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Platone

Platone tra i discepoli

Platone (427-347 a.C.) Platone ha poco pi di vent'anni quando incontra Socrate e meno di trenta al momento del processo e della condanna a morte del maestro. Che cosa abbia provato il giovane Platone per quella morte, difficile dire. Certo che da quella morte ha preso le mosse una delle pi profonde ricerche filosofiche che l'antichit ci abbia tramandato. La polis ha votato per la morte di un uomo giusto, condannato per le sue idee. Come potuto accadere? E' certamente uno scandalo per l'etica. Infatti un uomo giusto come Socrate stato ucciso dalla polis nel pieno rispetto delle leggi vigenti. Se la giustizia solo la legge che conveniamo di darci (ricordate i Sofisti?), dobbiamo ammettere che l'uccisione di Socrate avvenuta secondo il diritto. Ma essa giusta? Naturalmente la coscienza morale si ribella di fronte ad un simile caso: non siamo forse alla ricerca di un autentico valore oggettivo, superiore alle leggi? Nella prospettiva di Platone, valori morali e valori politici formano tutt'uno. Il problema di Platone sar, d'ora innanzi il seguente: come possiamo trovare una giustizia oggettiva, superiore al mutevole interesse degli uomini ed ai rapporti di forza, rispettosa della verit oggettiva e della coscienza, suprema istanza morale dell'uomo? L'uomo infatti non vive una vita pubblica separata dalla sfera personale e privata: l'uomo per Platone autenticamente cittadino poich la polis vista come il luogo per eccellenza dove l'uomo pu essere veramente se stesso, pu trovare la sua identit. Ma che cos' una polis? Essa composta da molti individui che formano una unit, con dei compiti diversi. Cos ad esempio l'artigiano produce dei beni che verranno consumati da tutti, l'uomo d'armi difende la citt dai nemici, lo statista la governa. Ciascuno di questi uomini svolge una sola attivit, ma essa rivolta al bene della collettivit. Solo quindi l'interazione tra tutti garantisce questo bene. Ecco dunque che cosa la giustizia: l'equilibrio tra le parti che garantisce la buona tenuta del tutto. E' questo equilibrio che garantisce la felicit del singolo cittadino e quindi nello Stato tutte le cose devono essere subordinate a questo supremo obiettivo. Giustizia sar perci la corretta distribuzione delle varie funzioni, per altro tutte importanti. Avremo dunque tre classi di cittadini a seconda che si occupino del lavoro, della difesa, del governo. Ciascuno dovr essere assegnato alla classe a cui lo destinano le sue naturali disposizioni, eventualmente corrette con una opportuna educazione, di cui la polis deve farsi carico con la massima cura. E la cura

maggiore viene riservata da Platone all'esame delle caratteristiche dei governanti: a loro infatti affidato il compito pi importante e delicato, quello di reggere lo Stato secondo giustizia. Essi, quindi, dovranno essere in grado di padroneggiare perfettamente la loro anima, depurandola da tutti gli interessi personali, poich il loro unico scopo deve essere l'interesse collettivo. Inoltre devono possedere nel maggior grado possibile il sapere, giacch in questo risiede la loro superiorit. Essi sanno che cos' la giustizia. e in virt di questa conoscenza possono reggere la polis. Ma come si diventa filosofi? Lo si diventa dopo un lunghissimo tirocinio, al quale si accede solo dopo aver mostrato una notevole predisposizione. Mentre per gli artigiani non necessaria una educazione speciale (ad essi basta la pratica), non cos per i guardiani e per i governanti. Dalla nascita i bambini vengono tolti ai loro genitori naturali per vivere insieme agli altri, come in una grande e solidale famiglia, in una sorta di asili statali. Poi, dai 7 ai 10 anni impareranno a leggere, scrivere, far di conto, conosceranno i testi classici, faranno danza, ginnastica, musica. Dai 10 ai 18 anni continueranno gli studi approfondendo la logica, la matematica, la retorica. I maschi infine faranno il servizio militare, che durer due anni. Quelli che saranno per i futuri reggitori dello Stato dovranno ancora continuare ad approfondire la loro preparazione e dovranno perci dedicarsi per altri dieci anni a sistematici studi scientifici. Poi, dai 30 ai 35 anni, studieranno la dialettica (cio la filosofia), a cui seguir un tirocinio di altri 15 anni come funzionari al servizio dello Stato. Dai 50 anni in poi potranno finalmente governare, alternando per la pratica del governo con lo studio della filosofia. Platone ha gran cura di mostrare come sia necessario che le classi superiori siano tenute lontano dal mondo degli affari, della produzione e degli scambi. I filosofi (ed anche i guardiani) non potranno perci avere beni in propriet privata, ma lo Stato stesso provveder a tutte le loro necessit. Persino gli affetti privati sono visti con sospetto. Coloro che appartengono a queste classi non potranno formarsi una famiglia ed avere relazioni affettive e sessuali esclusive. Platone auspica un regime di comunanza delle donne e dei bambini. Non si tratta per affatto di licenza sessuale o di ridurre le donne ad oggetto: le donne sono anzi uguali agli uomini e partecipano alla vita dello Stato su un piano di parit. Si tenga presente che nella Repubblica l'educazione dei cittadini era contrassegnata da una straordinaria ambizione: quella di sostituirsi alle leggi, rendendole di fatto inutili, grazie alla sua capacit di radicare i principi della giustizia nell'interiorit di ciascuno, a tal punto da produrre comportamenti spontaneamente corretti! Del tutto diverso invece l'orizzonte dell'ultimo dialogo platonico, Le Leggi, in cui proporr un governo in forma mista fra aristocrazia e democrazia; ammetter la famiglia e il matrimonio e reintrodurr, anche se in misura ristretta, la propriet privata; in esso, in ultimo, non si potr pi fare a meno delle leggi, e le leggi saranno i principali strumenti di educazione per i giovani o di rieducazione per gli adulti ribelli. Il Platone delle Leggi crede che nessuno sforzo vada risparmiato per garantire l'interiorizzazione dell'ossequio alla legge, la sua trasformazione in costume stabile e radicato. Platone

stesso dichiara di aver scelto questa "seconda rotta" perch la "bella citt" della Repubblica pi adatta alla condizione divina che a quella umana. La sfera della giustizia, come ogni altro valore morale, si riferisce alla pi intima natura dell'uomo, e cio alla sua anima (psych). Platone afferma cos una singola corrispondenza tra la polis e l'anima della persona. Inoltre noi abbiamo, con Platone, la prima vera e propria definizione del concetto di giustizia. Si noti: questa risposta radicalmente nuova nel pensiero antico. Nessun filosofo, prima di lui, aveva mai proposto una definizione concettuale della giustizia, cio una precisa descrizione dei caratteri teorici che identificano questa idea rispetto alle altre ("la giustizia il possesso di ci che proprio e l'esplicazione del proprio compito"). Tornando all'anima dell'uomo, il problema da affrontare adesso il seguente: a quali condizioni l'uomo in pace con se stesso, visto che nell'anima vi sono una molteplicit di elementi in lotta tra loro, come nella polis? Ebbene, l'uomo giusto e sano sar colui nel quale governa la parte razionale dell'anima. In altre parole, la parte razionale dell'anima deve guidare le altre due componenti, quella concupiscibile e quella irascibile, in modo che l'anima tenda verso i valori spirituali pi alti e possa raggiungere la felicit. Del resto felicit individuale e felicit collettiva sono le due facce di una stessa medaglia. Pu esservi uno Stato retto secondo giustizia solo se i suoi cittadini sono giusti. D'altra parte, la felicit individuale dipende direttamente dalla giustizia e dalla felicit collettiva, nel senso che nessun individuo pu sperare di vivere felicemente se non in una polis ben ordinata. Quando l'interesse del cittadino appare contrapposto a quello dello Stato, si deve dare la prevalenza all'interesse collettivo, perch solo cos a ciascuno sar garantito ci che gli spetta nell'ordine del tutto. Il cittadino deve saperlo, e deve essere fiero, se necessario, di anteporre gli interessi dello Stato ai propri, contribuendo cos alla felicit di tutti. In che cosa consister allora questa felicit per l'uomo? Platone affronta a fondo questo problema in un dialogo intitolato Filebo. La vita migliore per l'uomo consiste, secondo Platone, in una miscela proporzionata di intelligenza e di piacere. Insomma, tutto ci che ha proporzione e bellezza: ecco qual la vita buona per l'uomo. E con l'educazione l'uomo imparer a distinguere quali sono i veri piaceri e quali sono le cose che danno la vera felicit. Ma perch - ci si potrebbe ancora chiedere - si dovrebbe voler essere felici e giusti? Perch - risponde Platone - la giustizia in s il bene supremo dell'anima. La giustizia cio salute e armonia dell'anima,

come la salute fisica e la bellezza esteriore sono desiderabili per il corpo. Inoltre, nonostante le apparenze, i giusti vivono comunque meglio e sono pi felici degli ingiusti. Certo, Platone consapevole che la felicit non potr mai essere perfetta su questa terra, ma alla vita terrena egli contrappone costantemente un altro mondo, un mondo migliore in cui vi sono valori imperituri e soprattutto vi il Bene, il valore pi alto (Iperuranio o Mondo delle idee). Le cose giuste e belle sono infatti tali - cio dotate di valore e desiderabili - per la loro relazione con un principio unitario di valore, l'Idea del Bene. Secondo Platone, solo se c' qualcosa che sempre quello che , possibile conoscere che cosa esso sia. Se invece tutto mutasse continuamente, non si potrebbe mai conoscere che cosa una cosa , giacch un attimo dopo essere stata conosciuta come quella determinata cosa, la cosa muterebbe e non sarebbe pi quale l'abbiamo conosciuta. Insomma, tutta la nostra esistenza spirituale, con le sue cognizioni e le sue valutazioni, sarebbe incomprensibile se, accanto ai singoli fenomeni percepiti con i sensi, non si ammettesse come reale anche l'universale, che noi possiamo cogliere solo con la vista interiore, col pensiero, e se non si postulassero, di contro alle cose sensibili perpetuamente mutevoli ed effimere, degli archetipi sempre uguali a se stessi che si manifestano nelle cose e ne manifestano la vera essenza, e cio le famose Idee. Le cose che noi crediamo concrete e reali sono in realt per Platone delle copie od imitazioni delle Idee stesse, le quali appunto vivono in una realt diversa da quella sensibile e sono concepite da Platone come delle realt oggettive, delle sostanze eterne ed immutabili, separate e autonome rispetto al mondo delle apparenze sensibili. La teoria delle Idee ha per Platone anche un profondo significato etico, cio serve a fornire all'uomo un criterio di comportamento in vista della realizzazione della sua perfezione (aret). Infatti, affinch sia possibile la virt e quindi sia possibile un'etica, necessario che esistano dei valori oggettivi, immutabili e universali. Se non esistessero il Bene, il Bello, il Buono ecc. in s, come potremmo noi giudicare un comportamento bene, bello, buono ecc.? Dunque le Idee di tali valori esistono, sono immutabili perch sempre uguali e in pi vengono riconosciuti come tali da tutti, e sono quindi universali. Tra tutte le Idee, la pi alta realt esistente l'Idea del Bene: essa il principio di tutte le Idee ed quindi al di sopra di essa; non si pu chiamarla Dio solo perch essa non un soggetto ma pu essere solo oggetto di intelligenza e di amore. Platone illustra anche i rapporti reciproci che intercorrono tra le Idee (alcune ad es. sono pi "generali" di altre, come quando ci riferiamo alla "vita" e all"uomo": l'uomo un vivente ma non ogni vivente

un uomo) e dunque tra esse vi una sorta di gerarchia, in cui alcune idee ne includono altre e ne escludono altre ancora. L'attivit razionale a cui compete l'indagine del mondo delle Idee chiamata da Platone dialettica, e si identifica in pratica con la filosofia. Nella Repubblica la dialettica esplicitamente definita come l'ascesa ad un principio non ipotetico, che si raggiunge partendo dalle ipotesi e distruggendole (synagogh), e la successiva discesa da tale principio, identificato con l'Idea del Bene, a tutte le altre idee, cio la fondazione di queste a partire dalla loro causa (diairesis). La dottrina delle Idee presentava per delle difficolt: infatti, finch si tratta di ammettere Idee di caratteristiche generali (il simile, l'uno ecc.) oppure di valori (giusto, vero, buono ecc.) non vi sono obiezioni. Ma vi possono essere le Idee di cose che non sono valori, come il fuoco, l'acqua, l'uomo? E vi possono essere Idee di cose negative come ad es. la sporcizia? La risposta di Platone che l'Idea la forma unica di una molteplicit. Definita in tale modo, ogni Idea identica a s stessa e diversa dalle altre, come di ogni cosa possiamo dire che se stessa e non le altre cose. Da questo punto di vista, Platone pu parlare anche del non essere - e superare quindi Parmenide, compiendo il "parricidio di Parmenide" - intendendolo come diverso, nel senso che dire di una cosa che essa non ... non significa necessariamente che essa non sia in senso assoluto, bens che essa diversa dalle altre cose. Le Idee sono inoltre caratterizzate dal limite e dall'illimitato (ovvero finito ed infinito): appartengono al limite tutte quelle caratterizzate da numero e misura (Le Idee in genere, i numeri, i rapporti ecc.); appartengono all'illimitato le qualit caratterizzate dal pi e dal meno (caldo, freddo, forte, debole, amaro dolce ecc.); mentre vi sono poi moltissime cose che appartengono al cosiddetto genere misto, che comprende tutte quelle cose che hanno un inizio ed una fine (la salute, le stagioni, una musica ecc.). Il genere misto importante anche in ambito morale, come abbiamo visto, poich la vita migliore quella in cui si trover una mescolanza proporzionata di intelligenza e di piacere. Ultima questione: da dove vengono all'anima umana le Idee? Esse sono - dice Platone - come dimenticate in fondo all'anima e vengono apprese, conosciute, ogni volta che l'anima ci riflette sopra. Cos conoscere non altro che ricordare e cio riportare alla luce della coscienza le Idee che sono come sepolte in noi. Lo strumento pi adatto per farlo sar naturalmente la filosofia. Prima di concludere, bisogna ancora parlare di un aspetto fondamentale del filosofare platonico e cio del significato del mito. In Platone il mito serve... per illustrare le verit pi profonde. Esso inoltre non pretende di dimostrare in senso stretto ogni cosa ma vuole stimolare, spronare alla ricerca degli ultimi perch. Con ci Platone ha evitato di usare, da un lato, il mito solo in senso fantastico

o in modo astratto e intellettualistico, dall'altro ha superato lo scoglio del razionalismo, cio la pretesa di ridurre tutto ad una spiegazione puramente razionalistica o logica. Del resto la filosofia, avendo spesso a che fare con i problemi pi difficili, si trova sovente ai confini del dicibile e dunque, per risolverli, si avvale del ricorso al mito, il quale illustra qualcosa che si pu ritenere valido e significativo anche se non rigorosamente spiegabile o dimostrabile. Il mito della caverna Il mito pi famoso di Platone probabilmente quello della caverna nel 7 libro della Repubblica. Platone racconta che gli uomini possono essere paragonati ad alcuni schiavi incatenati, posti all'interno di una caverna, i quali sono costretti a volgere lo sguardo sulle pareti di essa, su cui si proiettano le ombre delle cose esterne, grazie ad un fuoco posto all'esterno dell'antro. In un primo tempo, gli schiavi scambiano la vera realt con le ombre (verit come percezione di immagini, eikasia). In seguito uno di essi riesce a voltarsi e si rende conto che la realt non era l'ombra ma l'oggetto corrispondente (verit come credenza, pistis). Poi riesce a liberarsi e va all'esterno, dove prima abbacinato dal Sole ma, quando riesce ad abituarsi alla luce, scopre gradualmente la verit fino a contemplare il Sole stesso (conoscenza razionale, dianoia, e poi filosofica, noesis). Egli per non se ne va via, ma ritorna alla caverna per far partecipi gli altri di ci che ha visto, a rischio di essere preso per matto. Il che significa che il filosofo non deve limitarsi a contemplare da solo la verit, ma importante il suo ritorno alla caverna per aiutare gli altri ad arrivare alla conoscenza del vero bene. Sempre nella Repubblica, ma nelle ultime pagine dell'opera, nel decimo libro, viene descritto il mito di Er, che affronta il problema del destino umano. Er un guerriero morto in battaglia che ritorna in vita dopo alcuni giorni trascorsi, diciamo cos, nell'aldil. Egli racconta appunto quel che succede dopo la morte. Vi sono le tre Parche (Cloto, il presente, che fila il filo della vita; Lachesi, il passato, lo distribuisce; Atropo, il futuro, lo taglia) che sono presenti al momento della scelta, da parte delle anime, del prossimo corpo in cui reincarnarsi. Ogni anima pu scegliere il modello di vita ad essa pi adatto e, in genere, sceglie in base a quella che stata la vita precedente. Ci implica che la scelta fatta dall'anima sia comunque libera e ci vuol dire che ognuno responsabile del proprio destino mentre la divinit non c'entra. Platone conclude dicendo che gi in questa vita bisogna prepararsi alla scelta del proprio destino. Man mano che l'uomo procede nelle vita, sceglie di volta in volta il bene e il male, dunque determina il proprio destino. In altri dialoghi Platone affronta il mito dell'amore. Nel Simposio detto che Eros (amore) desiderio di qualche cosa che non ha, ma di cui ha bisogno (=l'amato), ed quindi mancanza, desiderio di qualcosa. Eros il mitico figlio di Pena (povert) e di Poros (espediente o acquisto), dunque non un dio ma un semidio, un

demone. Egli non ha la bellezza ma la desidera, non ha la sapienza ma la cerca e quindi per eccellenza filosofo (al contrario degli di che sono gi sapienti e belli e beati). L'amore perci desiderio di bellezza, e la bellezza si desidera perch il bene che rende felici. L'uomo, destinato a morire, tende a generare nella bellezza e quindi a "immortalarsi" attraverso la generazione, lasciando, dopo di s, un figlio che gli somigli. La bellezza dunque il fine dell'amore. Ma quale bellezza? Essa ha diversi gradi e ad essi l'uomo pu procedere solo dopo un lungo cammino di riflessione. C' dapprima la bellezza corporea, da cui l'uomo viene subito attirato. Ma sopra di essa, pi importante, vi la bellezza dell'anima. E, pi importante ancora, vi la bellezza delle leggi e delle istituzioni. Al di sopra ancora si trova la bellezza delle scienze e, infine, c' la bellezza in s, l'Idea di Bellezza, che la fonte di ogni altro tipo di bellezza. Come pu l'uomo giungere a contemplarla? E' quanto Platone spiega nel Fedro. L'anima paragonata ad una coppia di cavalli alati tirati da un auriga. Uno dei cavalli eccellente, l'altro pessimo. Compito dell'auriga indirizzare verso l'alto (il mondo delle Idee) la coppia di animali. Il cavallo pessimo cerca sempre di tirare verso il basso in modo che l'auriga riesca a contemplare poco il mondo delle Idee. Quando poi l'anima si appesantisce (o per colpa o per dimenticanza), perde le ali dei cavalli e va ad incarnarsi in un uomo che sar tale quale essa lo rende. L'anima che riuscita a vedere di pi, andr nel corpo di un uomo che si dedicher alla sapienza e all'amore, mentre l'anima che ha visto dei meno andr a finire in un corpo dedito solo alle sollecitazioni pi egoistiche. Orbene, nell'anima incarnata - quindi nell'uomo - il ricordo delle realt ideali risvegliato proprio dalla bellezza. L'uomo non pu fare a meno di riconoscere la bellezza e, al suo richiamo, risponde con l'amore. L'amore quindi la guida dell'anima ( psicagogo) verso il mondo dell'essere e della verit. L'eros, in altri termini, si trasforma nella ricerca filosofica che , contemporaneamente, ricerca della verit ed unione delle anime nello sforzo comune di apprendere qual la vera realt. Ecco l'autentico significato di quello che viene tradizionalmente chiamato l"amore platonico". Per finire, ricordo il mito del Demiurgo descritto nel Timeo. Il Demiurgo l'artigiano divino, dotato di intelletto e volont, il quale, essendo buono e amante del bene, mette in ordine tra le cose del mondo (forma il cosmo) che, in origine, erano un ammasso informe o caos. La materia vivificata dall'Anima del Mondo che, appunto, trasforma l'universo in un immenso organismo vivente, ed in esso si riflette l'armonia del mondo delle Idee. Il Demiurgo genera anche il tempo, che l"immagine mobile dell'eternit" poich riproduce, col succedersi degli eventi, l'ordine che c' nell'eternit. Il Demiurgo, comunque, solo l'artefice delle cose naturali e non delle Idee e tantomeno dell'idea suprema, quella del Bene. Si ricordi che la divinit partecipata da vari di, ed il Demiurgo ne solo, per cos dire, il capo gerarchico.

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