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3. Se l’essere coincide col pensiero, allora l’essere è Dio, perché appunto solo
in Dio l’essere coincide col pensiero. Allora nulla esiste al di fuori di Dio, e
tutto è Dio., giacchè solo in Dio l’essere coincide col pensiero.
5. Se l’essere è l’essere pensato, non c’è un Dio altro dal pensiero dell’uomo
(extra animam, come dice S.Tommaso) e trascendente, ma Dio è il Dio-
pensato-dall’uomo. Dio è un’idea dell’uomo. Ma l’uomo produce le sue idee:
allora Dio è prodotto dell’uomo (Feuerbach)? Oppure Dio è il fondo
dell’anima (cf Eckhart)? Confusione tra interiorità (Dio in me, Agostino) e
immanentismo (Dio=io, Fichte, Hegel, modernismo).
6. Se l’essere è l’essere pensato, allora basta che io pensi una cosa perché
questa esista. Sono il creatore dell’essere.
7. Se l’essere è l’essere pensato, allora basta che esista una cosa perché io la
pensi. So tutto.
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9. Se l’essere conoscibile è per sè conosciuto, allora per me non esiste un ente
che sia solo conoscibile, ossia un ente sconosciuto, ma tutto per me è
conosciuto. Non esiste un conoscibile che non sia da me sconosciuto.
Conosco tutto. Tutto l’essere è nel mio pensiero. Tutto nel pensiero, niente
fuori del pensiero. Tutto pensato, niente pensabile. Nulla trascende
l’orizzonte del mio pensiero, nulla è al di là, ma tutto il pensabile è in mio
possesso come pensato. Di nuovo: Dio trascende questo orizzonte?
11. Se l’essere è essere conosciuto, tutto è già conosciuto. Non c’è nient’altro da
conoscere, Non ci sono forse per il nostro intelletto dei conoscibili che sono
conosciuti solo in potenza e che possono restare sconosciuti anche per
sempre? Non ci sono dei conoscibili che restanoe conoscibili senza diventare
conosciuti? E’ chiaro che ogni ente è per sé conoscibile, ed anzi è conosciuto
da Dio che lo ha creato, ma non sempre lo è per noi e soprattutto non per
questo è conosciuto, giacchè non lo abbiamo creato noi.
12. Se l’essere è essere conosciuto, allora noi non nasciamo ignoranti ma già
conoscenti. Ma ciò contrasta con la ragione, la quale ci dice che il sapere è
tratto dall’esperienza, e con la la fede, la quale ci dice che l’ignoranza è una
delle conseguenze del peccato originale.
13. Se l’essere coincide col pensato allora 100 talleri reali sono lo stesso che
100 talleri pensati. L’essenza coincide con l’esistenza.
14. Se l’essere coincide col pensato, io penserò solo i miei pensieri. Come allora
raggiungere il reale?
15. Se l’essere è l’essere pensato, non c’è distinzione fra pensare ed essere,
quindi non c’è più problema di adeguazione tra i due termini, quindi il
problema della verità scompare.
17. Se l’essere è l’essere pensato, mi chiudo nei miei pensieri e perdo il contatto
col reale. Sono sempre nell’errore. Sono prigioniero di me stesso.
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E’ vero che Tommaso, sulla scorta di Aristotele, afferma che intellectus in actu est intellectum in actu, ma solo sul
piano intenzionale della rappresentazione: l’intelletto in potenza è realmente distinto dall’intellegibile in potenza.
Dunque non vale rifarsi a questo detto per sostenere che anche in Tommaso si dà l’identità dell’essere col pensiero.
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18. Se l’essere è l’essere pensato, non ho il dovere di raggiungere un reale fuori
di me, oltre il mio pensiero: mi basta il mio pensiero già coincidente col
reale.
19. Se l’essere è l’essere pensato, ciò che mi appare è vero. Non c’è più
distinzione fra apparenza e verità.
20. Se l’essere è l’essere pensato, ciò che appare a me può contraddire ciò che
appare a te. Eppure siamo entrambi nella verità. I contradditori sono
simultaneamente veri.
21. Se l’essere è l’essere pensato, io colgo solo ciò che appare a me, non posso
sapere come è la cosa in sé. L’essere è solo un essere fenomenologico. Non
si va al di là dei fenomeni o, se vogliamo, il fenomeno non è altro che
l’essenza. Esse est quod videtur. Esse est percipi.
22. Se l’essere è l’essere pensato, non ho bisogno di una realtà fuori di me, alla
quale adeguarmi, anzi essa non esiste. La verità è data semplicemente dal
fatto che io mi adeguo con i miei pensieri. Basata che io tragga delle
conclusioni da princìpi a priori.
25. Se conoscere è conoscersi, gli altri non sono enti extramentali, ma solo dei
pensati. Io pongo il non-io nell’io (Fichte). Anche il “tu”, anche l’altro, sono
ancora io. E il tu è posto da me ed è funzionale a me. In queste condizioni
che ne è dell’amore? Amo solo me stesso?
27. Se “ogni singolo ente è cosciente di sé”, allora tutto è coscienza o meglio
autocoscienza, tutto è vita spirituale. Ma la materia non esiste?
31. Se l’essere coincide col pensiero, l’essenza (rapporto col pensiero) non si
distingue dall’esistenza (rapporto con l’ente o con l’essere). Quindi l’ente
esiste per essenza. Ma questo è Dio. E dunque tutto è Dio. L’essenza esiste
già di per se stessa: non c’è bisogno che le si aggiunga l’esistenza. Quindi
nulla è semplicemente possibile, ma tutto è attuale ed esistente.
32. Se l’essere coincide col pensiero, mi interesso solo dei mie pensieri e dei
miei giudizi, sospendo il giudizio circa l’esistenza di una cosa in sé o di un
essere extramentale, lo metto “tra parentesi”, nulla esiste in sé fuori di me o
per lo meno ne dubito, ma tutto è un semplice possibile, un’essenza da me
pensata, un fenomeno di coscienza. L’essere non è altro che il correlato di
coscienza, ciò che mi appare in coscienza. L’essere è essere di coscienza.
Nulla esiste con certezza al di fuori della coscienza. Non mi pronuncio e
quindi non m’interessa. Non posso avere altra certezza, altra scienza, che
quella dei miei pensieri.
33. Se l’essere è l’essere pensato, allora la regola della verità non è l’essere
oggettivo, ma il soggetto pensante. E’ questi che determina l’essere mediante
i suoi giudizi. Ma allora si passa dalla verità oggettiva alla verità soggettiva.
Il pensante non può, non deve essere oggettivo, perché la verità dell’essere
dipende dal suo pensiero, se l’essere è l’essere da lui pensato. Ma ciò
soddisfa il nostro bisogno di verità oggettiva? I giudizi possono essere
oggettivi o saranno sempre parziali, opinabili, soggettivi?
34. Se l’essere è l’essere pensato, il concetto non sarà più una rappresentazione
o una mediazione del reale, ma diventa l’oggetto stesso unico del pensiero.
Ma il concetto lo formiamo proprio per rappresentarci la realtà, come mezzo
intenzionale (esse intentionale, esse cognitum) per raggiungerla. Allora un
concetto che rappresenta solo se stesso a che serve? A che pro produrre
rappresentazioni che non rappresentano?
36. Se l’essere è l’essere pensato, l’essere sarà ciò che ognuno soggettivamente
pensa essere la verità. Ma quot capita, tot sententiae. Ora, affinchè ci
intendiamo nella verità, occorre un punto di riferimento, un valore certo,
oggettivo comune a tutti e indipendente da tutti, un lumen publicum, come
diceva Agostino.
38. Se l’essere è l’essere pensato, la regola morale non sarà desunta da un dato
reale oggettivo esterno (la natura umana) o dalla percezione di valori
oggettivi interiori (coscienza morale), ma coinciderà con quello che il
soggetto in assoluta autonomia, anche da Dio, decide ossia pensa che sia la
regola morale.
40. Se l’essere coincide col pensiero, allora l’atto dell’intendere non comporta
solo un’identificazione intenzionale fra intelletto e realtà mediante la
rappresentazione concettuale, ma una vera e propria identificazione reale.
Ma questa esiste solo in Dio. Allora ogni conoscente è Dio?
41. Se l’essere coincide col pensiero, tutto è pensiero e tutto è essere, e quindi
l’essere coinciderà anche col divenire, col molteplice e con la storia. Tutto
muta e tutto deve mutare. Anzi l’essere coinciderà col non-essere. I
contradditori saranno entrambi veri. Razionale e irrazionale sono la stessa
cosa.
42. Se l’essere coincide col pensiero, il reale coinciderà con l’ideale. Nessun
ideale da realizzare. Tutto è bene così com’è. Nulla può o deve cambiare.
Tutto ciò che esiste è tutto ciò che può esistere, niente di meno e niente di più
e ogni cose è connessa all’altra, in modo che se ne mancasse una, tutto
verrebbe annullato. Nulla di possibile che non sia realizzato.
43. Se l’essere coincide col pensiero, la prima certezza che ho e posso avere
non è quella di enti sensibili al di fuori di me, ma è quella del mio pensiero,
delle mie idee, anzi dell’essere assoluto o dell’essere ideale.
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44. Se l’uomo inizia il sapere con una precomprensione apriorica atematica
dell’essere (Vorgriff) come essere assoluto (Dio), condizione di possibilità
dell’esperienza sensibile, della conoscenza di sé e del mondo, allora che ne
è della dimostrazione razionale dell’esistenza di Dio in base al principio di
causalità efficiente (Rm 1,20; Sap.13,5, Conc.Vat.I, Giuramento
antimodernista “Sacrorum Antistitum” di S.Pio X)?
46. Se per sapere che Dio esiste è sufficiente alla mente umana giungere a
concepire lo ipsum esse, che bisogno c’è di giungere a quel sapere ponendo
una causa prima del mondo a partire dalla conoscenza degli effetti, come
insegna la Bibbia (per ea quae facta sunt)? Non si tratta di qualcosa di simile
all’argomento ontologico?
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R. non può qui far riferimento all’asserzione dell’Aquinate: “Omnia cognoscentia cognoscunt implicite Deum in
quolibet cognito”, De Ver.,22,2,1m, in quanto 1. Per Tommaso questa conoscenza implicita, come dice lo stesso
Aquinate nel medesimo articolo, non è ancora conoscenza di Dio, ma solo un qualcosa di simile, per similitudinem; 2.
Per Tommaso si giunge a sapere che Dio esiste non con il Vorgriff di Rahner, ma applicando il principio di causalità ai
dati dell’esperienza per analogiam, per viam eminentiae et negationis; 3. Per Tommaso non si giunge a questa
conoscenza di Dio sulla base del Vorgriff di Rahner, ma partendo dall’esperienza delle cose esterne (extra animam),
perché l’essere per Tommaso non è l’autocoscienza, ma actus entis, dove l’ente è id quod est, principaliter ut
substantia, come già insegnava Aristotele.
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50. Se l’uomo è tendenza verso Dio, chi non tende a Dio non è uomo. E gli
atei?
51. Se l’uomo è tendenza verso Dio, tutti gli uomini sono giusti, giacchè
appunto la giustizia consiste nel tendere a Dio. E dunque il peccato non
esiste. Tutti sono buoni e tutti si salvano.
52. Se l’uomo tende essenzialmente verso Dio, Dio non è oggetto di scelta, ma
termine di una tendenza naturale. E dunque il libro arbitrio non esiste. Volere
o non volere, tutti vanno in paradiso.
60. Se l’uomo tende alla vita di grazia già da sempre e sempre è in grazia,
allora che ne è del peccato originale? (Concilio di Trento)
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61. Se l’uomo determina per conto proprio liberamente la propria essenza,
allora che ne è della legge naturale stabilita da Dio? Esiste una legge morale
oggettiva e universale? Posso fare del mio corpo o di quello degli altri quel
che voglio? E l’etica sessuale? E l’etica sociale? E l’ordinamento dello Stato?
Non si cade nell’arbitrio e nel soggettivismo?
62. Se l’uomo nel momento della morte realizza l’atto supremo della libertà
e conferma per sempre la validità della propria vita terrena, e non c’è un
dopo la morte, allora il paradiso che cosa è? Tutto il destino dell’uomo si
chiude in questa terra? Secolarismo totale. Sarebbe questa la “svolta
antropologica”?
64. Se l’uomo ha origine dal fatto che la materia diventa spirito, come la
mettiamo col dogma dell’anima forma substantialis corporis (Concilio di
Viennes del 1312) e della distinzione fra spirito e corpo (Concilio
Lateranense IV del 1214)? Come si rispetta il principio di causalità che vuole
che il meno venga dal più (propter quod unumquodque et illud magis). Che
ne è della dottrina biblica dello stato edenico? Della creazione dell’anima
umana immediatamente da Dio? Dell’esclusione del poligenismo? (Pio XII).
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69. Se la creazione non è un’azione causale, ma è un fatto percepito
nell’esperienza trascendentale, per la quale, come sappiamo, l’essere si
identifica col pensiero, come si salva l’idea biblica di creazione?
72. Se Dio muta divenendo uomo, come la mettiamo col dogma di Calcedonia
che distingue le due nature inconfuse e immutabiliter? Non è forse la vecchia
eresia di Eutiche?
P.Giovanni Cavalcoli,OP