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Carla Canullo, Mistero e Trinit ne L'essenza del cristianesimo di Ludwig Feuerbach (Elaborare l'esperienza di Dio)

25/03/14 23:18

Mistero e Trinit ne L'essenza del cristianesimo di Ludwig Feuerbach


di Carla Canullo (Roma, 26-28 maggio 2011)

1. La teologia e Feuerbach
Nel saggio che introduce la traduzione italiana de L'essenza del cristianesimo di Feuerbach (traduzione condotta sulla prima
edizione dell'opera), Francesco Tomasoni ricostruisce la recezione dell'opera feuerbachiana da parte della teologia e l'apporto
che tale opera ha dato nei riguardi di quest'ultima.[1] A queste pagine rinviamo per la puntuale ricostruzione di questa galassia,
rinvio che non riguarda, per, un giudizio inaggirabile quando s'incontra l'opera del filosofo tedesco, ossia il giudizio di Karl
Barth.
Non sfugge al teologo l'amore di Feuerbach per la teologia, amore che per definisce "infelice",[2] rimarcando come la
posizione antiteologica di Feuerbach fosse altrettanto teologica che quella di molti teologi; infatti [...] egli intese proporre
un'antitesi filosofica ad ogni teologia, non meglio fondata che la teologia stessa.[3] E prosegue:
La dottrina di Feuerbach fu essenzialmente un richiamo, un appello, un annunzio. [...] Questa posizione e questa vocazione lo
accostano umanamente a noi; perci in ultima analisi la sua antiteologia costituisce una possibilit cos notevole in seno alla
problematica della nuova teologia, una possibilit che illumina cos bene tutte le altre, da farci trovare qualcosa di teologicamente
decisivo.[4]

L'appello di Feuerbach alla conversione dalla menzogna alla verit, dalla religione fittizia per dare all'uomo ci che gli spetta,
il suo vivere nella carne e nel sangue, quella concretezza carnale e vivente usurpatagli dalla teologia ma anche dalla filosofia di
Kant e Hegel. Concretezza che per Feuerbach non avrebbe totalmente pensato, ch l'essenza dell'uomo ancora troppo
astratta, troppo ideale, troppo lontana dalla realt concreta,[5] n nella sua opera il male e la morte hanno il giusto peso. Alla
seconda obiezione ha risposto, in Italia, Alberto Caracciolo, obiezione che soprattutto filosofica e non teologica; la prima,
l'astrattezza dell'essenza dell'uomo, fu invece gi mossa da Max Stirner, la cui obiezione da Barth condivisa quando rileva che
Stirner ha fatto un decisivo passo pi innanzi di Feuerbach[6] con la sua enfasi sul singolo (parola che lo inscrive a pieno titolo
nel suo tempo). Tuttavia, rimarca ancora Barth, neppure il suolo guadagnato da Stirner del tutto oltre Feuerbach; lo critica ma
non lo supera:
Se il discorso sull'essenza dell'uomo dev'essere inteso come un'ultima illusione pretesca, se ogni volta sono io il vero uomo a cui nessun
tu umano pu togliere il peso della sua esistenza come singolo, anzi se sono io colui a cui viene accollato questo peso attraverso il tu
umano, allora scompare la via dell'uomo divino di Feuerbach e quella verso il "singolo" di Stirner; allora diventa possibile capire che
Dio non pu identificarsi con l'uomo.[7]

"Dio non pu identificarsi con l'uomo": solo il ribadire questa differenza radicale, che rimarca l'insolenza di ogni "teologia
dell'identit" (anche rovesciata, come ha fatto Feuerbach, nella verit antropologica della teologia), pu offrire terreno per la
critica al filosofo tedesco. Altrimenti, non si ha motivo di criticare Feuerbach: noi siamo insieme a lui "veri figli del suo
secolo".[8]
Che egli non voglia intonare altro da un Magnificat: questo un altro motivo del complesso giudizio di Barth. Che la negazione
di un'essenza divina astratta, distinta dalla natura e dall'uomo[9] sia soltanto il rovescio dell'affermazione dell'essenza di Dio
quale vera essenza dell'uomo[10]: questo il cammino di Feuerbach, preso dall'interesse che Dio esista in quanto tale interesse
coincide totalmente con quello che io esista, eternamente. Dio la mia essenza celata, certa, in quanto sono membro della
specie umana;[11] Egli, scrive ancora Barth, voleva che l'al di l di Dio si trasferisse nell'al di qua dell'uomo.[12] Il che,
tuttavia, poteva anche significare una negazione dell'al di l di Dio, e perci di Dio stesso,[13] sebbene anche negare o
ignorare il rapporto dell'al di l di Dio con l'al di qua dell'uomo potrebbe [...] significare una negazione di Dio; proprio un
idealismo e uno spiritualismo unilaterali potrebbero indurre, in una forma particolarmente pericolosa, a sospettare la dottrina di
Dio quale umana illusione.[14] Dal che Barth conclude: Ci si domanda se ci che corrisponde a Dio non sia effettivamente
quell'uomo integrale, anima e corpo, dal quale manifestamente Feuerbach voleva parlare,[15] sebbene l'obiezione da lui mossa e
da noi prima detta non perda affatto vigore.[16]
Innegabile quanto queste affermazioni , tuttavia, anche l'ombra che s'estende dalla lettura barthiana di Feuerbach, ombra critica
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e nota, non sfuggita ai lettori italiani, tra i quali ricordiamo Ugo Perone e Alberto Caracciolo.[17] Quest'ultimo rimarcava la
declinazione negativa dell'"evidenza impareggiabile" che Barth rilevava in Feuerbach, ossia quell'ovviet cui si riduce ogni
interpretazione dell'esperienza religiosa metro e misura della quale l'uomo, che da tali interpretazioni fatto contenuto,
origine e fine del valore[18] e dalle quali consegue la legittimit e la garanzia dell'esistenza umana dei suoi bisogni, dei suoi
desideri e dei suoi ideali.[19] Questo, prosegue Barth, ci che di ovvio c' in lui e da ci deriva l'evidenza della sua
interpretazione della religione.[20] E, di poi, la critica di Ehrenberg, gi accennata: il misconoscimento, da parte di un
Feuerbach in ci pienamente figlio del suo secolo, del male e della morte.[21] Critica non del tutto condivisa da Caracciolo, che
mette in luce come nel filosofo tedesco un certo qual pensiero della morte vi sia, pur restando ignorato il male.[22]
Che cosa rimane, oggi, di questo dibattito? Forse, resta ancora attuale il giudizio con il quale Ugo Perone concludeva la
Premessa all'opera dedicata a Feuerbach, dove rifiutando di risolvere le contraddizioni interne alla sua opera, le indicava come
significative e feconde per i problemi che pose e continua a porre al pensiero teologico contemporaneo.[23]
Perone sostiene fondatamente che taluni teologi del XX secolo abbiano tentato, implicitamente o esplicitamente, una risposta al
dilemma di Feuerbach,[24] un dilemma che individua nella compresenza di complementariet ed esclusione dei termini
costituenti il plesso uomo-Dio. Ovvero: Feuerbach, non volendo perdere n la complementariet uomo-Dio, n l'esclusione, ha
finito per far valere contro la complementariet l'esclusione (il vero volto di Dio un volto umano, e l'uomo il vero Dio) .[25]
Totalmente condivisibile , a nostro avviso, la conclusione cui giunge Perone e che segue immediatamente le righe appena citate:
di qui che la sua negazione di Dio ha origine, ma di qui anche che si pu trarre [...] il suo contributo positivo alla problematica
religiosa successiva. Ci non pu avvenire, ovviamente, con un puro capovolgimento di Feuerbach, ma con un'analisi pi approfondita
dell'alternativa che egli propone. [...] Il suo contributo sta nell'aver tentato di mantenere contemporaneamente i due termini di
complementariet ed esclusione anche se questo culminato, da un punto di vista cristiano, in un fallimento. Una riflessione su questo
problema pu suggerire [...] sviluppi interessanti. Non si tratta infatti di pensare l'esclusione a partire dalla complementariet, perch
questa posizione culmina evidentemente nell'ateismo. Proprio perch Dio Dio e non uomo, possibile e si d un rapporto uomo-Dio.
La loro complementariet non necessaria ma possibile, il loro rapporto non fatto ma dono, la consapevolezza di tale rapporto non
scienza ma fede.[26]

Sulla tensione del dilemma suddetto torna la conclusione dello studio di Perone, il quale, dopo aver rimarcato che la filosofia di
Feuerbach non si lascia restringere nello schema di un ateismo puramente negativo ch dietro la negazione di Dio
l'affermazione dell'uomo, dietro l'ateismo l'antropologia,[27] scrive:
L'antropologia che nasce da questa negazione non un'antropologia della finitezza che dichiara Dio escluso dal mondo, ma
un'antropologia innamorata dell'infinito che dichiara la necessit di sopprimere Dio per salvare l'uomo e la storia. L'istanza di
Feuerbach [...] suggerisce al tempo stesso la complementariet di Dio e uomo e la loro reciproca esclusione. La complementariet:
parlare di Dio significa parlare dell'uomo, come parlare dell'uomo significa parlare di Dio. Il contenuto della religione umano, ma
l'umanit dell'uomo la sua divinit, il suo desiderio infinito, il suo amore illimitato, la sua coscienza di un genere che lo supera. [...]
L'esclusione: attribuire qualcosa a Dio significa toglierlo dall'uomo [...] . L'alternativa tra Dio e uomo si fa perci drammatica: o Dio o
l'uomo, o Dio o il mondo, o Dio o la natura. Sopprimere Dio non quindi tanto la conseguenza della constatazione di un errore
dell'umanit [...] quanto piuttosto l'impegno per restituire dignit all'esistenza.[28]

La teologia ha ricevuto da Feuerbach l'eredit di un dilemma sul quale ha meditato in modo diverso, e Karl Barth e Rudolph
Bultmann, ma anche Friedrich Gogarten e Dietrich Bonhoeffer, hanno a loro modo risposto alla provocazione. Ma non la loro
teologia a essere in questione in queste pagine: a essere interrogato invece il pensiero di Feuerbach sulla religione,[29]
limitatamente a un tema specifico, la Trinit e il "suo" mistero, verificando l'indicazione di Perone circa la complementariet di
Dio-uomo e non la loro esclusione. Complementariet annunciata in un'antropologia della finitezza innamorata dell'infinito.
Quale finito e quale infinito, tuttavia? Sar la prima questione specificamente feuerbachiana con la quale ci confronteremo,
seguendo la nostra domanda-guida che formuliamo in forma di riassunto di quanto fino a ora emerso.
***
L'"amore infelice" di Feuerbach per la teologia, giustamente rilevato da Barth, la critica di Caracciolo a Barth sino alla tensione
in forma di dilemma complementariet-esclusione di Dio e uomo, potrebbero essere fissate da questa nota e lapidaria sintesi
feuerbachiana: La religione l'inconsapevole autocoscienza dell'uomo e, in negativo (e dunque secondo la tesi che Feuerbach
intende superare): Dio non ci che l'uomo -- l'uomo non ci che Dio.[30] Nostra ipotesi sar, nel questionamento della
disamina della Trinit feuerbachiana, il senso del non; ovvero, proseguendo il discorso di Ugo Perone, ci domandiamo se la non
esclusione triviale di Dio possa essere letta nei termini di una distanza tra Dio e uomo che mantiene la loro tensione contro una
teologia speculativa e razionale che li salda. Che Dio e uomo siano distanti significa che non sono prendibili nel cerchio stretto
del (medesimo) pensiero e significa anche che il reciproco "non" essere l'uno l'altro ("Dio non ci che l'uomo e l'uomo non
ci che Dio") non il "non" della nullit e dell'esclusione. Si tratta invece di un "non" complementare perch distanza e non
escludente.
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Saldando Dio e uomo, la teologia razionale non lascia alternative altre dalla reciproca esclusione e fallisce perch non tiene
conto della distanza[31] nella quale Dio e l'uomo si collocano. Dal pensiero dell'infinito che accade nel finito (uomo) s'annuncia,
invece, una distanza destinata a lasciare irrisolta, sempre, la tensione tra i due termini, e ci nel metodo stesso applicato. Come
Luigi Pareyson ha efficacemente messo in luce e Perone ha ripreso,[32] Feuerbach ha rovesciato l'hegelismo proponendo
l'umanizzazione della filosofia, combattendo l'astrattezza del sistema nel quale il concreto e la vita non hanno posto,
capovolgendo la conciliazione hegeliana di essere e pensiero e quella di finito e infinito.[33] di questo rovesciamento che
Pareyson d una lettura che coglie efficacemente il cuore della filosofia feuerbachiana in opposizione al sistema hegeliano che
avrebbe, nel suo implicito teocentrismo, negato il finito nell'infinito. Viceversa,
bisogna capovolgere il teocentrismo hegeliano, cio conciliare finito e infinito dal punto di vista del finito. Il finito la vera realt
dell'infinito, non nel senso che l'infinito si realizzi soltanto nel finito, ma nel senso che lo stesso finito l'infinito; [...] la vera sostanza
non pi l'infinito che si manifesta concretamente solo nell'apparenza del finito, ma il finito stesso che, pur mantenendo i suoi
caratteri di finitezza, ha anche la qualit dell'infinito.[34]

Tale rovesciamento, proprio nel rapporto tra finito e infinito, , a nostro avviso, duplice: oltre ad essere tematico, rovesciando i
temi hegeliani con l'offrire punti di partenza diversi da quelli del sistema hegeliano, anche specificamente filosofico, portando
alla luce una qualit nuova del finito. Questa nuova qualit il rovescio non visto n colto dal sistema che, rappresentando, non
coglie ci che si sottrae alla rappresentazione stessa. qui, in questo rovescio, che pu, forse, insinuarsi quella distanza che
sfugge al pensiero speculativo; quella distanza nella quale accade la qualit dell'infinito nel finito.

2. Finito/ infinito: il cerchio e l'ellisse


Il cerchio il simbolo, lo stemma della filosofia speculativa, del pensiero che si richiama soltanto a se stesso -- anche la
filosofia hegeliana , come noto, un circolo di circoli [...]: l'ellisse invece il simbolo, lo stemma della filosofia sensibile, del
pensiero che si richiama all'intuizione.[35] Entrambe le filosofie (l'hegeliana e la feuerbachiana) sono rappresentabili in figure,
le quali tuttavia non si equivalgono: la prima, ha un centro ed perfettamente compiuta; l'ellisse, invece, ha due fuochi. Ma la
differenza sta anche prima, in quel termine greco (elleipsis) che nome che fa dell'ellisse un cerchio mancato, imperfetto. A dire
che la filosofia sensibile assume quale proprio simbolo una figura imperfetta.
Imperfezione e mancanza simbolo di una nuova filosofia il cui principio di conoscenza la totale e reale essenza dell'uomo. [...]
Solo l'umano vero e reale; solo l'umano razionale,[36] umano reale che riconosce nel cuore e nella sensibilit il centro
dell'uomo stesso. Perci la nuova filosofia si fonda sulla verit dell'amore, sulla verit della sensazione[37] e il filosofo nuovo
pensa in accordo e in pace con i sensi,[38] il che fa s che la nuova filosofia includa la fisiologia. Sono simbolo, ancora, di una
verit che coincide soltanto con la totalit della vita e dell'essenza umana.[39] Ma, anche, sono simbolo del rovesciamento non
soltanto tematico ma filosofico che Feuerbach mette in atto; quel rovesciamento capace di portare alla luce l'invisto e impensato
rovescio dell'uomo. Rovesciamento che, messo in atto in e da una filosofia "ellittica", mancante, si compie sullo sfondo di un
altro rovesciamento, quello del rapporto tra finito e infinito.
L'assoluto o infinito della filosofia speculativa (il cui simbolo il cerchio perfetto) non altro dall'indeterminato, il quale, se
guardato in chiave storica non altro [...] che il vecchio ente [...] teologico-metafisico, non finito, non umano, non materiale, non
determinato, non creato.[40] Lo spirito assoluto di Hegel, invece, non altro che il cosiddetto spirito finito, ma astratto e
separato da se stesso, come l'ente infinito della teologia non altro che l'astratta essenza finita,[41] dove astrarre vuol dire
porre l'essenza della natura fuori della natura, l'essenza dell'uomo fuori dell'uomo, l'essenza del pensiero fuori dell'atto del
pensare.[42] Tuttavia, una filosofia che deriva il finito dall'infinito e il determinato dall'indeterminato non riuscir mai a
compiere una vera posizione del finito e del determinato,[43] ch derivare il finito dall'infinito possibile soltanto negando
l'infinito e reciprocamente, negando il finito nell'infinito, in un evidente circolo, o meglio, cerchio di finito e infinito per nulla e
di nulla mancante. E se la filosofia assoluta dichiara la verit del finito solo in modo indiretto, alla rovescia,[44] occorre
rovesciare tale filosofia per ritrovare il rovescio invisto: Il compito della vera filosofia di conoscere non l'infinito come il
finito, ma il finito come il non-finito, come l'infinito -- in altre parole, di porre non il finito nell'infinito, ma l'infinito nel
finito.[45] E ancora: L'infinito la vera essenza del finito -- il vero finito. [...] La filosofia speculativa ha commesso [...]
l'errore (di rendere) determinazioni e predicati dell'infinito [...] le determinazioni della realt e della finitezza.[46]
La filosofia nuova, ellittica perch mancante, scopre la propria mancanza nel "questo" particolare che assume un valore
assoluto, e il finito diventa infinito.[47] E contro un pensiero astratto senza sensazione e senza passione[48] che toglie la
differenza tra essere e non essere,[49] l'amore, che acquisisce un'inedita forza nell'individuare proprio il "questo" particolare
prima detto, mantiene quella differenza che, invece, viene meno di fronte al pensiero.[50] L'ellisse sta qui, nell'irriducibilit
del reale al pensiero per la differenza tra essere e non essere che, invece, il pensiero speculativo ingloba e riprende nella sua
totalit. La nuova filosofia pensa la differenza l dove il pensiero speculativo pensa l'identit, differenza che riguarda l'essere e il
non essere, l'irriducibilit del pensiero alla realt. Non riguarda invece finito e infinito, per i quali si tratta piuttosto
dell'inveramento del secondo nel primo, ch "l'infinito il vero finito". identificazione, questa verit? il riproporsi
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dell'identit di finito e infinito? Che l'infinito sia il vero finito non ne implica necessariamente l'identificazione n la totale
differenza; implica che l'uno sia la verit dell'altro pur mantenendosi quell'impercettibile distanza che impedisce la soluzione
dell'uno nell'altro, dell'infinito nel finito e del finito nell'infinito. Perci proponiamo di pensare l'infinito come il lato rovescio del
finito, dove il rovescio aderisce al diritto senza mai identificarvisi e rilanciandone continuamente la finitezza mai circolarmente
esaurita e sempre ellitticamente mantenuta in una mancanza che distanza e scarto nel quale l'uno (infinito) si consegna alla e
nella realt dell'altro (finito). Come un tappeto o un ricamo dove il lato rovescio consegna il (e si consegna nel) disegno del lato
diritto e visibile possibile per la distanza della tela o della tessitura, allo stesso modo l'infinito verit del finito nella misura in
cui non si identifica con esso lasciando il finito a una finitezza non circolarmente chiusa in s n contraddittoriamente superata
nell'infinito. Un finito trafitto dell'infinito che in esso si consegna pur restando distante (perch differente) ma non estraneo
(perch sua verit). Un finito fuoco di un'ellisse il cui secondo fuoco (l'infinito) lo trapassa trafiggendolo senza assumerlo e
solverlo. La distanza tra i due fuochi si gioca, allora, nella distanza che finito e infinito mantengono mentre e perch restano
fuochi della medesima ellisse.
A togliere astrattezza a questo discorso l'uomo, ellisse nella quale finito e infinito si trapassano erodendo in esso quella
distanza che il pensiero speculativo non coglie (perch la salda) ma anche lasciandolo sempre nella distanza qualitativa da quello
che il pensiero speculativo circolarmente riprende per esaurirlo, formulando un "pensiero su Dio". Viceversa, la distanza che
l'infinito scava nel finito inverandolo anche distanza che si mantiene nel piano in cui l'uomo s'interroga su Dio. Affermazione
che va svolta su due piani: un primo che si spinge alla declinazione della celebre tesi per la quale l'essenza della teologia
l'antropologia.[51] Un secondo, che si colloca gi nell'antropologia domandando quale sia innanzitutto dell'essenza dell'uomo.
In tal senso va la prima parte de L'essenza del cristianesimo, dove questione dell'accordo della religione con l'essenza
dell'uomo. Accordo che non identificazione ma verit nella distanza. Ci focalizzeremo soprattutto su questo secondo senso,
percorso scelto nell'interpretazione del pensiero di Feuerbach come pensiero del rovescio in quanto distanza, pensiero della
distanza e nella distanza, dell'ellisse e non del cerchio, della verit dell'infinito in quanto inverante il finito e non
dell'identificazione concepita e rappresentata dalla speculazione.

3. L'essenza dell'uomo in generale


Il segreto della teologia l'antropologia,[52] ma la distanza, sosteniamo, il segreto dell'antropologia; ovvero: l'essenza
dell'uomo reca in s una distanza che la apre alla teologia rendendo possibile l'accordo tra Dio e uomo e esclusivamente
l'identificazione. Se resta inconfutabile la sconfitta del cristianesimo (o almeno di una certa sua interpretazione, speculativa) ,[53]
inaggirabile resta la scoperta del rovescio dell'uomo, o meglio, il ritrovamento di tale rovescio e la sua distanza.
In primo luogo la distanza dall'animale, determinata dal fatto che soltanto l'uomo ha la coscienza, la quale sentimento di s,
facolt di distinzione[54] che l'animale non possiede, almeno non la possiede come coscienza del suo genere, della sua
essenzialit.[55] Infatti, dove c' coscienza c' facolt di scienza e la scienza la coscienza dei generi.[56] E mentre nella vita
trattiamo con individui, nella scienza trattiamo con generi. L'animale, allora, ha, s, per oggetto se stesso come individuo -perci ha sentimento di s -- , ma non come genere -- perci gli manca quella coscienza che deriva il suo nome da scienza.[57]
Ancora, mentre la vita dell'animale semplice, quella dell'uomo duplice, esteriore e interiore, capace di conversare e parlare
con se stesso: L'uomo, rispetto a se stesso, contemporaneamente Io e Tu, di fronte a se stesso pu ricoprire il posto dell'altro,
il che impossibile all'animale che non pu svolgere alcuna funzione del genere senza un altro individuo fuori di lui, mentre
l'uomo ha per oggetto il suo genere, la sua essenza, non solo la sua individualit.[58] A questi passi segue il riferimento alla
religione, la quale, identificandosi con l'essenza dell'uomo, s'identifica con l'autocoscienza, con la coscienza che ha l'uomo
della propria essenza. Ed essendo la religione, in termini universali, coscienza dell'infinito, [...] non e non pu essere altro se
non la coscienza che l'uomo ha della sua essenza, e questa non finita, limitata, ma infinita.[59] Una coscienza limitata non
neppure chiamata coscienza ma "istinto"; invece, la coscienza in senso stretto o proprio e la coscienza dell'infinito
s'identificano. Una coscienza limitata non coscienza; la coscienza essenzialmente di natura infinita.[60] Ancora, coscienza
dell'infinito coscienza dell'infinit della coscienza e, osserva Feuerbach, nella coscienza dell'infinito l'ente cosciente ha come
oggetto solo l'infinit della sua propria essenza.[61]
Chiedendo poi che cosa l'essenza dell'uomo sia, essenza di cui ha autocoscienza, e chiedendosi che cosa costituisca il genere,
l'umanit vera dell'uomo, il filosofo tedesco risponde con i termini ragione, volont, cuore: Volere, amare, pensare sono le
facolt supreme, sono l'essenza assoluta dell'uomo in quanto tale e il fondamento del suo esistere.[62] E proprio per queste tre
facolt Feuerbach parla di trinit che abita l'uomo facendolo altro da se stesso, o forse e meglio, distante da s. Ch, infatti, la
volont, l'amore o il cuore non sono facolt che l'uomo possieda [...] ma in quanto facolt, elementi o principi che costituiscono
la sua essenza, un'essenza che egli n possiede, n fa, sono forze che animano, determinano, dominano -- forze divine,
assolute.[63] E della trinit di ragione, amore e volont, Feuerbach dice che essa nell'uomo ma anche al di sopra
dell'uomo.[64] Certo, stando a questi passi difficile confermare la tesi della distanza tra uomo e Dio e il senso del non ("Dio non
ci che l'uomo -- l'uomo non ci che Dio"), ch l'identificazione Dio-uomo sembrerebbe vincere sulla distanza. Quando
poi leggiamo che ogni ente ha in s il proprio Dio, la propria essenza suprema e se esalti la gloria di Dio, esalti la gloria della
tua propria essenza,[65] sembra addirittura impossibile uscire dall'identificazione che fa l'uomo Dio escludendo Dio. Di pi, la
conclusione dell'opera e il celebre annuncio homo homini Deus non dice altro da quest'esclusione. Pi che distanza, dunque,
parrebbe consumarsi un allontanamento di Dio. O meglio, si consuma l'identificazione dell'uomo con ci che egli individua
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come suo Dio, passando proprio attraverso quel finito/infinito prima detto. Ma tutte queste affermazioni sono cariche, sempre,
dello scarto, della differenza e della distanza dei fuochi dell'ellisse e non della compiutezza del cerchio. E soprattutto, sono dette
pensando l'infinito come il lato rovescio del finito, dove il rovescio aderisce al diritto senza mai identificarvisi e rilanciandone
continuamente la finitezza mai circolarmente esaurita e sempre ellitticamente mantenuta in una mancanza che distanza e scarto
nel quale l'uno (infinito) si consegna alla e nella realt dell'altro (finito). Detto altrimenti, la tensione tra complementariet ed
esclusione di Dio e uomo non destinata a esaurirsi.
Se pensi l'infinito, pensi e confermi l'infinit della facolt di pensare; se senti l'infinito, senti e confermi l'infinit della facolt di
sentire.[66] Questo pensiero dell'infinito non identifica l'uomo idolatricamente con Dio; v' un limite, una distanza che tiene i
due fuochi dell'ellisse separati: L'intelletto l'orizzonte della tua essenza. Fin dove arrivi a vedere, fin l si estende la tua
essenza e viceversa. [...] E fin dove giunge la tua essenza, fin l arriva il tuo illimitato sentimento di te, fin l tu sei Dio.[67] Fin
l, nell'infinito che trafigge il tuo finito, non oltre; fin l, fino alla soglia, non oltre. E il sentimento in te al di sopra di te,[68]
in quella dinamica di possesso e spossessamento possibile per la distanza. Che cosa, tuttavia, tale distanza fa scoprire nell'uomo
dell'uomo, oltre al suo essere abitato da ci che sopra di lui? Che cosa gli d in lui? Quale rovescio gli fa scoprire?

4. Mistero della Trinit, mistero dell'uomo


Tale distanza gli fa scoprire il mistero che in lui, quello che spossessandolo lo abita e che non domina n possiede. "Mistero" in
questo senso, dunque. Ma, di nuovo, non si tratta dello stesso mistero per la Trinit e per l'uomo, ch l'uno "distante" dall'altro.
Solo un ente che implichi in s tutto l'uomo pu pure appagare tutto l'uomo e la coscienza che l'uomo ha di s nella sua
totalit la Trinit.[69] A dire che il senso della prima trinit detta, la trinit "volont intelletto e cuore" si compie e trova la sua
possibilit di unit nella coscienza della Trinit. E ancora: Il segreto di questo Mistero non altro che il segreto dell'uomo
stesso e le presunte immagini attraverso le quali si cercato di illustrare, di rendere comprensibile la Trinit erano
prevalentemente: spirito, intelletto, memoria, amore, mens, intellectus, memoria, voluntas, amor.[70] Spirito, intelletto,
memoria, amore, tuttavia, diversi in Dio e nell'uomo; diversi della distanza dei due fuochi della medesima ellisse.
Sostenere la distanza non aggira o elude in nulla la propensione feuerbachiana all'esclusione di Dio da parte dell'uomo,
esclusione che sembra prevalere su una complementariet resa possibile, invece, dalla distanza:
Dio pensa e, anzi pensa se stesso, conosce se stesso e ci che pensato, conosciuto Dio stesso. L'oggettivazione dell'autocoscienza
il primo aspetto che riscontriamo nella Trinit. L'autocoscienza si impone necessariamente, involontariamente all'uomo come qualcosa
di assoluto. [...] L'autocoscienza ha per l'uomo, anzi, ha di fatto in se stessa un significato assoluto. Un Dio non consapevole di s, un
Dio senza coscienza non un Dio. Come l'uomo non pu concepirsi senza coscienza, cos neppure Dio pu esserlo. L'autocoscienza
divina non altro che la coscienza della coscienza in quanto essenzialit assoluta.[71]

Qui, in questa Trinit pensata sul modello di quella umana (Padre / intelletto, Figlio / volont, Spirito Santo / amore) sembra
essere escluso ogni riferimento alla Trinit divina. E invece la scoperta dell'infinito come essenza del finito, proprio l dove si
parla della Trinit/trinit divina e umana, mette in luce la scissione dell'essenza umana stessa, dell'uomo in s;[72] mette in
luce il suo limite, che Feuerbach nomina dissidio dell'uomo con la sua propria essenza.[73] Se la critica al cristianesimo per
Feuerbach indubbia, altrettanto lo la tensione che egli individua nell'uomo. All'esclusione di Dio il filosofo arriva per
rispondere in modo diametralmente opposto ad una religione che esclude l'uomo pensando l'essenza divina nella reciproca
opposizione all'umano. Ma tra le due esclusioni estreme e antipodiche si situa quell'umanesimo per il quale la scissione
avvertita perch l'essenza la stessa ma non identica, nell'ordine della complementarit Dio-uomo e non nell'ordine
dell'identificazione. Perci, quell'essenza dalla quale l'uomo si sente scisso, dev'essere un'essenza a lui innata, bench nel
contempo debba essere di costituzione diversa dall'essenza o facolt che gli conferisce il sentimento, la coscienza dell'unit, della
conciliazione con Dio o, cosa che poi identica, con se stesso.[74] E pi oltre: Se l'uomo trova pace in Dio, la prova solo
perch Dio finalmente la sua vera essenza, perch solo in lui presso di s, perch tutto quello in cui finora aveva cercato pace
e che aveva scambiato per sua essenza un'essenza diversa, estranea.[75] Vera essenza che nulla ci dice essere non differente;
che nulla ci dice essere complementare e non medesima. Complementare in vece che medesima.
Se -- dunque -- indubbia e incontestata la critica alla religione e l'opposizione totale a una religione che pensa l'essenza di Dio
in quanto altra dall'uomo, anche vero che la formulazione della tesi feuerbachiana non esclude la complementariet Dio-uomo.
Non la esclude perch v' un punto medio tra la posizione di Feuerbach e la teologia criticata in cui l'uomo scoperto, rivelato a
se stesso, e questo proprio nella riflessione sulla trinit. L'autocoscienza divina non altro che la coscienza della coscienza in
quanto essenzialit assoluta,[76] si detto. Questo, per, non esaurisce affatto la Trinit,[77] e il Dio trinitario non un Dio
isolato e chiuso. Soltanto il Dio della speculazione un Dio unico e separato da tutto, ch la solitudine un bisogno del
pensiero [...] . Solitudine autarchia -- solo nell'intelligenza, solo nell'atto del pensiero siamo senza bisogni.[78] Dio come
Dio, scrive ancora Feuerbach, non altro che la coscienza della facolt del pensare, della facolt di astrarre da tutti gli altri e di
poter essere solo per s e con s; una coscienza, beninteso, qual oggetto per gli uomini all'interno della religione, cio come
essenza separata, distinta dall'uomo.[79] Il Dio in relazione soltanto con se stesso il Dio Padre mentre Dio Figlio la relazione
di Dio con noi. In Dio come Dio l'uomo rimosso, nel Figlio ritorna. Il Padre l'essenza metafisica alla quale la religione si
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appiglia, giacch senza includere in s l'elemento metafisico sarebbe incompleta; nel Figlio, Dio finalmente oggetto della
religione; Dio come oggetto della religione, come Dio religioso, Dio Figlio. Nel Figlio, l'uomo diventa oggetto; in lui si
concentrano tutti i bisogni umani.[80] E il bisogno umano per primo la societ, un bisogno del cuore.[81] In questo sta il
mistero della Trinit, ossia nel bisogno umano di una vita in comune. Da un Dio solitario, di fatti, escluso il bisogno,
essenziale all'uomo, di amore, di comunione dell'autorealizzazione reale, adempiutasi, dell'alter ego nel senso pi stretto e
ampio. Questo bisogno, dunque, appagato, accolto nella quieta solitudine dell'essenza divina, Dio Figlio -- un altro secondo
ente, differente dal Padre nella personalit ma nell'essenza identico a lui -- il suo alter ego.[82]
La religione distorce, nel mistero della Trinit, questo bisogno umano, dove la terza persona, lo Spirito Santo, non altro dal
bisogno di amicizia e comunit. Ancora, la seconda persona l'autoaffermazione del cuore umano, il principio della vita
comunitaria, l'amore.[83] La critica alla Trinit e al suo mistero chiara: in essa l'uomo vedeva esaltati i propri bisogni di amore
e socialit. Ci chiarito, e posto che lo Spirito Santo amore, perch Feuerbach torna ancora sulla Trinit, dopo averla
criticamente attraversata? Per pensare un Dio che si comprometta con l'uomo, finito e non proiezione della filosofia. Solo un Dio
in cui ci sia la stessa essenza del finito, l'essenza del sentimento di dipendenza, il principio dell'empiria, del non-esser-da-sestesso[84] un Dio per un ente empirico, finito.[85] E ancora: Come l'uomo religioso non pu amare un Dio che non abbia in
s l'essenza dell'amore, cos l'uomo, o pi in generale, un ente finito non pu essere oggetto di un Dio che non abbia in s il
fondamento, il principio della finitezza. A un tale Dio mancherebbe il senso, l'intelletto, la partecipazione al finito.[86] E tale
partecipazione il Figlio, che Dio genera rinunciando alla sua esclusiva divinit: Egli si abbassa, si umilia, pone in s il
principio della finitezza, dell'esser-da-un-principio; diventa uomo nel Figlio.[87] Nella Trinit , dunque, anche il segreto
dell'amore all'uomo, ch Dio Padre ama gli uomini solo nel Figlio per il Figlio. L'amore verso gli uomini un amore derivato
dall'amore per il Figlio.[88]
Inoltre, nella Trinit questa relazione reale e non va intesa in senso figurato ma in senso proprio[89]: Il Padre padre reale
in relazione al Figlio, il Figlio figlio reale in relazione al Padre. La loro essenziale differenza personale consiste soltanto nel
fatto che l'uno generante, l'altro generato. Se si elimina questa determinatezza naturale, empirica, si toglie la loro personale
esistenza e realt.[90] Lo Spirito Santo, infine, l'amore che lega Padre e Figlio. per cogliere l'essenza antropologica della
Trinit, allora, che Feuerbach vi insiste; essenza antropologica perch "in accordo", complementare e rispondente a un uomo che
si scopre, esso stesso e in s, vivente relazione. Un Dio "in cui ci sia la stessa essenza del finito" fa scoprire anche al finito la sua
essenza. Da parte dell'uomo, perci, la religione la coscienza di s [...] nella sua totalit empirica: in essa l'identit
dell'autocoscienza esiste solo come unit piena, ricca di relazioni fra io e tu.[91]
Nella stessa direzione, in Filosofia dell'avvenire leggiamo che l'essenza dell'uomo contenuta soltanto nella comunit,
nell'unit dell'uomo con l'uomo che per si fonda soltanto sulla realt della differenza tra io e tu.[92] E ancora: L'uomo con
l'uomo, cio l'unit di io e tu, Dio,[93] dove la vita in comune libert e infinit; contro un filosofo assoluto che dice "la vrit
c'est moi" il filosofo umano annuncia che anche nel pensare, anche da filosofo, io sono uomo con gli uomini.[94] Ovvero,
come recita lapidario il 62: La vera dialettica non un monologo del pensatore solitario con se stesso, un dialogo io-tu.[95]
E infine:
La trinit era il supremo mistero, il punto centrale della filosofia e religione assoluta. Ma questo mistero, come fu dimostrato
storicamente e filosoficamente nell'Essenza del cristianesimo, il mistero della vita collettiva, della vita in societ, il mistero della
necessit del tu per l'io; e ne deriva che nessun ente, sia o si chiami uomo o Dio, spirito o io, da solo un ente vero, perfetto e
assoluto.[96]

E tuttavia, trovare nella relazione il senso dell'uno e dell'altro non significa identificare l'uno con l'altro (finito/infinito,
Dio/uomo, Trinit/trinit). piuttosto cercarne il vero senso, la vera essenza che la speculazione ha ridotto alla profanazione del
pensiero, pretendendo di istituire e porre il mistero senza preservarne la distanza. Profanando il Mistero trinitario affermandone
ci che il pensiero ne poteva cogliere. L'idroterapia pneumatica che Feuerbach propone fin dalla Prefazione[97] de l'Essenza
della religione, l'ironico tentativo di proporre un "metodo" che apra gli occhi e rischiari, mirando allo scopo autentico di
quest'opera, quel socratico gnoti sauton che ne rappresenta il vero epigramma e tema.[98]
"Conosci te stesso" che invita a fare il contrario della rappresentazione, di quel ri-presentare-a che pone il proprio oggetto
davanti al pensiero. Si tratta, piuttosto, di un percorso nel quale due essenze, quella della religione e quella dell'uomo, vengono
scoperte nella loro dimensione radicale, antropologica senza che le distanze siano annullate. In fondo, quale Dio parlerebbe a un
uomo che non potrebbe intenderlo? Nessuna analogia si affaccia in queste pagine, mantenendosi invece quella distanza che
criticamente mette in crisi, chiarisce e pulisce, come acqua, concetti astrattamente ipostatizzati (Dio, innanzitutto, ma anche
l'uomo) per coglierne l'essenza. Contro questa duplice ipostatizzazione, e prima dell'esclusione di Dio in una filosofia
dell'avvenire che intende risolvere completamente la teologia nell'antropologia,[99] v' la terra di mezzo in cui Dio e uomo si
pongono in quella distanza nella quale reciprocamente vivono, fuori dal pensiero, di uno scambio interno a entrambi, dove la
complementarit non salda la distanza che fa esigere un Dio in cui ci sia la stessa essenza del finito, l'essenza del sentimento di
dipendenza, il principio del'empiria, del non-esser-da-se-stesso,[100] un Dio che sia per un ente empirico, finito,[101] un Dio
che ami l'uomo.

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In questo scambio e commercio, Dio e uomo reciprocamente s'istruiscono, fuori dalla speculazione, in una distanza che esterna
perch innanzitutto interna; che tra Dio e uomo perch prima in Dio e nell'uomo. In Dio, nello scambio vivente delle persone
che lo restituisce oltre e dopo il concetto che lo proclama "oggetto" teologico. Nell'uomo, cogliendosi questi non come ego
assoluto ma come scambio io-tu vivente; commercio, societas vivente che ne il suo rovescio, quel lato che la solitudine
dell'ego trascendentale obnubila. Ma commercio e scambio chiedono la distanza da s, o la scissione, nel linguaggio di
Feuerbach. Cos, la profanazione della rappresentazione moderna che pone concetti miranti alla totalit non basta a dire un Dio
che l'uomo costruisce costruendo reciprocamente s nel concetto col quale si rappresenta. Alla profanazione dell'idolatria
concettuale risponde, invece, una filosofia convertita in succum et sanguinem, fattasi carne e sangue, fattasi uomo[102] che
mette alla prova la teologia, fino al suo rifiuto, per pensare ancora l'uomo. Di inizio in inizio, secondo inizi che non avranno mai
fine.
Copyright 2011 Carla Canullo

Carla Canullo. Mistero e Trinit ne L'essenza del cristianesimo di Ludwig Feuerbach. Elaborare l'esperienza di Dio [in linea], Atti del
Convegno La Trinit, Roma 26-28 maggio 2009, disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/teologia/>, [**59 B].

Note
1. Ruolo per il quale rinviamo a quest'introduzione, dal titolo L'opera e il suo autore, in L. Feuerbach, L'essenza del cristianesimo, a
cura di F. Tomasoni, Laterza, Roma-Bari 20074, pp. IX-XXXVI.
2. K. Barth, La teologia dialettica e il pensiero di Feuerbach, in Karl Barth. Antologia, ed. it. a cura di E. Riverso, Bompiani, Milano
1964, pp. 105-134; cit. a p. 105. Quanto citiamo del testo barthiano non deve ingannare circa la radicalit dell'avversione del
teologo a Feuerbach. il giudizio di Ugo Perone nel testo Teologia ed esperienza religiosa in Feuerbach, Mursia, Milano 1972, p.
14.
3. Ibid., p. 106.
4. Ibid.
5. Ibid., p. 132.
6. Ibid., p. 133.
7. Ibid.
8. Ibid., p. 134.
9. K. Barth, Feuerbach, in La teologia protestante nel XIX secolo. Vol. 2: La Storia, introduzione e cura di I. Mancini, trad. it. di G.
Bof, Jaca Book, Milano 1980, p. 123.
10. Ibid.
11. Ibid.
12. Ibid., p. 126.
13. Ibid.
14. Ibid.
15. Ibid.
16. E dunque, sebbene l'uomo feuerbachiano resti sempre l'uomo ideale e non reale.
17. Cfr. A. Caracciolo, Dio e spazio religioso in Feuerbach, in Nichilismo ed etica, il Melangolo, Genova 1983, pp. 135-178. Il
giudizio di Perone stato gi riportato.
18. Barth, La teologia dialettica e il pensiero di Feuerbach, cit., pp. 131-132.
19. Ibid., p. 132.
20. Ibid.
21. Ibid.
22. Quanto alla difesa di Feuerbach dall'assenza di una riflessione sulla morte cfr. Caracciolo, Dio e spazio religioso in Feuerbach,
cit., pp. 155 ss., sul male cfr. ibid., pp. 162 ss. Sul tema si veda anche Perone, Teologia ed esperienza religiosa in Feuerbach, cit.,
soprattutto il secondo capitolo, Il problema della morte e del limite, pp. 55-91.
23. Ibid., p. 8.
24. Ibid., p. 213.
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25. Ibid., p. 14.


26. Ibid., pp. 14-15.
27. Ibid., p. 209 per entrambe le citazioni.
28. Ibid., p. 210-211.
29. Pensiero oscillante, come giustamente individua Perone, tra la definizione della religione come teologia e come esperienza
religiosa, le quali nel loro reciproco e irriducibile escludersi e nel loro continuo e perenne implicarsi costituiscono (per Feuerbach)
i due poli a partire dai quali la religione pu essere intesa (ibid., p. 8).
30. L. Feuerbach, L'essenza del cristianesimo, cit., p. 53.
31. Un'idea non lontana -- anzi, prossima -- espressa da Perone nei termini di "incommensurabilit" di Dio e uomo pensata non gi
da Feuerbach ma da Barth proprio come risposta al dilemma posto dal filosofo tedesco alla teologia. Chiediamo: possibile che
tale categoria, nuova, si sia affacciata perch gi la distanza era l'ombra impensata della critica di Feuerbach al cristianesimo?
32. Di Pareyson si veda Due possibilit: Kierkegaard e Feuerbach, in Esistenza e persona, il Melangolo, Genova 1985, pp. 41-78;
sulla ripresa di questo testo, Perone, Teologia ed esperienza religiosa in Feuerbach, cit., pp. 86 ss.
33. Cfr. Pareyson, Due possibilit: Kierkegaard e Feuerbach, cit.
34. Ibid., p. 58.
35. L. Feuerbach, Principi della filosofia dell'avvenire, ed. it. a cura di C. Cesa, Laterza, Roma-Bari 1967, pp. 164-165. ( 48).
36. Ibid., p. 166 ( 50)
37. Ibid., p. 150 ( 34).
38. Ibid., p. 151 ( 36).
39. Ibid., p. 171 ( 58).
40. L. Feuerbach, Tesi preliminari per la riforma della filosofia, in Scritti filosofici, ed. it a cura di C. Cesa, Laerza, Bari-Roma1976,
p. 179.
41. Ibid., p. 180.
42. Ibid., p. 181.
43. Ibid., p. 183. Riportiamo tutto il passo, a nostro avviso centrale perch esplicita efficacemente il cerchio che, secondo Feuerbach,
simboleggia il pensiero speculativo hegeliano: "Il finito vien derivato dall'infinito" significa: l'infinito, l'indeterminato, vien
determinato e negato; si ammette che l'infinito senza determinazione, cio senza finitezza, non niente se non in quanto posta la
realt dell'infinito, cio la finitezza. Ma il monstrum negativo dell'assoluto continua a restare a fondamento; la finitezza posta torna
sempre a esser tolta. Il finito la negazione dell'infinito e poi l'infinito la negazione del finito.
44. Ibid.
45. Ibid.
46. Ibid., p. 184.
47. Feuerbach, Principi della filosofia dell'avvenire, cit., p. 148 ( 33).
48. Ibid., p. 149 ( 33).
49. Ibid.
50. Ibid.
51. Feuerbach, Tesi preliminari per la riforma della filosofia, cit., p. 178, ma l'affermazione ricorre nella pressoch totalit delle opere
feuerbachiane.
52. A conferma di quanto detto nella nota precedente, questa volta riportiamo la citazione da L'essenza del cristianesimo, cit., p. 7.
53. Sulla complementariet ed esclusione di cui abbiamo detto, Perone rimarca che il contributo di Feuerbach sta nell'aver tentato di
mantenere contemporaneamente i due termini di complementariet ed esclusione anche se questo culminato, da un punto di vista
cristiano, in un fallimento (Perone, Teologia ed esperienza religiosa in Feuerbach, cit., p. 14).
54. Feuerbach, L'essenza del cristianesimo, cit., p. 25.
55. Ibid.
56. Ibid.
57. Ibid.
58. Per tutti questi passi, cfr. ibid., p. 26.
59. Ibid., per entrambe le citazioni.
60. Ibid., i corsivi di Feuerbach.
61. Ibid., p. 27 per tutti i passi.
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62. Ibid., passim.


63. Ibid., pp. 27-28.
64. Ibid., p. 27.
65. Ibid., p. 32.
66. Ibid.
67. Ibid.
68. Ibid., p.35.
69. Ibid., p.78.
70. Ibid.
71. Ibid., pp. 78-79.
72. Ibid., p. 53.
73. Ibid.
74. Ibid.
75. Ibid., p. 56.
76. Ibid., p. 79.
77. Ibid.
78. Ibid., p. 80.
79. Ibid., pp. 80-81.
80. Ibid., p. 80.
81. Ibid.
82. Ibid., p. 81.
83. Ibid., p. 82.
84. Ibid., p. 83.
85. Ibid.
86. Ibid.
87. Ibid., p. 82.
88. Ibid, p. 83.
89. Ibid.
90. Ibid.
91. Ibid., p. 79.
92. Feuerbach, Principi della filosofia dell'avvenire, cit., p. 178 ( 59).
93. Ibid., p. 172 ( 60).
94. Ibid.,, p. 172 ( 61).
95. Ibid.,, p. 172 ( 62).
96. Ibid., pp. 172-173 ( 63).
97. Feuerbach, L'essenza del cristianesimo, cit., p. 7 ss.
98. Ibid.
99. Feuerbach, Principi della filosofia dell'avvenire, cit., p. 178 ( 52).
100. Ibid., p. 83.
101. Ibid.
102. Feuerbach, L'essenza del cristianesimo, cit., p. 15.

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