalla libera e gratuita iniziativa di Dio (n. 1998). Tutto
questo detto grazia santificante o deificante che la fonte della nostra santificazione (n. 1999). Essa
consiste nel dono abituale, nella disposizione stabile e soprannaturale, che perfeziona l'uomo, lo rende
capace di vivere con Dio e di agire per suo amore. Ci la distingue dalle grazie attuali, che indicano
gli interventi divini con i quali Dio agisce, sia all'inizio della conversione, che durante la nostra
santificazione (n. 2000). Per i teologi, esse consisterebbero nelle illuminazioni dell'intelligenza e nelle
mozioni della volont, con le quali le nostra facolt spirituali e umane vengono preparate e disposte a
riconoscere, capire e mettere in atto le realt divine. La grazia sarebbe come una nuova condizione,
che fa vedere ogni cosa sotto un nuovo aspetto e in una nuova dimensione, quella di Dio e della sua
salvezza. Per questo Paolo esortava i cristiani a pregare di essere illuminati per conoscere "a quale
speranza [Dio] li ha chiamati, quale ricchezza di gloria riserva la sua eredit fra i santi e quale sia la
grandezza sovrabbondante della sua potenza a favore di noi che crediamo" (Ef 1,18-19). Per
comprendere tutto ci necessario che Dio illumini gli occhi della nostra intelligenza.
abbiamo esposto qui sopra, e ricordando che Dio vuole la salvezza di tutti (volont salvifica
universale), la grazia sufficiente quella che Dio dona a tutti (e non soltanto ad alcuni), nel pieno
rispetto della loro libert. Essa diviene pure grazia efficace se viene liberamente accolta,
consentendole di produrre nel ricevente gli atti, effetti e frutti della salvezza. La distinzione mette in
particolare luce il valore della preghiera, con la quale si esprime, nel modo migliore, il desiderio,
l'attesa e la volont di rendere efficaci i doni del Signore, accogliendoli, valorizzandoli e mettendoli in
atto, confidando totalmente nel suo amore misericordioso, gratuito e generoso.
In breve, si pu dire che la preghiera aiuta l'uomo a mantenersi nel clima della conversione,
dell'obbedienza e della docilit al fascino della grazia e della salvezza. Esprime, inoltre, nel pi alto
grado, la libert dell'uomo, che Dio stesso ha voluto e che sempre rispetta. Dio, infatti, previene
l'uomo e prende per primo, nei suoi confronti, l'iniziativa salvifica, tuttavia lo fa rispettando sempre e
totalmente la sua libert. L'uomo giustificato e si salva, quindi, solo se lo vuole, lo accetta e lo
chiede. Assieme a questo problema stato sollevato, pi volte, quello del rapporto fra la prescienza
divina e la salvezza del singolo. Esso si pu porre in questi termini: se Dio conosce infallibilmente
l'atto libero dell'uomo prima ancora che venga posto, quest'atto come pu rimanere libero? Nessuno
dei diversi tentativi fatti per risolverlo ha dato risultati soddisfacenti. Oggi, a uno sguardo retrospettivo
appare sempre pi legato a quella cultura esasperatamente razionalistica, alla quale abbiamo accennato
pi volte. Appare pure pi improntato, forse, a una certa curiosit intellettuale che alle esigenze di una
genuina comprensione. In definitiva, non mai apparso essenziale per la fede. Certamente alcuni dei
termini ed elementi che lo compongono appaiono insufficientemente chiariti o posti in modo
imperfetto. Vediamone alcuni: quale , realmente ed esattamente, il modo divino di conoscere; che
cosa significa, realmente ed esattamente, il tempo per Dio; qual , realmente ed esattamente, la
relazione che intercorre tra Dio, il tempo, la conoscenza divina e quella umana del tempo; qual ,
realmente ed esattamente, il significato del "prima" o del "dopo" riguardo agli oggetti del suo
conoscere e del suo modo di conoscere, ecc. Per questi problemi e altri ancora che, del resto, non
erano affatto essenziali e furono accantonati, non abbiamo elementi precisi e affidabili. Ricordiamo, a
puro titolo di esempio, un falso problema sull'onnipotenza divina, che i non credenti si divertivano a
proporre ai credenti, per metterli in imbarazzo o farsene gioco: pu Dio creare un sasso cos pesante da
non poterlo sollevare?
7,20). Oltre all'impegno nelle buone opere, essa c'invita pure a ripetere la bellissima preghiera
contenuta nella risposta di S. Giovanna d'Arco ai suoi giudici, come esorta il Catechismo della Chiesa
Cattolica: "Se non vi sono, Dio voglia mettermici; se vi sono Dio mi ci conservi" (n. 2005). Un'altra
bellissima invocazione quella dei cristiani d'Oriente: "Ges Cristo, Figlio del Dio vivo, abbi
misericordia di me e salvami".
1
42
1. Giustificazione e merito
La dottrina del merito ha sempre avuto un posto particolare nella teologia della grazia, che ricorda
come esso non vada inteso in senso strettamente giuridico e come nessuno possa vantare diritti davanti
a Dio. Il Concilio di Trento, trattandone, intese affermare che le opere dei figli di Dio sono buone,
fanno crescere nella giustificazione e hanno una proporzione con l'aumento stesso della grazia e della
vita eterna1. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, per meglio chiarirlo, muove dal concetto del
termine, come retribuzione, dovuta da una comunit, all'azione meritevole di uno dei suoi membri.
Cos inteso si riferisce alla virt della giustizia, in conformit al principio dell'eguaglianza, che ne la
norma (n. 2006). Rimanendo sul terreno strettamente giuridico, quindi, evidente che per la smisurata
diseguaglianza che intercorre fra Dio e l'uomo, non pu esserci alcun merito nei confronti di Dio (n.
2007). Di conseguenza, nella vita cristiana, il merito dell'uomo davanti a Dio deriva solo dal fatto che
Dio, liberamente e gratuitamente, ha disposto di associare l'uomo all'opera della sua grazia (n. 2008).
Sorgente di tutti i nostri meriti davanti a Dio, dunque, soltanto la carit di Cristo.
La grazia, unendoci a Cristo con amore attivo, assicura il carattere soprannaturale di ogni nostra
azione e, di conseguenza, il suo merito davanti a Dio. Come i Santi, dobbiamo anche noi conservare
sempre viva la coscienza che tutti i nostri meriti sono pura grazia (n. 2011). I meriti della vita di
giustificazione e delle opere buone, quindi, vanno attribuiti anzitutto alla grazia di Dio, poi alla libera
collaborazione dell'uomo che, tuttavia, anch'essa opera della grazia divina. Il merito dell'uomo,
quindi, va tutto a Dio, dal momento che originato e causato dai meriti di Cristo e dalle ispirazioni e
aiuti dello Spirito Santo (n. 2008). Si tratta, comunque, di un vero merito, anche per l'uomo, a motivo
dell'adozione filiale, che ci rende veramente partecipi della natura divina e ci fa "coeredi" con Cristo,
della promessa della vita eterna. La dignit di figli di Dio talmente alta, da costituire una ragione di
merito del tutto valida per la persona giustificata, resa capace di compiere opere degne di
considerazione da parte di Dio. Le azioni, fatte sotto l'influsso della grazia attuale, conseguono una
proporzione tra opera e premio, dando luogo a un vero diritto derivante dalla grazia, giustificazione e
amore gratuiti di Dio. Tali meriti e diritti sono doni gratuiti della bont divina (n. 2009)2. Ci che
l'uomo non pu assolutamente meritare, invece, la giustificazione stessa, detta grazia prima o prima
grazia santificante.
La ragione che, l'ordine della grazia iniziativa assoluta di Dio, per cui nessuno pu meritare la
grazia che origina la prima conversione, il perdono e la giustificazione. In seguito, ossia una volta
giustificati, sotto l'azione della grazia, ossia le mozioni dello Spirito Santo e della carit, possiamo
meritare, per noi stessi e per gli altri, le grazie utili alla nostra santificazione, l'aumento della grazia,
della fede, speranza e carit e la vita eterna. La vita eterna il premio che Dio accorda al giustificato,
per le opere buone compiute in stato di grazia. Pure i beni temporali possono essere meritati, secondo i
disegni della sapienza e provvidenza divina. Tutti questi beni sono oggetto della preghiera cristiana,
che provvede al nostro bisogno di grazia per le opere meritorie (n. 2010). Le condizioni per meritare,
quindi sono: 1) lo stato di grazia; 2) la vita presente, prima della morte, o "stato di via"; 3) l'uso della
propria libert a favore di Dio e del suo progetto su di noi. Le opere devono essere buone e rese
soprannaturali. Oltre all'esercizio della vita teologale, si cresce nella grazia e santificazione anche per
mezzo dei sacramenti, segni efficaci e veicoli della grazia, di cui tratta la teologia dei sacramenti.
buone opere sono numerosi, fra cui, particolarmente importanti: Mt 16,27; Rm 2,6 e Ap 2,23. Le opere
non portano alcun guadagno a Dio ma, per il cristiano, un premio che corrisponde ad esse, ma il cui
valore di gran lunga superiore. Nelle lettere ai Corinzi e ai Romani S. Paolo insiste sul fatto che le
buone opere provengono dalla grazia. Ci che la S. Scrittura chiamava "merces", il latino non cristiano
chiamava "meritum". Tertulliano prefer il secondo termine, che si diffuse ampiamente. Il medioevo
svilupp il concetto distinguendo fra merito "de condigno" in base alla giustizia e "de congruo" in
base all'equit.
Bench si trattasse solo di un'opinione di scuola, i protestanti la considerarono come dottrina
cattolica, per cui il Concilio di Trento dovette chiarire pure questo punto. Disse, perci, che l'uomo
deve sempre fidarsi di Dio e di Cristo che, apprezzando l'uomo, vogliono che la vita eterna sia un
risultato della sua azione. Nel Concilio Vaticano II, invece, la dottrina del merito appena accennata
(LG 41, 49). La dottrina cattolica sottolinea, quindi, che: 1) alla fine di una vita buona, Dio dona a
ciascun cristiano la vita eterna e l'incontro con Lui; 2) in questa vita, Dio pu comunicare grazie
diverse agli uomini 3; 3) nella vita eterna Dio retribuisce ciascuno secondo la misura della sua
collaborazione4; 4) nella vita eterna il rapporto fra le differenti grazie e la differente collaborazione ad
esse sulla terra determina la diversa profondit e intensit del rapporto con Dio. Il tema del merito, per
non essere frainteso, deve rimanere strettamente collegato agli altri temi della grazia e, in particolare,
alla giustificazione, santit e santificazione.
La giustificazione cristiana rinnova radicalmente l'uomo, ma segue le leggi di ogni vita, esigendo di
essere non solo conservata (Mt 7,21; 10,22; 19,17; Gv 14,15; Gc 1,22) ma anche sviluppata e
accresciuta fino alla sua pienezza o perfezione. Questo processo o cammino detto santificazione e
consiste nel fare vivere il Cristo in noi (Fil 1,21) o, ancor meglio lasciarsi vivere da lui (Gal 2,10)
come sue membra vive e vitali, testimoni credibili e sua piena immagine e somiglianza. In questo
cammino verso la perfezione, la grazia che accompagna il cristiano lo rende sempre pi libero, della
libert dei figli di Dio (Gv 8,36; Rm 8,21) e sempre pi fecondo nel realizzare i compiti che il Signore
gli affida nel mondo. Ci avviene mediante i mezzi abitualmente offerti a ogni battezzato: docile
ascolto della Parola, preghiera personale e comunitaria, sacramenti (in particolare penitenza ed
eucaristia), opere buone fatte per amore (Mt 6,1; 1Co 13,3). Questa l'esistenza vissuta per Cristo, con
Cristo e in Cristo5.
3. Santit e santificazione
Il Catechismo della Chiesa Cattolica inizia la sessione IV, dedicata alla santit cristiana, con due
citazioni di fondo. La prima, della Scrittura (Rm 8,28-30), ricorda i passaggi e gradi operati dal
Signore a favore di coloro che lo amano: li conosce da sempre, li predestina alla conformit col suo
Figlio, li chiama, giustifica e glorifica (n. 2012). La seconda, del Concilio Vaticano II, (Lumen
Gentium, 40) ricorda che "tutti i fedeli di qualsiasi stato e grado sono chiamati alla pienezza della vita
cristiana e alla perfezione della carit". Sottolinea, quindi che "tutti sono chiamati alla santit", citando
l'invito di Cristo: "siate dunque perfetti come perfetto il Padre vostro celeste" (Mt 5,48). Per
raggiungere la perfezione, i fedeli usano le forze ricevute, secondo la misura del dono di Cristo,
consacrandosi alla gloria di Dio e al servizio del prossimo6 (n. 2013). Fine del progresso spirituale
l'unione sempre pi intima e profonda con Cristo, che ci fa partecipare al suo mistero mediante i
sacramenti. L'unione viene detta "mistica" perch la partecipazione al mistero di Cristo ci fa
partecipare al mistero della Santissima Trinit. Dio chiama tutti a quest'intima unione con Lui. Ad
alcuni concede pure delle grazie speciali o dei segni straordinari, che manifestino a tutti il dono
gratuito fatto a tutti (n. 2014). La santificazione, come cammino di perfezione, impossibile senza il
combattimento spirituale, il sacrificio, l'abnegazione dell'amor proprio e la rinuncia. Comporta, quindi,
l'ascesi e la mortificazione, che conducono alla vita nella pace e alla gioia delle beatitudini (n. 2015).
La Scrittura sottolinea che Dio il Santo per eccellenza. Questa santit assoluta purezza morale e
libert da ogni difetto e debolezza. Per l'uomo, essa significa salvezza, purificazione e chiamata. Dio si
manifesta Santo in queste azioni di salvezza. Non solo d gli esempi della sua santit, ma santifica
l'uomo, perch anch'egli si santifichi, assumendo a suo modello Dio stesso. Il Nuovo Testamento
conserva il linguaggio dell'Antico, ma lo riempie di contenuti nuovi. Il Vangelo invita i credenti alla
stessa santit del padre celeste (Mt 5,48). Le lettere di S. Paolo mostrano che inabitazione, santit e
santificazione sono intimamente collegate. Esse approfondiscono il messaggio cristiano secondo le tre
44
dimensioni dell'Antico Testamento: Dio si santifica, santifica l'uomo, l'uomo deve santificarsi.
Riassumendo, possiamo dire che: 1) il Padre mostra la sua santit operando nei cristiani; 2) Cristo
attua la nostra santit mediante la sua offerta sacrificale sulla croce e i sacramenti; 3) Padre e Figlio ci
inviano lo Spirito Santo per santificarci; 4) l'uomo deve ricevere il dono della santit, farne la base
della sua vita ed aumentarlo con il proprio impegno. La santit, quindi, la partecipazione alla santit
divina, che si mostra nella purezza di vita e nell'amore, misericordia e perdono per i fratelli e per i
nemici.
Il Dio Santo si mostra tale, rendendoci capaci di compiere le opere buone che lo fanno glorificare
dagli uomini. Ci avviene, in particolare, per la sua Chiesa, che Egli ama, santifica e rende pura nel
battesimo (Ef 5,25-27) e nella comunione dei santi (coloro che da Dio sono resi tali). Fino a tutto il
Medioevo il termine usato al riguardo fu gratia gratum faciens che poi fu detta grazia santificante. Il
Concilio di Trento ribad la dottrina biblica, che l'uomo nella giustificazione viene santificato e nel suo
catechismo tridentino ha lasciato insieme "santit e giustizia". Il Concilio Vaticano II, nella Lumen
Gentium ha dedicato il capo V alla vocazione universale alla santit, dicendo che Cristo, il Santo, ha
santificato la sua Chiesa donandole lo Spirito Santo. Nella fede e nel battesimo, la partecipazione alla
natura e alla figliolanza divina ci rendono santi (n. 40). Tale santit ci data gratuitamente, senza
nostro merito, per pura misericordia e come compito che c'impegna per tutta la vita. La santit di Dio,
Padre, Figlio e Spirito Santo il suo essere pi intimo, libero da ogni limite, debolezza e difetto,
pienezza di ogni bene e perfezione. Essa partecipata all'uomo e deve contrassegnare la vita del
cristiano, come impegno prioritario su ogni altro.
Esso possibile, poich l'uomo immagine di Dio e in relazione con lui. La decadenza del peccato
originale, tuttavia, non ha soltanto intaccato le sue condizioni e limiti creaturali, ma lo ha pure gravato
delle sue conseguenze: debolezze, cattive inclinazioni, concupiscenza. La vita di santit, quindi,
comporta un continuo e strenuo conflitto con l'uomo vecchio, ossia l'uomo decaduto e degradato.
Quest'intimo conflitto il credente lo vive nella Chiesa, la cui santit, quindi, assai pi della somma di
santit dei singoli cristiani. Infatti, in essa vive il Cristo, come suo capo e lo Spirito Santo, come sua
anima. Sono essi i garanti della verit, certezza e santit vissuta in essa dai suoi membri. Per questo la
santit del singolo non pu essere costituita pienamente, senza la Chiesa poich, senza l'Eucaristia,
l'attivit santificante di Cristo non sarebbe piena. Senza la Chiesa neppure l'opera dello Spirito piena
e neppure l'azione del Padre, fonte di ogni santit, pu giungere pienamente all'uomo. Poich la santit
del corpo della Chiesa poggia sulle tre Persone divine, la santit dei credenti passa per il corpo di cui
sono membra. Il modo migliore per aumentare la santit dell'intera Chiesa, quindi, santificare se
stessi. Si santificati, quindi, dalla relazione con le tre Persone, in Cristo, nella sua Chiesa.
viceversa. in questo modo che lo Spirito Santo opera nella comunit ecclesiale. L'inabitazione della
Trinit, detta pure presenza divinizzatrice o grazia increata, si capisce: a) distinguendola
dall'onnipresenza divina creatrice in ogni cosa; b) cogliendola entro la teologia trinitaria delle missioni
del Figlio e dello Spirito. Dio abita in noi rendendoci partecipi della sua vita divina di conoscenza e
amore. Ci lo attua donandoci la fede, la speranza e la carit, che sono, in sintesi, la grazia creata. Essa
pu dirsi, in altri termini, pure trasformazione o divinizzazione della nostra umanit. Questa realt, che
dipende continuamente dalla presenza della Trinit in noi, trasforma tutto l'uomo7. La grazia creata
indica, invece, che l'uomo viene talmente trasformato dall'amore gratuito di Dio, da diventare
partecipe della sua stessa natura divina.
Tale partecipazione una perfezione immensamente pi alta della natura umana ed accidentale,
ma non sostanziale. La trasformazione coinvolge due livelli fondamentali: a) la natura, che viene
trasformata dalla grazia santificante o gratum faciens; b) l'intelligenza e la volont che vengono
potenziate dalle virt teologali o infuse. L'uomo, quindi, viene trasformato totalmente nella sua unit.
La grazia, sottolinea S. Tommaso, dona all'uomo un essere divino partecipato8. dottrina del
Concilio di Trento che la grazia creata la trasformazione reale e permanente dell'uomo, dono e opera
di Dio, per i meriti di Ges Cristo e il dono dello Spirito Santo. La comunicazione di s, che Dio fa
all'uomo, insieme: dono offerto, abilitazione ad accoglierlo, orientamento ineliminabile a tale
accoglienza e all'unione perfetta nella visione beatifica. Il tutto in un dialogo che lascia sempre l'uomo
libero di accettalo o rifiutarlo 9. Poich giustificazione, santit, vita nella grazia designano il nostro
essere e vivere da figli di Dio, per l'azione dello Spirito Santo (Rm 8,14; Gal 5,16-18), dobbiamo pure
approfondire quest'aspetto. L'azione dello Spirito Santo non proviene dall'esterno, ma dall'interno del
giustificato, nel quale Egli abita e risiede abitualmente (1Co 3,16; 6,19; Rm 8, 9.11). La promessa di
Ges ai suoi discepoli, infatti, che lo Spirito rimane sempre con noi, abita e vive in noi (Gv 14,1617).
Il modo di questa "abitazione" discusso dai teologi. Il punto fermo , comunque, che la Trinit,
ossia le tre Persone divine, abita nelle persone dei giusti, non solo con la presenza d'immensit di cui
si parlato, ossia la presenza di Dio in tutte le creature che egli crea, conserva e muove, ma con una
presenza personale straordinaria e diversa, di amore. Con essa, come si visto, Dio si comunica al
credente, trasformandolo interiormente, rendendolo suo figlio, partecipe della sua stessa natura divina.
Fin dagli inizi i teologi si sono chiesti se questa presenza sia diretta o indiretta, ossia per mezzo di
un'altra realt. La teologia orientale ha seguito il principio di Massimo il Confessore (662), sviluppato
poi da Gregorio Palamas (1359), distinguendo in Dio la sua "essenza" incomunicabile e le sue
"energie" (dynameis). Queste sarebbero le manifestazioni increate della sua essenza e distinte da essa.
Nel credente non abiterebbe l'essenza divina, ma le energie divinizzanti di questa, che divinizzano
l'uomo. La teologia occidentale ritiene che la grazia santificante significhi che la Trinit presente nel
cristiano come grazia increata e con i suoi doni interiori che costituiscono i doni creati o effetti
soprannaturali prodotti nell'anima dalla presenza divina. I teologi discutono pure su quale grazia,
increata o creata, preceda l'altra.
Al riguardo occorre chiarire che gli uomini non sono tutti uguali in se stessi, ma solo di fronte alla legge.
Questa differenza essenziale e decisiva. Solo l'invidia del bene altrui impedisce di capire e accettare questo
punto.
4
Occorre, quindi, distinguere bene fra la distribuzione di doni di grazia diversi in questa vita e la valutazione
della loro valorizzazione nel giudizio finale.
5
Ibid.
10
S. Atanasio, De Incarnatione Verbi, n. 14, PG 25,111; De decretis Nicaenae Synodi, n. 14, PG 25, 361364; Discorso contro gli ariani, n. 19, PG 26, 361-364.
11
12
47
13
14
15
In Cantica, 61, 1, PL 183, 1071; Id., 83, 3, Ib., 1182, 1184; Id., 82, 8, Ib., 183, 1181.
16
17
"Lo Spirito Santo e la divinizzazione del cristiano", in La Civilt Cattolica, 1998, IV, 13-15.
48
deve tematizzare la storicit della grazia divina sia nel suo accadere nell'evento di Cristo, che nella
comunicazione di esso nell'evento della Chiesa; e) richiede un approfondimento e un'elaborazione
riflessiva della grazia esteriore o esterna, come mediazione mondana della grazia, che la fede
identifica negli eventi storici e negli avvenimenti mondani (interpersonali, sociali, politici ecc.) come
offerte dell'amore divino; f) deve esprimere tutto il carattere paradossale della grazia, ossia il suo
"tutt'altro", che si esplica nelle umiliazioni, sofferenze e insuccessi della vita, nell'interruzione delle
attese e delle esigenze vitali dell'uomo, nel fallimento di tutte le speranze immanenti e intramondane;
g) deve aumentare l'orientamento al futuro, come vero inizio attuale della vita eterna3.
4. Collegamenti trasversali
Come si vede, si tratta di criteri e proposte diverse, volte a impostare la teologia della grazia in
modo da valorizzarne la dottrina come prospettiva globale di molti, se non tutti, i temi teologici. I
problemi che sollevano sono molti. Riguardo alla fede: valorizzerebbero adeguatamente l'atto
complessivo di accoglienza dell'azione salvifica di Dio, come accoglienza che trasforma la vita?
Riguardo alla dottrina trinitaria e alla teologia della creazione: diverrebbero coerentemente motivo
centrale e dominante? Il confronto col tema e la visione extrateologica della libert introdurrebbe in
modo appropriato il tema irrinunciabile del peccato? Una prospettiva teologica rigorosamente
antropologica sarebbe egualmente legittima ed appropriata? Quanto la riflessione sulla storicit della
grazia deve divenire pi acuta nella cristologia, soteriologia, ecclesiologia, dottrina dei sacramenti e
della predicazione? La grazia orientata al futuro deve divenire il punto sistematico di partenza
dell'escatologia cristiana, come dottrina del compimento del dono di grazia che ci dato qui e ora?
Questi e altri problemi potranno movimentare la riflessione sulla grazia e sugli altri temi connessi,
nella ricerca e riflessione teologica del presente e del futuro.
1
51
condivisione, oblazione, espiazione, perdono, rischio per gli altri e scelta per la comunione, che sono
l'identit distintiva e le grandi chances del cristiano. La grazia presuppone la libert che libera,
sostiene e porta a compimento. Presuppone un soggetto libero chiamato a rispondere di se stesso e a
realizzarsi nell'amore. Essa libera la libert in due modi: a) ridonando all'uomo le capacit indebolite
dal peccato (grazia sanante o medicinale); b) elevando le sue possibilit a un livello assai superiore a
quello puramente creaturale (grazia elevante). Come ci avvenga pu essere un interessante tema di
ricerca e dibattito teologico3.
4. Concupiscenza
Nel Nuovo Testamento, concupiscenza (epithymia) significa un desiderio vivo e forte, che spinge
l'uomo a peccare e lo conduce alla morte. Per Paolo questa epithymia proibita da Dio, che le
contrappone una epithymia (desiderio vivo e forte) positiva, che viene dallo Spirito, che vive
nell'uomo e lo conduce alla vita. Per Giacomo la concupiscenza viene permessa da Dio, come prova,
per farci conquistare la pazienza. Per Giovanni essa l'attrazione del mondo, inteso come il grande
avversario che si oppone a Dio. Per Paolo l'uomo, seguendo lo Spirito la pu vincere e vivere. Per
Giovanni chi, per l'amore al Padre, resiste agli stimoli del mondo, vivr. La grande battaglia, quindi,
dentro l'uomo, combattuto fra la tendenza al male e la collaborazione agli inviti dello Spirito. Nel 397,
S. Agostino us per questa realt il termine di "peccato originale" e pi tardi S. Tommaso ne indic le
due componenti: la mancanza della giustizia originale, che viene cancellata dal battesimo e il
disordine nelle forze dell'anima, che permane pure dopo il battesimo. Il Concilio di Trento inser la
concupiscenza nel decreto sul peccato originale, come sfondo della dottrina sulla giustificazione.
Sottoline che la libert dell'uomo non scomparve, ma rimase danneggiata e indebolita.
Il battesimo cancella i peccati, ma non la concupiscenza che, per, non pu arrecarci alcun danno,
se noi non acconsentiamo. Con l'aiuto della grazia possiamo sempre vincerla. Essa, quindi non va
confusa col peccato, anche se pu condurre ad esso. Nei testi del Concilio Vaticano II il termine
concupiscenza ricorre una sola volta5, ma il suo contenuto si trova in alcuni passi6. Ci che conta che
la persona umana scissa e divisa in se stessa, perch l'abuso della libert ne ha oscurato il cuore e la
mente. Come inclinazione al male non viene da Dio, ma dall'errato rapporto che l'uomo stabil con lui.
L'uomo, bench rinnovato completamente in Cristo, deve sempre lottare contro il male e con la
concupiscenza che ha, in ciascuno, ampie radici. La sua origine risiede nel peccato originale
(peccatum originale originans), ma le sue radici affondano pure nei difetti e peccati delle generazioni
che ci hanno preceduto, dei nostri antenati e dei vari ambienti (persone, gruppi, strutture, istituzioni
ecc.). Infine, essa pure la conseguenza dei peccati personali di ognuno. Ogni peccato, infatti, oltre
alla colpa in s, comporta pure un danno alla nostra natura e un peggioramento dei nostri difetti.
Tutto questo, per, pu essere vinto dalla grazia e dalla collaborazione personale ad essa.
Comportando uno sforzo continuo, ci sprona a conoscerci pienamente, a sviluppare la nostra libert e a
chiedere l'aiuto degli altri. Senza tutto questo, ci rimane facile fallire. La potenza vittoriosa della
grazia, nei suoi confronti, deriva dalla benevolenza divina che accompagna continuamente il dono
53
della grazia, dalla nostra partecipazione alla natura e santit divina, dal legame fra la nostra grazia e
quella degli altri (Chiesa, comunione dei santi). La nostra forza contro di essa viene dalle fede e dalla
grazia, per cui una lotta puramente razionale o naturale contro di essa non pu avere alcun successo.
raggiunga sia l'intero universo che ogni uomo 13. Il Concilio ha confermato, quindi, che tutti possono
ottenere la salvezza e Dio pone a loro disposizione tutti i mezzi necessari (grazia e obbedienza alla
propria coscienza). Non si pronunciato, invece, sul valore delle religioni non cristiane come mezzo
salvifico, pur riconoscendo in esse elementi buoni e veri provenienti dalla luce di Cristo. Di questo
trattano alcuni recenti documenti della Commissione Teologica Internazionale14 e della
Congregazione per la Dottrina della Fede15.
1
Lumen Gentium 3.
Lumen Gentium 9.
10
11
Nostra Aetate 4.
12
Ad Gentes 3, 7.
13
14
15
Dominus Jesus: Dichiarazione circa l'unicit e l'universalit salvifica di Ges Cristo e della Chiesa (2000.
55
dottrinali valide fino ad ora e causa di separazione delle Chiese (n.1). Per la tradizione luterana la
giustificazione ha conservato tale valore (n.2). I documenti del dialogo consentono un bilancio, una
sintesi e la possibilit di potersi esprimere in modo vincolante sull'argomento (nn.3-4). La
Dichiarazione enuncia una comprensione comune della giustificazione operata dalla grazia di Dio per
mezzo della fede in Cristo. Non contiene tutto ci che ogni Chiesa insegna al riguardo, ma esprime il
consenso sulle verit fondamentali, mostrando che elaborazioni diverse non causano pi condanne
dottrinali (n.5). Non sconfessa il passato delle Chiese, ma mostra i nuovi modi di valutarlo e gli
sviluppi che esigono di esaminare da nuove angolature le questioni che dividono e le condanne (n.6).
Nelle altre parti il documento considera le componenti fondamentali della comune comprensione
della Giustificazione. Sotto i titoli espressi in linguaggio pi tecnico, si trovano i temi pi importanti:
1) incapacit e peccato dell'uomo davanti alla giustificazione; 2) giustificazione come perdono dei
peccati e azione che rende giusti; 3) giustificazione mediante la fede e la grazia; 4) l'essere peccatore
del giustificato; 5) la legge e il Vangelo; 6) la certezza della Salvezza; 7) le buone opere del
giustificato. Vi influiscono sempre le tre verit fondamentali sulle quali si raggiunto il consenso: 1)
la giustificazione un dono libero e gratuito, effuso dalla Trinit, centrato su Cristo incarnato, morto e
risorto, col quale lo Spirito Santo ci pone in relazione; 2) noi la riceviamo col dono della fede, per
mezzo dello Spirito Santo, attraverso la parola e la vita sacramentale, nella comunit dei credenti; 3) la
giustificazione al centro del messaggio evangelico, in unit organica con tutte le verit della fede,
con particolare carattere trinitario e cristocentrico. Passando alle singole parti, possiamo notare che la
prima parte riguarda il messaggio biblico della giustificazione nell'Antico e Nuovo Testamento,
sottolineando il modo comune di ascolto della Parola, che ha condotto alle nuove valutazioni.
Vangelo, e i comandamenti di Dio rimangono in vigore, Cristo esprime la volont di Dio che, per il
giustificato, norma del suo agire (n.31); riguardo alla certezza della salvezza (4.6), i credenti
possono fare affidamento sulla misericordia, le promesse efficaci di Dio, la sua grazia nella Parola e
nel sacramento ed essere certi di questa grazia (n. 34); 6) riguardo alle buone opere del giustificato
(4.7), le buone opere e la vita cristiana nella fede e nell'amore, sono le conseguenze e il frutto della
giustificazione e il dovere da assolvere dal cristiano (n.37).
La quinta parte spiega l'importanza del consenso raggiunto. Essa sottolinea che la dottrina esposta
nella Dichiarazione mostra l'esistenza di un consenso tra luterani e cattolici su verit fondamentali
della dottrina della giustificazione, che rende accettabili le differenze di linguaggio, degli sviluppi
teologici e delle accentuazioni particolari (n.40). Si pone, quindi, in continuit con l'essenziale
comprensione della giustificazione formulata nel XVI secolo, al di l degli influssi politici, sociali,
intellettuali, filosofici e teologici, che condizionavano entrambe le parti e portarono a eccessive
reazioni teologiche ed esagerata diffidenza. Inoltre le sue espressioni non cadono sotto le precedenti
reciproche condanne (n.41), che non erano infondate, ma avevano la seriet e il "significato di salutari
avvertimenti" di cui tenere conto (n.42). Il consenso raggiunto deve avere effetti e riscontri nella vita e
insegnamento delle Chiese. Infatti, la giustificazione ha avuto pure un peso nella disputa verificatasi
nella cristianit d'Occidente con le altre Comunioni originate dalla Riforma (Anglicani, e Alleanza
Mondiale delle Chiese Riformate). Si ricordano pure le questioni che richiedono ancora una
chiarificazione, per le quali l'accordo raggiunto offre una solida base: relazione fra Parola di Dio e
insegnamento della Chiesa, ecclesiologia, autorit e unit della Chiesa, ministero dei sacramenti,
relazione fra giustificazione ed etica sociale (n.43). Il passo compiuto decisivo per il superamento
della divisione e consente, con l'opera dello Spirito Santo, un avanzamento verso l'unit visibile (n.44).
E.I. Cassidy, La Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione: progressi, implicazioni, limiti,
in L'Osservatore Romano, 20.1.2000, VIII.
2
Direttorio per l'applicazione dei principi e delle norme sull'ecumenismo, Citt del Vaticano 1993.
Ci rivaluta l'analogia fidei, particolarmente importante nella dottrina cattolica che il Catechismo della
Chiesa Cattolica, cos espone: "per 'analogia della fede' intendiamo la coesione delle verit della fede tra loro e
nella totalit del progetto della Rivelazione" (n. 114).
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