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iI
di X tali che
X =
_
iI
U
i
Un ricoprimento U
i
iI
si dice aperto se tutti gli U
i
sono aperti.
5
6 CAPITOLO 1. VARIET
`
A DIFFERENZIABILI
Denizione 1.1.1.1. Una spazio topologico separato X `e una variet`a topologica di di-
mensione n se ammette un ricoprimento aperto | = U
i
iI
tale che ognuno degli U
i
sia
omeomorfo ad un aperto di R
n
.
In parole povere ogni punto di una variet`a ha un intorno omeomorfo ad un aperto
dello spazio euclideo. Esaminiamo la denizione nel dettaglio. Data una variet`a X =
X, |, per ogni U
i
| pu`o essere denita una applicazione continua detta applicazione
coordinata
i
: U
i
R
n
.
Limmagine B
i
=
i
(U
i
) `e un aperto di R
n
e lapplicazione
i
: U
i
B
i
`e un omeomor-
smo. Per q U
i
possiamo scrivere,
i
(q) = (x
1
(q), . . . , x
n
(q)).
x
k
(q) `e la k-esima coordinata del punto q rispetto alla carta (U
i
,
i
). Gli aperti U
i
si dicono
aperti coordinati. La funzione
i
coordina U
i
, cio`e assegna univocamente ad ogni punto
dellaperto una n-upla di scalari che determina il punto. La mappa
i
: U
i
B
i
si chiama
carta coordinata e la famiglia delle carte U
i
,
i
si chiama atlante.
Esempio 1.1.1.2. 1. Lo spazio euclideo R
n
`e tautologicamente una variet`a.
2. Sia V un spazio vettoriale di dimensione nita sui reali, una base di V denisce l
applicazione coordinata : V R
n
con n = dimV. La topologia di V `e indotta da
.
3. Un aperto di R
n
, e pi` u in generale un aperto di una variet`a, `e in modo naturale una
variet`a.
4. Veniamo ad un esempio non banale: le sfere. Il sottoinsieme S
n
R
n+1
S
n
= (x
1
, . . . , x
n+1
) :
n+1
i=1
x
2
i
= 1
Ora ssiamo i e sia
U
+
i
= (x
1
, . . . , x
n+1
) S
n
: x
i
> 0
U
i
= (x
1
, . . . , x
n+1
) S
n
: x
i
< 0.
Deniamo
i
: U
i
R
n
i
(x
1
, . . . , x
n+1
) = (x
1
, . . . , x
i1
, x
i+1
, . . . , x
n+1
)
Le immagini di
i
sono i dischi unitari aperti. Il ricoprimento dato dagli U
i
de-
nisce un atlante di S
n
. Per n = 2 e i = 3, nellusuale visione della sfera come
mappamondo, abbiano le calotte equatoriali : U
3
contiene il tropico del Capricorno
e il polo sud.
5. Il prodotto cartesiano di due variet`a X e Y di dimensioni n e m `e una variet`a di
dimensione n + m. Si prendono infatti come aperti coordinati i prodotti delle carte
coordinate di X e di Y.
1.1. VARIET
`
A ED APPLICAZIONI LISCE 7
Esercizi 1.1.1.3. a) Data una variet` a topologica X di dimensione n e p X; dimo-
strare che esiste un intorno coordinato U di p omeomorfo a R
n
. Trovare inoltre una
carta coordinata tale che (p) = 0.
b) Trovare un atlante delle sfere avente solo due carte, dire se una sola carta sia
possibile.
c) Dare un esempio di uno spazio topologico separato che non sia una variet`a topologica.
1.1.2 Cambiamento di carte e variet`a dierenziabili
Discuteremo ora i cambiamenti di coordinate. Nella pratica automobilistica spesso dob-
biamo passare da una cartina ad unaltra, tale semplice operazione `e fonte di irritazione
tra il conducente e il navigatore e spessissimo causa di un odio eterno verso leditore del-
latlante. Oltre allimportanza pratica, i cambiamenti di carta possono essere utilizzati
come concetto di fondazione per la denizione delle variet`a dierenziabili.
Date una variet`a topologica di dimensione n e due carte U
i
e U
j
sia
U
ij
= U
i
U
j
= U
ji
.
Naturalmente U
ij
`e un aperto, ignoreremo il caso di intersezione vuota. Utilizzando le
funzioni
i
e
j
abbiamo due modi di mappare, cio`e dare coordinate ad U
ij
.
Poniamo
B
ij
=
i
(U
ij
) R
n
, B
ji
=
j
(U
ji
) R
n
e
ij
=
i
1
j
: B
ji
R
n
. (1.1)
Si ha che
ij
`e un omeomorsmo sullimmagine che `e laperto B
ij
di R
n
. Si noti che
ij
=
i
1
j
`e una funzione denita su un aperto di R
n
a valori in R
n
. Ha quindi senso
richiedere che essa sia dierenziabile. Due atlanti su X possono non essere compatibili
dal punto di vista dierenziale, `e necessario allora specicare, oltre allo spazio X, il suo
atlante.
Denizione 1.1.2.1. Una variet`a dierenziale di classe k, C
k
(C
), `e il dato di una
variet`a topologica e un atlante X, 1 = X, U
i
,
i
, tale che i cambiamenti di carta
ij
(deniti in 1.1 ) sono funzioni dierenziabili di classe C
k
(C
). Le variet`a topologiche
si diranno anche variet`a C
0
.
Pu`o essere utile poter aggiungere ad un atlante delle carte, bisogna allora vericare
che la struttura dierenziale sia mantenuta. Sia : V R
n
una carta , cio`e V `e aperto
di X, (V ) `e aperto di R
n
e `e un omeomorsmo sullimmagine. Diremo che V,
`e compatibile con latlante 1 se per ogni U
i
1 tale che U
i
V non sia vuoto, le
applicazioni
1
: (U
i
V ) R
n
e
1
i
:
i
(U
i
V ) R
n
sono di classe C
k
(C
).
Nella pratica non si usa mai direttamente latlante massimale, ma esso ci permette di
aggiungere carte opportune in modo da semplicare osservazioni, operazioni e calcoli.
Esempio 1.1.2.3. Latlante dello spazio proiettivo reale e complesso. Le grassmanniane.
Esercizi 1.1.2.4.
a) Si verichi che le variet`a topologiche denite in 1.1.1.2 sono variet`a dierenziali.
b) Si considerino sullinsieme dei numeri reali R due carte denite su tutto linsieme, la
prima `e lidentit` a (x) = x la seconda (x) = x
3
. Dire se e sono compatibili di classe
C
k
con k > 0.
1.1.3 Funzioni dierenziabili
Uno dei vantaggi dellintroduzione di carte coordinate `e quello di poter studiare gli aspetti
locali in spazi che si considerano, qualche volta a sproposito, essenzialmente noti. Vedremo
ora come sia possibile estendere il concetto di funzione dierenziabile alle variet`a.
Nel seguito useremo la seguente convenzione se K, H, L, A e B sono insiemi con A K
e B H. Supponiamo siano date due funzioni f : A H e g : B L. Con gf = g f
indicheremo la composizione:
gf : A f
1
(B) L.
(Il caso degenere A f
1
(B) = pu`o essere sistematicamente ignorato).
Date M, | eN, 1 due variet`a di dimensione rispettivamente m e n di classe k
(k ). Abbiamo la seguente:
Denizione 1.1.3.1. Un applicazione F : M N si dice dierenziabile di ordine k
(), F C
k
(M, N) (C
0
(R) cio`e funzioni lisce aventi supporto compatto, poniamo:
(t) = g(x) =
_
exp(
1
t
), t > 0
(x) = 0 t 0.
La funzione `e liscia inoltre (t) > 0 per t > 0 quindi supp() = [0, +).
Poi deniamo
(t) =
(t)
(t) +(1 t)
.
Si ha supp() = [0, +) e (t) 1 per t 1.
Inne deniamo
(t) = (t + 2)(2 t)
Si ha supp() = [2, 2] e inoltre (t) 1 per t = [1, 1] ha supporto compatto
inoltre `e costante nellintorno dellorigine.
5. Se indichiamo con [[x[[ per x R
n
lusuale norma euclidea e poniamo
(x) = ([[x[[
2
),
la funzione ha supporto compatto: C
0
(R
n
). Il suo supporto `e contenuto nel
disco di centro lorigine e raggio 2, mentre h(x) 1 nella palla unitaria.
Utilizzando dieomorsmi (le dilatazioni e traslazioni sono sucienti), possiamo co-
struire funzioni aventi supporto compatto e eguali alla costante 1 in intorni di ogni punto
di R
n
quindi di ogni variet`a.
Le precedenti costruzioni si possono ulteriormente perfezionare quando le variet`a soddi-
sfano il secondo assioma di numerabilit`a e cioe esiste una base numerabile della topologia.
Questo `e equivalente a richiedere che ammettano un atlante numerabile. Un risultato sor-
prendente (ma non cos` utile perche gli aperti sono sconnessi) aerma che tali variet`a hanno
anche un atlante con un numero nito di carte. Si ha il seguente importante risultato:
Proposizione 1.1.4.2. Sia | = U
i
un ricoprimento aperto di una variet`a M avente il
secondo assioma di numerabilit`a. Allora esistono delle funzioni regolari positive
i
: M
R tali C
i
= supp(
i
) U
i
e tali che per ogni punto p M esiste un intorno W di p che
interseca solo un numero nito di C
i
. Inoltre:
i
1.
1.1. VARIET
`
A ED APPLICAZIONI LISCE 11
La collezione di funzioni
i
si dice partizione dellunit`a associata al ricoprimento |,
per la dimostrazione si rimanda al testo [8] o [2].
Se f : M R `e regolare allora scelti un ricoprimento coordinato, | = U
i
, e
unassociata partizione dellunit`a,
i
, possiamo denire f
i
=
i
f allora supp(f
i
) U
i
e
vale:
f =
i
f
i
.
Abbiamo localizzato le funzione f scrivendola come somma di funzioni avente supporto
in aperti coordinati.
Ipotesi 1.1.4.3. Da ora in avanti, salvo avviso, le variet`a dierenziali avranno sempre il
secondo assioma di numerabilit`a.
Esercizi 1.1.4.4. Supponiamo M variet`a C
:
1. Si dimostri che somme e prodotti di funzioni C
. Questo
denisce una struttura di anello in C
(M).
2. Germi di funzioni Fissato p M, una funzione liscia denita in un intorno di p
`e una coppia (f, U) con U aperto di M e f C
p
`e lo spazio dei germi delle funzioni lisce in p. Si dimostri
(utilizzando restrizioni) che la somma e il prodotto deniscono una struttura di anello
in G
p
.
3. Si dimostri che la restrizione C
M
C
p
`e applicazione suriettiva, caratterizzare il
nucleo.
4. Sia M = R
n
dimostrare che gli sviluppi di Taylor in p delle funzioni dipendono solo
dal germe di tale funzione (cio`e dalla classe di equivalenza di tale classe).
5. Dire se lo sviluppo di Taylor caratterizza il germe di una funzione C
(R).
1.1.5 Sottovariet`a e variet`a con bordo
In questa sezione daremo la denizione di sottovariet`a e di variet`a con bordo. Ricordiamo
che tutti i nostri spazi sono separati. Tali nozioni saranno discusse in maggior dettaglio in
una lezione seguente. Indichiamo con M una variet`a dierenziale di classe k e dimensione
m.
Denizione 1.1.5.1. Un sottospazio N di M `e una sottovariet`a dierenziale di dimen-
sione n se per ogni punto p N esiste un intorno coordinato (U, ) di p, p U(p) tale
che se
(q) = (x
1
(q), . . . , x
m
(q))
allora
N U = q U : x
n+1
(q) = . . . , x
m
(q) = 0).
La proiezione
p
: U(p) R
n
p
(q) = (x
1
(q), . . . , x
n
(q))
12 CAPITOLO 1. VARIET
`
A DIFFERENZIABILI
denisce un intorno coordinato di p N. Al variare di p N l atlante N U(p),
p
`e
di classe k.
Esercizi 1.1.5.2. a) Sia N M una sottovariet`a si dimostri che linclusione `e fun-
zione dierenziabile.
b) Sia i : N M una applicazione dierenziabile iniettiva, dire se i(N) `e sottovariet`a
di M.
c) Dimostrare che la sfera S
n
`e sottovariet`a di R
n+1
.
Veniamo ora alla denizione di variet`a con bordo. Ricordiamo che su una variet`a gli
aperti coordinati sono omeomor ad aperti dello spazio euclideo. La struttura dieren-
ziabile `e invece indotta dalla regolarit`a dei cambiamenti di coordinate. Le variet`a sono
modellate su R
n
. Intuitivamente si vorrebbe che le variet`a con bordo siano localmente
dieomeomorfe alla chiusura di aperti regolari di R
n
. Il modello base di aperti con bordo
regolare `e il semispazio chiuso U
+
= (x
1
, . . . , x
n
) R
n
: x
1
0. Allora le variet`a con
bordo sono degli spazi i cui punti interni sono modellati su R
n
e i cui punti di bordo sono
modellati su U
+
= (x
1
, . . . , x
n
) R
n
: x
1
0. Quindi una variet`a con bordo `e il dato
di M = M
0
M e di un atlante U
i
,
i
V
j
,
j
:
1. M
0
`e un aperto denso, M `e la frontiera di M
0
;
2. U
i
,
i
`e un atlante di M
0
che rende M
0
una variet`a di dimensione n;
3. V
j
sono intorni dei punti di M;
4.
j
: V
j
U
+
sono omeomorsmi;
5.
j
(V
j
M) (x
1
, . . . , x
n
) R
n
: x
1
> 0;
6.
j
(V
j
M) (x
1
, . . . , x
n
) R
n
: x
1
= 0;
7.
j
: (V
j
M) R
n
sono carte compatibili con le U
i
,
i
;
8.
j
=
j
ristrette a V
j
M deniscono un atlante di M.
Tutti i cambiamenti di carta di U
i
,
i
e a V
j
M,
i
si richiedono regolari.
Esercizi 1.1.5.3. a) Dire per quali valori di 0 r s C
r,s
R
n
C
r,s
= x : r [[x[[ s
una variet`a con bordo di dimensione n.
b) Dire se R [0, 1) `e variet`a con bordo .
c) Dire se il prodotto di due variet`a con bordo `e variet` a con bordo.
1.2 Spazio Tangente
In questa lezione introdurremo lo spazio tangente ad un punto di una variet`a. Daremo
le due presentazioni principali, quella geometrica, che utilizza le curve e in seguito quella
algebrica che utilizza il concetto di derivazione.
1.2. SPAZIO TANGENTE 13
1.2.1 Spazio tangente in un punto: curve
Sia M una variet`a dierenziale di dimensione m di classe k 1, sia 1 un intervallo aperto
della retta reale.
Denizione 1.2.1.1. Una curva di M (parametrizzata) `e una applicazione dierenziabile
x : 1 Mdi classe C
k
. Se 0 1 se x(0) = p diremo che la curva x(t) ha origine in
p M.
Utilizzando carte coordinate vogliamo ora poter dire quando due curve, x : 1 M e
y : M, con origine in p sono ivi tangenti. Sia (U, ) un aperto coordinato contenente
p. Esistono allora intorni aperti di 0 R, 1
1 e
) U e y(
) U.
Componendo con la carta coordinata abbiamo due curve di R
m
:
X(t) = (x(t)) : 1
R
m
Y (t) = (y(t)) :
R
m
Si noti che X(t) = (x
1
(t), . . . , x
m
(t)) e Y (t) = (y
1
(t), . . . , y
m
(t)) sono curve con origine
in (p), i vettori tangenti in tale punto sono rispettivamente X
(0) = (x
1
(0), . . . , x
m
(0))
e Y
(0) = (y
1
(0), . . . , y
m
(0)), e le due curve sono tangenti se X
(0) = Y
(0). Diremo
allora che x(t) e y(t) sono tangenti in p se X
(0) = Y
(0)
denisce un isomorsmo
c : T
p
R
n
e denisce una struttura di spazio vettoriale su T
p
. Allora un vettore v T
p
`e la classe di
equivalenza
v = [x(t)]
di una curva avente origine in p.
Ora se F C
k
(M, N) (k 1) `e una funzione di classe C
k
la composizione x(t)
F(x(t)) denisce unapplicazione
F
: (p) (F(p))
Si ha ora che se due curve x(t) e y(t) sono tangenti allora F(x(t)) e F(y(t)) sono
tangenti. Allora `e denita una applicazione sugli spazi tangenti:
Denizione 1.2.1.3. Lapplicazione di composizione F
(M)
p
, dei germi delle funzioni lisce di p M. Si noti che G
p
`e uno
spazio vettoriale reale.
Denizione 1.2.2.1. Una derivazione in p `e una applicazione X : G
p
R tale che
X(f +g) = X(f) +X(g)
X() = 0 per ogni costante R.
X(fg) = f(p)X(g) +g(p)X(f).
Si osservi che X `e lineare: infatti se `e una costante allora: X( f) = X(f) +
f(p)X() = X(f).
Allora una derivazione `e un elemento del duale di G
p
che ha la regola di Leibnitz
rispetto alla moltiplicazione di funzioni. Sia D
p
= D
M,p
linsieme delle derivazioni in p Se
X e Y sono due derivazioni in p, X + Y e X `e derivazione. Allora le derivazioni in p
formano uno spazio vettoriale.
Il seguente lemma permette di calcolare la dimensione di D
p
Lemma 1. Sia U R
m
un aperto convesso e p U sia f C
i
x
i
_
1
0
f
x
i
(tx)dt
Quindi f(x) f(p) =
i
x
i
g
i
(x), dove
g
i
(x) =
_
1
0
f
x
i
(tx)dt.
Proposizione 1.2.2.2. Sia U R
m
un aperto e p U un suo punto allora le derivate
parziali
X
i
=
x
i
[
p
sono una base canonica di D
U,p
. Quindi vi `e una identicazione naturale D
U,p
R
m
.
1.2. SPAZIO TANGENTE 15
Dimostrazione. Notiamo che ognuna delle X
i
D
p
. Inoltre le X
i
sono linearmente indi-
pendenti. Supponiamo
m
i
a
i
X
i
= 0
allora prendiamo la funzione su U che denisce la iesima coordinata x
i
nella base
standard (o volendo il suo germe), si ha
0 =
m
i=1
a
i
x
i
(x
i
)[p = a
i
.
Per vedere che le X
i
sono un sistema di generatori per D
p
sia X D
p
e siano X(x
i
) = a
i
Dobbiamo vedere che Y = X
m
i=1
a
i
X
i
= 0. Si noti che Y (x
i
) = 0 e anche Y (x
i
x
i
(p)) = 0. per ogni i. Ci serve mostrare che Y (f) = 0 per ogni germe di funzione f. La
restrizione ad un intorno convesso permette lutilizzo del lemma 1. e la regola di Leibnitz
1.2.2.1:
Y (f) = Y (f(p)) +
i
Y ((x
i
x
i
(p))(g
i
)) =
=
i
((x
i
(p) x
i
(p)) Y (g
i
) +g
i
(p) Y (x
i
x
i
(p))) = 0.
Quindi Y = 0.
Attraverso carte coordinate abbiamo che D
p
`e sempre uno spazio vettoriale di dimen-
sione uguale alla dimensione della variet`a.
Proposizione 1.2.2.3. Per ogni variet`a M di dimensione m e p M, D
M,p
`e uno spazio
vettoriale di dimensione m
Dimostrazione. Scegliamo un aperto coordinato (W, ) con p W. Se (W) = U abbiamo
un isomorsmo C
(W)
p
, e C
(U)
(p)
. Quindi anche un isomorsmo di D
p
e D
(p)
.
Una base dello spazio vettoriale D
p
`e data dalla controimmagine delle derivate parziali,
se q =
1
(x
1
, . . . , x
m
)
(X
i
)(g) =
g(
1
(x
1
, . . . , x
m
))
x
i
((p))
Spesso indicheremo ancora con X
i
o con
x
i
il vettore corrispondente alla derivazione nel
punto p di M invece di
(X
i
) quando la carta coordinata `e ssata.
Le derivate direzionali deniscono una applicazione naturale : T
p
D
p
se v = [(t)]
`e un vettore tangente a p M, allora (t) `e una curva che ha origine in p. Se f `e una
funzione regolare denita in un intorno di p possiamo denire (mediante restrizioni o
utilizzando la nostra famosa convenzione)
(v)(f) =
df()
dt
(0)
Si verica subito che v(f) `e ben denita e che (v) `e una derivazione. Abbiamo:
16 CAPITOLO 1. VARIET
`
A DIFFERENZIABILI
Proposizione 1.2.2.4. Lapplicazione `e biettiva e denisce una identicazione naturale
tra T
p
e D
p
.
Dimostrazione. Utilizzando aperti coordinati ci si riduce a considerare il caso di un aperto
U R
n
. Se e
i
`e la base standard di R
n
e v
i
= [
i
(t) = p +te
i
] si ha
(v
i
) = X
i
Questo denisce lisomorsmo canonico.
Da ora in poi identicheremo le derivazioni con lo spazio tangente e useremo sia la
descrizione geometrica che quella algebrica.
Nei seguenti esercizi si trover`a unaltra descrizione di T
p
.
Esercizi 1.2.2.5.
Sia M una variet`a p M un suo punto. Si considerino / = f C
(M) : f(p) = 0.
Dimostrare che / `e un ideale di C
(M).
Dimostrare che ogni derivazione X in p denisce un funzionale lineare su /.
Dimostrare che X(/
2
) = 0 dove gli elementi di/
2
sono le funzioni che si annullano di
ordine almeno 2 in p.
Dimostrare che D
p
`e isomorfo al duale dello spazio vettoriale
V =
/
/
2
.
Concludiamo questa sezione dando linterpretazione del dierenziale di una funzione
dierenziale utilizzando le derivazioni:
Se F : M N abbiamo per composizione unapplicazione F
: C
(N) C
(M)
allora se X D
p
= T
p
possiamo denire DF
p
(X) T
F(p)
= D
F(p)
come la derivazione:
DF
p
(X)(g) = X(F(g)) = X(F
(g)). (1.3)
Lasciamo al diligente studente vericare che le due denizioni di dierenziale date
coincidono. Enunciamo il seguente semplice, ma fondamentale risultato.
Proposizione 1.2.2.6. Siano X, M e N variet`a C
k
, k 1 siano G : X M e F : M
N regolari di ordine k
D(F G) = DF DG
Dimostrazione. Si utilizza ancora la regola di derivazione delle funzioni composte. Utiliz-
zando le derivazioni non vi `e neppure bisogno di utilizzare le coordinate locali.
1.2.3 Fibrato Tangente
Sia M una variet`a di classe k 1 e dimensione m. Lo spazio o il brato tangente `e per
denizione lunione degli spazi tangenti nei punti di una variet`a M :
T
M
=
_
pM
T
M,p
.
1.2. SPAZIO TANGENTE 17
Si ha allora una proiezione naturale, detta brazione
q : T
M
M
dove q(v) = p v T
p
. I vettori di T
p
sono talvolta detti applicati a p. Vedremo che
T
M
ha una struttura naturale di variet`a C
k1
(C
se k = ) di dimensione 2m.
Se W R
m
`e un aperto allora vi `e un isomorsmo naturale tra T
W,p
e R
m
. Gli
elementi X
i
, i = 1, . . . , n della base naturale corrispondono alle curve p + te
i
e, nella
versione algebrica, a
x
i
. Pi` u in generale un vettore v R
m
corrisponde a X
v
= [p + tv].
Abbiamo quindi una identicazione naturale :
T
W
W R
m
R
2m
.
Questa osservazione permetter`a di dare coordinate allo spazio tangente.
Anticipiamo dapprima qualche considerazione sul dierenziale di una funzione a valori
in R
s
. Se F : M R
s
DF : T
M
T
R
s = R
s
R
s
.
La proiezione sulle primo fattore `e la funzione F. Se : R
s
R
s
R
s
`e la proiezione sul
secondo fattore (v, w) = w. Ponendo
dF = DF,
otteniamo per v T
p
DF
p
(v) = (F(p), dF(p)v).
Se in particolare
f : M R
`e di classe C
k
, cio`e f C
k
(M). Allora possiamo interpretare il dierenziale di f come
Df
p
(v) = (f(p), df
p
v), (1.4)
per ogni vettore v T
p
. Notiamo che df(p) : T
p
R `e lineare e quindi:
df(p) T
p
dove T
p
`e lo spazio duale a T
p
. Se X T
p
`e interpretato come derivazione (se volete essere
coerenti no in fondo supponete k = ): si ha per costruzione:
df(X) = X(f). (1.5)
Esercizi 1.2.3.1. Sia A un aperto di R
m
e F : A R
s
di classe C
k
, k > 1.
1. Dimostrare che dF `e lusuale Jacobiano della funzione f.
2. Studiare d(dF).
18 CAPITOLO 1. VARIET
`
A DIFFERENZIABILI
Se : U R
M
,
(p) = (x
1
(p), . . . , x
m
(p)),
`e una carta coordinata dx
i
, i = 1, . . . , m denisce una base in T
p
duale della base X
i
=
x
i
:
dx
i
x
i
= 1 dx
i
x
j
= 0 se i ,= j.
Il dierenziale di denisce una biezione:
D() = (, d) = (, dx
1
, ..., dx
n
) : T
U
T
W
W R
m
. (1.6)
Notiamo inne che W R
m
R
2m
`e un aperto di R
2m
. La formula 1.6, denisce
coordinate per T
M
. Ecco il dettaglio della costruzione della variet`a brato tangente:
1. La topologia. Vogliamo dare a T
M
la topologia pi` u debole che rende continua le
D() : se
B W R
m
`e un aperto allora B
= D()
1
(B) deve essere aperto. Deniamo la topologia T
avente come base B
=
(U V ) e W
= (U V ) abbiamo
D : T
UV
W
R
m
,
D : T
UV
W
R
m
.
Notiamo che D(D)
1
= D(
1
); allora il cambiamento di coordinate `e denito
da:
D (D)
1
= (
1
, d(
1
) : W
R
m
R
2m
. (1.7)
Ora
d(
1
)
`e lo jacobiano di
1
che `e dierenziabile di classe C
k1
(C
se k = ).
In conclusione abbiamo:
1.2. SPAZIO TANGENTE 19
Proposizione 1.2.3.2. Con le carte denite in 1.6 T
M
, T , T
U
, D() `e una variet`a di
dimensione 2m e classe C
k1
(C
se k = ). Inoltre la brazione q : T
M
M `e
dierenziabile di classe C
k1
Lo spazio tangente T
M
`e allora in maniera naturale una variet`a dierenziale inoltre,
praticamente per costruzione:
Proposizione 1.2.3.3. Se M e N sono variet`a di classe C
k
1 e F C
k
(M, N), allora
DF C
k
(M, N), il dierenziale DF della F `e di classe k 1 : DF C
k1
(T
M
, T
N
).
Esercizi 1.2.3.4. 1. Siano f e g in C
(M) e
lequazione 1.8 di Leibnitz determina i campi vettoriali. Intatti per ogni p M X
p
(f) =
X(f)(p) `e una derivazione. Si osservi che la somma di due campi vettoriali X e Y `e un
campo vettoriale X + Y e che il prodotto di una funzione regolare f per X `e un campo
vettoriale.
Denizione 1.2.4.2. Sia M variet`a C
verr`a indicato
con A
(M)
20 CAPITOLO 1. VARIET
`
A DIFFERENZIABILI
Esercizi 1.2.4.3. Sia M variet`a C
prendiamo X e Y in A
(M) si ha che
[X, Y ] = XY Y X A
(M).
Abbiamo denito il bracket o parentesi di Lie e cio`e loperatore bilineare.
[, ] : A
(M) A
(M) A
(M) (1.9)
Proposizione 1.2.4.4. Se X, Y e Z sono campi vettoriali, e f C
j
(a
j
b
i
x
j
b
j
a
i
x
j
).
Riprenderemo in seguito lo studio dei campi vettoriali e delle parentesi di Lie. Tale
operazione `e probabilmente, insieme alla derivata esterna di forme, la struttura algebrica
pi` u importante per una variet`a dierenziale.
Sia A una k-algebra. Una derivazione di A `e unapplicazione lineare D : A A tale
che
D(ab) = D(a)b +aD(b).
Proposizione 1.2.4.5. Se X A
(M) C
(M) `e una funzione che si annulla su un aperto U M, allora anche la funzione D(f)
si annulla su U. Dato un punto p U consideriamo una funzione cut-o C
(M)
1.3. STUDIO DEL DIFFERENZIALE DI UNA FUNZIONE 21
che sia uguale ad 1 su un intorno V di p, e che sia identicamente nulla su M U. Allora
f = (1 )f, dunque
D(f) = D
_
(1 )f
_
=
_
D(1 )
_
f + (1 ) D(f).
Su V si ha f = 0 e anche = 1. Dunque D(f) = 0 su V . Pertanto D(f) = 0 su tutto
U, dunque D `e un operatore locale. Proseguiamo dimostrando che D `e la derivazione
associata ad un campo vettoriale di M. Sia (U, x
1
, . . . , x
n
) una carta di M. Lalgebra
C
(U). Infatti se
f C
f) perch`e D `e un operatore
locale.
`
E immediato vericare che D
U
`e una derivazione dellalgebra C
(U). Poniamo
i
= D
U
(x
i
).
Data una funzione f su U ed un punto p
0
U di coordinate x
0
esistono funzioni g
i
C
i=0
i
(x
0
)
f
x
i
(x
0
).
Ci`o dimostra che sullaperto U la derivazione D `e indotta da uno ed un solo campo
vettoriale: il campo X =
i
x
i
. Su un altra carta loperatore D `e indotto da un altro
campo. Ma per lunicit`a questi due campi devono coincidere. Pertanto il campo X `e
globalmente denito.
Q.E.D.
1.3 Studio del dierenziale di una funzione
1.3.1 Teorema della funzione implicita
Abbiamo la seguente versione del teorema della funziona inversa:
Teorema 1.3.1.1. Funzione inversa Sia U R
m
un aperto f : U R
m
una funzione
di classe C
k
. Se p U `e tale che df(p) `e invertibile allora esiste un aperto W U tale
che 1) f(W) = V `e un aperto di R
m
e 2) la restrizione f : W V `e un dieomorsmo
di classe C
k
.
22 CAPITOLO 1. VARIET
`
A DIFFERENZIABILI
La funzione f : W R
m
denita in 1.3.1.1 `e una carta compatibile con la struttura
dierenziale standard.
Denizione 1.3.1.2. Se f : M N `e una funzione di classe C
k
diremo che f `e un
dieomorsmo locale se per ogni punto p M esiste un intorno aperto p U tale che :
a) f(U) = V `e un aperto di N e b) f : U V `e un dieomorsmo.
Se f : M N `e un dieomorsmo locale allora dimM = dimN. Il teorema della funzione
inversa 1.3.1.1 si riscrive allora:
Proposizione 1.3.1.3. Sia f : M N `e una funzione di classe C
k
, f `e dieomorsmo
locale se e solo se DF(p) : T
p
T
F(p)
`e biettivo per ogni p M.
Le inclusioni e i rivestimenti di aperti sono dieomorsmi locali che non in generale
globali. La mappa esponenziale exp : C C
1
: W R
m
esiste ed `e regolare. Si pone allora =
1
.
Teorema 1.3.1.5. Funzioni implicite: versione iniettiva. Sia U R
m
un aperto
p U e f : U R
n
, f(x
1
, . . . , x
m
) = (y
1
, . . . , y
n
) di classe C
k
, k > 0. Sia q R
n
e
p U f(p) = q. Supponiamo che df(p) sia iniettivo. Allora esiste un intorno aperto W ,
q W R
n
, e un dieomorsmo locale : W R
n
tale che: (q) = 0 e
(f(x
1
, . . . , x
m
)) = (x
1
, . . . , x
m
, 0, . . . , 0).
1.3.2 Trasversalit`a, Funzioni implicite
In questa lezione vogliamo descrivere una versione globale del teorema della funzione
implicita e il suo legame con le sottovariet`a. Siano M e N due variet`a di dimensione m e
n di classe C
k
, k 1. Sia F : M N una funzione dierenziabile F C
k
(M, N).
1.3. STUDIO DEL DIFFERENZIALE DI UNA FUNZIONE 23
Denizione 1.3.2.1. Un punto p M si dice un punto regolare di F se DF
p
`e suriettivo.
Se invece DF
p
non `e suriettivo p `e detto punto critico di F. Un punto s N si dice valore
regolare se ogni p F
1
(s) `e un punto regolare di F.
Si noti lambiguit`a linguistica : se F
1
(q) = allora q `e un valore regolare di F. Per
ovviare a questo diremo che q `e valore regolare proprio se Z = F
1
(q) ,= . Da 1.3.1.4
segue:
Lemma 2. Sia U R
m
ed f : U R
n
una funzione liscia. Se 0 R
n
`e un valore
regolare proprio di f, allora f
1
(0) `e una sottovariet`a di U di dimensione mn.
Dimostrazione. Nella carta denita dalla
Z (W) = x
1
= . . . = x
n
= 0.
Pi` u in generale sia A N una sottovariet`a di dimensione a e : A N linclusione.
Possiamo identicare lo spazio tangente T
A,q
con il sottospazio DT
A,q
di T
N,q
. Diamo la
seguente:
Denizione 1.3.2.2. Una sottovariet`a A di N `e detta trasversa alla F : M N se per
ogni p M tale che q = F(p) N allora:
T
N,q
= DF
p
(T
M,p
) +T
A,q
Se pensiamo ai punti come variet`a di dimensione 0 un punto `e trasverso se e solo se `e
valore regolare.
Proposizione 1.3.2.3. Sia F : M N una applicazione dierenziabile di classe C
k
tra variet`a di dimensione m e n. Sia A una sottovariet`a di N di dimensione a. Se A
`e trasversa ad F e Z
A
= F
1
(A) `e non vuoto, allora Z
A
`e una sottovariet`a di M di
dimensione mn+a. In particolare se q `e un valore regolare proprio allora F
1
(q) `e una
sottovariet`a di M di dimensione mn.
Dimostrazione. Si noti che per ipotesi m + a n 0. Fissiamo p A e F(p) = q. Esiste
allora carta coordinata : V R
n
, tale che:
1) (s) = (y
1
(s), . . . , y
a
(s), y
a+1
(s), . . . , y
n
(s)),
2) (q) = (0, . . . , 0),
3) A V = s V : y
i
(s) = 0, i = a + 1, . . . , n.
Poniamo H = y R
n
: y
i
= 0, i = a + 1, . . . n si ottiene allora
A V =
1
(V
H), V
= (V ).
Prendiamo un aperto coordinato in M, (U, ), con p U e U F
1
(V ), tale che : U
R
m
e (p) = (0, . . . , 0). Deniamo allora
f = F
1
: (U) (V )
24 CAPITOLO 1. VARIET
`
A DIFFERENZIABILI
Allora (Z
A
W) = f
1
(H (V )). La trasversalit`a di A rispetto ad F diventa nelle
carte locali la trasversalit`a di H (H V ) rispetto alla f. In coordinate:
f(x
1
, . . . , x
m
) =
_
_
y
1
(x
1
, . . . , x
m
)
. . .
y
a
(x
1
, . . . , x
m
)
y
a+1
(x
1
, . . . , x
m
)
. . .
y
n
(x
1
, . . . , x
m
)
Sia la proiezione sulle ultime n a coordinate:
(y
1
, . . . , y
n
) = (y
a+1
, . . . , y
n
).
Ora la composizione g = f ha in 0 un valore regolare: altrimenti f non sarebbe
trasversa ad H e f
1
(H V ) = g
1
(0). Il teorema della funzione implicita (ovvero il
lemma 2) dimostra che g
1
(0) `e una sottovariet`a di R
m
.
1.3.3 Valori regolari e punti critici: il lemma di Sard I
In questa lezione vedremo che per funzioni lisce i valori regolari sono densi. Siano allora
M e N due variet`a C
di dimensione m e n. Sia f C
e f C
= M R
nm
e G : M
N, G(p, v) = f(p).)
Possiamo inoltre dimostrare:
Lemma 4.
1) Un insieme S N ha misura nulla se e solo se per ogni punto p S esiste un intorno
N
p
coordinato tale che N
p
S ha misura nulla.
2) Lunione numerabile di insiemi di misura nulla ha misura nulla.
Dimostrazione. 1) Sia S un misurabile non avente misura nulla, allora esiste una carta
coordinata ((S U)) > 0 per una carta U, . Viceversa supponiamo che ogni
punto p di S abbia un intorno aperto N
p
tale che N
p
S abbia misura nulla. Sia
(U, ) una carta coordinata. Vogliamo dimostrare che ((U S)) = 0. Se non fosse
cos` esisterebbe un compatto K U tale che ((K S) > 0. Ma allora ricoprendo
K con un unione nita dei nostri intorni N
p
abbiamo che
(
(S N
p
K) > 0
per qualche p. Questo `e in con le nostre ipotesi contraddizione perche
(
(SN
p
))
(
(S N
p
) K).
2) Quando N = R
n
segue dalla teoria della misura di Lebesgue. La nostra denizione
riduce poi ogni controllo nelle carte coordinate.
Lemma 5. Il complementare di N S di un insieme di misura nulla S N `e denso in
N.
Dimostrazione. Un insieme di una variet`a `e denso se e solo la sua intersezione con un aperto
coordinato `e non vuota. Infatti gli aperti coordinati formano una base della topologia.
Allora il lemma 3 segue dal seguente pi` u forte:
Lemma 6. (Sard) Se M e N sono C
e f C
nN
permette di ridurre la dimostrazione al caso in cui anche M sia un aperto di
R
m
. Infatti posto C
i
= U
i
C, se per ogni i D
i
= f(C
i
) ha misura nulla allora anche
D ha misura nulla per il lemma 4. Ripetendo lo stesso principio baster`a dimostrare il
lemma per M = W dove W `e un aperto convesso di R
m
. Di pi` u baster`a vericarlo per
le immagini dei punti critici che sono allinterno di i cubi compatti contenuti in W. Se
x = (x
1
, . . . , x
m
) W e r R, r > 0 sucientemente piccolo
I
x
(r) = (x
1
, . . . , x
m
) : [x
i
x
i
[ r i W.
Si noti che I
x
`e un cubo compatto di lato 2r e volume
(I
x
(r)) = 2
m
r
m
.
Allora W `e ricoperto da un insieme numerabile di cubi compatti W =
n
I
n
e dovremo di-
mostrare che f(I
n
C) ha misura nulla. In conclusione a meno di cambiamento dilatazioni
e traslazioni coordinate possiamo supporre di prendere il cubo standard di lato 1.
I
m
= [0, 1] . . . [0, 1] = (x
1
, ..., x
m
) R
m
: 0 x
i
1 (1.10)
Abbiamo visto il seguente lemma di riduzione:
Lemma 7. (Riduzione) Se possiamo dimostrare che per ogni funzione liscia f : W R
n
con I
m
W , e W aperto convesso di R
m
vale che (f(CI
m
)) = 0, allora vale il lemma
di Sard per tutte le f C
, ma n
+m
< n +m.
Lemma 8. Passo induttivo. Sia f : [0, 1] = I R una applicazione C
2
denita in un
intorno W [0, 1] allora (C I) = 0.
Dimostrazione. 1) Esiste una costante M > 0 tale che
[f(x) f(p)[ M(x p)
2
per ogni punto p C I e x I. Infatti f
(p) = 0 e allora
f(x) f(p) = (x p)
2
_
1
0
_
w
0
(f
(tx + (1 t)p)dtdw
Se M = sup
x[0,1]
[f
(f((C I
j
)) 2
n
(k2
2n
) = k2
n
.
Allora (f(C I)) = 0 perche `e il suo valore `e dominato da una successione
innitesima.
Svolto in dettaglio il caso n = m = 1 consideriamo il caso generale. Fissiamo I
m
W R
m
, W un aperto convesso di R
m
e f : W R
n
una funzione liscia (C
).
Scriviamo la funzione f nelle sue coordinate,
f = (f
1
(x
1
, . . . , x
m
), . . . , f
n
(x
1
, . . . , x
m
)).
Per ogni intero s > 0 diremo che la f ha ordine l s + 1 in p W se esistono un i,
1 i n, e degli indici
1 j
1
, . . . , j
s
m
tali che
s
f
i
x
j
1
. . . x
js
(p) ,= 0.
Diremo allora che f ha ordine s in p e scriveremo
v
f
(p) s
se tutte le derivate di ordine r, r s 1, di ciascuna delle f
j
si annullano. Per ogni intero
s 1 porremo
C
s
= p W : v
f
(p) > s.
Se C `e linsieme dei punti critici di f. Per ogni s > 0 abbiamo
C C
s
C
s+1
28 CAPITOLO 1. VARIET
`
A DIFFERENZIABILI
e quindi
C = (C C
1
)
s
_
j=2
(C
j1
C
j
) C
s
Porremo anche D
s
= f(C
s
):
f(C) = D = (D D
1
)
s
_
j=2
(D
j1
D
j
) D
s
.
Indichiamo il cubo di centro p e lato r con I
p
(r).
Lemma 9. Per ogni intero s > 0 s 1, esiste una costante M tale che p C
s
I
m
,
x I
m
[[f(x) f(p)[[ M [[x p[[
s
.
per ogni x U. In particolare (f(I
p
(r)) M
n
2
n
r
ns
.
Dimostrazione. Usando ripetutamente la formula di Taylor-Lagrange 1 otteniamo per ogni
j
f
j
(x) f
j
(p) =
P
a
j
k
=s
((x
j
k
x
j
k
)
a
j
k
)g
I,j
I = a
j
1
, . . . , a
j
l
:
a
j
k
= s e le g
I,j
sono funzione continue. Prendendo i massimi sulle
g
I,j
nel compatto I
m
e utilizzando la disuguaglianza di Schwartz otteniamo il lemma.
Ora ripetiamo il ragionamento fatto nel primo passo di induzione abbiamo che se un
cubo K di lato r interseca C
s
allora f(K) `e contenuto in cubo K
di lato kr
s
dove k `e una
costante che dipende solo da f. In particolare abbiamo:
Lemma 10. Se K I
m
`e un cubo di lato r allora (f(C
s
K) cr
s
dove c `e una
costante.
Lemma 11. Supponiamo
s >
m
n
allora f(I
m
C
s
) = f(I
m
) D
s
ha misura nulla.
Dimostrazione. Suddividiamo il cubo unitario in cubi di raggio
1
2
k
suddividendo i lati
(0 . . . I . . . 0.
Troviamo in questo modo 2
km
cubi K
i
che ricoprono I
m
Allora
(f(I
m
C
s
)) 2
mk
(f(K
i
D
s
)) 2
mk
c(
1
2
k
)
(sn
= c2
k(mns)
.
Facendo tendere k ad innito abbiamo
(f(I
m
C
s
)) = 0
se mns < 0.
1.3. STUDIO DEL DIFFERENZIALE DI UNA FUNZIONE 29
Corollario 1.3.3.4. Se s >
m
n
allora (D
s
) = 0.
Dimostrazione. Si ricopre W con un unione numerabile di cubi (7)
Lemma 12. Utilizzando le notazioni precedenti per ogni s > 1, (D
s1
D
s
) = 0.
Dimostrazione. Per un punto p D
s1
D
s
deve esistere una funzione f
j
aventi tutte le
derivate parziali di ordine s nulle mentre una di ordine s + 1 non nulla. Posto
g
I
(x) =
s
f
i
x
j
1
. . . x
js
(x)
Dobbiamo studiare, al variare degli indici, le intersezioni di C con
Y
I,k
= g
I
(x) = 0,
g
I
x
k
,= 0
Per il teorema delle funzioni implicite Y
I,k
`e sottovariet`a di dimensione m 1 di W.
Abbiamo che lintersezione:
Y
I,k
C
abbiamo `e contenuta nellinsieme dei punti critici della restrizione
f : Y
I,k
R
n
.
Infatti il dierenziale `e la restrizione del dierenziale, ma per restrizione una applicazione
non suriettiva rimane non suriettiva. Quindi per lipotesi induttiva (f(Y
I,k
C)) = 0;
variando gli indici abbiamo allora (D
s1
D
s
) = 0.
Per concludere il la dimostrazione del lemma di Sard dobbiamo vedere che (DD
1
) =
f(C C
1
) = 0. Utilizzando il solito principio di riduzione 7 `e suciente dimostrare il
seguente:
Lemma 13. Per ogni punto p C C
1
esiste un intorno A di p aperto in R
n
tale che
(f(C A)) = 0.
Dimostrazione. Sia p C C
1
allora abbiamo che df(q) non `e suriettivo, ma df(p) ,= 0,
riscriviamo la funzione in coordinate:
y
i
= f
i
(x
1
, . . . , x
m
), i = 1, . . . , n.
Possiamo supporre a meno di cambiare gli indici (e quindi a meno di dieomorsmi):
f
n
x
m
(p) ,= 0.
Il dierenziale, dg(p), dellapplicazione g : W R
m
:
g(x
1
, . . . , x
m1
, f
n
(x
1
, . . . , x
m
))
`e invertibile. Per il teorema della funzione inversa esiste un intorno aperto A W tale che
g : A R
m
`e un dieomorsmo sullimmagine B = g(A). Inoltre facciamo in modo che
B sia un cilindro U]a, b[, con U aperto in R
n1
. Vogliamo dimostrare (f(C A)) = 0.
30 CAPITOLO 1. VARIET
`
A DIFFERENZIABILI
Posto h = f g
1
: B R
n
abbiamo che i valori critici di h e di f coincidono. Nelle
coordinate (x
1
, x
2
, ..., x
m1
, t) posto x = (x
1
, . . . , x
m1
). abbiamo:
h(x, t) = (h
1
((x, t), . . . , h
n1
(x, t), t).
che riscriviamo come:
h = (h
t
(x), t).
Per dimostrare che le immagini D
h
dei punti critici C
h
di h, D
h
= h(C
h
), ha misura nulla
basta considerare dei parallelepipedi (o cubi) 7 della forma K[c, d], con K cubo di R
m1
e provare che
(D
K
) = 0,
dove abbiamo posto D
K
= h(C
h
(K [c, d]).
Fissato t [c, d] sia
C
t
= C
h
(K t).
Per costruzione (x, t) C
t
se e solo se x `e un punto di K punto critico per la funzione
liscia h
t
: U R
n1
Ma allora
D
K
= g(C
h
(K [c, d]) =
_
t[c.d]
D
t
t
Per induzione D
t
= h
t
(C
t
) ha misura zero. Utilizzando il teorema di Fubini otteniamo
R
n(D
K
) =
_
d
c
R
n1(D
t
)dt =
_
d
c
0dt = 0.
Questo completa la nostra dimostrazione.
1.4 Fibrati Vettoriali e forme dierenziali
1.4.1 Il brato cotangente
La costruzione del brato tangente T
M
di una variet`a M e le sue carte coordinate hanno
permesso di estendere il concetto di dierenziale di una funzione regolare e di chiarire
alcune delle notazioni usate nel calcolo dierenziale. In particolare si `e interpretato il
dierenziale di una funzione f C
k
(M) come una applicazione df : T
M
R,
df(p) T
M,p
,
T
M,p
, `e lo spazio duale a T
M,p
. Se deniamo
T
M
=
_
pM
T
M,p
e : T
M
M la proiezione naturale, df `e una sezione di . Ripetendo la costruzio-
ne delle carte coordinate dello spazio tangente possiamo denire una struttura di va-
riet`a dierenziabile T
M
: detto spazio o brato cotangente. Ripercorriamo brevemente la
costruzione:
1.4. FIBRATI VETTORIALI E FORME DIFFERENZIALI 31
1) Se U, U M `e un aperto coordinato allora
T
U
U R
m
.
Infatti se (p) = (x
1
(p), . . . , x
m
(p)) allora
dx
1
, . . . , dx
m
.
una base denita in ogni punto p U. Abbiamo la carta: (, d) : T
U
(U)
R
m
R
2m
.
2) Se W, `e una carta coordinata, (W) = U abbiamo delle carte:
(D
1
)
: T
W
T
U
U R
m
R
2m
.
3) Il cambiamento di coordinate: se Z, `e unaltra carta, il cambiamento di coordi-
nate in T
`e dato da
(
1
,
t
(d(
1
)),
dove
t
A`e la trasposta di una matrice A. In pratica i cambiamenti di carta si ottengono
facilmente dalle regole del dierenziale di una funzione se
1
= (y
1
(x
1
, . . . , x
m
), . . . , y
m
(x
1
, . . . , x
m
))
allora:
dy
j
=
m
i=1
y
j
dx
i
dx
i
. (1.11)
Proposizione 1.4.1.1. Con le carte denite sopra, il brato cotangente T
M,p
`e una variet`a
di dimensione 2m e classe C
k1
e (C
se k = ). Inoltre la brazione : T
M,p
M `e
dierenziabile di classe C
k1
.
Denizione 1.4.1.2. Una sezione di : T
M,p
M `e una 1forma dierenziale di M.
Supponiamo M di classe C
M
tali che = id
U
lidentit`a di U. Se U `e un aperto,
coordinato da (p) = (x
1
(p), . . . , x
m
(p)), possiamo scrivere ogni 1 forma,
1
(U),
come
= a
1
(x
1
, . . . , x
n
)dx
1
+. . . +a
n
(x
1
, . . . , x
n
)dx
n
dove le a
1
(x
1
, . . . , x
n
) sono lisce. In particolare per ogni funzione liscia, f C
(M) si ha
df
1
(M), Deniamo una mappa detta dierenziale (esterno):
d : C
(M)
1
(M). (1.12)
Abbiamo allora la seguente (nota) denizione
Denizione 1.4.1.3. Una forma
1
(M) si dice esatta se esiste una funzione f
C
:
1
(N)
1
(M)
denita da
()(v) = (D()v)
con v T
M,p
.
Esercizi 1.4.1.4.
Dimostrare che per ogni f, d
(f) =
(df).
Dimostrare che M `e connessa se e solo se le uniche funzioni per cui df = 0 sono le
costanti.
Se M = R allora ogni 1-forma `e esatta.
Trovare una 1 forma non esatta in S
n
con n 1.
1.4.2 Funzioni multilineari
Nella precedente sezione abbiamo denito le 1forme dierenziabili come sezioni del -
brato cotangente. L hessiano, nella formula di Taylor, le forme fondamentali, nella teoria
delle supercie e la teoria elementare delle due forme dierenziali in R
2
. mostrano come sia
importante considerare funzioni bilineari denite sui tangenti. Pi` u in generale se p M
sia
(v
1
, . . . , v
s
) : T
p
, . . . , T
p
R
una funzione smultilineare.
Indicheremo con T
p
s
lo spazio delle sfunzioni multilineari denite su T
p
. In par-
ticolare porremo anche T
p
2
= T
p
T
p
, T
p
3
= T
p
T
p
T
p
etc. . Il motivo di di
questa notazione moltiplicativa viene dal fatto che se L
1
, . . . , L
s
sono elementi del duale
del tangente, L
i
T
p
allora il prodotto
L
1
L
2
. . . L
s
(v
1
, v
2
, . . . , v
s
) = L
1
(v
1
) L
2
(v
2
) . . . L
s
(v
s
) (1.13)
denisce una funzione s multilineare. Non tutte le funzioni multilineari sono prodotto di
funzione lineari. Tuttavia otteniamo un insieme di generatori: con le notazioni precedenti,
se x
i
sono coordinate di un intorno di p e dx
1
, . . . , dx
m
la base di (T
p
), deniamo una base
per (T
p
)
s
dx
i
1
. . . dx
is
1 i
j
m. (1.14)
Denizione 1.4.2.1.
Una funzione T
p
s
si dice simmetrica se
(. . . , v
i
, . . . v
j
, . . .) = (. . . , v
j
, . . . v
i
, . . .) i, j, , v
i
, v
j
T
p
.
1.4. FIBRATI VETTORIALI E FORME DIFFERENZIALI 33
Il sottospazio di T
p
s
delle funzioni simmetriche verr`a indicato con
Sym
s
(T
p
).
Una funzione T
p
s
si dice alternate se
(. . . , v
i
, . . . v
j
, . . .) = (. . . , v
j
, . . . v
i
, . . .) i, j, v
i
, v
j
T
p
.
Il sottospazio di T
p
s
delle funzioni alternati verr`a indicato con
s
(T
p
).
Esercizi 1.4.2.2.
Mostrare che T
p
T
p
= Sym
2
(T
p
)
2
(T
p
)
Dimostrare che se s m dim
_
s
(T
p
) = (
m
s
), e che
s
(T
p
) = 0 per s > m.
Calcolare dimSym
s
(T
p
).
Interpretare i polinomi omogenei di grado d in m variabili come funzioni multilineari
simmetriche di R
m
.
Come nel caso del tangente e del cotangente possiamo costruire dei brati :
1) T
M
s
=
pM
T
p
s
.
2) Sym
s
T
M
=
pM
Sym
s
(T
p
)
3)
_
s
T
M
=
pM
_
s
(T
p
).
Tutti i precedenti insiemi hanno una applicazione naturale su M, che chiameremo
sempre . La controimmagine di ogni punto sono le applicazioni multilineari (simme-
triche /alternanti) denite sul tangente al punto. Le basi canoniche 1.14 danno una
trivializzazione di T
s
U
quando U `e un aperto coordinato
T
s
U
U R
ms
.
Questo denisce allora una carta coordinata per T
M
s
. I cambiamenti di coordinate pos-
sono essere pesanti da scrivere, ma si ricavano tutti dalle regole di Leibnitz. La brazione
: T
M
s
M ha classe C
k1
.
Analogamente possiamo denire trivializzazioni locali per Sym
s
T
M
e
s
T
M
. Conside-
riamo il caso delle forme alternanti e lasciamo al lettore il caso delle funzioni simmetriche.
La teoria del determinante suggerisce che data L
1
L
2
. . . L
s
come in 1.13 possiamo
costruire una forma alternata L
1
L
2
. . . L
s
.
L
1
L
2
. . . L
s
(v
1
, . . . , v
s
) = det
_
_
_
_
L
1
(v
1
) L
1
(v
2
) . . . L
1
(v
s
)
L
2
(v
1
) L
2
(v
2
) . . . L
2
(v
s
)
. . . . . . . . . . . .
L
s
(v
1
) L
s
(v
2
) . . . L
s
(v
s
)
_
_
_
_
. (1.15)
Con queste notazioni una base di
_
s
T
U
`e data da
dx
i
1
. . . dx
i
1
, 1 i
1
< . . . < i
s
m
Abbiamo
34 CAPITOLO 1. VARIET
`
A DIFFERENZIABILI
Proposizione 1.4.2.3. Con le carte denite, i brati tensoriali:
s
T
M
, Sym
s
T
M
e
_
s
T
M
sono variet` a C
k1
( C
se k = ). Inoltre la brazione :
_
s
T
M
M `e
dierenziabile di classe C
k1
.
Supponiamo per semplicit`a k = e diamo le seguenti:
Denizione 1.4.2.4. 1) Una s forma dierenziale di M `e una sezione di
:
s
M
M.
2) Indicheremo con
k
(M) lo spazio delle forme dierenziali C
di M.
3) Una sezione liscia di g di Sym
2
T
iI
.
4) Dei dieomorsmi f
i
:
1
(U
i
) U
i
F tali che:
p
1
(f
i
(y)) = (y)
ove p
1
: U
i
F U
i
`e la proiezione sulla prima componente p
1
(x, f) = x.
Si noti che nella precedente denizioni possiamo prendere gli U
i
aperti coordinati.
Spesso indicheremo un brato solo con la coppia E, o anche solo con E. Si osservi che
1
(x) `e dieomorfa attraverso la f
i
alla bra F. In particolare dimE = dimM + dimF.
Al variare di x U
i,j
= U
i
U
j
abbiamo una famiglia f
i,j
(x) = f
i
f
1
j
di dieomorsmi
di F,
f
i,j
: U
i,j
F U
i,j
F
parametrizzata da U
i,j
. Le f
i,j
si dicono funzioni di transizione. Si notino le condizioni
di cociclo: f
i,j
f
j,k
= f
i,k
f
ii
= id e f
j,i
= f
1
i,j
.
Possiamo denire le sezioni della brazione come le mappe regolari s : M E tali che
s = id
M
.
1.4. FIBRATI VETTORIALI E FORME DIFFERENZIALI 35
Denizione 1.4.3.2. Un brato vettoriale (reale) di rango n E, su M `e un brato
dove la bra F `e lo spazio R
n
e i dieomorsmi f
ij
(x) sono lineari:
f
ij
(x) GL(n, R) x U
i,j
.
Abbiamo selezionato cio`e le bre e i dieomorssmi pi` u semplici. Le f
i
si dicono
trivializzazioni del brato. Si noti che f
ij
(x) : U
i,j
GL(n, R) `e funzione C
k
. Inoltre
se gli U
i
sono coordinate da funzioni
i
: U
i
R
m
, possiamo usare le composizioni
(, id) f
i,j
:
1
(U
i
) R
n+m
per denire carte coordinate di E. Si noti che le bre di
ogni punto E
x
=
1
(x) sono in modo naturale degli spazi vettoriali reali.
Esempio 1.4.3.3. Fibrato banale, brato tangente cotangente e multilineari. Esempio di
brato non vettoriale: il brato di Hopf.
1.4.4 Costruzioni con i brati
Un brato vettoriale di rango n vuole essere (in un certo senso) uno spazio vettoriale di
dimensione n aventi come base M, variet`a dierenziale di classe C
k
, ovvero le sue sezioni
sono un modulo di rango n sulle funzioni C
k
(M). Il principio generale `e che le varie
costruzioni dellalgebra lineare si possono denire per i brati. La prima operazione che
descriviamo `e invece di natura insiemistica e topologica.
Restrizione. Se E M `e un brato e N `e una sottovariet`a di M. La restrizione E
N
di un
brato ad una sottovariet`a `e in modo naturale un brato. Si noti che insiemisticamente se
E =
{xM}
E
x
con aperti trivializzanti U allora E
N
=
{xN}
E
x
con aperti trivializzanti
U N.
Prodotto. Se E e L sono due brati costruiamo dapprima EL MM. Questo `e un
brato vettoriale su M M con aperti trivializzanti del tipo U V . Sia la diagonale
del prodotto. Identichiamo M e , M , cioe M con limmagine dellinclusione:
x (x, x). La restrizione E F
|
con aperti trivializzanti U V , denisce un brato
che chiameremo ancora E F, su M.
Omomorsmi. Vogliamo dare la denizione di omomorsmo (lineare) tra brati vetto-
riali. Supponiamo di avere due brati vettoriali E,
E
, , e L,
L
rispettivamente su M e
N. Date due funzioni regolari H : E L h : M N, che commutano con le proiezioni
h
E
=
L
H, cio`e un diagramma commutativo:
E
H
L
E
F
M
h
N
.
Si ha allora per ogni x M la restrizione, H
x
, di H alla bra E
x
=
1
E
(x) denisce
un applicazione
H
x
: E
x
L
h(x)
dove con E
x
e L
y
denotiamo la bre di E L rispettivamente su x e y :
36 CAPITOLO 1. VARIET
`
A DIFFERENZIABILI
Denizione 1.4.4.1. Diremo che H `e un omomorsmo di brati vettoriali se H
x
`e lineare
per ogni x M. Quando H `e un omomorsmo diremo che H `e iniettivo, suriettivo se
H
x
lo `e per ogni x. Diremo che H `e un isomorsmo di brati se H `e un dieomorsmo
lineare sulle bre. (quindi H
x
biettiva e h dieomorsmo).
Se una funzione h : M N `e funzione regolare allora Dh : T
M
T
N
`e un omo-
morsmo di brati. Relativamente semplici sono gli omomorsmi di brati H : E F
quando M = N e h : M M `e la funzione identit`a. In questo caso possiamo trovare
aperti coordinati U che trivializzano entrambi i brati. Allora, in tali coordinate, H
p
si
rappresenta come una matrice A(x) = (a
ij
(x)) dove x = x(p) sono le coordinate di p U
e le a
ij
(x) sono funzioni regolari. Si noti che H
x
(E
x
) `e un sottospazio vettoriale di L
x
.
Esempio 1.4.4.2. Se indichiamo con R il brato banale R M abbiamo che le due
operazioni tipiche dei prodotti vettoriali: m : EE E, m(v, w) = v+w e k : RE E
sono omomorsmi di brati.
Sottobrati. Supponiamo M = N e h = id
M
. Notiamo che se H `e iniettivo H(E) allora `e
una sottovariet`a di L. Diremo allora che H(E) = G `e un sottobrato di L. Naturalmente E
e G sono sottobrati isomor. Un sottobrato `e allora una sottovariet`a data dallimmagine
iniettiva di un omomorsmo lineare H (con h = id
M
).
Quoziente e Nucleo. Se H(E) = G L `e un sottobrato vogliamo costruire il quoziente
Q = L/G. Come insieme dobbiamo avere: Q
x
= L
x
/G
x
. Vogliamo denire gli aperti
trivializzanti. Sia p un punto di M prendiamo un aperto U con p U, tale che U sia un
aperto coordinato che trivializza E, G e L. Se i ranghi di E e di L sono rispettivamente
m e n, ci riduciamo a considerare il caso L = R
n
U e E = R
m
U e H `e la matrice
A(x) = (a
ij
)(x). Per ipotesi le colonne della matrice sono, per ogni x, indipendenti. Allora
il determinante di uno dei minori di ordine n `e non nullo in p. Supponiamo , cosa possibile
a meno di una permutazione, che la sottomatrice
(a
ij
(x(p)) 1 i, j m
sia invertibile. Allora W = x U : det(a
ij
(x)) ,= 0, 1 i, j m `e un aperto che contiene
p. Se e
1
, . . . e
m
`e la base standard di R
m
e v
1
(x), . . . , v
n
(x) sono le colonne di A(x) si ha
che v
1
(x(q)), . . . v
n
(x(q)), e
n+1
, . . . , e
m
`e una base di R
m
per ogni q W. Poiche le v
i
(x)
generano limmagine di H abbiamo un isomorsmo (per ogni x) R
mn
Q
x
= L
x
/G
x
(a
1
, . . . , a
mn
) (0, . . . , 0, a
1
, . . . , a
mn
) modG
x
.
Questo denisce una applicazione biettiva
W R
mn
xW
Q
x
.
La regolarit`a delle a
ij
(x) prova che le funzioni di transizione sono regolari (tutte le opera-
zioni sono algebriche compresa linversione di una matrice). Abbiamo denito allora una
buona trivializzazione del quoziente nell intorno ad ogni punto.
1.4. FIBRATI VETTORIALI E FORME DIFFERENZIALI 37
Si noti che una tivializzazione di un brato E su U di rango n equivale a denire un
isomorsmo della restrizione E
U
con il brato banale su U, cio`e allesistenza n sezioni
regolari di E
U
s
1
, . . . , s
n
tali che per ogni punto x di U
s
1
(x), . . . , s
n
(x)
sia una base per E
x
.
Le due costruzioni (sottobrato/ quoziente) si potrebbero invertire, se `e dato un omo-
morsmo lineare suriettivo tra brati H : E L allora si prova (dualmente) che il nucleo
`e un sottobrato di E.
Il brato normale. Se X M `e una sottovariet`a allora il dierenziale dellinclusio-
ne j denisce un omomorsmo Dj : T
X
T
M
, ma per costruzione abbiamo anche un
omomorsmo iniettivo di brati su X :
Dj : T
X
T
M|X
dove T
M|X
`e la restrizione a X del tangente T
M
di M (T
M|X
=
{xX}
T
M,x
). Il brato
normale di X in M `e allora il quoziente
N = T
M|X
/T
X
.
Il pull-back. Abbiamo una generalizzazione della restrizione di brati. Sia f : X M
una funzione regolare e E, `e un brato vettoriale su M. Costruiamo un brato f
E
su X. Questo si denisce insiemisticamente f
E =
{xX}
E
f(x)
. Ovvero f
E = (v, x)
XE : f(x) = (v). Lasciamo al lettore vericare che f
E E
|f(X)
. In generale il dierenziale
Df induce un omomorsmo di brati su X , avente con identit`a come funzione X X,
(che per non introdurre un nuovo simbolo) indichiamo ancora con Df :
Df : T
X
f
T
M
.
Le sezioni del pullback permettono di generalizzare il concetto di campi vettoriali.
Denizione 1.4.4.3. Una sezione di f
T
M
si dice un campo di vettori di M tangente
lungo f.
Un campo lungo f associa ad ogni punto di x X un vettore V (x) T
M,f(x)
, tale
funzione deve essere regolare. Noi useremo quasi sempre tali campi solo per funzioni
denite su curve dimX = 1 o supercie dimX = 2, e pi` u precisamente il caso di intervalli
: X = (a, b) e di prodotti di intervalli: X = (a, b) (c, d).
Esempio 1.4.4.4. Sia U un aperto di R
n
(o un aperto coordinato). Sia (a, b) un intervallo
reale aperto. 1) Se f : (a, b) U `e liscia i campi lungo f si possono descrivere
V (t) = a
1
(t)
x
1
[
f(t)
+. . . +a
n
(t)
x
n
[
f(t)
:
38 CAPITOLO 1. VARIET
`
A DIFFERENZIABILI
si tratta di una curva in T
M
.
2) Se f : U (a, b) U `e invece la proiezione su U allora un campo lungo f `e del tipo
V (x, t) = a
1
(x
1
, . . . , x
n
, t)
x
1
+. . . +a
n
(x
1
, . . . , x
n
, t)
x
n
,
.
e rappresenta un operatore dierenziale lineari del primo ordine variabile in tempo.
Esercizi 1.4.4.5. Sia H : E L un omomorsmo di brati su M (h = id
M
e H
x
: E
x
L
x
). Indichiamo con K
x
= kerH
x
e G
x
= H(E
x
). Poniamo dim(K
x
) = s(x)
1) Se la dimensione s(x) di K
x
non dipende da x: s(x) = s allora imH = G
x
e
ker H = K
x
sono sottobrati rispettivamente di L ed E.
2) Costruire un esempio in cui s(x) non sia costante.
3) Costruire il brato Hom(E, L) = Hom(E
x
, L
x
)
4) Costruire il brato duale E
= Hom(E, R).
5) Dimostrare che (E
`e isomorfo ad E.
6) Costruire E
= B
x
dove B
x
sono le applicazioni bilineari E
x
L
x
R.
7) Denire E L = (E
.
9) Costruire Sym
s
E e
_
s
E.
1.5. CAMPI VETTORIALI E SOTTOVARIET
`
A 39
1.5 Campi vettoriali e sottovariet`a
1.5.1 Equazioni dierenziali ordinarie
In questa sezione riportiamo gli enunciati dei classici risultati di esistenza, unicit`a e
dipendenza continua dai dati, delle soluzioni di sistemi di equazioni dierenziali ordinarie.
Sia W un aperto di R
m
, sia J = (a, b), a < 0 < b, un intervallo reale contenente 0. Per
ogni 0 < , poniamo J
J se
< max([a[, b).
Sia F : W J R
m
F(x
1
, . . . , x
m
, t) = (f
1
(x
1
, . . . , x
m
, t), . . . , f
m
(x
1
, . . . , x
m
, t))
una funzione di classe C
k
, k 0. Sia J
W soddisfa
al problema di Cauchy per F con punto iniziale y
0
W se `e di classe C
1
e per ogni t J
i
(t) = f
i
(y
1
(t), . . . , y
m
(t), t), y(0) = y
0
. (1.16)
Una ipotesi che assicura esistenza e unicit`a `e la condizione di Lipschitz per la funzione
F, cio`e lesistenza una costante c tale
[[F(x, t) F(z, t)[[ c[[x z[[
per ogni x, z W e t J. Infatti abbiamo il seguente:
Teorema 1.5.1.1. Se F soddisfa lipotesi di Lipschitz allora per ogni y
0
W esiste un
> 0 e una sola funzione y : J
W R
m
y(t) = (y
1
(t), . . . , y
m
(t))
soluzione del problema di Cauchy (1.16) . Inoltre y(t) `e di classe C
k+1
.
Vogliamo discutere il risultato sulla dipendenza continua dai dati. Cominceremo con
il caso di un dominio compatto, premettiamo la seguente:
Denizione 1.5.1.2. Siano U e W due sottospazi di uno spazio topologico X. Diremo che
U `e relativamente compatto in W, e scriveremo U W, se la chiusura di U `e compatta
e contenuta in W : U W `e compatto.
Per esempio se (1, 1)
m
W R
m
, se e solo se se [1, 1]
m
W. Con le notazioni
di 1.5.1.1 abbiamo il seguente:
Theorem 1.5.1.3. Sia F una funzione di classe C
k
, F : W J R
m
,
F C
k
(W J, R
m
)
che soddisfa la condizione di Lipschitz. Sia U W un aperto di R
m
relativamente
compatto in W. Allora esiste un intervallo reale I = (, +) ( > 0) e una sola funzione
G : U I W
G(y
1
, . . . , y
m
, t) = (g
1
(y
1
, . . . , y
m
, t), . . . , g
m
(y
1
, . . . , y
m
, t)),
tale che per ogni y U G(y, 0) = y e G(y, t) = y(t) soddisfa al problema di Cauchy 1.16
per la F. La funzione G `e di classe C
k
nelle variabili x e C
k+1
nella variabile t.
40 CAPITOLO 1. VARIET
`
A DIFFERENZIABILI
Denizione 1.5.1.4. La funzione G del precedente teorema 1.5.1.3 si dice il usso di F.
Si noti che il usso soddisfa G(x, 0) = x per ogni x in U. Inoltre G
s
: U W `e
iniettiva (s ) per lunicit`a della soluzioni delle equazioni dierenziali. Pi` u precisamente
se deniamo
F(x, t) = F(x, s t) : W (a s, b s) W. Le soluzioni del problema di
Cauchy per la
F sono le funzioni y(t +s). Allora il usso di
F denisce linversa G
s
. Si
noti inne G
(
x, t) denisce allora una omotopia tra G
0
linclusione di U in W e G
s
.
Un caso particolarmente importante `e quando la funzione F non dipende dal tempo.
Allora ancora per lunicit`a delle soluzione il usso ha la cosidetta propriet`a del semigruppo.
Proposizione 1.5.1.5. Siano U W due aperti di R
m
. Sia F : W R
m
avente la
propriet`a di Lipschitz. Sia G : U (, ) W il usso di F. Siano s
1
, s
2
(, ) tali
che s
1
+s
2
(, ). Allora per ogni x U tale che G(x, s
1
) U si ha:
G(s
1
+s
2
, x) = G(s
2
, G(x, s
1
))
1.5.2 Flusso di un campo vettoriale
Vi `e una versione naturale del teorema delle equazioni ordinarie per variet`a. Per questo
si consideri un campo vettoriale X denito su una variet`a M. Premettiamo la seguente:
Denizione 1.5.2.1. Sia J = (a, b) un intervallo reale contenente lo zero. Una curva
: J M `e una curva integrale del campo X se per ogni t (a, b):
d(t)
dt
= X((t)).
In coordinate, le curve integrali di un campo vettoriale, sono soluzione di un sistema
autonomo di equazioni dierenziali. Infatti, sia (W, ) un aperto coordinato, abbiamo
d(X) =
m
i=1
a
i
(x
1
, . . . , x
m
)
x
i
,
e la curva (t) :
((t)) = (x
1
(t), . . . , x
m
(t)).
La curva ((t)) `e integrale per d(X), questo signica:
dx
i
(t)
dt
= a
i
(x
1
, . . . , x
m
).
La condizione iniziale `e allora ((0)) = (x
1
(0), . . . , x
m
(0)) = (x
1
, . . . , x
m
).
Pi` u in generale possiamo considerare dei campi X(t) dipendenti da t, questi sono stati
considerati nel secondo esempio di 1.4.4.4. La seguente `e una denizione pi` u tranquilla.
Denizione 1.5.2.2. Sia M una variet`a di classe C
k
, k 1, e J un intervallo aperto
reale. Un campo vettoriale variabile di classe k 1 `e un applicazione
X : M J T
M
1.5. CAMPI VETTORIALI E SOTTOVARIET
`
A 41
di classe k 1 tale che per ogni t J
X(x, t)
`e un campo vettoriale di M. Una curva (t) `e integrale di X(x, t) se
d(t)
dt
= X((t), t).
Proposizione 1.5.2.3. Sia M una variet` a C
k
, k > 1, J un intervallo aperto reale che
contiene lo zero e X(x, t) : M J T
M
un campo vettoriale variabile su M di classe
C
k1
. Allora esiste un intorno aperto J MJ di M0 e una funzione G : J M
detta usso, tale che per ogni x M la curva (t) = G(x, t) sia integrale per X e tale che
(0) = x : G(x, 0) = x Inoltre G `e di classe C
k1
e ssato p M tale che (x, t) J, la
funzione f(t) = G(p, t) `e di classe C
k
in un intorno di t.
Dimostrazione. Fissato p M, si consideri un aperto coordinato (A
p
, ), assumiamo
(p) = 0. In tali coordinate rappresentiamo il campo X :
X(x, t)
m
i=1
b
i
(x
1
, . . . , x
m
, t)
x
i
.
Consideriamo la funzione : A
p
J R
m
(x, t) = (b
1
(x, t), . . . , b
m
(x, t)).
Poniamo prendiamo un r > 0 tale il disco D
r
= x R
n
[[x[[ < 1 di raggio r sia relati-
vamente compatto in (A
p
), e poniamo W
p
=
1
(D
r
) : W
p
A
p
. Allora utilizzando il
teorema 1.5.1.3 per W
p
possiamo trovare un reale
p
> 0 e denire il usso di F
G
F
: D
r
(
p
,
p
) R
m
per la funzione F. Allora deniamo il usso G
p
per il campo X componendo con la mappa
coordinata:
G
p
(q, t) =
1
(G
F
((q, t))).
Abbiamo G
p
: J
p
M, J
p
= W
p
(
p
,
p
) equazioni dierenziali abbiamo che G
p
= G
q
in J
p
J
q
. Deniamo allora
J =
_
pM
U
p
(
p
,
p
).
La funzione G `e denita dallincollamento delle G
p
, questa `e ben denita: lunicit`a del
teorema delle equazioni ordinarie ci dice che la curva integrale ad un campo `e unica. La
regolarit`a della G segue dal risultato locale.
Un altro modo di dire che ssato x, (t) = G(x, t) `e curva integrale del campo `e quello
di aermare che la curva ((t), t) J rappresenta X(t). Inoltre G(x, 0) = x. Possiamo
allora riscrevere lequazione dierenziale utilizzando il dierenziale della G.
Corollario 1.5.2.4. Sia G(x, t) il usso di X(t) allora abbiamo
42 CAPITOLO 1. VARIET
`
A DIFFERENZIABILI
1) DG
x,0
(
x
) =
x
2) DG
x,t
(
t
) = X(x, t).
Nota 1.5.2.5. La parte non locale del discorso consiste solamente nellincollamento delle
varie soluzioni trovate nelle carte coordinate.
Il precedente teorema implica che esiste un aperto J massimale in cui possiamo denire
il usso, per questo basta prendere lunione degli aperti in cui il usso `e denito. Il seguente
corollario generalizza 1.5.2.6:
Theorem 1.5.2.6. Sia U un aperto di M
U M.
Sia X : M J T
M
un campo vettoriale, allora esiste un numero un reale ( > 0) tale
che la funzione di usso `e denita G : U (, +) M.
Dimostrazione. Si ricopra U con un numero nito di J
p
deniti nella dimostrazione
precedente e si prenda il = min
p
.
1.5.3 Campi vettoriali e sistemi autonomi
La soluzione dei sistemi autonomi equivale alla ricerca di curve integrali di campi vettoriali
su una variet`a. Ora supporremo la nostra variet`a liscia e X A(M) un campo C
su M.
Le curve integrali e il usso G
X
di X sono di classe C
j
a
j,i
(x
1
, . . . , x
m
)
x
i
. La matrice
A(x) = (a
i,j
(x)) ha rango k per ogni x in A. Esiste allora un intorno U, 0 U A tale
che il determinante di un minore di A(x) sia non nullo. A meno di cambiare coordinate
possiamo supporre :
det A(x) = det(a
ij
(x(p))) ,= 0 1 i, j k.
Allora esiste anche linversa B(x) = (A(x))
1
. I campi vettoriali Y
j
= B(x)X
j
apparten-
gono a D infatti se B = (b
j,r
(x))
Y
j
=
b
j,r
X
r
.
1.5. CAMPI VETTORIALI E SOTTOVARIET
`
A 45
Per costruzione abbiamo
Y
j
=
x
j
+
s>k
c
j,s
x
s
=
x
j
+Z
j
.
Sia E la distrubuzione generata da
xr
r > k. La E `e involutiva e complementare alla D.
I campi Z
j
appartengono ad E,
[Y
j
, Y
w
] = [
x
j
, Z
i
] + [Z
i
,
x
j
] + [Z
i
, Z
j
].
Ognuno dei termini appartiene a E, ma per ipotesi [Y
j
, Y
w
](p) D
p
quindi
[Y
j
, Y
w
] = 0.
Siamo riusciti quindi a trovare una base per la distribuzione involutiva D avente operazioni
di Lie banali.
Cominciamo a considerare il caso speciale in cui Z
j
= 0 per j > 1. In questo caso
Y
j
=
x
j
, e
Y
1
=
x
1
+
s>k
c
1,s
x
s
.
La condizione [Y
j
, Y
1
] = 0 equivale alla condizione
c
1,s
x
j
= 0,
per 1 < j k.
Lemma 14. La proposizione 1.5.4.4 vale per la distribuzione
D
=
x
1
+
s>k
c
1,s
x
r
,
x
2
, . . . ,
x
k
se le funzioni c
1,s
non dipendono dalle variabili x
2
, . . . , x
k
.
Dimostrazione. Sia G : J V il usso associato ad Y
1
. Possiamo trovare allora un
intorno U V, di p = (0, . . . 0) un numero reale T (0, +) tale che J U (T, T).
Restringendo ancora U se necessario, possiamo supporre che sia della forma U = JBC,
con J intervallo di R, B e C aperti rispettivamente di di R
k1
e R
mk
. Se q U R
m
scriviamo q = (x
1
, x, y) x = (x
2
. . . , x
k
) y = (y
1
. . . , y
mk
). Posto
G(x
1
, x, y, t) = (x
1
(t), x(t), y(t))
abbiamo x(t) = x(0) = x (lequazione dierenziale non dipende da x e cos` la soluzione).
Consideriamo la mappa F(T, T) B C V :
F(t, x, y) = G(0, x, y, t) = (x
1
(t), x, y(t))
Utilizzando 1.5.2.4 abbiamo per i > 1
DF
x,0
(
x
i
) =
x
i
e DF
x,t
t
= Y
1
.
46 CAPITOLO 1. VARIET
`
A DIFFERENZIABILI
Allora F(0) = 0 e dF(0) `e invertibile nellorigine. Allora F `e un dieomorsmo locale.
Restringendo opportunamente U, F `e allora un dieomorsmo sullimmagine 0 W U.
Per costruzione linversa della F ha le propriet`a volute.
Ora torniamo al caso generale, la distribuzione denita con i campi
Y
j
=
x
j
+
s>k
c
j,s
x
s
=
x
j
+Z
j
[Y
j
, Y
i
] = 0.
Procediamo per induzione sul rango k della distribuzione. Si noti che primo passo di indu-
zione `e dimostrato dal lemma precedente. Quindi possiamo supporre vero la proposizione
per rango k1. In particolare Y
2
, . . . , Y
k
`e involutiva. Utilizzando la mappa
k1
fornita
dallinduzione come un cambiamento di coordinato abbiamo una distribuzione generata
da
W
1
= d(Y
1
),
x
2
, . . . ,
x
k
.
Dopo aver rinormalizzato W
1
(mediante un eventuale cambio di coordinato) abbiamo
una distribuzione trattata nel lemma. Riapplicando il lemma concludiamo la dimostrazio-
ne.
La funzione appare costruita dalla composizione dei vari ussi, si potrebbe vedere
infatti che la commutazione di tali ussi equivale alla condizione che la parentesi di Lie
sia nulla.
Un caso importante `e quello di una base Y
i
, i = 1, . . . , m, dei campi vettoriali tali che
[Y
i
, Y
j
] = 0. Il teorema di Frobenius ci dice che localmente le Y
i
sono dei campi associati
a coordinate. Questo si pu`o ottenere pi` u direttamente introducendo una base duale di
forme. Costruiamo ora delle 1 forme
j
, i = 1, . . . k, tali che per ogni p
j
(Y
j
) = 1 ;
j
(Y
i
) = 0 i ,= j.
Abbiamo
Lemma 15. Le forme
j
sono chiuse.
Dimostrazione. Si ha d
j
(Y
r
, Y
s
) = 0. Infatti Y
r
(
j
(Y
s
)) = 0dato che
j
(Y
s
) `e costante e
j
[Y
r
, Y
s
] = (0) = 0.
Se restringiamo laperto U in modo che sia senza omologia abbiamo che le nostre
forme sono esatte
j
= df
j
. Per costruzione F = (f
1
, . . . f
m
) `e un dieomorsmo locale.
Lesistenza delinversa della F prova il seguente.
Proposizione 1.5.4.5. Condizione necessaria e suciente che m campi puntualmente
indipendenti deniscano un insieme di coordinate `e che le loro parentesi di Lie siano nulle
La precedente proposizione sposta, in un cero senso, lattenzione dalle coordinate ai
campi vettoriali. Questo rende possibile trattare la geometria di alcune strutture (spesso
motivate dalla sica teorica) in cui non sia possibile denire introdurre sistemi espliciti di
coordinate.
1.6. CONNESSIONI LINEARI 47
1.6 Connessioni lineari
Prima di incominciare lo studio delle metriche introdurremo le connessioni lineari, che
permettono di estendere il calcolo dierenziale ai campi vettoriali.
1.6.1 Derivazioni di campi vettoriali
Nelle precedenti sezioni abbiamo studiato le equazioni dierenziali ordinarie su variet`a
mediante lintegrazione di campi vettoriali. Tuttavia anche un concetto elementare come
la linearit`a di una equazione dierenziale non ha un immediato corrispondente sulle variet`a.
Uno dei problemi principali `e che non `e denita una derivazione dei campi vettoriali. Gli
oggetti che compiono tale operazione sono le connessioni lineari. Le variet`a sono supposte
lisce (C
(M)
p
i germi in p delle funzioni lisce, con A(M)
p
lo spazio dei campi di M deniti in un intorno di p. Una derivazione di campi in p `e una
operatore : T
p
A(M)
p
T
p
, indicato con
(V, X) =
V
X,
che sia lineare rispetto a entrambi gli argomenti e che in pi` u soddis la regola di Leibnitz
rispetto al secondo. Una connessione lineare `e allora una derivazione di campi regolare.
Denizione 1.6.1.1. Una connessione lineare su M `e il dato p M, V T
M,p
e
X A(M) di
V
X T
M,p
in modo tale che
1.
aV +bW
X = a
V
X +b
W
X
2.
V
(X +Y ) =
V
X +
V
Y
3.
V
(f X) = f
V
X +V (f)X f C
(M)
p
.
4. Se X e Y sono campi lisci allora
X
Y `e liscio.
La connessione si identica allora con la mappa : A A A, Tuttavia rispetto
alla prima variabile solo il valore puntuale del campo `e rilevante. Si pu`o infatti denire
: T
M
A(M) T
M
.
Esempio 1.6.1.2. Su un aperto A di R
m
, ssati 1 i, j, k m e m
3
funzioni lisce
k
i,j
denite su A. Poniamo
x
i
x
j
=
m
k=1
k
i,j
x
k
. (1.18)
Deniamo poi
x
i
f
x
j
= f(x)
x
i
x
j
+
f
x
i
x
j
48 CAPITOLO 1. VARIET
`
A DIFFERENZIABILI
e per linearit`a costruiamo la connessione generale su A. Le funzioni
k
i,j
, sono le coordinate
della connessione e sono detti simboli di Christoel. Quando
k
i,j
= 0
abbiamo la connessione standard di R
m
. La connessione covariante su una supercie in
R
3
`e ottenuta per proiezione dalla connessione standard di R
3
.
In coordinate locali ogni connessione `e data dai suoi simboli di Christoel
k
i,j
. Pi` u in
generale siano X
i
, . . . , X
n
dei campi che generano il tangente su un aperto A M. La
restrizione di ad A `e nota quando conosciamo le funzioni b
k
i,j
(dette anche costanti di
struttura) tali che
X
i
X
j
=
m
k=1
b
k
i,j
X
k
.
Esercizi 1.6.1.3.
Dire se la somma e la dierenza di connessioni sono connessioni.
Dire se la combinazione convessa di due connessioni `e una connessione.
Scrivere i simboli di Christoel della connessione standard del piano rispetto a coordinate
polari.
Dire se il prodotto di una funzione per una connessione `e connessione.
Dire se loperazione parentesi di Lie deniscono una connessione.
Si descrivano esplicitamente le connessioni su S
2
.
1.6.2 Connessioni e campi tangenti
Data una connessione su M `e utile estendere la sua azione ad oggetti un po pi` u generali
dei campi vettoriali su M. Sia N una variet`a liscia di dimensione n ed f : N M una
applicazione C
v
X T
f(p),M
.
1.6. CONNESSIONI LINEARI 49
Procediamo euristicamente. Vogliamo le regole minime della Denizione 1.6.1.1 e un buon
comportamento rispetto ai dierenziali di funzioni lisce. In particolare, oltre alle ovvie
richieste di linearit`a, se a : N R `e una funzione vorremo:
v
aX = a
v
(X) +v(a)X
f(p)
. (1.19)
Se poi X = (Y ) viene da un campo globale su M e w = df(v) = Df
p
(v) T
f(p),M
vogliamo:
v
X =
df(v)
Y =
w
Y (1.20)
Localizziamo il problema. Per questo prendiamo aperti coordinati (U, ) di p e (W, ), di
f(p) tali che f(U) W e poniamo d(v) = v
e d(w) = w
. Si noti che X
:= d(X
1
)
`e un campo tangente a g = f
1
. La connessione diventa allora una connessione
su W
= (W) R
m
. Se possiamo denire
Z =
v
X
porremo poi
v
X = d
1
Z. Posto U
= (U) R
n
scriviamo la f in coordinate:
g = g(y) = (y
1
(x
1
, . . . , x
n
), . . . , y
m
(x
1
, . . . , x
n
))
Allora
X
=
m
i
a
i
(x)
y
i
.
Volendo avere la linearit`a di 1.6.1.1 si pu`o denire
v
X
=
m
v
a
i
(x)
y
i
.
Le a
i
sono funzioni su U
v
a
i
(x)
y
i
= a
i
(x)
y
i
+v
(a
i
)
y
i
.
Inne
y
i
`e un campo globale su U
usando 1.20
y
i
=
w
y
i
In conclusione:
v
X
a
i
(x)
dg(v)
y
i
+
(a
i
)
y
i
.
Abbiamo allora anche una derivazione, che indicheremo ancora con .
: A(N) A
f
(M) A
f
(M) (1.21)
che ha le propriet`a formali della connessione.
50 CAPITOLO 1. VARIET
`
A DIFFERENZIABILI
Lutilit`a di questa estensione diventa chiara nel caso di curve (parametrizzate). Sia
N = J un intervallo di R, : J M. Possiamo derivare i campi che sono deniti lungo
e non solo per campi su M. Sia
d
dt
il generatore dello spazio tangente allintervallo. Se X A
abbiamo:
d
dt
X A
(1.22)
In coordinate se X =
m
i
x
i
(t)
x
i
e (t) = (a
1
(t), . . . , a
m
(t))
d
dt
X =
k
_
dx
k
(t)
dt
+
i,j
k
i,j
((t)) a
i
(t)x
j
(t)
_
x
k
. (1.23)
Esercizi 1.6.2.2.
Si descrivano i campi tangenti allapplicazione f : R S
1
f() = (cos , sin).
Sia X =
d
d
il campo vettoriale generatore del tangente alla circonferenza unitaria, e sia
la connessione su S
1
tale che X = sinX. Sia Y il campo tangente lungo f denito
da Y = sin()X si calcoli d
dt
Y.
1.6.3 Trasporto parallelo
Il cardine della geometria Euclidea `e il concetto di parallelismo, il trasporto parallelo `e
la sua versone dinamica. Le connessioni permettono di denire loperazione di trasposto
parallelo di vettori lungo curve. Diamo la seguente denizione.
Denizione 1.6.3.1. Sia J = (a, b) un intervallo reale aperto, : J M una applica-
zione liscia. Un campo X denito lungo , X A
t) = V
ha una sola soluzione in A
.
Per questo cominceremo a vedere che esiste un intorno J
J di t tale che
(J
) U. Posto
d(V ) =
x
k
x
k
in tali coordinate cerchiamo il campo parallelo a [
J
con valore V in t. Utilizzando
lequazione 1.23 abbiamo,
1.6. CONNESSIONI LINEARI 51
k
(
dx
k
dt
+
k
i,j
a
j
(t)x
i
(t))
x
k
= 0, x
i
(t) = x
k
Dato che i campi
x
k
sono indipendenti abbiamo
dx
k
dt
+
k
i,j
(t)a
j
(t)x
i
(t) = 0 x
k
(t) = x
k
. (1.25)
dove
k
i,j
(t) =
k
i,j
(a
1
(t), . . . a
k
(t)). Abbiamo un sistema di equazioni dierenziali lineari al
primo ordine con dato iniziale ssato. Possiamo trovare un intorno aperto
t J
tale che 1.25 ha soluzione per ogni dato iniziale, (`e suciente risolvere il problema per i
dati x
k
. =
ij
ii
= 1
ij
= 0 i ,= j). Per ogni intervallo aperto A J indichiamo con
V (A) i campi paralleli alla restrizione di ad A. Allora per ogni punto t J esiste un
intorno t J
lapplicazione di restrizione
s
: V (J
) T
M,(s)
s
(X) = X
(s)
`e un isomorsmo lineare. Allora per ogni s e z J
s,z
(v) =
z
1
s
(v) (1.26)
Notiamo
1. se v T
M,(s)
allora v(t) =
s,t
(v) `e il campo parallelo che avente v come valore in
s.
2. se s, z e w sono in J
allora si ha
s,z
=
s,w
w,z
.
Queste osservazioni mostrano che possiamo prendere J
s,z
=
s,w
w,z
.
che `e ben denito per lunicit`a delle soluzioni. Ma se per ogni v T
M,(s)
poniamo
v(t) =
s,t
(v)
otteniamo un campo parallelo a sullintervallo (a, d + T). Questo contraddice la massi-
malit`a di (a, b). Abbiamo allora:
Proposizione 1.6.3.2. Per ogni curva : J M sia V
= dim(M)
2) s J
s
: V
T
M,(s)
s
(X) = X
(s)
`e un isomorsmo lineare.
3) Il trasporto parallelo
s,z
=
z
1
s
`e denito s, z J
4) v T
M,(s)
v(t) =
s,t
(v) `e un campo parallelo:
d
dt
v(t) = 0 v(s) = v
5)
s,s
= id
T
M,(s)
1
s,z
=
z,s
e
s,z
=
s,w
w,z
. s, z, w J.
Esercizi 1.6.3.3. 1) Calcolare il trasporto parallelo per la connessione standard su R
m
2) Si calcoli il trasporto parallelo per la derivata covariante in S
2
R
3
lungo i paralleli.
1.6.4 Il Tensore di Curvatura
Lintegrazione simultanea di pi` u campi vettoriali `e trattata dal teorema di Frobenius.
Analogo problema `e quello del traporto parallelo lungo sottovariet`a. Vi `e una ostruzione
locale la curvatura. Questo concetto `e di importanza centrale nella geometria dierenziale.
Denizione 1.6.4.1. Siano M una variet`a liscia, A(M) lo spazio dei campi lisci su M e
una connessione lineare. La funzione R = R
= R(X, Y )Z : A(M)A(M)A(M)
A(M) denito da
R(X, Y )Z =
X
Y
Z
Y
X
Z
[X,Y ]
Z
`e detta curvatura di .
Dati due operatori A e B deiniti su A(M) poniamo [A, B] = AB BA, possiamo
denire la curvatura come loperatore su A denito da
R(X, Y ) = [
X
,
Y
]
[X,Y ]
.
Abbiamo
R(X +X
, Y )Z = R(X, Y )Z +R(X
, Y )Z,
R(X, Y +Y
)Z = R(X, Y )Z +R(X, Y
)Z,
R(X, Y )(Z +Z
) = R(X, Y )Z +R(X, Y )Z
.
Inoltre abbiamo unantisimmetria sulle prime due componenti:
R(X, Y )Z = R(Y, X)Z.
Passiamo ora a studiare una caratteristica cruciale di R: la sua natura puntuale.
Cominciamo col dimostrare il seguente:
Lemma 16. Siano f, g e h funzioni in C
(M) allora
R(fX, gY )hZ = (fgh)R(X, Y )Z
1.6. CONNESSIONI LINEARI 53
Dimostrazione. Calcolo diretto:
fX
Y
Z
Y
fX
Z
[fX,Y ]
Z = f(
X
Y
Z
Y
X
Z) Y (f)
X
Z
f
[X,Y ]
Z +
Y(f)X
Z = fR(X, Y )Z Y (f)
X
Z +Y (f)
X
Z = fR(X, Y )Z.
Si usi l antisimmetria R(X, Y )Z = R(Y, X)Z per la g. Inne
Y
hZ
Y
X
hZ
[X,Y ]
hZ = hR(X, Y )Z +X(h)
Y
+Z
X
(Y (h))Z
Y (h)
X
Z
Y
(X(h))Z [X, Y ](h)Z = hR(X, Y )Z + (XY (h) Y X(h)
[X, Y ](h))Z = hR(X, Y )Z
Lemma 17. Sia p un punto di M.
1) Sia W un campo vettoriale nullo in p, W
p
= 0 allora
(R(W, Y )Z)
p
= (R(X, W)Z)
p
= (R(X, Y )W)
p
= 0.
2) Se X
p
= X
p
; Y
p
= Y
p
, Z
p
= Z
p
allora
(R(X, Y )Z)
p
= (R(X
, Y
)Z
)
p
.
Dimostrazione. 1) Scegliamo una base di campi vettoriali X
i
i = 1, . . . m in un intorno
U di p (per esempio il pull-back delle derivate parziali di un intorno coordinato). Su U
poniamo W =
a
i
X
i
, a
i
C
e a
i
(p) = 0. La connessione `e un operatore locale e
quindi il lemma 16 vale per le funzioni in C
(U) :
R(W, Y )Z = (R(
a
i
X
i
, Y )Z)
p
= (
a
i
R(X
i
, Y )Z)
p
=
a
i
(p)(R(X
i
, Y )Z)
p
= 0
Nello stesso modo si provano le altre due relazioni.
2) Dall primo passo abbiamo R(X X
, Y )Z)
p
= 0. Allora
(R(X, Y )Z)
p
= (R(X
, Y )Z)
p
= (R(X
, Y
)Z)
p
= (R(X
, Y
)Z
)
p
Denizione 1.6.4.2. Un tensore su M di tipo s, r `e una sezione liscia del brato
T
s
M
T
r
M
= Hom(T
r
M
, T
s
M
).
Lemma 18. I tensori K di tipo 1, s. sono in corrisponenza con le applicazioni multilineari
K(X
1
, . . . , X
s
) : A(M)
s
A(M) tali che :
1) siano locali : se X
i,p
= 0 per p U allora K(. . . X
i
, . . .)p = 0
2) siano multilineare rispetto alle funzioni liscie: se f C
allora K(. . . fX
i
, . . .) =
fK(. . . X
i
, . . .) i.
Dimostrazione. Si procede come nel lemma 17.
54 CAPITOLO 1. VARIET
`
A DIFFERENZIABILI
I tensori sono quello che intendevamo per oggetti puntuali.
Proposizione 1.6.4.3. La curvatura R `e un tensore di tipo 1, 3.
Le precedenti proposizioni provano che possiamo calcolare la curvatura usando qualsiasi
base di campi vettoriali. Per esempio se usiamo X
i
=
x
k
, usando i simboli di Christoel
in coordinate:
R(X
i
, X
j
)X
k
=
r
R
r
ijk
X
r
=
X
i
s
j,k
X
s
X
j
s
i,k
X
s
=
s
(
s
j,k
)
x
i
X
s
s
(
s
i,k
)
x
j
X
s
+
s
j,k
r
i,s
X
r
s
i,k
r
j,s
X
r
=
r
((
r
j,k
)
x
i
(
r
i,k
)
x
j
+
s
(
s
j,k
r
j,s
s
i,k
r
i,s
))X
r
R
r
ijk
= (
r
j,k
)
x
i
(
r
i,k
)
x
j
+
s
(
s
j,k
r
i,s
s
i,k
r
i,s
).
Un altro tensore, di tipo (1, 2) importante `e la torsione di una connessione:
T(X, Y ) =
X
Y
Y
X [X, Y ].
Esercizi 1.6.4.4.
Dimostratre che la torsione `e un tensore.
Calcolare la torsione di una connessione in coordinate locali.
Capitolo 2
Forme dierenziali
2.1 Algebra esterna
Sia V uno spazio vettoriale reale di dimensione n. Una forma p-lineare su V `e una
applicazione
: V . . . V
. .
p volte
R
che `e lineare in ogni argomento. Ci`o signica che per ogni j 1, . . . , p, v
1
, . . . , v
p
, w V
e , R
(v
1
, . . . , v
j
+w, . . . , v
p
) = (v
1
, . . . , v
j
, . . . , v
p
)
+(v
1
, . . . , w, . . . , v
p
).
Una forma p-lineare su V `e detta antisimmetrica o alternante se scambiando fra loro due
argomenti il valore cambia di segno. In altre parole una p-forma `e alternante se per ogni
coppia di indici i < j e per ogni scelta dei vettori v
1
, . . . , v
p
V
(v
1
, ..., v
i
, ...v
j
, ..., v
p
) = (v
1
, ..., v
j
, ..., v
i
, ..., v
p
). (2.1)
Esercizio 1. Se `e alternante e ci sono due indici i < j tali che v
i
= v
j
allora
(. . . , v
i
, . . . , v
j
, . . .) = 0.
Esercizio 2. Se `e una p-forma antisimmetrica e i vettori v
1
, ..., v
p
V sono linearmente
dipendenti, allora (v
1
, ..., v
p
) = 0.
Esercizio 3. Indichiamo con S(p) il gruppo simmetrico su p elementi. Se S(p)
indichiamo con (1)
1
, . . . , v
p
) = (1)
(v
1
, . . . , v
p
). (2.2)
(Cfr. Lemma 69.)
Lo spazio vettoriale delle forme p-lineari alternanti su V si indica con il simbolo
p
V
.
Se p > n, p vettori sono sempre linearmente dipendenti, dunque
p
V
= 0 per p > n.
55
56 CAPITOLO 2. FORME DIFFERENZIALI
Fissiamo un numero naturale positivo n. (Nel seguito n sar`a sempre la dimensione
dello spazio vettoriale che si sta considerando.) Un p-indice I `e una p-upla (ordinata) di
numeri fra 1 ed n: I = (i
1
, . . . , i
p
) 1, . . . , n
p
. Un p-indice `e crescente `e un p-indice
I = (i
1
, . . . , i
p
) tale che 1 i
1
< i
2
< < i
p
n. Eccetto che nellappendice 5 i
multi-indici saranno crescenti.
Esercizio 4. Il numero dei p-indici crescenti su n elementi `e
_
n
p
_
=
n!
p!(n p)!
.
Se e
1
, ..., e
n
`e una base di V , indichiamo con e
1
, ..., e
n
la base duale. Ci`o signica
che e
j
V
mediante la formula
e
I
(v
1
, ..., v
p
) = det
_
e
i
k
(v
j
)
_
1k,jp
. (2.3)
Esercizio 5. Sia e
i
la base standard di R
n
. Per S(p) indichiamo con A
la matrice
che ha come colonne i vettori e
(1)
, . . . , e
(n)
. Dimostrare che
A : S(p) Gl(n, R) A
= (1)
.
Esercizio 6. Dimostrare che se j
1
, . . . , j
p
1, . . . , n si ha
e
I
(e
j
1
, . . . , e
jp
) =
_
0 se i
1
, . . . , i
p
, = j
1
, . . . , j
p
(1)
se S(p) e j
k
= i
(k)
per 1 k p.
(2.4)
Lemma 19. Sia e
1
, ..., e
n
una base di V . Al variare di I fra i p-indici crescenti, le
forme e
I
formano una base di
p
(V
). In particolare
dim
p
V
=
_
n
p
_
.
Dimostrazione. Sia
p
V
I
e
I
(2.5)
dove la somma `e su tutti i p-indici crescenti. Vogliamo dimostrare che = . Incomin-
ciamo dimostrando che per ogni scelta degli indici 1 j
1
, . . . , j
p
n si ha
(e
j
1
, . . . , e
jp
) = (e
j
1
, . . . , e
jp
). (2.6)
Infatti se gli indici j
1
, . . . , j
p
non sono tutti distinti entrambi i termini si annullano e
dunque sono uguali. Altrimenti j
1
, . . . , j
p
`e un insieme con esattamente p elementi e
2.1. ALGEBRA ESTERNA 57
c`e un unico p-indice crescente I
0
= (i
1
, . . . , i
p
) tale che j
1
, . . . , j
p
= i
1
, . . . , i
p
. Inoltre
j
k
= i
(k)
per una permutazione S(p). Per lesercizio precedente abbiamo
(e
j
1
, . . . , e
jp
) =
I
0
e
I
0
(e
j
1
, . . . , e
jp
) = (1)
I
0
.
Daltro canto per la (2.2)
(e
j
1
, . . . , e
jp
) = (1)
I
0
.
Dunque la (2.6) `e dimostrata. Dati p vettori v
1
, . . . , v
p
V esprimiamo ciascuno di essi
in termini della base
v
i
=
n
j
i
=1
v
j
i
i
e
j
i
.
Allora
(v
1
, . . . , v
p
) =
n
j
1
,...,jp=1
v
j
1
1
v
jp
p
(e
j
1
, . . . , e
jp
) =
=
n
j
1
,...,jp=1
v
j
1
1
v
jp
p
(e
j
1
, . . . , e
jp
) = (v
1
, . . . , v
p
).
Dunque = .
Poniamo
0
V
= R e
=
n
p=0
p
V
.
Un elemento generico di
`e della forma
0
+
1
+ +
n
dove
i
i
V
. Identichiamo
p
V
con il sottospazio di
p
V
1
< <
p
p+1
< <
p+q
. (2.7)
Se
p
V
e
q
V
S(p,q)
(1)
(v
1
, ..., v
p
)(v
p+1
, ..., v
p+q
). (2.8)
Se invece p = 0 deniamo come il prodotto dello scalare con
q
V
.
58 CAPITOLO 2. FORME DIFFERENZIALI
Teorema 20. Se
p
V
e
q
V
allora
p+q
V
. Estendendo in modo
lineare si ottiene una operazione
:
e
q
V
allora
= (1)
deg deg
. (2.9)
Se e
1
, ..., e
n
`e una base di V e I `e un p-indice crescente, allora e
I
= e
i
1
... e
ip
.
Lalgebra
(V
) e
2
(V
),
(v, w, u) = (v)(w, u) (w)(v, u) +(u)(v, w). (2.12)
Esercizio 7. Se
1
(V
) e
q
(V
)
(v
0
, v
1
, ..., v
q
) =
q
i=0
(1)
q
(v
i
)(v
0
, ..., v
i
, ..., v
q
) (2.13)
dove il simbolo v
i
indica che il vettore v
i
viene saltato.
Dato un vettore v V ed una forma
p
V
(p > 1) deniamo i
v
p1
V
mediante la formula
v
(v
1
, ..., v
p1
) = (v, v
1
, ...v
p1
). (2.14)
Se
0
V
= R, poniamo
v
= 0 per ogni v V . La forma
v
`e detta prodotto
interno o contrazione di e v. Estendendo per linearit`a si ottiene un operatore
v
:
p
V
_
p1
V
.
Proposizione 21. Se e sono forme pure e v V , allora
v
( ) = (
v
) + (1)
deg
(
v
). (2.15)
1
In inglese si chiama wedge product.
2.2. FORME DIFFERENZIALI 59
Per denizione una endomorsmo di unalgebra associativa con la propriet`a espressa
dalla formula (5.9) si chiama antiderivazione. Pertanto
v
`e una antiderivazione di
.
La dimostrazione `e un po laboriosa ed `e relegata allappendice 5.
Sia W un altro spazio vettoriale e sia L : W V unapplicazione lineare. Data
p
V
deniamo L
p
W
mediante la formula
(L
)(w
1
, ..., w
p
) : = (Lw
1
, ..., Lw
p
). (2.16)
Esercizio 8. Vericare che L
( ) = L
.
Esercizio 9. Se L End(V ) ed
n
V
allora L
= .
L
(e
1
, . . . , e
n
) =
i
1
,...,in
a
i
1
1
. . . a
inn
L(e
i
1
, . . . , e
in
) =
=
S(n)
a
1
1
. . . a
nn
L(e
1
, . . . , e
n
) =
_
S(n)
(1)
1
1
. . . a
nn
_
L(e
1
, . . . , e
n
) =
= det L (e
1
, . . . , e
n
).
Pertanto = det L.
2.2 Forme dierenziali
Sia M una variet`a dierenziabile di dimensione n. Il brato tangente TM e il brato
cotangente T
M sono stati deniti nella prima parte. Esattamente nello stesso modo si
possono costruire i brati
p
T
M. Poniamo
p
T
M =
_
xM
p
T
x
M
e sia : T
x
M) = x. Ripercorriamo brevemente
la costruzione delle carte coordinate come per i brati tangente e cotangente.
Sia (U, (x
i
)) una carta coordinata. Per ogni x U i vettori
x
1
, . . . ,
x
n
formano una base di T
x
M. Indichiamo con dx
1
, . . . , dx
n
la base duale:
dx
i
_
x
j
_
=
ij
.
Se I = (i
1
, . . . , i
p
) `e un p-indice crescente poniamo
dx
I
= dx
i
1
dx
ip
.
60 CAPITOLO 2. FORME DIFFERENZIALI
(In teoria dovremmo indicare il punto x.) Le forme dx
I
al variare di I fra i p-indici
crescenti costituiscono una base di
p
T
x
M. Data una forma
p
T
x
M siano
I
le sue
coordinate rispetto a questa base:
=
I
dx
I
.
Per semplicit`a di notazione indichiamo con N =
_
n
p
_
il numero dei p-indici crescenti su n
elementi. Scegliamo un ordinamento qualunque per i p-indici crescenti ed associamo ad
il punto (x,
I
1
, . . . ,
I
N
) U R
N
. In questo modo otteniamo una applicazione
:
1
(U) =
_
xU
p
T
x
M U R
N
.
Per costruzione `e biunivoca, fa commutare il diagramma
1
(U)
U R
N
U U
//
p
1
//
Id
U
e per ogni x U la restrizione di a
p
T
x
M `e un isomorsmo su R
N
. Vogliamo mostrare
che la collezione delle applicazioni al variare di (U, ) in un atlante di M d`anno a
p
T
((U)), (U))
e
dy
i
=
f
i
x
j
dx
j
dy
I
=
j
1
,...,jp
f
i
1
x
j
1
. . .
f
ip
x
jp
dx
j
1
dx
jp
=
=
j
1
<<jp
S(p)
f
i
1
x
j
(1)
. . .
f
ip
x
j
(p)
dx
j
(1)
dx
j(p)
=
=
S(p)
(1)
f
i
1
x
j
(1)
. . .
f
ip
x
j
(p)
dx
J
.
2.2. FORME DIFFERENZIALI 61
Dunque
dy
I
= F
I
J
dx
J
F
I
J
(x) =
S(p)
(1)
f
i
1
x
j
(1)
(x)
f
ip
x
j
(p)
(x)
e F
I
J
C
(U). Se (x, a
I
1
, . . . , a
I
N
) =
1
(x, b
I
1
, . . . , b
I
N
) allora
J
a
J
dx
J
=
I
b
I
dy
I
=
I,J
b
I
F
I
J
dx
J
a
J
= F
I
J
b
I
.
Pertanto
1
(x, b
I
) = (x, F
I
J
(x)b
J
).
Ci`o dimostra che
1
`e liscia.
Denizione 2.2.0.5. Una p-forma dierenziale su M `e una sezione liscia del brato
:
p
T
M).
Esercizio 10. Sia ssato un atlante A di M e sia data una applicazione : M
p
T
M
tale che per ogni x M,
x
p
T
x
M. Dalla descrizione delle banalizzazioni del brato
p
T
M appena vista, segue le condizioni seguenti sono equivalenti: (1) `e una p-forma
dierenziale, (2) per ogni carta (U, x
i
) dellatlante A si ha =
I
a
I
(x)dx
I
dove a
I
inf(U), (3) la stessa condizione vale per ogni carta di M.
Proposizione 22. Se
p
(M) e
q
(M) allora
p+q
(M).
Dimostrazione. Dobbiamo dimostrare che la sezione `e liscia se e lo sono. Il
problema pertanto `e locale e pu`o essere arontato in una carta coordinata (U, x
i
). Sia
=
I
a
I
(x)dx
I
=
J
b
J
(x)dx
J
.
Deniamo le funzioni c
K
: U R (per K un p +q-indice) mediante la relazione
=
K
c
K
(x)dx
K
.
Il problema si riduce a dimostrare che c
K
C
I,J
a
I
b
J
dx
I
dx
J
=
K
c
K
dx
K
c
K
=
I,J
(I, J, K)
62 CAPITOLO 2. FORME DIFFERENZIALI
dove il coeciente (I, J, K) `e calcolato nel modo seguente. Se
I
J ,=
K allora (I, J, K) =
0. Se invece
I
J =
K, sia S(p +q) la permutazione denita da
(k) =
_
i
k
1 k p
j
kp
p + 1 k p +q.
Allora (I, J, K) = (1)
.
`
E chiaro che c
K
C
(U).
Segue dalla proposizione precedente che il prodotto esterno `e una operazione su
(M).
Esercizio 11. Provvista del prodotto esterno puntuale
(M).
Se
p
(M) e X
1
, . . . , X
p
X(M) la funzione
x
x
_
X
1
(x), . . . , X
p
(x)
_
`e una funzione liscia (dimostrare!). Indichiamo questa funzione con il simbolo (X
1
, . . . ,
X
p
). La p-forma induce una applicazione
X(U) X(U)
. .
p volte
C
(M) (X
1
, . . . , X
p
) (X
1
, . . . , X
p
). (2.17)
Esercizio 12. Consideriamo X(M) come un modulo sullanello C
(M)-multilineare, ossia
(X
1
, . . . , f X
j
, . . . , X
p
) = f (X
1
, . . . , X
j
, . . . , X
p
)
per ogni X
1
, . . . , X
p
X(M) e per ogni f C
(M).
Proposizione 23. Sia
T : X(U) X(U)
. .
p volte
C
(M)
una applicazione C
p
(M) tale che T(X
1
, . . . , X
p
) = (X
1
, . . . , X
p
). Pertanto le forme dierenziali si posso-
no identicare con le applicazioni antisimmetriche e C
(M)-lineari sul C
(M)-modulo
X(M).
Manca dimostrazione
Uno dei vantaggi delle forme rispetto ai campi vettoriali `e che hanno un buon compor-
tamento rispetto alle funzioni lisce: ogni applicazione F C
:
p
(N)
p
(M)
denito dalla formula
(F
)(v
1
, . . . , v
p
) =
_
DF
x
v
1
, . . . , DF
x
v
p
_
per ogni x M e v
j
T
x
M. La forma F
dy
j
=
F
j
x
i
dx
i
.
Esercizio 14. Siano (U, = (x
i
)) e (V, = (y
i
)) carte coordinate su M. Sia f =
1
il cambiamento di coordinate, cio`e y = f(x). Allora per ogni p U V
x
j
(p) =
f
i
x
j
((p))
y
i
dy
j
(p) =
f
j
x
i
((p))dx
i
(p)
dy
1
dy
n
(p) = det
_
f
i
x
j
_
((p))dx
1
dx
n
(p).
2.3 Dierenziale esterno di de Rham
Sia M una variet`a n-dimensionale. Poniamo
(M) =
n
p=0
p
(M).
Deniamo un operatore lineare
d : C
(M) =
0
(M)
1
(M)
mediante la regola seguente: se p M il funzionale df
p
T
x
M `e tale che per ogni v T
p
M
df
p
(v) = vf
dove vf indica lazione della derivazione v sul germe di f in p.
Esercizio 15. Sia f C
(M) allora
d(fg) = fdg +gdf.
64 CAPITOLO 2. FORME DIFFERENZIALI
Esercizio 17. Sia f C
(M). Incominciamo
con una denizione che riassume le propriet`a fondamentali dellestensione cercata. Alla
ne dimostreremo che esiste un unico operatore con queste propriet`a.
Denizione 2.3.0.6. Un operatore di derivazione esterna
2
su M `e una applicazione
d :
(M)
p
(M)
_
p+1
(M).
3. Se f C
(M) allora d
2
f = 0;
5. d( ) = d + (1)
deg
d.
Vogliamo dimostrare che su ogni variet`a dierenziabile esiste un unico operatore di
derivazione esterna. Deduciamo innanzitutto alcune conseguenze della denizione appena
data.
Esercizio 18. Sia d un operatore di derivazione esterna su una variet`a M. Provare che
per
1
, . . . ,
q
1
(M)
d
_
1
q
_
=
q
i=1
(1)
i1
1
d
i
q
.
Esercizio 19. Siano f, f
1
, . . . , f
p
C
(M) e = fdf
1
df
p
. Se d `e un operatore
di derivazione esterna su M allora
d = df df
1
df
p
.
Proposizione 24. Se d `e un operatore di derivazione esterna su M e
(M) `e una
forma che si annulla identicamente su un aperto U M, allora anche d = 0 su U
3
.
Dimostrazione. Per linearit`a possiamo limitarci al caso in cui
p
(M). Sia x U e sia
C
0
(U) una funzione tale che = 1 in un intorno di x. Dunque 1 1 fuori di U.
Pertanto = (1 ) e
d = d(1 ) + (1 ) d = d + (1 ) d.
Poiche `e costante in un intorno di x segue dalla propriet`a (3) che d(x) = 0. Peraltro
(x) = 1. Dunque d(x) = 0.
2
Dierenziale esterno `e sinonimo di operatore di derivazione esterna.
3
Se E ed F sono brati vettoriali su M diciamo che un operatore P : (E) (F) `e locale se
s
|
U
0 Ps
|
U
0. La proposizione aerma che ogni operatore di derivazione esterna `e un operatore
locale.
2.3. DIFFERENZIALE ESTERNO DI DE RHAM 65
Lemma 25. Ogni punto di M ammette un intorno sul quale ogni
p
(M) si scrive
come somma di forme del tipo fdf
1
df
p
con f, f
1
, . . . , f
p
C
(M).
Dimostrazione. Fissiamo un punto x M. Sia (V, x
i
) una carta con x V e sia
C
0
(V ) tale che = 1 su un intorno U di x. Se
p
(M), esistono funzioni
I
C
(U)
tali che =
I
I
dx
I
. Poniamo f
j
= x
j
e g
I
=
I
. Estendendo a zero fuori di
V possiamo considerare f
j
e g
I
come funzioni lisce su tutta M. Su U = 1, dunque
=
I
g
I
df
i
1
df
ip
.
Proposizione 26. Se d `e un operatore di derivazione esterna su M, allora d
2
= 0.
Dimostrazione. Per il lemma precedente possiamo limitarci a considerare le forme del tipo
= fdf
1
f
p
con f, f
j
C
i=1
(1)
i1
df
1
d
2
f
i
df
p
.
Per la propriet`a (4) d
2
f = d
2
f
j
= 0. Dunque d
2
= 0.
Lemma 27. Se U M `e un aperto di M, ogni operatore di derivazione esterna su M
induce un operatore di derivazione esterna su U.
Dimostrazione. Si noti che non tutte le forme su U si estendono ad M. Dunque non
possiamo semplicemente restringere d ad un sottospazio.
`
E necessario usare la propriet`a
di localit`a. Se
p
(U) ed x U scegliamo una funzione C
0
(U) che sia = 1 vicino
ad x. Allora
p
(M). Poniamo d
(U), poniamo
d
U
f =
f
x
i
dx
i
.
Se
p
(U) `e della forma = fdx
I
con f C
(U)
(U).
Lemma 28. Se (U, x
i
) `e una carta coordinata, loperatore d
U
:
(U)
(U) `e un
operatore di derivazione esterna su U.
66 CAPITOLO 2. FORME DIFFERENZIALI
Dimostrazione. (1), (2) e (3) della Def. 2.3.0.6 seguono immediatamente dalla denizione.
La (4) `e una conseguenza del Teorema di Schwarz sulle derivate miste:
d
U
d
U
f = d
U
j
f
x
j
dx
j
=
j
d
U
_
f
x
j
_
dx
j
=
i,j
2
f
x
i
x
j
dx
i
dx
j
=
=
i<j
2
f
x
i
x
j
dx
i
dx
j
+
i<j
2
f
x
j
x
i
dx
j
dx
i
=
=
i<j
_
2
f
x
i
x
j
2
f
x
j
x
i
_
dx
i
dx
j
= 0.
Inoltre la (5) vale per ,
0
(M) = C
K =
I
J e sia = 1 tale che dx
I
dx
J
= dx
K
. Allora
d
U
( ) = d
U
(fg dx
K
) = d
U
(fg) dx
K
= (gd
U
f +fd
U
g) dx
K
=
= gd
U
f dx
I
dx
J
+fd
U
g dx
I
dx
J
=
= gd
U
f dx
I
dx
J
+ (1)
p
fdx
I
d
U
g dx
J
= d
U
+ (1)
p
d
U
(M)
(M). Data
p
(M) vogliamo provare che
d
1
= d
2
. Fissiamo x M ed un intorno U con la propriet`a del lemma 25: esistono
delle forme
k
, che sono del tipo
k
= fdf
1
df
p
con f, f
j
C
k
k
. Per lesercizio 19
d
1
k
= d
1
f d
1
f
1
d
1
f
p
.
Pertanto d
1
k
= d
2
k
per ogni k perche il d
1
= d
2
sulle funzioni. Per la Prop. 24 su U si
ha
d
1
=
k
d
1
k
=
k
d
2
k
= d
2
.
Dunque d
1
= d
2
in un intorno di x. Poiche x `e arbitrario ci`o prova che d
1
= d
2
.
2.3. DIFFERENZIALE ESTERNO DI DE RHAM 67
In particolare se (U, x
i
) `e un aperto coordinato, loperatore d
U
dipende da U, ma non
dalle coordinate scelte su U.
Veniamo allesistenza. Fissiamo
p
T
|
U
. (2.18)
Dobbiamo provare che questa denizione on dipende dalla scelta della carta. Sia (V, y
i
) `e
unaltra carta coordinata con U V ,= . Per lunicit`a, gli operatori d
U
e d
V
inducono lo
stesso operatore su U V . Dunque su U V
d
U
|
U
= d
V
|
V
.
Pertanto la formula (2.18) non dipende dalla carta scelta.
`
E immediato vericare che
d `e un operatore di derivazione esterna perche tutte le propriet`a si possono vericare
localmente.
Lemma 30. Siano
1
(M) e X, Y X(M). Allora
d(X, Y ) = X(Y ) Y (X) ([X, Y ]). (2.19)
Dimostrazione. Poiche (2.19) `e lineare in possiamo supporre = fdx
1
. Sia
X = X
i
x
i
Y = Y
i
x
i
.
Allora
[X, Y ] = (XY
j
Y X
j
)
x
j
d(X, Y ) = df dx
1
(X, Y ) = df(X)dx
1
(Y ) df(Y )dx
1
(X) = Xf Y
1
Y f X
1
X(Y ) Y (X) ([X, Y ]) = X(fY
1
) Y (fX
1
) fdx
1
([X, Y ]) =
= Xf Y
1
+fXY
1
Y f X
1
fY X
1
f(XY
1
Y X
1
) = Xf Y
1
Y f X
1
.
Teorema 31. Se
p
(M) e X
0
, . . . , X
p
X(M) allora
d(X
0
, ..., X
p
) =
p
i=0
(1)
i
X
i
(X
0
, ...,
X
i
, ..., X
p
)+
+
i<j
(1)
i+j
_
[X
i
, X
j
], X
0
, ...,
X
i
, ...,
X
j
, ..., X
p
_
.
(2.20)
Dimostrazione. Dal lemma precedente sappiamo gi`a che la formula vale per p = 1. Di-
mostriamo per induzione che vale per p qualsiasi. Poiche entrambi i membri dellequa-
zione sono lineari in possiamo supporre = dx
1
dx
p
. Poniamo = dx
1
e
= fdx
2
dx
p
. Dunque = , d = 0 e d = . Siano X
0
, . . . , X
p
X(M)
e supponiamo inizialmente che
[X
i
, X
j
] = 0. (2.21)
68 CAPITOLO 2. FORME DIFFERENZIALI
Allora
d(X
0
, . . . , X
p
) = d(X
0
, . . . , X
p
) =
p
i=0
(1)
i+1
(X
i
)d(. . . ,
X
i
, . . . ).
Applicando lipotesi induttiva a e sfruttando (2.21)
d(. . . ,
X
i
, . . . ) =
i1
k=0
(1)
k
X
k
(. . . ,
X
k
, . . . ,
X
i
, . . .)+
+
p
k=i+1
(1)
k1
X
k
(. . . ,
X
i
, . . . ,
X
k
, . . .)
dunque
d(X
0
, . . . , X
p
) =
p
k<i
(1)
k+i
(X
i
) X
k
(. . . ,
X
k
, . . . ,
X
i
, . . .)+
+
p
i<k
(1)
k+i
(X
i
) X
k
(. . . ,
X
i
, . . . ,
X
k
, . . .).
(2.22)
Daltro canto
(X
0
, . . . ,
X
i
, . . . , X
p
) = (X
0
, . . . ,
X
i
, . . . , X
p
) =
=
i1
k=0
(1)
k
(X
k
)(. . . ,
X
k
, . . . ,
X
i
, . . .) +
p
k=i+1
(1)
k1
(X
k
)(. . . ,
X
i
, . . . ,
X
k
, . . .)
X
i
_
(X
0
, . . . ,
X
i
, . . . , X
p
)
_
=
i1
k=0
(1)
k
X
i
(X
k
) (. . . ,
X
k
, . . . ,
X
i
, . . .)+
+
i1
k=0
(1)
k
(X
k
) X
i
(. . . ,
X
k
, . . . ,
X
i
, . . .)+
+
p
k=i+1
(1)
k1
X
i
(X
k
) (. . . ,
X
i
, . . . ,
X
k
, . . .)+
+
p
k=i+1
(1)
k1
(X
k
) X
i
(. . . ,
X
i
, . . . ,
X
k
, . . .)
2.3. DIFFERENZIALE ESTERNO DI DE RHAM 69
dunque
p
i=0
(1)
i
X
i
(X
0
, . . . , X
p
) =
k<i
(1)
i+k
X
i
(X
k
) (. . . ,
X
k
, . . . ,
X
i
, . . .)+
+
k<i
(1)
i+k
(X
k
) X
i
(. . . ,
X
k
, . . . ,
X
i
, . . .)+
i<k
(1)
i+k
X
i
(X
k
) (. . . ,
X
i
, . . . ,
X
k
, . . .)+
i<k
(1)
i+k
(X
k
) X
i
(. . . ,
X
i
, . . . ,
X
k
, . . .).
(2.23)
Siccome d == 0 e [X
i
, X
j
] = 0, X
i
(X
k
) = X
k
(X
i
). Dunque scambiando gli indici
p
i<k
(1)
i+k
X
i
(X
k
) (. . . ,
X
i
, . . . ,
X
k
, . . .) =
=
p
k<i
(1)
i+k
X
k
(X
i
) (. . . ,
X
k
, . . . ,
X
i
, . . .) =
=
p
k<i
(1)
i+k
X
i
(X
k
) (. . . ,
X
k
, . . . ,
X
i
, . . .).
Pertanto la prima e la terza sommatoria in (2.23) si elidono e
p
i=0
(1)
i
X
i
(X
0
, . . . , X
p
) =
k<i
(1)
i+k
(X
k
) X
i
(. . . ,
X
k
, . . . ,
X
i
, . . .)+
i<k
(1)
i+k
(X
k
) X
i
(. . . ,
X
i
, . . . ,
X
k
, . . .).
Scambiando di nuovo gli indici i e k e usando la (2.22) e la (2.21) si ottiene la (2.20).
Pertanto la formula (2.20) `e dimostrata per p qualunque nel caso in cui i campi commutano.
In particolare essa vale se i campi X
i
sono campi coordinati. Per ottenere il risultato nel
caso di campi qualsiasi `e suciente provare che se (2.20) vale per i campi X
0
, . . . , X
p
allora
70 CAPITOLO 2. FORME DIFFERENZIALI
vale anche per i campi Y
0
= f X
0
, Y
j
= X
j
per j > 0, dove f `e una funzione. Infatti si ha
[Y
o
, Y
j
] = f[X
0
, X
j
] (X
j
f)X
0
per j > 0
p
i=0
(1)
i
Y
i
(. . . ,
Y
i
, . . .) = Y
0
(Y
1
, . . . , Y
p
) +
p
i=1
(1)
i
X
i
_
f (. . . ,
X
i
, . . .)
_
=
= f
p
i=0
(1)
i
X
i
(. . . ,
X
i
, . . .) +
p
i=1
(1)
i
X
i
f (. . . ,
X
i
, . . .)
i<j
(1)
i+j
([Y
i
, Y
j
], . . . ,
Y
i
, . . . ,
Y
j
, . . .) =
=
0<j
(1)
j
([Y
0
, X
j
],
Y
0
, . . . ,
X
j
, . . .)+
+
0<i<j
(1)
i+j
([X
i
, X
j
], fX
0
, . . . ,
X
i
, . . . ,
X
j
, . . .) =
= f
0<j
(1)
j
([X
0
, X
j
],
X
0
, . . . ,
X
j
, . . .)
0<j
(1)
j
X
j
f (X
0
, . . . ,
X
j
, . . .)+
+f
0<i<j
(1)
i+j
([X
i
, X
j
], X
0
, . . . ,
X
i
, . . . ,
X
j
, . . .)
p
i=0
(1)
i
Y
i
(. . . ,
Y
i
, . . .) +
i<j
(1)
i+j
([Y
i
, Y
j
], . . . ,
Y
i
, . . . ,
Y
j
, . . .) =
= f
_
p
i=0
(1)
i
X
i
(. . . ,
X
i
, . . .) +
0<j
(1)
j
([X
0
, X
j
],
X
0
, . . . ,
X
j
, . . .)
_
Daltro canto d(Y
0
, . . . , Y
p
) = fd(X
0
, . . . , X
p
). Poiche per ipotesi
d(X
0
, . . . , X
p
) =
p
i=0
(1)
i
X
i
(X
0
, ...,
X
i
, ..., X
p
)+
+
i<j
(1)
i+j
_
[X
i
, X
j
], X
0
, ...,
X
i
, ...,
X
j
, ..., X
p
_
otteniamo
d(Y
0
, . . . , Y
p
) =
p
i=0
(1)
i
Y
i
(. . . ,
Y
i
, . . .) +
i<j
(1)
i+j
([Y
i
, Y
j
], . . . ,
Y
i
, . . . ,
Y
j
, . . .).
Lemma 32. Per ogni applicazione liscia F : M N e per ogni
p
(N) si ha
F
d = d(F
) (2.24)
Dimostrazione. La questione `e locale. Dunque possiamo supporre che M ed N siano
aperti di R
n
. Osserviamo che allora C
(N) e dy
1
, . . . , dy
n
generano
d = 0, mentre (usando
2.4. DERIVATA DI LIE 71
lesercizio 13) F
= dF
j
dunque anche dF
= d
2
F
j
= 0. Se invece = h C
(N)
allora, sempre usando lesercizio 13, si ha
dF
h = d(h F) =
(h F)
x
i
dx
i
=
=
h
y
j
F
F
j
x
i
dx
i
= F
_
h
y
j
_
F
dy
j
= F
_
h
y
j
dy
j
_
= F
dh.
Dunque (2.24) vale questo sistema di generatori. Sfruttando il fatto che F
`e un morsmo
di algebre e la propriet`a (5) del dierenziale esterno, `e semplice vericare se la formula
vale per e allora vale anche per . Ci`o completa la dimostrazione.
Esercizio 20. Sia F : M
m
N
n
unapplicazione liscia e siano (U, = (x
i
)) e (V, =
(y
i
)) carte coordinate su M ed N rispettivamente tali che F(U) V . Indichiamo
F =
F
1
la rappresentazione locale di F. Allora se =
I
a
I
dy
I
p
(V )
F
J
b
J
dx
J
(2.25)
dove
b
J
=
I
a
I
F
I
x
J
e
F
I
x
J
=
F
i
1
x
j
1
. . .
F
i
1
x
jp
. . . . . . . . .
F
ip
x
j
1
. . .
F
ip
x
jp
(2.26)
2.4 Derivata di Lie
Sia X un campo vettoriale su M. Indichiamo con
t
il usso di X. Per ogni x
0
M
esistono un > 0 ed un intorno U di x
0
tale che il usso
: (, ) U M (t, x) (t, x) =
t
(x)
sia denito. Se
p
(M), le forme
t
p
(U) sono ben denite per [t[ < . Segue
dallesercizio precedente che
t
=
I
a
I
(t, x)dx
I
dove le a
I
sono funzioni lisce su (, ) U. Infatti restringendo U e scegliendo abba-
stanza piccolo possiamo supporre che ci sia una carta (V, x
i
) tale che ((, ) U) V .
Sia =
I
a
I
(x)dx
I
la rappresentazione di su V . Allora su U si ha
a
J
(t, x) =
I
a
I
((t, x))
I
t
x
J
(t, x)
che chiaramente `e una funzione liscia tanto in x che in t. Per [t[ < (con dipendente da x)
le forme
_
_
x
appartengono allo spazio vettoriale
p
T
x
M. Come abbiamo appena visto
72 CAPITOLO 2. FORME DIFFERENZIALI
dipendono in modo C
t=0
_
_
x
.
Ovviamente la derivata `e ancora un elemento di
p
T
x
M e dipende ancora in modo C
t=0
(M) =
0
(M) allora L
X
f = Xf.
Proposizione 33. La derivata di Lie `e una derivazione di
(M):
L
X
( ) = (L
X
) + (L
X
). (2.27)
Dimostrazione. Sappiamo che
t
:
(M)
t
_
_
=
t
.
Sfruttando la bilinearit`a
d
dt
_
t
( )
_
=
_
d
dt
t
+
t
_
d
dt
_
.
Per t = 0 si ottiene (2.27).
La seguente formula con il dierenziale esterno di de Rham.
Proposizione 34. Se X A(M) ed
k
(M), allora
L
X
= d
X
+
X
d (2.28)
Dimostrazione. Procediamo per induzione su p = deg . Se p = 0 = f `e una funzione e
L
X
f = Xf = df(X) =
X
df.
Poiche
X
f = 0 ci`o dimostra (2.28) in questo caso. Ora supponiamo p > 0 ed assumiamo
che (2.28) valga per tutte le forme di grado < p. La questione `e locale quindi possiamo
ragionare in una carta coordinata (U, x
i
). Inoltre entrambi i termini di (2.28) sono R-
lineari in per cui `e suciente dimostrare la formula per forme del tipo = fdx
I
con
f C
(M). Poniamo = x
i
1
dx
i
2
... dx
ip
. Allora = fd con
p1
(M).
Sfruttando la Prop. 33 e lipotesi induttiva si ha
L
X
= Xf d +f L
X
d = Xf d +fd
X
d +f
X
d
2
=
= Xf d +fd
X
d
2.5. ORIENTAZIONE DI VARIET
`
A E INTEGRAZIONE 73
mentre
d
X
+
X
d = d
X
(fd) +
X
(df d) =
= d
_
f
X
d
_
+ (
X
df) d df (
X
d) =
= df (
X
d) +fd
X
d + +Xf d df (
X
d) =
= fd
X
d + +Xf d.
Pertanto la (2.28) vale anche per tutte le forme di grado p. Ci`o completa il passo induttivo
e la dimostrazione.
Grazie alla formula (2.28) possiamo precisare in che modo L
X
dipenda da X. Lope-
razione di contrazione con
X
`e puramente algebrica (non coinvolge derivate) e quindi `e
C
-lineare: se f C
(M) allora
fX
= f
X
. Tuttavia il termine d
X
coinvolger`a
derivate sia di che di X, per cui nel complesso
L : X(M)
p
(M)
p
(M) (X, ) L
X
`e un operatore dierenziale lineare del primordine tanto in X che in . Infatti se scriviamo
lespressione in coordinate, troviamo delle derivate seconde del usso, cio`e derivate prime
delle componenti di X.
Esercizio 22. Sia (U, x
i
) una carta di M e supponiamo
X = X
i
x
i
=
i
(x)dx
i
1
(M).
Dimostrare direttamente a partire dalla denizione senza sfruttare la (2.28) che
L
X
=
_
X
k
x
i
k
+X
k
i
x
k
_
dx
i
.
Esercizio 23. Dimostrare che per f C
(M), X X(M) ed
p
(M) si ha
L
fX
= fL
X
+ df
X
. (2.29)
Quindi in generale L
fX
,= f L
X
.
2.5 Orientazione di variet`a e integrazione
Ricordiamo innanzitutto il concetto di orientazione per uno spazio vettoriale. Sia V uno
spazio vettoriale reale di dimensione n > 0. Diciamo che due basi e
i
ed f
i
di V
sono compatibili se il determinante della matrice del cambimento di base `e positivo. La
compatibilit`a `e una relazione di equivalenza fra le basi di V .
Denizione 2.5.0.7. Una orientazione di V `e una classe di equivalenza di basi compati-
bili. Uno spazio vettoriale orientato `e uno spazio vettoriale di dimensione positiva su cui
`e stata ssata una orientazione.
74 CAPITOLO 2. FORME DIFFERENZIALI
Se e
i
`e una base di V chiamiamo orientazione denita da e
i
la classe di equivalenza
contenente la base e
i
. Sullo spazio vettoriale R
n
consideriamo ssata lorientazione
denita dalla base standard e
i
= (0, . . . , 1, . . . , 0).
`
E evidente che esistono esattamente due orientazioni di V . Se ssiamo una orientazio-
ne, le basi che appartengono allorientazione sono dette basi positive.
Esercizio 24. Prodotto vettoriale?
Intuitivamente una orientazione di una variet`a dierenziabile M `e una scelta di una
orientazione di T
x
M per ogni x M che varia in modo continuo con x. Questa idea si
pu`o rendere rigorosa nel modo seguente.
Se
1
ed
2
sono due aperti di R
n
ed f :
1
2
`e un dieomorsmo, diciamo che
f preserva lorientazione se det Df(x) > 0 per ogni x
1
. Se invece det Df(x) < 0 per
ogni x
1
, diciamo che f inverte lorientazione. Se
1
ed
2
sono connessi la funzione
x det Df(x) ha sempre lo stesso segno su
1
dunque ogni dieomorsmo fra
1
o
preserva o inverte lorientazione.
Due carte coordinate : U R
n
e : V R
n
di M sono dette compatibili se
U V = oppure se il cambiamento di coordinate
1
: (U V ) (U V )
preserva lorientazione.
Sia M una variet`a dierenziabile e sia A = U
I
un atlante di M. Diciamo che
A `e un atlante orientato se le carte di A sono a due a due compatibili, cio`e se per ogni
, I tali che U
,= si ha det D(
) > 0 su
(U
).
Diciamo che due atlanti orientati sono compatibili se la loro unione `e ancora un atlante
orientato. La compatibilit`a `e una relazione di equivalenza fra gli atlanti orientati di M.
Denizione 2.5.0.8. M `e orientabile se esiste un atlante orientato di M. Una orienta-
zione di M `e una classe di equivalenza di atlanti orientati. Una variet`a orientata `e una
variet`a orientabile su cui `e stata ssata una orientazione.
Se A `e un atlante orientato su M chiamiamo orientazione denita da A la classe di
equivalenza di A.
Esercizio 25. Sia A un atlante orientato di una variet`a M. Sia A
max
la collezione di
tutte le carte su M che sono compatibili con ogni carta appartenente ad A. Dimostrare le
aermazioni seguenti.
1. A
max
`e un atlante orientato di M.
2. A A
max
.
3. Se B `e un atlante orientato di M tale che A B allora B A
max
.
Dunque ogni orientazione `e denita da un atlante orientato massimale. Le carte che
stanno nellatlante orientato massimale sono dette carte compatibili con lorientazione.
Esercizio 26. Sia M `e una variet`a orientata e sia x M. Sia (U, ) `e una carta
compatibile con lorientazione tale che x U. Linsieme delle basi v
i
di T
x
M tali che
D
x
(v
i
) sia una base positiva di R
n
(provvisto dellorientazione standard). Dimostrare che
questo insieme `e una orientazione di T
x
M e che questa orientazione non dipende dalla
scelta della carta compatibile (U, ).
2.5. ORIENTAZIONE DI VARIET
`
A E INTEGRAZIONE 75
Pertanto su una variet`a orientata ogni spazio tangente `e orientato.
Teorema 35. Sia M una variet`a dierenziabile di dimensione n. M `e orientabile se e
solo se esiste una n-forma che non si annulla mai.
Pi` u precisamente: se su M si ssa una orientazione, allora esiste una n-forma tale che
per ogni x M e per ogni base positiva e
i
di T
x
M si ha
x
(e
1
, . . . , e
n
) > 0. Viceversa,
se `e una n-forma su M che non si annulla mai, allora esiste una orientazione di M
caratterizzata dal fatto che per ogni x M le basi positive di T
x
M sono esattamente
quelle su cui
x
`e positiva.
Dimostrazione. Supponiamo che M sia orientabile e che A = (U
)
I
sia un atlante
orientato di M. Sia
I
una partizione dellunit`a subordinata ad A. Sia = dx
1
dx
n
n
(R
n
). Per ogni la forma
n
(U
) ha supporto compatto in U
.
Estendendola a zero fuori di U
.
Poiche la somma `e localmente nita `e una n-forma su M ben denita. Vogliamo provare
che non si annulla mai. Fissiamo x M e sia e
1
, . . . , e
n
una base positiva di T
x
M.
Linsieme J = I : x supp
(x)e
1
, . . . , D
(x)e
n
_
D
(x)e
1
, . . . , D
(x)e
n
_
> 0
(e
1
, . . . , e
n
) =
(x)
_
D
(x)e
1
, . . . , D
(x)e
n
_
> 0.
Pertanto
x
`e positiva su ogni base positiva di T
x
M e in particolare non si annulla mai.
Viceversa, supponiamo che esista
n
T
(U)
tale che
|
U
= f(x)dx
1
dx
n
. Poiche non si annulla mai, f(x) ,= 0 per ogni
x U. Siccome U `e connesso, si ha f > 0 o f < 0 su tutto U. Se siamo nel primo caso
(U, x
1
, . . . , x
n
) `e una carta di A. Se invece f < 0 allora
|
U
= [f[dx
2
dx
1
dx
n
dunque (U, x
2
, x
1
, . . . , x
n
) `e una carta di A. Ci`o dimostra che A `e un atlante. Siano (U, x
i
)
e (V, y
i
) due carte di A e sia y = f(x) il cambiamento di coordinate. Allora
= gdy
1
dy
n
= g det
_
f
i
x
j
_
dx
1
dx
n
.
Poiche sia f che g det J
f
sono funzioni positive, il determinante risulta positivo. Dunque
A `e un atlante orientato.
Teorema 36. Se M `e connessa ed orientabile esistono esattamente due orientazioni di
M.
Dimostrazione. Date due orientazioni di M possiamo associare ad esse due n-forme
1
ed
2
come nel teorema precedente. Allora
1
= f
2
con f C
det J
h
(y)
dy =
_
(U)
f
1
(x)dx.
Pertanto se ha supporto compatto in una carta coordinata U il suo integrale su U, come
denito nella (2.30) dipende solo da U e non dal sistema di coordinate scelto.
Se
c
(U) e
)
I
`e una partizione dellunit`a allora
_
U
=
I
_
U
. (2.31)
Data ora una forma qualunque
n
c
(M) scegliamo un atlante orientato A =
(U
)
I
ed una partizione dellunit`a
I
ad esso subordinata. Poniamo
_
M
:=
I
_
U
. (2.32)
Osserviamo innanzitutto che il supporto di interseca solo un numero nito degli aperti
U
ha supporto compatto in U
. Dunque la (2.32)
ha senso. Mostriamo ora che la scelta dellatlante e della partizione dellunit`a `e irrilevante.
Sia quindi (V
)
J
un altro atlante orientato e sia
J
una partizione dellunit`a
subordinata a V
J
. Per (2.31)
_
U
J
_
U
.
2.6. INTEGRAZIONE DI FORME DIFFERENZIALI 77
La forma
ha supporto compatto in U
. Dunque
_
U
=
_
UV
=
_
V
.
Pertanto sfruttando le propriet`a delle partizioni dellunit`a otteniamo
I
_
U
I
_
U
_
I,J
_
UV
=
=
J
_
V
J
_
V
.
Dunque la denizione (2.32) non dipende dalla scelta dellatlante orientato e della parti-
zione dellunit`a.
2.6.1 Orientazione del bordo
Per variet`a con bordo i concetti di carte compatibili, atlante orientato ed orientazione si
deniscono nello stesso modo che per variet`a senza bordo. Infatti date due carte di una
variet`a con bordo ha perfettamente senso considerare il segno dello jacobiano del cambia-
mento di carta. La novit`a `e che una orientazione della variet`a M induce automaticamente
una orientazione del bordo.
Se M `e una variet`a con M ,= ed x M allora per denizione esiste una carta
= (x
i
) : U R
n
dove R
n
= x R
n
: x
1
0 e x U.
Denizione 2.6.1.1. Sia M una variet`a con bordo e x M. Diciamo che un vettore
v T
x
M punta verso linterno di M se esiste una curva : [0, ) M tale che (0) = v
e ((0, ))
).
Esercizio 28. Dimostrare che se v T
x
M punta verso linterno allora T
x
M = T
x
M
Rv.
Esercizio 29. Dimostrare che se v T
x
M `e tale che T
x
M = T
x
M Rv, allora o v o
v punta verso linterno.
Esercizio 30. Sia : U R
n
.
Quindi il bordo `e ricoperto da carte di questo tipo che sono compatibili con lorientazione.
78 CAPITOLO 2. FORME DIFFERENZIALI
Teorema 37. Sia M una variet` a orientata con bordo non vuoto. Dato un atlante orientato
A di M poniamo H = x R
n
: x
1
= 0
= R
n1
. Per ogni carta (U, = (x
i
)) in A
consideriamo la restrizione
|
UM
: U M H. Allora la famiglia
B = (U M,
|
UM
) : (U, ) A, U M ,=
`e un atlante orientato di M. Lorientazione cos` ottenuta `e caratterizzata dalla seguente
propriet`a: dato x M sia v
1
, . . . , v
n1
una base di T
x
M e sia v T
x
M un vettore
che punta verso lesterno di M. Allora v
i
`e una base positiva di T
x
M se e solo se
v, v
1
, . . . , v
n1
`e una base positiva di T
x
M.
Dimostrazione. Abbiamo appena vericato che B ricopre M quindi `e un atlante. Per
convincersi che `e un atlante orientato `e suciente osservare che la condizione espressa nel
teorema anche una base di T
x
M sia positiva `e intrinseca perche intrinseco il concetto
di vettore che punta verso linterno.
Quando M `e una variet`a con bordo non vuoto, si considera il bordo orientato come
sopra. Vale la pena dire esplicitamente che se su M consideriamo una carta (U, x
i
) come
sopra, allora i vettori
x
1
, . . . ,
x
n
formano una base positiva di T
x
M, il bordo `e M = x
1
= 0 linterno `e
M = x
1
< 0,
il campo
x
1
punta verso lesterno e i vettori
x
2
, . . . ,
x
n
formano una base positiva di T
x
M.
2.7 Teorema di Stokes
Lemma 38. Se
n1
c
(R
n
) allora
_
R
n
d = 0.
Dimostrazione. Sia
=
n
i=1
f
i
(x)
i
2.7. TEOREMA DI STOKES 79
con f
i
C
c
(R
n
) e
i
= dx
1
dx
i
dx
n
.
d =
n
i=1
df
i
i
=
n
i=1
(1)
i1
f
i
x
i
dx
1
dx
n
_
R
n
d =
n
i=1
(1)
i1
_
R
n
f
i
x
i
dx
1
dx
n
_
R
n
f
i
x
i
(x
1
, . . . , x
n
)dx
1
dx
n
=
=
_
R
n1
dx
1
dx
i
dx
n
_
f
i
x
i
(x
1
, . . . , x
i
, . . . , x
n
)dx
i
.
La funzione f
i
(x
1
. . . , , . . . , x
n
) ha supporto compatto in R. Se R > 0 `e tale che il supporto
sia contenuto in [R, R] allora per il Teorema fondamentale del calcolo integrale
_
f
i
x
i
(x
1
, . . . , x
i
, . . . , x
n
)dx
i
=
_
R
R
f
i
x
i
(x
1
, . . . , x
i
, . . . , x
n
)dx
i
=
= f
i
(x
1
. . . , R, . . . , x
n
) f
i
(x
1
. . . , R, . . . , x
n
) = 0
dunque
_
R
n
f
i
x
i
dx
1
dx
n
= 0.
Il teorema seguente nella forma seguente va generalmente sotto il nome di Teorema di
Stokes.
Teorema 39 (di Gauss-Green-Ostrogradski-Stokes). Sia M una variet`a n-dimensionale
orientata con bordo. Se
n1
c
(M) allora
_
M
d =
_
M
. (2.33)
Dimostrazione. Sia A = (U
)
I
un atlante orientato e sia
una partizione
dellunit`a ad esso subordinata. Le forme
e per
denizione
_
M
d =
_
U
d
_
M
=
_
MU
.
Dunque `e suciente dimostrare che se (U, = (x
i
)) `e una carta di M e
n
c
(U) allora
_
U
d =
_
MU
. (2.34)
Se MU = , allora (U) `e un aperto di R
n
. In questo caso (2.34) segue immediatamente
dal lemma precedente. Se invece U = M U ,= , il calcolo `e lievemente dierente.
80 CAPITOLO 2. FORME DIFFERENZIALI
Le forme
i
= dx
1
dx
i
dx
n
formano una base di
n1
T
x
M, quindi possiamo
scrivere
=
n
i=1
f
i
(x)
i
con f
i
C
(U). Con gli stessi conti svolti nella dimostrazione dellultimo lemma otte-
niamo
_
U
d =
i
(1)
i1
_
(U)
f
i
x
i
dx
1
dx
n
.
Se i > 1
_
(U)
f
i
x
i
dx
1
dx
n
=
_
R
n
f
i
x
i
(x
1
, . . . , x
n
)dx
1
dx
n
=
=
_
R
n1
dx
1
dx
i
dx
n
_
f
i
x
i
(x
1
, . . . , x
i
, . . . , x
n
)dx
i
.
Anche in questo caso la funzione f
i
(x
1
. . . , , . . . , x
n
) ha supporto compatto in R, dunque
_
f
i
x
i
(x
1
, . . . , x
i
, . . . , x
n
)dx
i
= 0
_
(U)
f
i
x
i
dx
1
dx
n
= 0
per i > 1. Pertanto
_
U
d =
_
(U)
f
1
x
1
dx
1
dx
n
=
_
R
n
f
1
x
1
(x
1
, . . . , x
n
)dx
1
dx
n
=
=
_
R
n1
dx
2
dx
n
_
0
f
1
x
1
(x
1
, . . . , x
n
)dx
1
.
Per il teorema fondmentale del calcolo integrale
_
0
f
1
x
1
(x
1
, . . . , x
n
)dx
1
= f
1
(0, x
2
, . . . , x
n
)
_
U
d =
_
R
n1
f
1
(0, x
2
, . . . , x
n
)dx
2
dx
n
.
Daltro canto le forme
i
sono indenticamente nulle su T
x
M, se i > 1, dunque
|
M
= f
1
(0, x
2
, . . . , x
n
)dx
2
dx
n
_
U
=
_
R
n1
f
1
(0, x
2
, . . . , x
n
)dx
2
dx
n
=
_
U
d.
Capitolo 3
Omologia e coomologia
3.1 Coomologia di de Rham
Sia M una variet`a dierenziabile n-dimensionale. Poniamo
B
0
(M) = 0
0
(M)
B
p
(M) = imd :
p1
(M)
p
(M)
p
(M) p > 1
Z
p
(M) = Kerd :
p
(M)
p+1
(M)
p
(M) p < n
Z
n
(M) =
n
(M).
Poiche d
2
= 0 si ha B
p
(M) Z
p
(M) possiamo porre
H
p
dR
(M) :=
Z
p
(M)
B
p
(M)
.
H
p
dR
(M) `e uno spazio vettoriale reale, e viene tradizionalmente chiamato p-esimo gruppo
di de Rham, anche se si tratta di uno spazio vettoriale. Poniamo poi
H
dR
(M) =
n
p=0
H
p
dR
(M).
Teorema 40. Se M
n
`e una variet` a connessa compatta e orientata, allora lintegrale di
una n-forma d`a un isomorsmo H
n
(M, R)
= R.
Vedi LEe.
Loperazione di pull-back commuta con il dierenziale esterno e pertanto passa alla
coomologia. Sia F : M N una applicazione liscia. Data a H
p
(N) rappresentiamo
a mediante una forma chiusa a = [],
p
(N). Allora dF
= F
d = 0 e quindi
poniamo F
a = [F
].
Esercizio 31. Dimostrare che la classe [F
: H
p
(N) H
p
(M) che chiamiamo
ancora pull-back.
81
82 CAPITOLO 3. OMOLOGIA E COOMOLOGIA
Esercizio 32. Vericare che (g f)
= f
e Id
M
= Id
H
(M)
.
Se M `e una variet`a senza bordo, M[0, 1] `e una variet`a com bordo. Se (x, t) MI
si ha T
(x,t)
(M [0, 1]) = T
x
M T
t
[0, 1], dunque ogni forma
p
(M [0, 1]) si pu`o
scomporre canonicamente come
=
1
+
2
dt
dove
1
p
(M [0, 1]) e
2
p1
(M [0, 1]) non contengono dt.
Siano M ed N variet`a senza bordo e siano f, g : M N due applicazioni lisce.
Supponiamo che esse dierenziabilmente omotope. Ci`o signica che esiste una applicazione
liscia
F : M [0, 1] N
tale che F(x, 0) = f(x) e F(x, 1) = g(x) per ogni x M. Una tale applicazione si chiama
omotopia fra f e g. Poniamo f
t
(x) = F(x, t). Data una forma
n
(N) scomponiamo
come sopra la forma F
:
F
=
1
+
2
dt.
Osserviamo che
1
p
(M [0, 1]) e
2
p1
(M [0, 1]). Deniamo
H :=
_
1
0
2
(, t)dt.
Localmente
2
`e somma di termini della forma
a
I
(x, t)dx
I
quindi H `e somma di termini del tipo
b
I
(x)dx
I
b
I
(x) =
_
1
0
a
I
(x, t)dt.
Dunque H `e una forma su M. Otteniamo cos` un operatore lineare
H :
p
(N)
p1
(M).
H `e detto operatore di omotopia algebrico.
Lemma 41. Per ogni
p
(N) vale la formula di omotopia
g
= (1)
p
_
Hd dH
_
. (3.1)
3.1. COOMOLOGIA DI DE RHAM 83
Dimostrazione. Localmente possiamo scrivere
1
=
J
c
J
(x, t)dx
J
2
=
I
a
I
(x, t)dx
I
H =
I
b
I
(x)dx
I
b
I
(x) =
_
1
0
a
I
(x, t)dt
dH =
I
db
I
dx
I
=
j,I
b
I
(x)
x
j
dx
j
dx
I
b
I
(x)
x
j
=
x
j
_
1
0
a
I
(x, t)dt =
_
1
0
a
I
(x, t)
x
j
dt
dH =
j,I
_
_
1
0
a
I
(x, t)
x
j
dt
_
dx
j
dx
I
.
Se poniamo h(x) = (x, 1), allora g
= h
. Poiche h
dt = 0
g
= h
1
=
J
c
J
(x, 1)dx
J
f
J
c
J
(x, 0)dx
J
.
Poniamo = d
p+1
(N).
F
= F
d = dF
= d
1
+ (d
2
) dt
d
1
=
J
dc
J
dx
J
=
J
_
n
k=1
c
J
x
k
(x, t)dx
k
+
c
J
t
(x, t)dt
_
dx
J
=
k,J
c
J
x
k
(x, t)dx
k
dx
J
+
J
c
J
t
(x, t)dt dx
J
.
Posto
1
:=
k,J
c
J
x
k
(x, t)dx
k
dx
J
d
1
=
1
+ (1)
p
_
J
c
J
t
(x, t)dx
J
_
dt
d
2
=
I
da
I
dx
I
=
I
_
n
j=1
a
I
x
j
(x, t)dx
j
+
a
I
t
(x, t)dt
_
dx
I
d
2
dt =
j,I
a
I
x
j
(x, t)dx
j
dx
I
dt.
Sottolineiamo che (ovviamente) per gli oggetti deniti su M [0, 1] il simbolo d indica il
dierenziale esterno nelle n + 1 variabili (x, t). Poniamo
2
=
j,I
a
I
x
j
(x, t)dx
j
dx
I
+ (1)
p
J
c
J
t
(x, t)dx
J
.
84 CAPITOLO 3. OMOLOGIA E COOMOLOGIA
Allora
F
=
1
+
2
dt
`e la scomposizione di F
d. Dunque
Hd =
_
1
0
2
(, t)dt =
=
j,I
_
_
1
0
a
I
x
j
(x, t)dt
_
dx
j
dx
I
+ (1)
p
k,J
_
c
J
(x, 1) c
J
(x, 0)
_
dx
J
=
= dH + (1)
p
(g
).
Corollario 42. Se M ed N sono variet` a senza bordo e f, g : M N sono due applicazioni
lisce dierenziabilmente omotope, allora i morsmi
f
, g
: H
dR
(N) H
dR
(M)
coincidono.
Dimostrazione. Sia a = [] H
p
dR
(N). Allora prendendo le classi in (3.1) [g
] [f
] =
(1)
p
[dH] = 0.
Corollario 43. Se M ed N sono variet`a dierenziabili ed f : M N e g : N M sono
equivalenze omotopiche lisce, ossia esistono omotopie lisce g f Id
M
e f g Id
N
,
allora H
p
dR
(M)
= H
p
dR
(N) per ogni p 0.
Dimostrazione.
`
E suciente osservare che
f
= (g f)
= Id
M
= Id
H
(M)
.
Allo stesso modo g
= Id
H
(N)
dunque f
e g
sono isomorsmi.
Lemma 44 (di Volterra
1
). Sia A R
n
un aperto stellato rispetto allorigine. Se
p
(A) `e chiusa, allora essa `e anche esatta. In particolare H
p
DR
(A) = 0 per p > 0.
3.2 Omologia singolare
Sia A un insieme. Indichiamo R
A
linsieme delle funzioni da A in R. R
A
`e uno spazio
vettoriale rispetto alle operazioni di somma e prodotto per uno scalare punto per punto.
Indichiamo con F(A) il sottoinsieme di R
A
dalle funzioni f : A R tali che linsieme
a A : f(a) ,= 0 sia nito. F(A) `e un sottospazio vettoriale di R
A
. Dato a A
consideriamo la funzione
a
: A R denita dalla formula
a
(x) =
_
1 se x = a
0 altrimenti.
1
Questo risultato fondamentale `e universalmente noto come lemma di Poincare. Tuttavia `e stato
dimostrato per la prima volta da Vito Volterra. Cfr. la discussione in [6, p. VIII].
3.2. OMOLOGIA SINGOLARE 85
Se f F(A) allora
f =
aA
f(a)
a
.
Infatti la somma `e nita perche f(a) ,= 0 solo per un numero nito di elementi a A.
Dunque
a
aA
`e una base di F(A). Possiamo identicare lelemento a A con la
funzione
a
F(A). Pertanto dato f F(A), se a A : f(a) ,= 0 = a
,
. . . , a
n
i=1
f
i
a
i
dove f
i
= f(a
i
).
Lemma 45. Sia A un insieme non vuoto e V uno spazio vettoriale. Se : A V `e
unapplicazione qualsiasi, esiste ununica applicazione lineare
: F(A) V
tale che (a) = (a) per ogni a A.
Esercizio 33. Dimostrare il lemma.
Per questo motivo chiamiamo F(A) lo spazio vettoriale libero sullinsieme A. (La pro-
priet`a espressa dal lemma `e la stessa che caratterizza gli oggetti liberi in altre categorie,
per esempio i gruppi liberi e i gruppi abeliani liberi.)
Indichiamo con N linsieme dei numeri naturali con 0 incluso, N = i Z, i 0.
Poniamo R
la successione
e
i
= (0, . . . , 0, 1
iesimo
, 0, . . .).
e
0
, e
1
, . . . `e una base di R
N
. Su R
: x
i
= 0 per i > n.
La topologia di R
n+1
come sottospazio di R
`e la topologia ordinaria di R
n+1
.
Denizione 3.2.0.2. Per p N, il simplesso p-dimensionale standard `e linsieme
p
:=
_
p
i=0
i
e
i
:
i
0,
p
i=0
i
= 1
_
.
Esercizio 34. Se E `e un sottoinsieme di uno spazio vettoriale, l inviluppo convesso di E
`e linsieme di tutti i segmenti [p, q] con p, q E. Dimostrare che
p
`e linviluppo convesso
di e
0
, . . . , e
p
e che
p
`e un sottospazio compatto di R
p+1
R
.
86 CAPITOLO 3. OMOLOGIA E COOMOLOGIA
Se V `e uno spazio vettoriale qualsiasi e v
0
, . . . , v
p
sono vettori di V indichiamo con
[v
0
, . . . , v
p
] lapplicazione
[v
0
, . . . , v
p
] :
p
V
p
i=0
i
e
i
p
i=0
i
v
i
.
Esercizio 35. Dimostrare che limmagine di [v
0
, . . . , v
p
] coincide con linviluppo convesso
di v
0
, . . . , v
p
.
Per 0 i p poniamo
F
p
i
= [e
0
, . . . , e
i
, . . . , e
p
] :
p1
p
.
In altre parole
F
p
i
(e
j
) =
_
e
j
0 j < i
e
j+1
i j p 1.
Esercizio 36. Dimostrare che se x = (x
0
, . . . , x
p1
, 0, . . .)
p1
allora
F
p
i
(x) = (x
0
, . . . , x
i1
, 0, x
i
, . . . , x
p1
, 0, . . .).
Lapplicazione F
p
i
si chiama i-esima faccia del simplesso p-dimensionale.
Esercizio 37. Se 0 i < j p + 1 allora
F
p+1
j
F
p
i
= [e
0
, . . . , e
i
, . . . , e
j
, . . . , e
p+1
].
Se invece 0 j i p allora
F
p+1
j
F
p
i
= [e
0
, . . . , e
j
, . . . , e
i+1
, . . . , e
p+1
].
Denizione 3.2.0.3. Sia X uno spazio topologico. Se p 0 un p-simplesso singolare in
X `e una applicazione continua da sigma :
p
X. Indichiamo con S
p
(X) linsieme dei
p-simplessi singolari in X e poniamo
p
(X) = F(S
p
(X)). Gli elementi di
p
(X) sono
chiamati p-catene singolari in X.
Ogni p-catena singolare c
p
(X) `e una somma formale
c =
n
i=1
a
i
i
dove
i
:
p
X sono p-simplessi singolari. Se p < 0 poniamo
p
(X) = 0. Deniamo
ora un operatore dalle p-catene alle (p 1)-catene. Dato un p-simplesso singolare (con
p > 1) deniamo il bordo di mediante la formula
=
p
i=0
(1)
i
F
p
i
.
3.2. OMOLOGIA SINGOLARE 87
Poiche F
p
i
:
p1
X `e unapplicazione continua, cio`e un (p 1)-simplesso singolare,
c `e una (p 1)-catena singolare. Pertanto `e una applicazione da (X)
p
(X) a
p1
(X). Per il lemma 45 si estende ad un unico operatore lineare
:
p
(X)
p1
(X). (3.2)
viene chiamato operatore di bordo. Se p 0 deniamo come loperatore identicamente
nullo.
Lemma 46. = 0, cio`e la composizione
p+1
(X)
p
p1
(X)
`e loperatore nullo per ogni p Z.
Dimostrazione. Poiche i simplessi formano una base di
p
(X) `e suciente provare che
= 0 per ogni (p + 1)-simplesso singolare .
=
p+1
j=0
(1)
j
F
p+1
j
=
p+1
j=0
(1)
j
_
F
p+1
j
_
=
=
p+1
j=0
(1)
j
p
i=0
(1)
i
F
p+1
j
F
p
i
=
p+1
j=0
p
i=0
(1)
i+j
F
p+1
j
F
p
i
=
=
0i<jp+1
(1)
i+j
F
p+1
j
F
p
i
+
0jip
(1)
i+j
F
p+1
j
F
p
i
.
Segue dallesercizio 37 che per j i F
p+1
j
F
p
i
= F
p+1
i+1
F
p
j
. Pertanto
=
0i<jp+1
(1)
i+j
F
p+1
j
F
p
i
+
0jip
(1)
i+j
F
p+1
i+1
F
p
j
.
Sostituendo i a i+1 nella second somma e scambiando gl indici i e j nella prima otteniamo
=
0j<ip+1
(1)
i+j
F
p+1
i
F
p
j
0j<ip+1
(1)
i+j
F
p+1
i
F
p
j
= 0.
Poniamo
B
p
(X) = im :
p+1
(X)
p
(X) p > 1
Z
p
(X) = Ker :
p
(X)
p1
(X) p < n
H
p
(X) =
Z
p
(X)
B
p
(X)
.
Gli elementi di B
p
(X) si chiama p-bordi (singolari) in X. Gli elementi di Z
p
(X) si chiama
p-cicli (singolari) in X. Il quoziente H
p
(X) si chiama p-esimo gruppo di omologia singolare
di X. Se c `e un ciclo la sua classe di equivalenza in H
p
(X) viene indicata con [c] ed `e
chiamata classe di omologia. Due cicli c
1
e c
2
hanno la stessa immagine in H
p
(X) se e
soltanto se c
1
c
2
`e un bordo. In questo caso diciamo che c
1
e c
2
sono cicli omologi.
Qui forse ci sta bene il calcolo dellomologia del punto [1, p.172]. (Comprende aumen-
tazione.)
88 CAPITOLO 3. OMOLOGIA E COOMOLOGIA
3.3 Alcune nozioni di algebra omologica
Denizione 3.3.0.4. Uno spazio vettoriale graduato `e uno spazio vettoriale V assieme
ad una collezione di sottospazi V
i
indiciati dagli interi i Z tali che
V =
iZ
V
i
.
Se conosciamo gli spazi V
i
possiamo ovviamente ricostruire V . Pertanto possiamo denire
in modo equivalente uno spazio graduato come una famiglia di spazi vettoriali V
i
iZ
.
Denizione 3.3.0.5. Un complesso di catene `e uno spazio vettoriale graduato C
i
as-
sieme ad una collezione di applicazioni lineari
i
: C
i
C
i1
tali che tutte le composizioni
i1
i
: C
i
C
i2
siano identicamente nulle. viene chiamato operatore di bordo.
Spesso scriveremo semplicemente al posto di
i
, quando `e chiaro su che spazio agisce
loperatore .
Denizione 3.3.0.6. L omologia di un complesso di catene C
= (C
i
, ) `e lo spazio
vettoriale graduato
H
i
(C
) :=
ker : C
i
C
i1
im : C
i+1
C
i
Lesempio fondamentale di complesso di catene `e il seguente. Se X `e uno spazio
topologico le catene singolari
i
(X)
iZ
formano uno spazio vettoriale graduato. Se
indichiamo con loperatore di bordo denito in (3.2) allora
(X) := (
i
(X), ) `e un
complesso di catene. La sua omologia coincide per denizione con lomologia singolare di
X:
H
i
(X) := H
i
(
(X)).
Infatti `e da questo esempio che deriva il nome complesso di catene dato al concetto
astratto che `e puramente algebrico.
Un altro complesso di catene si pu`o costruire per ogni variet`a dierenziabile M.
Fissiamo p 0 e poniamo
H
p
= x = (x
0
, x
1
, . . .) R
: x
j
= 0 per j > p,
p
i=0
x
i
= 0. (3.3)
H
p
`e il pi` u piccolo sottospazio ane di R
contenente
p
.
Denizione 3.3.0.7. Diciamo che unapplicazione :
p
M `e liscia se esistono un
aperto U di H
p
ed una applicazione liscia : U M tali che U
p
e
|
p
= . Un
p-simplesso singolare liscio `e unapplicazione liscia
p
M.
Una catena singolare liscia `e una combinazione formale di simplessi singolari lisci. Indi-
chiamo con
p
(X) lo spazio vettoriale delle catene singolari lisce. Ovviamente
p
(M)
p
(M). Per p < 0 poniamo
p
(M) = 0. Le applicazioni F
p
j
:
p1
p
sono
lisce, dunque se
p
(M) anche
p1
(M). Ci`o signica - per denizione -
che
(M) `e un sottocomplesso di
(M). Dimostraremo pi` u avanti che questa in realt`a coincide con lomologia singolare,
cio`e H
(M))
= H
(M).
3.3. ALCUNE NOZIONI DI ALGEBRA OMOLOGICA 89
Denizione 3.3.0.8. Siano A
i
e B
i
due spazi vettoriali graduati. Un morsmo di
spazi vettoriali graduati `e una famiglia di applicazioni lineari f
i
: A
i
B
i
per ogni i Z.
Siano A
= (A
i
, ) e B
= (B
i
, ) due complessi di catene. Un morsmo di complessi
f : A
//
f
i+1
//
//
f
i
//
//
f
i1
//
//
//
//
: H
(A
) H
(B
) c f(c).
Dimostrazione. Dalla condizione f
i+1
= f
i
segue
f
i
(im : A
i+1
A
i
) im : B
i+1
B
i
f
i
(ker : A
i
A
i1
) ker : B
i
B
i1
.
Dunque f
i
passa ai quozienti
H
i
(A
) =
ker : A
i
A
i1
im : A
i+1
A
i
(f)
i
ker : B
i
B
i1
im : B
i+1
B
i
= H
i
(B
)
(f
)
i
c = f
i
(c).
Un esempio (fondamentale) di morsmo di complessi `e fornito dalla seguente situazione
geometrica. Siano X ed Y spazi topologici e sia f : X Y una applicazione continua.
Se :
p
X `e un simplesso singolare in X, la composizione f `e un simplesso
singolare in Y . Lapplicazione f si estende per linearit`a ad una applicazione
p
(f) :
p
(X)
p
(Y ) dalle catene singolari in X alle catene singolari in Y . Al variare
di p Z queste applicazioni formano un morsmo di complessi
f
(X)
(Y ) f
i
a
i
i
_
=
i
a
i
f
i
.
Esercizio 38. Vericare che si tratta eettivamente di un morsmo di complessi.
Il morsmo indotto in omologia si indica con
f
: H
p
(X) H
p
(Y ) f
(c) = f
(c).
90 CAPITOLO 3. OMOLOGIA E COOMOLOGIA
Lemma 48. Se f : X Y e g : Y Z sono applicazioni continue, allora per i morsmi
indotti in omologia si ha
(g f)
= g
: H
(X) H
(Z)
(Id
X
)
= Id
H(X)
.
Esercizio 39. Dimostrare il lemma.
La stessa costruzione si applica allomologia liscia: se M ed N sono variet`a dieren-
ziabili ed f : M N `e una applicazione liscia, allora possiamo denire nello stesso modo
un morsmo di complessi
f
(M)
(N)
imponendo che per ogni simplesso singolare liscio :
p
M si abbia
f
() = f .
Ovviamente otteniamo anche un morsmo in omologia f
: H
(M)) H
(N)).
Esercizio 40. I complessi di catene formano una categoria.
Esercizio 41. La corrispondenza X
(X) ed f C(X, Y ) f
`e un funtore dalla
categoria degli spazi topologici e delle applicazioni continue nella categoria dei complessi
di catene.
Esercizio 42. Lomologia `e un funtore dalla categoria dei complessi di catene alla cate-
goria degli spazi vettoriali graduati.
Esercizio 43. Lomologia singolare `e la composizione dei due funtori
e omologia.
Corollario 49. Se X ed Y sono spazi omeomor, allora H
(X)
= H
(Y ).
Il lemma precedente esprime il fatto che lomologia singolare `e un funtore dalla cate-
goria degli spazi topologici alla categoria degli spazi vettoriali graduati. Ad ogni spazio
topologico X viene associato lo spazio graduato H
: H
(X) H
(M) = (
p
p
(M), d) `e un complesso di cocatene.
La sua coomologia `e per denizione la coomologia di de Rham di M.
3.3. ALCUNE NOZIONI DI ALGEBRA OMOLOGICA 91
Denizione 3.3.0.10. La coomologia di un complesso di cocatene C
= (C
i
, d) `e lo
spazio vettoriale graduato
H
i
(C
) :=
ker d : C
i
C
i+1
imd : C
i1
C
i
A partire da un complesso di catene A
= (A
i
, ) possiamo costruire un complesso
di cocatene. Poniamo
A
i
:= A
i
= Hom(A
i
, R)
i
: A
i
A
i+1
i
() :=
i+1
. (3.4)
Esercizio 44. Vericare che
2
= 0.
Pertanto A
= (A
i
, ) `e un complesso di cocatene, ed `e chiamato complesso duale di
A
(X). Poniamo
p
(X) =
_
p
(X)
_
= Hom(
p
(X), R).
Gli elementi di
p
(X) vengono chiamati cocatene singolari in X. Il complesso delle
cocatene singolari `e pertanto dato da
(X) = (
p
(X), ) dove loperatore di cobordo
`e denita da (3.4). La coomologia singolare di uno spazio topologico X `e la coomologia
del complesso
(X).
Lemma 50. Siano A, B e C spazi vettoriali e siano S e T applicazioni lineari
A
S
B
T
C
tali che TS = 0. Allora c`e un isomorsmo canonico
ker S
imT
=
_
ker T
imS
_
.
Dimostrazione. Ogni funzionale ker S
:
ker T
imS
R [b] (b).
Se
= + T
si ha
=
, dunque il funzionale
dipende solo dalla classe di in
ker S
/ imT
. Inoltre lapplicazione
fattorizza attraverso una applicazione
:
ker S
imT
_
ker T
imS
_
soddis
([]) = 0. Allora 0 su ker T dunque d`a luogo ad un funzionale : imT
=
B/ ker T R tale che = T. Sia C
=
92 CAPITOLO 3. OMOLOGIA E COOMOLOGIA
per cui [] = 0. Ci`o dimostra liniettivit`a. Per dimostrare la suriettivit`a consideriamo
un funzionale
:
ker T
imS
R.
Possiamo trovare un funzionale : ker T R tale che (S(a)) = 0 per ogni a A e tale
che ([b]) = (b). Sia B
= (C
i
, ) `e un complesso di catene e C
= (C
i
, ) `e il complesso
duale, allora c`e un isomorsmo canonico
H
p
(C
)
= Hom(H
p
(C
), R).
Pertanto lomologia e la coomologia singolare contengono la stessa informazione. (Af-
nche il corollario appena visto sia valido `e essenziale che i coecienti vengano presi in un
campo, come stiamo facendo noi sin dallinizio. La situazione `e ben diversa se si prendono
i coecienti in un anello o in un gruppo abeliano generale. In tal caso lomologia e la coo-
mologia non sono isomorfe.) La dierenza `e solo formale.
`
E comodo introdurre anche la
coomologia perche ci`o rende pi` u eleganti alcune costruzioni (p.e. il teorema di de Rham).
Esercizio 45. Sia : A
: H
p
(A
) H
p
(B
e B
i complessi duali e
sia
t
: A
pZ
tali che H+H =
f g. (pi` u precisamente
B
H
p
+H
p1
A
= f g
su A
p
.) Se esiste una omotopia fra f e g diciamo che sono morsmi omotopi.
Esercizio 46. Dimostrare che se f, g : A
= g
: H
(A
) H
(B
).
Esercizio 47. Formulare la denizione e il risultato analogo per complessi di cocatene.
Confrontare con la (3.1).
Denizione 3.3.0.12. Siano A, B, C spazi vettoriali e i : A B e j : B C applicazioni
lineari. In questa situazione scriviamo
A
i
B
j
C (3.5)
3.3. ALCUNE NOZIONI DI ALGEBRA OMOLOGICA 93
e diciamo che (3.5) `e una successione di spazi vettoriali. Se
A
i1
f
i1
A
i
f
i
A
i+1
`e una successione di spazi vettoriali (che pu`o essere nita o innita sia a destra che a
sinistra) diciamo che essa `e esatta in A
i
se imf
i1
= ker f
i
. Diciamo che `e una successione
esatta se `e esatta in ogni punto.
Una successione esatta corta `e una successione esatta della forma
0 A
i
B
j
C 0.
Gli zeri rappresentano lo spazio vettoriale banale 0. Pertanto lesattezza in A equivale
al fatto che i `e iniettiva, mentre lesattezza in C equivale al fatto che j `e suriettiva.
Esercizio 48. Se la successione 0 A
i
B
j
C 0 `e esatta, allora C
= B/ im(i).
Esercizio 49. La successione 0 A
i
B `e esatta se e solo se i `e iniettiva.
Esercizio 50. La successione A
j
B 0 `e esatta se e solo se j `e suriettiva.
Esercizio 51. Se la successione 0 A
i
B 0 `e esatta allora i `e un isomorsmo di A
su B.
Una successione esatta corta di complessi di catene `e una successione
0 A
f
B
g
C 0 (3.6)
dove A
, B
e C
//
//
f
i+1
//
//
f
i
//
//
f
i1
//
//
g
i+1
//
//
g
i
//
//
g
i1
//
//
//
//
, B
e C
e g
i
B
j
C 0 (3.7)
una successione esatta di complessi di catene. Per ogni p Z si pu`o denire un operatore
: H
p
(C
) H
p1
(A
)
tale che la successione
H
p
(A
)
i
H
p
(B
)
j
H
p
(C
H
p1
(A
)
i
H
p1
(B
)
j
H
p1
(C
)
(3.8)
sia esatta.
Loperatore
//
i
p+1
//
j
p+1
//
//
//
ip
//
jp
//
// //
i
p1
//
j
p1
//
Sia H
p
(C
) e scegliamo c C
p
tale che c = 0 e = c. Poiche j
p
`e suriettiva
esiste b B
p
tale che j
p
b = c. j
p1
b = c = 0. Dunque, per lesattezza della terza riga
orizzontale, esiste a A
p1
tale che i
p1
(a) = b. Inoltre i
p2
a = i
p1
a =
2
b = 0.
Poiche i
p2
`e iniettiva a = 0. Pertanto possiamo considerare la classe a H
p1
(A) e
poniamo
c = a.
3.4. PROPRIET
`
A FONDAMENTALI DELLOMOLOGIA SINGOLARE 95
Ovviamente dobbiamo vericare che questa `e una buona denizione, cio`e che la classe a
non dipende da tutte le scelte fatte. Sia dunque c
C
p
un altro elemento tale che c
= 0
e c
= , b
B
p
un elemento tale che j
p
b
= c
e a
A
p+1
tale che i
p+1
a
= b
. Poiche
c = c
esiste c
C
p+1
tale che c
= c c
. Poiche j
p+1
`e suriettiva, esiste b
B
p+1
tale che j
p+1
b
= c
e j
p
b
= j
p+1
b
= c
= cc
= j
p
(bb
), dunque bb
= i
p
a
per qualche a
A
p
. Inne i
p1
a
= i
p
a
= bb
2
b
= i
p1
ai
p1
a
0. Poiche
i
p1
`e iniettiva concludiamo a
= a a
, ossia a = a
`e
ben denito.
Ora verichiamo che la successione lunga `e esatta. Cominciamo dallesattezza in
H
p
(B
). Sia = a H
p
(A
) e a A
p
. Allora i
= i
p
a. Dunque j
= j
p
i
p
a.
Poiche j
p
i
p
= 0, j
= 0 e imi
ker j
e supponiamo = b
per b B
p
. Allora j
p
b = j
= 0, dunque j
p
b = c
per c
C
p+1
. Sia b
B
p+1
tale
che j
p+1
b
= c
. Allora j
p
(b
b) = j
p+1
b
j
p
b = c
j
p
b = 0 quindi esiste a A
p
tale
che i
p
a = b
b e i
ker j
e quindi lesattezza in
H
p
(B
).
Vediamo lesattezza in H
p
(C
). Sia = b H
p
(B
). Allora j
= j
p
b e se a A
p1
`e tale che i
p1
a = b allora
= a. Daltronde se = b necessariamente b = 0
dunque a = 0 e a maggior ragione a = 0. Abbiamo dimostrato che imj
ker
.
Supponiamo invece che = c ker
. Dunque esistono b B
p
e a A
p1
tali che
j
p
b = c, i
p1
a = b e a =
= 0. Pertanto a = a
per a
A
p
e (b i
p
a
) = i
p1
(a
a
) = 0. Se poniamo = b i
p
a
allora j
= j
p
(b i
p
a) = j
p
b j
p
i
p
a = j
p
b =
perche j
p
i
p
= 0. Pertanto imj
ker
).
Veniamo alla esattezza in H
p1
(A
). Data = c, siano b B
p
e a A
p1
tali che
j
p
b = c e i
p1
a = b. Allora
= a e i
= i
p1
a = b= 0, quindi im
ker i
.
Se invece = a H
p1
(A
) `e tale che i
= i
p1
a = 0 allora i
p1
a = b per
qualche b B
p
. Se poniamo c = j
p
b e = c si ha
= . Pertanto im
ker i
e
anche lesattezza in H
p1
(A
) `e provata.
Un risultato analogo (con le frecce capovolte) vale per i complessi di cocatene e la loro
coomologia.
Esercizio 52 (di pazienza). Formulare e dimostrare il risultato analogo per le successioni
esatte corte di complessi di cocatene.
3.4 Propriet`a fondamentali dellomologia singolare
In questo paragrafo dimostriamo alcune propriet`a fondamentali dellomologia singolare.
La prima propriet`a `e un esempio concreto della situazione astratta considerata nel
paragrafo precedente.
Sia X uno spazio topologico e sia A X un sottospazio. In questa situazione diciamo
che (X, A) `e una coppia di spazi. I simplessi singolari in A sono ovviamente anche simplessi
singolari in X, dunque c`e uninclusione
P
(A)
p
(X). Poniamo
p
(X, A) :=
p
(X)
p
(A)
.
Loperatore bordo passa al quoziente per cui otteniamo un nuovo complesso
(X, A).
96 CAPITOLO 3. OMOLOGIA E COOMOLOGIA
Esercizio 53. Formulare la denizione di sottocomplesso e complesso quoziente e dimo-
strare che
(A) `e un sottocomplesso di
(X, A).
Denizione 3.4.0.13. Lomologia della coppia di spazi (X, A) `e lomologia del complesso
di catene
(X, A).
Teorema 53. Per ogni coppia di spazi (X, A) `e denita una successione di operatori di
connessione
: H
p
(X, A) H
p1
(A) tale che la seguente successione
H
p
(A) H
p
(X) H
p
(X, A)
H
p1
(A) (3.9)
sia esatta.
Dimostrazione. Per costruzione c`e una successione esatta corta
0
(A)
(X)
(X, A) 0.
Il teorema `e pertanto una conseguenza immediata del teorema 52 applicato a questa
successione di complessi.
La successione (3.9) `e chiamata la successione esatta lunga della coppia (X, A).
Esercizio 54. Dimostrare che se f : (X, A) (Y, B) `e una applicazione continua il
diagramma
H
p
(X, A) H
p1
(A)
H
p
(Y, B) H
p1
(B)
//
f
//
= g
: H
(X, A) H
(Y, B).
Per la dimostrazione si rimanda alle pp. 219-223 di [1]. La dimostrazione ivi presentata
comprende una discussione del prodotto croce e per comprenderla `e suciente la parte della
teoria sviluppata in queste note (?).
Teorema 55 (Eccisione). Sia (X, A) una coppia di spazi e sia U X un aperto tale che
U
: H
(X U, A U)
=
H
(X, A).
Per la dimostrazione si rimanda alle pp. 223-228 di [1]. Per comprenderla `e suciente
la parte della teoria sviluppata in queste note (?).
3.5. LA SUCCESSIONE DI MAYER-VIETORIS 97
3.5 La successione di Mayer-Vietoris
Teorema 56 (Mayer-Vietoris per lomologia singolare). Siano A, B X due sottospazi
tali che X =
A
B. Siano i
A
: A B A, i
B
: A B B, j
A
: A X e j
B
: B X
le inclusioni. Allora la successione
H
p
(A B)
i
A
i
B
H
p
(A) H
p
(B)
j
A
j
B
H
p
(A B)
H
p1
(A B)
(3.10)
`e esatta.
La (3.10) `e la successione di Mayer-Vietoris per la omologia singolare. Per la dimo-
strazione vedi [1, p. 228-229].
Teorema 57 (Mayer-Vietoris per la coomologia singolare). Siano A, B X due sottospazi
tali che X =
A
B. Siano i
A
: A B A, i
B
: A B B, j
A
: A X e j
B
: B X
le inclusioni. Allora la successione
H
p
(A B)
j
A
j
B
H
p
(A) H
p
(B)
i
A
+i
B
H
p
(A B)
H
p+1
(A B)
(3.11)
`e esatta.
La (3.12) `e la successione di Mayer-Vietoris per la coomologia singolare. Per la
dimostrazione vedi [1, p. 285-286].
Inne dimostriamo la successione di Mayer-Vietoris per la coomologia di de Rham.
Esercizio 55. Sia M una variet`a dierenziabile ed A, B M due aperti. Se E M `e
un brato vettoriale ed s
A
(A, E), s
B
(B, E) sono tali che s
A
(x) = s
B
(x) per ogni
x A B, allora la sezione s denita da
s(x) =
_
s
A
(x) x A
s
B
(x) x B
`e C
, dunque s (A B, E).
Teorema 58 (Mayer-Vietoris per la coomologia di de Rham). Sia M una variet`a die-
renziabile e siano A, B M due aperti tali che M = A B. Consideriamo le inclusioni
i
A
: A B A, i
B
: A B B, j
A
: A M e j
B
: B M. Allora la successione
H
p
dR
(A B)
j
A
j
B
H
p
dR
(A) H
p
dR
(B)
i
A
+i
B
H
p
dR
(A B)
H
p+1
dR
(A B)
(3.12)
`e esatta.
Dimostrazione. Deniamo le applicazioni
j
A
j
B
:
(M)
(A)
(B) (j
A
, j
B
)
i
A
+i
B
:
(A)
(B)
(A B) (, ) i
A
+i
B
.
98 CAPITOLO 3. OMOLOGIA E COOMOLOGIA
Vogliamo dimostrare che la successione esatta corta di complessi di cocatene
0
(M)
j
A
j
(A)
(B)
i
A
+i
(A B) 0 (3.13)
`e esatta. Da questo seguir`a immediatamente lenunciato applicando il teorema 52. Inco-
minciamo dimostrando che j
A
j
B
`e iniettiva. Questo segue semplicemente dal fatto che
A B = M: se j
A
= 0 e j
B
= 0 allora si annnulla su tutta M. Verichiamo ora che
(3.13) `e un complesso, ossia (i
A
+i
B
)(j
A
j
B
) = 0. Sia
p
(M).
(i
A
+i
B
)(j
A
j
B
) = (i
A
+i
B
)(j
A
, j
B
) = i
A
j
A
i
B
j
B
.
Ma j
A
i
A
= j
B
i
B
= k dove k : AB M `e linclusione. Dunque i
A
j
A
= i
B
j
B
= k
e
(i
A
+i
B
)(j
A
j
B
) = 0 cio`e ker(i
A
+i
B
) im(j
A
j
B
). Proviamo ora che ker(i
A
+i
B
)
im(j
A
j
B
). Se (, ) ker(i
A
+i
B
) allora i
A
= i
B
(). Dunque la forma
=
_
su A
su B
`e ben denita e C
. E ovviamente j
A
= , j
B
= dunque (j
A
j
B
) = (, ).
Pertanto ker(i
A
+i
B
) = im(j
A
j
B
). Resta da provare che i
A
+i
B
`e suriettiva. Sia (, )
una partizione dellunit`a subordinata al ricoprimento A, B. Ci`o signica che = 1 ,
0, = 0 su M A e = 1 su M B. Data est
p
(A B) poniamo
=
_
su A B
0 su B supp.
Entrambi gli insiemi A B e B supp sono aperti e per costruzione le due denizioni
coincidono nellintersezione A B supp. Dunque `e ben denita e C
. Allo stesso
modo poniamo
=
_
(1 ) su A B
0 su A supp(1 ).
Allora (, )
p
(A)
p
(B) e
(i
A
+i
B
)(, ) = i
A
+i
B
= + (1 ).
Ci`o dimostra che i
A
+i
B
`e suriettiva e conclude la dimostrazione.
3.6 Il teorema di de Rham
Cominciamo denendo lintegrale di un p-forma su un p-simplesso singolare liscio.
Sia M una variet`a dierenziabile. Per denire i simplessi lisci abbiamo considerao
p
come sottoinsieme dello spazio ane H
p
, vedi (3.3). Per denire lintegrazione di
una p-forma su un p-simplesso liscio `e conveniente introdurre una parametrizzazione del
p-simplesso standard.
3.6. IL TEOREMA DI DE RHAM 99
Poniamo
p
= (t
1
, . . . , t
p
) R
p
: t
i
0,
p
i=1
t
i
1
f
p
: R
p
H
p
f
p
(t
1
, . . . , x
p
) =
_
1
p
i=1
t
i
, t
1
, . . . , t
p
_
.
f
p
`e un isomorsmo ane di R
p
su H
p
che manda
p
su
p
. Possiamo riformula la
denizione 3.3.0.7 nel modo seguente: una applicazione :
p
M `e un simplesso
singolare liscio se esiste un intorno aperto di
p
in R
p
tale che f
p
si estenda ad una
applicazione liscia di U in M.
Deniamo delle applicazioni
i
:
p1
p
mediante le formule
0
(s
1
, . . . , s
p1
) = (1
p1
i=1
s
i
, s
1
, . . . , s
p1
)
i
(s
1
, . . . , s
p1
) = (s
1
, . . . , s
i1
, 0, s
i
, . . . , s
p1
) i = 1, . . . , p.
Esercizio 56. Dimostrare che per ogni i 0 i p 1 si ha
F
p
i
f
p1
= f
p
i
. (3.14)
(Suggerimento: sfruttare lesercizio 36.)
Esercizio 57. Dimostrare che
0
dt
1
=
p1
i=1
ds
i
0
dt
j
= ds
j1
j > 1
k
dt
j
=
_
_
ds
j
j < k
0 j = k
ds
j1
j > k
k > 0. (3.15)
Se
p
(M) poniamo
_
:=
_
e
p
( f
p
)
.
Poiche
`e un sottoinsieme compatto di U lintegrale `e ben denito ed evidentemente non
dipende dalla estensione di f
p
. A questo punto possiamo estendere la denizione per
linearit`a ed otteniamo una applicazione
p
(M)
p
(M) R (, c =
i
)
_
c
:=
i
_
i
. (3.16)
Teorema 59 (di Stokes per le catene singolari). Sia c
p
(M) una p-catena liscia in M
e sia una (p 1)-forma. Allora
_
c
d =
_
c
. (3.17)
100 CAPITOLO 3. OMOLOGIA E COOMOLOGIA
Dimostrazione. Per linearit`a possiamo limitarci al caso in cui c si riduce ad un simplesso
singolare liscio . Indichiamo con : V M una estensione liscia di f
p
:
p
M ad
un aperto V
p
. Allora
=
p
i=1
a
i
(t)dt
1
dt
i
dt
p
.
Sempre per la linearit`a della equazione da dimostrare possiamo supporre che ci sia un solo
addendo non nullo:
= a
i
(t)dt
1
dt
i
dt
p
. Inne permutando le coordinate
possiamo ricondurci al caso un cui
= a(t)dt
2
dt
p
.
Allora
_
d =
_
e
p
d =
_
e
p
d
=
_
e
p
a
t
1
(t)dt
1
dt
p
=
=
_
e
p
a
t
1
(t)dt
1
dt
p
Invece
_
=
p
i=0
(1)
i
_
F
p
i
=
p
i=0
(1)
i
_
e
p1
( F
p
i
f
p1
)
.
Per la formula (3.14) F
p
i
f
p1
= f
p
i
=
i
dunque
_
=
p
i=0
(1)
i
_
e
p1
.
Dallesercizio 57 segue che
0
(dt
2
dt
p
) =
1
(dt
2
dt
p
) = ds
1
ds
p1
k
(dt
2
dt
p
) = 0 per k > 1.
Dunque
_
=
_
e
p1
a
_
1
p1
i=1
s
i
, s
1
, . . . , s
p1
_
ds
_
e
p1
a(0, s
1
, . . . , s
p1
)ds.
Poniamo
g :
p1
R g(s) = 1
p1
i=1
s
i
e osserviamo che
p
= (y, s) R
p1
: 0 y g(s).
3.6. IL TEOREMA DI DE RHAM 101
Pertanto
_
d =
_
e
p
a
t
1
(t)dt
1
dt
p
=
_
e
p1
_
_
g(s)
0
a
y
(y, s)dy
_
ds =
=
_
e
p1
_
a(g(s), s) a(0, s)
_
ds =
=
_
e
p1
a
_
1
p1
i=1
, s
_
ds
_
e
p1
a(0, s)ds =
_
.
Corollario: lapplicazione (3.16) passa in coomologia.
Teorema 60 (di de Rham). Lapplicazione indotta in coomologia `e un isomorsmo.
Teorema 61. Per ogni variet`a dierenziabile M linclusione
(M)
(M) d`a un
isomorsmo in omologia. Lo stesso vale per lapplicazione duale
(M)
(M). In
altre parole la (co)omologia singolare liscia coindice con la (co)omologia singolare.
La dimostrazione del teorema di questi due risultati si trova in [1, pp.289-291].
Esistenza di buoni ricoprimenti: intorni convessi alla Whitehead
Se M `e connessa H
0
DR
(M) = R.
Esercizio 58. Calcolare i gruppi di omologia di S
1
.
Esercizio 59. Se M = R allora ogni 1-forma `e esatta.
Esistenza di funzioni di Morse: Hirsch usa la trasversalit`a per i getti.
Il prodotto in coomologa di de Rham
102 CAPITOLO 3. OMOLOGIA E COOMOLOGIA
Capitolo 4
Geometria Riemanniana
4.1 Variet`a Riemanniane
4.1.1 Denizioni
La geometria Euclidea si occupa non solo degli oggetti, ma specialmente della loro misura
e della loro forma. Lintroduzione delle metriche riemanniane permette di estendere tali
concetti alla geometria delle variet`a. Il teorema Egregium di Gauss mette in luce, nel caso
delle supercie il profondo legame tra metrica, derivata covariante e curvatura.
Una variet`a Riemanniana di classe C
k
`e una coppia (M, g) dove M `e una variet`a di
classe C
k+1
e g, detta metrica riemanniana, `e una sezione C
k
di Sym
2
(T
M
), cio`e un tensore
simetrico di tipo (0, 2), tale che per ogni punto p di M, g
p
`e denita positiva. La metrica
denisce allora un prodotto scalare su T
M,p
. Noi studieremo principalmente le variet`a di
classe C
M,p
L(v)(w) = (v, w)
103
104 CAPITOLO 4. GEOMETRIA RIEMANNIANA
Allora g denisce un dieomorsmo
L
g
: T
M
T
M
di brati: in particolare g denisce un isomorsmo tra lo spazio dei campi vettoriali e
quello delle uno forme. Se (M) il campo associato X
p
(v) = (X
, v)
Come esempio riportiamo la denizione di gradiente.
Denizione 4.1.1.2. Sia M, g una variet`a riemanniana di classe C
1
, e sia f C
1
(M).
Il gradiente (riemanniano) di f `e il campo associato dalla metriche alla forma df
gradf = X
df
.
Cio`e per ogni campo Z
(gradf, Z) = df(Z) = Z(f)
Molte tecniche utilizzate negli spazi euclidei si estendono ai campi vettoriali, in par-
ticolare il processo Gram-Schmidt. Se (X
1
, . . . , X
m
) sono un sistema di campi vettoriali
C
k
, tali che (X
1,p
, . . . , X
m,p
) siano una base per T
M,p
p U, U aperto di M. Utiliz-
zando passo-passo il processo Gram-Schmidt, possiamo trovare dei campi E
i
di classe
C
k
(U) tali che g
p
(E
i
, E
i
) = 1 e g
p
(E
i
, E
j
) = 0 se i ,= j, tali che < (X
1,p
, . . . , X
s,p
>=<
E
1,p
, . . . , E
s,p
> . Rispetto ad una base E
i
ortonormale del tangente le coordinate di X si
calcolano utilizzando il prodottto scalare:
X =
i
(X, E
i
)E
i
.
4.1.2 Esempi di Variet`a Riemanniane
In questa sezione daremo esempi di variet`a Riemanniane. In particolare vedremo che ogni
variet`a che soddisfa il secondo assioma di numerabilit`a ammette una metrica Riemanniana.
1. Sia A un aperto di R
m
. Sia Sym
2
(R
m
) lo spazio delle matrici simmetriche di ordine
m, P Sym
2
(R
m
) il sottoinsieme delle matrici denite positive, P `e aperto in
Sym
2
R
m
. Le metriche riemanniana g, di classe C
g)
q
(v, w)
q
= g
f(p
(Df(v), Df(w))
4.1. VARIET
`
A RIEMANNIANE 105
4. Caso particolare del precedente N M sottovariet`a di M.
5. Sia M una variet`a, U
i
iI
un ricoprimento aperto di M, M = U
i
. Sia
i
iI
una
partizione dellunit`a subordinata ad U
i
Supponiamo che g
i
sia una metrica denita
su U
i
, allora
i
g
i
`e denito su tutto M :
g(v, w) =
i
g
i
denisce una metrica su M.
6. Ogni variet`a avente il secondo assioma di numerabilit`a ammette una metrica Rieman-
niana. Prendiamo un ricoprimento coordinato U
i
,
i
, costruiamo una partizione
dellunit`a subordinata
i
. Costruiamo una metrica g
i
su
i
(U
i
) (per esempio quella
standard). Usando D
1
i
cotruiamo metriche h
i
= (
1
i
)
g
i
su U
i
. Allora
G =
i
h
i
`e una metrica su M.
7. Supponiamo ora di avere un gruppo di isometrie G che agisce su (M, g) in modo
discontinuo e senza punti ssi; allora possimo costruire sul quoziente N = M/G una
metrica h. Se F : M N `e la mappa quoziente allora DF
p
`e invertibile, quindi
ssato q N, per ogni p M tale che F(p) = q
h
q
(v, w) = g
p
(DF
1
p
v, DF
1
p
v).
La denizione data non dipende dal punto p.
8. Come casi particolari del punto precedente possiamo considerare Z
m
che agisce su
R
m
per traslazione. Rispetto alla metrica euclidea le traslazioni sono isometrie.
Questo induce una metrica sul toro T = R
m
/Z
m
. Analogamente S(v) = v `e una
isometria di R
n
. Questa ha un punto in sso nellorigine. Se prendiamo su S
n
la
metrica indotta da quella euclidea, S `e una isometria senza punti ssi. Questo induce
una sullo spazio proiettivo P
n
una struttura riemanniana.
4.1.3 Connessione di Levi Civita
In questa sezione vogliamo provare il cosidetto teorema fondamentale della geometria Rie-
manniana, e cio`e il fatto che la ad ogni variet`a riemanniana risulta associata univocamente
una connessione, la connessione di Levi-Civita. La dimostrazione di tale teorema non `e
dicile, la dicolt`a maggiore `e stata quella di introdurre la connessione e travare il giusto
enunciato. Limportanza storica, del lavoro di Levi Civita `e connessa alla teoria della
relativit`a generale, dove la forma simmetrica `e non degenere, ma non `e denita positiva.
Per semplicit`a supporremo i nostri oggetti di classe C
.
Sia (M, g) una variet`a riemanniana C
(M) :
g(X, Y, Z) = Xg(Y, Z) g(
X
Y, Z) g(Y,
X
Z).
106 CAPITOLO 4. GEOMETRIA RIEMANNIANA
Lemma 62. La funzione g `e un tensore di tipo (0, 3).
Dimostrazione. Usiamo 18 vediamo che g(fX, Y, Z) = fg(X, Y, Z) Ora
g(X, fY, Z) = fXg(Y, Z) +X(f)g(Y, Z) g(
X
fY, Z) fg(
X
Y, Z)
g(fY,
X
Z) = fg(X, Y, Z).
Denizione 4.1.3.1. Sia M, g una variet`a riemanniana C
= 0 `e nullo:
X
Y
Y
X = [X, Y ].
Teorema 4.1.3.2. Sia M, g una variet`a riemanniana C
k
a
k
i,j
E
k
.
Posto
E
i
E
j
=
k
b
k
i,j
E
k
,
e utilizzando 4.2 deve essere
b
k
i,j
=
1
2
(a
k
i,j
a
i
j,k
a
j
i,k
) (4.3)
4.1. VARIET
`
A RIEMANNIANE 107
Deniamo la connessione su U
(E
i
, E
j
) = 0 e
g(E
i
, E
j
, E
k
) = 0. La natura tensoriale di tali
oggetti mostra che
(g) = 0 e T
e,, la connessione di
Levi Civita rispetto alla restrizione di g a U. Possiamo trovare allora un ricoprimento U
i
di M e delle connessioni
i
di Levi Civita per g
|U
i
. Ancora per lunicit`a abbiamo
i
=
j
su U
i
U
j
. Allora le
i
si incollano e deniscono la connessione di Levi Civita .
Durante la dimostrazione del teorema abbiamo visto che la connessione si esprime in
modo ragionevole utilizzando basi ortonormali Analogamente possiamo calcolare i sim-
boli di Christoel della connessione di Levi Civita in coordinate. Sia U, un aperto
coordinato siano gli X
i
i pull-back di
x
i
.
Poniamo g
i,j
= (X
i
, X
j
) allora G = (g
i,j
) `e la matrice che rappresenta la metrica g sia
G
1
= (g
i,j
) linversa della G. Poniamo
X
i
X
j
=
k
i,j
X
k
Dato che [X
i
, X
j
] = 0 abbiamo
X
i
X
j
=
X
j
X
i
Quindi
k
i,j
=
k
j,i
. Sostituendo [X
i
, X
j
] = 0 nella 4.2 abbiamo
2(
X
i
X
j
, X
k
) = 2
s
i,j
g
sk
= (g
jk
)
x
i
+ (g
ik
)
x
j
+ (g
ij
)
x
k
Ricordiamo tali formule nella seguente:
Proposizione 4.1.3.3. 1. Sia U, un aperto coordinato siano gli X
i
i pull-back di
x
i
Posto g
i,j
= (X
i
, X
j
) allora:
s
i,j
=
1
2
g
sk
((g
jk
)
x
i
+ (g
ik
)
x
j
+ (g
ij
)
x
k
)
2. Sia E
i
una base ortonormale, se
E
i
E
j
=
k
b
k
i,j
E
k
e [E
i
, E
j
] =
k
a
k
i,j
E
k
allora:
b
k
i,j
=
1
2
(a
k
i,j
a
i
j,k
a
j
i,k
)
Nota 4.1.3.4. Notiamo che in tutte le precedenti considerazioni, con leccezione del pro-
cesso di ortogonalizzazione, non si `e mai utilizzato completamente che la g sia denita
positiva. Con piccoli aggiustamenti nella dimostrazione si vede il teorema di Levi Civita
vale per forme b(., .) non degenere in ogni punto di M. Di notevole importanza il caso dello
spazio-tempo, importante la correzione di Levi-Civita al lavoro di Einstein sulla relativit`a
generale.
Esercizi 4.1.3.5. Sia la connessione standard su R
m
Si considerino i campi in R
m
F
i,j
= x
i
x
j
108 CAPITOLO 4. GEOMETRIA RIEMANNIANA
E
i,j
= F
i,j
F
j,i
e
I =
i
x
i
x
i
1. Si calcoli il usso di tali campi.
2. Vericare lo spazio generato dagli E
i,j
denisce una distribuzione integrabile in R
m
0
3. Si verichi
F
ij
F
s,k
= 0se j ,= s e
F
ij
F
j,k
= F
i,k
.
4. Interpretiamo il campo A =
i,j
a
ij
F
i,j
come una matrice A = (a
i,j
). Se B = (b
i,j
)
si calcoli
A
B (risultato AB).
5. Si calcoli [A, B] ( risultato AB BA)
6. Si calcoli
E
ij
E
s,k
7. Si costruiscano tutti X i campi che commutano con i F
i,j
.
Come ogni connessione lineare (vedere 1.21) la connessione di Levi Civita denisce una
derivazione per i campi tangenti lungo una funzione liscia. Vogliamo tradurre le propriet`a
di compatibilit`a rispetto alla metrica e quella di essere senza torsione. Per questo sia M, g
una variet`a riemanniana, C
dfX
df(W)
dfW
df(X) = df[X, W].
La dimostrazione `e lasciata come esercizio al lettore. Analizziamo ora il trasporto
parallelo della connessione di Levi Civita lungo una curva. Sia J un intervallo reale e
: J M una funzione liscia.
Lemma 63. Siano X e Y due campi paralleli lungo .
h(t) = (X
(t)
, Y
(t)
),
`e funzione costante.
Dimostrazione. Calcoliamo la derivata:
dh
dt
=
d
dt
(X
(t)
, Y
(t)
) = (d
dt
X, Y ) + (X, d
dt
Y ) = 0.
4.1. VARIET
`
A RIEMANNIANE 109
Abbiamo allora la seguente:
Proposizione 4.1.3.7. Sia : J M una curva.
La metrica g denisce un prodotto scalare nello spazio V
s,t
: T
M,(s)
T
M,(t)
`e una isometria :
[[X
(s)
[[ = [[X
(t)
[[ X V
.
4.1.4 La derivata covariante
Sia (M, g) una variet`a riemanniana, sia la connessione di Levi-Civita di g. Sia S una
variet`a dierenziale e f : S M una mappa liscia iniettiva tale che per ogni p S, il
dierenziale df
p
sia iniettivo. Il dierenziale induce allora una metrica su h = f
(g) su S
(vedere 4.1.2 3). Il caso pi` u importante `e quando S M una sottovariet`a di M (utilizzando
il teorema delle funzioni implicite nella versione iniettiva, 1.3.1.5, restringendoci ad intorni,
ci si pu`o ridurre a questo caso).
Vogliamo calcolare la connessione di Levi Civita per (S, h). Fissato un punto p S
poniamo S
p
= df
p
(T
S,p
) e deniamo lortogonale :
N
p
= v T
M,f(p)
: g
p
(v, w) = 0 w T
S,p
p
: T
M,f(p)
S
p
p
: T
M,f(p)
N
p
mostrano infatti che N =
p
N
p
che `e isomorfo a f
T
M
/T
N
, il brato normale. Le
proiezioni, al variare di p S, deniscono due operatori:
: A
f
(M) A
f
(M) e : A
f
(M) A
f
(M)
Porremo
(X) = X
T
(X) = X
N
,
che sono le componenti normali e tangenziali di X. Si noti che il dierenziale denisce una
biezione
df : A(S) (A
f
(M)) (4.4)
che possiamo considerare una identicazione. Invece limmagine (A
f
(M)) = (N) corri-
sponde alle sezioni lisce del brato N. Abbiamo allora una decomposizione ortogonale:
A
f
(M) = df(A(S)) (N) A(S) (N),
dove nella seconda eguaglianza abbiamo usato lidenticazione 4.4.
Allora denisce allora una mappa
: A(S) A(S) A
f
(M) = A(S) (N)
110 CAPITOLO 4. GEOMETRIA RIEMANNIANA
Proposizione 4.1.4.1. Con la precedente identicazione si ha
=
ovvero
X
Y = (
X
Y ) = (
X
Y )
T
.
(Senza lidenticazione 4.4 si dovrebbe scrivere
X
(Y ) = (df)
1
(
df(X)
df(Y ))
T
.)
Dimostrazione. Dalle propriet`a deloperatore sui campi di tangenti lungo f abbiamo
che `e una connessione lineare su S. Dalla 4.1.3.6 vediamo che essa `e priva di torsione
e compatibile con la metrica.
Nel caso di sottovariet`a la proiezione della connessione () `e detta anche derivata
covariante. Abbiamo vericato `e cha la derivata covariante `e la connessione di Levi Civita
della sottovariet`a rispetto alla metrica indotta.
Seconda forma fondamentale. Si consideri ora loperatore B = : : A(S)
A(S) (N)
B(X, Y ) = (
X
Y )
N
(4.5)
Si ha subito che se f C
M
trasforma tensori di (r, 1) in tensori di tipo (r+1, 0). Se R(X, Y )Z `e il tensore di curvatura
di dati X, Y, Z, W dei vettori in T
M,p
Denizione 4.1.5.1. Il quadritensore di Riemann `e il tensore r : T
M
T
M
T
M
T
M
R
denito da:
r(X, Y, Z, W) = g(R(X, Y )Z, W) (4.6)
Il tensore di Riemann ha delle simmetrie
Proposizione 4.1.5.2. Dati X, Y, Z, W dei vettori in T
M,p
Valgono le seguenti:
1. R(X,Y)Z+R(Y,X)Z=0
2. Identit`a algebrica di Bianchi: R(X, Y )W +R(Y, W)X +R(W, X)Y = 0
3. r(X, Y, Z, W) = r(Y, X, Z, W)
4. r(X, Y, Z, W) = r(Z, W, X, Y )
5. r(X, Y, Z, W) = r(X, Y, W, Z)
6. Identit`a dierenziale di Bianchi: r = 0: r(X, Y, Z, T, W) = X(r(Y, Z, T, W)
r(
X
Y, Z, T, W) r(Y,
X
Z, T, W) r(Y, Z,
X
T, W) r(Y, Z, T,
X
W).
Dimostrazione. La prima `e ovvia, la seconda dipende solo dal fatto che `e senza torsione,
si usano de campi X, Y, W aventi bracket nullo il risultato `e immediato. La terza simmetria
`e la pi` u involuta. Per questo si usa ciclicamente la precedente. La quarta segue dalla terza.
Lultima viene da un calcolo abbastanza diretto.
Nonostante le simmetrie il tensore di Riemann `e un oggetto complicato. Ci sono dei
tensori semplicati associati:
1. Curvatura sezionale dati due vettori indipendenti X, Y si pone e il due piano
da esso generato la curvatura sezionale di `e
() =
r(X, Y, Y, X)
(X, X)(Y, Y ) (X, Y )
2
Nel caso di dimensione 2 ritroviamo la curvatura gaussiana.
2. Curvatura di Ricci o Tensore di Ricci Fissati XeY T
M,p
F
X,Y
(V ) = R(X, V )Y
112 CAPITOLO 4. GEOMETRIA RIEMANNIANA
`e un endomorsmo di T
M,p
. Ha senso calcolarne la traccia Poniamo allora
ric(X, Y ) = tracciaF
X,Y
Utilizzando una base ortonotmale E
i
abbiamo
ric(X, Y ) =
i
r(X, E
i
, Y, E
i
)
Gtazie alle simmetrie del tensore di Riemann abbiamo ric(X, Y ) = ric(Y, X) Il
tensore di Ricci gioca un ruolo importante, in alcuni casi pu`o denire una metrica e
lequazione di Einstein
ric(X, Y ) = g(X, Y )
ha senso.
3. Curvatura scalare La curvatura sclare `e la tracca della curvatura di ricci:
scal(g) =
i,j
r(E
i
, E
j
, E
i
, E
j
)
Sia (S, h) una sottovariet`a di (M, g) dove la metrica `e indotta dalla g. Come nel paragrafo
precedente indichiamo con con la connessione relativa a g e = la connessione
indotta da h. Come prima e saranno le componenti normali e tangenziali dei campi.
vogliamo confrontare a confrontare il tensore di Riemann r su M e r su s e quello di una
sottovariet`a:
Siano X, Y, Z, W dei campi tangenti in M tali che la loro restrizione a S siano ivi
tangenti a S. Indichiamo sia g che h solo con le parentesi (, ). Calcoliamo:
(
X
Y
W, Z) = (
X
Y
W, Z)) = X(
Y
W, Z) (
Y
W,
X
Z) =
(
X
Y
W, Z) + (
Y
W,
X
Z) (
Y
W,
X
Z) = (
X
Y
W, Z) + (
X
W,
X
Z) =
= (
X
Y
W, Z) + (
X
W,
Y
Z) = (
X
Y
W, Z) + (B(Y, W), B(X, Z))
Dove B `e loperatore seconda forma fondamentale denito in 4.5. Analogamente
(
Y
X
W, Z) = (
X
Y
W, Z) + (B(X, W), B(Y, Z))
Mentre
(
[X,Y ]
W, Z) = (
[X,Y ]
W, Z)
Abbiamo allora lequazione di Gauss:
r(X, Y, Z, W) = r(X, Y, Z, W) + (B(Y, W), B(X, Z)) (B(X, W), B(Y, Z)). (4.7)
4.2 Geodetiche
Da ora in avanti (M, g) `e sar`a variet`a riemanniana C
, di dimensione m e la sua
connessione canonica (di Levi Civita). La regolarit`a richesta `e in realt`a ampiamente
sovrabbondante la denizione di lunghezza per curve delle curve C
1
a tratti su M.
4.2. GEODETICHE 113
4.2.1 Lunghezzza di curve
Come nel caso di M = R
m
vogliamo dare la denizione di lunghezza per curve continue
che sono di classe C
1
a tratti. Cominciamo a dare le seguenti:
Denizione 4.2.1.1. Sia J = [a, b] un intervallo chiuso della retta reale R. Una suddivi-
sione nita di J, `e una successione nita di reali t
i
, i = 1, . . . , n, t
i
t
i+1
a = t
1
b = t
n
.
Gli intervalli J
i
= [t
i
, t
i+1
] si dicono i tratti della suddivisione. Se : J = [a, b] M`e
una funzione le restrizioni
i
=
|J
i
: J
i
M
saranno i tratti di .
Denizione 4.2.1.2. Sia J = [a, b] un intervallo chiuso della retta reale R.
1) Una applicazione : J = [a, b] M `e di classe C
1
se la restrizione : (a, b) M
`e di classe C
1
ed esistono i limiti
(a) T
M,(a)
e
(b) T
M,(b)
:
(a) = lim
ta
+
d
dt
(t)
(b) = lim
tb
d
dt
(t).
Cio`e
(t) : [a, b] T
M
`e continua.
2) Una funzione : J = [a, b] M `e C
1
a tratti se `e continua, e se esiste una
suddivisione nita di J, tale che i suoi tratti
i
siano C
1
.
3) Linsieme delle curve C
1
a tratti di M sar`a denotato con T(M).
Si noti che se `e C
1
a tratti allora
[[
(t)[[ =
_
g
(t)
(
(t),
(t)) : J R
`e denita e continua a tratti. e in particolare `e una funzione integrabile. Possiamo allora
dare la seguente:
Denizione 4.2.1.3. Sia : J M `e una curva C
1
, a tratti, T(M). La lunghezza
l() di (rispetto a g) `e il numero reale
l() =
_
b
a
[[
(t)[[dt =
_
b
a
_
g
(t)
(
(t),
(t))dt.
Le propriet`a della lunghezza di curve in M sono del tutto analoghe a quelle di curve
in R
m
.
Denizione 4.2.1.4. Una applicazione C
1
a tratti crescente : [c, d] [a, b] (rispettiva-
mente. decrescente) tale che (c) = a e (d) = b (risp.(c) = b e (d) = a) sar`a detta
una riparametrizzione (monotona) dellintervallo.
Proposizione 4.2.1.5. Sia : [a, b] M una funzione C
1
a tratti.
114 CAPITOLO 4. GEOMETRIA RIEMANNIANA
0) l() = 0 `e costante.
1) Sia T
j
, j = 1, k una suddivisione di [a, b] sia
j
i sui tratti allora
l() =
j
l(
j
).
In particolare la lunghezza di `e la somma delle lunghezze dei suoi tratti regolari
2) Se : [c, d] [a, b] `e una riparametrizzazione monotona allora l(()) = l().
La lunghezza non dipende dal verso di percorrenza: se = (b +a s) : [a, b] M
l() = l().
Inoltre, come nel caso euclideo, possiamo utilizzare la lunghezzza darco (s) : [0, l()]
[a, b], linversa di
(s) =
_
s
a
[[
(t)[[dt = l(
|[a,s]
),
per riparametrizzare la curva. Se poniamo (s) = ((s)) allora nei punti lisci vale:
[[
(s)[[ = 1.
La curva di partenza `e percorsa a velocit`a costante. Possiamo sintetizzare la 4.2.1.5
Proposizione 4.2.1.6. Il funzionale lunghezza
l : T(M) R (4.8)
`e additivo per composizione nita di cammini e invariante per riparametrizzazioni mono-
tone crescenti e cambiamento di verso di percorrenza.
Dati due punti p e q in M consideriamo i cammini (p, q) T(M), che congiungono
p e q:
(p, q) = T(M), : [a, b] M : (a) = p, (b) = q. (4.9)
Notiamo che (p, q) pu`o essere vuoto se M non `e connessa. Lo studio dei minimi
funzionale l : (p, q) R conduce alla teoria delle geodetiche. e alla denizione di
distanza geodetica:
Denizione 4.2.1.7. Sia (M, g) una variet`a riemanniana. Assumiamo M connessa.
Dati due punti p e q in M. Porremo
d(p, q) = d
g
(p, q) = inf
(p,q)
l(). (4.10)
Vale il seguente
Theorem 4.2.1.8. La distanza geodetica `e una distanza su M la cui topologia indotta `e
quella di M
La propriet`a simmetrica e la disuguaglianza triangolare seguono immediatamente da
4.2.1.6, per inversione e composizione di cammini. Inoltre d(p, p) = 0. Il fatto che d(p, q) >
0 per p ,= q e la verica che la topologia indotta da d
g
`e la topologia di M verr`a provato
nel seguito (vedere 4.2.4.3).
4.2. GEODETICHE 115
4.2.2 Geodetiche e variazione prima
Cominciamo brutalmente con la seguente:
Denizione 4.2.2.1. Sia J un intervallo reale e : J M una curva liscia. Diremo
che `e una geodetica se soddisfa allequazione:
d
dt
= 0. (4.11)
La denizione 4.2.2.1 ha senso per ogni connessione lineare, essa dice che il vettore
tangente alla curva
s
(t) = F(t, s).
Supporremo che F(a, s) = p e F(b, s) = q per ogni s, quindi
s
(p, q), ovvero F `e una
omotopia relativa ad a e b. Supporremo che
0
sia parametrizzata dalla lunghezza darco.
Porremo
dF(
t
) =
F
t
dF(
s
) =
F
s
. (4.12)
In particolare avremo
F
t
(t, s) =
s
(t),
quando s = 0 semplicemente
(t). Il campo X
X
t
= dF
s
(t, 0) =
F
s
(t, 0),
detto il campo tangente alla variazione, `e un campo tangente lungo . Si noti che per co-
struzione X
a
= 0, X
b
= 0. Se pensiamo (p, q) come ad una variet`a (innito dimensionale)
s
`e una curva di (p, q) con punto base in e X `e il suo vettore tangente corrispondente.
La funzione l `e una funzione e cerchiamo i suoi punti critici. Questo conduce alla variazio-
ne di Eulero Lagrange, la lagrangiana in questo caso `e l. Consideriamo allora la funzione
la variazione della lunghezza
l(s) = l(
s
) =
_
b
a
[[
s
(t)[[dt =
_
b
a
[[
F
t
(t, s)[[dt.
Calcoliamo la derivata di l in 0, la variazione prima, passando sotto il segno di integrale:
l
(0) =
_
b
a
s
[[
F
t
(t, s)[[
|s=0
dt =
_
b
a
1
2
_
[[
F
t
(t, 0)[[
2
s
([[
F
t
(t, s)[[
2
)
|s=0
dt =
=
1
2
_
b
a
s
(
F
t
(t, s),
F
t
(t, s))
|s=0
dt =
_
b
a
(
s
F
t
(t, s),
F
t
(t, s))
|s=0
dt =
116 CAPITOLO 4. GEOMETRIA RIEMANNIANA
_
b
a
(
t
F
s
(t, s),
F
t
(t, s))
|s=0
dt =
_
b
a
(d
dt
X
t
,
(t)dt =
_
b
a
d
dt
(X
t
,
(t)) (X
t
, d
dt
)dt
= (X
b
,
(b)) (X
a
,
(a))
_
b
a
(d
dt
, X)dt. (4.13)
Come abbiamo osservato X
a
e X
b
sono nulli, in conclusione:
Proposizione 4.2.2.2. Con le precedenti notazioni abbiamo:
l
(0) =
_
b
a
(d
dt
, X)dt. (4.14)
Se `e geodetica abbiamo allora l
(0) = 0 per ogni variazione allora deve essere geodetica. Per questo sia : [a, b] R
funzione regolare > 0, in (a, b), e (a) = (b) = 0. Si denisca il campo tangente lungo
X = d
dt
,
`
E facile costruire una variazione F = G((t), s) il campo tangente alla
variazione `e proprio X. Allora la condizione l
(0) = 0 implica
0 =
_
b
a
(d
dt
, X)dt =
_
b
a
[[d
dt
[[
2
dt
e quindi
d
dt
= 0.
In conclusione le geodetiche sono i punti critici del funzionale lunghezza.
4.2.3 Equazione delle geodetiche
Sia (t) = x(t) = (x
1
(t), . . . , x
m
(t)) le coordinate di una curva. Il calcolo dellequazione
dierenziale del trasporto parallelo 1.25, ci dice che `e una geodetica se e solo se.
x
k
(t) +
k
i,j
(x(t))x
i
(t)x
j
(t) = 0. (4.15)
Allora lequazione delle geodetiche in coordinate diventa un sistema dierenziale del
secondo ordine non lineare. Introducendo le y
i
(t) = x
i
(t) il sistema 4.15 diventa:
y
k
=
k
i,j
(x(t))y
i
(t)y
j
(t), x
k
(t) = y
k
(t) (4.16)
Il signicato intrinseco di questo `e il seguente: per ogni curva liscia (t) di M. Il
sollevamento canonico
(t) =
(t)
(t)
T
(M,(t))
di denisce una curva in T
M
. Se : T
M
M la proiezione
(
(t)) = (t).
Le equazioni in 4.16 sono le equazioni di
p,v
= 0,
v,p
(0) = p,
v,p
(0) = v. (4.17)
Lomogeneit`a dellequazione 4.15 mostra unimportante propriet`a delle geodetiche. Se
v,p
(t)(, ) M `e la geodetica di 4.17 e s > 0 allora (t) =
v,p
(st) : (s
1
, s
1
) `e
geodetica e (0) = p e
(0) = sv:
v,p
(st) =
sv,p
(s). (4.18)
Se paghiamo in termini di velocit`a possiamo allungare lintervallo di tempo delle
geodetiche (chi va piano va sano anche se non lontano). In particolare se
a <
1
v,p
(t) : (
v,p
,
v,p
) M tale che
v,p
(0) = p,
v,p
(0) = v
d
dt
v,p
(t) = 0.
2.
v,p
(st) =
av,p
(t),
sv,p
= s
1
v,p
.
3. Sia U M allora esistono > 1 e r > 0 tale che il usso geodetico denisca
G
r
: |
r
(, ) T
M
.
Fissato p M sia Q
p
T
p,M
il luogo in cui le geodetica
v,p
sono denite in un intervallo
J [0, 1]
Q
p
= v Q
p
:
v,p
(, 1 +) M. (4.19)
Dalla proposizione 4.2.3.1 sappiamo che esiste un r > 0 tale che U
r
= v T
M,p
:
[[v[[ r `e contenuto in G
p
.
118 CAPITOLO 4. GEOMETRIA RIEMANNIANA
Denizione 4.2.3.2. La mappa esponenziale `e lapplicazione exp
p
: Q
p
M
exp
p
(v) =
v,p
(1) (4.20)
Si noti che se v Q
p
, usando la 4.18 abbiamo
v,p
(t) = exp
p
(tv) (4.21)
Possiamo scrivere allora; L
r
= G
r
: |
r
(, ) M
L
r
(v, s) = exp
(v)
(tv).
Theorem 4.2.3.3. Per ogni p esiste un intorno U aperto p U e un r > 0 tale che
lapplicazione H : |
r
M M
H(v) = ((v), exp
p
(v))
`e un dieomorsmo sullimmagine.
Dimostrazione.
`
E suciente mostrare il teorema per un aperto U intorno coordinato di
p. Supporremo allora T
U
= U R
m
dove linclusione U T
U
, p (p, 0), `e denita dal
campo nullo. Abbiamo allora:
H(p, 0) = (p, p), H(p, tv) = (p, exp
p
(tv)) = (p,
p,v
(t))
Le curve orizzontali, (a(t), 0), diventano diagonali (a(t), a(t)), le rette verticali (p, tv) sono
i raggi esponenziali. Allora per il dierenziale di H vale D(H)
p,0
(a
(0), 0) = (a
(0), a
(0))
e D(H)
p,0
(p,
p,v
(0)) = (0, v) La matrice associata al DH
(
p, 0) ha la forma
_
I 0
I I
_
dove I `e la matrice identica. Il rango di DH `e massimo e allora H `e un dieomorsmo
locale nellintorno di | (p, 0). A meno di restringere | possiamo allora trovare un r > 0
tale che H : |
r
M tale che H sia un dieomorsmo.
Corollario 4.2.3.4. Sia W M allora esiste un r > 0 tale per ogni p W se tale la
mappa esponenziale
exp
p
: U
p,r
= v T
M,p
[[v[[ < r M
`e un dieomorsmo.
Dimostrazione.
E suciente considerare il caso in cui W `e compatto. Il precedente teore-
ma 4.2.3.3 dimostra il corollario nel caso di intorni. Possiamo allora ricoprire W con un
numero nito di intorni U
i
che soddisfano al corollario per dei reali positivi r
i
. Vediamo
allora che se r = minr
i
exp
p
: U
p,r
M `e dieomorsmo per ogni p W.
4.2. GEODETICHE 119
4.2.4 Coordinati normali
Nel pargrafo precedente, con corollario 4.2.3.4 , si `e dimostrato, che la mappa esponenziale
`e, vicino al vettore nullo, un dieomorsmo locale. Utilizzeremo la sua inversa come
applicazione coordinata. Fissato p M una base ortonormale di T
M,p
denisce una
isometria tra il tangente e spazio euclideo standard: : (T
M,p
, g
p
) (R
m
g
standard
) Per
ogni numero reale > 0
U
= U
p
= v T
M,p
, [[v[[ <
corrisponde disco aperto euclideo U
= v T
M,p
[[v[[ i disco chiuso, e il suo bordo,
U
= v T
M,p
[[v[[ = , alla sfera S
m1
.
Denizione 4.2.4.1. Si ssi R > 0 tale che exp
p
: U
R
M sia un dieomorsmo
(vedere 4.2.3.4). Posto : B
R
= exp
p
(U
R
).
1. Le coordinate per fornite dallinversa, = (exp
p
) : B
r
R
m
sono le coordinate
normali (o polari) di p.
2. Per 0 < r < R B
r
= B
r
(p) = exp
p
(U
r
) B
r
= U
r
e S
r
= S
r
(p) = exp
p
(U
r
),
sono dette rispettivamente la palla geodetica la palla chiusa geodetica e la sfera
geodetica di centro p e raggio r.
Il signicato di tale denizione `e raorzato dalla seguente:
Proposizione 4.2.4.2. Sia q S
r
(p) un punto della sfera geodetica di centro p e raggio
r : q = exp
p
(v) [[v[[ = r. A meno di riparametrizzazioni monotone la curva
v
(t) = exp(tv)
`e lunico punto di minimo in (p, q), cio`e lunica curva di minima distanza che connette
p e q. In particolare
d
g
(p, q) = r.
dove d
g
`e la distanza geodetica indotta da g (vedere 4.2.1.7).
Nota 4.2.4.3. Notiamo che la proposizione implica il teorema 4.2.1.8. Infatti dati due
punti distinti p e q possiamo trovare una palla geodetica B
R
di centro p tale raggio R > 0
q / B
R
. Allora d
g
(p, q) R perch`e ogni curva che connette p e q interseca tutte le sfere
geodetiche di raggio r R. Inoltre i dischi geodetici D
p
(r) = q : d
g
(p, q) < r coincidono
con le palle geodetiche per r < R. Le palle geodetiche deniscono un sistema di intorni di
p nella topologia data abbiamo che la distanza geodetica induce la topologia della variet` a
M.
La dimostrazione della proposizione 4.2.4.2 si basa sullimportante:
Lemma 64. di Gauss Sia q S
r
(p) un punto della sfera geodetica di centro p e raggio
r : q = exp
p
(v), [[v[[ = r). Allora posto (t) = exp(tv),
(1) T
M,q
`e ortogonale allo
spazio tangente T
Sr,q
della sottovariet`a S
r
M a q.
Dimostrazione. Supponiamo exp
p
: U
R
B
R
M sia un dieomorsmo e ssiamo
v T
M,p
[[v[[ = r < R. Allora se poniamo S
n1
(r) = z T
M,p
: [[z[[ = r :
S
r
= exp
p
(S
n1
(r)).
120 CAPITOLO 4. GEOMETRIA RIEMANNIANA
Il tangente di T
v
= T
S
n1
(r),v
della sfera a v `e allora
T
v
= w T
M,p
: (v, w) = 0.
Le curve
v +sw
in T
M,p
rappresentano tali vettori. I vettori del tangente alla sfera geodetica S
r
, sono
immagine del dierenziale
D(exp
p
)
v
(T
v
) T
M,q
.
Questi vettori sono rappresentati dalle curve
(s) = exp
p
(v +sw).
Se (t) = exp
p
(tv) `e il raggio geodetico dobbiamo provare
g
q
(
(1),
(0)) = 0.
Per questo costruiamo la variazione
F(t, s) = exp
p
(t(v +sw))
(denita per t e s : t
2
([[v[[
2
+s
2
[[w[[
2
) < R
2
). Deniamo (come in 4.12)
dF(
t
) =
F
t
dF(
s
) =
F
s
.
Abbiamo
F
t
(1, 0) =
(1)
F
s
(1, 0) =
(0).
Posto
f(t, s) = (
F
s
,
F
t
)
Dobbiamo provare che
f(1, 0) = g
q
(
(1),
(0)) = 0.
Intanto si ha f(0, s) = 0, ssato poi s notiamo che la curva exp
p
(t(v + sw)) =
v+sw
(t) `e
una geodetica. Abbiamo allora :
F
t
F
t
(t, s) = d
dt
v+sw
= 0,
ed inoltre
(
F
t
,
F
t
) = [[v +sw[[
2
= [[v[[
2
+s
2
[[w[[
2
,
perch`e (v, w) = 0.
Ora calcoliamo
f
t
=
t
(
F
s
,
F
t
) = (
t
F
s
,
F
t
) + (
F
s
,
t
F
t
) =
(
t
F
s
,
F
t
) + 0 = (
s
F
t
,
F
t
) =
1
2
s
(
F
t
,
F
t
) = s[[w[[
2
.
4.2. GEODETICHE 121
Abbiamo
f(t, s)
t
= s[[w[[
2
e f(0, s) = 0,
e quindi f(t, s) = st[[w[[
2
:
f(1, 0) = 0.
Riportiamo una seconda dimostrazione che usa la formula di variazione prima
Dimostrazione. Si considerino v e w vettori nel tangente di p unitari e ortogonali. Con-
sideriamo y(s) = cos(s)v + sin(s)w si noti che y(s) `e unitario F(s, t) = exp(t(y(s)) con
0 t r e 0 s /2. Fissato s = s le curve F(s, t) =
s
sono raggi gedotici. Inoltre
tali curve hanno la stessa lunghezza allora la funzione l(s) = l(
s
) `e costante e l
(0) = 0
In 4.13 abbiamo essendo =
0
`e geodetica
(1) = v
0 = (X
r
,
0
(r)) (X
0
,
0
(0))
_
r
0
(d
dt
(1)
, X)dt = (X
r
, v)
Infatti X(0) = 0 perch`e il F(s, 0) = p
(t) = D(r
r
+w
) = r
X
r
+W
122 CAPITOLO 4. GEOMETRIA RIEMANNIANA
`e ortogonale. In particolare abbiamo
1 = [[z
(t)[[ [[r
(t)X
r
[[ [r
(t)[ r
(t).
Quindi
r =
_
L
0
r
dt
_
L
0
[r
[dt
_
L
0
[[z
[[dt = L,
quindi
L r.
Notiamo ora che se r = L allora deve valere le uguaglianze:
r
(t) = [r
(t)[ = 1 e W = 0.
Quindi abbiamo r(t) = t, w
k
i,j
(x
i
(p)) =
k
i,j
(0) = 0
Dimostrazione. I raggi geodetici sono le rette per lorigine,
x
i
(t) = a
i
t.
Queste devono soddisfare alle equazioni delle geodetiche
x
k
(t) +
k
i,j
(x(t))x
i
(t)x
j
(t) = 0.
Calcolando il tutto in zero abbiamo
k
i,j
(0)a
i
a
j
= 0
per ogni (a
1
, . . . , a
m
) questo implica che i coecienti della forma quadrati ca sono nulli:
k
i,i
(0) = 0 e
k
i,j
(0) +
k
j,i
(0) = 0 la simmetria
k
i,j
=
k
j,i
prova che
k
i,j
(0) = 0.
Utilizzando questo possiamo ora provare il seguente:
Lemma 65. Sia B
R
(p) una palla geodetica di centro p e raggio R allora esiste un r < R
tale che se q S
r
, ogni tratto di geodetica passante per q e tangente alla sfera geodetica
S
r
rimane esterna alla palla geodetica B
r
. vicino a q. Ovvero se v T
Sr,q
`e tangente alla
sfera geodetica allora
d
g
(exp
q
(tv), p) > r
t ((v), (v)) 0, per qualche (v) > 0.
Dimostrazione. Utilizzeremo ancora le coordinate normali. Se h B
R
poniamo (h) =
y(h) = (y
1
(h), . . . , y
m
(h)) abbiamo
(B
R
) = y R
m
: [[y[[ < R
e
d
g
(h, p) = [[y(h)[[
(p) = (0, . . . , 0),
(q) = y = (y
1
, . . . , y
m
),
r = [[y[[. Il lemma di Gauss ci dice d(T
Sr
) = v : v, y = 0. Prendiamo i vettori v tali
che:
v : d(v) = a = (a
1
, . . . , a
m
) :
i
a
i
y
i
= 0,
i
a
2
i
= 1.
124 CAPITOLO 4. GEOMETRIA RIEMANNIANA
Allora (t) = exp
q
(tv) `e, a meno di parametrizzazione, la geodetica generale tangente a
S
r
. Poniamo ((t)) = y(t) = (y
1
(t), . . . , y
m
(t)) e
f(t) = y(t) y(t) =
i
y
2
i
(t).
Per costruzione f
(0) = 0, e
f
(0)/2 =
k
a
2
k
+
k
y
k
y
k
(0) = 1 +
i,j,k
k
i,j
(y)a
i
a
j
y
k
.
Se possiamo provare che per r sucientemente piccolo
i,j,k
k
i,j
(y)a
i
a
j
y
k
< 1
avremo f
(0) > 0 e quindi avremo provato, come si voleva, che f(t) ha un minimo locale
in zero.
Per dimostrare questo consideriamo F : B
R
S
m1
R :
F(q, a) =
i,j,k
k
i,j
(q)a
i
a
j
y
k
(q).
Per la proposizione 4.2.5.3 F(p, a) = 0 per ogni a. Allora esiste un r R tale che
F
1
(,
1
2
) `e un aperto che contiene p S
m1
. Essendo S
m1
compatto abbiamo
F
1
(,
1
2
) B
r
S
m1
r < R. Quindi
F(q, a)
1
2
a S
m1
,
e q B
r
Dimostrazione. Del teorema di Whitehead. Fissato un intorno compatto K di p (per
esempio una palla geodetica chiusa) e R > 0 tale che per ogni q K la B
R
(q) sia una
palla geodetica in M. Sia poi r
1
< R tale che B
r
1
(p) K e tale che per r
1
valga il lemma
65. Prendiamo un reale r per cui:
0 < r <
r
1
2
.
Dimostreremo che B
r
(p) `e geodeticamente convesso. Per questo ssati due punti q
1
e q
2
in B
r
si ha:
d
g
(q
1
, q
2
) d
g
(q
1
, p) +d
g
(p, q
1
) < 2r < r
1
< R.
Allora esiste una sola geodetica (t) : [0, L] M minimizzante che congiunge (0) = q
1
e
(L) = q
2
q
2
, questa `e contenuta in una palla geodetica di centro p
1
e
L < 2r
Dobbiamo ara provare che per ogni t (t) B
r
. Prima di tutto osserviamo che per ogni t
(t) B
r
1
B
2r
.
4.2. GEODETICHE 125
Infatti se non fosse cos` dovrebbe attraversare (due volte) la sfera di raggio r e quella di
raggio r
1
> 2r, ma allora per la sua lunghezza dovrebbe valere
L 2(r
1
r) > 2r
che `e assurdo. Ora prendiamo (t) tale che la distanza d
g
(p, (t)) = s sia massima. Se
t (0, L) `e interno allora larco di geodetica in (t) `e interna alla sfera di centro p e raggio
s r
1
. Una contraddizione.
4.2.6 Completezza geodetica.
In si 4.2.3.2 si era denito il dominio della mappa esponenziale. Particolarmente impor-
tante `e il caso in cui il dominio sia tutto lo spazio tangente.
Denizione 4.2.6.1. Una variet`a connessa (M, g) si dice geodeticamente completa se la
mappa esponenziale `e denita per ogni vettore v T
M
.
Una variet`a `e geodeticamente completa se le sue geodetiche si possono prolungare. Il
teorema di Hopf Rinow caratterizza le variet`a geodeticamente complete:
Theorem 4.2.6.2. Hopf Rinow Sia (M, g) una variet`a riemanniana connessa. Sono
equivalenti:
1. (M, g) `e geodeticamente completa.
2. Esiste p M tale che il dominio della mappa esponenziale exp
p
`e lintero spazio
tangente T
M,p
.
3. La metrica d
g
`e completa.
Inoltre due punti p, q di una variet`a (M, g) e geodeticamente completa sono congiunti da
una curva (geodetica minimizzante) : [0, L] M
(0) = p, (L) = q, d
g
(p, q) = L.
Prima di dare la dimostrazione ecco alcuni corollari importanti
Corollario 4.2.6.3. Se M `e compatta allora M `e geodeticamente completa.
Dimostrazione. La metrica d
g
induce la topologia e ogni spazio metrico compatto `e com-
pleto.
Corollario 4.2.6.4. Sia (M, g) una variet`a geodeticamente completa e N M `e una
sottovariet`a chiusa e connessa. Sia h la la metrica riemanniana di N indotta dalla g.
Allora N `e geodeticamente completa.
Dimostrazione. Indichiamo con d
h
`e distanza indotta da h. Per ogni coppia di punti in N
abbiamo
d
g
(p, q) d
h
(p, q),
perch`e abbiamo meno curve in N che in M. Allora ogni successione di Cauchy in (N, d
h
)
`e di Cauchy in (M, d
g
) e quindi ammette limite in M. Essendo N chiusa tale limite `e in
N.
126 CAPITOLO 4. GEOMETRIA RIEMANNIANA
Corollario 4.2.6.5. Se : M
g la metrica su M
indotta. Allora (M
, g
) `e geodeticamente completa.
Dimostrazione. La mappa exp
p
: T
M,p
M si solleva a f : T
M,p
M
perch`e il gruppo
fondamentale dello spazio tangente `e banale:
1
(T
M,p
) = 0. Dato che i sollevamenti di
geodetiche sono geodetiche identicando T
M,p
e T
M, p
abbiamo che f = exp
p
`e denita per
ogni vettore del tangente.
Si noti nelle ipotesi dei precedenti corollari abbiamo che che due punti sono congiunti
da una geodetica minimizzante. Questo vale per ogni sottovariet`a chiusa di R
m
.
Premettiamo alla dimostrazione del teorema un lemma. La prima parte mette in luce
un aspetto costitutivo delle distanze geodetiche quello dellesistenza di punti intermedi.
La dimostrazione `e tattica: la mira del cacciatore. La seconda parte prova che se non ci
sono ostacoli il colpo va a segno.
Lemma 66. Sia (M, g) una variet`a riemanniana connessa, due punti p, q M, q ,= p tali
che L = d
g
(p, q).
1) Allora esiste un L r > 0 e un punto p
M tale che:
a) d
g
(p, p
) = r;
b) esiste una geodetica (t) : [0, r] M, (0) = p (r) = p
;
c) d
g
(p, q) = d
g
(p, p
) +d
g
(p
, q) : L = r +d
g
(p
, q).
2) Se la geodetica trovata `e si estende in [0, L] allora (L) = q.
Dimostrazione. 1. Cominciamo a prendere una palla geodetica B
R
se q B
R
allora
L < R, q = exp
p
v e possiamo prendere p
= q L = r e
(t) = exp(t
v
L
).
Possiamo allora supporre q / B
R
prendiamo allora 0 < r R e la sfera geodetica
S
r
. Consideriamo ora lapplicazione k : S
r
. R :
k(x) = d
g
(x, q).
Ora S
r
`e compatto k continua e sia p
un punto di minimo: d
g
(x, q) d
g
(p
, q) x
S
r
. Scriviamo allora q
= exp(v) e
(t) = exp(t
v
r
).
La direzione v `e la mira che prendiamo per colpire q. Per costruzione d
g
(p, p
) = r.
Vediamo ora che
d
g
(p, p
) +d
g
(p
, q) = d
g
(p, q) +L.
Fissato > 0 esiste : [a, b] M (p, q) (vedere 4.2.1.7) tale che l() < L+.
Ora esiste un c (a, b) tale che (p) = (c) S
r
Se indichiamo con
1
il tratto
[a,c]
e con
2
il tratto
[c,b]
. Abbiamo
L + > l() = l(
1
) +l(
2
) r +d
g
(p
, q)
Questo e la disuguaglianza triangolare prova: r +d
g
(p
, q) = L.
4.2. GEODETICHE 127
2. Supponiamo ora la si possa denire nellintervallo [0, L]. Poniamo (t) = p
t
p
0
= p,
p
L
= q. Deniamo allora il sottoinsieme
W = [0, L], : d
g
(p, p
) +d
g
(p
, q) = +d
g
(p
, q)
(p
[T , T) S Allora d
g
(p
T
, p
T
) < .
d
g
(q, p
T
) +d
g
(p, p
T
) = d(p, q)
Ma
d
g
(q, p
T
) d
g
(q, p
T
) +d
g
(p
T
, p
T
) d
g
(q, p
T
) + = d(p, q) d
g
(p, p
T
) +
Facendo tendere a zero abbiamo
d
g
(p, q) d
g
(p, p
T
) +d(p
T
, q).
Luguaglianza segue dalla disuguaglianza triangolare. Quindi
T W.
Supponiamo ora T L, applicando la prima parte del lemma a p
T
e q. troviamo
allora un punto sulla sfera S
s
un punto p
tale che d
g
(p
, p
T
) + d
g
(p
, q) = d(p
T
, q).
Inoltre esiste geodetica minimizzante parametrizzata dalla lunghezza darco che
connette p
T
e p
. Le uguaglianze:
d(p, q) = d(p, p
T
) +d(p
T
, q) = d(p, p
T
) +d(p
T
, p
) +d(p
, q)
e la disuguaglianza
d(p, q) d(p, p
) +d(p
, q)
ci dicono che
d(p, p
) d(p, p
T
) +d(p
T
, p
)
e quindi d(p, p
) = d(p, p
T
)+d(p
T
, p
(T) e
[0, R) T
M
, applicando il risultato sulle equazioni dierenziali ordinarie
si estende. (Naturalmente si pu`o concludere con un argomento di prolungamento delle
geodetiche pi` u diretto).
Il lemma 66 prova inne lesistenza di una geodetica minimizzante congiungente p e q.
4.3. VARIAZIONE SECONDA E CAMPI DI JACOBI 129
4.3 Variazione seconda e campi di Jacobi
Nelle precedenti sezioni abbiamo visto che localmente le geodetiche sono minimi per la
lunghezza e dellenergia e in generale punti critici.
`
E sensato chiederci se possiamo denire
lanalogo dellhessiano. Per questo calcoleremo la variazione seconda dellenergia di una
geodetica. La curvatura assumer`a una particolare importanza.
4.3.1 Variazione seconda dellenergia
Sia (t) : [a.b] M una geodetica parametrizzata con la lunghezza darco, (a) = p, (b) =
q. Fissiamo una base una base ortonormale di campi paralleli
E
1
(t) =
(t), ..., E
m
(t),
lungo . Se Y (t) `e un campo denito lungo porremo Y
= d
dt
Y. Si noti che Y (t) =
i
y
i
(t)E
i
allora
Y
i
y
i
(t)E
i
Riprendendo le nostre notazioni sia F(t, s) una funzione regolare
F : [a, b] (, ) M.
Fissato s consideriamo la curva (variazione)
s
(t) = F(t, s).
e inoltre
0
(t) = . Posto
E(s, t) = (
s
(t),
s
(t)) = (
F
t
,
F
t
)
abbiamo la variazione dellenergia funzione energia c(s) =
_
b
a
bE(s, t)dt dove E(0) = ba.
Abbiamo gi`a visto che
1
2
E(s, t)
s
= (
s
F
t
,
F
t
) = (
t
F
s
,
F
t
)
Vogliamo calcolarne la derivata seconda per s = 0 :
1
2
2
E(0, t)
s
2
= (
s
t
F
s
,
F
t
)
s=0
+ (
t
F
s
,
t
F
s
)
s=0
.
Ora se indichiamo con Y = Y (t) =
F
s
(s, 0) il campo tangente alla variazione abbiamo:
(
t
F
s
,
t
F
s
)
s=0
= (Y
(t), Y
(t)) = [[Y
(t)[[
2
.
Per invertire lordine delle derivate nel primo termine necessitiamo del tensore di
curvatura:
(
s
t
F
s
,
F
t
) = (
t
s
F
s
,
F
t
) + (R(
F
s
,
F
t
)
F
s
,
F
t
)
130 CAPITOLO 4. GEOMETRIA RIEMANNIANA
Quindi:
(R(
F
s
,
F
t
)
F
s
,
F
t
)
s=0
= (R(Y,
)Y,
) = r(Y,
, Y,
),
mentre
(
t
s
F
s
,
F
t
)
s=0
=
(
F
t
,
s
F
s
)
t s=0
(
F
s
,
t
F
t
)
s=0
.
Abbiamo
(
F
t
,
s
F
s
)
t s=0
=
d(
,
Y
Y )
dt
e
(
F
s
,
t
F
t
)
s=0
= (Y, d
dt
) = 0
perch`e `e geodetica. Quindi:
1
2
2
E(0, t)
s
2
=
d(
,
Y
Y )
dt
+ (Y
(t), Y
(t)) + (R(Y,
)Y,
).
Integrando otteniamo:
1
2
c
(0) = ((
Y
Y )(b),
(b)) (
Y
Y (a),
(a)) +
_
b
a
(Y
(t), Y
(t)) + (R(Y,
)Y,
)dt
Se la variazione ssa i punti (a) e (b) o se i campi Y (a) = Y (b) = 0, allora (
Y
Y )(b) =
Y (0)
Y =
0
Y = 0 e (
Y
Y )(a) = 0. Quindi abbiamo soltanto
1
2
c
(0) =
_
b
a
(Y
(t), Y
(t)) + (R(Y,
)Y,
)dt.
In questo caso essendo
0 =
_
b
a
(Y
(t), Y (t))
=
_
b
a
(Y
(t), Y (t)) + (Y
(t), Y
(t))dt
abbiamo anche (utilizzando simmetrie di R)
1
2
c
(0) =
_
b
a
(Y
+R(Y,
, Y ) (4.22)
Se abbiamo una doppia variazione che lascia ssi i punti agli estremi
F(t, s, u)
e posto
Z =
F
u
vogliamo calcolare:
2
c(s, u)
su (0,0)
.
4.3. VARIAZIONE SECONDA E CAMPI DI JACOBI 131
Con
c(s, u) =
_
b
a
[[
(t, s, u)[[
2
dt.
Ora dato che (0, 0) `e un punto critico abbiamo che 4.22 `e la forma quadratica dellhessiano.
Polarizzando la forma quadratica abbiamo:
2
c(s, u)
su
(0, 0) =
_
b
a
(Y
, Z
) R(Y,
, Z) =
_
b
a
(Y
+R(Y,
, Z). (4.23)
Questo ci porta a denire una forma hessiana sullo spazio innito dimensionale dei
campi lungo nulli agli estremi:
H : T
,p,q
T
,p,q
R (4.24)
H(Y, Z) =
_
b
a
(Y
, Z
) R(Y,
, Z) =
_
b
a
(Y
+R(Y,
, Z) (4.25)
4.3.2 Il teorema di Myers
Nella prossima sessione studieremo pi` u in dettaglio lhessiano dellenergia. Per ora diamo
la seguente applicazione topologica:
Teorema 4.3.2.1. di Myers Sia (M, g) una variet`a Riemanniana completa. Supponiamo
che la curvatura di Ricci sia limitata da basso dalla metrica, cio`e, esiste un numero reale
k > 0 tale che
ric(X, X) kg(X, X)
per ogni vettore X di M, allora M `e compatta.
Dimostrazione. Basta vedere che (M, d
g
) dove d
g
`e la distanza geodetica `e uno spazio
metrico limitato e quindi che le geodetiche minimali hanno una lunghezza limitata. Infatti
questo implica che M `e immagine di un disco compatto attraverso la mappa esponenziale.
Sia : [0, L] M una geodetica minimale di lunghezza L, che vogliamo stimare. Fissiamo
una base ortonormale di campi paralleli
E
1
(t) =
(t), E
2
(t), ..., E
m
(t),
lungo . Deniamo, per i > 1, Y
i
= sin(
L
t)E
i
(t), si noti che Y
i
si annulla agli estremi (0)
e (L). Dato che la curva `e minimale: H(Y
i
, Y
i
) 0 e anche
0
i
H(Y
i
, Y
i
) =
_
L
0
(Y
i
, Y
i
) R(Y
i
,
, Y
i
) =
=
_
L
0
(sin
2
(
L
t)ric(
) +
i
(Y
i
, Y
i
))dt
e quindi
_
L
0
(sin
2
(
L
t)ric(
)dt
_
L
0
(Y
i
, Y
i
)dt
132 CAPITOLO 4. GEOMETRIA RIEMANNIANA
Per ipotesi ric(
) k(
) = r quindi
k
_
L
0
(sin
2
(
L
t) = k
L
2
_
L
0
(Y
i
, Y
i
)dt
Ma Y
i
=
L
2
Y
i
perche Y
i
`e parallelo. Allora (Y
, Y ) =
2
L
2
sin
2
(
L
t) e
_
L
0
(Y
i
, Y
i
)dt =
2
L
2
_
L
0
sin
2
(
L
t)dt =
2
2L
.
Sommando i vari contributi troviamo la disuguaglianza:
kL (m1)
2
L
da cui
L
2
(m1)
2
k
.
Corollario 4.3.2.2. Sia (M, g) nelle stesse ipotesi del teorema di Myers 4.3.2.1 allora il
gruppo fondamentale di M `e nito.
Dimostrazione. Sia p : M
, p
+
R(Y,
+R(Y,
= 0. (4.26)
Diamo allora la seguente
Denizione 4.3.3.1. Un campo Y (t) denito lungo una geodetica ci chiama campo di
Jacobi se soddisfa allequazione di Jacobi 4.26
Nota 4.3.3.2. I campi di Jacobi danno elementi di KerH
s
se e solo se si annullano agli
estremi.
Lequazione di Jacobi `e ordinaria del secondo ordine e lineare. Fissati due vettori nel
tangente di p = (a) v, w, T
p
) esiste unico un campo di Jacobi Y tale che Y (a) = v
Y
= 0 e r(
(a, b)(0) = av
dove v =
(t),
(t) `e normale a .
Dimostrazione. Consideriamo poniamo f(t) = (Y (t),
(t)) si ha f(0) = 0 e f
(t) =
(Y
(t),
(t)) (
= 0), allora f
(0) = 0. Inoltre
f
(t) = (Y
(t),
(t)) + (Y
(t),
(t),
(t),
(t)) = 0,
allora f(t) = f
(t) = 0.
Abbiamo allora
Proposizione 4.3.3.4. Lo spazio dei campi di Jacobi normali a ha dimensione 2m2.
Ogni campo di Jacobi Y si ha una decomposizione ortogonale
Y = (at +b)
(t) +N
con N campo di Jacobi normale a .
Se Y e Z sono di Jacobi abbiamo la forma
L(Y, Z) = (Y, Z
) (Z, Y
) (4.27)
non dipende dal dal punto infatti:
d
dt
((Y, Z
) (Z, Y
)) = (Y, Z
) (Y
, Z) = r(Z,
, Y ) r(Y,
, Z) = 0
Proposizione 4.3.3.5. Sia J lo spazio vettoriale dei campi di Jacobi deniti lungo . La
forma L : J J R denisce una forma simplettica (cio`e antisimmetrica) su J.
4.3.4 Variazioni geodetiche
Vogliamo dare ora un metodo per la produzione di campi di Jacobi.
Denizione 4.3.4.1. Una variazione geodetica `e unapplicazione F : [a, b] [c, d] M
tale che F(t, s) =
s
(t) `e geodetica per ogni s
Osserviamo dapprima che se F(t, s) =
s
(t) `e geodetica per
t
F
t
= 0 per ogni s. Se
Y (t) =
F
s s=0
allora
134 CAPITOLO 4. GEOMETRIA RIEMANNIANA
Y
=
t
t
F
s
=
t
s
F
t
=
s
t
F
t
+R(
, Y )
= R(Y,
.
Quindi ogni variazione geodetica denisce campi di Jacobi. Per il viceversa si consideri
dapprima una geodetica (t) = exp
p
(tv) [[v[[ = 1 denita in [0, L] con L sucientemente
piccolo tale che sia minimale. Supponiamo esista un intorno | di ([0, L)) tale che ogni
coppia punti di | si possa connettere minimalmente. Posto q = (L) di prendano due
curve a(s) e b(s) denite per [0, ] a valori in U tali che a(0) = p e b(0) = q. Costruiamo
allora lunica geodetica (minimale)
s
(t) tali che
s
(0) = a(s) e
s
(L) = b(s) (la velocit`a
di tale geodetiche `e normalizzata in modo da essere denite in[0, L]). Posto F(t, s) =
s
(t)
abbiamo un campo di Jacobi Y (t) =
F
s s=0
tale che Y (0) = a
(0) e Y (L) = b
(0).
Sia J lo spazio vettoriale dei campi di jacobi lungo si consideri ora lapplicazione
lineare:
f : J T
p
T
q
f(Y ) = (Y (0), Y (L)
La precedente costruzione mostra che tale applicazione `e suriettiva: per ogni coppia
(v, w) T
p
T
q
si scelgano le curve con a
(0) = v e b
le
s
denite precedentemente si prolungano per t [0, L
] e le variazioni geodetiche
F(t, s) =
s
(t) denisce tutti campi di Jacobi lungo : [0, L
] M.
4.3.5 Punti coniugati : il dierenziale della mappa esponenziale
Cominciamo con una denizione
Denizione 4.3.5.1. Siano p e q due punti di una variet`a Riemanniana (M, g), sia
: [0, L] M una geodetica tale che (0) = p, (L) = q. Diremo che p e q sono coniugati
da se esiste un campo di Jacobi Y ,= 0 denito lungo tale che si annulla agli estremi:
Y (0) = 0 e Y (L) = 0. Lindice di coniugazione `e la dimensione dello spazio vettoriale
J
p,q
= Y J : Y (0) = Y (L) = 0. Diremo che p e q sono coniugati se sono coniugati
da qualche geodetica.
Supponiamo per semplicit`a (M, g) completa, vogliamo studiare ancora la mappa espo-
nenziale,
exp
p
: T
p
M
Poniamo q = exp
p
(v) e sia (t) = exp(tv) : [0, 1] M la corrispondente geodetica.
Abbiamo la seguente
Proposizione 4.3.5.2. Il dierenziale della mappa esponenziale in v D
expp,v
: T
v
T
q
`e
u isomorsmo se e solo se q non `e coniugato a p.
Dimostrazione. Identichiamo T
v
e T
p
se w `e in T
p
la curva v + sw denisce il vettore
tangente al punto v T
p
. Allora la variazione geodetica F(t, s) = expt(v + sw) denisce
un campo di Jacobi Y. Per costruzione
D
expp,v
(w) = Y (L)
Quindi q `e coniugato da se e solo il dierenziale della mappa esponenziale in v `e nullo.
4.3. VARIAZIONE SECONDA E CAMPI DI JACOBI 135
Nota 4.3.5.3. Nella dimostrazione della precedente proposizione abbiamo visto che si
ha un isomorsmo tra Ker(D
expp,v
) = J
p,q
. Di pi` u i campi di J
p,q
sono normali. Per
vedere questo decomponiamo Y = (at +b)
(0) = v.
Inne notiamo che il lemma di Gauss si pu`o reinterpretare della condizione di norma-
lit`a dei campi di Jacobi: se (v, w) = 0 e Y J di Jacobi lungo (t) = exp(tv) tale che
J(0) = 0 e J
(t), ma J
(t) = D(exp
p,tv
w).
4.3.6 Applicazione il teorema di Cartan-Hadamard
Supporremo che la curvatura sezionale sia non positiva: r(Z, X, X, Z) 0 per ogni vettore
X e Z. Se Y `e di Jacobi con Y (0) = 0, ma Y
(t), Y (t)).
Dallequazione di Jacobi e otteniamo (Y
, Y ) = r(Y,
, Y ) 0 e quindi g
(t) =
(Y
, Y )
= (Y
, Y ) +(Y
, Y
) 0 si ha g
= h
sono la
stessa metrica. Questo prova che (T
p
, g
(v, w).
Se (N, g
iI
ha allora la topologia
discreta. Fissiamo un r > o e una palla geodetica U = exp
q
(U(r)) k = exp
q
: U(r) U `e
un dieomorsmo. Consideriamo analogamente U
i
= exp
q
i
U
i
(r), U
i
(r) T
q
i
e le mappe
esponenziali k
i
: U
i
(r) U
i
.
136 CAPITOLO 4. GEOMETRIA RIEMANNIANA
Abbiamo allora dei diagrammi commutativi:
U
i
(r) U
i
U(r) U
//
k
i
D(h)q
h
//
k
Per costruzione hk
i
= kD(h)
q
. Ora k `e biettiva mentre k
i
`e suriettiva per costruzione.
Dato che h k
i
`e biettiva ne segue che k
i
e h devono essere entrambe iniettive. Quindi le
k
i
e h
U
i
sono dieomorsmi.
Osserviamo ora che
h
1
(U) =
_
i
U
i
.
Linclusione h
1
(U) U
i
segue immediatamente dal precedente diagramma. Suppo-
niamo ora a h
1
(U) e b = h(a) U. Sia w T
b
tale che la geodetica : [0, L] M
che connette b con q, (0) = b e (L) = q, allora L < r. Sia
i
.
Abbiamo allora il seguente corollario:
Corollario 4.3.7.2.
La geodetica : [0, L] M `e minimale se e solo se in (0, L) non ci sono punti coniugati.
Linsieme dei punti coniugati `e nito.
Capitolo 5
Appendice sullalgebra esterna
La denizione del prodotto esterno data in 2.1 `e piuttosto concreta. Tuttavia per dimo-
strare le propriet`a fondamentali del prodotto esterno (Teorema 20) `e opportuno partire
da una denizione dierente pi` u astratta (Def. 5.0.7.3). Ci`o permette di dimostrare le
propriet`a algebriche del prodotto esterno in modo meno laborioso. Alla ne si verica che
le due denizioni coincidono e si dimostra la Prop. 21.
Siano V e W due spazi vettoriali di dimensione n ed m rispettivamente. Indichiamo
con V W lo spazio delle forme bilineari su V
. Se v V e w W indichiamo con
v w la forma bilineare
v w : V
77
(5.2)
commuti.
137
138 CAPITOLO 5. APPENDICE SULLALGEBRA ESTERNA
Dimostrazione. Fissiamo una base e
1
, . . . , e
n
di V ed una base f
1
, . . . , f
m
di W. Sap-
piamo che e
i
f
j
[1 i n, 1 j m `e una base di V W. Dunque esiste ununica
applicazione lineare : V W U tale che
(e
i
f
j
) := b(e
i
, f
j
).
Per costruzione = b sulle coppie della forma (e
i
, f
j
). Poiche b e lapplicazione (5.1)
sono entrambe bilineari segue immediatamente che = b su tutto V W. Dunque fa
commutare il diagramma. Daltronde `e lunica applicazione con questa propriet`a: se `e
unaltra applicazione che fa commutare il diagramma si ha (e
i
f
j
) = b(e
i
, f
j
) = (e
i
f
j
).
Ma allora = perche e
i
f
j
`e una base di V W.
Ovviamente la costruzione che abbiamo appena descritto si pu`o estendere al prodotto
tensoriale di pi` u di due spazi vettoriali.
In realt`a la costruzione del prodotto tensoriale si pu`o fare in contesti molto pi` u generali
di quello indicato, che tuttavia `e pi` u che suciente per i nostri scopi. Il lettore interessato
pu`o consultare per esempio [5].
Ci interessa soprattutto il prodotto tensoriale di V
= V
. . . V
. .
p volte
.
Dal fatto che (V
= V segue che T
p
V
= R. Se t T
p
V
ed
s T
q
V
mediante la formula
_
t s
_
(v
1
, . . . , v
p+q
) = t(v
1
, . . . , v
p
) s(v
p+1
, . . . , v
p+q
).
Se p = q = 1 questa denizione si riduce alla (5.1). Se p = 0 deniamo t s := t s.
Lapplicazione : T
p
V
T
q
V
T
p+q
V
`e bilineare. Poniamo
T
p=0
T
p
V
.
Esercizio 62. Vericare che (T
: T
p
V
T
p
V
139
che agisce sugli elementi scomponibili secondo la regola
L
(
1
p
) =
(1)
(p)
.
Per vericare che un tale operatore esiste applichiamo la propriet`a universale del prodotto
tensoriale. Deniamo innanzitutto una applicazione bilineare
b :
_
V
_
p
T
p
V
b(
1
, . . . ,
p
) :=
(1)
(p)
.
Questa applicazione `e multilineare. Dunque, per la properiet`a universale del prodotto
tensoriale, esiste un unico operatore lineare : T
p
V
T
p
V
tale che (
1
p
) =
b(
1
, . . . ,
p
). A questo punto basta porre L
:= .
Esercizio 64. Dimostrare che per S(p), t T
p
V
e v
1
, . . . , v
p
V si ha
L
t(v
1
, . . . , v
p
) = t(v
(1)
, . . . , v
(p)
).
Esercizio 65. Per , S(p) si ha L
= L
.
Poniamo ora
A
p
: T
p
V
T
p
V
A
p
=
S(p)
(1)
.
Loperatore A
p
si chiama antisimmetrizzatore. Spesso scriveremo semplicememnte A
anziche A
p
.
Esercizio 66. Per , S(p) si ha A
p
L
= L
A
P
= (1)
A
p
.
Esercizio 67. Si ha A
2
p
= p!A
p
.
Proposizione 69. Sia una applicazione p-lineare V
p
R, cio`e un elemento di T
p
V
.
Allora le seguenti condizioni sono equivalenti: (1) `e antisimmetrica (cio`e
p
V
);
(2) L
= (1)
:
=
I
e
I
(dove si somma su tutti i p-indici). Siano i, j due numeri 1 i < j p e sia = (ij) la
trasposizione corrispondente. Supponiamo per semplicit`a di notazione che i = 1 e j = 2.
Allora
L
I
e
i
2
e
i
1
e
i
3
e
ip
.
Daltronde siccome T
p
V
I
= (e
i
1
, e
i
2
, . . . , e
ip
) = (e
i
2
, e
i
1
, . . . , e
ip
).
140 CAPITOLO 5. APPENDICE SULLALGEBRA ESTERNA
Se I = (i
1
, . . . , i
2
) poniamo I
= (i
2
, i
1
, . . . , i
p
). Allora
L
I
e
I
= .
Dunque L
= (1)
= (1)
(1)
(1)
= p! .
Cio`e (2) (3). Se invece vale (3), allora usando lesercizio 66
L
=
1
p!
L
A
p
=
1
p!
(1)
A
p
= (1).
Dunque (3) (2).
Lemma 70. Si ha T
p
V
= ImA
P
Ker A
p
e
p
V
= ImA
p
.
Dimostrazione. Poniamo
P =
1
p!
A
p
: T
p
V
T
p
V
.
Dallesercizio 67 segue che P
2
= P (cio`e P `e un proiettore). Se t T
p
V
allora t =
(tPt)+Pt, dove tPt Ker P = Ker A
p
e Pt ImA
p
. Dunque T
p
V
= Ker A
p
+ImA
p
e la somma `e diretta (p.e. per la formula di Grassmann). La seconda aermazione segue
dalla condizione (3) della proposizione precedente.
Sia I lideale bilatero dellalgebra T
.
Lemma 71.
I =
p=0
Ker A
p
.
Dimostrazione. Incominciamo dimostrando che I `e contenuto nella somma diretta dei
nuclei. Siano V
e t T
p2
V
. Poniamo
E = S(p) : (1) < (2).
141
Indichiamo con la permutazione (12). Allora S(p) = E . ( E). Pertanto (sfruttando
lesercizio 64)
A( t)(v
1
, . . . , v
p
) =
S(p)
(1)
(v
(1)
) (v
(2)
) t(v
(3)
, . . . , v
(p)
) =
=
E
(1)
(v
(1)
) (v
(2)
) t(v
(3)
, . . . , v
(p)
)+
+
E
(1)
(v
(1)
) (v
(2)
) t(v
(3)
, . . . , v
(p)
) =
=
E
(1)
(v
(1)
) (v
(2)
) t(v
(3)
, . . . , v
(p)
)+
E
(1)
(v
(2)
) (v
(1)
) t(v
(3)
, . . . , v
(p)
) = 0.
Dunque t Ker A
p
. Lo stesso ragionamento vale per t . Ci`o dimostra
I
p=0
Ker A
p
.
Dati , V
osserviamo che
( +) ( +) = + + +
dunque + I. Se = (12) e t =
1
. . .
p
T
p
V
allora
(1)
t t = (
2
1
+
1
2
)
3
p
.
Lo stesso vale per ogni altra trasposizione. Siccome S(p) `e generato dalle trasposizioni,
segue che (1)
(dimostrare!). Dunque
At p! t I t T
p
V
. (5.3)
Per t Ker A
p
otteniamo che t I. Ci`o dimostra la seconda inclusione.
Esercizio 68. Per ogni t T
p
V
e q T
q
V
si ha
As At = p! q! s t mod I A
_
As At
_
= p! q! A(s t). (5.4)
(Suggerimento: sfruttare la (5.3).)
Ora possiamo dare una seconda denizione del prodotto esterno. Successivamente
vericheremo che questa denizione coincide con quella precedente.
Denizione 5.0.7.3. Date
p
V
e
q
V
poniamo
:=
1
p!q!
A
_
_
. (5.5)
Per esempio se , V
= . (5.6)
142 CAPITOLO 5. APPENDICE SULLALGEBRA ESTERNA
Teorema 72. (
,
q
V
,
r
V
.
( ) =
1
(p +q)! r!
A
_
( )
_
=
=
1
(p +q)! r!
A
_
1
p! q!
A( )
1
r!
A
_
=
=
1
(p +q)! p! q! (r!)
2
A
_
A( ) A
_
.
Usando (5.4) otteniamo
( ) =
1
p! q! r!
A
_
_
. (5.7)
Nello stesso modo si dimostra che anche
( ) =
1
p! q! r!
A
_
_
.
`
E cos` dimostrata lassociativit`a del prodotto (5.5). Ovviamente abbiamo sfruttato las-
sociativit`a del prodotto tensoriale .
Esercizio 69. Se
i
T
p
i
V
, 1 i r
1
r
=
1
p
1
! p
r
!
A
_
1
r
_
.
(Suggerimento: iterare il ragionamento fatto per dimostrare la formula (5.7).)
Esercizio 70. Se
1
, . . . ,
p
V
e v
1
, . . . , v
p
V allora
1
p
(v
1
, . . . , v
p
) = det
_
i
(v
j
)
_
.
Esercizio 71. Sia e
i
una base di V . Deniamo e
I
come in (2.3) e il prodotto esterno
come in (5.5). Allora e
I
= e
i
1
e
ip
.
Una p-forma che si pu`o scrivere nel modo =
1
p
per certi
j
V
si
chiama semplice o decomponibile.
Corollario 73. Lo spazio vettoriale
p
V
e
q
V
allora
= (1)
deg deg
.
Dimostrazione. Poniamo p = deg , q = deg . Supponiamo inizialmente p = 1 e proce-
diamo per induzione su q. Se anche q = 1, il risultato segue immediatamente da (5.6).
Supponiamo poi q > 1 e assumiamo che
= (1)
q1
143
per ogni
q1
V
. Allora
= = (1)
q1
=
= (1)
q1
( ) = (1)
q
.
Ci`o dimostra la (2.9) nel caso p = 1 e q qualunque. Ora procediamo per induzione su p.
Supponiamo che
= (1)
(p1)q
per ogni
p1
V
. Sia = con V
. Allora
= = (1)
q
= (1)
q
(1)
(p1)q
= (1)
pq
.
Ci`o completa linduzione su p.
Ora vogliamo dimostrare che il prodotto esterno denito secondo la formula (5.5)
soddisfa la (2.8). Incominciamo con alcune osservazioni sulle permutazioni.
Se S(p) e S(q) deniamo una permutazione S(p + q) mediante la
formula
(j) =
_
(j) se j p
(j p) +p se j > p.
Esercizio 72. Lapplicazione
pq
: S(p) S(q) S(p +q)
pq
(, ) :=
`e un morsmo di gruppi iniettivo.
Indichiamo con H limmagine di
pq
.
Lemma 75. Ogni permutazione di S(p +q) si pu`o scrivere in modo unico come prodotto
di un elemento di S(p, q) e di uno di H.
Dimostrazione. PoniamoA = 1, . . . , p e B = p + 1, . . . , p + q. H `e formato dalle
permutazioni S(p + q) tali che (A) = A e (B) = B. Data una permutazione
S(p +q) scriviamo
(A) =
1
, . . . ,
p
(B) =
p+1
, . . . ,
p+q
.
Se imponiamo che
1
< <
p
e
p+1
< <
p+q
allora i numeri
j
sono univocamente
determinati. Deniamo S(p+q) ponendo (j) =
j
.
`
E chiaro che `e una permutazione
e che S(p, q). Inoltre (A) = (A) e (B) = (B). Dunque :=
1
H. Ci`o
dimostra che
S(p +q) = S(p, q).H.
Daltronde se = =
con ,
S(p, q) e ,
H allora
= (
)
1
dun-
que (A) =
(A). Siccome ,
e =
. Dunque la
rappresentazione `e unica.
144 CAPITOLO 5. APPENDICE SULLALGEBRA ESTERNA
Esercizio 73. Vericare che
S(p, q)
=
(p +q)!
p! q!
.
Esercizio 74. Siano S(p), S(q), t T
p
V
ed s T
q
V
. Allora
L
(t s) = (L
t) (L
s).
(Suggerimento: si pu` o assumere che e siano forme semplici.)
Teorema 76. Il prodotto esterno - denito secondo la formula (5.5) - soddisfa la (2.8).
Pertanto le due denizioni del prodotto esterno coincidono.
Dimostrazione. Siano
p
V
e
q
V
.
=
1
p! q!
A( ) =
1
p! q!
S(p+q)
(1)
( ) =
=
1
p! q!
S(p,q)
H
(1)
(1)
( ).
Se = per lesercizio 74 si ha
L
( ) = (L
) (L
) = (1)
.
Dunque
=
p! q!
S(p,q)
(1)
( ) =
=
S(p,q)
(1)
( ).
`
E immediato dedurre da questo la la (2.8).
Teorema 77. Se e
i
`e una base di V , lalgebra esterna (
, ) `e generata da e
1
, ..., e
n
con le relazioni
_
e
i
e
j
= e
j
e
i
per i ,= j
e
i
e
i
= 0.
(5.8)
Dimostrazione. Grazie allesercizio 71 e al Lemma 19 sappiamo gi`a che e
i
`e un sistema
di generatori.
`
E ovvio che le relazioni (5.8) sono soddisfatte in
. Dobbiamo dimo-
strare che ogni altra relazione `e conseguenza di queste. In termini pi` u rigorosi dobbiamo
dimostrare quanto segue. Sia F lalgebra libera sugli elementi x
1
, . . . , x
n
. Sia
: F
, ponendo x
i
= e
i
. Deniamo
: T
imponendo che se t T
p
V
allora
(t) =
1
p!
A
p
t.
Discende dallesercizio 68 che `e un morsmo. Poiche (e
i
) = e
i
coincide con nel
modello F = T
e
n
, e
i
e
j
+e
j
e
i
, i ,= j.
Inne possiamo dimostrare la Prop 21.
Proposizione 78. Se e sono forme pure e v V , allora
v
( ) = (
v
) + (1)
deg
(
v
). (5.9)
Dimostrazione. Siano dati w
1
, . . . , w
p+q1
V . Poniamo v
1
= v e v
j
= w
j1
per j > 1.
Usando (2.8) si ha
v
( )(w
1
, . . . , w
p+q1
) = )(v
1
, v
2
, . . . , v
p+q
) =
=
S(p,q)
(1)
(v
(1)
, ..., v
(p)
)(v
(p+1)
, ..., v
(p+q)
).
(5.10)
Poniamo
A = S(p, q) :
1
(1) p = S(p, q) : (1) = 1
B = S(p, q) A = S(p, q) : (p + 1) = 1.
Procediamo spezzando la somma in (5.10) in due pezzi, il primo corrispondente alle
permutazioni in A, il secondo a quelle in B.
A
(1)
(v
(1)
, ..., v
(p)
)(v
(p+1)
, ..., v
(p+q)
) =
=
A
(1)
(v, v
(2)
, ..., v
(p)
)(v
(p+1)
, ..., v
(p+q)
) =
=
S(p1,q)
(1)
(
v
)(w
(1)
, ..., w
(p1)
)(w
(p)
, ..., w
(p+q1)
) =
= (
v
) (w
1
, . . . w
p+q1
).
Veniamo alla somma su B. Se B poniamo
(j) =
_
(j) 1 per 1 j p
(j + 1) 1 per p < j p +q 1.
146 CAPITOLO 5. APPENDICE SULLALGEBRA ESTERNA
Allora S(p, q 1) e (1)
= (1)
p
(1)
B
(1)
(v
(1)
, ..., v
(p)
)(v
(p+1)
, ..., v
(p+q)
) =
=
B
(1)
(v
(1)
, ..., v
(p)
)(
v
)(v
(p+2)
, ..., v
(p+q)
) =
= (1)
p
S(p,q1)
(1)
(w
(1)
, ..., w
(p)
)(
v
)(v
(p+1)
, ..., v
(p+q1)
) =
= (1)
p
(
v
)(w
1
, . . . , w
p+q1
).
Pertanto
v
( )(w
1
, . . . , w
p+q1
) =
A
(1)
(v
(1)
, ..., v
(p)
)(v
(p+1)
, ..., v
(p+q)
)+
+
B
(1)
(v
(1)
, ..., v
(p)
)(v
(p+1)
, ..., v
(p+q)
) =
= (
v
) (w
1
, . . . w
p+q1
) + (1)
p
(
v
)(w
1
, . . . , w
p+q1
).
5.1 Appendice di topologia generale
Uno spazio topologico `e separabile se esiste un sottoinsieme denso numerabile. Uno spazio
topologico `e a base numerabile se c`e una base della topologia numerabile. In tal caso si
dice anche che X soddisfa il secondo assioma di numerabilit`a.
Lemma 79. Ogni sottospazio di uno spazio separabile `e separabile. Uno spazio metrico
separabile ha base numerabile. R
n
`e a base numerabile.
Ricordiamo che una variet`a dierenziabile soddisfa il secondo assioma di numerabilit`a
per denizione.
Teorema 80 (Lindelof). Se X ha una base numerabile allora ogni ricoprimento di X
ammette un sottoricoprimento numerabile.
Un m-indice
A una m-upla = (
1
, . . . ,
m
) dove
j
Z,
j
0. Chiamiamo
[[ =
1
+ +
m
lunghezza dellm-indice .
Se f = f(x
1
, . . . , x
m
)
A una funzione di m variabili reali a valori in R
n
poniamo
D
f =
||
f
x
1
1
x
m
m
.
! =
1
!
m
! (5.11)
h
= h
1
1
h
m
m
(5.12)
5.1. APPENDICE DI TOPOLOGIA GENERALE 147
Nota che
[h
[ [h[
||
Formula di Taylor sia un aperto di R
m
ed f : R
n
una funzione liscia. Sia x
0
e supponiamo che B(x
0
, ) . Allora per [h[ <
f(x
0
+h) =
||k
D
f(x
0
)
!
h
+ (k + 1)
||=k+1
h
!
_
1
0
(1 t)
k
D
f(x
0
+th)dt (5.13)
148 CAPITOLO 5. APPENDICE SULLALGEBRA ESTERNA
Bibliograa
[1] G. Bredon. Geometry and Topology, Graduate Texts in Math. 139, (Springer-Verlag),
New York, 1993.
[2] M. Cornalba. Note di Geometria Dierenziale. in rete.
[3] M. Hirsch. Dierential Topology. Graduate text in Math, 33(Springer Verlag) (1963).
[4] W. Hurewicz. Lectures in Ordinary Dierential Equation. Books on Advanced Maths,
(Dover New York) (1990).
[5] S. Lang. Algebra, Graduate Texts in Math. 211, (Springer-Verlag), New York, 2002.
[6] R. Narasimhan, Analysis on Real and Complex manifolds, North-Holland, 1985
3
.
[7] J. Milnor. Morse Theory. Annals Math Study , 51(Princeton University Press)
(1976).
[8] F. Warner. Foundations of Dierentiable Manifolds and Lie Groups. Graduate Texts
in Math, 24(Springer Verlag).
Gian Pietro Pirola
Dipartimento di Matematica, Universit`a di Pavia
via Ferrata 1, 27100 Pavia, Italia
gianpietro.pirola@unipv.it
149