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IL TEATRO GRECO

E LE ORIGINI
DELLA TRAGEDIA
L’etimologia della parola greca tragodía (τραγῳδία) si basa sulle radici di
"capro" (τράγος) e "cantare" (ᾄδω).

La nascita del genere, tuttavia, è ancora controversa:

- Dalla Poetica di Aristotele (IV sec. a.C.) apprendiamo che il genere


sarebbe sorto nel Peloponneso e si sarebbe sviluppato dal ditirambo
satiresco, un canto danzato da satiri (figure mitologiche legate al dio
Dionìso camuffate da capri). Per satiri, dunque, si intenderebbe i τράγοι
(capri). In tal senso la τραγῳδία sarebbe "il canto dei capri".

- Per i filologi alessandrini (dal III sec. a.C.), invece, la τραγ ῳδία sarebbe
nata nell'Attica (regione dove risiede Atene) e si sarebbe sviluppata da
alcuni culti locali connessi sempre a Dionìso. Il termine dunque
indicherebbe in origine "il canto per il sacrificio del capro" o, più
semplicemente, "il canto per il capro" (premio di una gara), come si
desume anche da un’indicazione contenuta nell'Ars Poetica, il
componimento del poeta latino Quinto Orazio Flacco (I sec. a.C.).
In ogni caso possiamo dire che la nascita della
tragedia si collega al culto di Dionìso (Διόνυσος =
lat. Bacchus), dio del vino e della fertilità: i rituali in
suo onore erano celebrati da un coro e da un corifèo
(capocoro), che intonavano il ditirambo (inno in
versi) eseguendo danze scatenate intorno all’altare
del dio.
La tradizione, non sempre concorde, attribuisce
l’invenzione del ditirambo satiresco al poeta Arìone
di Metimna, vissuto tra VII e VI sec. a.C.
Il DITIRAMBO

Inno in versi cantato e danzato, da cui probabilmente deriva la


tragedia. Di questa, infatti, il ditirambo contiene in sé tutti gli
elementi essenziali, come la poesia, il canto e la danza.
All'inizio canto e danza erano brevi, dal tono burlesco e
satirico; poi il linguaggio si fece man mano più grave. Il canto,
in origine improvvisato, assunse poi una forma scritta e
prestabilita. Secondo gli studiosi, con il passare del tempo da
questo canto corale si staccò il capocoro (corifèo) che, da
solista, iniziò a dialogare con il coro, diventando un
personaggio. Infine si aggiunse anche un personaggio che
dialogava con il capocoro senza cantare, chiamato appunto
ὑποκριτής (termine poi usato per indicare l’attore).
Probabilmente il dialogo nato tra capocoro ed attore
diede vita alla tragedia.
tragedia
Quale fu lo sviluppo successivo?

• In seguito il coro si sarebbe diviso in due gruppi che


dialogavano tra di loro, sempre cantando

• Più tardi dal coro si sarebbe staccato l'attore, che parlava


con il corifèo: qui avrebbe avuto origine la tragedia vera e
propria, la cui prima rappresentazione è attribuita dalla
tradizione a Tespi, poeta del VI sec. a. C.

• A un unico attore (proagonista), Eschilo ne affiancò un


secondo (deuteragonista), Sofocle un terzo (tritagonista)
Il carattere religioso e agonistico della tragedia
Ad Atene le rappresentazioni avvenivano durante le
feste dedicate a Dionìso: quelle più importanti erano
le GRANDI DIONISIE (Marzo/Aprile), cui erano
ammessi anche cittadini non ateniesi. Si svolgevano
gare tra gli autori: l’arconte epònimo sceglieva tre
tragediografi. Ciascuno di questi doveva mettere in
scena TRE TRAGEDIE (trilogia) e un DRAMMA
SATIRESCO (‘sottogenere’ della tragedia). Le spese
per la messa in scena spettavano a un cittadino
illustre e facoltoso (corègo): ciò era considerato un
onore. Il giudizio spettava a una giuria di cittadini
estratti a sorte
Altre rappresentazioni tragiche, per lo
più repliche, si svolgevano anche alle
PICCOLE DIONISIE, festività
organizzate dai singoli demi (δῆμοι)
dell’Attica e riservate ai soli cittadini
ateniesi.

Dal 419/418 a.C. le tragedie furono


rappresentate anche nelle festività
LENÈE, in onore di Dionìso Lenèo
Struttura e
pianta del
teatro
greco
Teatro di Dionisio- Acropoli di Atene
Teatro di Siracusa
Teatro di Taormina
Teatro di Delfi
L’attore
Nelle tragedia l'attore indossa un costume (chitone: una
lunga tunica dalle spalle imbottite e dalle maniche
allungate e ampie, drappeggiata, colorata di porpora,
bianco ed ocra, e ricamata, con una cintura per farlo
sembrare più imponente, un alto cappello e i coturni,
scarpe con diverse suole, altissime, che lo fanno sembrare
più alto) e la maschera, dalla fronte prominente,
dall'espressione fissa e la bocca aperta, che ha il compito
di amplificare la voce, ma elimina la mimica facciale.
Poteva avere anche parrucca e barba
L’attore
• Sulla scena non erano presenti più di due o tre attori, che
spesso interpretavano più parti: modificando la maschera
anche il timbro della voce cambiava

• Anche i ruoli femminili venivano interpretati da uomini

Il coro

• Inizialmente formato da 12 coreuti; Sofocle ne portò il numero


a 15.

• Il coro era guidato dal corifeo, il capo-coro, che dialogava con


l’attore
Caratteristiche della tragedia
• Rappresentava episodi di carattere storico o mitologico destinati a
concludersi tragicamente

• Era una tragedia raccontata: i fatti veri e propri avvenivano fuori dalla
scena e venivano raccontati da un personaggio. Sulla scena si
discuteva, dialogava e decideva sui fatti stessi.

• Si basava sul mito o sulla storia, quindi l'argomento era già noto al
pubblico: lo scopo non era stupire, ma far riflettere (funzione
EDUCATIVA)

• Il pathos è il sentimento che la contraddistingue: la commozione, la


sofferenza, la passione.
La rappresentazione teatrale non era soltanto uno
spettacolo: era un rito collettivo della polis.

Il teatro, proprio per questo suo carattere collettivo, assunse


la funzione di cassa di risonanza per le idee, i problemi e la
vita politica e culturale dell'Atene democratica: se è vero
infatti che la tragedia parla di un passato mitico, è anche vero
che il mito diventa metafora dei problemi profondi che Atene
vive.
Aristotele nella Poetica dice che tramite le forti vicende
rappresentate sulla scena dalla tragedia avviene un liberatorio
distacco dalle passioni → catarsi (κάϑαρσις)

La tragedia quale mimesi, imitazione, della realtà purifica, solleva e


rasserena l'animo dello spettatore da tali passioni, permettendogli di
riviverle intensamente allo stato sentimentale e quindi di liberarsene.
Lo spettatore, attraverso la rappresentazione di vicende che
suscitano forti emozioni, prova pietà per gli avvenimenti che
travagliano i protagonisti del dramma e terrore all'idea che anche lui
potrebbe trovarsi in situazioni simili a quelle rappresentate. La pietà
e il terrore saranno risolti catarticamente nello spettatore nel
momento in cui il dramma si scioglierà in una spiegazione razionale
dei fatti narrati.
Struttura della tragedia

PROLOGO: scena preliminare (non sempre presente); dà


informazioni sugli antefatti ed è recitato da uno o più personaggi

PÁRODOS: canto danzato che il coro esegue quando entra in teatro;


párodos = “passaggio”, indica anche i due corridoi laterali del teatro

EPISODI: da 3 a 7, sviluppano l'azione scenica attraverso il dialogo


tra i personaggi o tra personaggi e coro o corifeo

STÁSIMI: canti eseguiti dal coro nell’orchestra (vedi struttura del


teatro) tra un EPISODIO e l'altro; in essi il coro riflette e commenta
quanto sta accadendo
ESODO: uscita di tutti i personaggi e del coro
Lingua e stile

Le PARTI RECITATE, e cioè non accompagnate dalla musica, sono


il prologo, gli episodi e l’esodo. Il loro metro è solitamente il
trimetro giambico. Le PARTI LIRICHE, invece, sono la pàrodo e
gli stasimi, che presentano un metro vario.

Il dialetto è l’attico, con una leggera patina dorica nei cori

Lo stile è sempre solenne, elevato e poetico, data l’importanza


della rappresentazione teatrale.
La struttura della storia

Aristotele, nella Poetica, definisce le regole compositive della


tragedia; essa, per essere verosimile, deve rispettare 3 unità:

• di spazio: l'azione deve svolgersi in un unico luogo

• di tempo: si deve svolgere senza salti temporali, il tempo


sulla scena corrisponde a quello reale e la vicenda, di solito,
si conclude in una giornata

• di azione: deve riguardare un unico avvenimento


La struttura della storia
Inizia con una situazione apparentemente normale e
positiva
- Si ha una rottura dell'equilibrio con la peripezìa
(περιπέτεια), “un fatto imprevisto” dovuto alla trasgressione
di un divieto divino, etico o civile che l’eroe pagherà alla
fine: rapporto tra tracotanza e rovina (ὕβϱις /ἄτη) dell’eroe
- altro elemento fondamentale è l'agnizione, o
riconoscimento, cioè il passaggio dalla non conoscenza alla
conoscenza di un fatto che cambia i rapporti tra i
personaggi. Si conclude con la catastrofe, la morte violenta
e tragica del protagonista

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