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Francesco Lamendola

In ogni essere umano vi sono molte pi cose di ci che non appaia, e che lui stesso sappia
Gli esseri umani agiscono: nella loro natura; e, anche se non lo fanno, vengono a trovarsi in determinate situazioni e circostanze, inevitabilmente, per il semplice fatto di esistere, di essere vivi nel mondo. Ci sufficiente a farli classificare, dai propri simili, in base agli atti che compiono o alle situazioni in cui si trovano, senza andare troppo per il sottile, senza indugiare a domandarsi quanto, di realmente loro, vi sia in quegli atti, in quelle situazioni. E anche questa una legge di natura. Noi tendiamo a semplificare, a semplificare tutto, in base alle categorie del nostro utile immediato e della nostra pigrizia intellettuale e morale. E, semplificando oltre ogni limite accettabile, finiamo per stravolgere il volto dell'altro, sino a trasformarlo in una maschera irriconoscibile, surreale. Egli non pi se steso: diventato un fantasma, un fantasma che risponde ai nostri bisogni, alle nostre aspettative, ai nostri timori: qualche cosa che esiste soltanto nella nostra immaginazione, non nella realt. Allo stesso modo e con i medesimi meccanismi psicologici che ci spingono, istintivamente, a catalogare piante e animali in nostri amici o nostri nemici, cos noi appiccichiamo una etichetta addosso ai nostri simili, inchiodandoli, una volta per tutte, ad un ruolo unico, costringendoli a interpretare sempre la stessa parte. Questo particolarmente evidente nelle biografie dei personaggi famosi. Alessandro il conquistatore dell'Impero Persiano, Carlo Magno il fondatore del Sacro Romano Impero di nazione germanica, Mussolini il fondatore del fascismo e il ventennale dittatore dell'Italia. Bach, Mozart, Beethoven sono i musicisti per eccellenza; Tiziano, Monet, Van Gogh, sono i pittori; Platone, San Tommaso, Kierkegaard sono i filosofi; e cos via. Oppure, si pensi agli sportivi, agli uomini di spettacolo: Carnera il pugile, Merckx il ciclista, Maradona il calciatore; mentre Nurejev il ballerino, Greta Garbo l'attrice, Barbara Streisand la cantante. Ma si tratta di una serie di semplificazioni, questo certo: e ne siamo consapevoli. Solo che, per comodit e per pigrizia, non siamo disposti a riconoscere apertamente che ciascuno di questi uomini e di queste donne stato qualche cosa di pi, anzi, certamente, molto di pi, del ruolo pubblico che ha interpretato nella storia. Vi sempre, nell'essere umano, una parte profonda, una parte potenziale, che non visibile al primo sguardo e che non ha nulla a che fare con il ruolo sociale o professionale; una parte che non si esaurisce negli atti compiuti, nelle parole pronunciate, fossero pure gli atti pi spettacolari e le parole pi sublimi. La psicanalisi freudiana ha sviluppato questa intuizione in una sola direzione, quella dell'inconscio personale, e sotto un'unica prospettiva, quella sessuale; per di pi, partendo da premesse totalmente opinabili: un materialismo e un razionalismo tanto dogmatici quanto ottusi, negando con zelo quasi fanatico ogni spiraglio di trascendenza. Freud ha esplorato solo le cantine maleodoranti e tenebrose della personalit umana; non ha tenuto conto dei piani superiori, non ha tenuto conto del Cielo spalancato sopra di noi, n del legame profondo, indissolubile, che allaccia ogni essere vivente a tutti gli altri, al cosmo intero. Al di l dei nostri pensieri e delle nostre azioni coscienti; al di l delle nostre pulsioni inconsce, vi ancora una infinita ricchezza, una infinita gamma di possibilit all'interno dell'essere umano; vi sono stanze luminose che non sono mai state esplorate, balconi e finestre di cui ignoriamo
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addirittura l'esistenza e che non sappiamo vedere nell'altro, perch non sospettiamo nemmeno di possederli all'interno della nostra stessa anima. Una volta, nella scuola dove insegno, si verificarono dei furti di denaro. Ne parlammo in classe, e feci molta fatica a convincere alcuni ragazzi che l'autore di quei furti - certamente uno di loro, rimasto per ignoto - non meritava la pura e semplice qualifica di ladro. Durai fatica a trasmettere il concetto che nessuno di noi merita di essere inchiodato per sempre ad un singolo atto della propria vita, giusto o sbagliato che sia sotto il profilo morale; che in ciascuno di noi vi sono molte pi cose di quanto non traspaia all'esterno o di quanto si possa supporre in basi ai nostri singoli comportamenti e alle nostre singole azioni. Non mi riferisco solo al discorso delle innumerevoli maschere che noi ci mettiamo sul viso, o che altri ci impongono, come sosteneva Pirandello; ma a qualche cosa di molto pi profondo, di molto pi essenziale, inerente alla condizione umana in quanto tale, alla sua struttura ontologica originaria. Mi riferisco al fatto che ciascuno di noi ha, in se stesso, fin dal concepimento, infinite potenzialit e, quindi, infinite possibilit: una serie soltanto delle quali si realizzer, per un concorso di circostante interne ed esterne; senza, per, che le altre cessino di esistere, e sia pure allo stato latente. In altri termini, noi dobbiamo sempre ricordarci che in ogni essere umano non vi solo quello che egli sente, pensa, dice e compie; non vi solo quello che giace nel suo inconscio personale; non vi solo quello che noi vediamo di lui, o che egli medesimo vede e comprende di se stesso: ma di pi, molto di pi. In ogni essere umano vi la possibilit di un'infinita realizzazione, di una infinita perfettibilit, di una infinita auto-trascendenza. Ogni singolo essere umano un mistero enorme, insondabile: un mistero sacro, perch in lui stato impresso il sigillo dell'Essere. Davanti a un tale mistero ci si dovrebbe accostare in punta di piedi, con timore e tremore, e con la consapevolezza che la parte a noi visibile, e che siamo cos abituati a giudicare, meno ancora della punta dell'iceberg: perch la parte sommersa dell'iceberg, per quanto grande, pur sempre finita, mentre qui stiamo realmente parlando di qualcosa di infinito. Davanti all'infinito, ogni persona dotata di intelletto e consapevolezza dovrebbe sentirsi piccola, inadeguata, perfino indegna. Ebbene, c' un mistero infinito in ogni essere umano, in ogni anima umana - anzi, in ogni vivente; ma questo un discorso pi ampio, che richiederebbe un apposito discorso, per il quale non questa la sede adatta. Essere coscienti di questo mistero, di questa profondit, di questo abisso, non equivale in alcun modo ad una forma di giustificazionismo ad oltranza. Certo che la societ deve difendersi dai ladri; ma ci non significa che sia lecito classificare sotto una etichetta sbrigativa un'anima umana, in base ad un singolo gesto o ad un singolo comportamento. A ciascuno il suo mestiere: ai giudici quello di giudicare; agli esseri umani come tali, senza specificazione di sesso, di et, di professione o altro, quello di cercare di comprendere. Persino mentre sta compiendo la pi esecrabile delle azioni, l'essere umano non si esaurisce in essa; cos come non si esaurisce nell'attuazione del gesto pi nobile e sublime. C' sempre un resto, un residuo, che - lecito sospettarlo - costituisce ancora e sempre la parte infinitamente pi ampia, che non si esaurisce in quel gesto, in quella parola, in quella attivit. La verit che non esiste un io personale, ma, piuttosto, un io effimero ed illusorio, che parte del Tutto e che quanto pi si crede distinto e separato da esso, tanto pi tende a pensare e ad agire in maniera arbitraria e contraddittoria, inadeguata e insoddisfacente. Non c' niente di pi fuorviante di un io che si crede indipendente dal Tutto, e che, sulla base di questa supposta indipendenza, pretende di agire a titolo personale. Noi siamo sprofondati nell'ignoranza: non sappiamo vedere, non sappiamo ascoltare, non sappiamo minimamente organizzare i dati della nostra esperienza; eppure pretendiamo di capire e addirittura di giudicare gli altri, quando siamo cos inconsapevoli perfino di noi stessi.

Per avere una percezione pi veritiera di cosa sia l'essere umano, dovremmo sempre ricordarci che doveroso vedere in lui non solo ci che egli , ma anche quello che potrebbe essere; cos come si dovrebbe rispettare nel bambino anche l'adulto che sar domani. Un pragmatismo miope e riduttivo ci ha abituati a non prendere in considerazione se non le cose immediate e, inoltre, a valutarle solo nella misura in cui ci possono tornare utili. Ma per capire qualcosa dell'essere umano, bisogna guardare al di l del dato immediato. Al contrario, le cose pi preziose sono quelle che non si vedono; le cose pi importanti, quelle che si misurano sul metro del distacco, non del possesso. Per realizzare la propria evoluzione spirituale, l'anima umana ha bisogno di passare attraverso una serie di prove severe, che culminano nell'accettazione della rinuncia all'io e della rinuncia all'attaccamento all'esistenza fisica. Solo quando l'anima pronta ad affrontare serenamente un tale passo, si pu dire che la sua evoluzione spirituale sia compiuta. Insistiamo sulla scelta di questo participio: compiuta, nel senso etimologico di conclusa secondo la propria natura; cos come diciamo perfetta una cosa che stata portata a compimento. La mistica francese Marthe Robin, che visse per anni ed anni senza toccare cibo n bevanda (cosa giudicata impossibile dalla scienza materialista), che uomini illustri come Jean Guitton ebbero il privilegio di conoscere, parlando di una persona che era morta, diceva semplicemente: Allora, compiuta. Si rifletta a lungo sul senso di questa espressione, e lo si trover meraviglioso. Come ha osservato l'illustre psichiatra americano M. Scott Peck nel suo libro The Road Less Traveled ,1978; traduzione italiana di Franca Castellenghi Piazza, intitolata Voglia di bene, Edizioni Frassinelli, 1985, p. 60: Molti considerano [la rinuncia] dell'io e della stessa vita una sadica crudelt da parte di Dio o del destino che fa della nostra esistenza una specie di brutto scherzo, e si rifiutano di accettarla. Questo atteggiamento soprattutto diffuso nella cultura occidentale, per la quale l'io sacro e la morte un indicibile insulto. vero invece il contrario, precisamente della rinuncia al proprio io che gli esseri umani traggono la gioia pi estatica, profonda e durevole della vita. In questo "segreto" sta la grande saggezza della religione. Ricapitolando. L'essere umano non pu mai vedersi ridotto alle dimensioni del suo io empirico, delle sue azioni e delle sue manifestazioni apparenti. In lui vi una parte profonda e potenzialmente illimitata, che esige rispetto per la sua dimensione sacra. Offendere l'essere umano, per quanto indegno e colpevole possa risultare il suo comportamento, equivale a insultare questa sua sacralit interiore, che nessuno ha il diritto di ledere o sminuire. Al tempo stesso, una vita umana pu dirsi tanto pi riuscita, quanto pi essa si applicata al compito della propria evoluzione spirituale; e, per giungere a tanto, necessario che essa impari a spogliarsi dell'io e del proprio attaccamento cieco alla vita, intesa come dimensione materiale e come soddisfacimento di esigenze puramente edonistiche. In questo senso, perfettamente vero quel che diceva Platone: essere la filosofia, cio, null'altro che una preparazione alla morte. Prepararsi alla morte fisica, significa predisporsi nel giusto stato d'animo alla tappa finale del nostro viaggio: che non il nulla, ma quella pienezza cui tende l'anima umana con tutta se stessa, e, rispetto alla quale, anche il bene terreno pi grande appare sempre incompleto e insoddisfacente. Il fiume non teme di compiere l'ultima tappa del proprio viaggio, ovvero gettarsi nel mare; cos come l'acqua non teme di affrontare il salto vertiginoso della cascata, perch non si tratta che di una tappa di avvicinamento alla propria meta. Ogni cosa tende al conseguimento della propria meta e del proprio fine; ogni cosa tende a realizzarsi trascendendosi. Il seme deve morire per diventare pianta; il bruco deve scomparire, per rinascere come variopinta ed elegantissima farfalla. Ogni cosa corre verso la propria fine per realizzare il proprio compimento, per spostarsi su un piano pi elevato.
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Tale il destino dell'anima, tale il senso del suo viaggio terreno. Ma per affrontarlo con forza e con letizia, necessario che l'anima, prima, riconosca pienamente se stessa: vale a dire, riconosca di avere in s molte pi cose di quelle che traspaiano dalle sue parole e dai suoi atti; di avere in s una dimensione sacra, ineffabile e tale da metterla in comunione con tutta l'infinita pienezza ed armonia dell'Universo.

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