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VEIANIUS Veianius armis Herculis ad postem fixis latet abditus agro. HOR. Epist. I 1, 4.

Mane coronatos aestivo flore penates halantemque rosis visit viridemque marino rore focum, mundamque domum miratur, ut omnis splendeat assiduo purgata labore supellex; et placare lares pingui Veianius agna atque mola salsa properat: tum mica corusca dissilit aut prunae crepitans ardore voratur, tum reliquos nidor pervincit lentus odores. Namque anno redeunte dies hic gaudia festus magna refert, ex quo proprio latet abditus agro, et rude donatus tandem sibi vivere coepit, naribus et calidi fumum abstergere cruoris. Ergo omni adsuetus solvatur coetus opella: sit mora, sit requies, falces et sarcula cessent, et redolens carpant faenum ad praesepia tauri, et tergum in pratis immune volutet asellus, vosque larem, famuli, fremitu circumdate lacto, conclusae resonent famulis epulantibus aedes: vilica compescat clamorem, at, munus herile, sistra manu medius tremebunda vernula verset. Iam pransus late dominus sua rura pererrat, viticulas numerat, tenues notosque racemos, et quibus est ausus plantas immittere mali ipse ornis, et quas cerasos eduxerit ipse. Tandem ubi densa suis saepes praetenditur arvis hirta rubo, clymeni spirans serpentis odorem, venerata et secum tacitus modo visa recenset: hortumque arbustumque virens et pinguis olivae exiguos flores et lactum melle salictum. Hinc lentis vestita hederis tua saxa, Vacuna, suspicit, hinc villam candentem vertice collis, cui pinus lato nigrescens imminet orbe. "Quas" inquit tacitus "nugas meditaris, Horati, aut ad lene sacri fontis caput, aut ubi pinus umbram consociant ramis et populus alba? An glebas dicam te vix et saxa movere ilia ducentem, multo sudore madentem?

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Excipit en lippum de saepe repente cachinnus risoris Cervi: Non ista ligonibus apta est dextera. Quam scit quisque libens exerceat artem . Huic vitae lassos te traduxere Camenae, me ferrum et caedes: eadem miramur utrique. Hic fremit innumeris foliorum populus umbris, hic longo invitat somnos Digentia cantu, hic clymeni flores carpens apis aera bombo personat... " At fesso obrepit tum somnus; inertis paulatim venas et lumina coniventis occupat. In somnis ecce immensum ferit aures murmur, quale premens foliis folia edere ventus, quale solet noctu multarum lapsus aquarum, aut qualem efficiunt examina densa canorem. Panditur interea vasto circum orbe theatrum et cunei ante oculos tunicata plebe frequentes, atque alii scandunt fremitu scalaria mixto. Adsurgunt: podium ingrederis tu, maxime Caesar. Purpureae fulgent lento vestes incessu, atque atros flammante sinus toga sanguine mutat. Tum tuba signa canit: tardis Veianius errat luminibus circurnspiciens et milia cernit multa in se demens oculorum fixa crepantesque attonitus media palmas exaudit arena. Ipse manu crispat nudus gladium, ipse Syro par commissus: grandis spes omnibus una duelli est. "Quid"? secum meditatur "an Orcus reddere discit exstinctas animas? nonne istum iam meus ensis abstulit? at coram cerno, quin torva tuentem! Quis fuit antiqua me iterum qui inclusit arena, desuetumque Syri gladio qui tradit et irae? Continuo ferris cur nos pugnemus acutis? An populum exorem? an senior diludia poscam? Pugnandum est". Animos sic fatus colligit ultro: nequiquam; horror enim laxatos concutit artus, poplitibus tremit infractis et bracchia pendent. Raucisonis propter Digentia labitur undis. Iam Syrus aversis manibus tectisque minatur: ipse cavet tantum, veteris non immemor artis; verum oculos gladii perstringit fulgor, et aures tintinnant. Rectis etiam Syrus ictibus urget, pondere nunc impellit, acumine nunc petit, ictus et simulat variatque, et nutu fallit hiantem. Debilis en factus nec propulsare valet iam

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mucronem, et subito dum alio Syrus avocat arma, succidit extrema frendens resupinus arena. Conclamant omnes. - Vicinae forte cupresso turba loquax avium densis insederat alis. Sibila populeas frondes super incutit aura. Ipse miser graviter suspirat et omnia circum arrectis oculis manibusque micantia cernit. Hic princeps, illic adstant longo ordine matres, iuxtaque adflantis pectus victoris anhelum, et gladio lugulum gelido crispatur hianti. Tum digitum tollit: stant omnes pollice verso. "Veiani" victor victi sic intonat aurem Veiani ast ille expergiscitur. Heus ita dudum stertendo toto pervincis rure cicadas. Quin surgis? laeto haec Venusinus Horatius ore. Surge, ignave: - sed ille oculos terit, explicat artus conveniunt Variam, viridisque Lucretilis omnis agricolis tanquam formicis semita fervet, quos vocat ad trivium stridenti buccina cantu.

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Traduzione: Veianio Veianio appese le armi al tempio di Ercole si ritira nella solitudine del suo campo Orazio, Epist, I, 1,4 vv. 1- 20 Di mattina Veianio fa visita allaltare dei Penati ornati di fiori estivi e al focolare odoroso di rose e verde per il rosmarino, ammira la casa pulita a tal punto che tutto il mobilio lucidato risplende grazie allassiduo lavoro; inoltre Veianio si affretta a placare i Lari con una grassa agnella e farina salata: allora un granello incandescente salta o crepitando viene divorato dalla brace ardente, allora lostinato odore di bruciato vince sugli altri odori. E infatti questo giorno di festa porta grandi gioie poich trascorso un anno, da quando Veiano si ritirato nella solitudine del suo campo e dopo aver ricevuto in dono la verga (del gladiatore) ha finalmente cominciato a vivere per s e a togliersi da sotto il naso lodore del sangue caldo. Dunque oggi sia sciolta ogni riunione di schiavi avvezzi al lavoro, sia concessa una pausa, sia concesso riposo, cessino di lavorare falci e sarchielli e i tori mangino il fieno odorante nelle mangiatoie e lasino volga il dorso libero nei prati, e voi, schiavi, andate attorno al focolare allegramente scherzando, risuonino le stanze chiuse per il banchetto dei servi: la fattoressa trattenga le grida, ma il giovane schiavo nel mezzo con mano tremante suoni il sistro, dono del padrone.

vv. 21-37 Subito dopo aver pranzato abbondantemente il padrone passeggia per i suoi campi, conta le piante di vite, i grappoli duva piccoli e rinomati e i frassini a cui lui stesso os innestare le piante di melo e i ciliegi che lui stesso piant. Infine esamina in silenzio tra s dove la siepe fitta si protende sui suoi campi coltivati, irta di rovi, emanando lodore del caprifoglio che si diffonde, ed esamina ci che ha venerato e visto or ora: il giardino e larbusto verdeggiante e pingue dellulivo, i piccoli fiori e il salice abbondante di miele. Di qua guarda, o Vacuna (dea del riposo nei campi), i tuoi muri ricoperti di resistente edera, di l la villa che risplende sulla sommit del colle, su cui un pino nero sovrasta con il suo ampio cerchio. Quali sciocchezze mediti, Orazio dice fra s presso la sorgente della fonte sacra o dove il pino e il bianco pioppo fanno ombra insieme con i loro rami? O forse dovrei dire che con fatica muovi le zolle e i sassi respirando affannosamente, madido di molto sudore? vv. 38-61 Ecco improvvisamente sorprende lui che ha spesso gli occhi infiammati la risata dello spiritoso Cervio: Codesta mano non adatta a zappare. Ciascuno si accontenti di esercitare larte che conosce. Stanchi a questa vita condussero te le Camene, me il ferro e le stragi: entrambi apprezziamo le medesime cose. Qui il pioppo freme con lombra infinita delle sue foglie, qui il ruscello Digenzia invita al sonno con il suo incessante canto, qui lape che vola cogliendo i fiori del caprifoglio risuona con il suo ronzio .... Ma a lui stanco sopraggiunge allora il sonno; a poco a poco occupa le vene e gli chiude gli occhi. Ma ecco nel sonno un immenso rumore ferisce le sue orecchie, come il vento che preme le foglie sulle foglie, come solita fare una abbondante cascata di acque nella notte o come il ronzio che provocano sciami fitti. Nel frattempo si spalanca intorno nella terra deserta un anfiteatro e davanti ai suoi occhi i cunei sono occupati dalla plebe senza toga e altri scalano i gradoni con rumore confuso. Si alzano: tu accedi al podio, o grandissimo Cesare. Purpuree brillano le tue vesti allincedere lento, e la toga cambia il colore delle pieghe da nero a sangue fiammante. Allora la tromba d il segnale: Veiano guardandosi attorno va di qua e di l e come pazzo vede molte migliaia di persone che guardano fisse verso di lui e attonito ascolta in mezzo allarena le palme (delle mani) crepitare (= applaudire). vv. 62- 80 Proprio lui nudo fa vibrare la spada con la mano, proprio lui messo a combattere alla pari con Siro: tutti insieme hanno una grande attesa di combattimento. Ecch? medita tra s forse che lOrco ha imparato a restituire le anime estinte? Non forse vero che la mia spada lo ha gi tolto di mezzo? Ma lo vedo qui davanti, che anzi mi guarda minaccioso! Chi stato che mi ha rinchiuso di nuovo nellantica arena, che mi consegna alla spada e allira di Siro pur essendo io non pi abituato? Perch dovremo combattere ininterrottamente con i ferri aguzzi? O forse dovrei pregare il popolo? O dovrei chiedere io pi vecchio la tregua? Si deve combattere. Cos detto raccoglie spontaneamente il coraggio: invano; infatti lorrore agita le membra stanche, trema nei ginocchi indeboliti e penzolano le braccia. La Digenzia scorre vicino con le sue onde dal suono rauco. Gi Siro lo minaccia con pugni obliqui e furtivi: lui sta soltanto in guardia, non immemore della vecchia arte; ma il fulgore della spada gli abbaglia gli occhi e le orecchie ronzano. Anche Siro incalza con colpi dritti, ora lo spinge con il peso, ora lo aggredisce di punta, simula e varia i colpi, e con cenni inganna Veiano che rimane a bocca aperta.

vv. 81-100 Ecco divenuto debole non riesce pi a respingere la spada e improvvisamente mentre Siro allontana le armi altrove, cade fremente dira riverso sullestremit dellarena. Tutti gridano. Per caso su un vicino cipresso si era posato con fitto battere dali uno stormo canterino di uccelli. Una brezza sibilante percuote sopra i rami dei pioppi. Linfelice respira con difficolt e vede tutto attorno palpitare levati gli occhi e le mani. Di qua sta limperatore, di l stanno le matrone disposte in una lunga fila, e vicino a lui il petto ansante del vincitore che gli respira sul volto e con la fredda spada gli increspa la gola spalancata. Allora solleva il dito: tutti stanno con il pollice verso. Veianio! cos il vincitore rimbomba nellorecchio del vinto Veianio! ma quello si sveglia. Ehi, da un pezzo russando in questo modo vinci il canto delle cicale in tutta la campagna. Perch non ti alzi? il venosino Orazio gli dice queste cose con volto allegro. Alzati, pigro - ma quello si sfrega gli occhi e si stira le membra si stanno raccogliendo a Varia (cittadina del Lazio) e tutto il Lucretile (monte della Sabina) brulica nel suo sentiero di contadini come fossero formiche, che la buccina (corno ricurvo) richiama in strada con il suo suono stridulo.

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