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TUTELA DELLA BIODIVERSITA E PRODUZIONE BIOLOGICA

Giovanni Figliuolo Dipartimento di Biologia Facolt di Agraria Universit degli Studi della Basilicata

Sommario
UN MODELLO EUROPEO PER LA TUTELA DELLA DIVERSITA BIOLOGICA ................................................ 2 LAGRO-BIODIVERSITA ......................................................................................................................................... 3 RISORSE GENETICHE DI PIANTE LEGNOSE DA FRUTTO ................................................................................ 6 COME SI MISURA LA BIODIVERSITA .................................................................................................................. 7 MAPPATURA SPAZIALE DELLA BIODIVERSIT ................................................................................................. 9 IL CONTESTO TERRITORIALE ED ECOLOGICO .............................................................................................. 12 IL CONTESTO CULTURALE ................................................................................................................................. 13 LA SCALA STORICA .............................................................................................................................................. 14 RISULTATI DI UN CASO STUDIO ........................................................................................................................ 17 ROSACEAE ................................................................................................................................................................ 20 VITACEAE ................................................................................................................................................................ 29 OLEACEAE ............................................................................................................................................................... 30 MORACEAE .............................................................................................................................................................. 31 RHAMNACEAE.......................................................................................................................................................... 34 PUNICACEAE............................................................................................................................................................ 35 CORYLACEAE ........................................................................................................................................................... 35 JUGLANDACEAE ....................................................................................................................................................... 36 FAGACEAE ............................................................................................................................................................... 37 EBENACEAE ............................................................................................................................................................. 38 FAMIGLIE DI SPECIE MINORI ................................................................................................................................... 38 TUTELA DELLE RISORSE GENETICHE FRUTTICOLE ..................................................................................... 41 LAGRICOLTURA BIOLOGICA ............................................................................................................................ 43

UN MODELLO EUROPEO PER LA TUTELA DELLA DIVERSITA BIOLOGICA


Il declino e lestinzione di specie (selvatiche e domesticate) in Europa incalza ad un ritmo allarmante e, gli interventi sul paesaggio non possono che avvenire allinsegna della sostenibilita. Il 40% della superficie dellEuropa e classificata vulnerabile a causa di impatti pregressi sulla biodiversit ed ai servizi ecosistemici connessi. La perdita di diversit biologica rappresenta un danno cosi elevato per lEuropa che, tra gli obiettivi da perseguire indicati dalla Commissione, si prevedeva che gli Stati membri potessero ridurre significativamente o arrestare la perdita di biodiversita entro il 2010 sia su scala locale che europea. Questo obiettivo stato ampiamente tradito. Lattivazione di azioni concrete supportate dalla programmazione agricola piu recente (Fondo per lo sviluppo rurale) e da altri programmi piu specifici (Life e di Cooperazione) dovrebbe favorire la conservazione della diversit biologica a livello di habitat, ecosistemi e di singole aziende agrarie. Laver svincolato il sostegno comunitario dei redditi agricoli dal tipo di produzione agraria, con lintroduzione della condizionalita ambientale ha significativamente aumentato lindice di biodiversita nelle aziende agrarie negli ultimi anni. Tra i numerosi schemi di agricoltura sostenibile, per tutta una serie di ragioni gestionali e tecniche si ritiene lagricoltura biologica, e lagricoltura che usa metodi di lotta integrata, avrebbero dovuto svolgere un effetto benefico sulla biodiversita. Lattuale paesaggio europeo si presenta come un variegato mosaico di habitat. La connessione tra le unita di maggiore interesse naturalistico e costituita da superfici fortemente impattate dallantropizzazione. Lincidenza delle superfici cementificate supera il 10% dellarea totale di alcune Regioni (es. Lombardia). Un impatto primario svolto anche dai sistemi agricoli ed agrosilvo- pastorali. La componente delle superfici agro-forestali piu impattate, cio quella costituita dai cosiddetti terreni arabili andrebbe a sua volta classificata in base al tipo di agricoltura che si svolge, a partire da quella tradizionale e piu rispettosa della natura fino a quella cosiddetta convenzionale ovvero figlia della rivoluzione verde. Le superfici agrarie destinate agli alberi da frutto dal punto di vista dellimpatto sulla biodiversit incidono meno dei terreni arabili destinati alle colture annuali. Lassenza di vaste aree selvagge e la consapevolezza che la conservazione delle specie sia possibile solo tramite unappropriata gestione del paesaggio ha comportato lemanazione della Dir. Habitat (Dir. 43/92/CEE) che ha instituito una serie di aree protette integrate secondo una rete. Tra queste, le aree SIC (Siti di Interesse Comunitario) e ZPS (Zone a Protezione Speciale) con 25.000 siti che coprono approssimativamente il 20% dellUE-27, costituiscono la rete Natura 2000. E inevitabile che lattivita di molte aziende agricole e delle micro, piccole e medie imprese (il 99,8% del totale delle aziende dellUE) si svolgano allinterno o nelle immediate vicinanze dei Siti. 2

A questa superficie si aggiunge o, come piu spesso accade, si sovrappone quella dei Parchi Nazionali e dei Parchi Regionali o sub-nazionali per un totale di 46.761 aree protette ed un incremento di circa il 25% tra il 2000 ed il 2007. Allinterno di questa rete lagricoltura e le attivita di impresa dovranno essere compatibili con la conservazione della natura. Pertanto, a causa della peculiare ecologia del paesaggio, lEuropa non ha potuto e non potra permettersi di separare grandi spazi naturali (parchi) da quelli condizionati dalle attivita umane (es. agricoltura intensiva ed altre attivita di impresa). Infatti gli ecosistemi agricoli dellEuropa (escludendo gli ecosistemi forestali, le praterie e zone umide) comprendono 338.000 Km2 di aree protette, contro i 97.000 del Nord America e i 45.000 dellOceania. Il regime di proprieta (per lo piu privato), la struttura e dimensione delle superfici (mediamente piccola), il tipo di gestione colturale e, linterazione con aree protette e/o vincolate (parchi, siti di interesse comunitario, fasce sottoposte a vincoli idrogeologici, ecc.) sono tutti elementi che costituiscono una realt radicalmente opposta al modello americano ed australiano fatto di agricoltura specializzata su ampie superfici ma anche di grandi ed estesi parchi naturali in cui si tutela la wilderness. Non a caso, per quanto riguarda la tutela della natura, in nord America si e affermata la Conservation Biology che si basa sul modello SLOSS (Single and Large Or Several and Small) il quale prevede che grandi aree siano migliori di piccole e molteplici nel conservare la natura. Al contrario la scuola dominante in Europa, per gli ovvi motivi sopra citati, la Landscape Ecology la quale considera che la biodiversita si massimizzi in un contesto di paesaggio variabile composto da un mosaico di unita ecologiche in cui in primis rientra gran parte del paesaggio agro-silvo-pastorale. Con lobiettivo di conservare la biodiversita ed i connessi servizi ecosistemici (acqua pulita, aria salubre, clima locale, ecc.), su scala europea si e andato a definire un tipo di paesaggio che richiede una agricoltura meno intensiva in grado di coesistere con una rete di aree protette con relative piccole dimensioni. Un tipo di agricoltura che risponde ai principi della sostenibilit, unagricoltura che prevenga linquinamento, migliori la qualit dei prodotti, conservi la biodiversit e riduca il volume produttivo. E questa la definizione proposta dal Wgeningen memorandum ed acquisita nellUE. Sul fronte del mercato, come risposta a gruppi di pressione e per assicurare le forniture alle catene commerciali (piccole e grandi), non solo le piccole aziende ma anche le grandi societ di business sono fortemente orientate a certificare con marchi eco i propri prodotti.

LAGRO-BIODIVERSITA
A partire dal Neolitico alla selezione naturale si sovrapposta quella artificiale esercitata da agricoltori e pastori. Dalle popolazioni di specie selvatiche sia animali che vegetali sono state selezionate ed allevate in un ambiente modificato parzialmente dalle tecniche gestionali delluomo 3

numerose variet appartenenti alle differenti specie. Questo avvenuto nellarco di millenni ed ha contribuito ad un aumento della biodiversit delle specie domesticate sia come ricchezza di variet entro specie che come consistenza delle stesse variet nei vari territori. Questo insieme di popolazioni (pool-genico) variabili non solo al loro interno ma anche tra di loro sono le risorse genetiche agrarie e rappresentano una parte significativa dellagro-biodiversit. Questultima, in realt include anche i parenti selvatici delle specie domesticate, i microrganismi del suolo agrario e, pi in generale tutte le componenti biotiche e culturali (tradizioni ed agrotecniche) tipiche della struttura e dei processi dellagro-ecosistema (Figura 1). In particolare, lagro-biodiversit comprende: Variet coltivate per la raccolta; Animali domesticati; Pesci; Specie selvatiche parenti di quelle domesticate (alberi, erbe, arbusti, pesci selvatici). Specie che non si raccolgono in ecosistemi produttivi ma fungono da supporto alla produzione di cibo (microflora dei suoli, insetti impollinatori, ecc.); Specie che non si raccolgono presenti in ambienti pi vasti, che fungono da supporto agli ecosistemi dediti alla produzione di cibo (agricoli, pastorali, ecosistemi acquatici e forestali).

Figura1. Agro-biodiversit come componente della biodiversit totale.

Lagro-biodiversit una risorsa strategica per lumanit perch da essa dipende la stabilit e la sicurezza alimentare cos come la produzione di beni non alimentari come farmaci, fibre e bioenergie. Di seguito si elencano i ruoli principali svolti dallagro-biodiversit. Aumentare la produttivit, la sicurezza alimentare ed i ritorni economici. Ridurre limpatto dellagricoltura su aree fragili, foreste e specie minacciate. Rendere i sistemi di coltivazione pi stabili, robusti e sostenibili. Contribuire alla gestione di parassiti e malattie. Conservare suolo, aumentare la fertilit naturale del suolo e la sua salute. Contribuire ad una intensificazione sostenibile. Diversificare i prodotti e le opportunit di reddito. Ridurre i rischi o ampliare le opportunit ad individui e nazioni. Aiutare a massimizzare luso efficace di risorse e di ambiente. Ridurre la dipendenza da input esterni. Migliorare la nutrizione umana e provvedere fonti di medicine e vitamine. Conservare la struttura e la stabilit dellecosistema e della diversit di specie.

Da quanto appena rappresentato appare evidente che lagro-biodiversit il carburante dellagricoltura sostenibile. In assenza di risorse genetiche agrarie e delle componenti biotiche che caratterizzano un agro-ecosistema funzionale e resiliente (capace di reagire a impatti di varia natura) non si pu realizzare unagricoltura sostenibile (es. agricoltura biologica). A partire dal 1930 lagro-biodiversit diventata la componente della biodiversit totale pi vulnerabile. Dal 1900 il 70% della diversit genetica vegetale (razze locali e popolazioni localmente adattate) stata perduta per dare spazio alle variet commerciali geneticamente uniformi e ad alta risposta in ambienti con elevato uso di input. Il 30% degli animali allevati sono a rischio di estinzione. Il 75% del cibo mondiale generato solo da 12 specie di piante e 5 specie animali. Del 4% di 250.000-300.000 specie di piante edibili, solo 150-200 sono usate dagli uomini. Solo 3 riso, mais e grano contribuiscono circa il 60% di calorie e proteine che gli uomini ottengono dalle piante. Gli animali forniscono circa il 30% delle necessit umane per cibo ed agricoltura ed il 12% della popolazione mondiale vive quasi interamente con prodotti derivati dai ruminanti. (FAO, 1999). L espansione della rivoluzione verde (intensivizzazione dellagricoltura, agro -industria), la globalizzazione commerciale delle catene alimentari e la sostituzione delle variet locali con quelle esotiche e commerciali rappresentano i principali determinanti della scomparsa (erosione genetica) delle risorse genetiche agrarie .

RISORSE GENETICHE DI PIANTE LEGNOSE DA FRUTTO


Lalbero da frutto nel paesaggio agrario indica una delle forme pi elevate e sofisticate della presenza umana sul territorio sia per linnovazione tecnologica necessaria per allevare ad una pianta a lungo ciclo di vita che per lintegrazione degli alberi allinterno dei pi ampi equilibri della natura. Nel paesaggio rurale dellAppennino Italiano ancora possibile individuare piante da frutto antiche, cio antiche variet (considerate obsolete dallindustria) a noi trasmesse dai nonni e dai bisnonni. Questi biotipi (tipi genetici unici allinterno di una popolazione o di una famiglia segregante) quasi sempre sono stati propagati per via clonale (tramite polloni radicali o innesto) a causa del loro intrinseco valore alimentare e culturale. Essi, dal punto di vista della genetica della trasmissione dei caratteri, sono il frutto della ricombinazione ed assortimento di rare (dal punto di vista probabilistico) combinazioni geniche. Per ottenere queste combinazioni, ripartendo dai progenitori selvatici, tramite un programma di miglioramento genetico, sarebbe necessario attivare alcuni cicli di incrocio e selezione che richiederebbero qualche milione di euro ed almeno due generazioni di breeders. Si capisce bene, quindi, perch gli antichi fruttiferi rappresentino una risorsa genetica da tutelare e promuovere. Il monitoraggio di questa importante componente della biodiversit domesticata indispensabile, soprattutto nelle aree ancora rurali, per poter responsabilmente contribuire agli obiettivi di conservazione fissati dalle Convenzioni Internazionali e favorire tutte le auspicate positive ricadute (ecologiche, economiche e sociali). Come ormai a tutti noto, la componente domesticata della diversit biologica derivata dallattivit di selezione e domesticazione condotta dalluomo negli ultimi 9000 anni. Oggi solo una frazione - il 25% di quanto presente nel 1800 secondo la FAO - ancora reperibile presso i comprensori rurali meno impattati dalle attivit umane. In parte, questa risorsa, ancora utilizzata per scopi economici e, come dimostrato dalla funzione svolta dai prodotti tipici, rappresenta nel mondo globalizzato una delle poche materie prime associate ad attivit e funzioni non delocalizzabili. Quindi, termini come biodiversit domesticata, la sua conservazione, la promozione e lo sviluppo del territorio sono argomenti strettamente correlati. La biodiversit, quantitativamente, si esprime con il numero di differenti entit tassonomiche (specie e variet entro specie), ponderato con le relative abbondanze. La quantificazione della variabilit e delle consistenze delle cosiddette razze locali uno strumento importante nelle mani del gestore del territorio. E' necessario anche conoscere il preciso sito in cui la pianta ancora presente e le forze che bisogna controllare affinch si possa interrompere quel processo di erosione genetica che porterebbe all'estinzione sicura della variet.

Come si pu tutelare, valorizzazione e promuovere la biodiversit domesticata se non si valutano gli indicatori relativi allo stato di conservazione, consistenza, distribuzione sul territorio e l'attuale utilizzo? Solo con un monitoraggio diretto del mondo rurale possibile: 1) quantificare la ricchezza di specie diverse e di variet entro specie; 2) mappare la distribuzione spaziale della diversit genetica; 3) valutare il grado di vulnerabilit di ciascun biotipo. Una mappatura precisa di queste risorse rappresenta la linea di base da cui partire per gestire correttamente le attivit di conservazione biologica ed uso economico.

COME SI MISURA LA BIODIVERSITA


Il termine biodiversit deriva da quello anglosassone biodiversity che etimologicamente significa diversit biologica. La Convenzione di Rio sulla Diversit Biologica (CBD) ha coniato una definizione olistica di biodiversit il cui significato e la cui interpretazione possono essere adeguate al contesto dei differenti Stati del Globo. Dal punto di vista operativo, la diversit biologica si pu e si deve misurare. Le misurazioni possono riguardare i differenti livelli gerarchici di organizzazione della biosfera: a) tra paesaggi; b) tra ecosistemi/habitat entro paesaggio; c) tra specie entro habitat; d) tra individui entro popolazione/specie. Differenti metriche (indicatori) possono essere usate per effettuare le stime di biodiversit. Esistono indicatori sintetici come ad esempio il numero di ettari per categoria di uso del suolo o i Km lineari di strade per misurare il grado di frammentazione ecologica (livello di paesaggio) oppure il grado di eterozigosi di una popolazione per valutare il grado di adattamento allambiente di una specie nel suo habitat naturale (livello genetico e di popolazione). Gli indicatori pi comuni ed ampiamente utilizzati sono quelli che valutano la diversit entro e tra unit di paesaggio con il numero totale di specie (indice di ricchezza). Lindice di ricchezza racchiude un basso livello di informazione e non consente una interpretazione dinamica del contesto ecologico. Come gi accennato, la ricchezza di specie deve essere ponderarla con labbondanza relativa (numero di individui o percentuale di copertura in caso di piante erbacee) entro ciascuna unit di campionamento (parcella, singolo campo, singola azienda, ecc.). Segue un semplice esempio con cui si riportano due unit di campionamento (caso 1 e caso 2). Nella prima unit sono presenti 2 specie (A e B) di uguale numerosit (50 individui di A e 50 individui di B) e tipiche (in termini di specificit e funzione) dellagro -ecosistema. Nella seconda 7

unit sono presenti 5 specie differenti con numerosit relativa fortemente sbilanciata (80 individui di A, 10 di B, 5 di C e 5 di D). Se si considera il valore assoluto della ricchezza di specie diverse si indotti a pensare che la biodiversit sia pi elevata nel secondo campo. Ad un esame pi attento si osserva, per, che una di queste specie, la specie C, un cardo invasivo, subentrato in seguito ad un impatto (dissodamento con trasmissione di semi contenuti nelle deiezioni di animali al pascolo). Le caratteristiche di invasivit della specie C lasciano prevedere un rimpiazzo con estinzione delle specie funzionali A e B. In realt la specie A avvantaggiata dallimpatto (nel breve periodo!) tanto da incrementare la sua abbondanza (passa da 50 a 80 individui), la specie B invece svantaggiata (diventa rara e quindi vulnerabile di estinzione), mentre pur non essendo una invasiva la specie C una nuova arrivata e, probabilmente transeunte e non idonea in termini di funzionalit al contesto ecologico. Da queste poche considerazioni si desume che un appropriato indicatore di biodiversit dovr considerare labbondanza (e, quindi, la rarit) di ciascuna specie.

Labbondanza e la rarit contengono informazioni circa il dinamismo spaziale e temporale di ciascuna specie. Lindicatore di biodiversit dovr quindi essere valutato in relazione alle forze di impatto (driving forces), ai metodi gestionali pi appropriati (sistema di gestione aziendale) ed in relazione agli obiettivi ecologici da raggiungere. Questi ultimi vanno definiti prima di attivare il monitoraggio e dovranno integrare come valori di base la composizione, struttura e funzione delle componenti biologiche capaci di assicurare resilienza al sistema nel medio-lungo periodo. Un 8

indicatore di biodiversit tanto pi appropriato quanto pi in grado di valutare la prospettiva di conservazione di una entit tassonomica nel tempo. Si desume, pertanto, che lindice di Simpson pi appropriato del semplicistico indice di ricchezza. Esso molto appropriato per popolazioni finite e per piccoli campioni e misura bene la biodiversit entro ciascuna unit di campionamento. Lindice (S) il rapporto tra la sommatoria dei prodotti tra n (individui catturati da ciascuna specie) ed n-1, considerati per tutte le specie, e Nx(N-1) dove N il numero di individui complessivo. S dal punto di vista statistico rappresenta la probabilit di campionare due individui della stessa specie nella stessa unit di campionamento. Con il rapporto D = 1/S si ottiene un valore della biodiversit compreso tra 0 e 1. Allo stesso modo si pu calcolare la diversit come D = -log S (nellesempio). Nellesempio si osserva che nellunit di campionamento 2 la biodiversit pi bassa rispetto allunit 1 (D=0,18 vs D=0,31). Come esercizio calcolare lindice di biodiversit di Simpson in due unit di fferenti di campionamento con i seguenti valori di copertura specifici delle differenti specie:

% di copertura Campo 1 (n) Specie A Specie B Specie C Specie D N 33,3 0 33,3 33,4 100 Campo 2 (n) 5 50 30 15 100

Questo indicatore si pu usare anche per misurare la diversit intra-specifica costituita, come nel caso dei fruttiferi o dei vitigni, da variet e biotipi. In questultimo caso la ponderazione per labbondanza degli individui va condotta per ciascuna variet, biotipo o specie (in funzione della componente di biodiversit analizzata).

MAPPATURA SPAZIALE DELLA BIODIVERSIT


Con il metodo appena esposto possibile misurare la diversit biologica con un valore che va da 0 (minimo) ad 1 (massimo) entro ciascun campo o azienda. Queste misure si possono integrare ad una scala di paesaggio. Nel caso delle piante perennanti, con lausilio delle coordinate geografiche possibile realizzare la mappatura territoriale degli indici di ricchezza biologica permettendo di individuare unit di superficie in base alla distribuzione geografica di ciascuna specie e delle

differenti variet. Pertanto si potranno osservare quattro tipologie di distribuzione ecologica di biotipi e specie (figura 2) che sono le seguenti: a) comuni ed ampiamente distribuite (CAD); b) comuni e localmente distribuite (CLD); c) rare ed ampiamente distribuite (RAD); d) rare e localmente distribuite (RLD). La prima categoria (CAD) ha un ampio intervallo adattativo ed rappresentata da tipi poco vulnerabili. Le categorie b (CLD) e c (RAD) sono moderatamente vulnerabili mentre la categoria d (RLD) fortemente vulnerabile. Se il livello di indagine riguarda caratteri genetici (trasmissibili ereditariamente) o veri e propri geni la categorizzazione appena esposta continua a mantenere il suo rigore. Nella figura 2 rappresentata la distribuzione spaziale della diversit biologica intraspecifica rappresentata da differenti variet.

Figura 2. Rappresentazione della possibile distribuzione spaziale (ogni unit di superficie un singolo rettangolo) di 4 differenti variet ( X, Y, Z, e W) appartenenti ad una specie vegetale. La variet Y comune ma localmente distribuita. La variet Z rara e localmente distribuita. X invece comune ed ampiamente distribuita nello spazio mentre Z rara a livello locale ma ben distribuita sullintero territorio/paesaggio. Chi pianifica la conservazione della diversit biologica in situ (cio nelle nicchie ecologiche in cui le risorse genetiche si sono evolute ed adattate), dovr seguire il principio della massima parsimonia che consiste nel massimizzare la conservazione biologica con il minimo costo. Bisogna pertanto identificare il numero minimo dei siti (aziende, territori) che custodiscono tutta la diversit biologica. Tutte le quattro categorie di distribuzione riportate in figura 2 dovranno, pertanto, essere catturate da un numero minimo di siti. Con questo approccio si arriva a definire il numero minimo 10

di unit territoriali che custodiscono tutte le tipologie di variet censite in base al principio di complementarit. Nellesempio in figura 2 le azioni di conservazione in situ possono essere praticate solo nellunit 2 del settore alto e basso del territorio. Queste unit territoriali di superficie minima consentono di conservare il massimo della diversit genetica con il minimo costo. E questo criterio di mappatura adottato nel Parco Nazionale del Pollino per i fruttiferi antichi ancora coltivati in situ. La mappa 1"al netto della biodiversit censita" integra siti con elevata ricchezza e siti con risorse genetiche rare ed uniche. Solo questi siti potrebbero essere oggetto di programmi di conservazione in situ.

Mappa 1. Riserva genica per gli antichi fruttiferi del Parco Nazionale del Pollino progettata con il principio di complementarit di Rebelo. Tutti i quadrati presi insieme catturano contemporaneamente variet rare e localmente distribuite e, variet comuni ed ampiamente distribuite. Per una rappresentazione pi organica e dettagliata di questo metodo si consulti il quaderno dellAlsia sugli antichi fruttiferi del Pollino. Come gi precisato nella definizione di agro-biodiversit, importante per unanalisi della diversit biologica totale presente in situ, valutare anche gli aspetti ecologici, storici e culturali. Con lausilio 11

di un questionario sar necessario acquisire informazioni utili alla caratterizzazione e discriminazione del germoplasma su base genetica. Quando si in campo non certo possibile utilizzare marcatori molecolari del DNA e pertanto una domanda del tipo quando matura? permette di discriminare geneticacamente tipi morfologicamente simili se la classe di precocit per la maturazione dei frutti differente. La domanda chi ha piantato quellalbero? permette di rintracciare il ciclo di vita di una famiglia, un confine di propriet, un passaggio ereditario. Se si chiede da quanto tempo lalbero l? possiamo capire se la variet si adattata allambiente o, meglio, se porta geni per ladattamento allambiente. Porre la domanda come lo chiamate? permette di identificare le sinonimie (tipi genetici identici con nomi diversi) e le omonimie (tipi genetici diversi con nomi identici) delle definizioni vernacolari.

IL CONTESTO TERRITORIALE ED ECOLOGICO


Lorografia, il clima, le tradizioni e la storia delle popolazioni locali sono componenti della biodiversit se si considera la scala di paesaggio. Lappennino italiano ed in particolare la Basilicata sono ben noti per la variabilit di queste componenti anche su distanze di pochi chilometri in linea daria. Sebbene le medie dei minimi e massimi climatici delle serie storiche indicano che la Regione si colloca nel mezzo del Mediterraneo, tutti i versanti esposti ad ovest e le relative vallate e gole, risentono della facies pi oceanica e continentale del clima mediterraneo che rende particolarmente idoneo ladattamento di fruttiferi come Peri, Meli, Ciliegi, Noci, Castagni e Sorbi. In questi siti gli afflussi meteorici raggiungono valori medi annui di circa 900 - 1.100 mm con carattere di pioggia nei fondovalle, mentre sui rilievi, in genere da dicembre a marzo, hanno carattere nevoso. Parimenti i versanti esposti a sud, sud-est e le vallate dei bacini idrografici dei fiumi principali che si riversano nello Ionio presentano un clima tipico del Mediterraneo con presenza di sclerofille eliofile sia selvatiche che coltivate, garantendo le condizioni ottimali per lOlivo, la Vite e il Mandorlo. Luso del pascolo e del bosco, la coltivazione delle foraggere, di cereali e fruttiferi, con ortive sui versanti pi freschi, si dipana secondo unit elementari che vanno a costituire un mosaico seminaturale composto dal bosco, dal pascolo, dal campo coltivato e dai giardini periurbani. La silva il saltus e lager nellintegrarsi compongono il paesaggio rurale che include le cinture di abitati urbani e delle frazioni rurali composte dallhortus (orti, giardini e piccoli frutteti). La presenza di perastri e meli monumentali nella fascia montana pi selvaggia tra il saltus e la silva lasciano pensare come anche per questi esemplari si possa parlare di quasi-selvatici e non di selvatici veri (foto 1). Questa considerazione deriva dal fatto che la fonte di questo germoplasma molto probabilmente il risultato della selezione condotta dal contadino e dal pastore piuttosto che della selezione naturale. E proprio questa continuit tra naturale e semi-naturale, insieme alla speciale accoglienza delle 12

comunit locali, che rendono unico il paesaggio montano e collinare della Basilicata e di gran parte del mezzogiorno dItalia.

I quasi-selvatici derivano dal selvatico o dal domesticato ? Foto 1. Esempio di peri e meli in habitat selvatici nella fascia di transizione tra la silva e il saltus la cui origine sicuramente stata favorita dalla selezione e cura delluomo.

IL CONTESTO CULTURALE
Il valore biologico ed economico delle variet locali di fruttiferi inestimabile se si considerano i potenziali interessi dellagro-industria ed il valore per le filiere locali e le nicchie di mercato. Sicuramente non trascurabile il loro valore culturale. Basti pensare che quasi sempre una pianta da frutto segna il ciclo di vita di una famiglia come ad esempio la nascita di un figlio, una trasmissione ereditaria, un confine di un fondo, un regalo o lo stato sociale del proprietario. I nomi locali, ovvero la definizione vernacolare di ciascuna variet, indicano spesso la presenza di dialetti dotati di spessore ed ampiezza semantica cos come testimoniato dai sinonimi (stessa variet con nomi diversi in diverse comunit) e dagli omonimi (variet diverse con nome identico). La genetica dei dialetti, in un certo senso, associata allevoluzione della biodiversit dei fruttiferi. Quasi sempre i sinonimi esprimono un codice di comunicazione specifico per la comunit locale (con matrice linguistica pi antica) mentre sia i termini omonimi che quelli ampiamente riconosciuti tra 13

municipalit esprimono un codice di comunicazione valido per lintero comprensorio (di matrice linguistica pi recente). In una recente indagine (2010) condotta nel Parco Nazionale del Pollino stato osservato come le definizioni delle variet, quando non gi dimenticate (come indicato dal termine tipo Locale) ne descrivono luso (es. castagna Nserta), la funzione (pera Zilariello), la morfologia (pera Cudilonga) o la dimensione (pere omonime Trentatreyonce). Queste brevi considerazioni sottolineano come la conoscenza del nome vernacolare, insieme al recupero degli usi tradizionali dei fruttiferi possa aggiungere ulteriore valore a quello specifico e neutrale della risorsa genetica. Ci nonostante, nessun recupero di valore possibile se non si contestualizzano gli attori sociali e le componenti ecologiche allinterno di ciascuna Regione o comprensorio. Questa contestualizzazione il vero substrato di coltura della conservazione biologica in situ. Chi sono gli attuali tutori di questa biodiversit? Famiglie rurali il cui reddito proviene (o proveniva, in caso di pensionati) da attivit artigianali o di servizio. Queste mantengono la cura dellager come complemento alleconomia domestica, spesso al di fuori del possesso di un azienda agricola. Oppure famiglie pluriattive per le quali il reddito assicurato da attivit extraaziendali e, la gestione in propriet di una azienda agricola o dellhortus rappresenta una risorsa complementare. L'emigrazione ed i cambiamenti socio-economici sono fattori di rischio di estinzione della collezione botanica rappresentata dai fruttiferi, che ancora esprimono un valore biologico, culturale ed identitario di gran parte dei territori rurali dellappennino meridionale.

LA SCALA STORICA
Non possiamo comprendere pienamente il valore da attribuire alla biodiversit domesticata se non si interpreta la scala storica in cui avvenuta la loro introduzione, domesticazione ed adattamento allambiente. Gli alberi ed arbusti da frutto hanno sempre seguito luomo e vorremmo che questo connubio continuasse nel futuro. Il ritorno al passato va pertanto interpretato come un viaggio verso il futuro. Luomo della preistoria (9.000 anni fa), cos abile e preciso nel tracciare il bovide sulla parete della grotta del Romito (Cs) (foto 2), sul finire dellultima glaciazione, era gi

sufficientemente evoluto dal punto di vista culturale per selezionare peri e meli dai frutti pi grandi e gustosi raccolti dalle piante selvatiche presenti nelle macchie circostanti.

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Foto 2. Bovide del Neolitico scolpito nella grotta del Romito di Papasidero (Cs). Si trattava di frutti riconducibili al perastro (Pirus pyraster Burgsd.) ed al melastro (Malus sylvestris Mill.). Alcune di queste selezioni riscontrate nellindagine condotta nel Parco Nazionale del Pollino (2010) producono frutti giganteschi (di trentatr nce) se confrontati alla dimensione dei pomi selvatici. Ci nonostante, valutando lintera popolazione censita, si desume che solo alcuni biotipi oggi presenti sono di origine mediterranea. Diverse sovrapposizioni storiche di biotipi, conseguenti a migrazioni e commerci, hanno generato una ricchezza biologica censita che si completamente naturalizzata. Gi le invasioni indoeuropee (prima delle colonie greche) introdussero germoplasma dal quadrante asiatico. Greci, Cartaginesi e Romani contribuirono ad arricchire di fruttiferi l ager. Seguirono significative introduzioni di componenti orientali e nord-africane con il periodo delle incursioni Arabe. Il Rinascimento ha favorito consapevoli scambi commerciali in tutte le direzioni geografiche. Le forme, i colori e talvolta le denominazioni delle razze locali censite in questa indagine non si discostano da quanto disegnato sulle tele dal pittore realistico Bartolomeo Bimbi (sec XVII). Gli insediamenti Albanesi hanno, in Italia meridionale, ulteriormente favorito lingresso di alcune componenti balcaniche e, pi recentemente, un arricchimento aggiuntivo da attribuire al periodo coloniale, come testimoniato dalle palme in prossimit dellingresso di abitazioni gentilizie e stazioni ferroviarie.

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Foto 3. Dipinto a cura di B. Bimbi che descrive la ricchezza di razze locali di pere presenti nellItalia rinascimentale. Ciascun frutto numerato ed identificato con il nome della variet. Volendo solo far riferimento a Melo e Pero possibile verificare come, oggi, tra il germoplasma censito, esista sia la componente associabile al Perastro ed al Melastro che quella asiatica. In particolare, per il melo, molti tipi sono riconducibili al M. sieversi Roem., progenitore selvatico che cresce spontaneo nei boschi del Kazakistan, il cui frutto una melina rossa molto simile allAnnurca. La pigmentazione rossa dei pomi, trasmessa con limpollinazione entomofila alle meline autoctone, sicuramente di origine Kazaka. Non solo lagricoltura ma anche lattivit pastorale ha contribuito a diffondere al di fuori dellager, nel saltus e nella silva i biotipi pi promettenti. Ne deriva che, per la stessa specie, esistono biotipi ampiamente distribuiti e comuni; altri, invece, rari e talvolta localmente distribuiti sui margini pi montani dei versanti. Causa di recenti estinzioni e riduzione della consistenza sono state in una primo momento laratura profonda dellager dovuta alla diffusione di potenti trattori anche in aree montane e marginali. Laratro, con questi mezzi, ha danneggiato lapparato radicale causando la morte degli alberi. A questa fonte di rischio si affiancato labbandono colturale e lemigrazione dei giovani. Fenomeno, questultimo, ancora in corso.

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RISULTATI DI UN CASO STUDIO


Con lindagine condotta nel 2010 nel territorio rurale del Parco Nazionale del Pollino sono state censite 41 differenti specie legnose da frutto e 519 variet in 119 siti di campionamento. Ogni sito di campionamento intercetta una superficie approssimativamente circolare con un raggio di 150-200 m. Sono 10 le differenti famiglie botaniche (Rosaceae, Vitaceae, Oleaceae, Moraceae, Rhamnaceae, Punicaceae, Corylaceae, Juglandaceae, Fagaceae ed Ebenaceae) rappresentate sullintero territorio. Dieci sono le specie definite minori o di recente introduzione. Come si desume dalla relazione logaritmica tra ricchezza di variet e ricchezza di specie (grafico 1), al di sopra di un certo numero di variet (circa 30) gli incrementi marginali del numero di specie si riducono progressivamente entro ciascuna unit territoriale per effetto dellincidenza di specie come Pero, Melo e Vite che sono particolarmente ricche di variet.

Grafico 1. Relazione tra ricchezza varietale e ricchezza di specie per ciascuna unit territoriale che compone il mosaico del Parco Nazionale del Pollino. La ricchezza di variet entro specie indica come la produzione polivarietale e quindi la biodiversit debba considerarsi una caratteristica che garantiva alle comunit locali stabilit di produzione in relazione alle avversit biotiche ed abiotiche e una risposta adeguata alle esigenze di conservazione ed uso dei prodotti della terra. Questo modello anche una buona rappresentazione di quei comprensori rurali e semi-naturali che, per quanto riguarda l'agricoltura, non hanno subito i processi di specializzazione produttiva. Per ciascuna unit territoriale, di 16 Km2, che pu comprendere un numero variabile di siti di campionamento, il numero di specie oscilla da un minimo di 6 ad un massimo di 30, con un valore medio di 15; cos come il numero di variet va da un minimo di 22 ad

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un massimo di 110, con un valore medio di 30 variet differenti per ciascuna unit territoriale (grafico 2).

. Grafico 2. Istogramma di frequenze della ricchezza di specie (alto) e di variet (basso) riscontrate entro ciascuna unit territoriale su tutta larea geografica esplorata. La localizzazione geografica di ciascun sito ha permesso di generare le mappe di ricchezza biologica distintamente per linsieme delle specie, delle variet e per sottoinsiemi di componenti di biodiversit come la ricchezza varietale entro ciascuna specie. Nella mappa 2 si osserva che la ricchezza di variet (N totale di variet) per il totale delle specie censite e per unit geografiche di 16 Km2 massima (da 60 a 110 differenti variet) lungo un corridoio che da Laino Borgo e Laino Castello (Cs) converge verso la valle del Mercure 18

interessando i Comuni di Viggianello, Rotonda e Castelluccio inferiore (Pz). Lo stesso vale per il versante meridionale del territorio di Latronico, ed i versanti (dai 400 agli 800 m slm) dei Comuni di S. Severino e Francavilla. La massima ricchezza dell'Olivo si distribuisce tra Francavilla sul Sinni, Carbone, Teana e Calvera. Il versante meridionale di Latronico e il bacino del Mercure - da Castelluccio Inferiore a Rotonda - catturano contemporaneamente il massimo della ricchezza biologica per Vite, Olivo e Pomacee. Melo e Pero si spingono fino alle quote pi montane.

Mappa 2. Ricchezza di variet (N totale di variet) per il totale delle specie censite e per unit geografiche di 16 Km2.

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ROSACEAE
Tra le piante arboree domesticate le rosacee comprendono le principali piante da frutto e sono le meglio rappresentate nellarea nel campo rurale (ager). Allinterno di questa grande famiglia, per quanto riguarda i fruttiferi si distinguono le Pomacee (Melo, Pero, Lazzeruolo, Sorbi, Nespolo, Cotogno) dalle Drupacee (Ciliegio, Amarena, Pesco, Albicocco, Susini e Mandorlo). Numerose specie (oltre 3000) sia erbacee che arboree appartengono a questa famiglia i cui fiori sono generalmente ermafroditi, solitari (Cotogno) o riuniti in infiorescenze (Pero, Melo, Ciliegio). Tutte queste specie sono distribuite sia nellemisfero boreale che in quello australe.

Pero (Pyrus communis L.)


Foglie: ovate con apice pronunciato e acuto; margine finemente seghettato; picciolo lungo Frutti: pomi di forma allungata (falsi frutti piriformi) Fiori: 1-15 riuniti in corimbi, bianco-rosati; Fioritura: aprile-maggio Portamento: alto da 3-20 m E una delle specie pi diversificate geneticamente con una presenza di 144 variet locali. Dalle vallate (260 m slm - Senise) si spinge al di sopra dei 1000 m di quota (Terranova del Pollino, Francavilla sul Sinni). Il Pero simile al Melo come importanza nelluso come esigenze ecologiche e distribuzione. Il Pero selvatico compagno del Melo selvatico nella vegetazione dei boschi montani. Il frutto (pomo) ha una forma pi o meno allungata in funzione della variet. Il Perastro (Pyrus pyraster Burgsd. in vernacolo praino, spina), uno dei principali progenitori selvatici, ampiamente distribuito, presente con diversi biotipi, variabili per precocit di maturazione, dimensione e consistenza del frutto. Quasi sempre utilizzato come portainnesto e spesso, presente con forme domesticate nel saltus dove i frutti sono direttamente usati come alimento per il bestiame al pascolo. Variet rare e distribuite su differenti municipalit (Maiatica, Limone, Gentile, Campanella, Mirizzosa) indicano un elevato valore duso in tempi storici che si gradualmente ridotto tanto da diventare attualmente poco apprezzate (ecco perch localmente rare). Questa distribuzione ecologica indica anche un elevato adattamento allambiente di ciascuna variet. Le variet comuni ed ampiamente distribuite (Acquarola, Balcone, Bella, Spadona, ecc.), al pari del primo gruppo, presentano un ampio intervallo di adattamento ma anche un valore duso tuttora rilevante presso i custodi rurali. In quest'ultima categoria si colloca anche la Coscia, una 20

delle prime variet moderne introdotte. Numerose sono le variet relitte presenti solo in uno o due siti con uno o pochi individui dal portamento, talvolta, monumentale. In base alla forma, consistenza del frutto e presenza di sclereidi appare che dellintera popolazione solo una parte (es. pere tipo Trentatrejuonze, Strangoglie, Spadone, Acquarole, Cioccolate e Cognute) hanno il perastro come progenitore. Per Codilonghe, Giovanne, Rosse, ecc. il progenitore principale va probabilmente ricercato nella regione caucasica ed asiatica. Di seguito si raffigura la diversit per la dimensione e forma del frutto nel germoplasma di pero presente nellarea Sud della Basilicata.

Dimensioni

Pyrus piraster Maiatico Praino bianco Visciglia Spadona

Vernile 33yonce1 33yonce2


Segue una serie di foto che rappresentano un campione di variet locali di pere che si differenziano per la colorazione della buccia.

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S. Giovanni Pastura1 Pastura2 Maiatico Mastrantuonio Gentile

Colore
33yonce Introcaso Alicia Melone

Nivura

Cudilonga Acinella Bianco Russa Russigno Vomice

Melo (Malus domestica Borkh)


Foglie: ovate con apice acuto e tormentose alla pagina inferiore; margine seghettato Frutti: pomi tondeggianti o piriformi (falsi frutti) Fiori: 3-8 riuniti in corimbi, bianco-rosati; Fioritura: aprile-maggio Portamento: alto da 3-10 m E la pianta da frutto pi importante della fascia fredda e temperata del continente euro-asiatico. Richiede inverni abbastanza freddi affinch si interrompa la dormienza delle gemme a fiore. La mela o pomo un falso frutto perch formata soprattutto dai tessuti del ricettacolo del fiore e non da quelli dellovario. Dopo il Pero, nel Parco Nazionale del Pollino, il Melo a rappresentare la massima ricchezza di varietale, con 104 variet differenziate sulla base della classe di precocit, forma, dimensione e colore del pomo. La distribuzione sul territorio copre un intervallo altitudinale che va dalla valle del Sinni alle quote che superano i 1000 m slm di Piano del Conte (Terranova del Pollino) e Acquabianca (Francavilla sul 22

Sinni) intercettando quasi tutti i tipi di esposizione dei versanti ed i tipi di suolo. Anche per questa specie presente in situ un progenitore selvatico (Malus sylvestris Mill.) le cui varianti ecologiche specifiche di ambienti pi mediterranei sono rappresentate da popolazioni con foglie sottili, lunghe e tomentose mentre i tipi pi oceanici sono presenti nei boschi montani e sono molto molto pi prossimi alle variet domesticate. Entrambi i tipi, ai margini di tratturi, dellager, dellhortus e nel saltus sono utilizzati come portainnesti di variet coltivate. Ci nonostante, dallanalisi dei frutti raccolti, risulta che altri progenitori delle razze locali sopravvissute andrebbero rintracciati nellemisfero continentale dellEurasia. In particolare il Malus sieversii Roem., una melina rossa selvatica originaria del Kazakistan (molto simile alla variet Annurca) appare essere la candidata principale nel rappresentare i caratteri tipici delle mele con buccia rossa (Annurca, Siriche, ecc.). Alcune variet locali non sono affatto a rischio di estinzione perch sono molto apprezzate dai relativi agricoltori custodi. Tra queste, quelle pi ampiamente distribuite sul territorio, possiamo annoverare lAnnurca, la Rimoncella, la Limoncella piatta, le Renette, il Fano, le Siriche ed il Melo di S. Giovanni. La Rimoncella (Limoncella campana) e lAnnurca erano le variet commerciali pi diffuse in Sud Italia fino agli anni 50 del secolo scorso mentre le altre sicuramente sono state introdotte e selezionate in epoche passate. Entro ciascuna di queste variet esiste inoltre una variet di biotipi che si manifesta con pume (i frutti cos si chiamano nei Paesi della valle del Mercure) di dimensioni, forme e colori differenti. Alcune variet sebbene meno abbondanti a livello locale sono abbastanza ampiamente distribuite (puma a Limone, ad Olio). Entrambi i gruppi citati sono ancora rinvenibili in altri comprensori rurali dellAppennino meridionale. Destano particolare interesse, perch altamente a rischio di estinzione, variet rappresentate da un singolo o pochi alberi come la variet Cioccia, la Cerrata, la variet Schiacciata ecc. Segue una rappresentazione fotografica di razze locali di mele del Pollino con pigmentazione variabile della buccia secondo due gruppi che riconducono a due progenitori selvatici (M. sylvestris e M. sieversii).

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Malus sylvestris

Malus sieversii

Olio

Cannamela

Ciuccia

Rosso

Genovese

Verde

Rosa

Annurca

Fano

Rimoncella

Agresta

Locale

Limuna

Zu Milio

Cerrata

Zuccherato

Cotogno (Cydonia oblunga Mill.)


Foglie: ovate con apice acuto o leggermente arrotondato. Margine intero Frutti: pomi tondeggianti o piriformi (falsi frutti) Fiori: solitari, bianco-rosati con peduncolo peloso; fioritura a maggio Portamento: alto 3-5 m E presente con piante singole nei differenti territori del Parco sotto forma di Melocotogno (pomo pi schiacciato) e Perocotogno (pomo pi allungato). Il Melocotogno la variet pi comune e talvolta presente anche con pi di 2-3 piante per sito. Spontaneo nella Persia settentrionale e nellarea del Caspio, Caucaso ed Anatolia. I frutti del Cotogno sono ricordati nella mitologia 24

dellantica Grecia e nei dipinti di Pompei. E coltivato in tutta larea del Mediterraneo ed usato anche come portainnesto per il Pero. I frutti vengono consumati cotti o nella produzione di marmellate e gelatine.

Nespolo comune (Mespilus germanica L.)


Foglie: ellittico-lanceolate con margine seghettato Frutti: pomi di 0,5-1 cm di colore rosso-arancio riuniti in grappolo Fiori: solitari o in coppia, bianchi; appaiono in maggio-giugno Portamento: alto fino a 5 m E stato censito con un massimo di 3 piante per sito a Calvera, Chiaromonte, Laino Borgo e Mormanno. E una pianta poco coltivata (Nespolo Germanico o Invernale) e di dimensioni modeste. I frutti tondeggianti e di color ruggine si raccolgono in autunno quando la polpa allappante perch ricca di tannini. Arrivato linverno, la polpa diventa molle e dolce. Il nespolo del Giappone (Eriobotrya japonica) , invece, pi noto (Nespolo locale), a causa dei frutti piriformi giallo-arancio, pubescenti, che contengono uno o pi grossi semi avvolti da una membrana. Questa pianta utilizzata anche come ornamento, a causa delle lucide foglie sempreverdi, in prossimit delle abitazioni.

Sorbo domestico (Sorbus domestica L.)


Foglie: strette, allungate e lanceolate con margine seghettato Frutti: pomi di 1-3 cm di colore rosso-arancio riuniti in grappolo Fiori: bianchi riuniti in una infiorescenza a corimbo, appaiono in maggio-giugno Portamento: alto 10-15 m E molto comune lungo la fascia sub-montana con maggiore abbondanza tra i Comuni di Teana, Calvera e Carbone. Molto frequente anche tra Viggianello e Castelluccio Inferiore. Produce frutti rossi che maturano sulla paglia in luoghi asciutti nel tardo autunno. I frutti possono essere usati anche per le propriet diuretiche e lassative. E molto simile al Sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia L.) che cresce spontaneo nei boschi ed i cui frutti sono molto graditi dagli uccelli. Il legno pregiato ed utilizzato per lavori di intarsio. Una specie spontanea di sorbo presente nella fascia montana (transizione tra faggete e cerrete) il Ciavardello (Sorbus torminalis Crantz) chiamato a Mormanno Sorbo di bosco. Ai margini delle radure delle faggete, in alta montagna, presente unaltra specie selvatica, il Sorbo montano (Sorbus aria Crantz).

Mandorlo (Amygdalus communis L.)


Foglie: lanceolate, strette, appuntite a margine seghettato 25

Frutti: drupa verde e pubescente con endocarpo legnoso contenente il seme (mandorla) Fiori: si aprono prima delle foglie; di colore bianco con sfumature rosa; fioritura a gennaio-marzo Portamento: alto 6-10 m A parte la dizione tipo Locale per il Mandorlo non si sono riscontrati nomi dialettali di particolare valore semantico. Gli operatori dellAlsia (lAgenzia di sviluppo e sperimentazione agricola della Basilicata), sulla base della consistenza della buccia (tenera o dura), dimensione (piccolo, medio, grande) e forma (ovata, allungata, cordera) del frutto e sapore della mandorla (dolce o amara) hanno classificato 7 tipi varietali. Nei Comuni di Calvera, Francavilla e San Paolo Albanese stata registrata la maggiore ricchezza varietale per le tipologie descritte. E una delle prime piante da frutto che ha subito la domesticazione. Il mandorlo, tra i fruttiferi, il pi precoce nella fioritura e maturazione dei frutti (drupe) e, rispetto ad olivo e vite, tollera meglio la siccit. In tempi pi recenti, luomo ha selezionato delle variet con semi dolci, di maggiore dimensione e con buccia sottile. I frutti vengono utilizzati nellindustria dolciaria o per estrarre degli olii impiegati in cosmesi.

Susino (Prunus spp.)


Foglie: ellittiche-ovoidali e dentellate al margine Frutti: drupe globose-allungate di diverso colore a seconda della variet Fiori: bianchi solitari o in gruppi di 2-3. Fioritura: marzo-aprile Portamento: alto dai 3 ai 10 m Ventiquattro differenti variet di Susini sono stati censiti nel corso dellindagine. Dopo Pero e Melo il fruttifero pi importante delle zone temperate e fresche. Esistono Susini europei (Prunus domestica L.) gi coltivati dai Greci e dai Romani, ed i tipi orientali (cino-giapponesi) introdotti in Europa negli ultimi 200 anni. Tra le susine europee sono importanti le prugne che si distinguono per il colore blu o porporino della buccia. Le susine si consumano fresche mentre le prugne si consumano anche secche. La maggior parte delle variet censite appartengono ai tipi europei mentre i Prunelli (rosso e bianco) appartengono al secondo gruppo. Le variet pi comuni ed utilizzate appartengono al gruppo delle Cascavelle, seguono le Grumelle, le Passolaspagna gialle, il susino di S. Egidio e diversi biotipi di Verdoni. Tra queste le pi apprezzate per il consumo umano tuttora restano le Passolaspagna gialle, ed i 26

Verdoni. Da queste variet fondamentali si sono originati in seguito a riproduzione tramite seme differenti biotipi con forme differenti del frutto (subsferico, allungato, ellissoidale, cuoriforme), con diversa colorazione di polpa ed epidermide (verde chiaro, rosa, rosso, viola chiaro e viola scuro). Questi biotipi sono definiti con nomi varietali differenti a cui corrispondono sinonimi in differenti municipalit. Desta interesse anche la domesticazione del Prunus cocomilia Ten., che cresce spontaneo ai margini delle faggete, un susino selvatico endemico dellAlta Val dAgri del Sirino, Pollino e della montagna settentrionale Calabra. La pianta coltivata (Cocomello) stata censita sia in Calabria che in Basilicata e, da prove condotte da un socio dellAssociazione Vavilov, risulta che si presta molto bene alla produzione di marmellate acide, poco zuccherine ed ad alto grado di serbevolezza. Il Prugnolo selvatico (Prunus spinosa L.) dalle caratteristiche drupe viola invece molto comune lungo gli argini dei campi sui versanti pi soleggiati.

Ciliegio (Prunus avium L.)


Foglie: ovato-acuminate; picciolo provvisto di due ghiandole rosse in prossimit della lamina Frutti: drupe (ciliege) rosse, gialle o diversamente colorate Fiori: bianchi in ombrelle; Fioritura: aprile-maggio Portamento: alto fino a 20 m Lalbero raggiunge anche grandi dimensioni. Nel comprensorio del Parco presente in tutte le municipalit ed ai differenti livelli altitudinali, dove predilige suoli freschi, fertili e ben drenati. Lindice di ricchezza calcolato (almeno 13 differenti variet) sicuramente sottostima la reale ricchezza presente sul territorio. Il gruppo di biotipi pi variable rappresentato dalle Maiatiche (le pi precoci) con esemplari arborei di grandi dimensioni le cui ciliege vanno da un colore giallo paglierino al rosa, al rosso, rosso-vinoso, alla doppia colorazione (faccia bianca e faccia rosa-rosso). Questi tipi sono ben distribuiti su tutto il territorio ed in relazione al Comune di residenza sono chiamati con nomi differenti (Primitivo, Muoddo, Uva Locale, Gialla, Giallina, Bianca fragolina, Zucchero e cannella, Carmaigna). E possibile riscontrare anche Maiatiche originatesi da seme (Miriddere) con drupe aventi piccole dimensioni. La variet Durone altrettanto ampiamente distribuita con definizioni vernacolari variabili (A core, Tosta, Antico, a Melone, Locale), forma del frutto che va dal cuoriforme allo sferoidale e colore variabile dal rosso al rosso-vinoso. Tra queste ultime una variet definita Napoletana; questa tardiva ed apprezzata nei comuni di Mormanno, Rotonda e Viggianello. La variet Nera con frutto sferoidale depresso, (Nivura, Locale nera, Gustarico, Tufigno, Nero antico) tardiva e si spinge a diventare matura fino al mese di agosto. 27

I siti che catturano la massima ricchezza varietale (6 differenti variet) attraversano la Valle del Mercure, tra Viggianello e Castelluccio Inferiore. Il ciliegio spontaneo e selvatico in Europa. I reperti archeologici indicano che le ciliegie erano utilizzate come frutta selvatica nel Neolitico. La pianta stata ampiamente coltivata dai Romani.

Amarena (Prunus cerasus L.)


Foglie: ovoidali con margine seghettato ed appuntito; picciolo sprovvisto di ghiandole Frutti: drupe globose rosse o nero-porpora Fiori: come quelli del ciliegio a fioritura pi tardiva Portamento: statura pi piccola del ciliegio Questalbero chiamato anche ciliegio montano, ampiamente diffuso nellareale oggetto di indagine e si inoltra nei siti a maggiore altitudine di Francavilla e Terranova. E di statura pi piccola del ciliegio dolce. E una specie euro-asiatica spontanea su un areale che va dai Balcani allIndia. Il frutto leggermente appiattito alla base, pi amaro delle ciliegie e potrebbe essere utilizzato per produrre liquori (es. maraschino).

Pesco (Prunus persica L.)


Foglie: strette allungate e lanceolate con margine seghettato Frutti: drupe globose di diverso colore a seconda della variet Fiori: di colore rosa o rossastro Fioritura: in aprile prima che si aprano le gemme a legno Portamento: alto dai 3 ai 7-8 m Il Pesco originario della Cina e del Tibet dove esistono ancora i progenitori selvatici. In Cina era coltivato gi nel 2000 a.C.. E stato introdotto nel Mediterraneo dalla Persia (da cui deriva il nome) nel 300 a.C.. I Romani iniziarono a coltivarlo nel I sec. a.C.. Esistono numerose variet coltivate, precoci e tardive, a polpa bianca ed a polpa gialla, con (Pesche) o senza distacco del ncciolo (Percoche), con epicarpo pubescente o glabro (pesche noci o nettarine). La massima ricchezza di variet per questa specia si trova nel Comune di Viggianello (Cda Filicara, Santoianni, Santonofrio), Rotonda, Latronico e Francavilla. Almeno 11 tipi morfologici basati solo sul tipo di frutto e periodo di maturazione. La riproduzione tramite seme tende a far perdere le caratteristiche di pregio della variet di origine. Si distinguono le Perseche (con ncciolo che non si distacca) dalle Pesche locali. I tipi tardivi dai tipi pi precoci. Le variet

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coltivate pi antiche (settembrine), pur avendo un frutto pi piccolo, sono le pi gustose (Percochina dei vigneti).

Albicocco (Armeniaca vulgaris L.)


Foglie: tondeggianti con margine seghettato ed appuntito Frutti: drupe globose di color giallo arancio leggermente pubescenti Fiori: di colore bianco rosa con calice rossastro; Fioritura: marzo-aprile Portamento: alto 6-8 m Si trova allo stato selvatico in Asia centrale e Cina orientale. E stato introdotto in Medio Oriente dallArmenia o dallIran nel I sec a.C.. Alcuni secoli dopo stato diffuso in Turchia, Grecia e Italia (dopo la conquista dellArmenia da parte dei Romani). Le drupe a maturazione sono ricche di proteine, fosforo, calcio, potassio e vitamina A. E una specie che, essendo prevalentemente autogama, pur riproducendosi per seme tende a conservare le caratteristiche varietali della pianta originaria. La forma della drupa va dal rotondo allob-ovata fino ad una forma ellittica. Almeno 6 tipi morfologici sono stati categorizzati in tutto il comprensorio, con maggiore densit nella fascia basale di Latronico, Francavilla, Chiaromonte e Senise. Tra i nomi locali primeggiano la Casciavella e la Cafona.

VITACEAE Piante lianose, con infiorescenze a cima, fiori quasi sempre ermafroditi, perianzio caduco. Il frutto una bacca. Foglie composte o pi o meno profondamente partite , raramente intere, con stipole e cirri. Principali rappresentanti sono la Vitis vinifera subsp. vinifera (syn. sativa) (coltivata) subsp. sylvestris (selvatica) e la Vitis labrusca (Uva fragola o americana), con foglie tutte opposte ad un viticcio.

Vite (Vitis spp.)


Foglie: palmato-lobate, dentate, con viticci opposti Frutti: bacca succosa in grappoli, lunga 0,8-3 cm verde-gialla-rossa-viola-porpora Fiori:verdi o porpora in pannocchie ramificate. Lunghezza di 1 fiore =1-2 mm Portamento: rampicante

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Pur essendo a rischio di estinzione a causa dellabbandono di vigneti, orti e giardini, la Vite, negli ultimi due secoli ha subito un aumento di ricchezza varietale cos come testimoniato anche da questa indagine. Nellindagine condotta da Murat nel 1810 furono censiti 70 vitigni in tutti e quattro i Distretti dellallora Basilicata (Verrastro et al. 2007). Oggi solo nel comprensorio del Pollino si contano almeno 81 differenti variet. Come si spiega questo aumento di biodiversit? Nella seconda met dell800 si diffondono tre parassiti di origine americana della vite coltivata (Vitis vinifera subsp. sativa): prima lOidio, seguir la Peronospora ed alla fine dell800 la Fillossera. Per superare gli attacchi della Fillossera furono introdotti i portainnesti resistenti americani (Produttori neri americani) cos come furono introdotte le uve Francesi (Produttori bianchi, neri, Francese bianca e nera) resistenti ad Oidio e Peronospora. Questi vitigni erano in grado di assicurare una produzione anche nelle annate in cui loidio e la peronospora falcidiavano la produzione; motivo per cui le vigne erano tutte polivarietali. Nel periodo del Fascismo, conclusasi la crisi da Fillossera fu disincentivato luso dei vitigni Francesi a basso contenuto in zucchero ed incentivata la coltivazione di vitigni italici. Nel primo dopoguerra (anni 48-55) ci f una ulteriore introduzione di vitigni nobili dalla Sicilia e dalla Francia. E, nellultimo ventennio si aggiungono i vitigni pi affermati a livello nazionale. Il bilancio netto in termini di ricchezza varietale positivo. Purtroppo in termini di diversit (o bio-diversit) - cio di ricchezza di variet differenti ponderata per le relative abbondanze - a causa del declino delle produzioni rurali, il bilancio sicuramente negativo. Dallindagine possiamo elencare alcuni vitigni che pre-datano larrivo dei parassiti americani: lAglianico, lAsprina, il Colatamburro (Cacciadebiti) bianco e nero, il Castiglione, il Ciliegiolo, il Gaglioppo, la Guarnaccia e il Guarnaccino, le Lacrime, i differenti tipi di Malvasia bianca, il Monduonico, i Moscati ed il Moscatellone bianchi, il Moscato nero, lo Stronzoporcino, il Produttore nero antico e la Verdara bianca. Tra le uve da tavola la Capezzola bianca di vacca, la Minna di vacca, la Iuvedda e la Malvarosa. Dal 1850 alla fine del 1800 sono introdotti differenti biotipi di Francese (Francese bianca e nera) e di Produttori resistenti alle nuove malattie (Oidio e Peronospora). Nel 1879 compare la Fillossera, il cui controllo avviene con innesto su piede di viti americane (Riparia, Rupestris, Berlandieri e relativi ibridi). A questo gruppo appartengono alcuni Produttori ad acino piccolo e grappolo lasso e le uve Fragole. Vitigni come Barbera, Colatamburro, Malvasie saranno introdotti o andranno a sovrapporsi a quelli identici gi conservati in situ. In epoche recenti continuano le introduzioni come ad es. il Sangiovese, il Barbera o, addirittura, il Dolcetto.

OLEACEAE

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A questa famiglia appartengono specie con portamento arboreo o arbustivo spontanee nelle regioni temperate e sub-tropicali. Solo una diecina di specie sono originarie dellEuropa. I fiori sono ermafroditi e solo raramente unisessuali, i frutti possono essere drupe (Olivo e Fillirea), samare (Frassino), capsule (Gelsomino e Lill) e bacche (Ligustro). Rappresentante di eccellenza per questa famiglia, tra i fruttiferi, lUlivo con le sue forme rinselvatichite (Ulivastro).

Olivo (Olea europaea L.)


Foglie: sempreverdi, coriacee con margine intero Frutti: drupe oviformi Fiori: piccole infiorescenze biancastre, a pannocchia, allascella delle foglie; Fioritura: aprile e giugno Portamento: alto fino a 10 m E la pianta pi importante e simbolica del Mediterraneo. Sin dallEt del Bronzo, lolivo stato coltivato per produrre frutti da mangiare ed olio. Lolivo selvatico chiamato olivastro (O. europea subsp. oleaster) cresce nella macchia mediterranea e si incrocia mediante limpollinazione con lolivo domestico. I semi derivati da questi incroci generano piante molto pi simili allolivastro che allolivo, con presenza di spine e frutti pi piccoli (Racioppelle e Spine). Con labbandono degli oliveti questo processo porta alla formazione di garighe (stadi degradati della macchia mediterranea) di olivastri in una prima fase ed alla riformazione della macchia successivamente. La presenza di olivo un indicatore di clima mediterraneo. I versanti esposti a mezzogiorno del quadrante che comprende Chiaromonte, Senise, Calvera, Carbone e Castronuovo catturano la massima ricchezza varietale con i seguenti tipi: Dolce o Rosana, Racioppella, Ogliastro, Ulivella, Fasulo, Ogliarola, Pendolino, Faresana, Dolce di Chiaromonte. Anche il versante meridionale del Comune di Latronico, alla destra del Sinni stato censito un quadrante ricco di variabilit genetica per lOlivo (Faresana, Fasulo, Leccino, Racioppella, Ulivella, Ogliastro, Rizza). Complessivamente si possono annoverare almeno 19 differenti variet, alcune delle quali comuni (Racioppella, Ulivella, Fasulo, Faresana, Ogliarola). Forme molto differenziate entro il tipo Racioppella sono dovute ai fenomeni di rinselvatichimento di piante provenienti da altrettante differenti variet coltivate.

MORACEAE Il Fico, il Gelso, la Maclura appartengono alla famiglia delle Moraceae. Questa famiglia comprende piante, generalmente a portamento arboreo tipiche degli ambienti tropicali e subtropicali. Le piante 31

producono fiori generalmente unisessuali ed i frutti sono acheni formanti lungo lasse dellinfiorescenza il sorosio (nel caso dei Gelsi) ed il siconio (nel caso dei Fichi). Oltre a questi ultimi, nel 700 fu introdotta anche la Maclura per ampliare le opportunit alimentari del baco da seta. E un albero, oggi con funzioni ornamentali, dai frutti gialli, sferici e compatti, di dimensioni medie, originario della Luisiana, dove gli Indiani americani ne utilizzavano il legno, resistente e flessibile, per costruire archi.

Gelso bianco (Morus alba L.) e Gelso rosso (Morus nigra L.)
Foglie: cordate, a volte trilobate con base asimmetrica, margine irregolarmente dentato Frutti: sorosi (more) Fiori: in amenti; Fioritura: aprile-maggio Portamento: alto fino a 10 m Alberi di notevoli dimensione che producono frutti (sorosi) impropriamente chiamati more dal sapore dolce se ben maturi. Originario della Cina, si diffuso in Europa nel XII secolo, come lascito della colonizzazione Araba, in concomitanza al diffondersi dellallevamento del baco da seta che ne utilizzava le foglie come alimento. In Italia stato coltivato in modo estensivo a partire dal XVII secolo per lindustria della seta del Nord-Europa. Le piante vetuste di Gelso censite nel Parco sono i relitti di una delle prime colture agrarie specializzate per la produzione industriale dei manufatti di seta (Bevilacqua, 1996). La distinzione tassonomica delle variet appartenenti a queste specie merita un ulteriore approfondimento, dato che tra il 1600 ed il 1800 sono state introdotte differenti variet e relativi ibridi con lobiettivo di produrre biomassa verde piuttosto che frutti. Almeno 14 variet differenti sono state classificate in base al colore, forma del sorosio e tipo di fogliame. Alcune possono presentare un elevato livello di poliploidia. Il colore del frutto varia dal bianco al giallo paglierino, al rosa, rosso, nero e rosso-viola-vinoso. La forma va da quella piccola e sferica ad allungata e grande (Gelsi da frutto). Non esistono nomi locali particolarmente idonei per identificare queste specie, a parte lindicazione del colore del sorosio (Bianco, Rosso, Nero e Locale) e molti toponimi soprattutto sul versante calabro (i Mori). Larea pi ricca di diversit la Valle del Mercure (Viggianello, S. Severino) con 4 differenti tipi. Al pari dei Ciliegi, i Gelsi si localizzano in suoli fertili e ben drenati, quasi sempre ai margini di orti e giardini.

Fico (Ficus carica L.)


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Foglie: palmato-lobate Frutti: falsi frutti chiamati siconi (fichi). I veri frutti sono i semini allinterno del fico Fiori: infiorescenza ovoidale (siconio); Fioritura: siconi, nei climi caldi, 2-3 volte allanno Portamento: alto fino a 10 m In base alla precocit, forma, dimensione, colore del frutto e presenza di fioroni e forniti sono state distinte 29 forme che in questo contesto definiremo variet locali. In realt alcune variet antiche sono identiche a quelle diffuse in altre regioni del Mezzogiorno, mentre alte sembrano essere dei mutanti specifici del comprensorio del Pollino. Al primo gruppo appartengono il fico Dottato, il Gattarolo, il Troiano ed il Nero. La variet pi pregiata (Dottato) viene anche essiccata, mentre il Troiano ed il fico Nero sono molto apprezzati per il consumo fresco. Questultimo non produce fioroni ed una variet autunnale. Il Gattarolo, a basso contenuto in zuccheri, soprattutto in passato veniva utilizzato come alimento per maiali. Il Pilosello verde e quello nero appaiono essere dei rari mutanti specifici del versante calabro-lucano del Parco Nazionale del Pollino. La loro caratteristica principale una fine pelosit che ricopre lepidermide conferendo al siconio una consistenza vellutata. Altri biotipi sono specifici di alcune municipalit (Albanese, Code lunghe, Jazzarola, Melanzana, Mussirussa, Rosso, Ziula). Un tipo molto tardivo si pu raccogliere a Natale in annate con inverni miti il Natalino che risulta abbastanza ben distribuito su diverse municipalit, anche se con poche piante. E il fruttifero tipico dellepoca classica, strettamente associato allorigine della frutticoltura nel bacino del Mediterraneo. Il frutto del fico (siconio) molto ricco di zuccheri e si mangia fresco o essiccato. Il fico domestico pu fruttificare due volte allanno: a giugno per produrre i fioroni ed in autunno per produrre i fichi veri (forniti). La specie selvatica (caprifico), molto diffusa nei siti ruderali, necessaria per limpollinazione del fico domestico. Limpollinazione mediata da un minuscolo insetto (Blastophaga psenes). La coltivazione del Fico, da secoli presente negli orti del Mezzogiorno, solo ai primi del Novecento, si specializz in differenti aree del Mezzogiorno per far fronte alla domanda crescente soprattutto del prodotto secco (Foto 4) (Bevilacqua, 1996).

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Foto 4. Graticci, costruiti con tralci di canna mediterranea (Arundo donax), utilizzati per l'essiccazione tradizionale dei siconi di Fico. RHAMNACEAE E la famiglia rappresentata da alcune piante arboree o arbustive, spesso con portamento sarmentoso e rampicante, dotate talvolta di spine e originarie delle regioni temperate e tropicali. Tra le specie spontanee pi comuni nei boschi misti di latifoglie eliofile si rinviene lo Spinocervino (Rhamnus cathartica L.) con drupa nera e la Frangola (Frangula alnus Mill.) con drupa rosso-violacea. I fiori sono ermafroditi ed i frutti sono delle drupe carnose (giuggiole) oppure dei frutti alati e secchi (noci). Il Giuggiolo, tra le specie da frutto, il rappresentante esotico di questa famiglia che da lungo tempo si naturalizzato nellareale del Mediterraneo.

Giuggiolo (Ziziphus sativa Gaertn.)


Foglie: semplici ed alterne su corti rametti Frutti: drupe simili ad olive di color rosso-violaceo, brunastre a maturit Fiori: verde-giallastri, in gruppi, allascella delle foglie; Fioritura: tra maggio e giugno. Portamento: alto fino a 5-10 m 34

Alberello spinoso con drupe rossicce (giuggiole) dal sapore di dattero. Originario della Cina ed introdotto nel Mediterraneo in tempi ignoti. Oggi in alcuni ambienti si rinselvatichito. I frutti, molto pregiati, venivano utilizzati anche per la preparazione di decotti. La specie naturalizzatasi in Italia meridionale stata censita su tutto il comprensorio (Calvera, Francavilla, Latronico, San Severino Lucano, Senise, Viggianello, Laino Borgo e Mormanno). Sono state osservate due tipologie: la prima con la drupa rotonda e la seconda con drupa pi allungata.

PUNICACEAE E una famiglia che comprende solo un genere botanico: il genere Punica. Questo genere diffuso nellareale del Mediterraneo e come rappresentante decellenza si annovera il Melograno. I fiori sono ermafroditi, solitari, oppure riuniti in piccoli gruppi. Il frutto si chiama balausta ed simile ad una falsa bacca, costituita allinterno di logge separate da strutture membranose che contengono semi dalle pareti carnose.

Melograno (Punica granatum L.)


Foglie: ovate-lanceolate con margine intero Frutti: globosi; sono false bacche (balauste) Fiori: con calice coriaceo rossastro allungato a tubo portante petali rosso-arancio Portamento: alto fino a 3-5 m La forma selvatica cresce a Sud del mar Caspio e a Nord-Est della Turchia. Allevato gi nel periodo classico nei Paesi mediterranei, stato sempre considerato simbolo di prosperit ed abbondanza. I fiori rosso vermiglio hanno ispirato il poeta Carducci in una nota poesia. Il frutto (balausta) composto di numerosi grani (semi) ricoperti di una polpa succosa dolce-acidula con propriet diuretiche e rinfrescanti. Nel comprensorio del Parco la specie rappresentata da individui rari ed isolati sebbene ampiamente distribuiti in tutte le municipalit. Solo due forme si sono potute differenziare con questo tipo di indagine: un tipo con frutti dolci ed un altro con frutti pi aciduli.

CORYLACEAE Fiori unisessuali monoici ad impollinazione anemofila. I maschili in amenti. Alberi o arbusti con foglie spiralate a stipole caduche. I frutti sono nucule o semi alati. Il Nocciolo ed i Carpini sono specie tipiche di questa famiglia.

Noccilo (Corylus avellana L.)


Foglie: cuoriforme sub-rotonde acuminate con margine doppiamente dentato Frutti: noccile riunite in 2-5, avvolte da una brattea fogliaosa 35

Fiori: amenti maschili a fine inverno (6-10 cm), amenti femminili come ciuffi di 3-6 mm Portamento: alto fino a 10 m Specie presente allo stato selvatico nel

sottobosco di latifoglie. Al pari del Castagno dal selvatico sono state selezionate variet coltivate. Nel Parco Nazionale del Pollino il Noccilo coltivato presente con almeno 5 differenti tipologie varietali (in base alla forma delle noccile) sotto forma di una o poche piante in quasi tutti i siti rurali. Il comune di San Severino quello pi ricco di forme domesticate con variet che si possono distinguere in base ai frutti (Sferoidale, Sferoidale grande, Allungato, Allungato grande, Selvatico). Il Noccilo con frutto sferoidale identificato anche col termine Nostrano.

JUGLANDACEAE Le piante appartenenti a questa famiglia hanno un portamente quasi sempre arboreo con foglie alterne composte e senza stipole, i fiori sono unisessuali ed il frutto rappresentato da una drupa oppure da una noce. Tipico rappresentante il Noce europeo. Unico rappresentante di questa famiglia il Noce comune.

Noce comune (Juglans regia L.)


Foglie: imparipennate composte da 5-9 singole lamine ovoidali; margine intero Frutti: drupe verdi con epicarpo (mallo) ed endocarpo (guscio). Il seme ha 4 lobi (gheriglio) Fiori: amenti verdi sui rami di 1 anno (maschili); i femminili sono piccoli grappoli allascella delle foglie; Fioritura: aprile-giugno Portamento: alto fino a 15-30 m E un albero tipico dellagricoltura antica. Il frutto una drupa la cui parte esterna di colore verde (mallo) ingloba una noce contenente il seme edule. Allo stato selvatico cresce nelle foreste decidue che dai Balcani vanno fino al centro-Asia. Cresce bene in zone fresche e montane. Pertanto le nicchie pi oceaniche del Parco Nazionale del Pollino sono particolarmente vocate allo sviluppo di questa specie. In base a caratteri quali, la forma, la dimensione della noce, la consistenza del 36

guscio sono state differenziate 10 differenti variet. Tra queste prevale un tipo da legno con guscio molto duro (Maschera). Francavilla in Sinni il comune nel cui territorio sono state rinvenute pi tipi varietali: il Nocione, la noce Locale tenera, quella Rotonda, la Dura grande e quella Comune, la Tenera grande. In alcuni casi sono presenti impianti da legno finalizzati alla forestazione produttiva, di recente costituzione. Una variet rara, il Nocione, presenta noci di elevata pezzatura. Non solo lungo i freschi corridoi del Mercure, ma anche lungo la valle del Sarmento, del Rubbio e del Frida cos come lungo la parte alta del Sinni e lungo il Serrapotamo, questa specie trova il microclima ideale. Per motivi ornamentali e forestali possibile anche rinvenire il Noce nero (Juglans nigra) di origine nord-americana.

FAGACEAE Alle Fagaceae appartengono molte piante legnose di interesse forestale tra cui si annoverano le Querce, il Faggio, il Castagno. Tipico di questa famiglia il frutto che una noce rivestita in parte o completamente con una cupola scagliosa (Querce), o spinescente (Castagno). Il Castagno ampiamente presente sia allo stato spontaneo che coltivato tramite variet selezionate ed introdotte in modo appropriato gi nel 1700 dai Borboni.

Castagno (Castanea sativa L.)


Foglie: lanceolate a margine seghettato ed alterne Frutti: acheni (castagne) avvolti da un riccio spinoso Fiori: amenti maschili alla cui base si trovano i fiori femminili; fioritura in giugno Portamento: alto fino a 25 m E spontanea e costituisce estesi boschi nella fascia montana. Dal selvatico sono stati selezionati gli individui che producono castagne decisamente pi grandi. La pianta utilizzata non solo per produrre castagne ma anche legname per falegnameria e per paleria. Sette tipi varietali sono stati riconosciuti in base al nome vernacolare alla forma dellachenio e delle foglie: 4 differenti tipologie di variet Locale (syn: Porcino, Patronale), e 3 tipi differenti di Nserta. Questultima produce castagne pi allungate che si prestano ad essere infilzate con ago e filo al fine di produrre delle collane di castagne da essiccare (nserte). Tra i tipi locali, alcune simili ai marroni, sicuramente sono state selezionate e coltivate con sesto di impianto razionale gi nel periodo borbonico. Viggianello, Francavilla sul Sinni, Mormanno, Castelluccio Superiore e Latronico conservano il germoplasma di Castagno pi variabile. 37

EBENACEAE Rappresentanti italiani di questa famiglia sono solo due specie, entrambe di origine asiatica. Il Falso Loto o Loto di Egitto ed il Kaki.

Kaki (Diospyros kaki L.)


Leventuale diversit genetica di questa specie probabilmente risiede nella diversit delle variet originarie introdotte dallAsia orientale (Cina, Corea e Giappone) negli ultimi 200 anni. E difficile differeziare i differenti tipi di Kaki censiti, anche perch il sapore (dolce o lappante) e la consistenza (dura o molle) del frutto sono associati alla presenza o assenza dei semi e quindi allevento associato alla impollinazione e successiva fecondazione degli ovuli oppure alla partenocarpia (produzione del frutto senza fecondazione). Ci nonostante solo in base alla forma e dimensione del frutto sono stati identificati almeno 4 tipi varietali con frequenza ed abbondanza massime nei Comuni di Latronico e Viggianello. E doveroso considerare che un frutto di dimensione maggiore associato alla partenocarpia e non a differenze di tipo genetico-varietale. La specie comunque omogeneamente presente su tutto il territorio rurale del Parco quasi sempre nellhortus dove svolge anche una funzione ornamentale.

FAMIGLIE DI SPECIE MINORI Salice, Sambuco, Alloro e Uva spina Il Salice (Fam. Salicaceae) quasi sempre rappresentato dal Salice da vimini e da ceste (Salix rubra L.; S. triandra L.), con variet a rami gialli e rossi, tipicamente allevato ai margini dellager spesso con forme di allevamento contorte e tipiche della Valle del Mercure (Foto 5). Queste sono le vere forme domesticate utilizzate per legare viti e tralci. In passato i vimini rappresentavano il materiale di base per la produzione artigianale di contenitori di svariato tipo e funzione (gerle, cesti, supporti per damigiane, ecc.). Esistono, alberi di Salice con rami verdi, scuri e con le varianti a rami fragili riconducibili alle specie selvatiche Salix alba L., S. caprea L. e S. fragilis L.

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Foto 5. Tipica forma di potatura del salice nella valle del Mercure (Pz). Il Sambuco (Sambucus nigra L.) (Fam. Caprifoliaceae) diffuso come piante isolate nellhortus. Anticamente veniva utilizzata linfiorescenza per decotti mentre oggi ritorna ad essere noto per la produzione dei liquori (Foto 6).

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Foto 6. Frutti maturi di sambuco LAlloro (Laurus nobilis L.) (Fam. Lauraceae) specie coltivata per le foglie aromatiche (Castelluccio, Chiaromonte, Rotonda) che ben si abbinano con il fegato di maiale e gli involtini di carne in molti piatti tradizionali locali. Lalbero funge da ornamento nellhortus ed il ramoscello, non solo cinge il capo dei neolaureati ma, insieme alla fronda di olivo ed al rosmarino, abbellisce le palme della domenica di Pasqua. LUva spina (Ribes grossularia, Fam. Saxifragaceae) presente spesso ai margini di antichi vigneti con le due variet a bacche verde-giallo o rosa-rosse.

Recenti introduzioni
Durante lindagine sono state anche rilevate delle recenti introduzioni di Rosa canina L. e Rovo (Rubus spp.). La prima presente lungo le siepi dei campi e spesso mantenuta per i frutti (cinorrodi ovali rossi) ricchi di vitamina C. Mentre il Rovo con foglie coriliformi talvolta utilizzato per la produzione di more. Il Ribes bianco e quello rosso stato rilevato nel Comune di Francavilla ed usato per i frutticini. Il Lampone (Rubus idaeus) presente a quote superiori ai 1000 m slm soprattutto nel Comune di Francavilla. Una Cornacea, il Corniolo (Cornus mas L.) anche talvolta citato per la drupa rossa allungata e per la precocit della fioritura. Questa specie rappresenta ancora il fruttifero selvatico specifico dei boschi pi termofili della fascia sub-montana cos come il Corbezzolo (Arbutus unedo L.), unEricacea specifica della fascia delle sclerofille eliofile mediterranee, presente con alcune piante domesticate in prossimit di casolari a Chiaromonte, Castronuovo S. Andrea e Mormanno. Presso due differenti giardini sono stati censiti il Melo siberiano (M. pumila) ed il Cotogno giapponese (Chaenomeles japonica), recentissime introduzioni asiatiche veicolate molto probabilmete dai vivai che distribuiscono piante ornamentali.

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TUTELA DELLE RISORSE GENETICHE FRUTTICOLE


Le piante legnose da frutto tramandate dalle passate generazioni sono ancora presenti nelle aree rurali maggiormente presidiate dalluomo a causa del loro lungo ciclo vitale. Questa ricchezza associata ad unit di paesaggio che integra piccole aziende agricole, campi semi-abbandonati, orti, giardini, margini di boschi e macchie. La marginalit dei territori rispetto alle aree interessate dalla specializzazione produttiva e dall'intensivizzazione delle produzioni agricole, la produzione per l'autoconsumo e per il diletto personale sono tutti fattori che hanno favorito la persistenza degli antichi fruttiferi. E irrealistico pensare di salvaguardare questa biodiversit utilizzando solo gli incentivi della politica di sostegno rurale previsti dallUE per i seguenti motivi: questi incentivi focalizzano solo sullazienda agraria mentre ormai noto che gran parte della biodiversit esistente si colloca spesso al di fuori di essa. Non a caso abbiamo voluto utilizzare per questo particolare paesaggio i termini latini che definiscono le differenti unit elementari del paesaggio (ager, saltus, hortus e silva). questi incentivi sono proporzionali allestensione dei terreni posseduti e non ad indici di biodiversit oggettivamente misurabili (es. lindice di Simpson spiegato in questa lezione). lattuale politica di supporto alla conservazione in situ non offre incentivi allagricoltura su piccola scala (giardini, orti e cinture urbane). Cio quellagricoltura che meglio conserva le risorse genetiche domesticate. La messa in pratica della dir. 2008/62/EC che prevede deroghe per la commercializzazione delle razze locali nei comprensori in cui si sono evolute potrebbe favorire la diffusione di alcune razze locali; cos come lagricoltura biologica (reg 834/2007), la designazione delle produzioni tradizionali (reg. 509/2006) ed il riconoscimento di marchi di origine geografica (reg 510/2006) - l dove non hanno contribuito ad una intensificazione e specializzazione produttiva a scapito di variet locali non protette da marchio - hanno favorito la conservazione di alcune importanti componenti della biodiversit domesticata. Diversi sono gli schemi di agricoltura sostenibile che se opportunamente adattati alle differenti realt potrebbero non solo valorizzare in termini produttivi la diversit genetica delle specie domesticate ma potrebbe anche svolgere un ruolo complementare alle riserve in situ, ai campi catalogo (in situ o ex situ) nella conservazione della biodiversit totale. Oggi possibile conservare tutta la biodiversit censita. E necessario replicare i campi che catalogano i biotipi pi vulnerabili (quelli con dimensione effettiva della popolazione minore di 310 individui). Per arrestare la perdita di biodiversit necessario rafforzare la rete dei custodi locali. Sono necessarie innovazioni tecnologiche volte al supporto dellagricoltura su piccola scala (mezzi meccanici appropriati e agro-tecniche orientate alla produzione pluri-specifica e pluri-varietale).

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Vanno affiancate iniziative che favoriscono unappropriata apertura al mercato. in differenti bacini idrografici, valutare i biotipi pi interessanti, recuperare elementi utili della tradizione stipulando una proficua connessione con le filiere agro-alimentari ed agro-turistiche. L'apertura al mercato, invece, dovr superare l'attuale uso di lite dei prodotti delle razze locali. I percorsi sono difficili ma non bisogna trascurare la possibilit di attivare rapporti con le mense pubbliche dei centri urbani, con i gruppi di azione solidale (GAS) e la ristorazione privata prima di passare a forme pi convenzionali. La vendita a km zero sar efficace solo se il sistema locale sapr fare anche della biodiversit domesticata un elemento di attrazione. Per arrestare la perdita di biodiversit, non ci si pu attendere una risposta tecnocratica e dai risvolti miracolistici. E infatti possibile (ma non realistico) ipotizzare che con nuovi centri, nuovi laboratori, e tecnologie, magari sproporzionate rispetto al problema in campo, sia possibile conservare le piante nei posti in cui si sono evolute. Ne consegue che i futuri titolari dei terreni saranno giovani e colti, capaci di allevare le piante, riprodurle, venderle e promuoverle tramite eventi ed innovazioni. Questi giovani saranno anche capaci di invecchiare e trasmettere ai rispettivi figli le risorse genetiche ereditate dai propri antenati (prospettiva temporale minima per un programma di conservazione genetica). Purtroppo i fatti si scontrano con questa ipotesi. Come ben sanno gli studenti che pi si appassionano allo studio dellecologia e dellevoluzione e, cos come ben noto agli agricoltori pi consapevoli, per una efficace conservazione genetica in situ necessario ribaltare questo sistema di interpretazione. I metodi proposti dalla conservazione biologica insegnano che per conservare un valore non sempre funzionano sovrastrutture e prescrizioni. Se si vuole conservare quellalbero, o quella specie in quel posto necessario identificare le forze (fattori e processi) che generano e determinano il rischio di erosione genetica e di estinzione. Questo rischio va in qualche modo gestito. Pertanto sulla gestione delle fonti di rischio di erosione genetica che dovranno essere dosate con equilibrio e specificit azioni e misure di governo. La conservazione in situ efficiente ed efficace solo elevando la cultura alimentare con metodo del e

consumatore,

stimolando

perseveranza la cooperazione costruttiva tra enti pubblici e privati cittadini e realizzando le buone pratiche indicate in leggi, regolamenti e linee guida.

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LAGRICOLTURA BIOLOGICA
Numerosi sono gli schemi di agricolture sostenibili. Alcuni puntano su ununica coltura (Caff, Cacao, Soia, ecc.), altri sugli aspetti della solidariet (commercio equo e solidale), altri ancora sulla tutela della fauna ornitica (agricoltura bird friendly). In misura diversa ciascuno schema cerca di tenere in equilibrio i due piatti della bilancia (della sostenibilit): sul primo piatto si posizionano redditi e benessere sociale, sul secondo la conservazione delle risorse. Lo schema pi diffuso in Europa e Nord America fa riferimento alladozione del metodo biologico ed ha come riferimento lazienda agraria. Ancora nessuno schema

integra il paesaggio come livello di riferimento. LArt. 27 del reg. N. 834/2007 (sullagricoltura biologica) specifica le condizioni richieste per le autorit delegate ai fini dellaccreditamento EN45011 o ISO Guida 65 . E responsabilit degli Stati Membri mettere a punto un sistema di controlli con unit di certificazione specifici per laccreditamento ed il monitoraggio. La certificazione per il biologico enfatizza soprattutto ladozione di tecniche colturali per il miglioramento della fertilit del suolo e riduzione di input chimici, il non uso di OGM ma, generalmente, non richiede la protezione della vegetazione naturale, dei corpi di acqua, della fauna, ecc. In altre parole, non considera la misura della biodiversit come un indicatore sintetico di performance. Nonostante ci lIFOAM (lassociazione internazionale degli agricoltori biologici) ha definito delle linee guida per la biodiversit da adottare, forse, in futuro.

(http://www.ifoam.org/about_ifoam/standards/norms/draft_standards/BiodiversityDraftStandardsD 2050728.pdf). E ormai ampiamente riconosciuto che lo schema proposto dal reg. N. 834/2007 deve maggiormente integrare la biodiversit. Questa infatti deve essere tutelata anche al di l delle aree protette, entro azienda e tra le aziende a livello di paesaggio. La sua tutela garanzia di qualit delle produzioni certificate ma anche la condizione di base affinche gli ecosistemi siano sani in termini di struttura, composizione e funzioni. Aumentare lindice di biodiversit per le specie e variet frutticole tradizionali rappresenta non solo un valore di conservazione ma pu rappresentare un valore economico per quelle aziende che puntano sulla poliproduzione e sulla diversificazione. Associato alluso dei fruttiferi, con particolare riferimento alle rosaceae, la sopravvivenza degli

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insetti impollinatori. Tra questi le api svolgono un ruolo aggiuntivo nelle produzioni economiche dei paesaggi a biologico. La conservazione della biodiversit in senso lato non pu essere relegata solo alle aree protette. Il tessuto agrario e rurale se non si connette con le aree selvatiche non si pu rendere possibile la conservazione di molte specie (soprattutto la fauna) che si vorrebbero conservare nelle aree perimetrate come protette. La ragione per cui la biodiversit viene raramente integrata nei processi di vautazione sicuramente dovuto alla mancanza di metodi di monitoraggio che si basano su indicatori che abbiano le seguenti caratteristiche SMART: Semplici Misurabili Affidabili Replicabili nello spazio e nel tempo Trend derivabili nello spazio e nel tempo

Il monitoraggio della biodiversit consente di valutare, tramite la conta di specie e variet, se nei contesti ad agricoltura sostenibile avviene leffettiva conservazione e rigenerazione di habitat in relazione a standard di riferimento e benchmark (habitat nativi, secondari o antropizzati). Nel riportare in questa lezione alcuni metodi pratici di misurazione della biodiversit, sia ad un livello di singolo sito che di paesaggio, si vuole mettere in evidenza che il monitoraggio della biodiversit possibile e realistico non solo per valutare il grado di sostenibilit di una azienda biologica ma anche di un intero comprensorio (distretto biologico). Lobiettivo della gestione sostenibile del territorio consiste infatti nel mettere in pratica la responsabilit sociale e quella ecologica a livello di singoli siti in modo da raccogliere un risultato netto positivo per lintero paesaggio.

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