Sei sulla pagina 1di 21

L’origine del fuoco nei miti

FUOC
O Classe 1^F -
Anno scolastico 2018/2019
Prometeo e il fuoco
Zeus, signore degli dei e di tutti gli uomini, chiese loro di compiere un
sacrificio in segno di sottomissione. Il titano Prometeo, non essendo
d’accordo con Zeus, decise di uccidere un enorme bue dividendolo in
due parti. Una la lasciò ricoperta di carne mentre dell’altra parte riunì le
ossa e le rivestì di grasso.
Poi Prometeo chiese a Zeus quale delle due parti gli piacesse di più.
Zeus si accorse dell’inganno, ma scelse la parte con le ossa e il grasso
meditando la vendetta e dicendo con ira: <Villano, figlio di Giapeto! Non
solo mi inganni ma vuoi anche burlarti di me! Osi sfidarmi!? Avrai quello
che ti meriti>.
Prometeo pensava di aver ingannato il dio ma non fu così perché
Zeus tolse agli uomini un bene per loro molto prezioso: il fuoco.
Grazie al fuoco gli uomini potevano Riscaldare, illuminare la notte
tenebrosa, cuocere le carni e forgiare i metalli.
Adesso l’umanità, avendo perso il fuoco caldo, iniziò a soffrire.
Prometeo non lasciò che questa situazione andasse ancora avanti,
andò a Lemno, dove Efesto aveva la fucina e rubò una scintilla,
nascondendola in una canna.
Il titano scese sulla terra e diede all’umanità il fuoco che Zeus aveva
tolto loro.
Grazie alle fiamme gli uomini cominciarono di nuovo a compiere i loro
lavori quotidiani con il fuoco .
Zeus chiamò Efesto e lo
rimproverò dicendogli che gli
aveva affidato il fuoco ma lui se
lo era fatto rubare. Adesso gli
uomini sarebbero diventati
superbi e si sarebbero ritenuti
simili agli dei immortali. Per
questo avrebbe punito il titano.
A quel punto Efesto fabbricò una
catena di ferro indistruttibile e legò
Prometeo ad una montagna altissima,
esposto ai raggi del sole caldo. Zeus
mandò un’aquila che ogni giorno gli
rosicchiava il fegato che ogni volta
ricresceva. Questa tortura durò per
almeno 1000 anni. Dato che ogni volta
gli ricresceva il fegato, gli dei lo
accolsero nel loro mondo immortale.
La donna che ottenne il fuoco
Un mito del Kenya narra che, quando
sulla terra ancora nessuno possedeva
il fuoco, molti uomini tentarono di
ottenerlo in dono dal dio Mulungu e per
meritarlo scalarono il cielo.
Il primo giovane che partì attraversando
i tre cieli per raggiungere il quarto dove
viveva il dio, vide molti esseri strani, figli
di Mulungu.
Nel primo cielo vide uomini che avevano
solo mezzo corpo, si mise a ridere di
loro e quando questi gli chiesero perché
ridesse, rispose che non aveva mai visto
esseri così strani.
Salì al secondo cielo e incontrò altri
uomini che camminavano con la testa e
anche qui si mise a ridere.
Riprese il suo viaggio per il terzo cielo
dove trovò uomini che camminavano sulle
ginocchia e ancora una volta non riuscì a
trattenersi dal ridere.
Quando si riprese chiese a questi uomini come
raggiungere Mulungu, e non appena ebbe le indicazioni,
raggiunse rapidamente il quarto cielo.
Il luogo era bellissimo e c’era una splendida vista.
Il giovane si presentò al dio Mulungu e gli chiese il dono
del fuoco.
Questi lo invitò a trascorrere una notte in una delle
magnifiche stanze del suo palazzo e la mattina
seguente lo accompagnò in una stanza piena di vasi,
alcuni semplici e altri molto preziosi, avvertendolo che
se avesse scelto quello con il fuoco, se lo sarebbe
portato al villaggio.
L’uomo, spinto dall’avidità, scelse il vaso più prezioso, ma vi trovò solo
cenere.
Allora Mulungu gli disse che non meritava il fuoco perché aveva deriso i
suoi figli, inoltre lo rimproverò per aver scelto il vaso più prezioso
dimostrando così di essere attratto solo dalla ricchezza e dall’aspetto
esteriore delle cose. Poco dopo lo rimandò sulla Terra senza fuoco,
dicendogli di riflettere su ciò che era veramente importante nella vita.
Successivamente altri uomini tentarono l'impresa, ma senza mai
riuscirvi.
A ottenere il fuoco, invece, fu una donna. Era umile e quando
incontrava i figli del dio, anziché prenderli in giro, cantava per loro.
Quando le chiesero se al suo paese ci fossero esseri come loro,
lei rispose di sì che ve ne erano, molti erano ciechi e altri
camminavano con le mani.
La donna riprese il suo viaggio e finalmente arrivò dal dio Mulungu
che invitò anche lei a passare una notte in una delle sue stanze.
Il giorno seguente, nella casa del dio, trovò tre vasi in cui c’erano
diverse ricchezze e due erano di rozza fattura. La donna non
scelse per sé un dono ricco, ma modesto, guadagnando così la
fiducia di Mulungu.
Il dio le disse che si era comportata bene
con i suoi figli e si era dimostrata saggia,
per questo venne ricompensata con un
bue e con il prezioso fuoco, di cui avrebbe
beneficiato l’umanità intera.
Quando la donna ritornò sulla terra venne
accolta con una grande festa e tutti
tornavano a casa col fuoco.
La donna venne ricordata a lungo per il
coraggio e la saggezza dimostrata
nell'impresa in cui molti uomini avevano
fallito.
kururu il rospo
Mito dei Guaranì, popolo dell’America del sud
Anticamente i Guranì non possedevano il fuoco per cucinare la carne o
per scaldarsi.
Un giorno un colibrì li avvertì che gli Urubu avevano il fuoco e lo
utilizzavano per cucinare.
Allora i Guranì in una grande assemblea decisero di mandare uno dei
loro guerrieri migliori a rubare il fuoco agli Urubu, ma questo non ebbe
successo poiché si scottò le mani nel tentativo di afferrarlo. Lo stesso
successe al povero Yerutì, una colomba, che provando a prendere il
fuoco si bruciò la coda.
Fu allora che Kururu, il signor rospo, si offrì
di andare a rubare il fuoco agli Urubu e
chiese al giovane Kuraray di
accompagnarlo. Quando arrivarono in quel
territorio, Kuraray si finse morto, attirando
l’attenzione degli Urubu, che videro dall’alto il
suo corpo e scesero lì vicino. Mentre
stavano togliendo dalle sacche le pietre
che producevano scintille per accendere il
fuoco, all’improvviso uno dei loro capi li
bloccò, perché disse che prima dovevano
capire se era morto davvero.
Allora chiamarono il signor mosca, esperto
di queste situazioni, che cominciò
velocemente la sua ispezione. Prima entrò
nella bocca, poi nel naso e infine nelle
orecchie. Intanto Kuraray tratteneva il
respiro. Alla fine dell’ispezione il signor
mosca proclamò che era morto. A questo
punto gli Urubu accesero il fuoco e
iniziarono a danzare, mentre Kururu, senza
farsi vedere, prese un pezzo di brace, lo
inghiottì e, a grandi salti, lo portò ai Guaranì.
IL FUOCO DEL PORCOSPINO
Un mito africano dei Bantu racconta che una volta un uomo prese
in prestito una lancia per uccidere un porcospino che gli rovinava il
raccolto.
Si appostò nel campo e riuscì a colpirlo, ma l’animale non morì e
corse a rifugiarsi in una tana con l’arma conficcata.
La lancia era andata perduta, ma il vicino che gliela aveva prestata
la rivoleva subito indietro e non si accontentava di un’arma nuova,
voleva la sua vecchia.
L’uomo si infilò nella tana del porcospino e dopo aver percorso un
lungo tragitto arrivò in un luogo in cui c’erano molte persone che
mangiavano attorno al fuoco.
Gli chiesero cosa cercasse e lui raccontò tutta la storia dall’inizio
alla fine.
Le persone lo invitarono a fermarsi lì con loro, ma lui rifiutò perché
aveva paura e doveva riportare al più presto la lancia che aveva
visto lì vicino.
Essi non insistettero e gli dissero di arrampicarsi sulle radici
dell’albero di mugumu così poteva tornare nel fondo della caverna e
subito dopo arrivare nel mondo di sopra.
Inoltre gli diedero un pò di fuoco da portare con sé.
Egli prese il fuoco e si arrampicò come gli
avevano consigliato.
Il fuoco fu portato tra gli uomini che fino a quel
momento avevano sempre mangiato cibi crudi.
Una volta tornato dai suoi amici, l’uomo restituì la
lancia al proprietario e poi si arrabbiò con lui per
averlo messo in imbarazzo; gli disse che se
voleva un po’ di fuoco doveva arrampicarsi sul
fumo, ma il vicino ovviamente non ci riuscì.
Poi gli anziani decisero che il fuoco doveva
essere a disposizione di tutti, ma poiché lo aveva
portato lui, sarebbe diventato il loro capo.
Quest’ordine universale, che è lo stesso per
tutti, non lo fece alcuno tra gli dei o fra gli
uomini, ma sempre era e sarà fuoco
sempre vivente, che si accende e si
spegne secondo giusta misura.
(Eraclito)

Potrebbero piacerti anche