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Francesco Lamendola

Nausea dellesistenza e bassezza morale nellopera di un falso grande della letteratura: C. E. Gadda
Tra i palloni gonfiati del Parnaso nazionale - peraltro in buona compagnia di scrittori come Alberto Moravia ed Elio Vittorini - ce n uno, la cui bassezza morale nello sputare veleno contro chi non pu pi difendersi e il cui morboso compiacimento nel presentare la realt come sozza, oscena, ripugnante, gli assicurano un posto di primordine: Carlo Emilio Gadda. E bench quella nausea verso tutto ci che esiste sia il filo conduttore dellintera sua opera, a cominciare dai pretesi capolavori come La cognizione del dolore e Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, tuttavia vogliamo qui soffermare la nostra attenzione su un libello vergognosamente vile, come Eros e Priapo, in cui, a tale nota di fondo, si aggiunge la bassezza morale di fare gli sberleffi pi atroci alla memoria di un morto - Mussolini - il quale, se pure ebbe delle colpe, le aveva gi pagate abbondantemente con la morte e con loltraggio indecente delle proprie spoglie mortali. Il tutto in una sarabanda di invenzioni linguistiche che mandano in visibilio i critici letterari di bocca buona, quelli sempre pronti a battere le mani e gridare al genio ogni qual volta si trovano davanti a qualcosa di cervellotico e incomprensibile, evidentemente ignari della morale sottesa alla novella di Andersen Il vestito nuovo dellimperatore, in cui solo un bambino (beata innocenza!) osa gridare ad alta voce quello che tutti vedono, ma nessuno ha il coraggio di dire: che il bellissimo vestito nuovo dellimperatore, cio, esiste solo nella servile adulazione dei suoi sarti e che laugusto personaggio, pertanto, si pavoneggia tra la folla dei sudditi in mutande. La scrittura di Gadda tutta pervasa, dal principio alla fine, da un acre sentimento di disgusto nei confronti dellesistente, di schifo nei confronti della vita; da una aggressiva, delirante volont di parodia, di mostruosa deformazione, di stravolgimento patologico degli altri (linferno sono gli altri, insegnava il cattivo maestro Sartre): in breve, da una indignazione moralistica e paranoica nei confronti del fenomeno vita in quanto tale, senza nulla risparmiare, neppure lesibizione del proprio desiderio di uccidere la madre, come ne La cognizione del dolore, estremo, farneticante omaggio alla psicanalisi freudiana. Per questo suo atteggiamento censorio e violentemente denigratorio nei confronti di tutto e di tutti, si sarebbe quasi, per un momento, tentati di accostarlo a Lucrezio, che, nel De Rerum Natura, si abbandona ad acri invettive nei confronti di quanti, pur ridotti a condurre unesistenza miserabile, non hanno il coraggio di uccidersi, e tuttavia continuano a lamentarsi in maniera disgustosa, incapaci sia di vivere, sia di morire con dignit. Ma si tratta di una tentazione brevissima; perch basta leggere pochi versi di Lucrezio e confrontarli con qualche pagina di Gadda, per misurare tutta la distanza abissale che separa i due scrittori. Lucrezio un gigante: la potenza drammatica delle immagini che sa evocare non teme confronti con alcuno e pu essere paragonata soltanto alle terzine pi intense e drammatiche della Divina Commedia di Dante. Gadda, al contrario, un pigmeo, che si scaglia con feroce ma istrionica e repulsiva violenza contro lumanit intera, solo perch non ha il coraggio di guardarsi dentro e riconoscere che tutta quella bruttura, di cui quasi - orribilmente - si compiace, non allesterno, ma dentro di lui. Solo cos si pu spiegare la folle, vilisissima foga demolitrice con la quale si scaglia, in Eros e Priapo, contro la memoria di un morto: uno in cui milioni di Italiani avevano creduto, compreso lo stesso Gadda, che aveva aderito al fascismo fin dal 1922, salvo poi pentirsene ma tenere celato per 1

tutto il Ventennio, con il cuore colmo di rabbia, il proprio odio nei confronti di Mussolini e del regime, per lasciarlo poi esplodere solo molto dopo la fine della seconda guerra mondiale (il libello sar pubblicato, infatti, nel 1967). Evidentemente, Gadda non aveva saputo ben meditare quei versi de Il cinque maggio di Manzoni (13-20), in cui si ricorda come tanto ladulare i potenti, quanto linveire contro di essi, allorch sono caduti nella polvere, non sono cose che si addicano ad una Musa cosciente di s e del rispetto dovuto a se stessa: Lui folgorante in solio Vide il mio genio e tacque; quando, con vece assidua, cadde, risorse e giacque, di mille voci al snito mista la sua non ha: vergin di servo encomio e di codardo oltraggio Appunto: di codardo oltraggio. Per dare al lettore unidea di quali bassezze raggiunga questo libello, il quale vorrebbe abbagliare con la pirotecnica messinscena linguistica, che sfiora il funambolismo pi istrionico ma che solo il roboante contenitore di una acredine e di un astio velenosamente trattenuti per ventanni e poi, malignamente, spruzzati sulla memoria di un estinto, ne riportiamo alcune righe sufficientemente rappresentative (da: Eros e Priapo, Milano, Garzanti, 1967): Questo qui, Madonna bona!, non aveva neanche finito di imparucchiare quattro sue scolaresche certezze che son qua m, son qua m, a f tutt m, a f tutt m. Venuto dalla pi sciapita semplicit, parolaio da raduno communitosi del pi mistero bagaglio di frasi fatte, tolse ecco a discendere secondo fiume dietro al numero: a sbraitare, a minacciare i fochi ne pagliai, a concitare ed esagitare le genti, e pervenne infine, dopo le sovvenzioni del capitale, e dopo una carriera da spergiuro, a depositare in ctedra il suo deretano da Pirgopolinice smargiasso, addoppiato di pallore giacomo-giacomo, cio sulla cadrga, di Presidente del Conziglio in bombetta e guanti giallo canarino. Pervenne, pervenne. Pervenne a far correre trafelati bidelli a un suo premere di bottone su tastiera, sogno massimo dellex agitatore massimalista. Pervenne alle ghette color tortora, che portava con la disinvoltura dun orango, ai pantaloni a righe, al tight, al tubino gi detto, ai guanti bianchi de commendatore e delagente di cambio uricemico: dellodiato ma vividamente invidiato borghese. On que du trappoloni di banane delle du mani, che gli dependevano a fianchi, rattenute da du braccini corti corti: le quali non ebbono mai conosciuto lavoro e gli stavano attaccate a bracci come le fussono morte e di pezza, e senza aver che fare davanti l fotografo: i ditoni dieci dun sudanese inguantato. Pervenne. Alla feluca, pervenne. Di tamburo maggiore della banda. Pervenne agli stivali del cavallerizzo, agli speroni del galoppatore. Pervenne, pervenne! Pervenne al pennacchio dellemiro, del condottiero di quadrate legioni in precipitosa ritirata Potremmo continuare a lungo, ma crediamo che basti: proviamo vergogna a proseguire, quella vergogna che non ha provato Gadda a scrivere. I suoi giochi di parole, come quel pervenne che vuol fare confusione fonetica con il vocabolo francese parvenu, mostra solo la puzza sotto il naso che Gadda, figlio di ricchi borghesi bruscamente impoveritisi (e quindi divenuto piccolo borghese frustrato, come era toccato a Pirandello e tanti altri, specie nel primo dopoguerra) nutre nei confronti del popolano Mussolini; e non un sentimento che gli faccia onore. 2

La stessa cosa vale per la parodia della parlata romagnola del Duce, che rivela solo la schifiltosit di un intellettuale che, evidentemente, si ritiene in diritto di prendere in giro i provinciali di modesta estrazione sociale, un po nella tradizione di Lorenzo de Medici che, nella Nencia da Barberino, fa una spietata parodia del contadino Vallera: pessimo esempio di quella eterna arroganza del cittadino colto nei confronti del villano privo distruzione (ma non di cultura, e sia pure da autodidatta, nel caso di Mussolini). Quando, poi, si entra nel merito del giudizio storico, la faziosit di Gadda assume proporzioni addirittura grottesche, come quando definisce Mussolini un parolaio da raduno che sa esprimersi solo per frasi fatte, traendole da un bagaglio culturale misero e scipito. Al contrario, non vi studioso serio, di qualsiasi tendenza e convinzione, che non abbia riconosciuto la grandezza di Mussolini come giornalista e come oratore; il che, naturalmente, non significa in alcun modo - ci mancherebbe altro! - che si debbano condividere i concetti da lui espressi nei suoi articoli e nei suoi discorsi. Per quanto, poi, attiene al giudizio politico, laccusa di spergiuro veramente la pi squallida e insulsa che si possa rivolgere a Mussolini, se si possiede un mino di onest intellettuale: perch, senza voler negare che il fascismo abbia finito per caratterizzarsi come un movimento di estrema destra (al cui interno, peraltro, sopravvissero anche elementi tipicamente di sinistra e, comunque, rivoluzionari e antiborghesi), non si pu negare che il distacco di Mussolini dal Partito Socialista sia avvenuto in modo coerente e lineare, in quel periodo di tempo - il 1914 e lo scoppio della prima guerra mondiale - che vide perfino anarchici come Piotr Kropotkin e non pochi socialisti, come Leandro Arpinati, per non parlare di sindacalisti rivoluzionari come Filippo Corridoni e Alceste De Ambris, divenire accesi interventisti. Ma tant: la moda di buttare fango sulla memoria di Mussolini, presentandolo come un voltagabbana e un traditore dei compagni socialisti, ampiamente radicata nella cultura politica italiana della Vulgata democratica; dimenticando, oltretutto, che fu il Partito Socialista ad espellere il brillante direttore de LAvanti! (che, sia detto per inciso, aveva fatto quadruplicare le vendite del giornale in pochi anni) e non questultimo a volersene andare Forse la sinistra ortodossa italiana, socialista e comunista, aveva la coda di paglia troppo lunga per riuscire ad ammettere che Mussolini era sempre stato un uomo di sinistra che, a un certo punto, entr in conflitto con il proprio partito non gi per meschino calcolo personale o per farsi strumento repressivo degli agrari e dei conservatori, ma perch aveva misurato tutta labissale inconcludenza e tutto il pietoso velleitarismo dei suoi compagni, che nulla avevano imparato n dallesperienza della guerra 1915-18, n dal biennio rosso e dal clamoroso fallimento delloccupazione delle fabbriche Infine, insinuare che le braccia di Mussolini non abbiano mai conosciuto la fatica del lavoro un falso storico. Mussolini, figlio di un fabbro e di una maestra elementare, non solo conobbe lumile fatica del lavoro manuale, ma anche la povert e le mortificazioni della vita da emigrante. E, come noto, fece il servizio militare in fanteria e si guadagn sul campo i gradi di caporale dei bersaglieri; mentre Gadda, il ricco borghese, aveva fatto lufficiale in un esercito - quello italiano - che era uno dei pi classisti al mondo: dove tutto, dalla mensa alle comodit personali, sottolineava il divario immenso esistente tra gli ufficiali di estrazione borghese e i soldati semplici, figli di contadini e di operai. Che cosa ci sar, dunque, dietro tanta acredine, dietro tanto odio, dietro una cos irrefrenabile fiumana di veleno? Difficile sottrarsi alla netta impressione che ci siano molto odio e molto disprezzo verso se stesso, ma senza lonest intellettuale di riconoscerlo e cercando, invece, un bersaglio esterno - un uomo amato in giovent, e ormai morto e sepolto da oltre ventanni - sul quale rovesciare tutta la propria frustrazione e tutta la propria rabbia di ricco borghese socialmente declassato, di scrittore presuntuoso e misantropo; tutta la deformit della propria anima brutta, come ben sapevano i suoi ammiratori i quali, ingenuamente, lo avvicinavano, per venire subito raggelati dalla inverosimile maleducazione di quel borioso e falso grande della letteratura italiana. 3

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