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Ed Ruscha, Venice, Italy, 1961

Le risposte possono essere contrastanti, noi ve ne diamo alcune, le vostre quali sono? Vediamo spesso il mondo attraverso un obiettivo o uno schermo Lcd, attraverso un filtro, non vi sembra strano? Una volta a lezione di fotografia Mario Mulas mi disse: ci sono tramonti cos belli che non bisogna fotografarli..., voleva dire che prima di tutto bisogna saper guardare il mondo e avere una ragione per volerlo ritrarre.

camera chiara
Il quarto numero di Bote, dopo aver indagato le tecniche del collage e del disegno, inizia un viaggio a ritroso nella storia, per capire il ruolo della fotografia, da strumento analogico di documentazione a linguaggio artistico indipendente. Dalla tecnica fotografica originaria, analogica, tangibile, allavvento del digitale che cambia tutto e niente. I compagni del nostro viaggio, che si sono accovacciati nella nostra scatola di cartone per raccontarci il loro mondo, le loro visioni personali, sono artisti di diverse generazioni con approcci completamente differenti allutilizzo della macchina fotografica. Come un pennello, la fotografia pu raffigurare luniverso interiore di un artista, piuttosto che il suo modo di vedere le cose da un punto di vista altro. LOttocento del Realismo, del Positivismo, delle rivoluzioni industriali, dei viaggi desplorazione geografica, il momento storico ideale per lo sviluppo di un mezzo di rappresentazione fedele alla realt. Il principio su cui si basa la fotografia quello dei sali dargento fotosensibili usati per fissare unimmagine, attraverso il fenomeno ottico della camera obscura, su un supporto (i primi esperimenti che furono condotti da Joseph N. Niepce risalgono al 1816). Forse esiste una fotografia pi autentica di unaltra? Cosa cambia dalla pellicola al pixel? Che differenza c tra la fotografia di reportage pubblicata sui giornali e lopere darte creata attraverso lutilizzo della fotografia?

Giulia Brivio
Ma si possono anche stipare hard disk interi di immagini istantanee di serate con gli amici dalle buffe facce o smorfie improbabili, la fotografia permette a tutti di fare click nella pi assoluta democrazia. Fissare unimmagine per ricordarla, per documentare un evento, per farla diventare opera darte, deve considerare lincertezza della latenza. Dallimpressione della luce sul supporto al suo sviluppo tutto pu accadere, un soffio di luce o qualche secondo di esitazione nel lasciar cadere il foglio nella vaschetta in camera oscura, pu rivelare qualcosa di inaspettato e non calcolabile. Queste incidenze fortuite, insieme alle altre caratteristiche tecniche della fotografia, diventano le componenti di un linguaggio artistico, che non pu prescindere dalla riflessione sul medium che sceglie di utilizzare. Limmagine creata dalla luce pu schiudere le porte di mondi sconosciuti e far avverare incantevoli sogni.

bote

tutta larte stata contemporanea Luca Panaro / Dallarchivio al database. La logica che governa la fotografia testimoni oculisti Federica Borgina e Gianni Berengo Gardin / La fotografia Vera Giulia Brivio e Paola Di Bello / Dalla pellicola alla realt camera con vista Federica Borgina / Alessandro Zuek Simonetti. The Last Neightborhood Standing locanda dei forestieri Francesca Chicchio e Marco Don / Professione Fotoreporter albergo delle vespe Nicolle Dalton / Prima notte in albergo, uno sguardo verso lalto aspettando godot Federica Borgina e Serena Sinigaglia / A.T.I.R. (Non siamo unazienda di trasporti) appunti di viaggio Silvio Wolf / Horizons Antonella Scaramuzzino / Steve McCurry. Sud-Est 1980-2009
palazzo della ragione (milano)

Jacopo De Gennaro / Fotografia Astratta, dalle avanguardie al digitale museo di fotografia contemporanea (cinisello balsamo, milano) Serena Zacheo / Yayoi Kusama. I want to live forever pac padiglione darte contemporanea (milano) prendi cura di te stesso La tua porzione di stelle Scrobbling: Alessandro Zuek Simonetti

Bote - numero 04, anno 01, inverno 2009-2010 Direttrici editoriali Federica Borgina e Giulia Brivio Redazione Fulvio Ravagnani e Maria Villa Collaboratori Francesca Chicchio, Nicolle Dalton, Jacopo De Gennaro, Marco Don, Luca Panaro, Antonella Scaramuzzino, Serena Sinigaglia, Serena Zacheo Interventi speciali Gianni Berengo Gardin, Paola Di Bello, Alessandro Zuek Simonetti, Silvio Wolf Progetto e redazione grafica Giacomo Brivio - www.giacomobrivio.com Grazie a AR.RI.VI Archivio Ricerca Visiva (Milano), Rossana Bassani, Giacomo Benelli e Bandalarga, Luca Brazzoli, Francesca Cola e Il Fiorile delle Arti (Torino), Sergio Dangelo, Luca Dassi, Giacomo Forte, Ioscatola, Cristina Luise, MAR.CA (Lissone), Teatro Ringhiera (Milano)... i piegatori di scatole Stampa Tipografia Valtorta, via Fabio Filzi 28, Giussano (MI) Contatti Associazione Culturale Bote via Matteotti 43, 20035 Lissone (MI) www.boiteonline.org - boite@boiteonline.org

tutta larte stata contemporanea

Dallarchivio al database. La logica che governa la fotografia


Si tanto parlato negli ultimi decenni di vecchi e nuovi media; alle prime entusiastiche voci tese a esaltare la portata rivoluzionaria delle moderne tecnologie, sono seguite altre pi prudenti credenze orientate piuttosto a rintracciare una continuit con i fenomeni espressivi precedenti. Fra i pochi intellettuali impegnati in questultima direzione, Lev Manovich fornisce uno dei contributi pi interessanti sullargomento, in grado di abbracciare i cosiddetti new media confrontandoli con le convenzioni visive tradizionali. Nel suo libro The Language of New Media (2001), lo studioso russo pone lattenzione su una delle forme chiave delle attuali tecnologie: il database. Se la prospettiva stata la forma simbolica che ha caratterizzato la storia dellarte dal Rinascimento allImpressionismo, il database pu essere considerato un nuovo modo di concepire lo spazio, una forma simbolica dellera moderna, le cui origini possono essere vagamente rintracciate gi nella prima met del Novecento, con grande anticipo rispetto allera digitale. Manovich sostiene come oggi il mondo sia una raccolta infinita e destrutturata dimmagini, testi e altri record di dati, perfettamente logico assimilarlo a un database, cos come possibile, anche se apparentemente azzardato, assimilare al database tutta una serie di esperienze artistiche compiute nel primo Novecento: i collage di Picasso, i ready-made di Duchamp, la molteplicit stilistica di De Chirico, fino al prelievo e alla moltiplicazione mediatica compiuta da Warhol. Le origini pi antiche di questa nuova forma simbolica sono per da rintracciarsi principalmente nella fotografia, lo stesso Manovich afferma che la logica del database ha ispirato il linguaggio fotografico (anche se forse sarebbe pi corretto sostenere il contrario): da Pencil of Nature di William Henry Fox Talbot a Face of Our Time, la monumentale raccolta di immagini della societ tedesca moderna realizzata da August Sander, fino allaltrettanto ossessiva catalogazione di serbatoi idrici di Bernd e Hilla Becher.

Luca Panaro

Mentre questi grandi autori sono per ancora costruttori di archivi dimmagini, catalogatori di mondi vicini e lontani, laccesa discussione degli ultimi anni fra difensori della fotografia analogica e sostenitori dellimmagine digitale, spinge a considerare il database come una nuova visione del mondo. Unarguta osservazione a questo proposito la compie Pierre Sorlin nel libro I figli di Nadar (1997): i computer lavorano su entit che locchio non percepir mai e grazie a essi il ragionamento logico prevale sullosservazione diretta. Fino a questo momento la discussione fra immagine analogica e digitale stata impostata allinsegna del cambiamento epocale, da un punto di vista prettamente tecnico; oppure si considerato il problema concettualmente, sostenendo una continuit fra le due visioni, certificata dalla presenza del referente. Forse per la questione pu essere vista da unaltra prospettiva, vero che tecnologicamente vi stato un salto, per altrettanto ragionevole pensare che questo non abbia mutato lidentit del mezzo, ma invece possibile che sia finita lera dellosservazione per lasciare spazio al ragionamento logico. Questo non significa naturalmente che si smetter

Franco Vaccari, Lascia su queste pareti una traccia fotografica del tuo passaggio, XXXVI Biennale di Venezia 1972. Courtesy lartista

di osservare il mondo documentato in fotografia, ma che in questo processo assuma sempre pi importanza lelaborazione dei dati acquisiti, la problematizzazione del visibile, non pi lassunzione passiva di una realt data, come ha sostenuto Franco Vaccari in uno dei pi importanti contributi teorici del Dopoguerra: Fotografia e inconscio tecnologico (1979). Quindi, non la referenzialit della fotografia a essere messa in crisi con lavvento della tecnologia digitale, ma il primato del visivo che viene discusso, a favore di una migliore comprensione del mondo circostante. Mentre larchivio fotografico si struttura come accumulo dimmagini frutto dellosservazione diretta della realt, il database continua in questa impresa arricchendola per di nuovi significati, risultato della relazione fra gli elementi, in grado di attingere indistintamente al visibile come allinvisibile. Forse dietro alla digitalizzazione degli archivi fotografici si nasconde una rivoluzione che va ben oltre al facile accesso ai dati, si cela la possibilit di vedere la fotografia non pi come un punto darrivo nella visione del mondo, ma bens come il punto di partenza per una serie di relazioni che oltrepassano il visibile per giungere alla logica. Il passaggio dallanalogico al digitale conferisce alla fotografia una nuova linfa, perch la rende improvvisamente condivisibile con altri, pur mantenendo intatta la sua identit analogica. Se cos non fosse sarebbe difficile spiegare il successo di molti social network, veri e propri database dimmagini digitali o digitalizzate che attraggono milioni di persone che per nulla al mondo si avvicinerebbero a un archivio fotografico. Questi utenti non guardano limmagine come finestra prospettica sul mondo, nemmeno come oggetto, ma piuttosto come informazione personalizzabile da condividere con una rete capillare di contatti, che nei vari passaggi muta di significato stimolando il gioco della relazione. Il database pu essere quindi considerato un modo differente di concepire lo spazio, la forma simbolica del nostro tempo, una nuova logica alla quale larte dovr dare una forma.
Luca Panaro (1975), critico darte e curatore, docente al Biennio di Fotografia dellAccademia di Belle Arti di Brera di Milano. La sua Bote custodisce una Kodak Baby Brownie.
Franco Vaccari, Atelier dartista, 1996. Courtesy lartista

Gianni Berengo Gardin, Parigi, 1954, cm 24 x 30. Copyright Gianni Berengo Gardin, Milano.

Gianni Berengo Gardin, Puglia, 1966, cm 24 x 30. Copyright Gianni Berengo Gardin, Milano. | Questa una fotografia che piaceva molto a Henri Cartier-Bresson [conversazione con lautore]

Gianni Berengo Gardin, Sotto il monte, 1969, cm 24 x 30. Copyright Gianni Berengo Gardin, Milano.

testimoni oculisti

GIANNI BERENGO GARDIN. La Fotografia Vera


Ricordate le scatole che si trovano in soffitta, con il coperchio impolverato e quellodore acre che invade le narici e ha il sapore di madeleine, allinterno delle quali si scoprono fotografie in bianco e nero? La nostra Bote si trasforma per un momento in una di quelle scatole per parlare di qualcosa che lentamente sta diventando un ricordo, la fotografia analogica; e per farlo ha lonore di accogliere fra le sue pareti di cartone Gianni Berengo Gardin. Sfoglio lelenco del telefono di Milano fino a leggere BERENGO GARDIN GIOVANNI FOTOREPORTER, compongo il numero, quasi sicura di dover attendere e parlare con mille assistenti e invece sento una voce dire: S, Berengo. Dopo qualche giorno mi ritrovo davanti alla porta di casa Berengo Gardin, incredula, con la mano tremante di chi sta per incontrare il suo fotografo preferito, pigio il campanello. Mi accoglie un uomo di settantanove anni, con le mappe della geografia della vita disegnate sul volto, gli occhi sottili e le mani grandi. La fotografia riproduce una cosa che esiste, non crea nulla; come invece fa larte. Berengo Gardin ha incominciato a occuparsi di fotografia a Venezia, allinterno del Club La Gondola, dove ricercava una dimensione estetica della fotografia e voleva diventare un artista; ma il contatto con le fotografie americane della Farm Security Administration fu un monito fondamentale per decidersi di dedicarsi alla fotografia di reportage. Voglio essere un testimone del nostro tempo! Io non sono un artista, ma un fotografo! Mi hanno dato una laurea honoris causa in storia e cultura dellarte, ma io non so niente di arte!. La Leica fra quelle mani nodose stata un occhio attento, vigile, per raccontare il mondo e soprattutto lItalia; un modo di vivere in mezzo alla strada, con pazienza, aspettando il momento in cui scattare. Quella macchina fotografica pi di un mezzo, una scelta di coerenza: Io fotografo sempre nella stessa maniera, non cambia il mio

Federica Borgina
modo, ma cambiano i soggetti. Una Leica per fare una buona fotografia e non solo una bella fotografia, come diceva Ugo Mulas, diventa il simbolo, concreto e ideologico, di unostinata resistenza alla confusione fra immagine e fotografia, una difesa estrema delletica della fotografia, minacciata dallavvento del digitale. Berengo Gardin continua a lavorare con la sua Leica, facendo fotografie in bianco e nero perch il suo mestiere quello di raccontare, non di taroccare le fotografie con Photoshop. Il prodotto di un procedimento fotografico digitale, non una fotografia, ma unimmagine. La fotografia, quella vera, quella buona non deve essere ritoccata!. Il discriminante fra digitale e analogico non solo tecnico, ma metodologico: Ho visto una pubblicit in cui si legge: Non pensare, scatta!; io invece suggerisco ai giovani Pensa, e poi, magari, scatta. Affascinata ascolto e un pensiero mi suggerisce unultima domanda: Ma se le sue fotografie sono un documento, un errore interpretativo considerarle poesia? Linterpretazione non spetta a me; io fotografo quel che vedo. Mentre mi avvicino alle scale, Berengo Gardin mi dice: Li vede tutti questi libri? Io studio sempre, tutti i giorni, i grandi maestri. Il problema che i giovani non studiano la Storia, i Maestri.

Gianni Berengo Gardin nato a Santa Margherita Ligure nel 1930, ha iniziato ad occuparsi di fotografia nel 1954 e, dopo aver vissuto a Roma, Venezia, Lugano e Parigi, nel 1965 si stabilito a Milano e ha iniziato la sua carriera professionale occupandosi della fotografia di reportage, indagine sociale, documentazione architettonica e ambientale. Ha collaborato con le principali testate illustrate italiane e straniere e ha realizzato pi di 200 libri fotografici e monografie. Gianni Berengo Gardin (Santa Margherita Ligure, 1930), fotoreporter. La sua Bote custodisce una fotografia. Una qualsiasi? Una fotografia qualsiasi, tanto delle mie fotografie me ne piacciono solo una cinquantina. P.S. Dimenticavo, le fotografie di Berengo Gardin sono un milione e trecentocinquanta mila.

testimoni oculisti

PAOLA DI BELLO. DALLA PELLICOLA ALLA REALT

Giulia Brivio
to dalla campagna pavese, il 29 giugno del 1988, le lucciole sono poi state liberate nel loro luogo dorigine e le pellicole sono state stampate su carta, ingrandite di 6 volte. Locchio del fotografo non si appostato dietro allobiettivo, come quello di un fotoreporter, aspettando di catturare limmagine di un momento di realt, ha lasciato camminare limmagine (o la realt) sulla pellicola. Ha trasformato la fotografia in un medium artistico autonomo, un linguaggio, un alfabeto meccanico per comunicare la propria ricerca estetica. Questa ricerca si accorda con le riflessioni sulla fotografia di Franco Vaccari. In particolare le sue Esposizioni in tempo reale (realizzate a partire dal 1965) lasciano un segno per gli artisti che oggi utilizzano il mezzo fotografico. Alla Biennale di Venezia del 1972 Vaccari posizion una cabina per fototessere con accanto lavviso: Lascia sulle pareti una traccia fotografica del tuo passaggio, facendo questa operazione lartista non pi il produttore dellopera, ma il catalizzatore che innesca un evento senza poterne stabilire gli esiti. Ed ecco: la fotografia si fa da sola. La fotografia un mezzo di riproduzione mecca-

sopra e nella pagina precedente

nico, analogico o digitale, che diventa linguaggio malleabile, ritoccabile, ingannevole, crudamente verosimile o completamente astratto. Paola Di Bello sperimenta la capacit di riproduzione del reale, della citt, della metropolitana, della strada, della scuola, riposizionando per il punto di vista dello spettatore o sovrapponendo momenti diversi, della vita ma anche di un semplice giorno. cos che in Rear Window (2000-2003) al cielo luminoso del mattino con i piani alti di paesaggi urbani sovraimpresso il buio della notte e la luce dei lampioni, nella strada sempre avvolta dalle ombre dei grattacieli. Sono fotografie scattate dalle finestre delle case degli abitanti della citt, punti di vista abituali per le persone che quotidianamenti si trovano di fronte lo stesso scenario, ma insoliti sotto una nuova luce, anzi nuove luci, viste dallartista.

Paola Di Bello, Rear Window, 2000-03, serie fotografica, dimensioni variabili.Courtesy and copyright the artist

Tutti possono scattare una fotografia, ora pi che mai con le fotocamere digitali automatiche. La fotografia si fa da sola, o meglio, lartista lascia che limmagine affiori sulla carta. Lucciole (1988-91) di Paola Di Bello una serie di 48 fotografie composta della stessa sostanza che fa nascere limmagine sulla pellicola: la luce. Come scrive lartista: Ho realizzato questi lavori facendo impressionare la pellicola fotografica dalla luce emessa dalle lucciole. [] Ho lasciato camminare liberamente le lucciole (non volare: le lucciole volano soltanto nel loro ambiente naturale e in funzione dellaccoppiamento) su pellicole fotografiche 18 x 24 cm. Prese in presti-

testimoni oculisti
Nel 1954, Ren Magritte dipinse Limpero delle luci, un paesaggio dipinto con un cielo luminoso e una buia notte tra le case di un villaggio delle fiandre. Anche nelle fotografie di Di Bello ad un primo sguardo si percepisce solo la visione della citt, dalla finestra, poi lentamente compare la magia, realizzata grazie a pose lunghe tutta la giornata. Entrano in gioco non solo le componeti fisiche della fotografia, dallinquadrature alla pellicola, ma anche quella fondamentale del tempo, che scorre lasciando la sua traccia tangibile sullimmagine. Lartista utilizza le componenti base di questo mezzo per catturare, per inquadrare lumanit nella sua cornice sociale, urbana, con particolare sensibilit verso lescuso o la minoranza, dellumo e delle cose, che a volte possono essere guardate da un mirino differente.
sopra e nella pagina successiva

Paola Di Bello, Rear Window, 2000-03, serie fotografica, dimensioni variabili.Courtesy and copyright the artist

Paola Di Bello attualmente titolare della cattedra di Fotografia presso il Corso di laurea di secondo livello in Fotografia dellAccademia di Belle Arti di Brera, di cui coordinatore. Nel 2009 ha esposto in una mostra personale alla Triennale Bovisa di Milano e in mostre collettive in Italia e Europa, tra cui Side effects, nellambito della Xa Biennale di Lione; Annenviertel! The art of urban trasformation, Rotor, a Graz, Austria; Rereading the image, nellambito di Prague Biennale 4; Il grande balzo, Territoria 4, Dryphoto Gallery, a Prato; Idensitat #5, International seminar and workshop, Social creativity and artistic practices, a Barcellona; Neighborhood, Kunstraum, a Klagenfurt, Austria. Nel 2007 al MART di Trento e Rovereto e allIsola Art Center di Milano. Nel 2005 a Palazzo Strozzi a Firenze e allHangar Bicocca di Milano; nel 2004 al Magasin di Grenoble e al Museo di Villa Croce di Genova, solo per citare alcune tra le numerose collettive. Le ultime importanti pubblicazioni che raccolgono i suoi lavori sono M. Cresci (a cura di), Future Images, Federico Motta Editore, Milano 2009; M. Paderni (a cura di), Laboratorio Fotografia Italia, Johan & Levi, 2010.

Paola Di Bello (Napoli, 1961), artista e docente di Fotografia allAccademia di Belle Arti di Brera, Milano. La sua Bote custodisce un pistillo di luce.

camera con vista

ALESSANDRO ZUEK SIMONETTI. THE LAST NEIGHTBORHOOD STANDING

Federica Borgina

Chinatown, Manhattan, New York City, New York, USA, America. Via Paolo Sarpi, Milano, Lombardia, Italia, Europa. Otto ore di viaggio in aereo separano questi due posti eppure il parallelismo sembra immediato. Scritte cinesi, rosse, grandi, monumentali. Cosa c scritto? Il passante distratto non capisce e si sente smarrito. Alessandro Zuek Simonetti italiano, ma vive a New York e spesso passeggia a Chinatown. Tre mondi si intersecano: il suo substrato genetico-culturale, la sua crescita artistica e personale, la contingenza di una cultura millenaria che si insinua in citt straniere ed in grado di piantare radici, ancorate al cemento dei marciapiedi di Manhattan. Stratificazioni diagonali: Cina e Stati Uniti dAmerica, cos lontani, sembrano coincidere, quasi oscurandosi. Sono affascinato dalla cultura cinese, criptica ed ermetica racconta Alessandro. Da tale fascinazione nasce The last neightborhood standing un lavoro in site specific e in progress

che durer cinque anni: lartista ha scelto di documentare la metamorfosi che questo quartiere newyorkese sta vivendo: ristoranti fancy stanno aprendo accanto ai negozi marci di cianfrusaglie e radici, boutique e club esclusivi spuntano come funghi. di sicuro la zona in cui si svilupper un secondo epicentro culturale a Downtown. Lopera in questione consiste nella pubblicazione di un newspeper fotografico, ogni sei mesi, che racchiude i contributi di abitanti di Chinatown, i quali saranno pubblicati solo in cinese, cos come i titoli. La ricerca di Simonetti ha una profondit semantica significativa: la fotografia non solo un medium a servizio di unindagine culturale e sociologica, ma un linguaggio autonomo, un alfabeto visivo con cui lartista comunica con losservatore e fornisce informazioni che testimoniano la metamorfosi del quartiere, colmando il gap comunicativo derivante dalla mancata conoscenza della lingua cinese. Non sicuramente secondaria la componente evocativa e poetica che accompagna queste immagini: basterebbe osservare queste fotografie e socchiudere leggermente gli occhi per sentire quellodore acre e invadente che cattura i sensi camminando sui marciapiedi di Chinatown.
Alessandro Zuek Simonetti (1977), artista, vive e lavora a New York. La sua Bote custodisce una foto di suo padre nelle vesti di pugile, durante un incontro sul ring e una fototessera in bianco e nero di sua madre.

locanda dei forestieri

PROFESSIONE FOTOREPORTER
Francesca Chiacchio: Cosa vuol dire essere fotoreporter? Se qualcuno te lo avesse chiesto prima di diventarlo, cosa avresti risposto? Marco Don: Avevo unidea molto romantica e sicuramente limitata di questa professione. Pensavo che essere fotoreporter significasse essere sempre in viaggio. FC: Ora che sei un fotoreporter, in cosa consiste la tua professione? MD: La mia attivit principale consiste nella ricerca di informazioni. Questo spesso implica di conoscere gente per ottenere alcune informazioni necessarie per documentare fotograficamente un evento, sapere quando, come e cosa succeder. Questo accade solo quando ho il tempo di andare in giro per la citt, scattare fotografie di archivio per avere materiale da proporre su pi argomenti possibili. In realt la maggior parte delle volte si di fronte a un evento che succede. In questo caso latto dello scatto completamente fisico. Ci si immerge nellevento o nella scena a cui si assiste e si comincia a scattare, senza pensieri. FC: Pensi allinquadratura in senso estetico quando sei di fronte a un evento che devi illustrare? MD: No, non hai idea di cosa stai facendo in quel momento, il tuo occhio immediato, recepisce tutto senza la mediazione del pensiero. La maggior parte delle volte non si ha mai tempo di fare ragionamenti a priori. Dopo, osservando le immagini, ti accorgi che inconsapevolmente li hai fatti. un attimo, il momento dello scatto qualcosa di puramente fisico e istintuale! FC: Limmagine viene sempre corredata da un articolo? MD: Si, la didascalia molto importante nel fotogiornalismo, perch ci indica dove e quando levento accaduto. Poich una mia immagine nasce come documento, senza una didascalia perde di significato.

Francesca Chiacchio e Marco Don

Fotografia di Marco Don

FC: Quindi limmagine deve essere obiettiva, nel tuo caso MD: Si, deve esserlo. In realt ci sono diversi fotoreporter che costruiscono le immagini anche di fronte alle situazioni reali che andrebbero semplicemente documentate. Compongono la scena chiedendo alle persone presenti di essere attori, forse lo fanno perch non gli piace la realt cos com e si inventano registi! FC: Quando hai scattato, cosa fai? MD: Ogni situazione ha le sue modalit e la sua tempistica. Nei casi pi estremi, dal momento dello scatto allimpaginazione sui quotidiani, possono passare meno di due minuti. In quei casi indispensabile spedire il servizio velocemente ai giornali, usando connessioni internet con le comuni chiavette, direttamente sul posto. Solitamente non c tutta questa fretta e si ha il tempo di scaricare il materiale nei computer dellagenzia, selezionare una ventina di scatti, mettere il titolo al servizio, mettere le didascalie alle immagini e archiviarle. Contemporaneamente un addetto le

Nel mio lavoro la competizione continua. Nel momento dello scatto i fotografi presenti possono variare da un minimo di tre a un massimo di cinquanta! Il mio stipendio legato alla quantit di immagini che vengono pubblicate, immagina quanto questo mi stimoli in velocit FC: Le immagini che spedisci ai quotidiani come vengono valutate? MD: Nei quotidiani non esiste la figura del
Fotografia di Marco Don

fotoeditor: le immagini non vengono scelte per la qualit, almeno qui in Italia. una figura indispensabile, secondo me, se si pensa a quanti errori vengono fatti: per esempio in unoccasione larticolo parlava di Iarno Trulli, il pilota, e la foto mostrava un trullo di Alberobello!!! FC: Secondo te qual la differenza tra una fotografia di reportage e una fotografia artistica? MD: La differenza sta nella modalit con cui si realizza limmagine. Se si attua una scelta e una selezione con locchio estetico, la foto diventa un prodotto artistico. Mentre nel mio caso il ragionamento non viene fatto prima di scattare, ma solo in un secondo momento. FC: E ora che hai in serbo una personale, il prossimo gennaio alla Galleria Rubin di Milano, cosa cambier nel tuo atteggiamento professionale? MD: Nel lavoro di produzione delle immagini nulla, cambier il ruolo che rivestir. Sceglier le immagini da esporre, tra quelle che ho in archivio, con un metro di giudizio puramente estetico. Sar definito un artista!

prende in consegna, aggiunge parole chiave e codici di categorie alle immagini e le spedisce a tutti i quotidiani con cui lagenzia ha dei contratti. Solo in un secondo momento, e solo in alcuni casi, le stesse foto vengono selezionate per essere proposte a settimanali o a mensili. FC: Oggi sembra quasi scontato pensare che una fotografia si possa scattare in digitale per essere spedita in formato file, un tempo esisteva solo la pellicola MD: Si incredibile come tutto questo succeda solo da pochi anni. Nonostante il digitale abbia esordito 7/8 anni fa, la necessit di inviare quasi istantaneamente le fotografie per essere inserite nei portali di informazione ha iniziato a influenzare notevolmente il lavoro, solo un paio di anni fa. E con la pellicola? E spaventoso vedere che rivoluzione accaduta dopo il passaggio al digitale! Il fotografo prima, aveva anche il compito di stampare chimicamente limmagine in una camera oscura, negli uffici delle agenzie. Le stampe venivano prese in consegna dalladdetto alla distribuzione che trasportava le foto in una borsa rettangolare, per essere distribuite a mano alle varie redazioni. FC: Nel tuo lavoro, la velocit di esecuzione e di consegna determinante rispetto a un fotografo che lavora in studio? MD: La differenza sta nel fatto che un fotografo che lavora in studio, la maggior parte delle volte, ha gi concordato il lavoro. Lunica competizione con le aspettative del cliente.

Francesca Chiacchio (1984), studentessa di Storia dellArte allUniversit La Sapienza, Roma. La sua Bote custodisce alla rinfusa delle immagini per essere riordinate con calma. Marco Don (1980), fotoreporter giornalistico. La sua Bote custodisce un concorso fotografico a cui non ha mai partecipato.

albergo delle vespe

Prima notte in albergo, uno sguardo verso lalto


Ho accettato di collaborare con Bote per riprendere un discorso sullillustrazione che mi sempre parso stentare, almeno in Italia, a trovare uno sviluppo. Lintenzione di abolire uno sguardo esclusivamente retrospettivo sullillustrazione come prodotto artistico che termina la sua vita una volta uscito dalle mani dellautore. Vorrei coglierla invece come soggetto in movimento allinterno di un sistema che io mi figuro essere lAlbergo delle Vespe. La societ delle vespe fatta di autonome lavoratrici che si assorellano per portare avanti la vita del nido. Ognuna col suo sapere specifico concorre alla creazione di un circuito che si sostenta di una tecnica costruttiva e di una dottrina immaginifica della collaborazione. Tempo fa, alla milanese galleria LAffiche, mi ha irretito una scultura di Bau Scarabottolo: un sasso. Con un alveare di buchi. Che Bau, illustratore laconico che di moda dire concettuale, ha chiamato LAlbergo delle Vespe. Nellalbergo delle vespe transitano, sostano e operano professionisti che fanno dellillustrazione un mezzo di comunicazione, una protesi dellego e un frutto da mandare al mercato. Mi viene da pensare che non cos diverso dal meccanismo messo in moto dallillustrazione: unarte industriosa o, se volete, un artigianato di lignaggio artistico. Art-director ed editori, pubblicitari, agenti di rappresentanza e galleristi gravitano con costanza intorno al raro miele delle vespe operaie, tessuto connettivo di una socialit dellimmagine. La vespa ha carattere, si differenzia dalle api, cugine stakanoviste e pedanti, per non perdere mai una propria identit allinterno del gruppo. Forse per questo ostinato individualismo che le vespe praticano lo scambio sociale del cibo come ammenda a un continuo stato di conflitto che anima il loro fare. Ed dal conflitto che mi pare aver visto uscire le migliori idee dellillustrazione. il testo croce e delizia dellillustratore a essere prima di tutto un luogo di conflitto, tensione

Nicolle Dalton
tra la volont dellautore e quella dellinterprete, che nel nostro caso a sua volta anche autore. Uno sdoppiamento di ruoli fatale e fruttifero. In aggiunta, il rapporto tra art-director e illustratore, sigillato nel giro di frasi della commissione, segna i limiti di un campo di forze generatrici, la forma statica un maligno, pericoloso fantasma, ogni buona forma rappresenta quindi delle forze in formazione, genesi e divenire: la struttura un ritmo di particelle. [Paul Klee] Scendo al bar del Gellert e sento il brusio dei bicchieri che scivolano sul banco. Ordino un Bloody Mary. E ritrovo Ferenc Pintr. Mi bussa in testa un libro, un giallo si direbbe in Italia, a dominante rossa. Carr. John Dickson Carr, scrivendo di Delitti daltri tempi, ha giocherellato sulla forma del racconto misterico e fantastico con i colori elisabettiani. E vestito il diavolo di velluto, rosso.Pintr, con la mano del grafico e la sua micidiale testa ungherese, da pensatore della pagina, con due tinte ha rifatto un Rubens che sembra dire con Lady Macbeth: Fatemi denso il sangue. [Macbeth ATTO I scena V] In copertina, un gentiluomo rosso su campo di velluto viola, gorgiera bianca su mantello e cappello a larga tesa. Il diavolo, probabilmente. Fra i ciuffi di capelli e barba, ghigna sanguigno ai lettori e una rete di rughe gli straccia un occhio. Quella rete cola poi come sangue rubino sulle strade di una citt schizzata a penna doca sui risguardi del volume, una di quelle cartine a una dimensione di fallibile prospettiva dallalto, fitte di case e ponti e canali e palazzi e barche e navi sul fiume. Il tocco del genio grafico. Il doppio gioco delle rughe del maligno pericoloso in copertina figura della rete di inganni e di delitti che si stende sulla topografia immaginaria della citt, che non Londra, ma per noi Londra riletta sulla mappa di Firenze, con un Ponte Vecchio di legno sul fiume spropositato e le torri nel fondo. Un ricordo storico, le congiure dei Pazzi e dei Lords che pazzi sarebbero poi diventati Lear.

Ho finito il Bloody Mary nello spazio fra il ricordo e la riflessione. Ma quel libro lho letto da ragazza, mera piaciuto il rosso della copertina e lo sguardo diabolico. Leggevo Dorian Gray e impazzivo per il ritratto che si corrompe. Pintr rendeva a me quel ritratto, e al mio gusto di adolescente la passione per gli effetti drammatici e i colori forti che poi il gusto del pubblico, il gusto popolare. La popolarit della collana di gialli illustrati da Pintr rende evidenza della capacit dellautore di calare un segno colto, multistile e polisemico, in una dimensione di genere nella sua accezione pi piana. Se Francis Bacon fa ghignare i papi di Diego Velasquez, artista quanto il modello perch opera nel medesimo ambito, Pintr che recupera Rubens traghetta invece larte nel genere e ne fa un Omnibus 14 dicembre 2009 Hotel Danubius Gellert, Budapest.

Nicolle Dalton, critica, vive e lavora a Portofino. La sua Bote custodisce gelosamente un fazzoletto.

Il libro indicato di John Dickson Carr, Delitti daltri tempi, collana Omnibus, Mondadori, Milano 1992. La collana Omnibus stata interamente illustrata da Pintr.

aspettando godot

estragone: e che facciamo, ora che siamo contenti? | vladimiro: aspettiamo godot.

A.T.I.R. (NON SIAMO UNAZIENDA DI TRASPORTI)


Nellangolo della nostra scatola dove, sedute, aspettiamo Godot, abbiamo incontrato Serena Sinigaglia e abbiamo scambiato idee e parole, piacevolmente, affacciati dalla ringhiera del suo teatro. Federica Borgina: Come nasce la tua esperienza teatrale e A.T.I.R. Associazione Tetarale Indipendente per la Ricerca? Serena Sinigaglia: Era il 1992, avevo 18 anni, ero iscritta al primo anno di Lettere e mi annoiavo terribilmente. Per un esame di Storia medioevale mi fu chiesto di studiare un libro riguardante la condizione dei contadini nella bassa-padana del 1200. stato il momento decisivo: non potevo avere ventanni e sentirmi spenta, ero piena di vuoti di senso, di politica, di pensiero... Ti parlo degli anni Novanta, in piena Tangentopoli, quando nessuno sapeva pi cosa fosse letica; sono figlia del crollo delle ideologie e di un momento storico in cui la scuola era un parcheggio, per ogni cosa sinventava una scuola, una sorta di parcheggio della giovent. Abbandonata luniversit ho cominciato a fare di tutto, ma proprio di tutto: c mancato poco che non mi mettessi a fare un corso di taglio e cucito; e cos ho incontrato il teatro. Ho incominciato recitando, poi ho fatto il provino di ammissione allAccademia Paolo Grassi per il corso di regia: stato un anno fantastico, eravamo un gruppo di giovanissimi di 18-19 anni e ho trovato quello di cui avevo bisogno: la vita comunitaria, lattivit continua, lo sfogo dellenergia che avevo dentro e soprattutto la verit. Fino a quel momento ero convita che la verit fosse nella politica, ma la bellezza e la verit sono inscindibili, invece nella politica la giustizia e il bene sociale spesso sono scissi. Gli insegnamenti di Vacis e Palazzi sono stati fondamentali e mi hanno spronato e abituato a lavorare in un gruppo. Al quarto anno il mio saggio di diploma fu Romeo e Giulietta di Shakespeare, messo in scena al CRT con gran parte dei miei compagni di corso: fu un successo. I teatri conti-

Federica Borgina e Serena Sinigaglia

nuarono a chiederci lo spettacolo e noi, per poter riproporre lo spettacolo abbiamo formalizzato a livello burocratico la compagnia e cos nata A.T.I.R., risultato di un amore condiviso, anche se il nostro nome sembra un azienda di trasporto pubblico... (ride).

FB: In quale direzione lavorate e come si inserisce nel vostro percorso lesperienza maturata al Teatro Ringhiera? SS: Il nostro gruppo formato da venti persone che codificano un linguaggio stando insieme. Lespressione artistica conseguenza di unurgenza, la critica attuale ancora troppo legata al pregiudizio romantico per cui lartista deve essere povero, aver subito violenza, non aver studiato ed essere stato abbandonato. Ovviamente se in condizioni di assoluta difficolt e precariet di sopravvivenza una persona decide di dedicarsi allarte significa che unurgenza imprescindibile, ma questo non legittima il contrario: siamo figli di una classe sociale per lo pi borghese, abbiamo studiato e ci non ci esclude dalla possibilit di fare arte. Il concetto elitario della cultura creato e alimentato dai critici i quali, per paura di contaminarsi con la televisione, allontanano le persone dalle altre forme di cultura e ne fanno un

uso politico. Nella nostra societ la classe intellettuale non ha pi un ruolo, ci vorrebbe Pasolini... Lesperienza del Teatro di Ringhiera arrivata dopo dodici anni ed stata importante, poich avevamo bisogno di un luogo, di un punto fisso: la natura di A.T.I.R. duplice, nomade e stanziale al contempo. Nomade in quanto abbiamo bisogno di muoverci, di girare il mondo; stanziale perch c bisogno di un punto da cui partire e a cui tornare. FB: Cosa significa fare teatro in periferia? SS: La nostra sede un po fuori dal centro di Milano, ma ben collegata. Quando il comune ci ha dato questo spazio ho avuto limpressione che volessero toglierci dai piedi, come dire intanto l ci vanno solo quattro bolscevichi che amano il teatro, ma contemporaneamente, questa posizione, garantisce una maggiore libert. A noi serviva un teatro, ora lo abbiamo, il fatto che sia in periferia una sfida, ma non ci spaventa. FB: Il tuo percorso articolato fra due estremi: classicit e contemporaneit; in che modo? SS: I classici sono la scuola eterna, la formazione del mondo; la contemporaneit la fondazione delle relazioni con il tempo presente. I classici sono lo strumento, la contemporaneit il contenuto. La cultura classica insegna che la natura umana volubile e che ogni potere corrompe (guarda in TV, tutti continuano a gridare, non parlano, gridano); luomo deve educarsi al bello, un progetto faticoso e doloroso, ma colma i vuoti dellanimo, squarciati dalla violenza e arroganza. Io credo che la missione del teatro, e della cultura in generale, sia la promozione della bellezza, la quale sempre associata alla verit. La classe intellettuale italiana ottusa e si preoccupa solo di dare giudizi con toni apocalittici: un artista non dovrebbe essere giudicato per una performance isolata, ma per il percorso evolutivo che compie. Gli intellettuali e i critici dovrebbero invitare a pensare, germogliare idee, contestualizzare lopera allinterno di un contesto socio-culturale e formale pi ampio. Raccontare la forma del teatro un procedimento quasi impossibile poich il teatro uccide la forma nel qui e ora in cui la crea;

vivesti solo un giorno come le rose cantava De Andr. un punto, ma in continuo movimento. Credo che la critica dovrebbe occuparsi anche di come sia possibile creare una memoria del teatro, applicando, magari, i mezzi di altissima perfezione tecnologica di cui ora disponiamo. Il teatro larte pi umana che possa esistere, intra-umana: mezzo e obiettivo coincidono nelluomo. Potrei continuare a parlare per ore con Serena Sinigaglia, ma credo che nella nostra attesa beckettina siano nati spunti interessanti, curiosit tali da invitare i nostri lettori a passare una sera affacciati alla ringhiera di questo teatro, proprio come ci affacciamo dalle pareti di cartone delle nostre Botes. Cambiare e scoprire, il sale della vita, ma nella libert di scegliersela come ci pare. Teatro Ringhiera via Boifava 17, Milano www.ariteatro.it

Serena Sinigaglia (1973), regista teatrale. La sua Bote custodisce una sigaretta (fatta con tabacco naturalmente, nessuna pubblicit occulta), perch sia lultima.

appunti di viaggio

HORIZONS
Queste scritture di luce nascono durante il caricamento dellapparecchio fotografico, al di l della coscienza e della volont del fotografo. Sono manifestazioni sensibili della luce impresse direttamente sulla superficie foto-sensibile, prima che questa inizi a registrare le immagini intenzionate dal fotografo. Gli Orizzonti sono letteralmente scarti del processo fotografico: gli spezzoni iniziali della pellicola fotografica che il laboratorio sviluppa necessariamente, ma non intenzionalmente, per poter sviluppare lintera striscia di materiale sensibile, rivelandone cos le immagini impresse: le sue vere fotografie. Si tratta di un processo off camera, che avviene in camera: un paradosso che produce immagini prefotografiche non scattate dal fotografo, ma scritte autonomamente dalla luce. Gli Orizzonti sono il risultato di atti di appropriazione: quelle pellicole non sono mie. La mia paternit sta nel riconoscimento e nellattribuzione di senso delloggetto fotografico, non nella presa dello scatto sul reale. Il mio oggetto non il mondo, ma il linguaggio, il codice del mondo. Mi interessa la possibilit dapparizione, la latenza e la rivelazione dellimmagine, la sua manifestazione sensibile, lIcona nata dallintimo rapporto tra luce, chance e supporto. Questi lavori sono immagini Prima del Tempo: in forma latente esse sono attive prima dellincontro, della visione e dellesperienza del fotografo; il linguaggio si gi inscritto sul supporto: la luce si manifestata in forma dimmagine. Gli Orizzonti sono a mio avviso le ultime possibili fotografie del XX Secolo. Nulla rimasto pi da fotografare: Google ci mostra che tutta la realt visibile stata mappata, cos come lintera catena del DNA stata scritta e rappresentata. In realt solo il 4% della materia esistente stata fotografata, il restante 96% classificato in parte come Materia Oscura, in parte con lancora pi enigmatico termine di Energia Oscura. Questi termini designano una realt esistente, ma invisibile agli strumenti basati sulluso della luce e, in gran
nella pagina precedente

Silvio Wolf
parte, anche al nostro pensiero speculativo. Se gli Orizzonti sono le ultime possibili fotografie dellesistente visibile, forse ne sono anche le pi oggettive: loggetto e limmagine delloggetto coincidono, la loro immagine un modello di realt: il limite tra luce e buio, interno ed esterno, presenza e assenza, materia e linguaggio. Il linguaggio non ha pi bisogno delluomo per manifestarsi; oppure, al contrario, il linguaggio e luomo non hanno pi bisogno della cosa a loro esterna per dialogare, mentre si pongono in un intimo rapporto di scambio e di collaborazione: il Linguaggio che (ci) parla. Queste opere rappresentano il confine ultimativo tra lestrema oggettivit fotografica e lastrazione, intesa non come immagine non-referenziale di un oggetto dato, ma come pura interpretazione della luce, fotograficamente rivelata. Il mio arbitrio si gioca nella scelta di quanto bianco (eccesso dinformazione) e di quanto nero (assenza dinformazione) includere: nella posizione in cui porre la soglia, quella linea che separa la luce dalla sua assenza, la latenza dalla sua manifestazione, la potenza dallatto. LOrizzonte indica il qui presente, mentre allude simultaneamente a un altrove possibile. Ogni mio Orizzonti una soglia: un luogo reale e immateriale che unisce ci che separa. Rappresento fotograficamente un luogo desperienza e di transizione, meditativo e senza tempo. Tutta la vita un continuo attraversamento di soglie.

Silvio Wolf, Horizon 14 Yellow, 2006, cm 200x120, C-print, Plexiglas, alluminio

Silvio Wolf (1953) artista. La sua Bote custodisce queste parole: La memoria del futuro, Things are not what they seem, nor are they otherwise.

appunti di viaggio

STEVE MCCURRY. SUD-EST 1980-2009


Palazzo della Ragione, Milano
Il grande salone del Palazzo della Ragione, in centro a Milano, ospita Steve McCurry con una mostra dedicata ai 30 anni pi intensi dellattivit di uno dei maestri del fotogiornalismo. Tanja Solci, curatrice della mostra, Arnoldo Mosca Mondadori, consulente curatoriale e Peter Bottazzi, progettista dellallestimento, hanno fatto s che le 240 fotografie esposte rompessero il tradizionale rapporto frontale con il visitatore dando vita a un suggestivo allestimento che ha trasformato le fotografie in pagine di un racconto tridimensionale: le immagini in mostra cos diventano metaforici rami di alberi in una vera e propria installazione. Sei le tematiche che scandiscono il susseguirsi delle immagini, che evidenziano i contrasti di vita, quei contrasti di cui il viaggio di Steve McCurry, pi volte a Sud e ad Est del mondo - di qui il titolo della mostra - ci rende partecipi: Laltro, il Silenzio e il Viaggio, la Guerra, la Gioia, lInfanzia e la Bellezza. Lo spettatore viene accompagnato in una foresta semi buia fatta di alberi che sono pensieri e di immagini che sono frutti di vita, di mondo. Ogni colonna un albero e ogni albero rappresenta una delle tematiche, a cui sono appese quaranta fotografie: volti di bambini, uomini, donne, monaci tibetani, squarci di paesaggi, acqua, terra e fuoco, si animano in una fitta foresta dove tutto sospeso, dal basso verso lalto: poich frutti delluomo, alberi dai molti frutti che rappresentano luomo e il suo lavoro. Le foto catturano, seducono, allibiscono e sconcertano. Le immagini sono potenti, tutte rappresentano il racconto di un individuo, di un luogo, un momento preciso. I volti e gli sguardi dei bambini allinizio del percorso espositivo accendono una miccia di curiosit e interesse che stenta a spegnersi, che si alimenta e che accompagna lo spettatore in tutto il percorso, attraverso le acque del Gange, le terre rosse dellAfghanistan, le montagne verdi del Tibet o le sabbie della Mauritania. La guerra si palesa allimprovviso e ci si trova in mezzo alla violenza. USA, Afghanistan, Kuwait, Libano: lo spettatore colpito dalla portata epica di ogni immagine.

Antonella Scaramuzzino

Steve McCurry, Boy in Mid-Flight, Jodhpur, India, 2007 Copyright Steve McCurry

Le cause di una guerra sono spesso nascoste dice McCurry le conseguenze, manifeste. Poi il quotidiano riemerge dalla polvere e dalla coltre di petrolio che tutto e tutti ha coperto, lascia il posto allimmediatezza di un sorriso e coglie i fiori della leggerezza e della normalit, attraverso il tema della gioia e dellinfanzia: una mamma col suo bambino, due uova esibite come un tesoro, il pane, la vita nei suoi momenti pi intimi. E infine la Bellezza, la bellezza negli occhi di tre bambine, tre piccole donne che ci guardano coi loro occhi da grandi. Sofferenza, preoccupazione, paura traspaiono da quegli occhi e fierezza, dignit, come nel volto del famoso ritratto della bambina afghana dagli occhi chiari e dal velo amaranto e speranza, come nel volto della bambina di Herat che tiene stretti a s i suoi libri, nonostante lattacco appena subito nella sua scuola. Sono volti di speranza, che cercano rifugio solo nella realt, lontano dalla demenza delle finzioni, come dice Armando Torno. Ed in questo modo che, impercettibilmente, la vita ci penetra sotto la pelle ed come bere da un bicchiere sempre colmo. [Steve McCurry]

Antonella Scaramuzzino (1982) studia Storia dellarte allUniversit Cattolica di Milano. La sua Bote custodisce una biglia.

Fotografia Astratta, dalle avanguardie al digitale


Lesposizione, nata nel 2008 in collaborazione con ArtVerona e il Centro Internazionale di Fotografia Scavi Scaligeri, si autogenera, attingendo dallarchivio stesso del Museo, ripercorrendo la storia del Novecento e includendo il passaggio dallanalogico al digitale. Il titolo della mostra, di per s un ossimoro, racchiude la dialettica, sempre intrinseca nella storia della fotografia, tra veridicit del mezzo fotografico come traccia del reale e le sue possibilit artistiche. La mostra un percorso, una riflessione, sul significato della fotografia astratta e sul suo legame con la pittura, snodandosi in due filoni principali. Da una parte artisti che operano sulla materia fotografica per creare forme astratte, dallaltra artisti che, partendo dallelemento reale, lo trasfigurano fino a renderlo astratto. Linteresse per le forme astratte attraversa il 900 a partire dalle Avanguardie in modalit differenti, ma accomunate dal rifiuto al naturalismo e dalla valorizzazione degli elementi formali e strutturali.

Jacopo De Gennaro

Museo di Fotografia Contemporanea, Cinisello Balsamo


Il primo a parlare di fotografia astratta stato Luigi Veronesi, intendendo il fotogramma come espressione di un orientamento astratto che influenza gran parte dellarte contemporanea. Negli anni Cinquanta e Sessanta, infatti, linteresse per una fotografia non realistica riprende vigore soprattutto grazie alla figura di Otto Steinert e della Sujektive Fotografie. In questo clima si inserisce la ricerca sulle forme urbane di Aaron Siskind che staccandosi dalla realt crea una risignificazione delle immagini e della materia. Lopera di Mario Giacomelli che, nei suoi paesaggi agricoli, crea forme astratte connesse ad una sensibilit informale dal forte sapore tipografico. Ricerche riprese dalle neoavanguardie come ricerca metalinguistica del medium. Come dimostrano gli esperimenti di un giovane Olivo Barbieri che unisce la casualit della composizione chimica a frasi di Claude Plieu e quelle di Paolo Gioli, che realizza autoritratti e ritratti Polaroid stenopeici disturbati da piccoli oggetti di forma astratta. In anni recenti troviamo gli esperimenti di Silvio Wolf, Horizons, che, esponendo casualmente spezzoni di pellicola fotografica durante il caricamento, rivela lambiguit tra latenza e realt. E la ricerca digitale di Jean-Luis Garnell che in Modules, Images realizza, affidandosi al computer, un lavoro di deframmentizzazione e ricomposizione creando unesplosione di forme colorate in masse organizzate in cui il rapporto immagine-realt viene di nuovo messo in discussione, dando vita ad una virtualit reale ma allo stesso tempo astratta.

Jacopo De Gennaro (1982), artista, teorico inconsapevole. Nella sua Bote metterebbe se stesso, al riparo dallesterno caotico e chiassoso, ogni tanto uscirebbe a sbirciare per osservare, per comprendere chiunque incontri al di fuori del suo guscio, sperando di incontrare un altro se stesso.
Luigi Veronesi, Fotogramma, 1978

appunti di viaggio

YAYOI KUSAMA, I WANT TO LIVE FOREVER


PAC Padiglione dArte Contemporanea, Milano
Dipingevo la noia che, nella vita, pi importante della luce e del sole che dipingevano gli impressionisti Yayoi Kusama
Ma non solo la noia presente nelle opere di Yayoi Kusama, anche la solitudine, la disperazione, lironia, la forza, la poesia, la vita, la natura, lossessione nelle sue innumerevoli sfaccettature ma con una sola dominante rappresentazione il punto. Non inteso come fine ma come autoterapia, continuum, eterna valvola di sfogo per sfuggire al mondo reale legato agli obblighi e ai doveri di una donna giapponese nata a Matsumoto City nel 1929. Dipinge dallet di dieci anni e lavora ancora ogni giorno, in modo coerente, senza mai tradire dots e nets che la ispirano, che lhanno trasformata in artista e che vede nelle sue allucinazioni: i puntini proliferano da una visione allaltra senza sosta. Kusama non fa altro che dargli sfogo su tele, andando a formare una seconda pelle estranea al corpo umano, su forme vegetali, come le zucche - considerate da molti lalter ego dellartista - su abiti, uomini e animali. Le reti legano pensieri in un flusso straboccante e nellarte coprono ogni cosa trasformandola. Le piccole forme falliche, segregate in una concezione negativa imposta dalla societ, proliferano in angoli nascosti dellimmaginazione e nella realt prendono vita inondando sedie, divani, pareti, perdendo forza allinterno e acquistandola allesterno senza far pi paura. Aperture e chiusure convivono nello stesso istante. Il lavoro di Kusama ha girato il mondo e continua a viaggiare non solo nello spazio ma anche nel tempo: i suoi fiori, Flowers That Bloom at Midnight, non appassiscono mai e rimangono dai colori accesi; i petali, i punti, i prezzi non cadono ancora; grandi estensioni di sfere, puntini e sguardi moltiplicati dai giochi di specchi, ammutoliscono tra acqua e piccole luci, in una stanza chiusa, un cubo buio, magico, sicuro, catartico e onirico, Aftermath of Obliteration of Eternity, allindomani della scomparsa delleternit, le conseguen-

Serena Zacheo

Yayoi Kusama, Aftermath of Obliteration of Eternity, 2009 Courtesy Gagosian Gallery

ze spiacevoli della distruzione delleternit, il superamento di un vago ricordo di eternit una dichiarazione di amor perduto, una domanda, una presa di coscienza dopo lennesima estenuante visione ad occhi aperti. Sarebbe riduttivo rinchiudere le opere dellartista in una definizione univoca, anche se lei stessa, dopo essere riuscita a fuggire dalla sua citt e dalla sua nazione, trovando respiro a New York, ha deciso, dopo la morte del padre e di un amico, di tornare in Giappone, e di rinchiudersi volontariamente in una clinica, dove ha continuato per a scrivere e lavorare. La sua arte una ripetizione mai uguale a se stessa, un autoritratto, unestensione dellanima e della mente di una donna che vuole vivere per sempre, che vive per la sua arte e larte, in cambio, la lascia sopravvivere. La sua vita un cerchio chiuso e ci che lha resa libera la tiene prigioniera da sempre. La malattia mentale le ha permesso di diventare ci che , ed stata per Kusama la pi grande opera della sua vita, la possibilit che lei stessa ha saputo sfruttare e grazie alla quale si liberata dal mondo, dai luoghi comuni e da un potenziale suicidio fisico o mentale, riuscendo per, col passare degli anni, a trascinare il mondo con s.
Serena Zacheo (1980), laureata allAccademia di Belle Arti Europea dei Media A.c.m.e., Milano. Collabora con Careof DOCVA, Milano. La sua Bote custodisce una piccola calamita.

Emanuela De Cecco, Gianni Romano, Contemporanee. Percorsi e poetiche delle artiste dagli anni Ottanta a oggi, Postmedia Books, Milano 2002.

prendi cura di te stesso


Dal 27 gennaio al 2 febbraio Ragazze. Nelle lande scoperchiate del fuori. di e con Lellla Costa, Teatro Carcano corso di Porta Romana 63, Milano www.teatrocarcano.com Fino al 9 febbraio 2010 Alika Cooper, Allison Schulnik, Bryson Gill, George Young, Jacob Tillman, Kate Lyddon, Marius Bercea, Close to Home. Galleria Davide Di Maggio, viale Monza 10, Milano www.galeriedavidedimaggio.com Dal 2 al 14 febbraio 2010 Le pulle. Operetta morale. Testo e regia di Emma Dante, CRT, Teatro dellarte, viale Alemagna 6, Milano www.teatrocrt.it Dal 16 febbraio al 14 marzo 2010 Il banchiere anarchico. di Fernando Pessoa, regia di Marina Spreafico, Teatro Arsenale, via C. Correnti 11, Milano www.teatroarsenale.it Fino al 25 febbraio 2010 David Tremlett, Drawn Rubbed Smeared, A Arte Studio Invernizzi via Scarlatti 12, Milano www.aarteinvernizzi.it Fino al 28 febbraio 2010 Film e video dartista anni 70 Ar.ri.vi Archivio Ricerca Visiva via S. Botticelli 8/a, Milano www.ar-ri-vi.org 6/7 marzo 2010 Inaugurazione della nuova sede Elfo/Puccini, corso Buenos Aires 33, Milano Angels in America I e II di Tony Kushner, regia di Ferdinando Bruni ed Elio DeCapitani www.elfo.org

GENNAIO

LA TUA PORZIONE DI STELLE


CINEMA - Fotografia Italiana, 5 film 5 grandi fotografi, di Daniele Federico, Giart - Visioni dArte, 2009 - Poesia che mi guardi, di Marina Spada, film documentario sulla vita di Antonia Pozzi, Miro Film, 2009 LIBRI - Vegetali Ignoti, Postmedia Books, Milano 2009 - Massimo Minini, Mai scritti, Edizioni La Quarta, Brescia, 2009 - Silvana Turzio, Gianni Berengo Gardin, Bruno Mondadori, Milano 2009 - Diego Mormorio, Meditazione e fotografia. Vivendo e ascoltando passare lattimo, Contrasto, Roma, 2008 - Roberta Valtorta, Volti della fotografia. Scritti sulle trasformazioni di unarte contemporanea, Skira, Milano 2005 MUSICA - A Moment of Stillness, God Is An Astronaut, 2006 - Stanze, Massimo Volume, 1993 SCROBBLING: Alessandro Zuek Simonetti August Sanders, Larry Clark, Ari Marcopolus, Glen E. Freedman, Daydo Moriyama, Bruce Davidson, Diane Arbus e Bruno Munari, Joel Peter Witkins

MARZO

FEBBRAIO

Vogliamo custodire nella nostra Bote il ricordo di Alda Merini. Ne citiamo un piccolo verso, che racconta il rapporto che la Poetessa triste aveva con la macchina fotografica: il legame con il suo fotografo ufficiale Giuliano Grittini, che lha seguita per oltre ventanni e al quale lei dedic un Canto damore...

Lui ha percorso mari e monti per conquistarmi ma io sono un tronco di puro silenzio e non gli far vedere il fogliame.

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