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MODELLI. La microeconomia è una scienza empirica, basata sull'osservazione della realtà del
comportamento degli operatori economici. Dall'osservazione di fenomeni che si ripetono con
regolarità nel tempo, i microeconomisti hanno ricavato una serie di teorie attraverso le quali è
possibile studiare il comportamento degli agenti economici. Tali teorie, a partire da una data ipotesi
si prefiggono di evidenziare quali siano le principali variabili che determinano il comportamento
degli agenti economici. Si basano dunque sull'uso di modelli, ossia su rappresentazioni semplificate
del comportamento degli operatori economici. Si focalizzano su un numero limitato di variabili che
però sono ritenute le più significative ai fini della descrizione del comportamento stesso. Tutti i
modelli si basano sull'ipotesi, già richiamata, di comportamento economico razionale degli
operatori economici.
Le relazioni economiche sono spesso complesse è facile che si ingeneri confusione sul motivo
preciso o sull'impatto delle politiche sull'economia. Gli errori più frequenti sono:
• ERRORE DEL POST HOC,si verifica quando supponiamo che, dal momento che un fenomeno si è
verificato prima di un altro, il primo ha provocato il secondo.
• L'IPOTESI DELLA PARITÀ DI ALTRE CONDIZIONI. Per non commettere errori occorre ricordare che tutti
fattori tranne quello considerato vanno mantenuti uguali o costanti.
• L'ERRORE DI COMPOSIZIONE. Quando si suppone che ciò che vale per una parte sia valido anche
per il tutto si commette l'errore di composizione.
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Smith identificò le importanti proprietà di efficienza dei mercati, ed introdusse il concetto o figura
di mano invisibile.
"MANO INVISIBILE" che produce un bene comune, al di là delle azioni di singoli individui mirati al
perseguimento dei propri interessi. La macroeconomia era la branca dell'economia che si occupava
dell'andamento complessivo di un sistema economico.
Tre obiettivi informano ancora, dalle origini della macroeconomia (Keynes anni ’30), le principali
questioni macroeconomiche.
⇒ Perché a volte la produzione e l’occupazione diminuiscono e come si può ridurre la
disoccupazione?
⇒ Qual è l’origine dell’inflazione è come si può tenerla sottocontrollo?
⇒ Come può una nazione aumentare il proprio tasso di crescita economica?
GRANDEZZE ECONOMICHE
In ogni caso, la considerazione di un sistema economico, anziché di un singolo mercato, comporta
la necessità di identificare grandezze che precedentemente non erano importanti. Queste grandezze
sono:
• IL PIL ED IL PNL
• L’INFLAZIONE
• LA DISOCCUPAZIONE
• LA MONETA IN CIRCOLAZIONE
• IL CONSUMO ED IL RISPARMIO
• LA SPESA PUBBLICA
• GLI INVESTIMENTI
Esiste anche un altro modo di misurare il reddito nazionale, che è quello adottato dal sistema di
contabilità nazionale dello SNA, utilizzato dai paesi dell’ONU. In questo caso si prende in
considerazione, per misurare la ricchezza del Paese, la produzione realizzata dai fattori produttivi
italiani, indipendentemente dal fatto che essi si trovino in Italia o all’estero (è quindi il valore della
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produzione degli italiani). Questa grandezza prende il nome di PNL, ovvero Prodotto Nazionale
Lordo.
Entrambe le grandezze sono considerate al lordo di una quota di ammortamento e quindi perduta
dovuta ail logorio fisico causato dalla produzione oppure per l’obsolescenza.
L’eventuale detrazione della quota di ammortamento porta a due nuove grandezze:
PRODOTTO INTERNO NETTO:
PIN = PIL – AMMORTAMENTO beni strumentali
PIL e PIN risentono dell’inflazione perché sono riferiti a prezzi correnti. Possiamo dire che il
PIL = P x Q dove P e Q sono prezzo e quantità prodotta. Ora a distanza di un anno e a parità di
quantità prodotta se i prezzi sono variati a causa dell’inflazione, anche il PIL sarà variato.
Per questo motivo è più giusto fare riferimento al PIL reale che è funzione solo di Q.
INFLAZIONE
Il tasso di inflazione è l’aumento annuo percentuale di un livello generale di prezzi, misurato
comunemente dall’indice dei prezzi al consumo o da qualche analogo indice dei prezzi.
L’iperinflazione è un inflazione così grave, pari a 1000%, 1.000.000% o persino 1.000.000.000%
annuo, che la gente tenta di liberarsi del proprio denaro prima che i prezzi siano saliti ulteriormente
rendendo il denaro privo di valore. L’inflazione galoppante è un tasso di inflazione pari al 50-200%
annuo. L’inflazione moderata è un aumento del livello dei prezzi che non distorce gravemente i
prezzi o i redditi relativi. Per quanto riguarda le cause vedi Cap. 8.
Il livello generale dei prezzi è un indice che rappresenta la media di tutti i prezzi e, quindi, la sua
variazione esprime la variazione di tutti i prezzi, cioè il tasso d’inflazione.
In Italia il tasso d’inflazione è calcolato dall’Istituto Centrale di Statistica (ISTAT), sulla base
dell’indice dei prezzi al consumo per una famiglia media di operai ed impiegati. In particolare,
l’ISTAT considera un paniere di beni significativi, che rientrano nella spesa di una famiglia tipo di
operai ed impiegati, e di questo paniere calcola l’indice della variazione dei prezzi al consumo
(costo della vita), assumendo un anno come base dell’indice.
Tasso d’inflazione = [(indice corrente – indice periodo preced.) / indice per. preced.] X 100
Di conseguenza per passare dal PIL monetario al PIL reale, corrispondente ad un concetto fisico di
quantità, occorre dividere il PIL monetario per il tasso d’inflazione:
Esistono due modi diversi di calcolare l’indice dei prezzi, uno è riferito all’anno base
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INDICE DI PAASCHE:
spesa a prezzi correnti per l’acquisto del paniere anno corrente / spesa a prezzi anno base per
l’acquisto del paniere anno corrente
DEFINIZIONE DI MONETA
LA BASE MONETARIA (BM) è uguale alla somma della moneta in circolazione più la moneta utilizzata
dalle banche come riserva, per far fronte ai prelevamenti dei depositanti.
BM = CIRCOLANTE + RISERVE BANCARIE
L’offerta di moneta, cioè lo stock di moneta in Italia, è misurabile mediante l’utilizzo di 3 grandezze
M1 = circolante + C/C
oltre alla moneta in circolazione, l’offerta di moneta M1 comprende tutti i C/C bancari e postali;
M2 = M1 + DR + CD
essa identifica lo stock di moneta aggiungendo alla componente M1 i depositi a risparmio (DR) ed i
certificati di deposito (CD) bancari e postali;
M3 = M2 + titoli pubblici a breve termine (p. es. BOT)
la liquidità (M3) è definita (nel rispetto di un’armonizzazione comunitaria) aggiungendo a M2 i
titoli pubblici a breve, come i BOT, che sono quindi anch’essi considerati mezzo di pagamento.
LA FUNZIONE DI CONSUMO C
Graficamente la funzione di consumo è una curva che rappresenta la relazione tra il consumo totale
e il livello di reddito. La misura di reddito usata potrebbe essere il reddito disponibile o, nel caso
della funzione del consumo nazionale, il PNL. Anche il patrimonio totale o altre variabili possono
frequentemente influenzare il consumo.
La spesa delle famiglie di consumatori si spiega con pochi punti:
⇒ c’è una spesa iniziale che configura un consumo di sussistenza, il quale non risente di altre
variabili, perché rappresenta la domanda di beni che comunque si rivolge al mercato.
⇒ la domanda di consumo dei cittadini è direttamente proporzionale al reddito (cioè cresce al
crescere del reddito),
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⇒ il tasso di crescita del consumo rispetto alla crescita del reddito, è rappresentata dalla
propensione marginale al consumo (PMC). La PMC è un valore compreso tra 0 e 1, che ci
dice quanta parte di 1 euro di reddito disponibile è destinata al consumo. Per es. una PMC di
0.30 significa che per ogni 100 euro di reddito, 30 euro sono consumati in spese per beni di
consumo e 70 euro sono risparmiati.
SPESA PUBBLICA
Semplifichiamo togliendole esportazioni la funzione di spesa:
Spesa (o domanda) aggregata = C + I + G
La PF di spesa pubblica è utile quando il governo intende far uscire il sistema economico da
recessioni e, comunque, da situazioni di sottoccupazione o disoccupazione dei fattori produttivi (più
in particolare, dei lavoratori).
Quello che però è interessante notare è che l’aumento di produzione conseguente ad un incremento
di spesa pubblica, è maggiore dell’aumento iniziale di G. Questo perché l’aumento del reddito,
conseguenza dell’incremento di G, porta all’aumento anche dei consumi C, i quali hanno una
relazione direttamente proporzionale con il reddito (la funzione C è crescente al reddito). Ne
consegue che l’effetto dell’aumento di G è maggiore della quantità di G aumentata, perché c’è
anche l’effetto reddito sui consumi e dunque la domanda aggregata cresce sia per l’aumento iniziale
di G, che per l’aumento di C.
Questo processo di espansione del reddito, molto al di là dell’incremento della spesa pubblica G, è
noto come moltiplicatore del reddito.
LA FUNZIONE DI INVESTIMENTO I
E’, verosimile ipotizzare che anche gli investimenti delle imprese sono direttamente proporzionali
al reddito, perché maggiore è il reddito e maggiori sono gli investimenti che le imprese intendono
realizzare. Quindi, anche la curva degli investimenti sarà crescente, come quella dei consumi.
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Ma nel caso degli investimenti non è importante la relazione delle imprese (I) con il reddito (tant’è
vero che per semplicità possiamo considerare, nel proseguo della trattazione, la curva di I costante e
dunque orizzontale), bensì la relazione degli investimenti (I) con il mercato della moneta.
Gli investimenti sono in stretta relazione con il tasso d’interesse (in particolare sono in
relazione inversa) e quest’ultimo è determinato dal mercato della moneta. Inoltre, ricordiamo, che
l’offerta di moneta è decisa dalla Banca Centrale.
Ecco dunque che gli investimenti costituiscono l’anello di trasmissione della PM della Banca
Centrale al sistema. Attraverso le operazioni di mercato aperto e la conseguente maggiore o minore
offerta di moneta, la Banca d’Italia (o, adesso, quella europea) riesce a spostare la curva degli
investimenti e, quindi, ad aumentare o ridurre la domanda aggregata (di cui I è una componente).
In particolare, la BC aumenta l’offerta di moneta (mediante il processo del moltiplicatore
monetario) quando vuole aumentare la domanda aggregata ed il PIL (perché la curva di I si alza nel
grafico), mentre diminuisce l’offerta di moneta quando vuole diminuire la domanda aggregata ed il
PIL (perché la curva di I si abbassa nel grafico).
Concettualmente, le variabili di stock sono grandezze economiche che non sono riferite ad un
preciso istante temporale. Il capitale d'impresa, la popolazione di un paese, l'ammontare del debito
pubblico non hanno, per definizione, una dimensione temporale.
I flussi si riferiscono invece a quelli variabili che hanno una dimensione quantità/tempo o
valore/tempo e che pertanto vanno misurate con riferimento ad un certo momento: casi tipici sono il
reddito o il volume d'affari, i quali sono misurati in relazione ad un certo lasso temporale (un mese,
un anno ecc.) ma rappresenta un flusso anche la variazione dello stock di capitale nell'arco di un
anno.
le variabili nominali (es. PIL nominale, prezzi dei beni) sono grandezze misurate in unità monetarie
le variabili reali (es. PIL reale, prezzi relativi dei beni, cioè prezzo del mais in unità di grano) sono grandezze misurate
in unità fisiche
i cambiamenti monetari hanno effetto sulle grandezze (sulle variabili) monetarie, non su quelle reali
la non rilevanza di tali cambiamenti sulle variabili reali è detta neutralità della moneta (con qualche problema nel
breve periodo, in analogia a qualsiasi cambiamento di misurazione)
Dato un modello macroeconomico, ovvero un insieme di equazioni di senso economico che
concorrono alla determinazione delle grandezze di equilibri: si definiscono variabili esogene quelle
il cui valore è determinato al di fuori del modello. Mentre sono variabili endogene quelle il cui
valore può essere determinato solo attraverso la risoluzione del sistema.
TEORIA DI KEYNES.
Il sistema economico non tende automaticamente al raggiungimento della piena occupazione e per combattere le forze
di recessione non basta e non serve la flessibilità salariale e dei prezzi ma è necessario un intervento dello Stato
attraverso la riduzione dell’imposizione fiscale o l’aumento della spesa pubblica. I tagli salariali non servono in quanto
diminuisce anche il numero di vendite. Un elevato livello di disoccupazione viene provocato così dalla contrazione
della domanda aggregata. Il Governo ha la responsabilità di stimolare la domanda aggregata in modo da favorire la
piena occupazione, senza però generare pericolose spirali inflazionistiche. Nella fattispecie si valuta l’andamento della
domanda aggregata nell’arco temporale di un paio d’anni, se essa e bassa il Governo interviene con un incremento della
spesa pubblica e una riduzione dell’imposizione fiscale, viceversa se l’andamento previsto è alto il Governo agirà al
contrario.
CONCLUSIONI.
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Il dibattito tra le due scuole avviene intorno alla capacità dell’economia di autocorreggersi, grazie a forze che agiscono
su prezzi e salari flessibili contribuendo così a mantenere la piena occupazione. I metodi classici non prevedono quindi
nessuna politica di stabilizzazione dei cicli economici. Gli economisti di Keynes sono invece per l’integrazione della
politica di crescita con interventi monetari e fiscali al fine di contenere le oscillazione dei cicli economici.
FATTORI DI PRODUZIONE. Possono essere classificati in tre grandi categorie: terra, lavoro e capitale.
TERRA, le risorse naturali impiegati nei processi produttivi.
LAVORO è costituito dal tempo impiegato dall'uomo nella produzione.
CAPITALE. Le risorse di capitale costituiscono i beni durevoli di un sistema economico, che vengono prodotti al fine di
produrre altri beni.
Le società umane sono limitate dalle risorse e dalla tecnologia a loro disposizione.
FRONTIERA DELLE POSSIBILITÀ PRODUTTIVE (o FPP) indica le quantità massime di produzione ottenibili da un sistema
economico, date la conoscenza tecnologica e la quantità di input di cui dispone.
COSTO OPPORTUNITÀ La vita comporta numerose scelte. Quando si fa una scelta, il costo dell'alternativa alla quale avete
rinunciato è il costo opportunità insito nella decisione.
EFFICIENZA PRODUTTIVA. Un sistema economico efficiente si trova sulla frontiera delle possibilità produttive. Se sono
presenti risorse inutilizzate, il sistema economico non si trova sulla frontiera delle possibilità produttive, ma piuttosto in
un punto al suo interno.
L’ipotesi fondamentale alla base della funzione di domanda è che le risorse finanziarie sono
limitate. Occorre quindi scegliere. Si decide la scelta dopo aver effettuato un confronto tra costi e
benefici offerti dalle varie offerte.
COSTO OPPORTUNITA.
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È il costo espresso in funzione della miglior alternativa alla quale si è rinunciati compiendo una
determinata scelta. Viene misurato in termini di quantità di prodotti alternativi acquistabili date le
risorse disponibili.
dove:
qdn = quantità domandata del bene n
pn = prezzo del bene n
p1,…, pn-1 = prezzo degli altri beni
Y = reddito del consumatore
W = ricchezza del consumatore
G = preferenze del consumatore
La forma della funzione di domanda è determinata dai fattori ambientali e dal sistema delle
preferenze del consumatore.
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SPOSTAMENTI DELLA CURVA DI DOMANDA
Cosa succede quando variano gi altri fattori che influenzano la domanda?
Nel caso di una curva di domanda del mercato (data dalla somma delle curve di domanda dei
singoli consumatori) occorre considerare anche:
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RICAPITOLANDO:
⇒ MOVIMENTI LUNGO LA CURVA DI DOMANDA SI HANNO SE A VARIARE È IL
PREZZO DEL BENE;
⇒ SPOSTAMENTI DELL’INTERA CURVA DI DOMANDA SI HANNO SE A VARIARE
SONO IL REDDITO DEL CONSUMATORE, I PREZZI DEGLI ALTRI BENI, LA
DISTRIBUZIONE DEL REDDITO TRA GLI INDIVIDUI, LE CONDIZIONI
AMBIENTALI O LE PREFERENZE DEI CONSUMATORI.
OFFERTA.
L'offerta implica le condizioni alle quali le imprese producono e vendono i loro prodotti.
TEORIA DELL’OFFERTA
Cerca di spiegare il comportamento delle imprese in qualità di produttori. Come per la domanda,
presupposto è la “massimizzazione” stavolta però del profitto. In questo caso però l’ipotesi risulta
meno applicabile in quanto l’impresa non è un unico soggetto ma costituita da tante persone le quali
possono tra di loro avere motivazioni diverse.
Per lo studio della funzione di offerta consideriamo un’impresa che opera in regime di concorrenza
perfetta (il prezzo è un dato) e che si comporta razionalmente cioè persegue l’ottimizzazione del
profitto, ottenuto come differenza tra ricavi (prezzo x quantità vendute) e costo di produzione.
Le principali determinanti della quantità offerta sono:
⇒ Il prezzo del bene
⇒ Il prezzo dei fattori produttivi (K e L)
⇒ Gli obiettivi delle imprese produttrici
⇒ Lo stato della tecnologia
qon=S(pn,F1,…,Fm, T, O)
Gli obiettivi dei produttori e lo stato della tecnologia determinano la forma della funzione di offerta
S.
Anche se si adotta un semplice modello di massimizzazione del profitto, non è facile strutturare il
modello di determinazione dell’offerta dei beni. Se per la massimizzazione del profitto nel breve
termine, conoscendo le capacità produttive ed ipotizzando un regime di concorrenza perfetta, è
abbastanza prevedile la scala di produzione ed il modo con la quale saranno utilizzati i fattori di
produzione, le curve d’offerta nel lungo periodo non hanno quasi nessun fondamento, tanti e tali
sono i fattori che influiscono sulla funzione. Tra i più influenti, tecnologia e costo di fattori di
produzione.
RICAPITOLANDO:
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⇒ MOVIMENTI LUNGO LA CURVA DI OFFERTA SI HANNO SE A VARIARE È IL
PREZZO DEL BENE;
⇒ SPOSTAMENTI DELL’INTERA CURVA DI OFFERTA SI HANNO SE A VARIARE
SONO TUTTI GLI ALTRI FATTORI TRANNE IL PREZZO DEL BENE.
MERCATO è il luogo non necessariamente fisico dove avviene l’incontro tra domanda e offerta,
un meccanismo che consente ad acquirenti e venditori di interagire al fine di determinare il prezzo e
la quantità di un bene o di un servizio. È l’incontro tra domanda e offerta a determinare il prezzo.
Infatti se ad un determinato prezzo la domanda (offerta) è superiore all’offerta (domanda) vi sarà
una tendenza all’aumento (riduzione) del prezzo.
Gli scambi avvengono in moneta ed hanno luogo sugli specifici mercati:
⇒ dei beni e servizi
⇒ dei fattori produttivi
⇒ della moneta.
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⇒ Un aumento (riduzione) della domanda di un bene determina un aumento (riduzione) del
prezzo di equilibrio e delle quantità vendute (e acquistate);
⇒ Un aumento (riduzione) dell’offerta di un bene determina una riduzione (aumento) del
prezzo di equilibrio e delle quantità acquistate (e vendute).
PREZZO
In un sistema di mercato capitalistico ogni cosa ha un prezzo, costituito dal valore del bene in
termini di moneta. I prezzi rappresentano i termini in base ai quali gli individui e le imprese
scambiano volontariamente beni diversi. Fungono inoltre da segnali per i produttori ed i
consumatori: in quanto se aumenta la richiesta, il prezzo subisce un incremento che segnala ai
produttori la necessità di aumentare l'offerta.
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In questo modello di formazione dei prezzi esiste un banditore che opera da intermediario nella
borsa delle merci,impegnandosi a determinare un prezzo di equilibrio in cui domanda e offerta si
incontrano (es. mercato del caffè, del petrolio)
In questo modello il prezzo lo determina il produttore in base ai costi di produzione del bene stesso.
Il prezzo non è soggetto a frequenti mutamenti a causa dei costi di listino che si sopportano per
comunicare la variazione dei prezzi.
Domanda Offerta
La quantità domandata diminuisce p all’aumentare del prezzo e . La quantità offerta z aumenta
all’aumentare o del prezzo
Quantità Formazione dei prezzi dei beni: meccanismo dei prezzi di listino
Domanda . Il prezzo rimane stabile per un certo periodo p Offerta D D2 .
Il produttore prevede la domanda da parte dei consumatori e produce in base a tale previsione
Qualora le previsioni siano sfalsate ci potranno essere aumenti o decrementi nelle Quantità
rimanenze di merci in magazzino
Si avrà una variazione elastica rispetto al prezzo quando una variazione dello stesso del 1% genera
una variazione della quantità domandata superiore all'1%.
Si avrà una variazione anelastica rispetto al prezzo quando una sua variazione del 1% produce una
variazione della quantità domandata inferiore all'1%.
L’elasticità di domanda è unitaria quando le due variazioni sono sempre uguali.
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Sapendo che il ricavo totale è uguale al prezzo per la quantità (P x Q). Conoscendo l'elasticità della
domanda rispetto al prezzo, si può calcolare quali saranno gli effetti di una variazione del prezzo
sulla ricavo totale:
• se la domanda è anelastica rispetto al prezzo, una diminuzione del prezzo riduce il ricavo
totale;
• se la domanda è elastica rispetto al prezzo, in una diminuzione del prezzo aumenta il ricavo
totale;
• nel caso limite della domanda ad elasticità unitaria, una diminuzione del prezzo non
modifica il ricavo totale.
L'aumento o la diminuzione dei prezzi non comportano unicamente variazione dei consumi. Anche
le decisioni di offerta delle imprese sono più meno sensibili alle variazioni di prezzo.
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specifico livello di output. Una mappa di isoquanti è la rappresentazione di un insieme di isoquanti
ciascuno dei quali mostra il massimo output che può essere ottenuto utilizzando una certa
combinazione di input. Una mappa di isoquanti rappresenta un modo alternativo di rappresentare
una funzione di produzione. Ciascun isoquanto è associato con un differente livello di output ed il
livello di output cresce spostandosi in alto e a destra (vedi figura) La forma e la disposizione degli
isoquanti all’interno della mappa di isoquanti mostrano il grado di flessibilità di cui l’impresa gode
quando i manager devono prendere decisioni circa cosa e quanto produrre.
K
È importante distinguere tra breve e lungo periodo quando si parla di funzione di produzione. Il
breve periodo è relativo ad un periodo di tempo in cui almeno uno dei fattori di produzione non può
L
essere mutato. I fattori che nel breve periodo non possono cambiare prendono il nome di input fissi.
Il lungo periodo indica un periodo di tempo in cui tutti gli input possono variare. Così, ad esempio,
nel breve periodo le imprese possono variare l’intensità con cui utilizzano un certo impianto e
macchinario. Nel lungo periodo esse possono variare la dimensione dell’impianto e il numero di
macchine.
I COSTI DELL’IMPRESA.
Gli economisti si preoccupano di capire quali saranno i costi attesi e in che modo l’impresa sarà in
grado di abbassare i suoi costi e migliorare la sua profittabilità nell’immediato futuro. In parole
povere, si preoccupano dei:
COSTI OPPORTUNITÀ, ossia i costi che sono associati con le opportunità che l’impresa non coglie non
utilizzando le sue risorse al loro valore d’utilizzo più elevato.
I costi possono essere espliciti ed impliciti.
I COSTI ESPLICITI sono le spese effettive che l’impresa sostiene per utilizzare gli input per la
produzione quali, salari, spese per affittare i locali, spese per le materie prime, gli interessi sul
capitale preso a prestito, ecc.
I COSTI IMPLICITI fanno riferimento al valore degli input posseduti e utilizzati dall’impresa che non
figurano esplicitamente nei libri contabili dell’impresa come spese sostenute. Sono costi il cui
valore deve essere stimato facendo riferimento al loro rendimento in un uso alternativo. Si tratta, ad
esempio, del salario dell’imprenditore.
Nel breve periodo alcuni degli input che l’impresa utilizza nel processo produttivo sono fissi,
mentre altri variano in funzione della quantità di output che è necessario produrre.
IL COSTO TOTALE, CT, per la produzione di un bene comprende allora due componenti:
IL COSTO FISSO, CF, che è indipendente dalla quantità del bene prodotta;
IL COSTO VARIABILE, CV, che varia appunto con il variare della quantità da produrre.
COSTO TOTALE CT = CF + CV rappresenta la spesa minima totale necessaria per produrre ciascun livello di output
“Q” e aumenta all'aumentare di “Q”.
I COSTI FISSI “CF” di un'impresa, anche chiamati "costi generali" o "costi non recuperabili", sono costituiti da elementi
quali canoni di affitto di una fabbrica o di un ufficio, i pagamenti contrattuali per le attrezzature, i pagamenti degli
interessi sui debiti. Tali costi devono essere sostenuti anche se l'impresa non produce alcun output e non variano al
variare della quantità di output prodotta.
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I COSTI VARIABILI “CV” variano al variare dell'output: essi includono i materiali necessari per la produzione, gli operai
che lavorano nelle catene di montaggio, l'energia richiesta per il funzionamento delle fabbriche.
IL COSTO MARGINALE CMA = ∆CT/∆Q = ∆CV/∆Q. Poiché il costo fisso non varia esso e dato solo
dalla variazione del costo variabile su variazione output. Indica il costo aggiuntivo sostenuto per
produrre una unità aggiuntiva di output. In alcuni casi il costo marginale è piuttosto limitato. In altre
situazioni, invece, il costo di unità aggiuntiva di output può essere elevato. Il costo marginale
inizialmente presenta un andamento decrescente e successivamente crescente. Per cui la curva
assume un andamento ad “U”
IL COSTO MEDIO UNITARIO CMEU = CT/Q. E’ dato dal costo totale diviso il numero di unità prodotte. Il costo medio
unitario inizialmente presenta un andamento decrescente e successivamente crescente. Per cui la curva assume un
andamento ad “U”
Poiché il costo fisso totale è una costante, dividendo tale costo per una quantità di output crescente
si ottiene una curva del costo fisso unitario in costante discesa.
Spesso si commette l'errore di confondere il costo medio unitario CMeU = CT/Q con il costo
marginale CMaU = ∆CT/∆Q anche se il primo può essere notevolmente maggiore o minore del
secondo.
Se CMaU = CMeU , quest'ultimo non sale non scende e si trova al livello minimo;
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CURVA DEI COSTI
Se i prezzi dei fattori e la funzione di produzione sono noti, è possibile calcolare la curva dei costi. A titolo di esempio,
considerate il costo totale sostenuto per produrre tre tonnellate di grano. In base alla funzione di produzione, Rossi è in
grado di produrre tale quantità con 10 ettari di terra e 15 ore di lavoro. Il costo totale sostenuto per produrre tre
tonnellate di grano sarà quindi (10 ettari x € 5,50 l’ettaro) più (15 ore x €5 l’ora) = € 130.
La relazione esistente tra costo e produzione serve a spiegare il motivo per cui le curve dei costi tendono ad essere a
forma di U.
Nel BREVE PERIODO i costi del lavoro e dei materiali sono tipicamente variabili, mentre i costi di capitale sono fissi.
Nel LUNGO PERIODO è possibile modificare tutti gli input, compresi lavoro, materiali e capitale; nel lungo periodo,
quindi, tutti i costi sono variabili.
La relazione esistente tra le leggi della produttività e le curve dei costi può essere riassunta come segue: nel breve
periodo, quando i fattori come il capitale sono fissi, i fattori variabili tendono a presentare una fase iniziale di
rendimenti crescenti seguita da rendimenti decrescenti. Le relative curve dei costi mostrano una fase iniziale di costi
marginali decrescenti seguita da costi marginali crescenti dopo che sono subentrati rendimenti decrescenti.
Spesso le combinazioni di input possibili sono più di due, ma non è necessario calcolare il costo di ciascuna al
fine di determinare quella meno costosa. Per stabilire quale sarà la combinazione più conveniente, basta calcolare il
prodotto marginale di ciascun input. Occorre quindi dividere il prodotto marginale di ogni input per il prezzo dei fattori,
per ottenere il prodotto marginale per euro di input. La combinazione che consente di minimizzare i costi si ha quando il
prodotto marginale per euro di input è uguale per tutti gli input. In altre parole, l’apporto marginale di ciascun euro sotto
forma di lavoro, terra, petrolio deve essere uguale. In base a tale ragionamento un'impresa minimizza il proprio costo
totale di produzione quando il prodotto marginale per euro di input è uguale per tutti i fattori di produzione.
REGOLA DEL COSTO MINIMO: per produrre un dato livello di input al costo minimo, un'impresa deve acquistare diversi input
fino a quando il prodotto marginale per euro speso per ciascun input è uguale.
Nella prima riga sono riportati i ricavi; le righe da 2 a 9 indicano il costo di diversi fattori del processo produttivo. I
costi di vendita e amministrativi includono i costi per la pubblicità, il locale e la gestione dell'ufficio, mentre i costi di
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esercizio diversi includono per esempio costo dell'energia elettrica. Le prime tre categorie di costo in linea di massima
corrispondono al costo variabile dell'impresa, o costo delle merci vendute. Le tre categorie successive, dalla riga 6 alla
8, rappresentano invece i costi fissi dell'impresa in quanto non possono essere modificati nel breve periodo. La riga otto
contiene un termine nuovo:
AMMORTAMENTO. Esso si riferisce al costo dei beni capitali. L'ammortamento si calcola in quote annue per la durata
contabile dell'attività, che di solito è connessa alla sua effettiva durata economica.
Sommando tutti costi di cui si è parlato finora, si ottengono le spese di esercizio.
L'UTILE NETTO DELL'ESERCIZIO è dato dai ricavi netti meno le spese d'esercizio.
Non si è ancora tenuto conto, però, di tutti i costi di produzione. La riga 11 contiene il costo annuo dell'interesse pagato
sul prestito. Un’ulteriore spesa è costituita dalle imposte statali e locali. Sottraendo le righe 11 e 12 si ottiene un profitto
totale di € 55.000 al lordo dell'imposta sul reddito. Come si suddividono gli utili? Circa €18.000 spettano allo Stato
sotto forma di imposta sul reddito delle società per azioni. Rimane quindi un profitto di € 37.000 al netto delle imposte.
Una volta pagati i dividendi di € 15.000 per le azioni ordinarie, restano € 22.000 di utili non distribuiti da reinvestire
nell'impresa.
• BREVE PERIODO: l’impresa opera nel breve periodo e ha già sopportato i costi per l’acquisto dei beni
strumentali che invece hanno durata lunga (la sua capacità produttiva è definita)
• MEDIO/LUNGO PERIODO: l’impresa ha la possibilità di variare la sua capacità produttiva acquistando nuovi
beni strumentali
• LUNGHISSIMO PERIODO: varia la tecnologia con l’introduzione di innovazioni di processo (nella tecnica di
produzione) o di prodotto (nuovi beni e servizi)
QUANTO PRODURRE?
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Il primo problema che deve risolvere l’impresa è “quanto produrre (e vendere) per massimizzare il profitto, cioè la
differenza tra ricavi totali e costi totali: . MAX p dove . p = ricavi totali – costi totali
RICAVO MEDIO mi dice quanto incassa di media l’impresa su una generica quantità venduta
RICAVO MARGINALE: è l’incremento di ricavo totale che ottengo dalla vendita di una unità in più
IN CONCORRENZA PERFETTA RICAVO MARGINALE E RICAVO MEDIO SONO COSTANTI ED UGUALI AL PREZZO;
QUANTO PRODURRE?
Avendo esaminato le curve dei ricavi e dei costi possiamo passare a veder come l’impresa sceglie
Quanto produrre per massimizzare il profitto.
All’impresa converrà produrre una unità in più del bene solo se l’aumento di ricavo che la vendita di questa unità in più
gli assicura è maggiore (al limite uguale) al costo che la produzione di questa unità in più comporta. L’impresa, quindi
tenderà a produrre fino al punto in cui: rmg = cmg
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ISOQUANTI DI PRODUZIONE
ISOQUANTI DI PRODUZIONE DAL PREFISSO GRECO “ISO” CHE SIGNIFICA UGUALE DERIVA QUESTA PAROLA.
Il livello produttivo è identico, qualunque sia la combinazione di fattori produttivi
Questo tipo di isoquanto quello più comune, basato sul principio di coefficienti tecnici parzialmente flessibili (vi è una
sostituibilità tra i due fattori). Si tralasciano quelli fissi (un bene si produce impiegando quantità precise di entrambi i
fattori) e quelli totalmente flessibili (un bene può essere prodotto impiegando solo N lavoro o solo capitale)
DECRESCENTI, perché se aumenta uno dei due fattori della produzione, per ottenere lo
stesso livello di prodotto, bisogna diminuire l’impiego dell’altro fattore.
CONVESSI verso l’origine perché man mano che diminuisce l’impiego di un fattore bisogna
incrementare l’altro in modo più che proporzionale
Se aumenta uno dei 2 input, a parità dell’altro, la quantità di prodotto aumenta. In particolare, se
aumenta N avremo:
PRODUTTIVITÀ MARGINALE
Produttività . Inserendo il 27-marginale medesimo lavoratore, sempre a parità di macchine, ho un incremento di
produzione pari a 10,39-10,2 = 0,19. Allora: PMG DECRESCENTE
La produttività marginale del fattore lavoro è sempre decrescente all’aumentare del numero di lavoratori che inserisco
nella produzione, a parità dell’altro fattore produttivo.
Avrei potuto fare lo stesso ragionamento tenendo fermo il numero di lavoratori e aumentando le ore macchina. Anche in
questo caso avrei visto che la produttività marginale delle macchine è decrescente.
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In genere si parla di legge della produttività marginale decrescente. In realtà, più che di una legge, si tratta di una
ovvietà. Se la produttività marginale del lavoro non fosse decrescente vorrebbe dire che continuando ad aumentare i
lavoratori, con impianti dati, riuscirei a spingere la produzione all’infinito!
La produttività marginale di un fattore è l’incremento di prodotto che ottengo inserendo nella riduzione una unità
ulteriore di quel fattore, fermo restando l’utilizzo degli altri fattori produttivi. La produttività marginale di un fattore è
sempre decrescente proprio perché l’altro fattore non varia e, a un certo punto, diventa scarso (es.: computer e
segretarie).
PRODUTTIVITÀ MEDIA
Rappresenta quanto produce in media il fattore produttivo. . Es. Supponiamo che si voglia misurare la pme del lavoro:
ci sono 2 lavoratori, Lavoratore A produce 2 Lavoratore B produce 6 In media ogni lavoratore produce 4
PRODOTTO TOTALE
Rappresenta quanto si produce impiegando una determinata quantità di fattore produttivo. Si indica in genere con Q .
Nel caso del fattore lavoro rappresenta la quantità totale prodotta da tutti i lavoratori impiegati nella produzione.
RENDIMENTI DI SCALA
Se aumento entrambi gli input produttivi Q aumenta. Ma di quanto?
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Variano i prezzi dei fattori …
Tutto questo discorso significa che variando i prezzi dei fattori della produzione varia la tecnica produttiva scelta: se il
lavoro diventa relativamente meno caro rispetto all’impiego di macchine produrrò utilizzando più lavoro e meno
impianti.
Questo è l’argomento teorico su cui si basano le tasse ecologiche o ecotasse (tipo carbon tax).
Il meccanismo della carbon tax è il seguente:
Si introduce una tassa sul prezzo dell’energia che aumenta il costo di utilizzo delle macchine contemporaneamente si
riduce il costo del lavoro per le imprese, il che significa non tanto ridurre i salari “netti” dei lavoratori quanto le tasse e
gli oneri contributivi a carico delle imprese.
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4. Scelte del consumatore/lavoratore/risparmiatore/investitore
LOGICA DEL CONSUMATORE
• Minimizzazione della spesa
• Massimizzazione del benessere
LA FUNZIONE DI UTILITÀ
UTILITÀ indica soddisfacimento: si riferisce alla misura in cui determinati beni o servizi vengono preferiti dai
consumatori.
- Il consumatore ha la possibilità di scegliere di acquistare una combinazione di beni che massimizzino la propria
funzione di utilità
- L’utilità che si ottiene dal consumo di un determinato bene rappresenta il benessere che ottiene il consumatore da tale
consumo. L'incremento dell'utilità per il consumatore si definisce utilità marginale. La legge dell'utilità marginale
decrescente afferma che all'aumentare del consumo di un bene l'utilità marginale di quel bene tende a diminuire.
L'utilità totale derivante dal consumo di una determinata quantità è uguale alla somma delle utilità marginali fino a quel
punto.
U
U
Q
Q
IL PRINCIPIO DI UTILITÀ MARGINALI UGUALI PER EURO SPESO PER CIASCUN BENE afferma che si avrà la massima soddisfazione o
utilità quando questa risulta uguale dal primo all’ultimo euro, del proprio reddito, speso per qualsiasi bene e cioè
UM1/P1 = UM2/P2 = UM3/P3……..= UMn/Pn.
Dove UM = utilità marginale e P = prezzo.
La regola fondamentale del comportamento del consumatore consente di spiegare il motivo per cui le curve di domanda
hanno tendenza negativa. Per semplicità supponiamo che l'utilità marginale per euro di reddito venga mantenuta
costante, mentre il prezzo del bene 1 aumenta. Se la quantità consumata non varia, il primo rapporto (UM bene1 / P1) sarà
minore dell'utilità marginale per euro di tutti gli altri beni. Quindi, poiché l’aumento di prezzo di un bene riduce il
consumo desiderato di quel bene, le curve di domanda hanno tendenza negativa.
La sostituzione di un bene con uno meno caro spiega bene la tendenza negativa della curva di domanda.
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benessere (la stessa utilità) si possono rappresentare nelle curve di indifferenza
Le curve di indifferenza sono decrescenti se i beni sono sostituti, poiché l’utilità rimane uguale se al diminuire del
consumo di uno, aumenta il consumo dell’altro bene:
I beni sono sostituti quando si può rinunciare al consumo di uno in cambio di un maggior consumo dell’altro (es.
zucchero di canna e zucchero di barbabietola)
IL VINCOLO DI BILANCIO
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Si ipotizzi innanzitutto che il consumatore decida di consumare tutto il reddito a sua disposizione, senza risparmiarlo. Si
ipotizzi inoltre che il consumatore non possa indebitarsi e disponga solo del reddito al netto delle imposte, incrementato
dei trasferimenti da parte dello Stato
Reddito disponibile = reddito lordo – imposte + trasferimenti
Rispettate le due condizioni precedenti, il vincolo di bilancio esprime l’uguaglianza tra spesa per i consumi e reddito
disponibile (il consumatore spende nell’acquisto di beni tutto il suo reddito disponibile)
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Rappresentazione grafica del vincolo di bilancio
Il consumatore sceglie nel punto di tangenza tra il vincolo di bilancio e la curva di indifferenza
Le curve di indifferenza Inferiori sono possibili ma danno utilità minore, quelle superiori non sono economicamente
possibili (ricordarsi che le utilità sono ordinali)
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Punto di ottimo del consumatore
Il consumatore sceglie il paniere di beni in corrispondenza della curva di indifferenza più alta possibile, ovvero il punto
in cui il vincolo di bilancio è tangente alla curva di indifferenza in questione Non sceglie punti a sinistra anche se può
permettersi di comprarli perché gli darebbero un’utilità minore
Non può scegliere punti a destra anche se danno una maggiore utilità perché non ha il reddito sufficiente per comprarli
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domandata è molto bassa e viceversa.
- La quantità offerta ha una relazione diretta con il prezzo: ad un prezzo alto, la quantità offerta è
alta.
- Il prezzo si determina dall’incontro della domanda e dell’offerta.
Vi sono tuttavia diverse situazioni in cui tali condizioni non si verificano e abbiamo il cosiddetto fallimento del
mercato; i tre casi più significativi riguardano le situazioni di:
CONCORRENZA IMPERFETTA (MONOPOLIO OLIGOPOLIO, CONCORRENZA MONOPOLISTICA) ESTERNALITÀ
IMPERFEZIONI NELLA DIFFUSIONE DI INFORMAZIONI.
CONCORRENZA IMPERFETTA
Se un'impresa è in grado di influire in modo significativo sul prezzo di mercato del proprio output, si dice che opera in
condizioni di concorrenza imperfetta. Ciò non implica che il controllo esercitato da un'impresa sul prezzo sia assoluto,
ma soltanto che l'impresa lo può fissare entro certi limiti. Prezzi troppo alti e output troppo limitati sono le
caratteristiche che contraddistinguono le inefficienze della concorrenza imperfetta.
La differenza fra concorrenza perfetta e imperfetta può essere analizzata anche in termini di elasticità rispetto al prezzo.
Per un'impresa in concorrenza perfetta la domanda è perfettamente elastica, mentre per un'impresa in concorrenza
imperfetta essa presenta un'elasticità limitata.
Gli economisti suddividono la concorrenza imperfetta in tre diverse strutture di mercato:
- MONOPOLIO (una sola impresa)
- OLIGOPOLIO (poche imprese)
- CONCORRENZA MONOPOLISTICA (Prodotto differenziato)
MONOPOLIO, costituisce il caso estremo, dove un unico venditore ha il totale controllo di un'industria. Non esiste altra
industria capace di produrre un bene sostitutivo. Oggi i veri monopolisti sono rari e la loro esistenza è quasi sempre
legata a qualche forma di protezione statale.
Il monopolio funziona in maniera esattamente opposta alla concorrenza perfetta. Il monopolista decide il prezzo e
produce tutta la quantità domandata dai consumatori. In base al prezzo fissato dal monopolista i consumatori decidono
quanto domandare
I ricavi medi del monopolista
Il monopolista ha un ricavo medio decrescente perché può aumentare la quantità venduta solo con una diminuzione del
prezzo del bene. Mentre in concorrenza perfetta l’impresa aveva un ricavo medio fisso, che non variava al variare della
quantità venduta, ma pari sempre a “p” che era il prezzo di mercato.
I ricavi marginali del monopolista
I ricavi marginali del monopolista sono decrescenti perché per incrementare di un’unità la quantità venduta deve
diminuirne il prezzo. In concorrenza perfetta si è visto come i ricavi marginali sono sempre costanti perché dall’ultima
unità venduta si ricava sempre l’equivalente del prezzo
Massimizzazione del profitto del monopolista
La massimizzazione si avrà nel punto in cui il ricavo marginale uguaglia il costo marginale. La differenza è che non si
può parlare di ricavo marginale fisso come nella concorrenza perfetta, perché abbiamo visto che varia al variare della
quantità venduta. Nella concorrenza perfetta l’impresa massimizza il profitto nel punto in cui il ricavo dell’ultima unità
venduta (il prezzo) uguaglia il costo della produzione di quest’ultima unità (costo marginale).
OLIGOPOLIO
In un mercato di oligopolio operano poche imprese di dimensioni medio-grandi. Il prodotto può essere omogeneo
(oligopolio puro) o differenziato (oligopolio differenziato). La caratteristica peculiare di un mercato oligopololistico è
che le imprese sono poche e grandi ragion per cui il comportamento di una singola impresa influenza l’equilibrio del
mercato (perché influenza l’offerta e, data la domanda dei consumatori, i prezzi). In un mercato oligopolistico il
comportamento di una singola impresa influenza il profitto di quell’impresa e il profitto delle altre imprese.
Si crea, quindi, una situazione di interdipendenza strategica per cui nessuna impresa può prendere le proprie decisioni
(es.: quanto produrre per massimizzare il mio profitto?) prescindendo da quello che fanno o che presumibilmente
faranno le altre concorrenti.
CONCORRENZA MONOPOLISTICA.
Molti venditori offrono prodotti differenziati. Questa struttura di mercato assomiglia alla concorrenza perfetta, in quanto
i venditori sono numerosi e nessuno possiede una grande quota di mercato, e si differenzia dalla concorrenza perfetta
per il fatto che i prodotti venduti dalle varie imprese non sono identici. I prodotti differenziati presentano solo piccole
differenze e quindi possono essere venduti a prezzi leggermente diversi. Infatti, se chi opera in concorrenza
monopolistica aumenta i prezzi non perderà tutti i clienti (come in concorrenza perfetta ) ma solo alcuni (come in
monopolio), perchè alcuni clienti saranno affezionati a quel prodotto quindi, disposti a pagarlo un po’ di più rispetto ad
uno simile ma non uguale. Il costo opportunità totale dei beni (compreso il costo del tempo) dipende dalla distanza tra
abitazione e punto di vendita. Poiché il costo opportunità dei punti di vendita più vicini è inferiore, questi saranno
generalmente preferiti.
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Nel breve periodo l’equilibrio dell’impresa in concorrenza monopolistica coincide con l’equilibrio del monopolista. Nel
lungo periodo, però, l’esistenza di extraprofitti attirerà nuove imprese sul mercato (non esistono barriere all’entrata!).
Data la domanda complessiva del mercato la curva di domanda fronteggiata dall’impresa che opera in concorrenza
monopolistica si abbassa (si riduce la sua quota di mercato). L’extraprofitto scompare ma, data la forma delle curve di
costo, non si arriverà mai ad un prezzo pari al costo medio minimo.
ESTERNALITÀ.
Altro causa di concorrenza imperfetta è esternalità, che comporta scambi involontari di costi o benefici. Si ha quando
imprese o individui impongono costi o benefici ad altri soggetti al di fuori dalle relazioni di mercato. Gli Stati hanno
imposto regolamentazioni per controllare esternalità quali l'inquinamento atmosferico o idrico, le miniere a cielo aperto,
i rifiuti dannosi, i medicinali ed i cibi pericolosi e materiali radioattivi. Benché le esternalità negative come
l’inquinamento o il surriscaldamento del globo terrestre siano argomenti molto dibattuti, dal punto di vista economico le
esternalità positive rivestono spesso l'importanza maggiore. Esempi significativi sono la costruzione di una rete di
autostrade, il servizio meteorologico nazionale, il sostegno delle scienze di base e le disposizioni atte a migliorare la
sanità pubblica, beni cioè che non possono essere acquistati o venduti sul mercato.
CONCORRENZA IMPERFETTA che si lega ad un ad un aumento dei prezzi quindi ad una diminuzione del soddisfacimento del
consumatore;
ESTERNALITÀ, Le esternalità rappresentano uno dei più frequenti fallimenti del mercato. Si pensi per es. alla fabbrica che
inquina causando esternalità negative alla cittadinanza vicina. Queste esternalità comportano dei costi per la società
(costi sociali). Ai costi individuali dell’impresa (costi di produzione), si sommano i costi che l’inquinamento causa alla
società.
Una delle principali esternalità positive sono i beni pubblici.
La luce del faro è accessibile a tutti, l’uso da parte di alcuni non preclude che la possano usare anche altri (principio di
non rivalità). Tutti quelli che si avvicinano al porto possono goderne allo stesso modo, mentre ci sono limiti nel
godimento di un bene privato che se è utilizzato da alcuni non può essere utilizzato da altri (es. una macchina). Un’altra
caratteristica principale del faro è che non si può escludere dall’uso chi non paga, perché la luce esiste e tutti possono
goderne. E’ impossibile impedire ad alcuni naviganti di usufruire della luce del faro (principio di non escludibilità). Le
caratteristiche di non rivalità e non escludibilità fanno si che un bene pubblico non sia conveniente da produrre. Chi
sarebbe disposto a pagare per qualcosa che si può avere anche gratis?Un altro ostacolo è dovuto al fatto che i costi di
impianto per i beni pubblici sono in genere alti, non è pertanto conveniente produrlo .
IMPERFEZIONI NELLA DIFFUSIONE DI INFORMAZIONI. La teoria della mano invisibile dà per scontato che acquirenti e venditori
dispongono di tutte le informazioni necessarie su beni e servizi che acquistano e vendono. Ma la realtà si discosta
notevolmente da questo mondo ideale. Il punto importante riguarda l'entità del danno provocato dalle imperfezioni nella
diffusione delle informazioni. In alcuni casi la perdita di efficienza limitata, mentre in altri casi la perdita può essere più
rilevante.
In un'economia di mercato ideale tutti beni e servizi vengono scambiati volontariamente ai prezzi di
mercato. Con il mercato ideale si ricava il massimo beneficio dalle risorse a disposizione della
società senza alcun intervento da parte dello Stato: nella realtà invece tutte le economie di mercato
presentano delle imperfezioni che abbiamo visto quali concorrenza imperfetta ed esternalità. Il
fallimento della “Mano Invisibile” conduce all'inefficienza economica, in quanto il prezzo supera il
costo marginale, ed è anche possibile che si verifichi un deterioramento della qualità. Per frenare gli
abusi della concorrenza imperfetta, in passato i poteri pubblici hanno talvolta fatto ricorso
all'imposizione fiscale, ai controlli dei prezzi e alla nazionalizzazione, ma nelle moderne economie
di mercato questi strumenti sono utilizzati con minore frequenza. Nelle moderne economie lo Stato
cerca di porre rimedio alle imperfezioni adottando misure che vanno a beneficio dell'efficienza
quali:
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FAVORIRE LA CONCORRENZA con la regolamentazione, l’adozione delle leggi antitrust e
l’incoraggiamento alla concorrenza, riducendo le barriere in tutti casi in cui ciò è possibile;
Fallimento della mano invisibile Intervento dello Stato Esempi attuali di politica statale
Intervento nei mercati
Inefficienza Intervento nei mercati Leggi antitrust
Sovvenzioni alle attività di pubblica Leggi antinquinamento, antifumo
Monopolio utilità Difesa nazionale, fari
Esternalità
Beni pubblici
Imposizione fiscale progressiva sul
Sperequazione Redistribuzione del reddito reddito e sulla ricchezza; trasferimenti
assistenziali
Sperequazioni inaccettabili di reddito
e ricchezza
Stabilizzazione tramite politiche Politiche monetarie (modifiche
Problemi macroeconomiche dell’offerta di moneta e dei tassi di
interesse). Politiche fiscali (relative a
macroeconomici imposte e spese)
Cicli economici (elevati tassi di
inflazione e disoccupazione)
Crescita economica lenta Stimolazione della crescita economica Investimenti nell’istruzione pubblica;
riduzione del deficit di bilancio e
aumento del tasso di risparmio
nazionale
IL COMMERCIO INTERNAZIONALE
Un sistema economico in passato poteva, in alcuni casi, essere considerato chiuso, ovvero privo di
rapporti economici con gli altri sistemi; oggi, a parte alcuni casi isolati, un sistema economico è, in
misura più o meno accentuata, aperto al commercio internazionale.
Il commercio fra sistemi economici avviene sia in beni e servizi che in attività finanziarie (ad
esempio gli europei acquistano azioni giapponesi e gli arabi acquistano beni immobili europei).
Con il termine IMPORTAZIONI si indica il flusso di beni e servizi prodotti nel resto del mondo che
entrano nel paese considerato.
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Con il termine ESPORTAZIONI si indica il flusso di beni e servizi prodotti nel paese considerato che
sono venduti al resto del mondo.
I paesi con tassi di cambio fissi ed elevata mobilità del capitale si contraddistinguono per tassi
d'interesse pressoché allineati fra loro. Qualsiasi divario nei tassi d'interesse di due paesi attira
gli speculatori, che venderanno una valuta e acquisteranno l'altra fino a quando i tassi si
livelleranno.
La politica macroeconomica opera meglio in Paesi con tassi di cambio flessibili infatti, con la
politica monetaria opera mediante i cambi per influire sulle esportazioni nette oltre che sugli
investimenti interni. L'effetto del tasso d'interesse sulle esportazioni nette rafforza l'incidenza
sugli investimenti interni: le restrizioni creditizie riducono il prodotto e i prezzi.
NASCITA DELL’EURO.
Nel 1978 in Europa con la creazione di un blocco monetario noto come sistema monetario
europeo (SME), i paesi si impegnavano a tenere il proprio cambio entro una fascia di
oscillazione prestabilita e piuttosto ristretta. Con il sistema dei cambi fissi, i Paesi devono
rinunciare al controllo dei tassi d’interesse interni, il che porta a grossi pericoli perché un
cambio fisso ma aggiustabile è soggetto all'attacco ogni volta che gli speculatori ritengono che
siano imminenti variazioni del cambio stesso. Se è probabile che una moneta sia svalutata, gli
speculatori inizieranno velocemente a venderla; in tal modo, l'offerta di moneta aumenta
mentre la domanda scende. A questo punto interviene la Banca centrale per difendere la
moneta, ma chi difende una moneta debole esaurisce velocemente le riserve. A meno che
Paesi con una "valuta forte" siano disposti a fornire credito illimitato, prima o poi la Banca
centrale che attua la difesa rinuncerà e svaluterà la moneta o la lascerà fluttuare. Dopo un
processo di integrazione durato trenta anni, i paesi dell’Unione europea risolsero questa
contraddizione adottando una moneta comune. La nascita di una unità monetaria europea fu
sancita con il trattato di Maastricht, che dettava le condizioni per l'adesione alla nuova moneta
comune, l'euro.
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Il commercio internazionale viene in genere considerato un vantaggio per un paese, in quanto da un
lato, tramite le esportazioni, permette di aumentare la domanda aggregata e quindi la produzione,
l’occupazione, ecc; dall’altro, grazie alle importazioni, rende disponibili ai cittadini di un paese una
quantità e qualità di beni e servizi che probabilmente non sarebbero ottenibili ricorrendo soltanto
alla produzione interna.
I diversi paesi tendono a specializzarsi in alcune produzioni, rispetto alle quali riescono ad essere
più competitivi sui mercati internazionali in termini di prezzo e/o qualità.
Il commercio internazionale completamene liberalizzato può in alcuni casi creare dei disagi nei
confronti di alcuni paesi o di alcuni particolari gruppi di individui nei diversi paesi. Per tale ragione
c’è chi è favorevole a misure restrittive del commercio internazionale.
Ad esempio negli ultimi anni le imprese del settore tessile della vecchia Europa (ovvero quella
composta dai 15 Stati membri ed escludendo i 12 nuovo entrati) si sentono fortemente minacciate
dalle importazioni di prodotto tessili a basso costo provenienti dai paesi asiatici (in particolare dalla
Cina).
In sostanza la BP si fonda sul principio contabile della PARTITA DOPPIA: ogni transazione dà origine a
due registrazioni di uguale importo ma di segno opposto; la somma algebrica delle registrazioni
risulta per definizione, quindi, sempre uguale a zero.
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• L’altra voce del conto capitale fa riferimento alle transazioni nella proprietà (non nell’uso)
di ATTIVITÀ INTANGIBILI quali i brevetti e l’avviamento commerciale.
3. CONTO FINANZIARIO: comprende gli investimenti diretti, gli investimenti di portafoglio, gli
altri investimenti, i derivati e le riserve ufficiali.
FLUSSI DI CAPITALE A BREVE E A LUNGO TERMINE
• Capitale a breve termine: moneta detenuta sotto forma di attività finanziarie con alta
liquidità come conti correnti bancari o titoli del Tesoro a breve termine;
• Capitale a lungo termine: fondi che entrano o che escono dal paese per essere investiti in
attività finanziarie caratterizzate da una liquidità più bassa, come titoli a lunga scadenza.
Si suddivide in:
- Investimenti diretti: si riferiscono a variazioni della proprietà di imprese nazionali da
parte di non residenti e della proprietà di imprese estere da parte di residenti;
- Investimenti di portafoglio: investimenti in titoli o in una partecipazione azionaria di
minoranza.
Se BP è complessivamente in pareggio i saldi del conto corrente sono di pari importo e di segno
opposto alla somma dei saldi del conto capitale e del conto finanziario. Tuttavia ciò è valido solo in
teoria; in pratica, non tutte le transazioni fra residenti in Italia e residenti all’estero vengono
registrate; pertanto nella BP viene inclusa la voce “errori ed omissioni”.
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Ad esempio, consideriamo un sistema economico caratterizzato da settori in rapida espansione, con
un tasso di rendimento elevato sugli investimenti interni. Tale economia attrae investimenti
dall’estero con conseguente avanzo di conto capitale e disavanzo di conto corrente. In tal caso il
disavanzo in conto corrente indica una situazione economicamente florida. Al contrario
un’economia che dispone di un’industria inefficiente e poco produttiva potrebbe trovarsi nella
situazione di una spesa nazionale che eccede la produzione interna, presentando quindi un
disavanzo corrente.
Le importazioni in termini di volume sono funzione del reddito interno e della competitività, mentre
le esportazioni in termini di volume sono funzione del reddito del resto del mondo e della
competitività. A parità di competitività un aumento del disavanzo può significare che il paese sta
crescendo ad un ritmo più elevato del resto del mondo; a parità di crescita economica una perdita di
competitività produce un disavanzo. La BP espressa in termini di valori deve ovviamente tener
conto anche delle variazioni dei prezzi relativi dei beni/servizi importati ed esportati (ragioni di
scambio), che influenzano la competitività tra paesi.
IL MERCATO VALUTARIO
In generale un mercato è il luogo in cui le merci vengono scambiate con denaro; in un mercato
valutario la moneta di un paese viene scambiata con quella di un altro paese. Il commercio tra
nazioni richiede in genere la conversione della valuta di una nazione in quella di un’altra nazione.
Lo scambio di una valuta con un’altra rappresenta una TRANSAZIONE DI CAMBIO.
Il tasso di cambio: esprime il valore di una valuta nazionale in termini di una valuta estera (ovvero
è l’ammontare di valuta estera che può ottenersi in cambio di una unità di valuta nazionale).
Quotazione certo per incerto: quantità di valuta estera necessaria per acquistare una unità di valuta
nazionale. (ad esempio 1 Euro = 1,55 Dollari).
Quotazione incerto per certo: quantità di valuta nazionale per acquistare una unità di valuta estera
(ad esempio 1 Dollaro = 0,65 Euro)
IN ITALIA PRIMA DELL’EURO LA QUOTAZIONE ERA INCERTO PER CERTO (QUANTE LIRE PER ACQUISTARE UN
DOLLARO), ORA CON L’EURO IL CAMBIO È DIVENTATO CERTO PER INCERTO (QUANTI DOLLARI ACQUISTA UN EURO).
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• Un deprezzamento è associato ad un aumento del tasso di cambio;
• Un apprezzamento è associato ad una diminuzione del tasso di cambio.
Dal 1° gennaio 1999 11 paesi (ora 15) hanno aderito all’Unione Economica e Monetaria (UEM)
accettando, in sostituzione della propria moneta nazionale, di far circolare una moneta unica:
l’Euro. RISPETTO ALLE VALUTE ESTERNE ALL’UEM L’EURO È QUOTATO CERTO PER INCERTO.
UN AUMENTO DELLE ESPORTAZIONI determina (poiché gli acquirenti devono pagare in Euro, ovvero nella
moneta del paese che esporta) un aumento della domanda di Euro nei mercati internazionali.
Analogamente un afflusso di capitali determina un aumento della domanda di valuta nazionale. Ciò
produce, a parità di altre circostanze, un’eccedenza di domanda di Euro rispetto all’offerta e quindi
un apprezzamento del tasso di cambio.
Un apprezzamento del tasso di cambio fa sì che i beni venduti in Euro diventino relativamente più
cari rispetto agli altri beni in valuta diversa dall’Euro (in termini tecnici per i residenti dei paesi
dell’area Euro migliorano le ragioni di scambio, ma diminuisce la competitività).
Se le esportazioni e le importazioni (e i movimenti dei capitali) non reagiscono alla variazione del
tasso di cambio, il saldo della bilancia dei pagamenti continua a migliorare e vi saranno spinte per
ulteriori apprezzamenti del tasso di cambio.
In realtà la riduzione della competitività dovrebbe favorire una riduzione delle esportazioni ed un
aumento delle importazioni.
Anche gli afflussi di capitale dall’estero dovrebbero ridursi, specie quelli di natura speculativa,
perché gli investitori, anticipando un peggioramento della bilancia commerciale potrebbero temere
una riduzione del tasso di cambio e quindi una perdita in conto capitale; pertanto tenderanno a
riportare all’estero i capitali precedentemente importati.
In alcuni casi le autorità monetarie intervengono attivamente per influenzare i tassi di cambio (ad
esempio per evitare effetti indesiderati sui prezzi o per migliorare la competitività dei propri beni
tenendo artificialmente basso il tasso di cambio).
Ciò può essere fatto in vari modi:
a) stabilendo un tasso di cambio fisso con una moneta più forte (ad es. in passato molti paesi –
sistema cosiddetto di Bretton Woods - avevano un tasso di cambio fisso con il dollaro);
b) immettendo (o ritirando) moneta per contrastare un eccesso di domanda di moneta (o viceversa);
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vengono fissati i tassi di cambio e come influenzano gli stati. Negli ultimi anni le nazioni hanno utilizzato uno dei
seguenti sistemi principali:
• il sistema di tassi di cambio fissi;
• il sistema di tassi di cambio flessibili o fluttuanti in cui i tassi sono determinati dalle forze di mercato;
• tassi di cambio amministrati sui quali le nazioni intervengono per attenuare le oscillazioni dei cambi o spostare
la loro valuta verso una zona prefissata.
A un'estremità c'è un sistema di tassi di cambio fissi, in cui i governi specificano esattamente il tasso al quale gli euro
saranno convertiti nelle altre monete. Storicamente il sistema di tassi di cambio fissi più importante fu il sistema
monetario aureo (Gold Standard), secondo il quale ogni paese definiva il valore della propria moneta nei termini di una
quantità fissa d'oro. In condizioni di tassi flessibili, il cambio di un paese potrebbe deprezzarsi per bilanciare l'inflazione
interna, ma con tassi fissi l'equilibrio deve essere ripristinato mediante la deflazione interna o l'inflazione all'estero.
Esiste un meccanismo di adeguamento automatico, come dimostrato nel 1752 del filosofo scozzese David Hume, il
quale indicò che il deflusso di oro era parte di un meccanismo che tendeva a mantenere in equilibrio i pagamenti
internazionali. La spiegazione di Hume si fondava in parte sulla teoria quantitativa dei prezzi. Questa dottrina afferma
che il livello globale dei prezzi di un'economia è proporzionale all'offerta di moneta; nel sistema aureo l’oro costituiva
una parte importante dell'offerta di moneta: sia direttamente, sotto forma di monete d'oro, sia indirettamente, quando i
governi usavano l’oro come copertura della carta moneta. Tra i due estremi dei tassi di cambio rigidamente fissati e tassi
completamente flessibili si trovano i tassi di cambio amministrati, che in sostanza sono determinati dalle forze di
mercato, ma i governi comprano e vendono valute o variano offerta di moneta per influenzarli, contrastando a volte
l'andamento dei mercati privati oppure ricorrendo a "zone target" che guidano i loro interventi. L'attuale sistema di
cambi presenta contorni che non sono nettamente delineati. Senza che nessuno lo avesse progettato il mondo è passato a
un sistema di cambi ibrido, le cui principali caratteristiche sono le seguenti:
• alcuni paesi consentono alla propria moneta di fluttuare liberamente. Negli ultimi vent'anni gli Stati Uniti
hanno seguito quasi sempre questo sistema;
• alcuni grandi paesi hanno tassi di cambio amministrati ma flessibili. Oggi questo gruppo comprende il Canada,
il Giappone e molti paesi in via di sviluppo;
• molti paesi, soprattutto piccoli, agganciano la loro valuta a una moneta importante o un paniere di monete;
• inoltre quasi tutti i paesi tendono a intervenire quando i mercati diventano turbolenti o quando i tassi di cambio
sembrano molto lontani dai fondamentali, cioè dai tassi di cambi appropriati per i livelli di prezzi e flussi
commerciali esistenti.
7 STRUTTURA DI UN MERCATO
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L’affermazione fatta prima che le famiglie consumino tutti i loro redditi in spesa è sbagliata, una
parte infatti va risparmiata.
RISPARMIO, è la parte di salario non speso e a parità di tutto il resto sarà maggiore quanto più
alta sarà il premio per questa rinuncia cioè quanto più alto sarà il tasso di rendimento o
interesse nel caso in cui si parli di somme in moneta.
CREDITO DISPONIBILE, sono le risorse risparmiate dalle famiglie, le quali vengono messe a
disposizione di chiunque (in questo caso l’impresa) voglia utilizzarle a determinate
condizioni.
PRESTITO, è la disponibilità delle imprese a utilizzare il credito disponibile, quindi la parte
della produzione corrente. Questa disponibilità esiste solo se il tasso di credito è inferiore
al tasso di rendimento atteso da tali risorse, in parole povere se utilizzando il prestito
avranno un utile maggiore alla somma presa in prestito.
INVESTIMENTO , non è altro che l’utilizzo del prestito al fine di impiegarlo in ulteriori
processi produttivi.
Inserendo la figura del prestito – investimento abbiamo inserito la figura di un’altra impresa e
distingueremo quindi beni di consumo e beni di investimento.
Le famiglie cedono quindi servizi produttivi ad ambedue i gruppi di imprese e ne ricevono in
cambio il valore dell’intera produzione (reddito), ed intrattengono ulteriori rapporti solo con le
imprese produttrici di beni di consumo. Ora semplificando ancora e ammettendo che solo le
imprese produttrici beni di consumo possano investire, l’uguaglianza
Diventa
IMPOSTE: è la parte di reddito che lo Stato preleva coattivamente dai redditi degli individui.
Ora supponiamo che il prelievo avvenga alla fonte per tutti, le famiglie non dispongono più di tutto
il reddito ma solo di quello restante dopo il “prelievo coatto”. CONSUMO E RISPARMIO NON DIPENDONO PIÙ
DAL REDDITO TOTALE MA DAL REDDITO DISPONIBILE.
Le Imposte vengono utilizzate per finanziare il complesso delle USCITE che distinguiamo in:
TRASFERIMENTI, hanno la stessa natura economica ma segno opposto alle imposte. Oltre che
in danaro possono essere in natura. Quelli pubblici assumo diverse forme quali:
pensione,sussidi di disoccupazione, prestazioni assistenziali e previdenziali e aggiungiamo
pure la voce interessi sul debito pubblico, che lo Stato paga.
SPESA PUBBLICA PER ACQUISTO DI BENI E SERVIZI DAL SETTORE PRIVATO. Questo flusso si scompone in
due parti:
una parte va alle famiglie sotto forma di salari e stipendi ai dipendenti
pubblici;
una parte va alle imprese come corrispettivo di beni e servizi da queste fornite
al settore pubblico che li utilizza per produrre i servizi pubblici.
Particolare interessante è che il lavoro acquistato dal settore pubblico entra come fattore
produttivo nel valore dei servizi pubblici, in pratica è parte fondamentale della funzione
produzione. Tuttavia mentre le imprese percepiscono il ricavo del lavoro fornito, le
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prestazioni dell’operatore pubblico ottenute impiegando quelle risorse lavorative e usando
i beni acquistati non hanno prezzo di mercato, non possono averlo, sono gratuite.
Quindi in un economia aperta il valore complessivo delle spese finali del Paese non corrisponde più
alla produzione nazionale. Una parte di produzione infatti soddisfa la domanda estera e parte della
domanda nazionale e soddisfatta dalle importazioni estere.
L’eccedenza della produzione sulla spesa corrisponde al saldo delle sue transizioni correnti con
l’estero ed è considerata INVESTIMENTO ALL’ESTERO.
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ECONOMIA APERTA CON LO STATO.
Non è altro che la somma virtuale delle voci incidenti in un economia aperta senza lo Stato e quelle
incidenti in un economia chiusa con lo Stato, infatti avremo:
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CAPITALE UMANO: si riferisce alle scorte di conoscenze utili acquisite dagli individui nel corso della loro
preparazione scolastica e professionale.
Nella situazione di equilibrio di concorrenza perfetta, se gli individui e le occupazioni fossero esattamente
uguali, i differenziali salariali non esisterebbero e tutti i tassi salariali di equilibrio determinati da domanda e offerta
sarebbero gli stessi; ma se si abbandona l'utopia dell'uniformità degli individui e delle occupazioni, si riscontrano
notevoli differenziali salariali anche nei mercati del lavoro perfettamente concorrenziali. I differenziali salariali
compensativi, che compensano le differenze non monetarie della qualità delle occupazioni, spiegano alcuni di questi
differenziali, mentre le differenze della qualità del lavoro ne chiariscono molti altri.
LA DISOCCUPAZIONE
La popolazione in età da lavoro viene suddivisa nei seguenti quattro gruppi:
• OCCUPATI, ovvero coloro che svolgono un lavoro retribuito;
• DISOCCUPATI, che comprende le persone che non sono occupate ma cercano attivamente un impiego o sono in
attesa di tornare a lavorare;
• PERSONE NON APPARTENENTI ALLA FORZA LAVORO, ovvero popolazione adulta che frequenta la scuola, fa lavori
domestici, è in pensione o è troppo malata per andare a lavorare o semplicemente non cerca lavoro;
• FORZA LAVORO, che comprende tutti coloro che sono occupati o disoccupati.
IL TASSO DI DISOCCUPAZIONE è dato dal numero di disoccupati diviso la forza lavoro totale. Quando il tasso di
disoccupazione sale, l'economia spreca effettivamente tutti i beni e servizi che i lavoratori disoccupati avrebbero
prodotto.
Il costo economico/sociale della disoccupazione è certamente elevato. Qualsiasi recessione porta all’aumento del tasso
di disoccupazione. Il calo del prodotto cala, induce ad un calo degli input nelle imprese, perciò si avrà una diminuzione
di assunzioni e nei casi peggiori il licenziamento di parte della forza lavoro.
Il legame tra disoccupazione e prodotto: individuato da Arthur Okun, è noto come legge di Okun. LA LEGGE DI
OKUN afferma che per ogni due punti percentuali di diminuzione del Pil rispetto al Pil potenziale il tasso di
disoccupazione sale di un punto percentuale. Quindi il effettivo deve crescere con la stessa rapidità di quello potenziale
unicamente per impedire che la disoccupazione aumenti. Addirittura, se si vuole far scendere il tasso di disoccupazione
il Pil effettivo deve crescere più velocemente di quello potenziale.
Nel classificare la struttura dei mercati del lavoro gli economisti individuano per tipi diversi di disoccupazione:
• La DISOCCUPAZIONE FRIZIONALE è dovuta al movimento di persone tra regioni e occupazioni o in diverse fasi del
ciclo di vita. Studenti che cercano lavoro quando si diplomano o le donne che rientrano a far parte della forza
lavoro dopo aver avuto dei figli. Poiché i lavoratori colpiti dalla disoccupazione frizionale spesso stanno
passando da un lavoro all'altro o sono alla ricerca di occupazioni migliori, spesso si ritiene siano
volontariamente disoccupati.
• LA DISOCCUPAZIONE CICLICA si verifica quando la domanda globale di lavoro è bassa. Quando la spesa e il prodotto
totale diminuiscono, la disoccupazione sale praticamente ovunque. La disoccupazione ciclica si verifica
durante le recessioni, quando l'occupazione diminuisce in seguito allo squilibrio tra offerta e domanda
aggregata.
• LA DISOCCUPAZIONE STRUTTURALE indica la mancata coincidenza dell'offerta e della domanda di lavoratori, che si
può verificare perché la domanda di un tipo di occupazione sale mentre quella di un altro scende e le offerte
non si adeguano rapidamente.
Abbiamo poi DISOCCUPATI “VOLONTARI” i quali preferiscono le attività ricreative o di altro genere agli impieghi al tasso
salariale corrente, oppure possono essere soggetti a disoccupazione frizionale o preferire il tempo libero e il sussidio al
lavoro mal retribuito.
Al tasso salariale troppo elevato ci sono più lavoratori qualificati alla ricerca di un impiego che posti di lavoro vacanti.
Poiché il salario supera il livello tendente all'equilibrio di mercato vi è un'eccedenza di lavoratori. I disoccupati si
definiscono:
DISOCCUPATI INVOLONTARI, il che significa che sono lavoratori qualificati che vogliono lavorare al salario prevalente, ma
non riescono a trovar impiego.
Il caso opposto si verifica quando il salario è al disotto del tasso tendente all'equilibrio di mercato; in questa situazione
in un'economia con carenza di manodopera i datori di lavoro non riescono a trovare un numero sufficiente di lavoratori
per riempire posti vacanti.
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La teoria della disoccupazione involontaria suppone che i salari siano rigidi. Ma ciò pone un altro problema: perché i
salari non salgono o scendono per bilanciare i mercati? Perché i mercati del lavoro non sono come le vendite all'asta dei
cereali e i mercati azionari? Per mercati regolati dei sindacati, gli schemi retribuitivi sono ancora più rigidi. Le scale
salariali sono fissate di solito per un periodo contrattuale di tre anni; in quel periodo i salari non vanno adeguati per
tenere conto dell'offerta e della domanda eccedente in zone particolari; i lavoratori iscritti sindacati, inoltre, raramente
accettano riduzioni salariali, anche quando molti degli iscritti sono disoccupati.
• L’INFLAZIONE MODERATA è contraddistinta da prezzi che aumentano lentamente in modo prevedibile: il termine
potrebbe essere utilizzato per descrivere situazioni in cui il tasso di inflazione annuale è a una sola cifra;
• L'INFLAZIONE GALOPPANTE è a due o tre cifre. Quando l'inflazione galoppante si consolida, si verificano gravi
distorsioni economiche. In genere i contratti vengono agganciati a un indice dei prezzi o a una valuta estera
come il dollaro: in queste condizioni la moneta perde valore molto rapidamente, e i cittadini conservano il
minimo indispensabile per le transazioni quotidiane; i mercati finanziari languono mentre il capitale viene
trasferito all'estero; i cittadini accumulano beni, acquistano case e in nessuna circostanza prestano denaro a
bassi tassi d'interesse nominale.
• un terzo tipo di inflazione, questa volta letale, subentra quando colpisce il cancro dell’ IPERINFLAZIONE. Gli studi
hanno individuato molte caratteristiche comuni dell'iperinflazione, come la domanda reale di moneta che
diminuisce drasticamente.
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adeguare i propri prezzi: i ristoranti ristampano i menu, le aziende di vendita per corrispondenza
cambiano i cataloghi, le società di taxi modificano il tassametro delle proprie auto.
Nelle moderne economie industriali l'inflazione è altamente inerziale, cioè rimane allo stesso livello fino a quando gli
interventi economici la fanno cambiare. L'economia ha un tasso di inflazione al quale si sono adeguate le aspettative dei
cittadini. Questo tasso di inflazione incorporato tende a esistere fino a quando uno shock lo fa salire o scendere. Uno dei
principali shock inferti all'inflazione deriva da una variazione della domanda aggregata.
L'INFLAZIONE DA DOMANDA si verifica quando la domanda aggregata cresce più rapidamente del potenziale produttivo del
paese, facendo salire i prezzi per equilibrare la domanda e l'offerta aggregata.
INFLAZIONE DA COSTI, è quella derivante dai costi crescenti durante periodi di elevata disoccupazione e modesta
utilizzazione delle risorse. Un modo utile per rappresentare il processo di inflazione fu elaborato dall'economista
Philips, che quantificò i fattori che determinano l'inflazione da salari. Philips individuò un rapporto intenso tra la
disoccupazione e le variazioni dei salari monetari, riscontrando che i salari tendevano ad aumentare quando la
disoccupazione era bassa e viceversa e li rappresentò nella celebre curva di Philips. Perché l'elevata disoccupazione
potrebbe ridurre la crescita dei salari monetari? La ragione risiede nel fatto che i lavoratori eserciterebbero minori
pressioni per ottenere aumenti salariali quand'è disponibile un numero minore di impieghi alternativi.
Tasso di inflazione
Tasso di disoccupazione
Il tasso naturale di disoccupazione è il tasso di disoccupazione compatibile con un tasso di inflazione costante. Al tasso
naturale le forze che esercitano pressione verso l'alto o verso il basso sull’inflazione di prezzi e salari si bilanciano,
quindi non esiste tendenza alla variazione dell'inflazione. Si avrà un tasso di inflazione stabile quando sono soddisfatte
due condizioni:
• Non esiste eccedenza di domanda. L'inflazione non sale ne scende perché le pressioni verso l'alto sui salari
derivanti da posti di lavoro vacanti bilanciano esattamente le pressioni verso il basso esercitate dalla
disoccupazione.
• Non ci sono shock da offerta. Se non si verificano shock da offerta dovuti ai prezzi del petrolio o di altre
materie prime, ai tassi di cambio, alla produttività o ad altri fattori che influiscono sui costi di produzione, cioè
se non vi sono shock da OA l’inflazione continua il suo trend.
Una fondamentale preoccupazione dei responsabili politici è il costo insito nella riduzione
dell'inflazione inerziale. Le stime attuali indicano che una sostanziale recessione è necessaria per
rallentare l'inflazione inerziale. Gli economisti hanno avanzato molto proposte per abbassare il tasso
naturale di disoccupazione; tra le più notevoli vanno annoverate il miglioramento delle informazioni
sul mercato, il miglioramento dei programmi di addestramento e istruzione e la ristrutturazione
dell'azione pubblica in modo che i lavoratori abbiano incentivi a lavorare. Un'analisi obiettiva delle
proposte politicamente realizzabili induce la maggior parte degli economisti ad attendersi solo
leggeri miglioramenti da tali riforme del mercato del lavoro. A causa dei costi elevati connessi alla
riduzione dell'inflazione mediante le recessioni, i governi hanno spesso cercato altri metodi, quali le
politiche dei redditi, i controlli prezzi – salari e le direttive volontarie, gli approcci fondati sulle
imposte e le strategie di rafforzamento del mercato.
CICLO ECONOMICO
Periodo di inflazione (aumento dei prezzi) e recessione (tasso di disoccupazione elevato)che caratterizza il capitalismo.
L’attento impiego di politiche fiscali monetarie consente allo stato di influenzare la produzione, l'occupazione e
l'inflazione.
LE POLITICHE FISCALI rappresentano il potere di far pagare le imposte e di spendere.
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LE POLITICHE MONETARIE consistono nella determinazione dell'offerta di moneta e dei tassi d'interesse,
che influenzano gli investimenti in beni capitali e altre spese sensibili ai tassi d'interesse. Con questi
due strumenti fondamentali della politica macroeconomica lo Stato può influenzare la spesa totale,
il tasso di crescita e il livello di produzione, i tassi di occupazione e disoccupazione, il livello dei
prezzi e il tasso di inflazione di un sistema economico. Grazie allo sviluppo della macroeconomia, a
partire dagli anni trenta gli stati sono riusciti ad attenuare gli eccessi di inflazione e disoccupazione.
Tutte le economie industriali avanzate sono caratterizzate da un'economia mista in cui il mercato
stabilisce i livelli di produzione e i prezzi in quasi tutti settori, mentre lo Stato guida l'andamento
economico generale mediante programmi di imposizione fiscale, spesa e regolamentazione
monetaria
Fluttuazioni economiche
La storia economica mostra che l'economia non cresce mai seguendo un percorso regolare e uniforme: alcuni anni di
vivace espansione e di prosperità sono seguiti da una recessione o persino da una grave crisi. Un ciclo economico è
l’incontro del prodotto nazionale, del reddito e dell'occupazione, che di solito dura per un periodo variabile dai due ai
dieci anni, segnato da una diffusa espansione o contrazione nella maggior parte dei settori dell'economia. Di solito gli
economisti suddividono i cicli economici in due fasi principali, la recessione e l'espansione, i massimi ed i minimi
segnano i punti di svolta dei cicli. La fase decrescente di un ciclo economico viene detta recessione, che è un periodo
ricorrente di diminuzione del prodotto totale, del reddito e dell'occupazione ed è segnata da una diffusa contrazione di
molti settori dell'economia. La depressione è una recessione su scala più ampia sia per entità che per durata. Quelle che
seguono sono alcune caratteristiche tipiche di una recessione:
• Spesso gli acquisti da parte dei consumatori diminuiscono rapidamente, mentre le scorte di automobili e altri
beni durevoli delle imprese aumentano inaspettatamente. Le aziende reagiscono limitando la produzione e il
Pil reale cala; poco dopo anche gli investimenti delle imprese in impianti e attrezzature diminuiscono
rapidamente.
• La domanda di manodopera cala: ciò si nota innanzitutto nella riduzione della settimana lavorativa media,
seguita da licenziamenti e da una disoccupazione più elevata.
• Mentre il prodotto diminuisce, l'inflazione rallenta, e mentre la domanda di materie prime scende, i prezzi
crollano. È improbabile che i salari e i prezzi dei servizi calino, ma nelle fasi decrescenti tendono ad aumentare
meno rapidamente.
• I profitti delle imprese scendono rapidamente durante le recessioni e, in previsione, i prezzi delle azioni
ordinarie di solito calano, poiché gli investitori hanno sentore di una fase decrescente degli affari, ma siccome
la domanda di crediti scende, durante le recessioni anche i tassi d'interesse in genere diminuiscono.
LE TEORIE ESOGENE individuano l'origine del ciclo economico nelle fluttuazioni di fattori al di fuori del sistema
economico: nelle guerre, nelle rivoluzioni e nelle elezioni politiche; nei prezzi del petrolio, nella scoperta di giacimenti
d'oro e nelle migrazioni.
LE TEORIE ENDOGENE, invece, cercano di individuare all'interno del sistema economico stesso i meccanismi che creano i
cicli economici. Secondo questo approccio qualsiasi espansione determina la recessione, e ogni contrazione genera la
ripresa e l'espansione.
TEORIA DEL MOLTIPLICATORE – ACCELERATORE, la rapida crescita del prodotto stimola gli investimenti, che a loro volta
favoriscono una maggiore crescita del prodotto; il processo continua fino a quando si raggiunge la capacità produttiva
dell'economia e a quel punto il tasso di crescita economica rallenta. A sua volta la crescita più lenta riduce la spesa per
investimenti e le scorte si accumulano tendendo a indurre una recessione dell'economia.
Una fonte importante di oscillazioni economiche è dato dalla crisi della domanda aggregata, che si verifica quando i
consumatori, le imprese o i governi modificano la spesa totale rispetto alla capacità produttiva dell'economia. Quando
queste variazioni della domanda aggregata determinano brusche contrazioni l'economia attraversa periodi di recessione
o persino di depressione. Una brusca espansione dell'attività economica può portare invece l'inflazione. Gli economisti
hanno elaborato strumenti di previsione in grado di anticipare le variazioni dell'economia. Per uno sguardo più accurato
nel futuro gli economisti si rivolgono a modelli computerizzati di previsione economica. Un modello econometrico è un
insieme di equazioni che rappresentano il comportamento dell'economia stimato utilizzando dati storici. Come si
possono costruire modelli computerizzati dell'economia? In genere gli elaboratori di modelli partono da una struttura
analitica contenente equazioni che rappresentano sia la domanda sia l'offerta aggregata; sfruttando le tecniche della
moderna econometria, ciascuna equazione viene adeguata ai dati storici per ottenere stime dei parametri. Infine l'intero
modello viene elaborato e fatto girare sotto forma di sistema di equazioni. I modelli più piccoli contengono 10 – 20
equazioni, mentre oggi i grandi sistemi effettuano previsioni in base a un numero di variabili che va da qualche
centinaio a 10.000.
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