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C’è una riflessione interessante che voglio estenderVi.

Scrive un teologo:
“L’essere spezzati è generalmente una esperienza intima - è lo spezzarsi del cuore. Sebbene
molti soffrano per invalidità fisica o psichica e sebbene ci sia molta povertà e molte persone
siano senza tetto e soffrano per non poter soddisfare i loro bisogni primari, la sofferenza della
quale io sono di giorno in giorno più consapevole, è la sofferenza del cuore spezzato. Vedo
sempre di più l’immensa sofferenza provocata da relazioni spezzate, tra mariti e mogli, genitori e
figli, innamorati, amici e colleghi. (…) Nel mondo occidentale, la sofferenza che sembra essere la
più dolorosa, è quella del sentirsi rifiutati, ignorati, disprezzati e lasciati soli. Nella mia
comunità, ci sono molti uomini e donne gravemente handicappati, ma la più grande sorgente di
sofferenza non è l'handicap in quanto tale, ma la sensazione di essere inutili, indegni, incompresi
e non amati. È molto più facile accettare l'incapacità a parlare, camminare o nutrirsi da soli, che
accettare l'incapacità ad avere un valore speciale per un' altra persona. Noi esseri umani
possiamo soffrire immense privazioni con grande forza, ma quando sentiamo di non avere più
qualcosa da offrire agli altri, abbandoniamo presto la nostra presa sulla vita. Sappiamo
istintivamente che la gioia di vivere dipende dal come viviamo insieme e che i dolori dell'
esistenza provengono dai molti modi in cui non riusciamo a farlo bene. ….. È proprio in questo
desiderio di comunione che noi sperimentiamo tanta angoscia. La nostra società è così
frammentata, le nostre famiglie vivono così divise da distanze fisiche e emotive, le nostre
amicizie sono così sporadiche, le nostre intimità così "cose tra le altre" e spesso così utilitari-
stiche, che esistono pochi posti dove possiamo sentirci realmente al sicuro. Noto in me stesso
quanto spesso il mio corpo è teso, come di solito tengo la guardia alta e quanto di rado provo
realmente la sensazione di sentirmi a casa. Non mi sorprende che il mio corpo urli dal desiderio
di ricevere un piccolo segno di attenzione e un abbraccio rassicurante. Quando ogni cosa di noi
sovreccita e acuisce i nostri sensi e quando quello che ci è offerto, per il soddisfacimento dei
nostri bisogni più profondi, ha di solito un carattere leggermente seduttore, non c'è da
meravigliarsi se siamo tormentati da pazze fantasticherie, da sogni agitati e da sentimenti e
pensieri perturbati. È dove siamo più bisognosi e vulnerabili che più sperimentiamo il nostro
essere spezzati.”

Altra considerazione interessante è quella di Vanier


La solitudine, unica strada per imparare ad amare nella libertà
La sofferenza della solitudine è un’angoscia insita nella nostra umanità, poiché nulla
nella nostra esistenza può soddisfare completamente le esigenze del cuore umano.
J. Vanier, Abbracciamo la nostra umanità

Come vivi le relazioni ?


Il più delle volte facciamo esperienza di come, non solo gli adolescenti, ma anche noi,
viviamo le relazioni, soprattutto quelle più significative, come una “soluzione definitiva”
alle nostre angosce: la persona che mi ama mi libererà per sempre dal senso di
isolamento e solitudine che resta nascosto nel mio cuore e che nei momenti peggiori mi
butta a terra.
Quante volte PENSI CHE SIA BENE comportarsi in maniera appariscente solo per
conquistarsi qualche simpatia, o cambiare atteggiamento per sentirsi più inseriti nel
gruppo, o morire dalla voglia di avere un ragazzo/a per sentirsi finalmente “a posto”.
Tutti noi (e in particolare gli adolescenti che vivono in un ancora maggiore stato di
insicurezza) non accettiamo lo stato di solitudine insito nell’animo umano e cerchiamo
di colmare questo vuoto con le aspettative che riponiamo nelle relazioni.
Ma queste aspettative non saranno mai risolte, fintanto che non sapremo accettare e
apprezzare la solitudine come condizione imprescindibile per imparare ad amare.

H. J. M. Nouwen, Viaggio spirituale per l’uomo contemporaneo. Il teologo in queste


pagine spiega la necessità di passare da uno stato di isolamento a una solitudine
ricettiva.
“Nel mondo in cui viviamo c'è molta sofferenza mentale. Ma una parte di essa è un soffrire per
un motivo che è errato perché generato dalla falsa aspettativa di essere chiamati a toglierci l'un
l'altro dall'isolamento. Quando il senso di isolamento ci trascina lontano da noi stessi, nelle
braccia dei nostri compagni di esistenza, ci gettiamo, in realtà, in balia di rapporti tormentosi,
di amicizie faticose, di abbracci soffocanti. L'attendere momenti o luoghi dove non esista dolore,
non si senta la separazione ed in cui l'irrequietudine umana si sia trasformata in pace interiore è
un attendere un mondo irreale. Nessun amico, nessun amante, nessun marito, nessuna moglie,
nessuna comunità potranno mai acquietare la nostra brama più profonda di unità e
completezza. E opprimendo gli altri con queste aspettative divine, di cui noi stessi siamo sovente
consapevoli solo in parte, rischiamo di inibire l'espressione di libera amicizia e di amore evocando
invece dei sentimenti di inadeguatezza e di debolezza. Amicizia ed amore non possono
svilupparsi in forma di ansioso attaccamento reciproco. Essi vogliono un dolce spazio privo di
trepidazioni dove l'uno e l'altro possono muoversi in entrambe le direzioni. Fino a quando il
senso di isolamento ci unirà nella speranza che insieme non saremo più soli, ci puniremo a
vicenda per mezzo dei nostri desideri inappagati e non realistici di unità, di tranquillità
interiore e con l'esperienza ininterrotta della comunione.
Sorprende veramente vedere come uomini e donne, dopo avere avuto rapporti difficili con i
genitori, con fratelli e sorelle, possano gettarsi ciecamente in preda a relazioni di grande portata,
sperando che da quel momento in poi le cose cambieranno completamente. Tuttavia, potremmo
chiederci se i conflitti e i litigi, le accuse e le recriminazioni, i momenti di collera espressa e
repressa, le gelosie confesse e non confesse, che tanta spesso costituiscano parte di queste
relazioni precipitose, non abbiano la loro radice nella pretesa illusoria di ciascuno dei due di
togliere all'altro il senso di isolamento.
In realtà, sembra proprio che il desiderio di una «soluzione definitiva» sia spesso alla base della
violenza distruttiva che entra nell'intimità degli incontri umani. Per lo più tale violenza è violenza
di pensiero che viola la mente con il sospetto, con maldicenze interne o con fantasie di vendetta.
A volte è violenza di parole, che disturba la pace con rimproveri e lagnanze e che ogni tanto
assume la forma pericolosa di azione nociva.
In un periodo in cui si dà tanta importanza alla sensitività interpersonale, in cui siamo spronati ad
esplorare le nostre capacità di comunicazione, a sperimentare molte forme di contatto fisico,
mentale ed emotivo, talvolta siamo tentati a credere che il nostro senso di isolamento e di
tristezza sia solamente un segno di mancanza di mutua franchezza. Tuttavia, la vera franchezza
reciproca implica anche una chiusura concreta, perché soltanto colui che sa tenere un segreto
potrà sicuramente spartire la propria conoscenza. Se non proteggeremo con molta cura il nostro
intimo mistero non saremo mai capaci di formare una comunità. È questo mistero intimo che ci
attrae l'un l'altro e ci permette di fondare amicizie e di sviluppare rapporti d'amore duraturo.
Un rapporto intimo fra persone esige non solo franchezza reciproca ma anche una mutua
protezione, rispettosa dell'unicità di ognuno.

C'è una forma ingannevole di onestà che suggerisce che nulla dovrebbe rimanere segreto e che
tutto dovrebbe essere detto, espresso e comunicato. Tale onestà può essere assai dannosa e, se
non nuoce, può rendere un rapporto piatto, superficiale, vuoto e sovente molta noioso. Se
cerchiamo di scuoterci dall'isolamento creando un ambiente senza recinti limitativi, possiamo
essere sommersi da un'afosità stagnante. La nostra vocazione è quella di impedire l’esposizione
dannosa del nostro santuario intimo, non solo per proteggere noi stessi ma anche per servire i
fratelli con cui vogliamo entrare in comunicazione creativa. Come le parole perdono forza se non
sono generate dal silenzio, l’apertura perde significato se manca la capacità di essere chiusi. […]
L'esperienza personale insegnò a Merton che la solitudine non approfondisce soltanto il nostro
affetto per gli altri ma è anche il luogo dove diviene possibile una comunità reale. Anche se
Merton stesso visse da monaco, prima in una comunità monastica e poi in un eremo, risulta
chiaro, da questo e da altri suoi scritti, che ciò che conta per lui non è la solitudine fisica, bensì
quella del cuore.
Senza la solitudine del cuore l'intimità dell'amicizia, del matrimonio e della vita comunitaria non
può essere creativa. Senza la solitudine del cuore, nei nostri rapporti con gli altri noi saremo
poveri ed avidi, viscidi e soffocanti, dipendenti e sentimentali, sfruttatori e parassiti, perché
senza la solitudine di cuore non potremo percepire gli altri come diversi da noi stessi ma solo
come persone da usare per il soddisfacimento dei nostri bisogni personali, spesso celati.
Il mistero dell'amore consiste nel fatto che esso protegge e rispetta la «solitarietà» dell'altro,
creando lo spazio libero in cui egli può convertire l'isolamento in una solitudine da spartire.
In quella solitudine ci si rafforza a vicenda per mezzo di un mutuo rispetto, di una considerazione
sollecita delle rispettive individualità, di una lontananza rispondente alle reciproche intimità e di
una comprensione riverente della sacralità del cuore umano. In tale solitudine ci si infonde l'un
l'altro il coraggio necessario per scendere nel silenzio dell'intimo dove si scoprirà la voce di Dio
che chiama ad una nuova comunione, al di là dei confini dell'umana socievolezza familiare. In tale
solitudine si acquista pian piano coscienza della presenza di Colui che stringe in un abbraccio
unico amici ed amanti, ed offre la libertà di amarsi l'un l'altro, perché «egli ci ha amati per
primo»”.
Con tutto l'essere, con tutte le forze, raccolte intorno al loro cuore solitario,
angosciato, che batte verso l'alto, devono imparare ad amare. (R.M. Rilke)
Il testo di Rilke, tratto da Lettere a un giovane poeta, sembra proprio rivolto a noi
educatori. Ci pone di fronte all’inesperienza degli adolescenti nell’amare, di fronte al
loro impetuoso buttarsi e appigliarsi alle relazioni, mettendoci anche in guardia dalle
convenzioni del mondo, che vorrebbe sempre farci preferire la strada più semplice e a
buon mercato.
“(…) E non dovete lasciarvi sviare nella vostra solitudine perché qualcosa dentro di voi desidera
uscirne. Appunto questo desiderio, se l'userete in modo calmo e ponderato e come uno
strumento, vi aiuterà ad ampliare la vostra solitudine su vasto paese. La gente (con l'aiuto di
convenzioni) ha dissoluto tutto in facilità e della facilità nella più facile china; ma è chiaro che noi
ci dobbiamo tenere al difficile; ogni cosa vivente ci si tiene, tutto nella natura cresce e si difende
alla sua maniera ed è una cosa distinta per sua virtù dall'interno, tenta d'essere se stessa ad ogni
costo e contro ogni resistenza. Poco noi sappiamo, ma che ci dobbiamo tenere al difficile è una
certezza che non ci abbandonerà; è bene essere soli perché la solitudine è difficile; che alcuna
cosa sia difficile dev'essere una ragione di più per attuarla.
Anche amare è bene: ché l'amore è difficile. Voler bene da uomo a uomo: questo è forse il più
difficile compito che ci sia imposto, l'estremo, l'ultima prova e testimonianza, il lavoro, per cui
ogni altro lavoro è solo preparazione. Perciò i giovani, che sono principianti in tutto, non sanno
ancora amare: devono imparare. Con tutto l'essere, con tutte le forze, raccolte intorno al loro
cuore solitario, angosciato, che batte verso l'alto, devono imparare ad amare. Ma il tempo
dell'apprendere è sempre un tempo lungo, di clausura, e così amare è, per lungo spazio e
ampio fino entro il cuore della vita, solitudine, più intensa e approfondita solitudine per colui
che ama. Amare anzitutto non vuol dire schiudersi, donare e unirsi con un altro (che sarebbe
infatti l'unione di un elemento indistinto, immaturo, non ancora libero?), amare è un'angusta
occasione per il singolo di maturare, di diventare in sé qualche cosa, diventare mondo, un
mondo per sé in grazia d'un altro, è una grande immodesta istanza che gli vien posta, qualcosa
che lo elegge, e lo chiama a un'ampia distesa. Solo in questo senso, quale comandamento di
lavorare a sé (« di origliare e martellare giorno e notte »), giovani creature potrebbero usare
l'amore, che vien loro dato. Espandersi e offrire ogni sorta di comunione non è per esse, che
ancora a lungo, a lungo devono risparmiare e accumulare; è il coronamento, è forse quello, per
cui vite di uomini oggi non bastano ancora. In questo però i giovani errano così spesso e così
gravemente: che essi (nella cui natura è di non aver alcuna pazienza) si gettano l'uno verso
l'altro, quando amore li assale, si spandono, come sono, in tutta la loro torbidezza, disordine,
confusione... Ma che deve allora accadere? Che deve fare la vita di questo cumulo di frantumi,
ch'essi chiamano la loro comunione e ch'essi chiamerebbero volentieri la loro felicità e il loro
futuro? Allora ognuno si perde per l'altro e perde l'altro e molti altri, che ancora volevano
venire. E perde le distese e le possibilità, scambia l'avvento e lo svanire di sommesse cose piene
di presentimento contro un'infruttuosa perplessità, da cui più nulla può venire; null'altro che un
poco di nausea, delusione e povertà e il salvataggio in una delle molte convenzioni, che vengono
disposte come rifugi comuni in gran numero lungo questa pericolosissima via. Nessun dominio di
esperienza umana è così provvisto di convenzioni come questo; cinture di salvataggio della più
diversa fantasia, battelli e vesciche natatorie sono lì disponibili; ripari d'ogni genere ha saputo
costruire l'intendimento sociale, perché - com'era incline a prendere la vita dell'amore come un
piacere - doveva anche produrla facile, a buon mercato, senza rischi e sicura come sono i pubblici
svaghi.
Certo molti giovani che amano erroneamente, cioè con semplici effusioni, senza solitudine (la
media s'atterrà sempre a questa via -) sentono il peso di una vocazione sbagliata e anche
vogliono rendere vitale e fruttuoso a modo loro lo stato in cui sono capitati; ché la loro natura
dice loro che le domande dell'amore, ancora meno che tutto il resto che abbia qualche
importanza, possono essere risolte pubblicamente e secondo questa o quella transazione; che
sono domande, domande urgenti da essere a essere, che hanno bisogno di una risposta in ogni
caso, particolare, solo personale. Ma come potrebbero essi, che già si sono confusi insieme e
non si delimitano e distinguono più, che non possiedono dunque più nulla di proprio, trovare
una via di uscita nel profondo di se stessi, della solitudine già franata?
Agiscono per comune sgomento, e capitano, quando vogliano evitare, con la migliore volontà, la
convenzione che gli si para innanzi (p. e. il matrimonio), nella rete di una soluzione, meno
rumorosa ma ugualmente mortale e convenzionale; ché allora ormai, intorno ad essi tutto è
convenzione; là dove si agisce da una comunanza prematuramente confluita, torbida, ogni azione
è convenzionale: ogni relazione a cui porti questo smarrimento, ha la sua convenzione per
quanto inusitata (cioè, nel senso corrente, immorale); anche la separazione sarebbe allora un
passo convenzionale, un'impersonale decisione casuale, senza forza e senza frutto.
(…) E questo più umano amore (che si compirà infinitamente attento e sommesso, e buono e
chiaro nel legare e nello sciogliere) somiglierà a quello che noi con lotta faticosa prepariamo,
all'amore che in questo consiste, che due solitudini si custodiscano, delimitino e salutino a
vicenda”.
Cantate insieme e danzate e siate allegri, ma che ciascuno sia solo. (K. Gibran)
Questo testo tratto da Il profeta ci ricorda di come sia necessario, in un rapporto di
coppia, curare la propria crescita, il cammino personale di ognuno, i propri spazi. Non si
tratta di pretendere per sé più libertà, ma di saperla offrire all’altro.
Allora Almitra parlò di nuovo e disse: Che cosa puoi dirci del Matrimonio, maestro?...
Ed egli rispose, dicendo:
Voi siete nati insieme, e dovrete sempre stare insieme.
Starete insieme quando le bianche ali della morte disperderanno i vostri giorni.
Sì, starete insieme anche nella memoria silenziosa di Dio.
Ma che ci siano spazi nel vostro stare insieme,
E che i venti del cielo danzino tra di voi.
Amatevi vicendevolmente, ma il vostro amore non sia una prigione:
Lasciate piuttosto un mare ondoso tra le due sponde delle vostre anime.
Riempitevi la coppa uno con l'altro, ma non bevete da una sola coppa.
Scambiatevi a vicenda il vostro pane, ma non mangiate dallo stesso pane.
Cantate insieme e danzate e siate allegri, ma che ciascuno sia solo.
Come le corde di un liuto, che sono sole, anche se vibrano per la stessa musica.
Datevi il vostro cuore, ma non lo date in custodia uno dell'altro.
Perché solo la mano della Vita può contenere i vostri cuori.
E state insieme ma non troppo vicini:
Poiché le colonne del tempio sono distanziate,
E la quercia e il cipresso non crescono l'una all'ombra dell'altro.
Quello che si celava dietro i miei occasionali turbamenti emotivi era sempre un
desiderio di intimità (…). Più che una passione sessuale, penso che la maggior parte
degli esseri umani cerchi un’intimità. (T. Radcliffe)
Quest’ultimo testo di Timothy Radcliffe, Amare nella libertà, è pensato in particolare per
i GIOVANI . Affronta il tema del desiderio di una intimità totale come principale
“sintomo” di paura della solitudine. Ma per crescere nell’amore dobbiamo accettare le
nostre “limitazioni all’intimità” e rispettare lo spazio di solitudine che circonda me
stesso e le persone che amo.

“Suppongo che tutti noi abbiamo conosciuto quei momenti di ossessione quando qualcuno
diventa l’oggetto di tutti i nostri desideri, il simbolo di tutto ciò che abbiamo sempre desiderato,
la risposta a tutti i nostri bisogni. Se non arriviamo a essere uno con quella persona ci sembra che
la nostra vita sia vuota e priva di significato. L’oggetto del nostro amore ricolma quel pozzo
profondo di bisogni che scopriamo in noi. Ci pensiamo tutto il giorno. Shakespeare ha saputo
esprimere molto bene questa situazione: “Il corpo il giorno e a notte la seguace mente, per te e
per me, non trova pace”. O, in termini un po’ più moderni, il volto della persona amata diventa un
po’ come il salva schermo del nostro computer. Nel momento in cui si smette di pensare a
qualcos’altro, eccolo! È come una prigione, una schiavitù, ma una schiavitù alla quale non
vogliamo sottrarci... Divinizziamo la persona amata, la mettiamo al posto di Dio. Evidentemente
quello che noi adoriamo è un qualcosa che siamo stati noi a creare, una proiezione. Forse ogni
amore passa attraverso questa fase di ossessione insensata. L’unico rimedio è vivere con la
persona amata giorno per giorno, e scoprire che essa non è Dio, ma soltanto un suo figlio.
L’amore comincia quando siamo guariti da questa illusione e ci troviamo faccia a faccia con una
persona reale e non con una proiezione dei nostri desideri. Come afferma il poeta messicano
Octavio Paz: “L’amore rivela la realtà al desiderio”. Infatti che cosa cerchiamo in tutto questo?
Cos’è che provoca questa ossessione? Posso parlare solo per me, ma direi che quello che si
celava dietro i miei occasionali turbamenti emotivi era sempre un desiderio di intimità: il
desiderio di essere interamente uno con l’altro, di far scomparire le frontiere tra me e un’altra
persona, di perdermi in essa, di giungere a una comunione pura e totale. Più che una passione
sessuale, penso che la maggior parte degli esseri umani cerchi un’intimità. Se dobbiamo passare
attraverso delle crisi di affettività, ci è necessario riconoscere il nostro bisogno di intimità.
La nostra società è costruita intorno al mito dell’unione sessuale come culmine dell’intimità.
Questo momento di tenerezza e di unione fisica totale è quello che ci porta all’intimità totale e
alla comunione assoluta. Molta gente non ha questa intimità perché non vive una situazione
matrimoniale, o perché si tratta di coppie non felici, o perché sono religiosi o sacerdoti. E
possiamo sentirci esclusi ingiustamente da quella che è la nostra necessità più profonda. Ci
sembra ingiusto! Come può escluderci Dio da questo desiderio profondo? Credo che ogni essere
umano, sposato o single, religioso o laico, deve accettare le limitazioni all’intimità che può
conoscere al momento. Il sogno di comunione piena è un mito che porta alcuni religiosi a
desiderare di essere sposati e molti sposati a desiderare di stare con una persona diversa.
L’intimità vera e felice è possibile solo se ne accettiamo i limiti. Possiamo proiettare nelle coppie
di sposati un’intimità totale e meravigliosa, che è impossibile, ma che è la proiezione di nostri
sogni. Il poeta Rilke capì che non si può avere vera intimità all’interno di una coppia fino a
quando non ci si rende conto che in qualche modo si rimane soli. Ogni essere umano conserva
solitudine, uno spazio intorno che non può essere eliminato: “Un buon matrimonio è quello in
cui ognuno dei due nomina l’altro guardiano della propria solitudine, e gli mostra fiducia, la più
grande possibile... Una volta che si accetta che anche fra gli esseri umani più vicini continua ad
esistere una distanza infinita, può crescere una forma meravigliosa di vivere uno a fianco all’altro
se si riesce ad amare quella distanza che permette ad ognuno di vedere nella totalità il profilo
dell’altro stagliato contro un ampio cielo” .
Certamente nessuna persona può offrirci quella pienezza di realizzazione che desideriamo. Ciò si
trova solamente in Dio. Rowan Williams, Arcivescovo di Canterbury e uomo sposato, ha scritto:
«L’io diventa adulto e verace confrontandosi col carattere incurabile del suo desiderio: il mondo
è siffatto che nessuna cosa concederà all’io un’identità colma e completa». O, per citare Jean
Vanier, «La solitudine è parte dell’essere umano, perché non esiste niente che possa riempire
completamente le necessità del cuore umano». Per gli sposati è possibile una meravigliosa
intimità se, come dice Rilke, si accetta che siamo guardiani della solitudine dell’altra persona. E
quelli di noi che sono single o celibi, possono anche scoprire un’intimità con gli altri
profondamente bella. Intimità viene dal latino intimare, che significa stare in contatto con la
parte più interna di un’altra persona. In quanto religioso, il mio voto di castità mi rende possibile
essere incredibilmente intimo con altre persone. Il fatto di non avere intenzioni recondite, e il
mio amore non dovrebbe essere divoratore o possessivo, fa sì che io possa avvicinarmi
moltissimo al fondo della vita della gente”.

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