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Rebecca Holbura 5B

IRENA SENDLER
Irena Sendler nacque nella periferia operaia di
Varsavia, in una famiglia cattolica polacca di
orientamento politico socialista. Il padre, Stanisław
Krzyżanowsky, era medico; egli morì di tifo nel
febbraio 1917, avendo contratto la malattia mentre
assisteva ammalati che altri suoi colleghi si erano
rifiutati di curare (molti di questi ammalati erano
ebrei). Dopo la sua morte, i responsabili della
comunità ebraica di Varsavia si offrirono di pagare gli
studi di Irena come segno di riconoscenza. Di
confessione cattolica, la ragazza sperimentò fin
dall'adolescenza una profonda vicinanza ed empatia
con il mondo ebraico. All'università, per esempio, si
oppose alla ghettizzazione degli studenti ebrei, e
come conseguenza venne sospesa dall'Università di
Varsavia per tre anni.
Terminati gli studi, cominciò a lavorare come
assistente sociale e infermiera nelle città
di Otwock e Tarczyn.
Irena Sendler, a Varsavia, iniziò a lavorare
per salvare gli ebrei dalla persecuzione fin dal 1939,
quando i nazisti occuparono la Polonia. All'epoca
aveva 29 anni e lavorava come assistente
sociale per l’amministrazione comunale, da cui, con
il supporto del direttore del dipartimento (che per
questo verrà deportato ad Auschwitz), poté
soccorrere gli ebrei oggetto di ogni tipo di
discriminazione da parte dell’autorità nazista
occupante.
Nell’autunno del 1940, a Varsavia, venne recintato
il ghetto e quasi 400.000 ebrei furono trasferiti al
suo interno in condizioni igieniche precarie,
aggravate dalla mancanza di cibo e medicine.
Proliferarono le epidemie e il tasso di mortalità era
altissimo. In veste di infermiera, Irena ottenne un
lasciapassare: ufficialmente entrava per la
disinfestazione, ma in realtà aveva organizzato una
vera e propria rete di soccorso procurando cibo,
generi di conforto, vestiti. Quando era nel ghetto
indossava la stella di David, non solo per
confondersi fra la folla, ma anche in segno di
solidarietà.
«Ho mandato la maggior parte dei bambini
in strutture religiose. Sapevo di poter
contare sulle religiose»
Nel 1942 nasce l’organizzazione segreta “Consiglio per l’aiuto agli ebrei”
(Zegota) e Irena ne diventa subito una tra le principali attiviste come
responsabile del dipartimento infantile di Zegota con il nome in codice di
Jolanta.
Alla decisione dei tedeschi di liquidare il ghetto inizia a trasferire i bambini,
vestita da infermiera, nascondendoli nelle ambulanze. Spesso i piccoli vengono
addormentati con i sonniferi e rinchiusi in un sacco o in una cassa per passare
nella parte ariana, facendo credere che si tratta di morti per tifo. Nel retro del
furgone, alcune volte aveva tenuto anche un cane addestrato ad abbaiare
quando i soldati nazisti si avvicinavano, coprendo così il pianto dei bambini.
Fuori dal ghetto, la Sendler forniva ai bambini dei falsi documenti con nomi
cristiani, e li portava nella campagna, dove li affidava a famiglie cristiane,
oppure in alcuni conventi cattolici come quello delle Piccole Ancelle
dell'Immacolata a Turkowice e Chotomów. Altri bambini vennero affidati
direttamente a preti cattolici che li nascondevano nelle case canoniche.
KLARA DABROWSKA
Il 20 ottobre del 1943, i nazisti arrestano “Jolanta” e la
torturano brutalmente (le vennero fratturate le gambe,
tanto che rimase inferma a vita), ma non rivelò il proprio
segreto; la condannano a morte e la trasferiscono nel
terribile carcere di Pawiak.
Zegota riesce, all’ultimo momento, a corrompere un
generale nazista con una grossa somma di denaro per
salvarla poco prima della fucilazione. Da quel momento la
sua vita cambia, non può più entrare nel ghetto: deve
necessariamente vivere in clandestinità, con il nome di
Klara Dabrowska, perché ufficialmente è stata fucilata.
Questo non le impedisce di continuare a collaborare con
Zegota e aiutare gli ebrei, coordinando il salvataggio di
molti bambini. Non è ancora noto esattamente quanti ne
abbia salvati, ma si parla di circa 2.500. 
LA SUA FIGURA NON È STATA
SEMPRE CONOSCIUTA: «LIFE IN A
JAR»
Nel 1999, un insegnante americano, Norman Conard, colpito
dalla sua storia, fa mettere in scena dai suoi allievi del Kansas
un’opera teatrale intitolata Life in a Jar (la vita in un
barattolo). Il titolo si riferisce al modo con cui Irena aveva
conservato i nomi dei bambini salvati, interrandoli sotto un
melo del giardino, chiusi in un vasetto di marmellata, con i dati
dei veri genitori e di quelli adottivi, insieme ad alcuni effetti
personali. Al termine del conflitto la sua lista, consegnata ai
leader della comunità ebraica, permise ad alcuni bambini di
scoprire le proprie origini e ritrovare le famiglie. L’opera
teatrale è stata replicata oltre duecento volte negli Stati Uniti e
ha portato alla creazione della fondazione Life in a Jar che
promuove la figura della Sendler. 
GIUSTA TRA LE NAZIONI
La storia di Irena Sendler è rimasta
sepolta per 60 anni. Pur essendo stata
partigiana, la Sendler non condivise
mai la politica del  Partito Comunista
polacco.
Nel 1965 venne riconosciuta
dallo Yad
Vashem di Gerusalemme come una
dei Giusti tra le Nazioni. Solo in
quell’occasione il governo comunista
le diede il permesso di uscire dal
paese per ricevere il riconoscimento
in Israele.
Nel 2003, papa Giovanni Paolo II le
inviò una lettera personale lodandola
per i suoi sforzi durante la guerra.
Il 10 ottobre 2003 essa ricevette la
più alta decorazione civile della
Polonia, l'Ordine dell’ Aquila Bianca,
e il premio Jan Karski "Per il coraggio
e il cuore", assegnatole dal Centro
Americano di Cultura Polacca
a Washington.
Nel 2007 l'allora Presidente della
Repubblica di Polonia Lech
Kaczyński, avanzò la proposta
al Senato del suo Paese perché
fosse proclamata eroe nazionale. Il
Senato votò a favore, all'unanimità.
Il nome di Irena Sendler venne anche
raccomandato dal governo polacco
per il premio Nobel per la pace.
«Ogni bambino salvato con il
mio aiuto è la giustificazione
della mia esistenza su questa
terra, e non un titolo di gloria»
«Avrei potuto fare di più.
Questo rimpianto non mi
lascia mai.»
(Varsavia, 15 febbraio 1910 – Varsavia, 12 maggio 2008)

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