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LE FUNZIONI

L’ordinamento assicura la funzionalizzazione dell’amministrazione in tutti i suoi aspetti:


l’organizzazione, i mezzi (personali, patrimoniali e finanziari) e l’attività, il tutto per il
perseguimento di fini pubblici.

Le pubbliche amministrazioni sono disciplinate da regole speciali per garantire lo svolgimento di


specifiche funzioni. Le funzioni identificano la ragion d’essere e la posizione dell’amministrazione
nei confronti della società. Costituiscono il principio ordinatore dell’organizzazione e dell’attività
amministrativa. La funzione comprende una molteplicità di compiti attribuiti all’amministrazione.

Funzione amministrativa e separazione dei poteri.


La funzione amministrativa è intesa come l’insieme dei compiti attribuiti all’amministrazione,
ricondotta al potere esecutivo e contrapposta alla funzione legislativa, propria del Parlamento e a
quella giudiziaria spettante alla magistratura.

L’amministrazione come funzione.


I mezzi. Il personale pubblico è sottoposto a due regimi. Pubblicistico per alcune categorie di
impieghi. Il legislatore assicura che i funzionari più importanti operino al servizio della Nazione. Il
secondo regime è privatistico, fondato su istituti e norme del codice civile. Però per alcuni versi è
una disciplina speciale a garanzia degli interessi pubblici (accesso tramite concorso).

I beni pubblici sono retti da regimi diversi. Regime pubblicistico, inalienabilità, indisponibilità dei
beni demaniali e del patrimonio indisponibile, assicurando l’interesse pubblico e collettivo di
determinati beni. Anche se tutto ciò è sempre più eroso dalla penetrazione di istituti e regole
privatistici, visto che possono essere valorizzati ed alienati. Per i beni del patrimonio disponibile si
applicano il regime privatistico.

L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge e sottoposta a determinati principi, a
cominciare da quelli costituzionali di imparzialità e buon andamento.
L’attività amministrativa si avvia con il procedimento e si conclude con l’emanazione di un
provvedimento, la deviazione di un atto rispetto al suo fine causa l’illegittimità dello stesso e può
condurre all’annullamento.

Le riforme amministrative hanno condotto alla privatizzazione di molti enti pubblici ed alcuni
compiti propri dell’amministrazione sono stati affidati a terzi, esternalizzazione. Si ha quindi un
disegno costituzionale di un sistema sociale misto, dove le prestazioni sono erogate da
amministrazioni e soggetti privati riconosciuti nella legislazione, come i “servizi nazionali” e i
“sistemi integrati” nei settori della sanità, dell’istruzione, della previdenza e dell’assistenza sociale
ai quali partecipano a pari titolo erogatori pubblici e privati.
Infine, i principi comunitari di libera circolazione e di concorrenza, possono concorrere, per la
fornitura di prestazioni essenziali per la comunità, sia imprese pubbliche che private.
La legge richiede ai soggetti privati preposti all’attività amministrativa il rispetto dei principi
generali dell’azione amministrativa, principi di trasparenza, imparzialità e non discriminazione.

L’ordinamento dispone di varie tecniche per garantire la cura dell’interesse generale o collettivo,
anche quando affidata a soggetti di diritto privato o a cittadini singoli e associati.
Possono essere indicati i fini cui il privato, nel perseguire il proprio scopo, deve orientare l’attività.
L’idoneità e l’adeguatezza dell’attività rispetto alla soddisfazione dell’interesse pubblico sono
valutate ex post dall’amministrazione, quindi nel rinnovare o meno l’incarico, nel confermare o nel
revocare i componenti degli organi sociali di nomina pubblica.
In altri casi l’ordinamento vincola l’attività del privato al rispetto di una serie di obblighi, condizioni
e limiti.

Quindi spetta alle norme del diritto amministrativo l’individuazione delle funzioni, l’istituzione
degli uffici ad esse preposti, l’assegnazione dei mezzi e l’attribuzione dei poteri.
LA DISTRIBUZIONE TRA I LIVELLI DI AMMINISTRAZIONE
Le politiche dell’Unione Europea si sono notevolmente estese, fino a guardare materie diverse
dall’esercizio di attività economiche (protezione ambientale, della salute pubblica). Quindi spesso
necessita un coordinamento tra la Commissione europea e le amministrazioni nazionali, queste
ultime operano sempre più in funzione comunitaria, per il raggiungimento di obiettivi determinati in
sede europea.
Tutto ciò è regolato dal principio di sussidiarietà, secondo cui la Comunità interviene soltanto e
nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati
dagli Stati membri, gli Stati a loro volta sono tenuti ad osservare il principio di leale cooperazione, e
il Trattato
L’art. 117 cost. elenca le competenze legislative spettanti allo Stato, oggi invece molte competenze
sono passate alle Regioni.
Art. 118 stabilisce che le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per
assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato,
sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.
Comunque secondo il principio di legalità, impone che anche le funzioni assunte per sussidiarietà
siano organizzate e regolate dalla legge.
Per l’attribuzione delle funzioni è necessario verificare la natura, le dimensioni e la capacità dei
diversi soggetti di svolgerla, inoltre bisogna individuare i beni e le risorse finanziarie, umane,
strumentali e organizzative necessarie all’esercizio dei relativi compiti.

ELEMENTI E CLASSIFICAZIONI
Gli elementi fondamentali delle funzioni sono quattro: la materia, i fini, le attribuzioni, i
destinatari.
La materia indica il campo di intervento, è un elemento indispensabile per stabilire le competenze
tra Comunità europea e Stati membri e all’interno dello Stato tra il potere centrale, le regioni e gli
enti locali, ma solo non è sufficiente, in quanto bisogna vedere i fini.
Il fine è lo scopo dell’azione amministrativa, possiamo suddividerla in tre tipi fondamentali: di
organizzazione (della pubblica amministrazione, dei beni, e della finanza), di ordine e
conservazione (polizia e difesa) e di benessere (servizi pubblici e sociali).
Le attribuzioni costituiscono il complesso dei compiti conferiti all’amministrazione dalle norme
relative ad una data materia per il conseguimento di determinati fini. Le attribuzioni possono essere
di vario genere.

I destinatari delle funzioni sono coloro che richiedono all’amministrazione una prestazione.
L’individuazione dei destinatari delle funzioni amministrative è importante: ad es. per stabilire i
soggetti legittimati a partecipare ai procedimenti amministrativi e impugnare i provvedimenti finali.
Per studiare le funzioni bisogna considerare la materia, la finalità dell’intervento pubblico, l’ordine
delle attribuzioni.

Le funzioni di maggior rilievo sono:

LE FUNZIONI DI ORDINE
Le funzioni di ordine fanno parte del nucleo fondamentale delle funzioni sovrane. Le autorità
pubbliche operano soprattutto mediante poteri che limitano le libertà dei cittadini. Da qui la
necessità di una loro particolare garanzia anche a livello costituzionale. Nello stesso tempo servono
a garantire i diritti dei cittadini, che spesso chiedono direttamente l’intervento dei pubblici poteri.
Erogano servizi alla collettività, il cui livello dipende dalle risorse destinate, personale, mezzi, ecc.
di qui l’idea che tutti i diritti hanno un costo e che la libertà dipende dalle tasse.

ORDINE PUBBLICO
La tutela dell’ordine pubblico costituisce una delle funzioni più intimamente connesse all’esercizio
della sovranità. Nel nostro assetto costituzionale ordine pubblico e sicurezza sono indicati tra le
materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Le funzioni amministrative relative all’ordine pubblico e alla sicurezza sono attribuite allo Stato,
mentre competono alle regioni ed agli enti locali quelle di polizia amministrativa.
Nell’esercizio dei propri compiti l’amministrazione adotta misure preventive e repressive. La
funzione è caratterizzata da un conflitto tra autorità e libertà, pertanto è regolamentata anche dalla
Costituzione che da una serie di garanzie a tutela della libertà personale, di domicilio, di segretezza
della corrispondenza, circolazione soggiorno, diritto di riunione e di associazione, di religione e di
manifestazione di pensiero.

Le norme più importanti di disciplina della funzione oggi sono quelle relative alla lotta al
terrorismo, alla criminalità organizzata e alla mafia e al contrasto dell’immigrazione clandestina.
Le attribuzioni relative all’ordine pubblico sono affidate all’amministrazione della pubblica
sicurezza, operante sotto la responsabilità del Ministro dell’Interno. A questa amministrazione
fanno capo dal punto di vista funzionale, le autorità provinciali e locali di pubblica sicurezza e i
relativi agenti, anche se appartenenti a Forze di polizia (Arma dei carabinieri, Guardia di finanza)
dipendenti da altre amministrazioni, a differenza della Polizia di Stato che dipende direttamente dal
Ministero dell’interno.

Anche i privati chiedono l’intervento dei pubblici poteri a protezione dei propri diritti e beni, quindi
la funzione deve essere intesa a protezione dei cittadini, prima ancora che dello Stato.
Vista la crescente domanda per il servizio, necessitano sempre più risorse a sostegno delle Forze di
polizia, tanto da introdurre forme di partecipazione ai costi per gli organizzatori di eveni che
richiedono misure di sicurezza aggiuntive.

L’AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA


Anche la giustizia è considerata una funzione “sovrana”, riservata allo Stato. Dobbiamo distinguere
tra funzione giudiziaria e funzione di amministrazione della giustizia. La prima è una funzione (non
amministrativa) di ordine e si svolge attraverso atti autoritativi non provvedimentali (le sentenze), la
seconda mira a garantire la tutela dei diritti e un esercizio efficiente delle azioni a protezione degli
interessi dello Stato e della collettività. L’amministrazione della giustizia è diventata oggetto di
frequenti interventi legislativi.
Gli obiettivi sono: la garanzia di accesso anche x i non abbienti, il controllo e la difesa della legalità,
ragionevolezza di durata dei processi, la non eccessività dei costi pubblici e privati.
Le attribuzioni necessarie all’esercizio della funzione si distinguono in due categorie fondamentali:
l’amministrazione dei giudici e l’amministrazione dei servizi. La prima è retta dal Consiglio
superiore della magistratura, con competenze sullo status dei magistrati, sulla carriera e sugli
onorari, fino alle sanzioni disciplinari, al fine di salvaguardare l’indipendenza della funzione
giurisdizionale.
L’amministrazione dei servizi spetta invece al Ministero della giustizia, con il compito concernenti
“servizi relativi all’attività giudiziaria”, organizzazione e servizi della giustizia, servizi
dell’amministrazione penitenziaria, e servizi relativi alla giustizia minorile. Per far ciò il Ministero
adotta misure di organizzazione e di funzionamento dei servizi relativi alla giustizia e alla gestione
amministrativa del personale tecnico, dei mezzi e degli strumenti anche informatici.

IL GOVERNO DEL TERRITORIO E DELL’ECOSISTEMA


Accanto alle funzioni d’ordine, i pubblici poteri si sono sempre più interessati all’assetto del
territorio. Prima per unificare lo Stato e costituire un mercato nazionale, si sono preoccupati di
costruire alcune infrastrutture fondamentali quali strade, ponti, ferrovie. Poi con la crescita
demografica e lo sviluppo economico e industriale, i pubblici poteri hanno organizzato l’assetto
urbanistico delle città e dei centri abitati, anche attraverso direttive, atti di pianificazione e di
espropriazione. Infine i pubblici poteri si sono dovuti occupare della tutela dell’ambiente.
Le infrastrutture
Tra le funzioni più importanti dei pubblici poteri vi è quello di provvedere alle dotazioni
infrastrutturali. Si tratta di strumenti fondamentali per il funzionamento del mercato e la libertà di
circolazione dei cittadini.
Il codice degli appalti definisce i principi e i criteri dell’azione amministrativa. L’affidamento e
l’esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, devono garantire la qualità delle
prestazioni, rispettare i principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza.

L’affidamento deve rispettare i principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non


discriminazione, trasparenza ecc.
L’amministrazione programma e commissiona le opere che i privati si impegnano a costruire dietro
il pagamento di un corrispettivo a carico della finanza pubblica.

Le infrastrutture di preminente interesse nazionale, sono sottoposte ad una speciale procedura di


programmazione cui segue una fase esecutiva accelerata.
I beneficiari ultimi sono i cittadini, ma la loro posizione non assume rilevanza giuridica, essi non
hanno accesso ai procedimenti di programmazione e di assegnazione delle opere e dei lavori.
Mentre le imprese che concorrono all’aggiudicazione degli appalti sono le destinatarie non della
funzione di dotazione infrastrutturale, ma delle attività strumentali di committenza.

L’urbanistica
L’esigenza di regolamentare lo sviluppo degli insediamenti abitativi, soprattutto a seguito
dell’incremento demografico e dei processi di industrializzazione, è all’origine dell’assunzione di
funzioni pubbliche in materia di urbanistica. L’urbanistica ha per oggetto l’assetto e l’incremento
edilizio dei centri abitati. Oggi per urbanistica si intende tutto ciò che concerne l’uso del territorio.
L’amministrazione statale, ha poteri di indirizzo e vigilanza, cercando anche di frenare la tendenza
all’urbanesimo.
La maggior parte delle funzioni amministrative compete alle regioni ed enti locali mediante atti di
pianificazione urbanistica. Le regioni e le province adottano piani territoriali di coordinamento, ai
quali si deve conformare la pianificazione comunale. Questa si articola su due livelli fondamentali:
il piano regolatore generale e il piano particolareggiato d’esecuzione. Il piano urbanistico poi può
essere sottoposto a procedimento di variante. Inoltre i comuni sulla base di norme statali e regionali,
operano interventi di riqualificazione urbana e di sviluppo sostenibile del territorio
I destinatari delle funzioni amministrative in materia urbanistica sono le comunità stanziate sul
territorio, quindi residenti, proprietari dei terreni e degli immobili. La loro posizione assume
rilevanza giuridica, in quanto possono presentare proposte, osservazioni ed opposizioni ai piani.

La tutela dell’ambiente
La funzione di tutela dell’ambiente ha una storia relativamente recente, infatti nella Costituzione
manca specifica attenzione alla materia, ad eccezione di un paio di passaggi: art 9 dedicato alla
protezione paesaggistica e l’art. 32 relativo alla salute.
Oggi è oggetto della politica comunitaria, diretta ad assicurare un elevato livello di tutela e di
vincoli globali, fissati in trattati internazionali. La tutela dell’ambiente e dell’ecosistema fa parte
della potestà legislativa esclusiva dello Stato, infatti ciò giustifica ingerenze statali in materie di
competenza regionale.
L’ambiente include la conservazione, la razionale gestione e il miglioramento delle condizioni
naturali (aria, acqua, suolo), l’esistenza e la conservazione dei patrimoni genetici terresti e marini e
di tutte le specie animali e vegetali. La recente legislazione fa riferimento alle aree naturali protette,
alla biodiversità, alla fauna alla flora , al mare, alle coste, ai rifiuti, alle risorse idriche,
all’inquinamento atmosferico, acustico, elettromagnetico ed ai rischi industriali.
I trattati comunitari perseguono i seguenti obiettivi: salvaguardia, protezione e miglioramento della
qualità dell’ambiente, protezione della salute e utilizzazione accorta e razionale delle risorse
naturali.
Nel diritto nazionale il compito è affidato al Ministero dell’ambiente.
Tra la procedure generali abbiamo la programmazione ambientale e la valutazione d’impatto
ambientale per una tutela preventiva.
I poteri spettano allo Stato sia se l’interesse è di rilievo nazionale (danno ambientale, valutazione
d’impatto ambientale, specie animali e vagetali protette, sia infrazionabile (ambiente marino), sia
connesso ad altri interessi nazionali (grandi impianti di produzione di energia).
Destinatari finali sono i cittadini, i quali hanno il diritto all’informazione ambientale, alla
partecipazione ai procedimenti di rilevanza ambientale, alla tutela giurisdizionale.

LE FUNZIONI DEL BENESSERE


Tra le funzioni principali dei pubblici poteri vi è quella di garantire il benessere dei cittadini. La
Costituzione riconosce a tutti alcuni diritti sociali fondamentali, salvaguardando la libera iniziativa
dei privati in particolare nei settori dell’istruzione e dell’assistenza.
Anzi con la riforma costituzionale del 2001 si favorisce l’iniziativa privata per attività di interesse
generale, attività riconosciute e spesso sovvenzionate. Spetta così ai singoli utenti scegliere il
fornitore delle prestazioni.
I servizi più importati sono sanità, istruzione, protezione sociale, servizi di collocamento, diffusione
pratica sportiva.

Il servizio sanitario nazionale


La Costituzione riconosce il diritto alla salute e ne individua la tutela come compito fondamentale
dei pubblici poteri. Garantisce cure gratuite agli indigenti.
L’Unione europea completa le politiche nazionali con lo scopo di migliorare la sanità pubblica,
prevenire le malattie ed eliminare le fonti di pericolo per la salute umana, rimane di competenza
degli Stati l’organizzazione e la fornitura di servizi sanitari e di assistenza medica.

L’azione amministrativa è finalizzata alla promozione, al mantenimento ed al recupero della saluti


fisica e psichica di tutto la popolazione senza distinzioni di condizioni economiche e sociali e
secondo modalità che assicurano l’uguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio.
L’amministrazione centrale e regionale esercita compiti di direzione attraverso una complessa
procedura di programmazione.
Il piano nazionale stabilisce i livelli esenziali e uniformi di assistenza sanitaria, il piano regionale
indicano gli interventi necessari e regolano il funzionamento dei servizi.
Le prestazioni sono erogate dalle aziende sanitarie locali, che sono enti istituiti dalle regioni,
organizzati in forma imprenditoriale.
All’erogazione del servizio concorrono anche soggetti privati accreditati, sottoposte al potere
direttivo e regolativi delle aziende sanitarie locali.
I destinatari sono i cittadini, gli stranieri comunitari ed extracomunitari.
La recente legislazione ha introdotto forme di compartecipazione ai costi, differenziate a seconda
delle condizioni economiche (Indicatori di situazione economica, Ise)

Il sistema nazione di istruzione


La Costituzione affida ai pubblici poteri i seguenti compiti: di erogazione con l’istituzione di scuole
statali per tutti gli ordini e gradi; di ordine e garanzia.
L’istruzione inferiore e impartita per almeno otto anni ed è obbligatoria e gratuita; di ausilio
finanziario attraverso l’erogazione di borse di studio per i capaci e i meritevoli privi di mezzi; di
regolazione e controllo nei confronti delle scuole private, di certificazione ove si prevedono esami
di Stato. Inoltre è riconosciuto ai privati il diritto di istituire scuole senza oneri per lo Stato.

Allo Stato spetta la potestà legislativa esclusiva in materia di norme generali sull’istruzione e di
livelli essenziali delle prestazioni. È materia concorrente l’istruzione, salva l’autonomia delle
istituzioni scolastiche.
Il Sistema si articola:
in scuola dell’infanzia, che concorre all’educazione ed allo sviluppo effettivo, psicomotorio,
morale, religioso e sociale dei bambini.
in un primo ciclo con scuola primaria e la scuola secondaria.
Il secondo ciclo che comprende il sistema dei licei ed il sistema dell’istruzione e della formazione
professionale.
Allo Stato spetta individuare il nucleo essenziale dei piani di studi, determinare le modalità di
valutazione dei crediti scolastici e definire gli standard minimi formativi.
Accanto agli istituti di diritto pubblico a partire dal 2000 operano istituti privati che devono
possedere determinati requisiti e sottoposti a regole e controlli.
I beneficiari sono i bambini i giovani e le loro famiglie, sia italiani che stranieri. Solo la scuola
obbligatoria è gratuita, nella scuola pubblica la compartecipazione è molto ridotta.

La protezione sociale
Le funzioni amministrative di protezione sociale sono previste nella Costituzione e si fondano su
due pilastri:
Primo pilastro:
la previdenza, riservata ai lavoratori, stabilisce che i lavoratori hanno diritto ad aver assicurati
mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità o vecchiaia e
disoccupazione involontaria;
l’assistenza, ogni cittadino inabile e sprovvisto di mezzi necessari per vivere ha diritto al
mantenimento e all’assistenza sociale. Inoltre gli inabili e minorati hanno diritto all’educazione e
all’avviamento professionale.

Nel nostro ordinamento costituzionale la previdenza sociale spetta alla competenza esclusiva dello
Stato. È materia di competenza concorrente la previdenza integrativa. Mentre l’assistenza sociale
rientra nelle competenze esclusive della regione.

Le prestazioni previdenziali sono erogate da enti pubblici e privati, nei confronti dei quali vige
l’obbligatorietà dell’iscrizione e della contribuzione. Tra gli enti pubblici il più importante è l’Inps.
La previdenza integrativa è affidata ai fondi pensione, ordinati in forme privatistiche e sottoposti in
vigilanza pubblica.

Il secondo pilastro
è costituito dal sistema di assistenza sociale articolati in più interventi, per l’erogazione di servizi,
gratuiti ed a pagamento, per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e
diritti di cittadinanza.

Lo Stato deve determinare i principi e gli obiettivi della politica sociale attraverso il Piano nazionale
degli interventi e dei servizi sociali, in base alle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali.
Usufruiscono delle prestazioni i cittadini italiani ed in base agli accordi internazionali anche i
cittadini degli Stati appartenenti all’Ue e infine gli stranieri individuati dalla legge
sull’immigrazione.
Per coloro che perdono il lavoro vi sono delle prestazioni straordinarie come la Cassa integrazione
(non automatica). (anche il reddito minimo di inserimento come misura di contrasto alla povertà è
rimasto oggetto di un progetto sperimentale.

I servizi pubblici.
Sono quei servizi che soddisfano le esigenze fondamentali della collettività come i trasporti di linea,
le telecomunicazioni, la somministrazione di energia elettrica e gas. In passato erogati in regime di
monopolio o da concessionari, ora da privati. Ciò è il risultato dell’intervento del diritto comunitario
che non tollera limitazioni alla concorrenza. I pubblici poteri assicura la fruizione diffusa,
assicurando il funzionamento del mercato ed intervenendo per correggerne i risultati. Ci sono delle
leggi speciali principalmente per il settore dell’energia elettrica, trasporti di linea e comunicazioni
elettroniche.
Energia elettrica e gas.
Sono servizi quasi completamente liberalizzati, però vi sono regole e controlli, in quanto spetta allo
Stato l’applicazione della disciplina comunitaria e la tutela della concorrenza e dei livelli essenziali
delle prestazioni.
Bisogna conciliare una pluralità di interessi, quindi la legge prevede l’attribuzione di funzioni
regolative all’Autorità per l’energia elettrica e il gas, con il compito della promozione della
concorrenza e dell’efficienza, della fruibilità dei servizi, della diffusione in modo omogeneo
nell’intero territorio, condizioni di economicità e di redditività per gli operatori e la tutela degli
interessi di utenti e consumatori. L’Autorità ha poteri precettivi, di controllo e di soluzione delle
controversie ed opera con autonomia e indipendenza di giudizio e valutazione.
La legge dichiara libere le attività di produzione, importazione, esportazione acquisto e vendita di
energia elettrica.
Gli organi di Governo e autorità tecniche concorrono alla definizione degli indirizzi, mentre le
società pubbliche provvedono alla gestione della rete, all’organizzazione del mercato al
rifornimento dei distributori operanti nel mercato vincolato.
Lo Stato controlla anche il principale operatore del settore l’Enel.
La legge regola anche il settore del gas, sono aperte hai privati le attività di prospezione e ricerca
degli idrocarburi, quindi le attività di importazione, esportazione, trasporto, distribuzione e vendita
di gas naturale. Le imprese di gas naturale hanno l’obbligo di permettere l’accesso e
l’interconnessione a coloro che ne fanno richiesta, il servizio di distribuzione locale è affidato
mediante gara per periodi non superiori a 12 anni.
Mentre l’Autorità per l’energia è preposta alla regolazione del settore, il Ministero dello sviluppo
economico è garante degli approvvigionamenti, gli enti locali possono acquistare il servizio per
assicurarne l’erogazione ai cittadini residenti sul territorio.
I trasporti pubblici di linea
Anche nel settore dei trasporti di linea, tradizionalmente gestiti da imprese pubbliche o da
concessionari pubblici e privati operanti in regime di esclusiva, vi è stato il riconoscimento della
libera prestazione dei servizi, sono invece materia di legislazione concorrente le grandi reti di
trasporto e di navigazione.
L’Unione europea preoccupata dalle distorsioni, create dagli aiuti di Stato, è intervenuta con
l’obiettivo di favorire l’adeguamento delle ferrovie alle esigenze del mercato unico e di accrescerne
l’efficienza. Si è introdotta la distinzione tra rete e servizio di trasporto con gestori diversi,
separando così i relativi costi. In questo modo si riconosce il diritto di accesso all’infrastruttura
ferroviaria per le associazioni internazionali ferroviarie.
Lo Stato per mezzo del Ministero dei trasporti, regola i rapporti tra imprese ferroviarie e gestore
dell’infrastruttura, rilascia concessione e stipula contratti di programma, rilascia le licenze,
garantisce il funzionamento del mercato e regola il servizio a tutela degli utenti.
Si è scissa anche la gestione commerciale dal servizio pubblico, identificando così uno per uno gli
obblighi imposti allo Stato in cambio di un corrispettivo, superando il problema dei finanziamenti
indifferenziati a carico della funzione pubblica a copertura dei debiti delle imprese ferroviarie.
I trasporti aerei e marittimi sono stati completamente liberalizzati, mentre per i trasporti locali, i
pubblici poteri si dovrebbero limitare all’acquisto del servizio necessario alla collettività, tramite
gara, ma molto spesso gli enti locali sono i proprietari delle aziende incaricate della gestione.

Le comunicazioni elettroniche
Nel settore delle comunicazioni elettroniche, il diritto comunitario impone la concorrenza, i pubblici
poteri esercitano quasi esclusivamente attribuzioni di tipo regolativi. Il Codice delle comunicazioni
elettroniche, afferma che la fornitura di reti e servizi di comunicazione elettronica è attività libera e
di preminente interesse generale. Si garantisce la libertà di comunicazione, diritto alla riservatezza,
libertà di iniziativa economica, in regime di concorrenza.
La disciplina mira anche a promuovere la semplificazione dei procedimenti, garantire trasparenza e
tempestività delle procedure per le concessioni.
La fornitura di reti e servizi di comunicazione elettronica è subordinata ad una autorizzazione
generale, dalla quale derivano diritti ed obblighi e per assicurare che vi sia concorrenza.
Inoltre alle imprese detentrici di un significativo potere di mercato possono essere imposti obblighi
ulteriori di trasparenza, non discriminazione, separazione contabile, controllo dei prezzi e dei costi.
Il settore è regolato dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, anche se gran parte dei poteri
dell’Autorità sono stati parzialmente erosi dal Ministro delle comunicazioni. L’Autorità opera in
piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione.
Destinatari delle funzioni amministrative sono le imprese e gli utenti e le loro relazioni.

La disciplina dell’economia
I pubblici poteri esercitano anche funzioni di disciplina dell’economia. Lo Stato è intervenuto in
diversi settori per rimediare a situazioni di crisi o per sostenere lo sviluppo di determinate attività.
Ma ciò è stato fortemente ridotto dal diritto comunitario. I pubblici poteri hanno funzioni di tipo
regolativi, anche tra i privati, in particolare nel settore dei servizi finanziari.
L’agricoltura
Il settore dell’agricoltura è stato uno dei primi ad essere oggetto di intervento pubblico, con sostegni
alle imprese agrarie. Oggi la Comunità europea disciplina sia il mercato dei prodotti agricoli, sia le
politiche agricole, sottraendole anche dalle norme della concorrenza. Le finalità sono l’incremento
della produttività agricola, assicurare un tenore di vita equo alla popolazione agricola, stabilizzare i
mercati ed assicurare i prezzi ragionevoli ai consumatori. Per ogni prodotto è istituita una
organizzazione comune dei mercati agricoli, che può comprendere tutte le misure necessarie al
raggiungimento degli obiettivi della politica agricola: regolamentazione dei prezzi, sovvenzione
della produzione e della distribuzione, costituzione di scorte, meccanismi di stabilizzazione di
importazioni ed esportazioni, infine costituzione di uno o più fondi agricoli di orientamento e
garanzia.
In linea di principio è oggetto di potestà legislativa esclusiva delle regioni, ma lo Stato svolge
compiti importanti: disciplina generale e coordinamento nazionale in materia di scorte e
approvvigionamenti alimentari, tutela della qualità, educazione alimentare, ricerca e
sperimentazione, importazione ed esportazione, regolazione delle sementi e dei fertilizzanti,
salvaguardia della biodiversità vegetale ed animale, dichiarazione di avversità atmosferiche,
prevenzione e repressione frodi.
I compiti dello Stato sono affidati al Ministero per le politiche agricole, alimentari e forestali, che
opera nelle due grandi aree funzionali: (agricoltura e pesca) e ( qualità prodotti agricolo e servizi).
Per arginare l’esodo dalle campagne e la conseguente crisi dell’agricoltura, si prevedono misure di
incentivazione delle piccole e medie imprese, sovvenzioni per garantire ai residenti l’accesso
all’abitazione, si agevolano le attività di agriturismo.
I destinatari delle funzioni amministrative non sono soltanto le imprese agricole, ma anche quelle
connesse alla terra come le imprese alimentari e dell’agro-turismo, inoltre beneficiano di incentivi e
di protezione i cittadini residenti nelle aree rurali e i consumatori di prodotti alimentari.
L’industria
Le funzioni amministrative in materia di industria e attività produttive sono anche oggetto della
Comunità europea, che prevede il rafforzamento della competitività dell’industria comunitaria,
promuovendo un ambiente favorevole all’iniziativa ed allo sviluppo delle imprese in tutta la
Comunità, la cooperazione tra imprese, l’innovazione, la ricerca e lo sviluppo tecnologico.
La Costituzione italiana individua come materia di legislazione concorrente il sostegno
all’innovazione per i settori produttivi, cioè alle industrie che comprende qualsiasi attività
imprenditoriale diretta alla lavorazione e alla trasformazione di materie prime, alla produzione e
allo scambio di semilavorati, di merci e di beni anche immateriali e le relative attività strumentali.
Allo Stato tramite il Ministero dello sviluppo economico spettano compiti prescrittivi, certificativi,
regolativi, direttivi, attraverso sovvenzioni e di ausilio finanziario alle attività di rilievo strategico e
nazionale. Alle regioni competono le erogazioni della parte restante dei contributi pubblici. Ai
comuni con gli sportelli unici, spettano le funzioni di cessazione, riattivazione, localizzazione e
rilocalizzazione di impianti produttivi.
Gli interventi di tipo finanziario non si concentrano più nel sostegno di alcune industrie, ma
assumono carattere orizzontale con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo, l’innovazione e la
competitività delle piccole imprese, oppure mirano allo sviluppo socio economico, anche con fondi
comunitari, di determinate zone, con modalità individuate da strumenti negoziali come i patti
territoriali e i contratti d’area.
Delle misure di incentivazione beneficiano non soltanto le imprese destinatarie, ma l’intero
territorio nel quale esse operano.
Tutto ciò impone una programmazione degli obiettivi prioritari attraverso procedure rapide
efficienti e trasparenti.
La vigilanza sui mercati finanziari
La vigilanza dei mercati finanziari è una funzione molto complessa, essi sono divisi in tre settori:
bancario, mobiliare ed assicurativo. Per ognuno dei tre settori vi è un organo di controllo, Banca
d’Italia, Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob), Istituto per la vigilanza sulle
assicurazioni private e di interesse collettivo Isvap). I confini tre questi mercati vanno ad attenuarsi.
Quindi anche le competenze amministrative si fondano non più sulla distinzione dei mercati, ma
sulle finalità di vigilanza, concentrando le funzioni sulla trasparenza con la Consob e sulla tutela
della concorrenza presso l’Autorità antitrust.
I mercati sono sempre più integrati a livello internazionale, quindi a livello europeo le funzioni di
vigilanza sugli enti creditizi ed istituti finanziari sono assegnate alla Banca centrale europea.
Gli interessi tutelati sono fondamentalmente due: la stabilità degli intermediari; la trasparenza e la
correttezza nella gestione del pubblico risparmio.
La Costituzione “incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme, disciplina, coordina e
controlla l’esercizio del credito”.
Quindi per ciascuno dei mercati finanziari, sono stabilite le regole fondamentali relative alle
operazioni ammesse e ai prodotti che possono essere scambiati.
Alle autorità pubbliche sono attribuiti poteri di regolazione e controllo.
La vigilanza ha come destinatari le banche, i gruppi bancari e gli intermediari finanziari, e si esplica
in quattro modi: controllo degli statuti, a mezzo della vigilanza informativa, attraverso la vigilanza
regolamentare e con la vigilanza ispettiva.
La tutela dei risparmiatori è garantita principalmente con misure dirette alla solvibilità alla
trasparenza e alla competizione. I risparmiatori tuttavia sono ancora privi di efficaci strumenti di
tutela.
La tutela della concorrenza
La funzione della tutela della concorrenza è relativamente recente, attribuita ad un’apposita autorità
indipendente, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Al fine di assicurare la cooperazione nell’applicazione delle regole europee della concorrenza, si
prevedono scambi di informazioni e consultazioni tra gli organi comunitari e autorità nazionali.
La disciplina antitrust si inscrive nel diritto comunitario in un più ampio contesto diretto a
promuovere un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza e a tutelare la libertà di
circolazione.
L’ordinamento italiano garantisce la libertà di iniziativa economica, le norme a tutela della
concorrenza rientrano nella potestà esclusiva dello Stato.
Per assicurare il rispetto delle norme antitrust sono conferite all’Autorità garante della concorrenza
e del mercato attribuzioni di natura paragiurisdizionale. Si tratta infatti di valutare condotte
imprenditoriali consistenti in intese restrittive della libertà di concorrenza, abusi di posizione
dominante e operazioni di concentrazione.
Le intese limitative della concorrenza e l’abuso di posizione dominante sono direttamente vietate
dalla norma, invece per le operazioni di concentrazione invece è prevista una comunicazione
all’Autorità garante della concorrenza e del mercato e una valutazione di quest’ultima per accertare
se comportino la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante sul mercato nazionale
in modo da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza.
Nei primi due casi l’Autorità accerta la violazione ed in caso positivo ordina la cessazione delle
condotte lesive ed applica sanzioni pecuniarie, nel terzo caso vi è una procedura autorizzativa che si
può concludere con un atto di assenso condizionato.
I destinatari della funzione sono le imprese e i consumatori, cui sono impediti o resi
ingiustificatamente onerosi l’accesso al mercato e l’esercizio delle scelte economiche. Le istruttorie
possono essere avviate su denuncia delle imprese e dei consumatori danneggiati dalla condotta
anticoncorrenziale. I soggetti lesi sono legittimati ad agire in sede civile per il risarcimento del
danno.
L’ORGANIZZAZIONE

Pubblica amministrazione e organizzazione amministrativa


Con l’espressione organizzazione amministrativa si indica sia il complesso dei soggetti e delle
strutture che svolgono attività di pubblica amministrazione, sia l’esercizio della funzione
organizzativa dei pubblici poteri.
Nel primo senso si analizza la struttura (statica), l’organizzazione viene concepita come un
apparato, quindi l’oggetto di analisi sono le singole articolazioni, come il ministero o l’ente
pubblico.
Nel secondo senso vengono in evidenza i caratteri funzionali e dinamici, l’attività organizzativa e
gli strumenti attraverso i quali si esercita la funzione di organizzazione pubblica, (regolamenti,
statuti, atti amministrativi, prassi).
Quindi i due significati dell’espressione organizzazione amministrativa sono strettamente connessi.
Gli elementi dell’organizzazione
Le amministrazioni pubbliche sono costituite per tutelare gli interessi della collettività. Le norme
attribuiscono a ciascuna autorità amministrativa le singole funzioni da esercitare, il legislatore
definisce e ordina una attività finalizzata ad uno scopo, poi la assegna ad una articolazione
organizzativa ed infine conferisce i poteri necessari per il suo svolgimento.
Quindi un’organizzazione amministrativa ha tre elementi: funzioni, articolazione in ufficio,
attribuzione di poteri agli uffici.
Le funzioni, sono organizzate, cioè distribuite tra gli uffici, vi sono anche funzioni non organizzate,
ciò avviene nelle costituzioni lunghe come quella italiana nelle quali si persegue una grande
quantità di interessi da proteggere, quindi all’enunciazione non segue una disciplina della funzione
e della relativa organizzazione.
Con l’articolazione in ufficio, le funzioni devono essere distribuite tra gli uffici, che si strutturano in
relazione alla loro complessità, dando vita anche ad organizzazioni complesse.
L’assetto organizzativo della pubblica amministrazione si suddivide in tanti settori di intervento,
all’interno dei quali operano più figure soggettive. Queste ultime si configurano come un ramo
dell’amministrazione o branca amministrativa.
La distribuzione delle funzioni avviene attraverso due criteri fondamentali: quello della materia e
quello delle attribuzioni in base al quale una singola materia spetta a soggetti diversi, ma con
compiti diversi, ad esempio si distingue tra compiti di indirizzo e di controllo e compiti di gestione
relativamente alla stessa materia.
La distribuzione dei poteri (che possono essere di istruttoria, di controllo, di decisione ecc.) agli
uffici. Quest’ultima è necessaria per mettere gli uffici nella condizione di operare. Pertanto si hanno
le competenze, cioè il complesso dei poteri riconosciuti.
La distribuzione della competenza avviene in base a tre elementi:
1) la materia (vi sono uffici che hanno una competenza generale estesa a tutte le materie
proprie di una determinata funzione come il Consiglio di Stato, e uffici che hanno
competenza limitata come gli uffici scolastici regionali.
2) Il grado a parità di competenza di materia, ripartita tra più uffici di diverso livello
gerarchico.
3) Il territorio l’ambito territoriale in cui può esercitare i propri poteri ad es. una regione.
Le figure soggettive
Le organizzazioni pubbliche, statali e non, sono configurate come persone giuridiche, quindi
l’ordinamento riconosce loro la personalità giuridica pubblica o di diritto pubblico.
Connesso al concetto di persona giuridica pubblica è quello di organo, cioè quella partizione
organizzativa della persona giuridica, l’ufficio, qualificato ad esprimere una volontà, consentendone
l’imputazione dell’atto e degli effetti, ad es. in un comune il sindaco e il consiglio comunale.
La necessità dell’imputazione è dovuta a due ragioni: mantenere responsabilità al vertice, e
assicurare la tutela delle posizioni giuridiche soggettive dei privati.
Gli elementi che caratterizzano l’organo sono due: il titolare e l’ufficio. Il primo è la persona fisica
della quale l’ente si avvale per manifestare la propria volontà, ma in termini impersonali, per il
principio di continuità e di intercambiabilità, salvo casi espressamente espressi, ad es. supplenza o
delega, solo una persona è abilitata ad agire. Il secondo è la parte di potestà assegnata dalla legge e
delimitata dalla competenza.
Gli uffici invece svolgono compiti ausiliari e strumentali rispetto agli organi e servono a porre
questi nelle condizioni di assolvere le funzioni loro assegnate, ad es. gli uffici dei ministri che
devono fornire supporto al ministro per lo svolgimento dei compiti di definizione degli obiettivi, di
elaborazione delle politiche pubbliche e di valutazione della relativa attuazione.
Classificazione degli uffici pubblici (tipi)
La tipologia degli uffici pubblici è così varia da rendere impossibile una classificazione precisa.
1) abbiamo uffici necessari e non necessari. I primi quelli costituiti da una norma, senza che
all’amministrazione sia riconosciuta alcuna potestà in proposito (Consiglio nazionale della
scienza e della tecnologia, organo di consulenza del Ministro dell’istruzione). I secondi sono
quelli istituiti autonomamente dall’amministrazione stessa ad es. una commissione di studi.
2) Uffici monocratici e collegiali, i primi costituiti solo da una persona fisica, ad es. il
questore, gli altri da una pluralità ad es. consiglio di amministrazione di un ente pubblico.
Gli uffici collegiali possono essere perfetti e imperfetti a seconda che ai fini di una decisione
sia indispensabile una discussione ad es. una commissione giudicatrice di un concorso
pubblico, rappresentativi e non a seconda che i titolari siano eletti o designati.
3) Uffici semplici, costituiti da una unità elementare non scomponibili (capitaneria di porto o
una biblioteca pubblica statale) e complessi formati da una pluralità di uffici che agiscono in
modo coordinato in relazione ad un determinato fine (un ministero o un’università composta
da facoltà, dipartimenti, consigli di corsi di laurea ecc.)
4) Con riferimento alla natura giuridica abbiamo uffici entificati e meri uffici a seconda che
assumono o meno la personalità giuridica.
5) In base alla durata dell’ufficio abbiamo uffici ordinari istituiti in modo permanente, senza
termine (Inps) e straordinari, temporanei, per un periodo limitato ad es. una Commissione
di concorso.
6) Uffici attivi, consultivi e di controllo, in base alla natura dei compiti attribuiti, il primo il
Prefetto, il secondo Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, il terzo ufficio di
controllo interno.
7) In base all’area in cui operano abbiamo uffici centrali, che hanno una competenza estesa in
tutto il territorio come il Ministero, periferici che dipendono dagli uffici centrali ad es. la
prefettura ufficio territoriale del governo, locali quelli che dipendono da amministrazioni
autonome ad hanno una dimensione territoriale, come una provincia, e misti se
rappresentano interessi centrali e locali allo stesso tempo come la Conferenza permanente
per i rapporti fra lo Stato le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano.
8) Infine in considerazione agli effetti della attività svolta, uffici esterni quando sono
legittimati ad adottare provvedimenti che determinano conseguenze nei confronti di soggetti
estranei e interni quando svolgono un’attività che ha rilievo solo nell’ambito della propria
organizzazione.
I modelli prevalenti
Accanto ai tipi di uffici, nell’analisi dell’organizzazione pubblica hanno rilievo i modelli strutturali,
che gruppi di uffici caratterizzati da elementi comuni.
I modelli prevalenti sono quattro: quello del ministero, dell’ente pubblico, dell’autorità
indipendente e quello del soggetto privato controllato.
Il modello del ministero è stabile, anche se con il trasferimento dei poteri dal centro alla periferia si
sono realizzati importanti mutamenti sia strutturali che funzionali.
Quello dell’ente pubblico è in via di dispersione anche per effetto delle privatizzazioni. Quello
dell’autorità indipendente si sta rafforzando anche per effetto delle disposizioni comunitarie. Quello
del soggetto privato in controllo pubblico tende ad ampliarsi a seguito della sempre più decisa
affermazione di strumenti di diritto privato.
Le relazioni organizzative
Poiché l’organizzazione amministrativa italiana si articola su modelli diversi composti da una
pluralità di organi ed uffici, vi è un’ampia serie di relazioni interne ed esterne.
Rapporto di subordinazione
Il principio è che l’ufficio posto in posizione sottordinata viene assoggettato ai poteri di un ufficio
posto in posizione sopraordinata. Quindi vi sono le figure della gerarchia e della direzione, nonché
quella del controllo e della delegazione.
La gerarchia è quel rapporto che si realizza quando un ufficio viene sottoposto ai poteri di
comando, di indirizzo e di controllo di un altro ufficio. Si esplica attraverso ordini, istruzioni, atti di
coordinamento, di vigilanza, di decisione ecc. Un tempo molto comune ora soltanto in
amministrazioni militare.
La direzione consiste nella determinazione da parte di un ufficio nei confronti di un altro di un
obiettivo da perseguire, si concretizza mediante direttive, cioè atti che si limitano a definire i fini,
lasciando al destinatario la scelta delle modalità e dei mezzi da adottare.
Il controllo si concretizza in una verifica operata da un ufficio sull’attività svolta da un altro in base
a delle direttive preventive, in caso negativo si procederà all’adozione di misure sanzionatorie, ad
es. la Corte dei conti. Il controllo può riguardare i singoli atti , l’attività complessiva o i risultati di
un ufficio e si realizza anche con modalità diverse in relazione al soggetto (interno o esterno),
all’ambito (legittimità o merito), al tempo (preventivo o successivo), alla natura (amministrativa,
contabile ecc.).
Con la delegazione un ufficio che è legittimato a provvedere a specifici interessi attribuiti alla sua
cura, incarica un altro a compiere una determinata attività preordinata al medesimo fine. In questo
modo il secondo acquisisce poteri e facoltà che spetterebbero in via esclusiva al primo.
Rapporti di equiordinazione
Due o più uffici possono essere posti anche sullo stesso piano, quindi in posizione di
equiordinazione, quindi si hanno rapporti di parità (più uffici hanno stessi poteri, anche per materie
diverse) o primazia (quando tra più organi in una situazione paritaria ve ne è uno che per taluni fini
particolari assume una posizione prevalente, ad es. il Presidente di un consiglio che oltre ad avere
gli stessi poteri degli altri membri, ne ha altri più specifici, quali quello di convocazione di ordine e
direzione dei lavori).
Rapporti di autonomia
Con questo termine si indica la capacità di alcuni enti pubblici di autodeterminarsi in ordine alla
soddisfazione degli interessi di propria pertinenza. Vi sono vari tipi di autonomia:
- una politico-amministrativa quando ad un ente viene riconosciuto il potere di darsi un indirizzo
politico-amministrativo diverso da quello del governo centrale, come regioni province e comuni;
- una normativa quando ad un ente viene riconosciuto il potere di darsi norme rilevanti per il
sistema generale delle fonti di diritto, come ad es. i regolamenti comunali di polizia urbana, di
igiene, edilizia, ecc.
- una organizzativa o statutaria quando ad un ente viene riconosciuto il potere di definire, con uno
statuto, il proprio assetto strutturale interno per la parte no definita da una norma primaria, nonché
le regole per il proprio funzionamento;
- una regolamentare quando ad un ente viene riconosciuto il potere di adottare regolamenti
organici, del personale, di contabilità o di servizio;
- una finanziaria quando ad un ente viene riconosciuto il potere di finanziarsi autonomamente
attraverso proventi derivanti dallo svolgimento di un’attività;
- una contabile quando ad un ente viene riconosciuto il potere di tenere la propria contabilità;
- una tributaria quando ad un ente viene riconosciuto il potere di assicurarsi entrate proprie
attraverso l’imposizione di tributi come ad es. gli enti locali.
L’organizzazione pubblica italiana
La molteplicità dei fini da perseguire e la necessità di assicurare la partecipazione dei numerosi e
vari interessi di una società fortemente differenziata provoca nell’amministrazione pubblica una
tendenza alla diversificazione, complicandone le forme organizzative.
Accanto alle amministrazioni statali, vi sono altri pubblici poteri (regioni, comuni, enti pubblici
ecc.) che agiscono seguendo itinerari diversi e con problematiche differenti. Di conseguenza la
pubblica è un’organizzazione reticolare, articolata su più poli, collocati in aree diverse,
l’amministrazione si può definire multiorganizzativa.
I principi fondanti
I principi di imparzialità e di buon andamento impongono di operare le scelte organizzative con
strumenti meno rigidi di quello costituzionale, adeguando meglio le strutture alle varie esigenze che
si prospettano.
L’istituzione, la modificazione, la soppressione e l’organizzazione degli uffici esterni, spetta al
Parlamento, attraverso atti di normazione primaria, mentre quella degli uffici interni spetta al
governo con atti di normazione secondaria.
La Costituzione afferma il principio del decentramento e quello dell’autonomia degli enti locali
territoriali, garantisce l’indipendenza del Consiglio di Stato e della Corte dei conti.
Un altro importante principio costituzionale è quello che riserva agli enti autonomi (regioni, città
metropolitane, province e comuni) potestà statutaria e regolamentare per disciplinare la propria
organizzazione interna.
L’organizzazione amministrativa si ispira non solo ai criteri sanciti dalla Costituzione ma anche ad
altri di carattere generale, come ad es. al principio di sussidiarietà stabilito dalla Comunità europea,
esso prevede che una istituzione di rango superiore possa intervenire al posto di un’altra che opera a
livello inferiore solamente qualora quest’ultima non sia in grado di svolgere in modo adeguato i
propri compiti. Questo principio è affermato anche dalla Costituzione che prevede che tutte le
funzioni amministrative spettano ai comuni salvo che per assicurare un esercizio adeguato ed
efficiente esse non debbano essere conferite a seconda dei casi alle province, alle regioni o allo
Stato.
Le amministrazioni pubbliche devono definire la propria organizzazione in modo da assicurare la
rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa e garantire nello stesso tempo la
funzionalità rispetto ai compiti e ai programmi e il perseguimento di obiettivi di efficienza, efficacia
ed economicità, imparzialità e trasparenza dell’azione, nonché il soddisfacimento delle esigenze
degli utenti.
Vi è anche il principio della distinzione dei compiti di indirizzo e di controllo, riservati agli organi
politici e quelli di gestione riservati agli uffici dirigenziali.
Le fonti nazionali e comunitarie
L’organizzazione pubblica è disciplinata da fonti eterogenee: da disposizioni costituzionali, da
provvedimenti normativi di livello primario e secondario, da atti di autonomia e da comportamenti
che condizionano di fatto le scelte amministrative.
Leggi e atti aventi forza di legge devono prevedere i lineamenti fondamentali dell’organizzazione
dello Stato, quindi l’istituzione (ad es. quali e quanti ministeri), la struttura di base (l’articolazione
dei ministeri in dipartimenti e direzioni generali), le attribuzioni e le competenze degli organi
(quelle spettanti ai ministeri e ai dirigenti generali).
Tra gli atti normativi di carattere secondario rientrano i regolamenti e gli statuti degli enti pubblici.
I primi definiscono l’assetto dell’ente attraverso la classificazione del personale in qualifiche
funzionali e per ciascuna è fissato il numero dei posti. I secondi (tra i quali quelli regionali e locali)
sono quegli atti che ne individuano le principali regole di organizzazione e funzionamento.
L’apparato ministeriale
I ministeri sono uffici complessi, dotati di personale e mezzi propri, che operano in settori di
intervento omogenei. Si diversificano in ordine ai tipi di funzioni, alle soluzioni strutturali interne e
periferiche, alle dimensioni ed alla disciplina.
Ma in tutti i ministeri ricorrono tre caratteri: il vertice è munito di governo, a capo dell’apparato
amministrativo viene posto il ministro, membro del Consiglio dei ministri.
Infine, l’organizzazione interna è di tipo divisionale, in quanto vi sono uffici intermedi (divisioni) e
questi a loro volta in uffici generali (denominati dipartimenti o direzioni o servizi).
L’ordinamento dei ministeri
L’ordinamento dei ministeri è disciplinato dalla legge che ha riformato l’organizzazione
ministeriale, delineando un nuovo assetto. Il decreto ha operato in tre diverse direzioni:
- riduzione degli apparati ministeriali, da 18 a 12, limitate le singole unità di comando
(segretariati generali, dipartimenti, direzioni generali).
- Istituite 12 agenzie con funzioni tecnico-operative con conoscenze specialistiche (ad es. nei
settori della protezione civile, della formazione e della istruzione professionale, dei trasporti
e delle infrastrutture, della protezione dell’ambiente e dei servizi sociali).
- Si è provveduto alla concentrazione degli uffici periferici dell’amministrazione statale.
Il nuovo assetto del 2001 ha apportato alcune modifiche (il numero dei ministeri è stato aumentato a
14), Infine nel 2006 il numero dei ministeri è stato aumentato a 18.
Pertanto gli obiettivi di fusione con la riduzione dei ministeri sono stati disattesi.
Le agenzie
Sono strutture che svolgono attività di carattere tecnico-operativo di interesse nazionale al servizio
delle amministrazioni pubbliche, comprese quelle regionali o locali (ad. Es. l’Agenzia spaziale
italiana) altre sono state chiamate ad operare in sede regionale e locale soprattutto nei settori della
sanità, dell’ambiente ecc. Hanno propri organi, propri bilanci e potestà di autorganizzazione.
Sono sottoposte ai poteri di indirizzo e di vigilanza del ministero.
Poi vi sono le agenzie sottoposte ad un regime speciale, che deroga le disposizioni generali, si tratta
delle 4 agenzie fiscali: delle entrate, delle dogane, del territorio e del demanio. Alcune agenzie sono
state soppresse come l’Agenzia per il servizio civile, altre sono di nuova istituzione ad es. l’Agenzia
italiana del farmaco.
Le autorità indipendenti
Abbiamo delle autorità costituite per lo svolgimento di funzioni pubblicistiche, atipiche, di
regolamentazione del mercato e di tutela di diritti fondamentali, che hanno un particolare grado di
indipendenza non solo dal potere politico, ma anche da quello economico e burocratico, ad es. la
Consob, l’Autorità della concorrenza e del mercato, il Garante per la tutela delle persone e di altri
soggetti rispetto al trattamento dei dati personali e l’Autorità per le garanzie nelle
telecomunicazioni.
Per garantire a tali autorità una posizione di neutralità, sono previste tre misure:
- autonomia di gestione
- indipendenza, sono sottomessi alla legge per significare che non sono subordinati ad altri
soggetti, nemmeno ai poteri di indirizzo e di controllo del governo. Hanno poteri, di
controllo, di indagine, di raccomandazione, di proposta e di sanzione.
Gli enti pubblici
Il modello organizzativo dell’ente pubblico è molto complesso, l’ente pubblico è la somma di un
insieme di istituti. Oggi per effetto della privatizzazione c’è stata una trasformazione di molti enti
pubblici in s.p.a.
Caratteri
Con il termine ente pubblico si indica una persona giuridica che ha particolari attributi di natura
pubblicistica e disciplinata da norme specifiche, in deroga a quelle che regolano le associazioni, le
fondazioni e le società.
Gli elementi distintivi della natura pubblica di un ente sono:
- la titolarità dei poteri d’imperio;
- l’istituzione da parte dello Stato o di altro ente pubblico;
- il riconoscimento della “operatività necessaria” (impossibilità che i compiti attribuiti vengano
espletati da altro soggetto ovvero impossibilità di fallimento o di estinzione);
- l’assoggettamento al controllo o all’ingerenza dello Stato;
la combinazione di questi elementi, di volta in volta variabili, viene considerata come indicatore del
carattere pubblicistico dell’ente. Comunque le differenze sono maggiori dei tratti comuni, in questa
materia prevale l’atipicità quindi risulta impossibile definire una disciplina unitaria.
Categorie principali
Le categorie principali di enti pubblici sono tre:
- enti territoriali (regioni e province) i propri atti amministrativi sono limitati in un territorio
- enti economici (aziende sanitarie locali e Agenzia del demanio), oggi molti di questi enti
sono scomparsi perché trasformati in spa (Iri, Eni, Enel).
- Enti non economici che comprende tutti gli enti che non rientrano nelle prime due categorie,
quindi è formata da realtà che disomogenee sul piano delle funzioni e delle strutture, avendo
in comune soltanto la disciplina collettiva del rapporto di lavoro per i propri dipendenti.
I consorzi di enti pubblici
Nella esperienza della pubblica amministrazione sempre più di frequente ci si imbatte nel fenomeno
consortile. Queste presentano tre tratti comuni:
- una pluralità di soggetti pubblici portatori di interessi affini;
- un vincolo associativo;
- e un apparato organizzativo stabile dotato di personalità giuridica.
Tra i consorziati esiste un’affinità di interesse, creato per assolvere a compiti che sono propri di tutti
i partecipanti, la relazione associativa può derivare da un contratto, e v i è la necessità della
presenza di un apparato organizzativo dotato di personalità giuridica.
L’amministrazione regionale e locale
Dopo aver analizzato l’organizzazione ministeriale, passiamo agli enti autonomi territoriali: regioni,
province e comuni. Anche essi sono enti pubblici, ma si differenziano perché sono indipendenti
dallo Stato. La loro indipendenza deriva dal fatto di essere rappresentativi della collettività di
riferimento, quindi titolari di poteri di indirizzo politico-amministrativo.
Trovano la loro disciplina nella Costituzione, infatti sono elementi costitutivi della Repubblica,
quindi fanno parte dell’assetto fondamentale della Repubblica.
Nell’ambito di questi enti si sono costituiti altri organismi, di minore importanza e non diffusi su
tutto il territorio, ad es. le comunità montane (unione di comuni montani con compiti di
valorizzazione delle zone montane), le città metropolitane (previste dalla Costituzione e dalla legge,
ma non ancora costituite, che acquistano tutte le funzioni della provincia), i municipi (la cui
istituzione può essere prevista dagli statuti dei comuni derivanti dalla fusione di due o più comuni
contigui).
L’organizzazione di governo e i rapporti tra organi politici e organi amministrativi.
L’organizzazione di governo delle regioni, delle province e dei comuni è regolata in modo uniforme
in sede nazionale. Infatti vi è un consiglio (regionale, provinciale, comunale) eletto dalla
collettività, con compiti normativi, di indirizzo e di controllo; una giunta con compiti esecutivi e di
supporto del capo dell’esecutivo, un presidente (regionale, provinciale) o sindaco (nei comuni) con
compiti di direzione dell’amministrazione e di rappresentanza dell’ente.
La regola è che il capo dell’esecutivo venga scelto direttamente dai cittadini (ma gli statuti regionali
possono adottare soluzioni diverse), ad esso spetta scegliere (e revocare) i componenti della giunta
(assessori). Il consiglio non può influire nella formazione della giunta, ma determinare con una
mozione di sfiducia la cessazione della carica della stessa e del capo dell’esecutivo. Vi è un legame
indissolubile tra il capo dell’esecutivo e il consiglio, qualunque causa faccia cessare dalla carica il
primo determina lo scioglimento del secondo e viceversa.
Queste norme configurano i governi regionali e locali come sistemi di tipo presidenziale, con lo
scopo di stabilizzare l’esecutivo e di poter dare maggiore efficienza all’azione amministrativa.
L’organizzazione amministrativa
Ogni assessore (regionale, provinciale o comunale) è posto a capo di un complesso ufficio,
identificato in base alla materia di propria competenza (urbanistica, commercio, agricoltura)
denominato assessorato.
Nei comuni e nelle province è prevista la presenza di un eventuale direttore generale e di quella
necessaria del segretario comunale e provinciale.
Il direttore generale può essere nominato nelle province e nei comuni con popolazione superiore a
15.000 abitanti, dal sindaco o dal presidente della provincia, ha un contratto a tempo determinato,
provvede ad attuare gli indirizzi e gli obiettivi stabiliti dagli organi di governo dell’ente, secondo le
direttive impartite dal sindaco o dal presidente della provincia.
Anche il segretario comunale non è elettivo, è un impiegato di carriera selezionato mediante
pubblico concorso. Oggi dipendente di un’apposita Agenzia autonoma per la gestione dell’albo dei
segretari comunali e provinciali ed intrattiene un rapporto di tipo fiduciario con il sindaco o il
presidente della provincia. Il segretario esercita funzioni di collaborazione e di consulenza
amministrativa e quando non viene nominato il direttore generale, le funzioni di questo vengono
esercitate dal segretario.
La legge prevede la possibilità per le province ed i comuni di istituire organi di decentramento di
compiti e di partecipazione dei cittadini all’amministrazione locale (circondari per le province e
circoscrizioni per i comuni). Le circoscrizioni sono obbligatorie nei comuni con più di 100.000
abitanti, facoltative per i comuni tra i 30.000 e 100.000 abitanti.
Per quanto riguarda l’organizzazione e la gestione dei servizi pubblici locali, si distingue tra i
servizi con rilevanza economica e quelli privi di rilevanza economica. Per i primi viene stabilito il
principio della separazione tra la proprietà delle reti e degli impianti, di norma riservata all’ente
locale e all’erogazione del servizio affidata a soggetti terzi.
L’erogazione del servizio pubblico locale privo di rilevanza economica è affidato direttamente
dall’ente locale a società di capitale interamente pubblico, ad aziende speciali e ad istituzioni.
Le strutture di coordinamento amministrativo e le amministrazioni composte
Con il processo di moltiplicazione e di differenziazione dei centri di poteri si è reso necessario
l’individuazione di adeguati strumenti di coordinamento tra soggetti che agiscono nei vari settori di
interesse pubblico.
Abbiamo strumenti di tipo procedimentale (conferenza di servizi e accordo di programma) e
strumenti di natura organizzativa (strutture di coordinamento e di raccolta tra soggetti pubblici che
agiscono in sede nazionale e locale), nonché le amministrazioni composte e le organizzazioni a rete.
I privati in funzione dell’amministrazione: esercizio privato di funzioni pubbliche, concessioni
e contratti di servizio
Al fine di assicurare maggiore efficienza ed economicità dell’azione pubblica si ricorre anche a
strumenti di natura privata. Le amministrazioni pubbliche provvedono alla realizzazione dei propri
fini e all’esercizio delle proprie funzioni anche avvalendosi di soggetti privati. Talvolta piuttosto
che costituire uffici e assumere personale, risulta più conveniente affidarli a terzi, utilizzando
organizzazione e mezzi propri, cioè il servizio viene esternalizzato.
Vi è anche una legge che demanda a determinati soggetti l’esercizio di funzioni pubbliche, ad es. i
notai, titolari di un munus (incarico) pubblico, temperato da poteri di vigilanza degli organi
pubblici.
Tra soggetti pubblici e privati possono stabilirsi rapporti che vengono disciplinati da atti autoritativi
come nel caso delle concessioni di servizio. Tali concessioni vengono utilizzate quando una
pubblica amministrazione vuole affidare ad un terzo un servizio, regolando mediate atto gli
obblighi, ad es. il Ministero dei trasporti attribuisce mediante concessione l’attività di revisione
degli autoveicoli ad officine che abbiano determinati requisiti.
Oppure un’attività di pubblico interesse può essere affidata a privati mediante contratto, quindi
utilizzando un’organizzazione esterna per lo svolgimento di una determinata attività (ad es. il
servizio di pulizia degli edifici pubblici), però questa ha natura privata e non di servizio pubblico.
In tutti questi casi, tra soggetto pubblico e privato si instaura un rapporto di ausiliarietà e di
collaborazione, tale rapporto comporta una ripartizione di compiti e di poteri. Quindi si istaurano
rapporti con privati, ad es. banche che agiscono come collettori delle imposte, o di privati posti
sotto il controllo pubblico, ad es. la Consip che svolge attività di conduzione, manutenzione, e
sviluppo dei sistemi informatici del Ministero dell’economia e delle finanze, sia rapporti pubblici
come l’Aci quale tenutario del Pubblico registro automobilistico Pra.
IL PERSONALE
Le funzioni sono distribuite fra i vari uffici che compongono l’organizzazione amministrativa, però
sono materialmente svolte da persone fisiche. Queste prestano la propria attività al servizio della
pubblica amministrazione.
Rapporto di ufficio e rapporto di servizio
Il personale che presta servizio presso le pubbliche amministrazioni, assume, in alcuni casi, ma non
sempre, anche la titolarità dell’ufficio, quindi il servizio e la titolarità dell’ufficio sono due cose
diverse. Il rapporto di servizio riguarda l’attività lavorativa, che il dipendente si obbliga a prestare
in cambio della retribuzione. Il rapporto di ufficio è il rapporto che lega il dipendente ad una
componente dell’organizzazione. Mediante quest’ultima il dipendente assume la titolarità
dell’ufficio ed acquisisce la capacità di esercitare poteri e funzioni attribuiti a tale ufficio. In quanto
titolare di una sfera di funzioni pubbliche, si dice che il dipendente è un funzionario pubblico.
Principi comuni ai titolari di uffici
La titolarità dell’ufficio si acquisisce per nomina da parte del titolare di altro ufficio o per elezione.
La titolarità dell’ufficio si può perdere oltre che per dimissioni anche per altre cause: scadenza del
termine o per revoca o rimozione decisa dalla stessa autorità che ha provveduto alla nomina o da
altra autorità, essa può avere natura più o meno discrezionale.
Esistono alcuni principi comuni che si applicano a tutti i titolari di uffici.
Il primo principio è quello della continuità dell’ufficio, anche in caso di discontinuità del suo
titolare. In caso di impedimento temporaneo del titolare, sovente la legge individua il soggetto che
ha il compito di sostituirlo: il supplente o vicario. Oppure l’ufficio può essere affidato al titolare di
un ufficio diverso, che ne diviene ad interim, il reggente.
Quando invece il rapporto di ufficio si estingue per scadenza del termine, il titolare resta in carica
fino alla nomina del successore, la proroga però non può protrarsi oltre i 45 giorni, decorsi i quali,
gli atti dell’ufficio divengono nulli. La mancata nomina del successore genera per il titolare
dell’ufficio competente, una responsabilità per danni.
Il secondo principio riguarda il conferimento della titolarità degli uffici.
Altri principi sono quelli di adempiere a tali funzioni con disciplina ed onere, mantenere separati
l’interesse dell’ufficio da quello del titolare, nonché il patrimonio dell’ufficio da quello del titolare.
Principi oggi scontati, ma che si sono affermati nel corso di un lungo processo storico (quando gli
interessi privati del sovrano si confondevano con gli interessi pubblici dello Stato.
Questi principi sono affermati mediante norme precise che puniscono i reati di corruzione,
concussione e peculato.
Il personale non volontario
Il rapporto di servizio può essere volontario o obbligatorio. Quest ultimo assume notevole
importanza nel settore della difesa, come previsto dall’art. 52 della Cost. “la difesa della patria è
sacro dovere del cittadino” anche se il servizio di leva obbligatorio nel 2005 è stato sospeso, ma può
essere ripristinato con decreto del Presidente della Repubblica in caso di insufficienza del personale
militare volontario, a fronte di particolari situazioni: deliberazione dello stato di guerra o grave crisi
internazionale.
Il personale non professionale
Il personale volontario si distingue in due categorie: personale professionale e non professionale (o
onorario). La scelta del funzionario onorario è in genere di natura politico-discrezionale, non
presuppone concorso, in genere avviene per nomina o elezione, però la legge prevede alcune cause
di incandidabilità, ineleggibilità o incompatibilità.

L’incandidabilità prevista per coloro che hanno riportato alcune condanne penali, rende nulla
l’elezione o la nomina.
L’ineleggibilità ha lo scopo di impedire che alcuni soggetti possano approfittare della loro carica
per influenzare il procedimento elettorale a proprio vantaggio,
L’incompatibilità mira ad evitare situazioni di conflitto di interessi, ovvero il cumulo di più cariche
da parte della medesima persona.

In secondo luogo la disciplina dei diritti e degli obblighi del funzionario onorario verso
l’amministrazione è molto ridotta, in quanto lo scambio tra lavoro e retribuzione assume un rilievo
marginale, prevalendo l’aspetto dell’identificazione del funzionario nell’organizzazione.
In terzo luogo il compenso del funzionario onorario non è elemento essenziale del rapporto e
comunque non è una vera e propria retribuzione, ma una indennità (spesso consistente) percepita a
titolo di rimborso degli oneri sostenuti.
In quarto luogo il rapporto del funzionario onorario è a termine, in quanto è di natura politica.
Il personale non professionale è una categoria molto ampia, vi sono parlamentari, membri del
governo, amministratori di enti pubblici, presidenti di regioni, assessori e consiglieri regionali,
amministratori di enti locali ecc.
Il personale professionale
La seconda specie di personale volontario è rappresentata dal personale professionale. In questi casi
la titolarità dell’ufficio viene attribuita ad un soggetto che questi appartenga ad una “carriera”.
Vengono selezionati in base al merito, i quali, in cambio della retribuzione, pongono
permanentemente e continuativamente la propria capacità lavorativa al servizio
dell’amministrazione.
Qui il rapporto di servizio esiste indipendentemente dal rapporto di ufficio.
Mentre gli uffici a titolarità onoraria sono in genere espressione di rappresentanza politica, quelli a
titolarità professionale riflettono il criterio del merito, i primi assicurano la realizzazione del
principio democratico, i secondi il rispetto di imparzialità amministrativa.
Tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno sono intestate agli uffici dirigenziali,
la cui titolarità spetta a personale professionale.
Il personale precario
Vi sono categorie di personale il cui rapporto di servizio presenta l’elemento della subordinazione,
ma non quello della stabilità, i precari, proprio perché assunto per un periodo di tempo determinato,
per esigenze temporanee e straordinarie, spesso reclutato senza concorso, però prima o poi viene,
mediante appositi provvedimenti legislativi, immesso stabilmente in ruolo, con rapporto di tempo
indeterminato. In questo modo i precari si sottraggono al concorso, ed è per questo motivo che la
legge ha posto dei divieti di assunzione dei precari, disattendendoli in un ampio numero di casi
particolari.
Utilizzata la flessibilità dei rapporti di lavoro, (contratto a tempo determinato, formazione lavoro,
fornitura temporanea di lavoro ecc..). quindi il divieto di assunzione a tempo indeterminato di
lavoratori con contratti a tempo determinato è vietata.
Il personale con rapporto di lavoro autonomo
Alcune categorie di personale professionale, non hanno né l’elemento della stabilità, né quello della
subordinazione, si tratta del personale assunto con rapporto di lavoro autonomo, che le pubbliche
amministrazioni sono autorizzati a costituire con soggetti scelti discrezionalmente. Generalmente
ciò avviene per esigenze in cui la pubblica amministrazione non può far fronte con personale in
servizio, conferendo incarichi individuali ad esperti di provata competenza, determinando
preventivamente durata, luogo, oggetto, compenso.
La disciplina europea dell’impiego con le pubbliche amministrazioni nazionali
I dipendenti pubblici sono lavoratori, le norme europee allo scopo di costituire un mercato comune
proteggono la libertà di circolazione dei lavoratori, senza discriminazione sulla nazionalità. Però gli
Stati membri conservano la facoltà di discriminare in base alla cittadinanza nazionale quando si
tratta dell’accesso agli impieghi nella pubblica amministrazione. Il requisito della nazionalità può
essere imposto esclusivamente per l’accesso a quei posti che implicano partecipazione all’esercizio
di poteri pubblici, ovvero tutela di interessi generali. Quindi può valere per le funzioni tipiche e
specifiche dello Stato come la difesa, la sicurezza nazionale, la giustizia, gli affare esteri, per il resto
deve essere consentito l’accesso in condizioni di uguaglianza a tutti i cittadini europei.
L’ordinamento italiano ha indicato i posti per i quali può essere stabilito il requisito di cittadinanza
italiana, (dirigenti nelle amministrazioni statali, funzioni di vertice amministrativo delle strutture
periferiche della amministrazioni dello Stato, degli enti pubblici, delle province, comuni, regioni,
contabili, avvocati e procuratori dello Stato, Ministero affari esteri, interno, giustizia, difesa,
economia, Corpo forestale).
I caratteri del pubblico impiego
Il rapporto di pubblico impiego presenta due caratteri fondamentali: è strettamente collegato al
rapporto di cittadinanza ed è un rapporto di tipo pubblico.
Il rapporto di cittadinanza, indica una relazione di appartenenza dell’individuo allo Stato, non si
tratta, anzi, di un rapporto, ma di uno status, cioè di una posizione del soggetto nell’ordinamento,
da cui derivano diritti e doveri. Il rapporto di pubblico impiego rappresenta un approfondimento
dello status di cittadinanza, esprime una relazione di appartenenza allo Stato più profonda di quella
del normale cittadino. Tale appartenenza implica maggiori diritti di partecipazione all’esercizio di
poteri pubblici, ma anche maggiori doveri di fedeltà verso la comunità statale. Questa concezione
dell’impiegato pubblico come cittadino speciale si riflette anche nella Costituzione.
Il secondo carattere fondamentale del rapporto di pubblico impiego, peraltro collegato al primo, è la
sua natura di diritto pubblico. Il rapporto di impiego pubblico era considerato come una relazione
fra cittadino e Stato e la scienza giuridica italiana non poteva ammettere relazioni paritarie fra Stato
e cittadino, quindi quei rapporti non potevano essere regolati dal diritto privato, ma dal diritto
pubblico, in quanto lo Stato è in posizione di supremazia e il privato in posizione di soggezione.
Il regime giuridico del pubblico impiego
Il regime giuridico del rapporto del pubblico impiego si basa su quattro principi che lo differenziano
nettamente da quello privato.
1) l’amministrazione costituisce il rapporto con l’atto di nomina, inteso come manifestazione
di potere pubblico, qualificato come provvedimento amministrativo unilaterale,
condizionato nell’efficacia all’accettazione del destinatario.
2) Anche la disciplina del rapporto è unilaterale nel senso che è contenuta nella legge. 1908
approvazione del primo statuto degli impiegati civili dello Stato, oggi vigente quello del
1953. tale disciplina legislativa ha rappresentato un privilegio per i dipendenti pubblici, per
tutelare l’imparzialità essa accordava loro delle garanzie sconosciute ai dipendenti privati
3) Il rapporto di pubblico impiego si modifica ed estingue per effetto di decisioni che sono a
loro volta espressione di potere pubblico.
4) La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo costituisce infine l’ultimo elemento
del regime giuridico del rapporto di pubblico impiego.
Le categorie di personale con rapporto di impiego pubblico: tratti comuni
Anche se assai ridotta rispetto al passato, l’area del personale professionale legato
all’amministrazione da un rapporto pubblico impiego è ancora piuttosto vasta. 551.000 dipendenti,
1.024 carriera diplomatica, 1.547 carriera prefettizia, 130.229 personale militare, 321.000 forze di
polizia di Stato, 10.434 magistrati, avvocati e procuratori dello Stato, 54.835 professori e ricercatori
universitari, 31.995 vigili del fuoco.
Tutti hanno almeno due tratti comuni: si tratta di funzionari con funzioni pubbliche che
rappresentano il cuore della sovranità degli Stati (difesa, affari esteri, ordine pubblico, giustizia),
settori per i quali il diritto europeo consente il requisito della cittadinanza.
In secondo luogo, si tratta di dipendenti che hanno sempre ricevuto un trattamento normativo
speciale, differenziato rispetto a quello riservato alla generalità degli impiegati pubblici.
La disciplina del rapporto di lavoro varia a seconda delle diverse categorie.
Il personale diplomatico e delle carriere prefettizie
Il personale della carriera diplomatica e prefettizia, è preposto ad uffici cui è attribuita una
complessiva funzione di rappresentanza dello Stato. Gli agenti diplomatici hanno il compito di
rappresentanza dello Stato verso l’esterno, in ambito internazionale, verso l’interno, in periferia, nel
caso dei prefetti.
Tutto ciò spiega la chiusura verso l’esterno delle rispettive carriere e si procede in base al merito e
giustifica la speciale relazione fiduciaria con il governo, al venir meno possono essere collocati a
disposizione del servizio.
Il personale militare e delle forze di Polizia di Stato
Il regime dell’impiego pubblico trova virtù nel suo carattere tradizionalmente autoritario,
improntato sulla ineguaglianza delle parti e sulla supremazia dello Stato sui suoi dipendenti. La
natura paritaria del rapporto di lavoro privato mal si concilierebbe con i criteri gerarchici e di
disciplina che ispira la disciplina del personale militare e delle forze di polizia di Stato. Tali criteri
sono la compressione dei diritti sindacali, (divieto di sciopero, iscrizione ad associazioni sindacali).
Ma anche per questa categoria di persone il regime pubblicistico ha progressivamente subito
attenuazioni e contaminazioni con il regime privato, infatti la Polizia di Stato è stata smilitarizzata
ed il rapporto di impiego è regolata da decreti del Presidente della Repubblica adottati a seguito di
accordi sindacali. Mentre il rapporto di impiego delle forze di polizia rimaste ad ordinamento
militare (Carabinieri e Guardi di Finanza) e delle Forze armate, sono regolati da decreti concertati
con gli organi di rappresentanza interna Cocer.
Magistrati, avvocati dello Stato e docenti universitari
Il rapporto di diritto pubblico, prescelto per i suoi tratti garantistici, serve ad assicurare la neutralità
politica e l’indipendenza di determinate categorie di personale professionale.
Tale esigenza è particolarmente avvisata per i magistrati. La Costituzione impone che il loro status
sia regolato dalla legge, inoltre a differenza di quanto avviene per i normali rapporti di impiego
pubblico, è prevista la stabilità e l’inamovibilità dei magistrati. La Costituzione vieta che essi siano
dispensati o sospesi dal servizio, o destinati ad altre sedi o funzioni senza il loro consenso, salvo
decisione del Consiglio superiore della magistratura. Questo è noto come organo di autogoverno
che adotta tutti i provvedimenti amministrativi che incidono sullo status del magistrato, assunzioni,
trasferimenti, promozioni, sanzioni disciplinari.
Stessa disciplina spetta agli avvocati e procuratori dello Stato, equiparati ai magistrati.
Anche per i professori e i ricercatori universitari è previsto che siano inamovibili, questo per
tutelare l’autonomia e per garantire i valori costituzionali del pluralismo culturale e della libertà
della scienza. Anche se ciò non è previsto dalla Costituzione.
Il rapporto di lavoro privato con le pubbliche amministrazioni
Il personale professionale, in prevalenza, è legato all’amministrazione da un rapporto di natura
privatistica, regolato dal diritto comune del lavoro. Vari d.lg. hanno disposto la privatizzazione dei
rapporti di impiego di più dell’80% dei dipendenti pubblici. Quindi il regime giuridico dei rapporti
di impiego con le pubbliche amministrazioni si equipara a quello dei rapporti di lavoro subordinato
con imprese private. Si dispone l’applicazione della stessa disciplina che regola il lavoro
subordinato nell’impresa.
Il regime giuridico del rapporto di lavoro privato con le pubbliche amministrazioni
Il regime giuridico del rapporto di lavoro privato con le pubbliche amministrazioni poggia su
quattro principi fondamentali, collegati l’uno all’altro.
- origine contrattuale del rapporto: l’assunzione nelle pubbliche amministrazioni avviene con
contratto individuale di lavoro;
- regolamentazione contrattuale del rapporto: i rapporti individuali di lavoro sono regolati
contrattualmente.
- gestione del rapporto mediante atti negoziali:le misure inerenti alla gestione del rapporto
sono assunte con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, quindi la promozione, il
trasferimento o il licenziamento di un dipendente pubblico non sono provvedimenti
amministrativi, ma atti negoziali, come tra impresa privata e dipendente.
La disciplina della contrattazione collettiva
A differenza di quanto accade per i contratti collettivi di lavoro stipulati da imprese private, la legge
stabilisce il modo in cui le pubbliche amministrazioni devono stipulare i propri contratti collettivi. Il
d.lg. n. 165/2001 in particolare regola tre aspetti: la struttura, i soggetti e le procedure della
contrattazione.
La legge prevede tre livelli contrattuali:
- il primo livello definisce i comparti che sono unità negoziali che si riferiscono a settori
affini. Ciascuno di essi comprende categorie di personale pubblico cui si applica uno stesso
contratto collettivo, in genere si tratta di dipendenti che lavorano per amministrazioni
pubbliche dello stesso tipo, ad es. dipendenti dei ministeri, del servizio sanitario nazionale,
delle regioni ed enti locali. I comparti costituiscono un limite alla privatizzazione, perché
escludono che i dipendenti pubblici possano essere regolati da contratti collettivi applicabili
anche a lavoratori del settore privato.
- Il secondo livello contrattuale è costituito dai contratti collettivi nazionali, detti di comparto,
ad es. tutti i dipendenti ministeriali.
- Il terzo livello contrattuale è costituito dai contratti collettivi integrativi, che si riferiscono al
personale di una singola amministrazione, ad es. i dipendenti del Ministero dell’economia e
delle finanze.
La legge regola direttamente la contrattazione nazionale, e quest’ultima ha il compito di disciplinare
la contrattazione integrativa. Essa può svolgersi sulle materie e nei limiti stabiliti dai contratti
collettivi nazionali.
I soggetti della contrattazione nazionale sono: una parte pubblica, che rappresenta le
amministrazioni del comparto, e una parte sindacale che rappresenta i rispettivi dipendenti. Le
amministrazioni sono rappresentate di diritto dall’Agenzia per la rappresentanza negoziale Aran
delle pubbliche amministrazioni, le norme tutelano l’autonomia e l’indipendenza dal corpo politico.
La legge detta un’apposita disciplina per l’individuazione delle parti sindacali, garantendo che tutti i
lavoratori appartenenti alla categoria cui il contratto è destinato, siano democraticamente
rappresentati in sede di stipulazione dell’accordo, quindi l’Aran è tenuta ad ammettere alle trattative
tutte le organizzazioni sindacali che abbiano raggiunto una soglia minima di rappresentatività del
5% di elettori/voti totali. L’accordo è validamente sottoscritto se vi aderiscono organizzazioni
sindacali rappresentative.
Il procedimento per la stipulazione del contratto collettivo si apre con la quantificazione delle
risorse finanziarie da destinare alla contrattazione collettiva. Le trattative svolte dall’Aran e deve
tenere costantemente informati i comitati e il governo. Le trattative si concludono con una ipotesi di
accordo fra l’Aran e le parti sindacali, poi l’Aran deve acquisire il parere favorevole del comitato di
settore, infine l’Aran trasmette una quantificazione dei costi derivanti dall’accordo alla Corte dei
conti, che ne devono accettare l’attendibilità e la compatibilità con i vincoli finanziari previsti in
sede di programmazione e di bilancio. La certificazione positiva della Corte dei conti conclude il
procedimento e legittima il presidente dell’Aran a sottoscrivere definitivamente il contratto
collettivo.
La costituzione del rapporto
a) organici e programmazione delle assunzioni
La fase costitutiva del rapporto di lavoro, che precede cioè la stipulazione del contratto individuale
è regolata dal diritto amministrativo, questo prevede vincoli che riguardano sia la decisione di
assumere personale, sia la scelta del personale da assumere. Tutto ciò è regolata dalla disciplina che
riguarda gli organici, la programmazione delle assunzioni e la mobilità.
Le amministrazioni non possono assumere in mancanza di un corrispondente posto organico.
È un documento che definisce la dotazione ottimale di personale dell’amministrazione, determinata
in base agli effettivi fabbisogni, è anche ridefinita periodicamente o con scadenza triennale. Anche
se vi è disponibilità di posti la decisione di assumere avviene per mezzo di atti di programmazione
triennale delle assunzioni. Ciò spesso si scontra con il blocco delle assunzioni disposto dalla legge
finanziaria, con l’obiettivo di contenimento della spesa. Inoltre per la procedura di mobilità, prima
di assumere personale, le amministrazioni sono tenute a verificare la possibilità di impiegare
dipendenti già in servizio presso altre amministrazioni, che siano stati dichiarati in eccedenza e
quindi collocati in disponibilità.
b) il concorso
la scelta del personale da assumere deve essere effettuata, per costituzione, mediante concorso,
salvo i casi stabiliti dalla legge. In base al principio del sistema del merito, che garantisce ai
cittadini di accedere ai pubblici uffici in condizioni di uguaglianza, in base alla loro virtù e ai loro
talenti. Assicurando l’imparzialità della burocrazia. Tutto ciò si contrappone al metodo del
patronato politico, in base al quale il reclutamento è influenzato dalla parte politica al governo, che
assegna liberamente i posti e gli uffici. Il concorso garantisce il buon andamento
dell’Amministrazione perché permette di scegliere i cittadini più capaci.
Le procedure selettive sono disciplinate dalle amministrazioni, devono garantire la pubblicità e
l’imparzialità della selezione, con meccanismi oggettivi e trasparenti per l’accertamento dei
requisiti professionali e attitudinali richiesti in base alla posizione da coprire.
La commissione è composta esclusivamente da tecnici ed esperti (per un terzo donne) e non
possono farne parte componenti dell’organo di direzione politica dell’amministrazione, titolari di
altre cariche politiche o rappresentanti dei sindacati.
Per le amministrazioni statali vi è una regolamentazione più specifica per il procedimento di
concorso che si articola in quattro fasi:
- l’adozione del bando di concorso,
- l’ammissione dei candidati,
- la selezione dei candidati,
- l’approvazione della graduatoria.
Il bando di concorso disciplina le modalità di svolgimento della selezione e fissa i requisiti generali
e speciali richiesti per l’ammissione.
I requisiti generali sono cittadinanza di uno Stato Europeo (o in alcuni casi cittadinanza italiana),
l’idoneità fisica all’impiego, godimento diritto di voto, titolo di studio prescritto.
Gli eventuali ulteriori requisiti sono definiti di volta in volta dal bando.
Entro il termine previsto dal bando gli interessati devono inviare la domanda di ammissione.
L’Amministrazione accerta i requisiti prescritti e delibera per ciascun candidato l’ammissione alla
selezione o l’esclusione dal concorso. Il provvedimento di esclusione può essere impugnato dal
candidato e se illegittimo è annullato dal giudice amministrativo, annullando a cascata tutti gli atti
successivi. Per evitare questo rischio, l’amministrazione anche su richiesta del giudice dispone la
c.d. ammissione con riserva, così l’accertamento dei requisiti viene rimandata ad un momento
successivo, così il candidato può partecipare.
Poi vi è la selezione dei candidati ammessi, sulla base dei titoli presentati e delle prove sostenute.
Questa è effettuata dalla commissione giudicatrice, che prima dello svolgimento delle prove, deve
definire i criteri di massima per la valutazione dei titoli e i criteri e le modalità di valutazione delle
prove. La previa definizione dei criteri di massima è necessario ogni qual volte ricorrono criteri
soggettivi per la valutazione comparativa delle prove e dei requisiti.
Al termine delle prove ed in base alla valutazione delle stesse e dei titoli, la commissione forma la
graduatoria di merito.
Questa deve essere, infine, approvata dall’amministrazione che ha bandito il concorso,
l’approvazione della graduatoria conclude il procedimento concorsuale e costituisce il presupposto
della stipulazione del contratto individuale di lavoro con i vincitori.
Questo segna anche il passaggio dal diritto amministrativo al diritto privato. Le controversie relative
alle procedure concorsuali sono infatti di competenza del giudice amministrativo, mentre quelle che
attengono al rapporto di lavoro già instaurato rientrano, come visto nella competenza del giudice
ordinario.
c) le deroghe al principio del concorso
il legislatore ha sovente abusato della facoltà di derogare al principio del concorso, allo scopo di
favorire il personale che abbia già instaurato un rapporto, ad esempio si è aggirato il principio del
concorso per regolarizzare la posizione del personale precario. In secondo luogo la copertura delle
qualifiche superiori mediante il concorso aperto a tutti, configge con gli interessi del personale
interno delle qualifiche inferiori, che aspira a proseguire la carriera. Il legislatore quindi ha previsto
i concorsi interni per il personale in servizio. Quindi le posizioni più elevate si possono giungere sia
mediante procedure concorsuali, sia per effetto dello sviluppo professionale, l’equilibrio fra i due
sistemi è affidato alla contrattazione collettiva che disciplina l’inquadramento dei dipendenti
pubblici.
La disciplina derogatoria del rapporto
a) la carriera
una volta costituito il rapporto fra il dipendente e l’amministrazione tramite la stipulazione del
contratto individuale si innestano alcune regole speciali, che investono la materia
dell’inquadramento professionale e della carriera dei dipendenti pubblici, quella dei loro obblighi e
della loro responsabilità disciplinare nonché quella dell’estinzione del loro rapporto di impiego.
Nel settore pubblico la facoltà di promuovere un dipendente non è illimitata, perché deve
armonizzarsi con l’esigenza di rispettare l’organico.
In base al principio dell’irrilevanza dell’esercizio di fatto di mansioni superiori, è irrilevante ai fini
della promozione, ma rilevante ai fini del trattamento economico, in quanto gli spetta il trattamento
economico della qualifica corrispondente.

b) doveri e responsabilità
una seconda area di regole speciali si riferisce agli obblighi dei dipendenti pubblici e alla loro
responsabilità disciplinare. Sul dipendente pubblico grava il dovere di fedeltà e il dovere di
esclusività, che gli impone di porre tutte le proprie energie lavorative al servizio esclusivo
dell’amministrazione. L’esclusività è richiesta perché si presume che lo svolgimento di una seconda
attività lavorativa riduca l’impegno del dipendente nell’esercizio dei compiti attribuitigli, poi per
evitare un potenziale conflitto fra l’interesse pubblico e l’interesse privato. La legge vieta ai
dipendenti pubblici l’esercizio di attività industriali e commerciali e qualsiasi attività di lavoro
subordinato.
Il divieto di una seconda attività lavorativa non vale per i dipendenti part-time, a meno che non
siano attività che interferiscono con i loro compiti istituzionali. Vi sono poi alcuni incarichi in via
generale consentiti, come quelli non retribuiti o compensati con rimborso delle spese, o quelli
consentiti, ad es. nella collaborazione a giornali e riviste o nella partecipazione a convegni e
seminari. Anche lo svolgimento di altri incarichi può essere autorizzato dall’amministrazione di
appartenenza.
Vi è il dovere di osservanza dei dipendenti pubblici, al potere direttivo e disciplinare del datore di
lavoro. Il potere direttivo si esercita attraverso la definizione di un codice di comportamento.
Questo è adottato dal Dipartimento della funzione pubblica, per tutti i dipendenti pubblici e
modificato ed integrato da parte degli organi di vertice delle singole amministrazioni. L’intera
disciplina ruota intorno al principio per il quale il dipendente deve perseguire esclusivamente
l’interesse pubblico.
L’inosservanza delle norme del codice di comportamento espone il dipendente al potere disciplinare
dell’amministrazione solo nel caso in cui tali norme siano fatte proprie dai contratti collettivi. È
previsto che la pubblica amministrazione impartisce all’Aran indirizzi, affinché il codice sia
recepito nei contratti .
I contratti definiscono le infrazioni e le sensazioni disciplinari, la legge regola il procedimento per
l’irrogazione delle sanzioni.
Il capo della struttura presso cui il dipendente lavora segnala l’inflazione ad un apposito ufficio per i
procedimenti disciplinari. Questo comunica tempestivamente al dipendente la contestazione , poi lo
convoca per sentirlo con l’eventuale procuratore o un rappresentante sindacale, l’ufficio istituisce il
procedimento e applica la sanzione oppure comunica la chiusura del procedimento.
Per i reati più gravi, la condanna penale anche non definitiva obbliga l’amministrazione a
sospendere il dipendente dal servizio. La condanna definitiva ad oltre tre anni di reclusione
determina l’estinzione del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione.
c) il licenziamento
una terza area di regole speciali attiene alla fase estintiva del rapporto, cioè il licenziamento,
individuale o collettivo per esigenze organizzative, cioè in caso di eccedenza di personale.
Le pubbliche amministrazioni con eccedenza di personale devono darne comunicazione ai sindacati,
indicando il numero dell’esubero, i motivi, e le proposte di rimedio. Viene verificata la possibilità di
ricollocare il personale eccedente, alla fine il personale che non è passato ad altra amministrazione o
che ha rifiutato il trasferimento viene collocato in mobilità. Il personale in disponibilità percepisce
due anni un’indennità dell’80% dello stipendio, al termine dei quali, in mancanza di ricollocazione,
il rapporto di lavoro si estingue.
La dirigenza
La dirigenza è una categoria di personale professionale creata per separare dagli altri dipendenti
l’alta burocrazia. Comprende i funzionari amministrativi di vertice e i titolari di uffici di livello più
elevato. La dirigenza è oggetto di una disciplina speciale e particolarmente importante in quanto si
colloca fra la politica e l’amministrazione, quindi crea l’equilibrio fra il principio di democrazia
(che impone il controllo degli organi politici) e il principio di imparzialità (che pone
l’amministrazione al servizio dell’intera comunità). Questo equilibrio è separato da due elementi, il
primo funzionale (il modo in cui sono distribuiti i poteri fra gli uffici affidati a titolari politici e gli
uffici affidati ai dirigenti), in questo caso il rapporto gerarchico favorisce il controllo politico,
mentre la separazione delle competenze limita gli effetti della politicizzazione.
Il secondo dal punto di vista strutturale, l’equilibrio dipende dal modo in cui è configurato il
rapporto fra il titolare dell’ufficio dirigenziale e il suo datore di lavoro (che è poi l’organo politico),
qui la precarietà assicura la prevalenza politico, mentre la stabilità garantisce l’imparzialità.
La distinzione fra politica e amministrazione
La distribuzione delle funzioni fra uffici politici e quelli dirigenziali risponde al principio di
separazione o distinzione delle rispettive competenze. Ai primi spettano le funzioni di indirizzo
politico-amministrativo e di controllo, ai secondi è affidata la gestione amministrativa. Quindi la
politica stabilisce fini e obiettivi, l’amministrazione provvede all’attuazione e realizzazione delle
finalità e degli obiettivi.
La disciplina distingue i compiti di indirizzo e di gestione nel seguente modo: con riguardo alle
attribuzioni finali dell’amministrazione, gli organi politici adottano atti normativi e di carattere
programmatico, mentre alla dirigenza compete di adottare gli atti e i provvedimenti amministrativi.
Con riguardo alle attribuzioni strumentali, gli organi politici definiscono, l’organizzazione di
vertice, cioè gli uffici di livello dirigenziale, ripartendo personale e risorse finanziarie. I dirigenti
definiscono la parte più bassa dell’organizzazione degli uffici. Essi provvedono ad ulteriori
ripartizioni e gestione di personale e di risorse finanziarie.
Prima questa distinzione funzionale era di tipo gerarchico, le competenze dell’organo politico,
comprendeva anche quella degli uffici, cioè i poteri del ministro coincidevano con quelli del
ministero, ora il rapporto è di tipo dirigenziale, non tutte le funzioni del ministero possono essere
esercitate dal ministro, perché alcune di esse sono sottratte agli organi politici. Il ministro non ha
potere di ordine nei confronti dei dirigenti, ma solo di indirizzo, né può riservare a sé atti di
competenza dei dirigenti.
Gli atti di indirizzo sono adottati dagli organi politici anche in base alle proposte dei dirigenti,
l’organo politico ha compiti di controllo sulla gestione e sui suoi risultati, per mezzo di strutture
poste alle loro dirette dipendenze con compiti di valutazione e controllo strategico.
Il rapporto fra il dirigente e l’amministrazione
a) il rapporto di servizio
diversamente dagli altri dipendenti, i dirigenti assumono la titolarità di uffici con atti di diritto
pubblico, quindi il loro rapporto d’ufficio, cioè i modi di conferimento della titolarità degli uffici di
maggiore rilevanza è regolata dalla legge. Nondimeno il rapporto di servizio dei dirigenti è stato
sottoposto al diritto privato, così come quello degli altri dipendenti. La regola privatistica secondo
la quale il datore di lavoro può licenziare in ogni momento il dirigente anche senza giustificazione,
nel settore pubblico non si applica, qui l’estinzione del rapporto di lavoro del dirigente è circondata
da maggiori garanzie previste sia dalla disciplina legislativa sull’accertamento della responsabilità
dirigenziale, sia dalla contrattazione collettiva.
b) il rapporto di ufficio
alla stabilità del rapporto di lavoro, si contrappone la precarietà del rapporto di ufficio della
dirigenza pubblica. La disciplina legislativa sul conferimento e sulla revoca degli incarichi
dirigenziali, instaura una relazione fiduciaria fra organo politico e il dirigente.
Reclutati attraverso concorso gestito dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione, i
dirigenti sono inseriti nel ruolo dirigenziale dell’amministrazione che li ha assunti. Vi sono tre
livelli di incarichi dirigenziali: la titolarità di strutture sovraordinate agli uffici dirigenziali generali
(ad es. segretario generale di ministeri, capo dipartimento), titolarità di uffici dirigenziali generali,
titolarità di uffici dirigenziali non generali. Ai dirigenti di prima fascia può essere affidato qualsiasi
tipo di incarico, a quelli di seconda fascia possono essere conferiti incarichi di livello più basso.
Gli incarichi sono conferiti con un provvedimento adottato dall’organo politico o per incarichi più
bassi, dal dirigente titolare dell’ufficio dirigenziale sovraordinato. Il dirigente incaricato stipula con
l’amministrazione un contratto individuale che definisce il trattamento economico collegato allo
svolgimento di quel particolare incarico che si aggiunge al trattamento economico corrisposto
comunque al dirigente, in base alla contrattazione collettiva.
Il provvedimento di conferimento dell’incarico, oltre al suo oggetto e agli obiettivi da conseguire ne
definisce la durata, che non può essere inferiore a tre anni, né più di cinque. Si estingue
automaticamente a scadenza, ma l’organo politico ha la facoltà di rinnovare l’incarico.
Prima della scadenza il rapporto d’ufficio può estinguersi per due cause. Anzitutto gli incarichi più
elevati cessano automaticamente entro novanta giorni dal voto di fiducia del nuovo governo, chi
vince le elezioni ha diritto di occupare i posti della pubblica amministrazione con persone di propria
fiducia. In secondo luogo l’incarico può essere revocato in caso di accertamento dei risultati
negativi della gestione o del mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati. Questo accertamento
è l’esito di un procedimento di valutazione annuale, svolto in contraddittorio con il dirigente
valutato. Nell’ipotesi di responsabilità dirigenziale meno grave, esso comporta l’impossibilità di
rinnovo dell’incarico, nei casi più gravi può determinare la revoca o il licenziamento.
LA FINANZA
Nozioni e caratteri
La finanza pubblica può essere definita come l’insieme delle attività con le quali i soggetti che
compongono la Repubblica, lo Stato, le regioni, gli enti pubblici, si procurano le entrate necessarie
a sostenere la spesa per l’erogazione dei servizi alla collettività (sanità, trasporti, scuola, pensioni
ecc.) e per consentire il funzionamento delle strutture pubbliche (acquisto o locazione delle sedi
degli uffici, stipendi al personale ecc.).
L’attività finanziaria pubblica è progressivamente cresciuta di dimensioni, in relazione all’aumento
dei servizi richiesti dai cittadini e all’esigenza di migliorare la qualità, ciò ha comportato un
aumento dell’imposizione fiscale.
Le entrate dello Stato possono essere costituite da tributi (maggiore fonte d’entrata), dai ricavi
derivanti dall’amministrazione del proprio patrimonio (gestione musei, concessione di beni pubblici
a privati, vendita beni pubblici).
L’ammontare delle entrate che si prevede di riscuotere e delle spese che si prevede di effettuare è
scritto nel bilancio di previsione, documento redatto ogni anno dall’organo di governo e presentato
alle assemblee rappresentative.
Mentre le entrate derivano principalmente da una fonte unica, le spese sostenute possiamo dividerle
in due gruppi, in base che siano volte a soddisfare i bisogni della collettività (costruzioni di opere
con scuole e strade o offerta di servizi sanitari trasporti scolastici ecc., o per il funzionamento delle
strutture amministrative per garantire le funzioni irriducibili dello Stato come la difesa, l’ordine
pubblico, la giustizia, la rappresentanza estera e consentire il funzionamento degli uffici serviti a
questo scopo, inoltre deve servire al funzionamento degli uffici necessari all’erogazione dei servizi
alla collettività.
Attraverso la gestione delle entrate lo Stato esercita la funzione di ridistribuzione del reddito.
Questa attività può essere più o meno estesa a seconda dell’indirizzo politico perseguito dal
governo.
Sia le entrate che le spese si basano su previsioni, le entrate dipendono dalle entità dei redditi
percepiti in un anno dai singoli cittadini e dalle imprese sul quale devono pagare le imposte,
l’ammontare delle spese varia perché dipende anche dal numero di coloro che chiederanno di
usufruire dei servizi.
Se le spese superano le entrate, la differenza forma un disavanzo o deficit coperta da prestiti
(immissione di buoni del tesoro) i prestiti vanno restituiti con gli interessi.
Di regola non tutte le spese sono finanziabili con prestiti, ad es. è possibile quelle in conto capitale
(costruzione di un’opera pubblica, un ponte, una scuola), poiché corrisponde comunque un aumento
di ricchezza, mentre le spese correnti che servono al funzionamento degli uffici pubblici e
determinano un mero consumo di ricchezza devono finanziarsi attraverso le entrate già previste.
Le fonti della disciplina finanziaria
Quindi la finanza pubblica risulta fondamentale per attuare i fini dello Stato e per soddisfare i
bisogni sociali volti ad attuare il benessere collettivo.
I fini dello Stato sono indicati nel breve periodo dal programma di governo, votato da ciascuna
assemblea rappresentativa all’atto in cui un nuovo governo si presenta ad essa per ottenere la
fiducia. L’approvazione del bilancio da parte dell’assemblea serve ad attribuire la copertura
finanziaria alle finalità contenute nel programma. Senza coperture il programma non può essere
attuato.
La normativa comunitaria
Le normative comunitarie che guidano la finanza degli Stati sono numerose e sono contenute
principalmente nel Trattato di Mastricht e di Amsterdm parte integrante della Costituzione europea.
Il Trattato di Mastricht priva gli Stati aderenti al sistema monetario della sovranità sulla moneta, che
è attribuita alla Banca centrale europea. Viene anche stabilito di quanto può essere il disavanzo
annuale (entrate – spese, max il 3% del prodotto interno lordo), mentre il debito complessivo
(somme prese a prestito per finanziare il disavanzo più gli interessi) non può superare il 60% del
prodotto interno lordo. Se disavanzo e debito non sono eccessivi, la finanza dello Stato può
considerarsi sana.
È stato stabilito anche il patto di stabilità e crescita che prevede che gli Stati aderenti raggiungano a
medio termine il bilancio in pareggio o prossimo al pareggio. Altra regola è stata quella della
distinzione delle entrate percepite attraverso imposizione tributaria e quelle di buona gestione
finanziaria. Inoltre vanno ricordati i principi di proporzionalità, sostenibilità, sussidiarietà e
cooperazione.
Le norme costituzionali
La Costituzione italiana dedica alla finanza poche norme. La legge finanziaria, e di bilancio
costituiscono l’annuale manovra di bilancio. La Costituzione ha previsto che l’introduzione dei
tributi deve essere prevista da una legge e per affermare i principi di uguaglianza fiscale tra i
cittadini, concorrono alle spese pubbliche in relazione alla capacità contributiva, con la regola della
progressività dell’imposta. Le decisioni di spesa sono regolate unicamente alla presentazione e
all’approvazione del bilancio dello Stato (regioni ed enti locali), ed è posto il principio della
necessaria copertura delle leggi di spesa.
Vi sono poi i controlli relativi alla gestione di bilancio dello Stato, svolti dalla Corte dei conti a
mezzo di relazioni annuali al Parlamento, ciò per garantire il buon andamento e l’imparzialità
dell’amministrazione e gli obiettivi di efficienza dell’attività amministrativa.
Con la riforma del titolo V della seconda parte della Costituzione è stato vietato alle regioni ed enti
locali di ricorrere all’indebitamento per finanziare spese diverse da quelle dell’investimento.
I regolamenti parlamentari
I regolamenti parlamentari hanno attribuito particolari poteri al governo per consentirgli di operare
con rigore finanziario richiesto in sede europea. Le sessioni di bilancio invece sono periodi dedicati
sia dalla Camera che dal Senato, alla discussione e all’approvazione di tutti gli atti che riguardano la
finanza pubblica. Le sessioni di bilancio introdotte dai regolamenti parlamentari nel 1983 sono due:
- una primaverile-estiva, nella quale le Camere approvano il documento di programmazione
economica e finanziaria;
- una autunnale-invernale dedicata alla discussione e approvazione del bilancio e della legge
finanziaria.
La legislazione ordinaria
Le principali leggi ordinarie che reggono la finanza pubblica sono ancora quelle del 1923-24, più
volte modificate. La legge ha previsto l’approvazione annuale della legge finanziaria, nonché la
redazione del bilancio di previsione in termini di competenza e in termini di cassa e la redazione di
un bilancio pluriennale avente fini solamente conoscitivi.
Fra i principi diversi da quelli costituzionali contenuti in leggi ordinarie, vi sono quelli di
universalità e di integrità, in base ai quali tutte le entrate dello Stato debbono essere rappresentate
in bilancio, e i principi di unità, pubblicità, chiarezza (comprensibilità) nella rappresentazione delle
spese.
Altre norme recenti hanno profondamente modificato la struttura del bilancio dello Stato, articolato
in più di seimila capitoli, oggi quattromila, denominati unità revisionali di base. I fondi allocati
nelle unità revisionali di base, denominati budget, sono divisi nei capitoli, a seconda della
destinazione della spesa, ma le somme in essi iscritte sono, diversamente che in passato,
compensabili tra loro. Quindi i fondi residuali di un capitolo possono essere spostati senza
autorizzazione del Parlamento.
I documenti di indirizzo economico-finanziario
Tra gli atti non legislativi che influiscono sull’attività finanziaria pubblica, va segnalato, il
documento di programmazione economica e finanziaria, presentato annualmente dal Governo al
Parlamento. Il documento è fondato su proiezioni economiche riferite ad un quadriennio, indica i
provvedimenti legislativi necessari a conseguire gli obiettivi previsti. È approvato da ciascuna
Camera dopo un dibattito. Il Parlamento sarà tenuto a rispettare gli indirizzi del documento.
Vi sono gli atti di indirizzo che stabiliscono criteri e parametri per la redazione degli stati di
previsione della spesa (che compongono nel loro insieme il disegno di legge di bilancio) e per
l’applicazione, da parte delle regioni ed enti locali, del patto di stabilità interno.
Fra gli altri documenti che influenzano il dibattito sulla formazione della decisione di bilancio, vi è
la Relazione annuale della Banca d’Italia, che esamina i risultati dei conti pubblici e formula
suggerimenti in materia di politica finanziaria.
I soggetti
I soggetti che agiscono nell’ambito della finanza pubblica abbiamo:
a livello europeo, il Consiglio europeo massimo organo politico dell’Unione, che delinea i traguardi
finanziari da raggiungere. Vi sono poi gli altri organi comunitari preposti alla realizzazione
attraverso l’emanazione di regolamenti e direttive, degli obiettivi europei: in particolare, il
Parlamento europeo e il Consiglio dei ministri finanziari Ecofin. Vi sono quelli che svolgono
l’attività di vigilanza e controllo: Commissione europea e la Corte dei conti europea.
A livello nazionale, il governo che mette a punto e il Parlamento che approva la legge finanziaria,
la legge di bilancio e le altre leggi che comportano spese. Il ministro dell’economia e delle finanze
si occupa sia di percepire le entrate sia di gestire i procedimenti di spesa.
Del ministero fa parte il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato che ha un ruolo
centrale sia nella predisposizione dei documenti di bilancio (Documento di programmazione
economica e finanziaria, disegno di legge finanziaria, disegno di legge di bilancio), sia nel
procedimento di presentazione dei nuovi provvedimenti di spesa (poiché esprime un parere su tutti i
disegni di legge comportanti spese e poiché non esiste legge che non comporti spese, il
Dipartimento della ragioneria pronuncia i propri pareri sull’intera attività legislativa del
Parlamento).
Infine la Corte dei conti esercita, per Costituzione, il controllo preventivo sugli atti del governo e
quello successivo sulla gestione del bilancio, è il controllore di tutti i controlli.
Il bilancio nazionale
I più importanti atti di finanza pubblica sono il bilancio annuale di previsione e la legge finanziaria,
sottoposte ad una serie di regole, alcune previste dalla Costituzione.
La regola dell’approvazione del bilancio
Il disegno di legge di bilancio viene presentato dal governo e la sua discussione avviene in
assemblea. La Costituzione prevede che nel procedimento di approvazione della legge di bilancio, il
potere di emendamento del Parlamento sia limitato. Con la legge di approvazione del bilancio non
si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese, in pratica il Parlamento può modificare la
distribuzione delle voci di spesa (ad es. può stabilire che si attribuiscano più fondi al Ministero
dell’istruzione, sottraendo pari importo ad un altro ministero), ma non può modificare le aliquote
dei tributi e le spese totali individuate dal governo.
Fuori dal periodo in cui il bilancio viene approvato, il Parlamento è libero di approvare leggi che
comportano spese (c.d. leggi di spesa), ma deve indicare sempre la copertura.
Il bilancio di previsione
Il bilancio annuale di previsione è redatto in due versioni, una di competenza e una di cassa. Con il
primo viene indicato l’ammontare delle entrate che si prevede di accertare e l’ammontare delle
somme che si prevede di erogare nell’esercizio finanziario. Quindi scrive i crediti e i debiti senza
tenere conto dell’effettiva esigibilità dei crediti e dell’effettiva possibilità di pagare i debiti.
In termini di cassa si indica l’ammontare delle somme che si prevede di incassare e di quelle che si
prevede di pagare nell’anno cui il bilancio si riferisce, quindi dà in quadro più realistico del
bilancio, ma la prima versione è importante per comprendere quanti crediti e quanti debiti
matureranno, nel corso dell’esercizio finanziario.
Sotto la voce uscite si deve fare una distinzione di base, quella tra spese correnti e spese in conto
capitale, e fra le prime va ricordata la categoria delle spese obbligatorie, caratterizzate dal fatto che
i cittadini hanno dei diritti ad ottenere in ogni momento le prestazioni con esse finanziate, ad es.
l’accesso al servizio sanitario nazionale.
Le spese in conto capitale sono costituite da spese che produccono ricchezza per le generazioni
presenti e future, ma non sono obbligatorie, quindi se lo Stato non dispone di mezzi finanziari
possono essere rimandate.
Il bilancio di previsione è annuale, ad esso è allegato un bilancio pluriennale che indica le
previsioni di entrata e di spesa per un periodo di almeno quattro anni (l’anno in corso e i tre
successivi al bilancio annuale). Con il bilancio pluriennale si ha una visione più ampia anche degli
interventi che si svolgono su più anni come ad esempio la costruzione di un ponte, di una scuola,
vedendo così gli stati di avanzamento.
Il bilancio di previsione essendo annuale va approvato dal Parlamento entro il 31 dicembre di ogni
anno. Se non approvato entro quella data si fa ricorso all’esercizio provvisorio del bilancio, per cui
il governo viene autorizzato dal Parlamento ad eseguire per max 4 mesi, spese in misura di tanti
dodicesimi della spesa prevista nel bilancio non ancora approvato, quanti sono i mesi dell’esercizio
provvisorio.
La significatività del bilancio
In origine, l’obbligatorietà dell’approvazione annuale del bilancio era necessario, prima al sovrano
poi al governo, di ottenere l’assenso parlamentare alla riscossione delle entrate e all’erogazione
delle spese. La legge di bilancio era l’atto più importante del Parlamento e sottolineava la sua
indipendenza dal governo e la sua funzione di controllo delle entrate e delle spese.
Successivamente la riscossione delle entrate sono state rese indipendente dalla legge di bilancio,
infatti pur dovendole indicare nel bilancio, la legge ha già stabilito l’ammontare dei tributi. Le spese
invece non possono essere effettuate se non dopo l’approvazione del bilancio, poiché vi sono più
destinazioni possibili, quindi la decisione spetta ad un’assemblea rappresentativa.
Inoltre molte spese iscritte in bilancio sono destinate a finalità non immediatamente evidenti, come
trasferimenti dallo Stato a regioni ed enti locali.
Una parte della spesa pubblica è iscritta in più bilanci, come la spesa sanitaria, che figura nel
bilancio dello Stato, sotto forma di trasferimenti alle regioni, nei bilanci delle regioni, dove questa
spesa rappresenta circa i due terzi della spesa complessiva ed è finanziata anche con risorse proprie
(addizionale irpef, ticket sanitari).
Infine esistono somme non registrate in bilancio, le c.d. gestione fuori bilancio.
Comunque i governi e i parlamenti hanno una limitata possibilità di scelta discrezionale poiché le
nuove spese sono condizionate sia dall’entità della spesa fissa, per il mantenimenti dei precedenti
livelli dei servizi, sia dalle somme necessarie al funzionamento dello Stato.
Comunque il bilancio è un atto centrale della finanza pubblica.
L’assestamento di bilancio
Entro il 30 giugno il Governo può presentare al Parlamento il disegno di legge per l’assestamento di
bilancio relativo all’anno in corso. Praticamente è una rappresentazione dei residui attivi e passivi,
in quanto non era ancora possibile determinare l’esatto ammontare entro il 31 dicembre.
La legge finanziaria, i provvedimenti collegati e le altre leggi di spesa
La legge finanziaria e i provvedimenti collegati
Alla legge finanziaria, per i suoi legami con il bilancio, sono stati estesi i vincoli procedurali che
disciplinano la presentazione e la discussione del disegno di legge di bilancio, previsti dalla
Costituzione. Viceversa alla legge finanziaria non sono stati estesi i vincoli costituzionali che
riguardano il limitato potere di emendamento esercitatile dal Parlamento al momento della
discussione e dell’approvazione del disegno di legge di bilancio. Anzi la legge finanziaria ha
proprio lo scopo di permettere al governo, a fine anno, nel momento in cui presenta per
l’approvazione il disegno di legge di bilancio, di correggere le disposizioni legislative che hanno
effetto sulle entrate e sulle spese. La legge finanziaria nasce, quindi, dall’esigenza di modificare gli
interventi a carattere finanziario, approvati dal Parlamento negli anni precedenti alla presentazione
del bilancio, non corrispondenti all’indirizzo politico-finanziario del governo.
Le leggi di spesa in corso d’anno
Chiusa la sessione di bilancio e approvate la legge finanziaria e la legge di bilancio, il Parlamento
può operare con legge tutte le scelte di politica finanziaria che ritenga opportune. E il potere della
Camera di emendare i disegni o le proposte di legge e di introdurre nuove entrate e nuove spese non
subisce alcuna limitazione. Le Camere però devono rispettare l’obbligo costituzionale di copertura,
ogni legge deve indicare i mezzi per farvi fronte. La Costituzione si preoccupa solo di arginare
l’approvazione di leggi che comportano spese, che devono avere una specifica copertura.
Tra le spese non dipendenti da leggi, vi sono quelle che derivano da eventi imprevedibili. Quelle che
non hanno una copertura finanziaria, poiché imprevedibile, nei bilanci pubblici sono istituiti i fondi
di riserva. Tuttavia questi fondi non sempre sono sufficienti, quindi nel caso di mancata copertura
finanziaria di spese obbligatorie, il Ministro dell’economia e delle finanze, presenta al Parlamento
un disegno di legge per approvare il relativo finanziamento.
La gestione del bilancio e il rendiconto
L’approvazione dei bilanci da parte delle assemblee rappresentative rende possibile la loro gestione,
vale a dire l’attività di entrata (mediante l’accertamento e la riscossione dei tributi) e l’attività di
spesa, per fornire beni, servizi e risorse finanziarie alla collettività e per consentire il funzionamento
degli uffici pubblici.
La gestione delle spese
Le somme da erogare sono affidate a specifiche strutture amministrative (nello Stato, alle agenzie
fiscali), esse gestiscono la spesa dopo le obbligazioni assunte dalle amministrazioni statali,
regionali. Le obbligazioni possono derivare da una legge (ad es. incentivi alle imprese), da una
sentenza (ad es. la Corte costituzionale prevede un certo aumento di stipendio ad una categoria, da
estendere ad altre).
Le attività di spesa che ciascuna amministrazione intende effettuare sono indicate in uno stato di
previsione della spesa redatto dalle singole amministrazioni (da ciascun ministero, da ciascun
assessorato regionale o ente locale). La somma degli stati di previsione della spesa, unitamente al
quadro delle entrate, forma lo schema o progetto di bilancio, che viene poi presentato, discusso e
approvato dalle assemblee rappresentative.
Vi sono spese obbligatorie e spese facoltative, le prime comportano un’erogazione delle somme “a
domanda” del creditore, in quanto ha un diritto soggettivo al godimento di un bene o alla fruizione
di un servizio. Le seconde possono anche essere rinviate o non essere compiute affatto.
Poiché le amministrazioni sono interessate a spendere le intere somme assegnate per il
raggiungimento degli obiettivi, ma vista la necessità di diminuire il deficit si cerca di ridurre le
spese, quindi si instaura una vera e propria trattativa con i ministri o gli assessori per concordare
tagli a spese o slittamenti.
La gestione del bilancio ha due caratteristiche, una di separare chi decide la spesa da chi eroga le
somme. Alla spesa viene data una destinazione, sotto il profilo contabile significa emettere un “atto
di impegno”. Una volta impegnata la somma , l’erogazione della somma non è più di pertinenza
dell’amministrazione che ne ha deciso la destinazione ma degli uffici di tesoreria (Banca d’Italia o
altri istituti di credito). Ciò per evitare che chi decide la spesa ha anche il maneggio del pubblico
denaro.
La seconda caratteristica è che dopo la decisione di destinare una somma e l’effettiva erogazione
segue un procedimento che alterna fasi amministrative di gestione, spettanti all’amministrazione
che decide la spesa, e ad atti di controllo, affidati ad uffici di controllo amministrativo contabile
delle stesse amministrazioni (per lo Stato agli uffici del Dipartimento della Ragioneria dello Stato) e
per alcuni atti interviene anche un organo di controllo esterno (la Corte dei conti). Il controllo è
volto a verificare la legittimità dell’erogazione finanziaria e ad esercitare se l’attività di spesa ha
raggiunto i risultati che l’ordinamento si prefigge.
Il procedimento di spesa
Il procedimento di spesa si articola in quattro fasi: l’impegno, con il quale l’amministrazione destina
una somma per una determinata finalità, la liquidazione che serve ad individuare esattamente la
figura del creditore, l’ordinazione che consiste in un ordine dell’amministrazione che ha deciso la
spesa agli uffici di tesoreria perché paghino la somma determinata dall’amministrazione. Il
pagamento che è l’operazione materiale mediante la quale la somma viene trasferita al creditore.
Esistono anche procedure più veloci, chiamate speciali, come ad es. l’ordine di accreditamento (o
apertura di credito), mediante il quale i dirigenti di amministrazione dispongono l’assegnazione di
somme a favore di funzionari per sostenere spese, poi il funzionario presenterà un rendiconto.
Vi sono delle contabilità speciali che consistono in gestione di fondi trasferiti dal bilancio dello
Stato a talune amministrazioni come Ministero dell’interno e della difesa, che hanno necessità di un
rapido maneggio di denaro per affrontare situazioni urgenti.
Infine vi sono le gestioni fuori bilancio, in linea di principio vietata dalla normativa in quanto le
entrate non possono, senza passare per il bilancio, essere assegnate alla copertura delle spese.
Queste sono somme che non sono contemplate in bilancio in quanto non quantificabili in anticipo.
Il rendiconto (o conto consuntivo)
Esaurito la conclusione dell’esercizio finanziario, il periodo dedicato alla gestione del bilancio (cioè
all’acquisizione delle entrate e all’erogazione delle spese), le assemblee rappresentative approvano
il rendiconto, che è l’atto riassuntivo della gestione. Il rendiconto è redatto dal governo e
materialmente dal Ministero dell’economia e delle finanze e da Costituzione viene approvato dal
Parlamento. Esso viene inviato alla Corte dei conti, che lo esamina e procede alla parificazione dei
conti, esaminando le diversità fra le previsioni di bilancio e il risultato della gestione, dichiarando la
conformità o la difformità o parziale rispetto alle previsioni.
Successivamente il disegno di legge avente per oggetto il rendiconto viene presentato dal governo
alla Camere per l’approvazione.
La finanza regionale e locale
Anche la finanza regionale e la finanza locale dipendono dalla normativa comunitaria, infatti
l’attuazione del patto di stabilità e crescita, richiede che la finanza regionale e locale siano incluse
nel processo di riduzione del disavanzo.
Regioni ed enti locali sono enti autonomi, quindi lo Stato si trova stretta tra le esigenze dell’Unione
europea volte ad evitare i disavanzi eccessivi fino ad ottenere un pareggio di bilancio e le esigenze
che derivano dall’autonomia finanziaria degli enti.
Il patto di stabilità interno
L’Unione europea ha richiesto ad ogni Stato che, al fine dell’attuazione del patto di stabilità e
crescita, elabori un patto di stabilità interno, nel quale siano indicati, ogni anno gli interventi anche
nell’ambito della finanza locale, che saranno adottati per il raggiungere gli obiettivi, stabiliti in sede
europea. Poiché gli enti locali godono di autonomia, tali interventi vengono concordati con lo Stato
nell’ambito della conferenza unificata Stato-regioni-città. I risultati vengono comunicati alla
Commissione europea e inseriti nella legge finanziaria annuale, che acquista un ruolo di legge di
coordinamento tra finanza statale e finanza regionale.
Il patto di stabilità prevede che vi sia una diminuzione annuale delle spese degli enti con una
graduale riduzione dei trasferimenti da parte dello Stato.
L’autonomia finanziaria regionale e locale nella riforma costituzionale del 2001.
L’autonomia finanziaria delle regioni e degli enti locali si fonda su sei principi: a) riconoscimento
dell’autonomia finanziaria di entrata e di spesa; b) l’attribuzione del potere di stabilire ed applicare
tributi propri; c) istituzione di un fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per
abitante; d) l’autosufficienza delle risorse percepite, che devono servire a finanziare integralmente
le funzioni pubbliche; e) l’assegnazione di risorse aggiuntive e l’effettuazione di interventi speciali,
da parte dello Stato, in favore di determinati enti territoriali e per determinati scopi; f) la possibilità
di ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento.
Quindi, in riferimento all’autonomia finanziaria di entrata, si potrebbe ipotizzare l’ipotesi, fino ad
oggi esclusa, che le regioni possono finanziarsi anche con tributi diversi da quelli stabiliti con legge
dello Stato, ma per gli enti locali questa possibilità è esclusa perché non godono di potestà
legislativa, quindi non sono in grado di istituire direttamente tributi propri.
La Corte costituzionale ha escluso la possibilità di individuare tributi propri anche alla Regione,
l’autonomia stà solo nello stabilire le aliquote relative ad imposte stabilite dallo Stato, che potranno
variare entro un plafond stabilito dallo Stato.
I BENI
Beni ed interessi pubblici
I beni pubblici rappresentano più di una connessione con la finanza, il denaro stesso acquisito dalla
pubblica amministrazione è un bene pubblico. Fra i mezzi dell’amministrazione vi sono beni mobili
(arredi, strumenti informatici) e immobili (edifici, terreni). Vi sono beni che sono strumentali
all’azione amministrativa, mentre altri realizzano immediatamente gli interessi della collettività. Le
strade, autostrade e le ferrovie soddisfano le istanze della circolazione e dei trasporti. La tutela del
mare, delle foreste e dei laghi è volta alla preservazione dell’ambiente. Questo interesse giustifica le
limitazioni di alcuni diritti spettanti ai privati, soprattutto quella di costruire.
Alla disciplina dei beni pubblici rientra tra i beni collettivi l’aria, il mare l’etere, ad es. quest’ultimo
utilizzato per le trasmissioni televisive. L’etere è anche un bene limitato, quindi lo Stato concede in
uso le poche frequenze disponibili.
I principi costituzionali nazionali ed europei
La Costituzione italiana enuncia i principi in base ai quali la proprietà è pubblica o privata e i beni
economici appartengono allo Stato, a enti o privati e determinati beni possono essere espropriati.
Quattro sono le principali caratteristiche del regime dei beni pubblici.
La prima è la legittimazione generale dei pubblici poteri e degli enti pubblici ad acquisire diritti di
proprietà sui beni.
La seconda caratteristica è che i pubblici poteri stabiliscono una limitazione all’appropriazione dei
beni da parte dei singoli, mediante l’apposizione di una riserva, quest’ultima impedisce che i
soggetti privati possano acquisire diritti in ordine a determinati beni, per es. le acque sono sempre
pubbliche, come lo era in passato la proprietà delle imprese produttrici di energia elettrica.
La terza caratteristica è l’esistenza di un regime giuridico pubblicistico dei beni, distinto da quello
della proprietà privata. Il diritto di proprietà di alcuni beni è retto da apposite norme, ad es. i beni
demaniali sono inalienabili e imprescrivibili, quindi con il divieto dell’usucapione.
La quarta caratteristica riguarda l’uso dei beni pubblici. I principi di imparzialità e buon andamento
comportano una serie di obblighi a carico dell’amministrazione. Prima di concedere in uso risorse
scarse per cui vi è una pluralità di interessi, è tenuta a stabilire preventivamente i criteri per
l’assegnazione ad es. per l’etere o la spiaggia. Le domande devono essere poste ad un esame
comparativo, inoltre può accordare una priorità al concessionario attuale rispetto ai concorrenti solo
a parità di condizioni.
Un’ulteriore garanzia della proprietà privata è stabilita dalla Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea, infatti i pubblici poteri non possono sottrarre i beni produttivi ai privati.
Il Trattato di Roma protegge la libertà di circolazione delle merci e dei capitali. Sotto il primo
profilo, gli Stati però possono proibire la circolazione delle opere d’arte, poiché le norme europee lo
consentono.
L’influenza del diritto europeo si manifesta, infine, in rapporto all’uso dei beni pubblici, stabilendo
che tutti gli imprenditori di un certo settore economico abbiano il diritto di accedere a pari
condizioni al demanio pubblico per es. per istallarvi le proprie reti di telecomunicazione. I vincoli
europei produce effetti anche nei confronti dei privati che detengono infrastrutture di rilievo
essenziale, grazie all’antitrust, ad es. le norme relative alle reti ferroviarie dispongono che il gestore
debba consentire a chiunque di accedervi a condizioni non discriminatorie.
Il diritto europeo prescinde dalla titolarità del bene, ma detta norme a chiunque sia in relazione con
esso, ciò che viene disciplinato è l’uso del bene.
Tipologia di beni pubblici
I beni pubblici sono numerosi e differenziati, ma possiamo vedere le principali categorie,
suddividendole in base all’utilizzazione sostanziale. Ordinando i beni in base alle diverse forme di
fruizione, abbiamo beni a uso collettivo, beni destinati all’uso di una o più pubbliche
amministrazioni, beni di proprietà privata delle amministrazioni.
I beni a fruizione collettiva
Non ha importanza a quale amministrazione appartenga il bene, ma la destinazione del bene:
- alla fruizione collettiva, ad es. la strada, la spiaggia, giardini pubblici ecc.. essi sono destinati
all’uso da parte di tutti i soggetti quelli che intendono passare. Vi è una scissione tra il proprietario
del bene e chi lo usa. Non possono nemmeno essere assoggettati a espropriazione forzata da parte di
creditori dell’amministrazione. Qualsiasi turbativa è da considerarsi illecita e fa sorgere il dovere di
corrispondere un’indennizzo. Altri beni ammettono usi parziali riservati ai soggetti che ottengono
dall’amministrazione una concessione, ad es. gli stabilimenti balneari: in cambio del pagamento del
canone, il titolare della concessione ottiene per un certo periodo il godimento esclusivo, ma può
consentirlo ad altri a titolo oneroso.

Infine l’uso di beni pubblici può essere a titolo oneroso o gratuito.


Poi un caso particolare è quello dei beni confiscati alle organizzazioni criminali: essi sono destinati
al patrimonio dello Stato, ma la destinazione preferibile è l’affidamento ad associazioni e comunità
che perseguono fini d’interesse sociale.
I beni destinati all’uso da parte delle pubbliche amministrazioni
Rientrano anche tra i beni pubblici anche quelli destinati alla fruizione da parte di una o più
pubbliche amministrazioni per interessi pubblici. L’uso è da intendersi come esclusivo, in senso
assoluto (caserme, armamenti, navi da guerra), in senso relativo, edifici destinati a sedi di uffici
pubblici, arredi ed altri beni destinati a un pubblico servizio.
A seconda che l’uso sia diretto o indiretto. L’uso diretto è permesso soltanto a chi sia legittimato in
base ad un rapporto d’ufficio o di servizio, come accade per l’accesso alle sedi degli uffici pubblici,
l’uso indiretto è consentito agli utenti dei servizi.
Particolare importanza hanno le reti, gli impianti e altre dotazioni destinate all’esercizio dei servizi,
ad es. gli acquedotti in quanto i diritti sono incedibili, ma la cui fruizione è consentita a più di un
operatore, al fine di promuovere la libera concorrenza e l’uso più efficiente delle risorse disponibili.
I beni di proprietà privata delle pubbliche amministrazioni
Altri beni servono a conseguire utilità economiche, come ad es. gli immobili urbani non destinati a
sedi di uffici pubblici, possono essere ceduti a privati anche per scopi diversi da quello originario. I
beni di questo tipo sono definiti beni di proprietà imprenditoriale, anche se non necessariamente
conferiti in un’impresa. Ad es. un ente pubblico dà in locazione un’immobile ad un ufficio di un
altro ente pubblico o ad un’impresa privata che gestisce un servizio di pubblica utilità, oppure come
abitazione.
Altre distinzioni relative ai beni pubblici
La distinzione più rilevante è quella tra i beni demaniali e patrimoniali, questi ultimi distinti a
seconda che siano disponibili o indisponibili. Il codice civile non fornisce una definizione dei beni
demaniali, si limita ad attribuire la proprietà allo Stato e agli enti territoriali. I beni demaniali sono
inalienabili e imprescrittibili, quindi i privati non possono avere diritto di proprietà, ma solo di uso
mediante concessione. Il codice civile elenca in modo tassativo le categorie di beni demaniali, ad es.
il demanio militare e quello marittimo c.d. demanio necessario, beni che possono appartenere sia a
privati, sia alle pubbliche amministrazioni ma se appartengono allo Stato diventano beni demaniali
c.d. demanio accidentale ad es. strade, biblioteche, beni d’interesse culturale.
I beni patrimoniali appartengono anch’essi allo Stato e sono individuati in categorie (foreste,
miniere, beni d’interesse archeologico, caserme, ecc.). se gravati da uno specifico vincolo di
destinazione, i beni patrimoniali sono detti indisponibili, gli altri si dicono disponibili.
Altra distinzione importante che riguarda i beni demaniali è che sono suddivisi in beni naturali (lido
del mare) e artificiali (strade e raccolte dei musei). Nel primo caso l’esistenza del bene dipende da
fatti naturali ad es. il mare che si ritira, facendo affiorare un’isola o un’ulteriore tratto di spiaggia,
nel secondo caso è frutto di opera umana. Questa distinzione è importante poiché nell’esempio della
spiaggia che si aggiunge a quella esistente, viene dichiarata pubblica, senza bisogno che venga
espressa manifestazione di volontà da parte di pubblico potere. Questa volontà invece è
indispensabile per i beni artificiali.
Inizio, modificazione ed estinzione della natura del bene
Vediamo come sorge, si modifichi e cessi la natura pubblica dei beni. L’inizio e la cessazione della
natura pubblica di un bene dipendono da fatti o atti giuridici. I primi sono fatti ai quali il diritto
attribuisce rilievo mediante norme generali, residuali e speciali. Fra gli atti giuridici che fanno
sorgere diritti sui beni, vi sono le leggi, i provvedimenti amministrativi e quelli giurisdizionali, gli
atti negoziali. Il riconoscimento per forza di legge della natura pubblica del bene opera per
determinati beni culturali, denominati monumenti nazionali e perciò sottratti all’alienazione, come
ed es. il Colosseo a Roma. Effetto simile si ha sulle acque e le strade pubbliche, dando luogo a
frequenti dispute. L’amministrazione pubblica può ricorrere all’espropriazione, alla confisca, e la
requisizione di beni di privati.
Poi vi sono i contratti (compravendita, cessione a titolo gratuito) sia del diritto di proprietà sia di
quelli di uso. Hanno anche una certa importanza le convenzioni di lottizzazione che consentono
all’amministrazione di acquisire dai privati le aree necessarie per l’installazione delle opere di
urbanizzazione primaria, ai privati di ottenere le concessioni edilizie, una volta effettuato il
pagamento degli oneri per le opere di urbanizzazione.
L’estinzione dei diritti interviene ad es. con il venir meno dell’oggetto, (un edificio divenga
inservibile ai fini militari, o del vincolo di destinazione, come accade se una scuola viene trasferita
in un’altra sede
Ammessa la capacità contrattuale delle pubbliche amministrazioni, non si può escludere la permuta
di un bene. Un comune può servirsene a condizione che serva a realizzare meglio gli interessi
attribuiti alla sua cura.
Invece la possibilità di concedere ad un privato il diritto di prelazione su un determinato bene
immobile va in contrasto con il principio di imparzialità e trasparenza.
Conservazione, gestione, valorizzazione dei beni pubblici
Nei confronti dei beni dei quali sono proprietarie, le amministrazioni sono tenute a svolgere una
serie di funzioni.
- Di conoscenza che consiste nell’acquisizione ed organizzazione delle informazioni relative ai vari
beni, alla situazione in cui versano, al loro valore economico, mediante archivi e banche dati, ruolo
svolto dall’Agenzia del demanio.
- Di conservazione dei beni, l’amministrazione ha obblighi di mantenimento più intensi di quelli
che gravano sui privati. Inoltre gli amministratori pubblici hanno il dovere di evitare danni a terzi e
l’amministrazione è responsabile nel caso di omessa custodia, in altri casi tale responsabilità è
esclusa ad es. nel caso di un incendio di un cassonetto di rifiuti, in quanto è impossibile una
continua vigilanza.
- Di gestione dei beni: essa può essere diretta e indiretta. La prima include una serie di attività, dalla
manutenzione alla individuazione di forme di fruizione più efficienti o meno onerosi, dalla
ristrutturazione alla verifica della persistente necessità od opportunità del possesso. Nel caso in cui
questa verifica abbia esito negativo, la gestione può essere affidata a privati tramite la concessione.
L’amministrazione può stipulare contratti come per es. il global service, utilizzato per la gestione
del patrimonio immobiliare.
La finalità è quella di valorizzare i beni demaniali e patrimoniali, accrescendo il rendimento allo
scopo di ampliare le risorse destinate al settore pubblico.
Le dismissioni
Un’altra funzione dei pubblici poteri consiste nell’alienare i diritti relativi ai beni pubblici. In
passato attività eccezionale, in quanto il sovrano non disponeva dei beni ma li amministrava
soltanto. In realtà la dismissione è tutt’altro che eccezionale, ed hanno fornito ingenti risorse al
settore pubblico. L’oggetto delle dismissioni possono essere sia i beni demaniali che patrimoniali, i
decreti del Ministero dell’economia e delle finanze che dispongono il trasferimento dei beni alle
società incaricate dell’alienazione comportano il passaggio dei beni al patrimonio disponibile.
L’aste è la regola principale per l’alienazione di beni pubblici, però vi è una deroga per il
trasferimento degli immobili a talune società come la Patrimonio dello Stato s.p.a.
Inoltre ha acquisito rilievo la c.d. cartolarizzazione dei crediti, cioè la cessione dei diritti di credito,
come quelli della Cassa deposito e prestiti. Allo stesso modo sono in atto operazioni di
cartolarizzazione dei crediti derivanti dalla vendita dei beni immobili appartenenti ai pubblici poteri
e agli enti pubblici. Mediante le cartolarizzazioni il valore economico dei beni immobili viene
corrisposto alle rispettive amministrazioni dalle società acquirenti, le quali poi collocano i beni sul
mercato. In questo modo le amministrazioni possono ottenere subito le somme di denaro che
altrimenti acquisirebbero solo al termine della procedura di alienazione tutt’altro che breve.
Altre varianti riguardano i procedimenti relativi ad alcune specie di beni, ad es. quelli di interesse
storico e culturale, per i quali è prevista un apposito procedimento dichiarativo, spetta alla
soprintendenza ai beni e alle attività culturali dichiarare l’interesse storico, culturale ed
archeologico di un bene, indipendentemente a chi appartiene. Ove tale interesse sia attestato, non
costituisce comunque un impedimento assoluto all’alienazione. Qualora l’interesse culturale sia
escluso ne deriva la sdemanializzazione, con possibilità di alienazione.
In ogni caso le risorse acquisite non possono essere destinate a spese correnti, ma alla riduzione del
debito, per il raggiungimento degli obiettivi del patto di stabilità e crescita.
IL PROCEDIMENTO
Attività amministrativa e procedimenti
Finora le pubbliche amministrazioni sono state considerate in termini statici: sono state esaminate le
loro funzioni e gli strumenti (organizzazione, finanza e beni) con le quali queste vengono svolte.
Occorre ora considerarle in termini dinamici, esaminando il modo in cui esse svolgono la loro
attività.
Le forme dell’attività amministrativa
Le funzioni amministrative si svolgono in diversi modi, nella definizione di norme giuridiche, nel
rilascio di autorizzazioni, nella conclusione di contratti, nell’erogazione di pensioni, nella
prestazione di cure mediche ecc.. occorre ora esaminare le diverse forme giuridiche con cui viene
svolta l’attività amministrativa.
Dal punto di vista strutturale, l’attività delle pubbliche amministrazioni non si distingue da quella di
ogni altro soggetto di diritto. Esse pongono in essere sia dichiarazioni di volontà (provvedimenti
amministrativi e i contratti), di scienza (con verbali e certificati) e di giudizio (come pareri e
valutazioni tecniche), e operazioni materiali (demolizione di un fabbricato abusivo, arresto di un
ladro, prestazioni sanitarie). Le operazioni materiali non ci interessano in quanto sono regolate da
discipline non giuridiche e non dal diritto amministrativo.
Maggiore attenzione meritano la dichiarazioni di volontà e la distinzione principale è quella tra atti
unilaterali e accordi. Il processo decisionale delle pubbliche amministrazioni è sempre (o quasi),
regolato dal diritto pubblico.
Tra gli accordi, abbiamo i contratti, ci sono vari procedimenti per concludere un contratto tra cui il
procedimento di concertazione.
Tra gli atti unilaterali, la figura principale è quella dei provvedimenti amministrativi: sono gli atti
emanati a conclusione di un procedimento amministrativo, con il quale l’amministrazione esercita i
poteri a loro conferiti dalla norme per la cura di interessi pubblici. Questi si distinguono dagli altri
atti che si collocano all’interno di questi procedimenti in funzione servente: atti strumentali
(proposte, pareri, richieste di informazione).
La procedimentalizzazione dell’attività amministrativa
La procedimentalizzazione dell’attività amministrativa consiste in un’attività ordinata in sequenze.
Le decisioni delle pubbliche amministrazioni non sono prese in modo istantaneo, ma si formano
attraverso procedimenti, necessario per accordare autorizzazioni edilizie, irrogare una sanzione
pecuniaria, o per concludere un contratto di appalto. La decisione è poi racchiusa in un atto finale
(l’autorizzazione, la sanzione, la decisione), ma il contenuto di quest’atto è in gran parte
determinato dagli atti che hanno avuto luogo nel corso del procedimento.
Ciò è dovuto al fatto che la pubblica amministrazione ha un’organizzazione complessa e svolge la
propria attività attraverso diversi uffici che hanno ruoli e competenze diverse e lo svolgimento di
funzioni amministrative è attribuito dalle norme, attribuendo non solo compiti e poteri, ma
stabilendo le modalità di svolgimento e di esercizio.
Esse disciplinano il processo di formazione delle decisioni: individuando gli organi competenti, i
presupposti per l’adozione dei provvedimenti e prevedono la consultazione di determinati uffici,
attribuendo poteri e funzioni di partecipazione a soggetti pubblici e privati.
L’articolazione dell’attività amministrativa in procedimenti ha diversi scopi, serve a dare ordine
all’attività amministrativa e serve a definire il ruolo dei singoli uffici, distribuendo il potere di
decisione. Serve anche a consentire ai soggetti privati di far valere il proprio punto di vista, per
tutelare il proprio interesse, che in alcuni casi potrebbe essere leso (espropriazione) o soddisfatto
(autorizzazione). Serve anche a consentire ai soggetti pubblici e privati di partecipare all’attività
amministrativa in chiave collaborativi, a tutela degli interessi generali.
Procedimenti amministrativi e altri procedimenti giuridici
Le funzioni amministrative si svolgono mediante procedimenti ai quali partecipano diversi uffici e
anche soggetti privati. a differenza dei privati, che di regola esercitano in modo istantaneo i loro
poteri.
Il procedimento si conclude con l’emanazione di un atto, sul quale sono anche eventualmente
previsti dall’ordinamento dei controlli, anche giurisdizionali: il vizio di un atto formale può
invalidare la sentenza o il vizio di un atto strumentale può invalidare un provvedimento.
Tuttavia il procedimento amministrativo si differenzia nettamente da quello legislativo e dal
processo giurisdizionale, i procedimenti amministrativi hanno strutture estremamente diverse l’una
dall’altra, descritti da migliaia di leggi e regolamenti. Quindi il procedimento legislativo
(indipendentemente dal contenuto della legge) e il processo (indipendentemente dal reato
commesso) si svolgono sempre nello stesso modo, salvo poche varianti.
Esistono comunque delle norme generali che si applicano a tutti i procedimenti amministrativi,
nell’ordinamento italiano sono contenute essenzialmente nella legge n. 241/1990, che pone
solo alcune regole comuni.
Il potere amministrativo
Il procedimento amministrativo è innanzitutto un modo di esercizio del potere amministrativo, che
si caratterizza per il tipo di potere che attraverso esso è esercitato.
Con il procedimento legislativo si esercita un potere libero, dato che il legislatore è, entro certi
limiti posti dai principi costituzionali e dal diritto europeo, libero di individuare i fini da perseguire,
al contrario il potere esercitato dal giudice nel processo è vincolato dalla legge, il procedimento
amministrativo è una via di mezzo, perché le pubbliche amministrazioni devono rispettare le leggi,
ma devono anche colmare i vuoti lasciati dalle norme e definire in concreto l’assetto di interessi.
Il potere amministrativo implica un ruolo di mediazione, affidato al suo titolare, tra la norma e
l’effetto giuridico. La norma non produce immediatamente l’effetto, ma ne affida la produzione al
titolare del potere, in questo caso alla pubblica amministrazione, per es. spetta alla pubblica
amministrazione stabilire il limite di velocità in determinate strade (mentre quello delle autostrade è
fissato per legge).
Norme giuridiche e poteri amministrativi
A monte di un potere amministrativo, vi è sempre una norma, che lo attribuisce
all’amministrazione; a valle vi sono gli effetti che la norma mira a d ottenere attraverso l’esercizio
del potere. Ciò significa che i poteri amministrativi devono avere sempre un fondamento normativo,
quindi le amministrazioni possono emanare provvedimenti solo nei casi previsti dalle norme.
È il principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi che si fonda sul principio di legalità.
Caratteri del potere amministrativo
L’esercizio di alcuni poteri determina l’immediata produzione dell’effetto giuridico, altri poteri si
esercitano agendo in giudizio. I poteri amministrativi rientrano nel primo caso: le pubbliche
amministrazioni, per produrre l’effetto previsto dalle norme, non hanno bisogno di rivolgersi a un
giudice. Il privato inizia con un ricorso, che impugna il provvedimento per ottenere l’annullamento
rivolgendosi ad un giudice per ottenere la rimozione degli effetti del provvedimento. Il
procedimento deve essere esercitato entro un certo termine, che è il termine entro il quale il
procedimento deve concludersi; è disciplinato da numerose regole; è soggetto a controlli affidati ad
organi amministrativi e giurisdizionali. Regole e controlli sono volti ad assicurare il corretto
perseguimento dell’interesse pubblico.
Potere amministrativo e interessi protetti
Nell’attribuire i poteri amministrativi vengono individuati con precisione i presupposti e il
contenuto dei relativi provvedimenti. Disciplinano il procedimento con norme generali, sia relative
a singoli tipi di procedimento, impongono regole relative alla formazione della decisione, come
quella della coerenza tra motivazione e dispositivo e quella della non disparità di trattamento;
prevedono controlli amministrativi e giurisdizionali.
Abbiamo da un lato la natura funzionale dell’attività amministrativa, dall’altro della garanzia dei
diritti dei cittadini, prevenire il rischio di abusi significa assicurare che l’interesse pubblico sia
correttamente perseguito e che gli interessi rilevanti siano adeguatamente valutali. Ciò spiega
perché regole e controlli possono essere invocati dai titolari di questi interessi, partecipando al
procedimento amministrativo e impugnando il provvedimento dinanzi al giudice.
Ne consegue che nei confronti del potere amministrativo, i titolari degli interessi coinvolti si
trovano in una situazione più favorevole che nei confronti di un potere privato: chi voglia ottenere
un’autorizzazione amministrativa è più tutelato rispetto di chi voglia ottenere un’autorizzazione dal
proprio vicino di casa, perché può partecipare al procedimento di formazione della decisione e
invocare il rispetto delle regole, mentre la decisione del vicino è insindacabile.
La pubblica amministrazione non si trova affatto in una posizione di supremazia nei confronti dei
cittadini, è che la pubblica amministrazione è titolare di numerosi poteri amministrativi di cui i
privati non possono essere titolari. Ma il regime giuridico di questi poteri è volto a limitare le scelte
delle amministrazioni e a tutelare i diritti dei cittadini. Infatti questi ultimi non si trovano in una
situazione di soggezione ma di interesse legittimo (non è soggezione perché consente al suo titolare
di incidere sull’esercizio del potere).
Le valutazioni amministrative; la discrezionalità
Nonostante le norme e la giurisprudenza limitino in vario modo i poteri amministrativi, alle
pubbliche amministrazioni rimangono sempre margini di scelta. L’attività amministrativa ha spesso
possibilità di scelta tra più soluzioni compatibili alla norma. Per es. in presenza di un edificio
pericolante occorre: interpretare le norme, per identificare l’ufficio competente; valutare il rischio di
crollo; individuare una misura (tra demolizione e restauro; decidere se concedere finanziamenti;
adottare misure temporanee (chiusura traffico adiacente). Quindi bisogna fare delle scelte anche per
individuare il miglior modo per assicurare il soddisfacimento dell’interesse pubblico o il
bilanciamento dei diversi interessi, comunque rimane il fatto che la decisione adottata è spesso
opinabile essendo difficile o impossibile distinguere la soluzione giusta da quelle sbagliate.
Vi è il problema della discrezionalità amministrativa, che ha diversi aspetti: se emanare un certo
provvedimento, quando emanarlo, con quale contenuto, come esternarlo e quali elementi accidentali
inserirvi, sono diversi tipi di valutazione amministrativa.
Nel primo elemento, (se emanare un certo provvedimento) la discrezionalità spesso manca perché in
presenza dei presupposti di legge, l’emanazione del provvedimento è obbligata, nel secondo (nel
quando emanarlo) la discrezionalità è limitata per via della previsione di un termine del
procedimento. Negli altri due elementi la discrezionalità ha intensità molto variabile.
La realizzazione di interessi pubblici coincide normalmente con la realizzazione o con il sacrificio
di altri interessi, pubblici e privati: la realizzazione di un ospedale, incide non solo sugli interessi
relativi alla sanità, ma anche su interessi pubblici (aspetto urbanistico, alla viabilità) e privati (per il
privato proprietario dell’area). Se le norme non dispongono diversamente, l’amministrazione nel
compiere la scelta, deve considerare non soltanto l’interesse primario, ma anche gli altri interessi
meritevoli di tutela.
Discrezionalità amministrativa e controllo giurisdizionale
Anche se nel linguaggio comune discrezionalità è sinonimo di libertà, nel diritto amministrativo
non è così, in quanto è stato bilanciato dal principio di legalità e dall’esigenza di tutelare i diritti dei
cittadini.
La soluzione sviluppata in Italia, è il ricorso a regole logiche o di comune esperienza, oggettiva e
verificabile (come quella della parità di trattamento, della logicità, della completezza dell’istruttoria,
dell’esatta rappresentazione dei fatti). La loro violazione è sintomatica del cattivo svolgimento della
funzione, determina l’illegittimità del provvedimento e il suo annullamento. Si tratta di regole non
previste dalle norme, ma elaborate nel tempo dalla stessa giurisprudenza per evitare l’eccesso di
potere.
Attraverso il sindacato per eccesso di potere, il giudice non sostituisce la propria valutazione a
quella dell’amministrazione, ma controlla che si sia formata correttamente.
La nozione di discrezionalità, esprime una situazione tra la libertà e il vincolo: all’amministrazione
spettano scelte, ma esse devono essere esercitate in modo da realizzare l’interesse pubblico.
Gli atti totalmente vincolati in realtà sono pochi.
La discrezionalità tecnica
Diverse dalle scelte relative a interessi, almeno concettualmente, sono quelle relative
all’applicazione di conoscenze specialistiche: per es. se una sostanza è pericolosa, se un farmaco è
sicuro ecc. Sono quelle che definiscono valutazioni tecniche, che si distinguono dagli accertamenti
tecnici proprio per l’opinabilità della scelta, per il margine di incertezza che essa lascia, per la
variabilità del risultato in relazione al metodo adottato. L’espressione tradizionale è discrezionalità
tecnica, che corrisponde a quella amministrativa.
L’obbligo di provvedere; il termine del procedimento
Si è già osservato che l’esercizio del potere amministrativo è doveroso. In presenza dei presupposti
previsti dalle norme (come l’istanza di un privato, la commissione di un illecito, il verificarsi di un
evento pericoloso), il procedimento deve essere avviato e il provvedimento emanato.
A carico dell’amministrazione vi sono: un obbligo di procedere (di avviare il procedimento), un
obbligo di provvedere (cioè di concluderlo).
L’obbligo di procedere risponde a esigenze sia di efficienza dell’amministrazione e di controllo, sia
di garanzia dei privati, i quali aspirino a ottenere una misura favorevole (nei procedimenti a
iniziativa di parte) o a rimuovere lo stato di incertezza all’eventuale adozione di una misura
sfavorevole (a quelli di iniziativa d’ufficio).
La 241/1990 impone che per ogni tipo di procedimento deve essere stabilito un termine massimo di
durata, l’amministrazione stessa fissa il termine e così vincola la propria condotta futura. Nel farlo
si tiene conto sia dei dati oggettivi, dalla complessità e anche dell’organizzazione della singola
amministrazione (uffici, mezzi, attrezzature, personale). Se non menzionato il termine la legge lo
stabilisce in novanta giorni.
Il decorso del termine non fa venir meno il potere, né l’obbligo dell’amministrazione di provvedere.
Esso, qualifica la sua inerzia come inadempiente, aprendo la strada ai rimedi contro il silenzio
dell’amministrazione.
La disciplina del procedimento
La disciplina del procedimento amministrativo consiste in principi e regole in parte generali,
relative a tutti i procedimenti, in parte speciali, relativi ad ampie categorie di procedimenti o a
singoli tipi. Sono contenuti in parte nelle norme ed in parte elaborati dalla giurisprudenza.
I principi giurisprudenziali
Il diritto amministrativo è una materia estremamente ampia in termini normativi: vi sono poche
norme di portata generale, ma numerosissime norme relative a singole funzioni, quindi a singoli
procedimenti. La disciplina del procedimento amministrativo da un lato disciplina le modalità
d’esercizio per garantire il corretto perseguimento degli interessi pubblici e la tutela di quelli
privati, dall’altro la diversità delle funzioni e dei procedimenti amministrativi rende difficile
l’elaborazione di una disciplina generale che regoli in dettaglio lo svolgimento del procedimento.
A causa di tutti questi fattori, la maggior parte dei principi generali relativi al procedimento è di
origine giurisprudenziale, essi sono stati elaborati dai giudici in sede di valutazione della legittimità
dei provvedimenti amministrativi.
Ciò è avvenuto attraverso la tecnica di controllo basata sull’eccesso di potere, la giurisprudenza ha
elaborato una serie di regole, annullando i provvedimenti che non le osservassero. Quindi al
principio di imparzialità corrisponde la disparità di trattamento e al principio dell’esatta
rappresentazione dei fatti corrisponde il travisamento dei fatti. I giudici per valutare la legittimità di
un provvedimento usano il principio di ragionevolezza, proporzionalità, buona fede, libertà di
iniziativa economica.
Le discipline legislative
Tutto ciò è riscontrabile nei vari ordinamenti: quello nazionale, europeo, regionale, di altri Stati.
In molti ordinamenti sia dell’Europa occidentale, sia del mondo anglosassone sono state introdotte
discipline legislative generali del procedimento amministrativo. Solo pochi ordinamenti (quello
austriaco) vi è una disciplina analitica che regola compiutamente lo svolgimento del procedimento.
In altri come l’Unione europea e Regno Unito non vi è una disciplina legislativa generale. Vi è una
eterogeneità nelle discipline legislative del procedimento: alcune leggi lo disciplinano
analiticamente, altre si concentrano su alcune fasi o aspetti. In alcuni ordinamenti vi è un’unica
legge sul procedimento, in altri come la Francia ve ne sono diversi.
Nel complesso la disciplina di ciascun procedimento risulta da regole giurisprudenziali e da
disposizioni normative, per esempio, lo svolgimento di un concorso pubblico è governato da regole
generali (termine del procedimento), giurisdizionali (relative al funzionamento degli organi
collegiali), regole relative a tutti i concorsi (per la composizione della commissione, per la
correzione degli elaborati) e da regole stabilite per il singolo concorso.
Principi del diritto amministrativo e principi del procedimento
Molti di quelli che vengono normalmente definiti “principi del procedimento” sono in realtà
relativi, in generale, all’attività amministrativa, se non all’amministrazione nel suo complesso: ad
es. il principio di imparzialità e buon andamento sono riferiti all’organizzazione e non e non
all’attività amministrativa.
Questi principi hanno per lo più origine giurisprudenziale, ma alcuni sono codificati dalle norme
costituzionali o nelle leggi sul procedimento. Queste ultime sono ad es. principi di imparzialità,
economicità, contraddittorio, trasparenza e certezza del tempo e si trovano in quasi tutte le leggi.
I principi del procedimento nell’ordinamento italiano
Tra i principi più importanti vi è quello di imparzialità e di buon andamento enunciati nella
Costituzione. Per quanto riguarda i procedimenti amministrativi, la giurisprudenza e il legislatore si
sono incaricati di trarre regole specifiche. Dall’imparzialità deriva il dovere di valutare e ponderare
gli interessi rilevanti, dal buon andamento derivano i principi di economicità e di efficacia affermati
dall’art. 1 della l.n. 241/90.
L’economicità riguarda il rapporto tra mezzi e risultati, quindi impone di fare buon uso delle risorse
(materiali, finanziarie ed umane) a disposizione. Un’applicazione del principio di economicità è il
divieto di aggravare il procedimento (per es. chiedendo un parere o un accertamento tecnico non
previsto dalla legge) se non per esigenze straordinarie e motivate.
L’efficacia riguarda il rapporto tra obiettivi e risultati, quindi è rispettata se l’azione
dell’amministrazione è idonea al raggiungimento degli obiettivi prefissati in sede normativa e
politica.
All’economicità e all’efficacia viene spesso accostato il principio dell’efficienza, in termini generici
sinonimo di buon andamento, in termini specifici riguarda il rapporto tra costi e benefici, quindi
implica l’effettiva utilità tra costi e benefici, quindi l’effettiva utilità delle decisioni.
Con il principio della ragionevolezza si indica la plausibilità e giustificabilità della scelta operata
dall’amministrazione, quindi al bilanciamento di interessi operati dall’amministrazione, che deve
tenere conto degli interessi rilevanti e non comportare il loro inutile sacrificio.
Principio di proporzionalità in base al quale la scelta dell’amministrazione deve essere tale da
raggiungere il risultato voluto, ma deve comportare il minore sacrificio possibile per gli interessi
rilevanti. Per es. in presenza di un edificio pericolante (che può causare il ferimento di passanti),
questo principio sarebbe violato sia se si imponesse l’obbligo di camminare velocemente o di
indossare un cappello (difetterebbe l’idoneità del mezzo rispetto al fine), se si vietasse di
camminare in un area più ampia di quella potenzialmente interessata (difetterebbe quello della
misura adottata), se si vietasse di camminare in un area più ristretta (difetterebbe quello
dell’adeguatezza).
Poi vi è il principio di buona fede, che impone all’amministrazione di tenere conto dell’affidamento
generato dai privati dai suoi provvedimenti e comportamenti e quello di consequenzialità che
impone di rispettare i criteri di azione che essa stessa si sia data, per es. attraverso circolari e
direttive (la violazione di circolari è sintomatica di eccesso di potere. Infatti varie norme impongono
alle amministrazioni di prefissare modalità e criteri, cui le amministrazioni stesse devono attenersi.
Oltre a questi principi generali, vi sono quelli relativi a singole materie, per es. in materia di lavori
pubblici, qualità, tempestività, correttezza, libera concorrenza tra gli operatori; in materia di
incentivi alle imprese, pubblicità delle risorse, necessità dell’aiuto, compatibilità, controllo.
Molto importanti i principi della semplicità e della pubblicità.
La semplificazione amministrativa
Naturale derivazione dei principi di buon andamento, economicità ed efficacia è quello della
semplicità. La l.n. 241/90 ha avviato una politica di semplificazione amministrativa per due
principali ragioni: la riduzione delle spese che esso consente alle amministrazioni (impiego di
nuove tecnologie e eliminazione di documenti inutili) e per il miglioramento della qualità dei servizi
resi ai cittadini e alle imprese, per i quali ogni adempimento amministrativo rappresenta un costo ed
un ostacolo. Diversi sono gli istituti di semplificazione: la conferenza di servizi e gli accordi tra
amministrazioni nel trattare la conclusione del procedimento; la disciplina dei pareri e delle
valutazioni tecniche, nel trattare la struttura del procedimento; l’autocertificazione, nel trattare i
procedimenti dichiarativi; la denuncia di inizio attività e il silenzio assenso, nel trattare le
autorizzazioni. La semplificazione è un processo permanente, alimentato annualmente da una legge
di semplificazione approvata su iniziativa del governo (riduzione del numero delle fasi
procedimentali, riduzione dei termini del procedimento).
L’accesso ai documenti amministrativi
L’art. 1 l.n. 241/90 spesso definita legge sulla trasparenza amministrativa, enuncia espressamente i
principi di pubblicità e di trasparenza. Prima di questa legge la regola era piuttosto quella del
segreto d’ufficio imposto ai dipendenti pubblici. Nel procedimento determina l’obbligo delle
amministrazioni di rendere pubbliche determinate informazioni (come il termine di ciascun
procedimento), e di comunicare determinate circostanze (come l’avvio del procedimento) agli
interessati.
Vi è il diritto dei cittadini di accedere (prendere visione o copia) ai documenti amministrativi
(cartacei, fotografie, nastri, memorie) detenuti dalla pubblica amministrazione concernenti attività
di pubblico interesse. La nozione di documenti amministrativi non va confusa con quella di atti
amministrativi: questi ultimi (provvedimenti o atti strumentali) sono sempre dichiarazioni (di
volontà, di scienza o di giudizio) e non hanno necessariamente forma scritta, i documenti
amministrativi invece sono supporti materiali, rappresentativi di atti o circostanze rilevanti per
l’amministrazione. Se un simile supporto non esiste non vi è diritto d’accesso.
Titolari del diritto sono tutti i soggetti privati “che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale,
corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto
l’accesso. Non quindi qualunque cittadino.
La richiesta d’accesso deve essere motivata, per dimostrare l’utilità dell’accesso per la tutela
dell’interesse in questione.
Più ampia è la disciplina d’accesso nei confronti degli enti locali, che stabilisce che tutti gli atti
dell’amministrazione comunale e provinciale sono pubblici e prevede che hai cittadini sia assicurato
il diritto di accedervi.
Se la richiesta è evidentemente fondata, l’accesso è consentito senza formalità (accesso informale),
se vi sono dubbi sulla legittimazione del richiedente, la domanda determina l’avvio di un
procedimento amministrativo (procedimento di accesso formale).
Il principio della pubblicità non è un principio assoluto, in quanto vi sono documenti non
accessibili, individuati dalla stessa amministrazione che li detengono. È la legge che indica gli
interessi a tutela dei quali l’accesso può essere escluso, difesa nazionale, ordine pubblico, politica
monetaria ecc. è ovviamente il giudice, in sede di giudizio sulla legittimità del diniego di accesso, a
valutare l’esclusione dell’accesso a determinati documenti.
L’oggetto e l’ambito di applicazione della legge sul procedimento
Nell’ordinamento italiano la disciplina legislativa generale del procedimento amministrativo è
contenuta nella l. n. 241/90, che è stata oggetto di revisione da parte della l. n. 15/2005, la quale ha
anche introdotto una disciplina organica del provvedimento amministrativo.
L’individuazione dei provvedimenti amministrativi
La legge disciplina il procedimento, ma non ne dà una definizione, quindi si pone il problema di
individuare i procedimenti: cioè di stabilire che cosa è un procedimento amministrativo e cosa non
lo è. La l.n. 241/90 è imprecisa sia con riferimento all’inizio che alla fine del procedimento:
stabilisce cosa succede se il procedimento amministrativo inizia, ma non dice quando un
procedimento deve ritenersi iniziato, cioè quali atti determinano l’apertura del procedimento;
stabilisce che esso deve concludersi con un provvedimento espresso, ma non dà una definizione di
provvedimento amministrativo, né fornisce criteri certi per identificarlo. Praticamente si pongono
due problemi principali.
Procedimenti senza provvedimento
Le principali figure di provvedimenti amministrativi sono: le autorizzazioni, le concessioni, le
espropriazioni, le sanzioni e così via. Il legislatore con la 241/90 ha mirato a disciplinare i
procedimenti volti all’emanazione di simili provvedimenti.
Tuttavia, le pubbliche amministrazioni pongono in essere anche provvedimenti diversi, come quelli
contrattuali, quelli organizzativi, quelli finanziari e quelli dichiarativi. Comunque alla base dei
procedimenti ci sono sempre i principi di del buon andamento e della certezza del tempo.
Ai procedimenti che non si concludono con l’emanazione di un provvedimento la legge si applica
parzialmente, per es. non avrebbe senso applicare l’obbligo di motivazione a un procedimento
finanziario, volto all’adempimento di un debito dell’amministrazione e non all’esercizio del suo
potere. Però i principi enunciati dall’art. 1 valgono per tutta l’attività amministrativa e istituti come
il termine e il responsabile rispondono ad esigenze anche di altri provvedimenti.
Il catalogo dei procedimenti
La nozione di procedimento nella 241/1990 è imprecisa ed impossibile da delimitare: il confine tra
le sequenze di atti soggette alle sue previsioni e quelle non soggette ad esse non è netto.
La legge impone alle pubbliche amministrazioni di compilare e tenere aggiornato un catalogo dei
procedimenti amministrativi di propria competenza, ciò perché ciascun procedimento individuato è
oggetto di previsioni generali, il termine e l’ufficio responsabile devono essere determinati in via
generale dalle amministrazioni. La 241/90 ha costretto le amministrazioni a operare un censimento
dei propri procedimenti per dare un’idea dei risultati. In questo modo l’interessato che aspira a
ottenere un vantaggio dall’emanazione di un provvedimento, può conoscere il termine entro il quale
l’amministrazione può emanarlo e l’ufficio al quale rivolgersi per avere informazioni o presentare
memorie e documenti.
Nel caso in cui un provvedimento non sia stato identificato dall’amministrazione la legge stabilisce
il termine di novanta giorni.
L’ambito di applicazione oggettivo e soggettivo
Stabilito cosa può intendersi per procedimento ai fini dell’applicazione della l. n. 241/90 occorre
precisare a quali procedimenti si applicano le sue previsioni. Ciò va esaminato in termini oggettivi,
cioè con riferimento ai tipi di procedimento che essa regola, sia in termini soggettivi cioè con
riferimento alle amministrazioni alle quali essa si applica. Dal primo punto di vista, la maggior
parte delle disposizioni sono dettate per tutti i procedimenti.
Dal secondo punto di vista la l. n. 241/90 essendo una legge nazionale è applicabile alle
amministrazioni statali e agli enti pubblici nazionali e non è applicabile alle amministrazioni
dell’ordinamento comunitario, che è sopranazionale. Più complesso è il problema dell’applicazione
della legge alle amministrazioni regionali ed enti locali, soprattutto dopo la riforma del 2001 che ha
modificato il riparto delle competenze legislative e regolamentari tra Stato, regioni ed enti locali.
Quindi le regioni potrebbero disciplinare il procedimento in modo diverso, in quanto le regioni ed
enti locali hanno potestà statutaria e i secondi hanno potestà regolamentare per le funzioni a loro
attribuite. Comunque la 241/90 prevede che le regioni ed enti locali regolino la materia nel rispetto
del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei confronti dell’azione amministrativa,
quindi la potestà legislativa delle regioni ed enti locali si riduce agli aspetti di dettaglio, ad es. le
regioni potrebbero dettare una propria disciplina della conferenza di servizi, ma difficilmente
potrebbero prescindere da principi come quello della pubblicità o da istituti come il termine del
procedimento.
Per le autorità indipendenti il problema è complesso, alcune autorità infatti tendono a compensare
alla carenza di legittimazione, derivante dalla loro indipendenza dal potere politico, rafforzando le
garanzie procedimentali (autorità garante della concorrenza e del mercato), altre invece tendono a
sfuggire all’applicazione trovando conforto in leggi ad hoc (Banca d’Italia, Consob).
La legge non è applicabile all’attività amministrativa svolta dagli organi costituzionali (camera e
Presidenza della Repubblica) o di rilievo costituzionale (Consiglio superiore della magistratura).
La struttura del procedimento
Il procedimento viene studiato in base alle diverse fasi, variamente individuate in quanto hanno
strutture estremamente diversificate (per es. iniziativa, istruttoria, decisione, integrazione
dell’efficacia). Alcuni hanno un’articolazione molto complessa, con varie fasi chiaramente
identificabili (elaborazione piano urbanistico), altri estremamente semplici, magari ridotte al
minimo (ordinanze d’urgenza).
Quelle che seguono sono le fasi più comuni.
L’avvio
L’iniziativa procedimentale può essere d’ufficio o di parte. Nel primo caso, è la stessa
amministrazione a delibere l’avvio del procedimento, verificatosi il presupposto al quale la legge
ricollega l’emanazione del provvedimento. Questo presupposto può essere una situazione giuridica
(come l’emanazione di una legge, scadenza di un termine) o una circostanza di fatto (commissione
di un illecito, situazione pericolosa). Delle circostanze di fatto l’amministrazione può venire a
conoscenza in vari modi, attraverso un’attività di vigilanza o una denuncia. Nel secondo caso il
procedimento consegue un’istanza del soggetto interessato, l’amministrazione opera una sommaria
valutazione, poiché non sempre l’istanza dell’interessato fa sorgere l’obbligo di provvedere.
L’iniziativa può anche essere di un’altra amministrazione pubblica, mediante una proposta.
L’istanza e la proposta costituiscono l’atto iniziale del provvedimento, con la ricezione di uno di
questi parte il termine iniziale del procedimento. Con quelli d’ufficio bisogna individuare, superata
la fase di vigilanza, il momento in cui l’amministrazione decide di procedere. È importante
individuare questo momento perché da esso decorre il termine finale del procedimento, facendo
sorgere in capo all’amministrazione l’obbligo di informare determinati soggetti.
Con la comunicazione di avvio del procedimento, si consente la partecipazione degli interessati al
procedimento (per i procedimenti volti all’emanazione di provvedimenti restrittivi).
I suoi destinatari sono i soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a
produrre gli effetti diretti (quelli che siano titolari di interessi oppositivi).
L’omissione della comunicazione di avvio determina un vizio di procedimento, invalidando il
provvedimento finale. Questa invalidità comunque non necessariamente conduce all’annullabilità
del provvedimento, in quanto la legge dispone che l’omissione della comunicazione può essere fatta
valere solo dal soggetto interessato.
L’istruttoria e il responsabile del procedimento
L’istruttoria è normalmente la fase centrale del procedimento, nella quale si forma la decisione
amministrativa, attraverso l’acquisizione degli interessi e dei fatti rilevanti. L’acquisizione dei fatti
può richiedere adempimenti come accertamenti tecnici, ispezioni, inchieste, pareri e valutazioni
tecniche. Ove sia necessario acquisire documenti, per la semplificazione, si procede con
l’autocertificazione e attraverso l’obbligo del responsabile del procedimento di acquisire i
documenti in possesso della stessa o di altre amministrazioni.
Una buona discrezionalità di questa fase del procedimento è prevista dalla legge, che elenca anche
le funzioni del responsabile del procedimento, che deve essere determinato in via generale
dall’amministrazione per ogni tipo di procedimento. Con il termine responsabile si indica più la
titolarità di un compito che l’obbligo di rispondere delle proprie azioni, (fermo restando la
soggezione del funzionario responsabile alle normali regole sulla responsabilità dei dipendenti).
Non necessariamente l’ufficio responsabile del procedimento è competente per l’adozione del
provvedimento finale, se non lo è l’ufficio competente deve tenere conto dell’istruttoria da esso
compiuta.
L’attività consultiva
L’amministrazione procedente, prima di provvedere, può chiedere pareri o valutazioni tecniche ad
altre amministrazioni o uffici.
I pareri sono resi principalmente da organi consultivi, per lo più collegiali (Consiglio di Stato,
Consiglio superiore dei lavori pubblici, commissione edilizia). È previsto anche che vengano chiesti
pareri ad amministrazioni od uffici non aventi funzioni consultive, in alcuni casi possono essere
chiesti pareri di associazioni private, come i sindacati di imprese o di lavoratori, in questi casi il
parere costituisce una forma di partecipazione al procedimento.
I pareri possono essere obbligatori, se previsti dalla legge, o facoltativi, se richiesti
dall’amministrazione di sua iniziativa (circostanza eccezionale, per via del divieto di aggravare il
procedimento). Quelli obbligatori possono essere vincolanti.
Poiché la mancata elaborazione dei pareri loro richiesti può bloccare il procedimento, la legge fissa
i termini per renderli, decorsi detti termini, l’amministrazione può procedere indipendentemente
dall’acquisizione del parere.
Nel caso di richiesta di valutazioni tecniche, se non vengono elaborate entro i termini fissati, il
responsabile del procedimento deve chiederle ad altri organi o amministrazioni o a istituti
universitari ed in questo caso la legge prevede anche la sospensione del termine del procedimento
per il tempo necessario alla loro acquisizione.
La partecipazione degli interessati
Il principio della partecipazione permette agli interessati di intervenire nel procedimento con
osservazioni, deduzioni, opposizioni. La l.n. 241/90 individua i soggetti legittimati ad intervenire e i
loro poteri.
I soggetti legittimati, che si aggiungono ai destinatari della comunicazione di avvio, i quali entrano
nel procedimento. La legge privilegia gli interessi oppositivi e consente l’intervento non solo ad
altre amministrazioni pubbliche ed a soggetti privati, ma anche alle associazioni e ai comitati
portatori di interessi diffusi (come tutela dell’ambiente, della salute, del patrimonio artistico e
culturale).
Gli interventori, possono prendere visione degli atti e presentare memorie scritte e documenti. Uno
dei poteri è il diritto d’accesso.
L’amministrazione deve dimostrare di aver valutato i documenti e le memorie presentate, ciò però
non significa che deve necessariamente accoglierle, il potere di decisione rimane in capo
all’amministrazione.
Un’ulteriore forma di partecipazione per i procedimenti a iniziativa di parte, impone
all’amministrazione di comunicare al richiedente prima di adottare un provvedimento negativo (il
rifiuto di accordare un’autorizzazione) le ragioni che impediscono l’accoglimento della sua
domanda (per es. la mancanza di un documento), consentendogli di presentare ulteriori osservazioni
o documenti. Il difetto di questa comunicazione rende illegittimo il provvedimento finale. La legge
precisa che la comunicazione interrompe il termine procedurale, che ricomincia poi a decorrere,
quindi determinando un sostanziale aumento del termine.
Gli accordi tra amministrazioni e interessati
Il procedimento può sfociare in un accordo tra amministrazioni e gli interessati, sono di due tipi,
l’accordo procedimentale (o integrativo o preliminare), che determina il contenuto discrezionale
del provvedimento; l’accordo sostitutivo, che sostituisce il provvedimento, il primo è un atto
strumentale del procedimento, il secondo è l’atto conclusivo. L’amministrazione può prima di
concludere il provvedimento, concludere un accordo informale. La stipula dell’accordo deve essere
preceduta da una “determinazione dell’organo che sarebbe competente per l’adozione del
provvedimento”. Questa determinazione è richiesta a garanzia dell’imparzialità e del buon
andamento dell’azione amministrativa. In caso di inadempimento di una delle parti si applicano le
regole del contratto e non quelle del provvedimento amministrativo, la legge in caso di recesso
unilaterale, che è consentito all’amministrazione “per sopravvenuti motivi di pubblico interesse”,
(per es. una nuova tecnologia, che rende inutilmente dispendioso o inquinante l’impianto, per la cui
costruzione era stato concluso un accordo), prevede un indennizzo al privato (per es. per le spese
sostenute vanamente).
Invece l’amministrazione può revocare il provvedimento senza essere obbligata a corrispondere un
indennizzo, dal contratto non si può recedere unilateralmente e l’inadempimento obbliga al
risarcimento del danno (che è più di un indennizzo).
La conclusione del procedimento
Il procedimento è volto all’emanazione di un atto conclusivo, la cui natura è variabile: può essere
una dichiarazione di volontà, o una dichiarazione di scienza, un accordo. L’atto in questione può
essere imputabile a un solo soggetto o essere riconducibile ad una pluralità di persone, di uffici o di
amministrazioni.
La deliberazione collegiale
Se l’atto finale del procedimento è di un organo collegiale, la sua emanazione richiede un
procedimento ad hoc, volto alla formazione della volontà o dell’avviso dell’organo stesso. Stesso
procedimento si applica quando l’atto dell’ufficio collegiale non è quello conclusivo, ma
strumentale del procedimento (per es. un parere). Vi sono una serie di regole, che riguardano
principalmente la convocazione dell’organo, la validità dell’adunanza, lo svolgimento
dell’adunanza, la deliberazione, l’esternazione della deliberazione. La loro violazione determina
l’illegittimità della deliberazione.
Il potere di convocazione spetta al presidente del collegio, che però è obbligato a convocarlo entro
un termine congruo se lo richiede la maggioranza dei componenti. L’avviso di convocazione deve
essere comunicato entro un termine congruo e deve contenere l’ordine del giorno (cioè gli
argomenti da trattare, a meno che questi non siano già stabiliti dalle norme come nelle commissioni
di concorso), il collegio può deliberare su argomenti non presenti all’ordine del giorno solo se tutti i
componenti presenti siano d’accordo.
I collegi reali o perfetti, possono riunirsi e deliberare solo se siano presenti tutti i componenti, ma i
membri titolari possono essere sostituiti dai supplenti.
Per i collegi virtuali o imperfetti, deve essere presente la maggioranza dei membri in carica.
Lo svolgimento dell’adunanza è diretto dal presidente, che decide l’ordine di trattazione degli
oggetti e dà la parola. Le adunanze sono di regola riservate, eccezionalmente pubbliche.
La deliberazione viene adottata attraverso un procedimento di votazione, che deve ottenere il voto
favorevole della maggioranza dei presenti tra i quali vanno computati anche gli astenuti e le scheda
bianche. Le modalità di espressione del voto sono decise dal collegio, il voto deve essere segreto
per le deliberazioni che riguardano persone. Il risultato della votazione viene proclamato dal
presidente ma la deliberazione deve essere verbalizzata, altrimenti inesistente.
Gli atti strumentali complessi
Il provvedimento può esprimere anche la volontà di più organi: ciò avviene quando la legge
stabilisce che esso sia emanato da più organi congiuntamente (decreto interministeriale), su
proposta di un altro organo o amministrazione per es. dal ministero dell’economia e delle finanze su
proposta della Banca d’Italia, di concerto o d’intesa con un altro organo per es. il ministero d’intesa
con le regioni. Si hanno quindi decisioni pluristrutturate e di atto complesso.
Gli accordi tra amministrazioni
Il procedimento può dare luogo alla conclusione di accordo che può essere l’atto finale del
procedimento. Le pubbliche amministrazioni hanno sempre concluso accordi tra loro per regolare e
coordinare l’esercizio delle rispettive competenze, per realizzare progetti impegnativi. A questi
accordi partecipano anche soggetti privati.
La legge prevede gli accordi di programma volti a realizzare opere e interventi che richiedono la
partecipazione di amministrazioni a diversi livelli di governo. Queste norme hanno un’applicazione
estremamente ampia e variegata, infatti le pubbliche amministrazioni concludono accordi tra loro e
con privati per ottenere risultati che non potrebbero ottenere facilmente con provvedimenti
unilaterali. Gli accordi non strumenti di negoziazione più che di semplificazione.
La conferenza di servizi
L’atto conclusivo del procedimento è il frutto dell’attività di acquisizione dei fatti rilevanti e degli
interessi coinvolti. Le norme disciplinano i procedimenti regolando questa attività in sequenza, cioè
stabilendo un certo ordine per i vari adempimenti. Tuttavia le diverse fasi possono essere
concentrate in un’unica fase nella quale i diversi interessi pubblici sono oggetto di valutazione
contestuale da parte dei rappresentanti delle varie amministrazioni, appositamente riuniti è la
conferenza di servizi, che semplifica il procedimento accelerando e favorendo il coordinamento tra
le amministrazioni e il confronto tra gli interessi coinvolti.
Le conferenze di servizi sono di due tipi: istruttoria e decisoria.
Quella istruttoria è convocata dall’amministrazione procedente, titolare del potere amministrativo.
La valutazione di questa opportunità spetta all’amministrazione stessa, in particolare al responsabile
del procedimento e non è tenuta a recepire nel provvedimento le soluzioni emerse in sede di
conferenza, motivando la propria decisione,
la conferenza di servizi decisoria è indetta quando l’amministrazione procedente deve acquisire
intese, concerti, nullaosta, o assensi da altre amministrazioni pubbliche. Il provvedimento finale
della conferenza di servizi sostituisce a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta
o atto di assenso di competenza delle amministrazioni partecipanti.
Le norme che richiedono l’assenso di altre amministrazioni per l’emanazione di un provvedimento
rallentano il procedimento: un’amministrazione può bloccare il procedimento stesso, astenendosi
dall’accordare il proprio assenso. Ma l’esigenza di accelerazione e di coordinamento è
particolarmente forte, tanto da cercare modifiche ed integrazioni della disciplina. Ma queste
modifiche ed integrazione devono comunque cercare di tutelare i singoli interessi pubblici. La
disciplina ha oscillato tra il criterio di maggioranza (che agevola la formazione della decisione) e
quello di unanimità (che garantisce maggiormente i singoli interessi). La soluzione adottata dal
legislatore è stata quella di rimettere la decisione all’amministrazione procedente, che formulerà
una determinazione motivata di conclusione del procedimento, valutando le risultanze della
conferenza. La decisione dell’amministrazione procedente può comportare il sacrificio di singoli
interessi, di cui siano titolari singole amministrazioni che rimangono in minoranza nella conferenza,
però solo per determinati interessi (relativi all’ambiente, al paesaggio, al patrimonio storico-artistico
e alla salute) è previsto un rimedio, consistente nella rimessione della decisione all’autorità politica
innescando altri problemi di colore politico. Per questo ulteriori norme intervengono demandando la
decisione alla Conferenza Stato-regioni o alla Conferenza unificata.
L’integrazione dell’efficacia
Il procedimento non si conclude con l’emanazione dell’atto, sono necessari altri adempimenti, come
il controllo dell’atto, la sua comunicazione, il pagamento di un tributo, la produzione di un
documento, la prestazione di un giuramento. Questa è la fase integrativa dell’efficacia, soprattutto
con riferimento ai controlli preventivi di legittimità.
Tipologia
I procedimenti possono essere classificati in vari modi: per materie o per funzioni, per
amministrazioni procedenti, per parti o destinatari, per grado di complessità, nessuna classificazione
è esaustiva, in quanto l’ordinamento crea continuamente nuovi tipi e sottotipi di procedimento, che
si incrociano anche tra loro.
Tipologia dei procedimenti e dei provvedimenti
La classificazione più diffusa è quella basata sulle funzioni o sugli effetti del provvedimento finale:
procedimenti autorizzatori, concessori, ablatori e così via. Ai diversi tipi di provvedimenti
corrispondono diverse strutture procedimentali: per es. nei procedimenti sanzionatori è accentuato il
profilo del contraddittorio, per quelli concessori è importante la predeterminazione dei criteri, in
quelli autorizzatori possono essere introdotti criteri di semplificazione, che valorizzano la
responsabilità del privato.
I procedimenti strumentali
L’attività amministrativa è procedimentalizzata, sia quella finale che quella strumentale: ai
procedimenti finali, attraverso i quali si svolgono le funzioni amministrative, si affiancano dunque i
procedimenti strumentali, relativi al funzionamento interno dell’amministrazione. Questi ultimi
sono spesso standardizzati, poiché possono svolgersi in modo analogo nelle diverse
amministrazioni, dato che essi soddisfano esigenze simili in ciascuna di esse (dotazione del
personale, organizzazione degli uffici, controllo della spesa), quindi hanno per oggetto
l’organizzazione amministrativa, il personale o la finanza.
Attraverso i procedimenti organizzativi viene esercitata la potestà organizzativa
dell’organizzazione, essi servono all’articolazione degli uffici, alla definizione dei rapporti fra essi,
alla disciplina del loro funzionamento e così via. Spesso danno luogo a regolamenti di
organizzazione e l’individuazione degli uffici dirigenziali. Rientrano tra quelli organizzativi anche i
procedimenti di controllo, in quanto volti a verificare la funzionalità degli uffici.
I procedimenti di amministrazione del personale sono volti all’emanazione degli atti relativi al
rapporto tra l’amministrazione e i dipendenti, assunzioni, trasferimenti, irrogazioni di sanzioni
disciplinari, dimissioni ecc..
Attraverso i procedimenti finanziari le amministrazioni spendono il loro denaro per pagare i propri
fornitori, i propri dipendenti, i titolari di borse di studio. Alla base di questi procedimenti c’è
l’approvazione del bilancio, che comporta lo stanziamento dei fondi, poi vi è il procedimento
amministrativo attraverso il quale l’impegno di spesa viene assunto.
I procedimenti dichiarativi
Abbiamo i procedimenti costitutivi e dichiarativi, i primi sono volti alla modificazione della realtà
giuridica, quindi danno luogo a dichiarazioni di volontà, i secondi sono volti al suo accertamento,
quindi danno luogo a dichiarazioni di scienza. I procedimenti dichiarativi si concludono di regola
con atti non soggetti a provvedimento (iscrizioni, certificati, verbali, relazioni, notificazioni, avvisi).
Alla base degli atti dichiarativi vi sono, quindi, una situazione di fatto e il suo accertamento o la sua
comunicazione. In alcuni procedimenti dichiarativi è prevalente l’aspetto dell’accertamento
(inchieste, ispezioni), in altri quello della comunicazione (come nelle pubblicazioni e nelle
notificazioni).
Questi procedimenti sono stati oggetto di una massiccia semplificazione grazie
all’autocertificazione e alla presentazione di atti e documenti da parte di cittadini. In questo modo si
limitano le richieste di certificati, di autentiche e di firme.
Procedimenti e accordi
I procedimenti di concertazione sono volti alla conclusione di numerosi tipi di accordo: contratti di
appalto o fornitura, contratti collettivi per la disciplina dei rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici,
accordi di programma, patti territoriali e contratti d’area per lo sviluppo locale, convenzioni tra
università e ospedali. Le pubbliche amministrazioni hanno sempre fatto largo uso di accordi.
Procedimenti nazionali, comunitari, composti
L’ordinamento comunitario è privo di una disciplina generale del procedimento, ma bisogna
comunque esaminare i rapporti tra l’attività delle amministrazioni nazionali e quella delle istituzioni
europee, infatti i procedimenti amministrativi nazionali servono spesso all’attuazione delle decisioni
comunitarie, inoltre spesso sono variamente collegati a procedimenti comunitari o si fondano con
essi per formare procedimenti composti, che si svolgono in parte presso amministrazioni nazionali,
in parte presso amministrazioni comunitarie. Ad es. in certi procedimenti di finanziamento alle
imprese, si ha un’istruttoria nazionale e una decisione comunitaria.
Il procedimento può avere un andamento ascendente (trasmissione della domanda
dell’amministrazione nazionale a quella comunitaria), discendente (definizione degli obiettivi e dei
criteri a livello comunitario e la loro attuazione a livello nazionale) o misto (con varie fasi ai due
livelli). Tutto ciò perché l’integrazione amministrativa nazionale a quella europea è molto intensa.
Uno dei problemi è l’individuazione del giudice (nazionale o comunitario) competente per
l’impugnazione delle decisioni. Le cose si complicano ancor più nei rapporti tra amministrazioni
nazionali ed internazionali, quindi nei procedimenti che si svolgono in parte a livello nazionale o
comunitario e in parte a livello internazionale, per es. la definizione di norme uniformi in materia di
prodotti alimentari.
IL PROVVEDIMENTO
Nozioni e caratteri
Il provvedimento amministrativo è l’atto con il quale a conclusione di un procedimento, viene
esercitato il potere amministrativo: ponendo norme, accordando un’autorizzazione, irrogando una
sanzione ecc.
Natura della nozione
Il provvedimento amministrativo, nell’ordinamento italiano, non è né definito né individuato con
precisione, non vi è una norma che dice che cos’è un provvedimento amministrativo. È un compito
continuo dell’interprete individuarne i caratteri ed i confini.
Il provvedimento serve solo a sintetizzare le regole a cui sono normalmente sottoposti gli atti di
esercizio dei poteri amministrativi e a ricostruire un regime giuridico. Gli atti di esercizio dei poteri
amministrativi sono normalmente soggetti a questo regime, a meno che le norme non dispongono
diversamente, ad es. stabilendo che il permesso di costruire è irrevocabile.
Definire o delimitare con precisione la nozione è non solo impossibile, ma anche inutile, si può
soltanto individuare i caratteri normali o più frequenti dei provvedimenti.
Potere amministrativo, procedimento, provvedimento, processo
Quindi ogni definizione di provvedimento amministrativo è arbitraria, tuttavia vi sono due caratteri
in assenza dei quali parlare di provvedimento amministrativo ha poco senso: l’emanazione a seguito
di procedimento, l’impugnabilità dinanzi al giudice, di solito quello amministrativo.
Si ha avuta quindi la necessità di individuare gli atti impugnabili dinnanzi al giudice
amministrativo, distinguendoli da quelli non impugnabili in quanto strumentali (che non ledono un
interesse di cittadini o enti morali giuridici, e con l’introduzione della 241/90, si doveva individuare
l’atto conclusivo del procedimento e quindi i procedimenti ai quali applicare la disciplina.
Ogni potere amministrativo conferito a una pubblica amministrazione deve essere di regola
esercitato attraverso un procedimento, soggetto alla disciplina legislativa, che deve concludersi con
un provvedimento impugnabile dinnanzi al giudice amministrativo.
I caratteri
Il provvedimento è un atto di esercizio di un potere, quindi è un atto unilaterale che produce effetti
giuridici anche nei confronti di soggetti diversi da quello che lo emana. L’imperatività del
provvedimento non è un suo carattere proprio, perché suggerisce una prevalenza della volontà
dell’amministrazione su quella del destinatario che spesso non esiste (le autorizzazioni
presuppongono il consenso del destinatario).
Invece essendo un atto di svolgimento di una funzione, derivano caratteri come l’emanazione a
seguito di un procedimento, la motivazione, la soggezione a controlli amministrativi e
giurisdizionali, la sindacabilità per eccesso di potere.
È un atto impugnabile dinnanzi a un giudice, ha un’immediata produzione di effetti, per cui
l’invalidità del provvedimento dà luogo ad annullabilità e non a nullità e l’inoppugnabilità in
assenza di tardiva impugnazione. Altri caratteri sono la ricorribilità in sede contenziosa
(l’interessato può chiedere all’autorità amministrativa di ritirare o modificare il provvedimento, la
soggezione del provvedimento alla revoca, alla soppressione e all’annullamento d’ufficio, è un
privilegio della pubblica amministrazione, alla quale è consentito di far valere essa stessa
l’invalidità dei propri atti).
Ambito della nozione
Come abbiamo già detto la nozione di provvedimento è una nozione imprecisa, che ha comunque
degli atti che certamente ci rientrano, ma ha anche varie zone grigie, costituite da atti che
presentano solo alcuni dei caratteri indicati.
Provvedimenti amministrativi e altri atti di pubblici poteri
I provvedimenti amministrativi sono atti di esercizio di poteri amministrativi. Di conseguenza non
sono provvedimenti gli atti di esercizio della funzione legislativa e di quella giurisdizionale posti in
essere dai relativi organi, anche se il loro contenuto può essere analogo a quella di un
provvedimento: quindi, c.d. leggi-provvedimento, sono leggi soggette al relativo regime giuridico, e
non provvedimenti amministrativi.
La legge esclude l’impugnabilità degli atti politici, in quanto sono atti posti in essere da un organo
costituzionale nell’esercizio delle funzioni di governo e quindi nell’attuazione dell’indirizzo
politico, però sono ammessi i ricorsi al Tar qualora incidano in modo immediato sugli interessi dei
privati.
Sono soggetti al regime del provvedimento gli atti di alta amministrazione, come i provvedimenti
di nomina o trasferimento di alti dirigenti amministrativi (prefetti, ambasciatori) o il decreto di
scioglimento di un consiglio comunale.
Provvedimenti amministrativi e atti privati
I provvedimenti amministrativi sono atti unilaterali, quindi non sono tali gli accordi, in particolare
quelli sostitutivi del provvedimento, soggetti ad una disciplina ispirata a quella del contratto. Non
sono provvedimenti i contratti della pubblica amministrazione, ma sono considerati tali i singoli atti
del procedimento contrattuale, come il bando di gara e l’aggiudicazione.
Non sono soggetti al regime del provvedimento gli atti di esercizio di poteri privati (come il recesso
da un contratto) posti in essere dalle pubbliche amministrazioni, quasi come i soggetti privati.
La scienza giuridica tende a rifiutare la qualificazione degli atti emanati da soggetti privati come
provvedimenti, ritenendo che un provvedimento amministrativo possa essere emanato solo da un
soggetto pubblico.
Atti normativi e atti amministrativi generali
Agli atti normativi emanati dalle pubbliche amministrazioni, come molti statuti e regolamenti, si
applica il regime giuridico del provvedimento amministrativo: sono soggetti alla disciplina
legislativa del procedimento, sono impugnabili dinnanzi al giudice amministrativo.
La Costituzione prevede la potestà legislativa di emanare atti normativi subordinati alla legge.
Infatti l’art. 117 attribuisce la potestà regolamentare allo Stato nelle materie di legislazione
esclusiva, agli enti locali in ordine alle funzioni loro attribuite, alle regioni in tutte le altre materie.
Inoltre questi atti hanno i caratteri tipici delle fonti del diritto: devono essere pubblicati, vanno
interpretati, non possono essere derogati da atti e la loro violazione dà luogo a illegittimità per
violazione di legge. In più questi atti sono sottratti all’obbligo di motivazione e ai loro procedimenti
non si applicano le norme sulla partecipazione degli interessati. Queste ultime due esclusioni non si
applicano a tutti gli atti amministrativi generali non aventi destinatari determinati né determinabili,
ma rivolto a un gruppo indeterminato di individui: le direttive, i bandi, atti per fissare tariffe. Questi
atti sono soggetti al regime del provvedimento ma spesso, proprio per il loro contenuto generale,
non sono impugnabili davanti ad un giudice amministrativo, in quanto non ledono immediatamente
l’interesse del privato. Essi devono essere impugnati unitamente agli atti applicativi: per esempio, il
regolamento che ha posto un divieto insieme a quello che irriga la sanzione per la sua violazione, il
bando di concorso insieme al provvedimento di esclusione, ma se il bando contiene clausole
immediatamente lesive dei suoi interessi, per esempio stabilendo requisiti dei quali egli è
sprovvisto, il candidato ha l’onere di impugnarlo immediatamente.
Altri tipi particolari di atto
Gli atti dichiarativi sono sottratti al regime tipico del provvedimento, perché le norme prevedono la
loro impugnazione davanti a giudici diversi da quello amministrativo e predispongono rimedi
diversi per l’impugnazione come la querela per falso.
Molte sanzioni amministrative sono in buona parte sottratte al regime del provvedimento, il loro
procedimento è disciplinato dalle norme in modo più dettagliato, ed esse sono impugnabili dinnanzi
a giudici diversi da quello amministrativo (di regola il giudice ordinario).
Gli atti di controllo sono di regola provvedimenti amministrativi, anche se la giurisprudenza
esclude l’impugnabilità dinnanzi al giudice amministrativo di quelli della Corte dei conti.
Gli atti esternati oralmente (come un ordine di polizia o quello di un superiore gerarchico) sono in
gran parte sottratti al regime tipico del provvedimento. Da un lato la loro emanazione non richiede
un procedimento e dall’altro non sono impugnabili dinnanzi ad un giudice amministrativo, in
quanto in un processo amministrativo si deve depositare il provvedimento impugnato insieme al
ricorso. Ma si procede in altri modi, ad esempio impugnando il provvedimento sanzionatorio
irrogato in seguito al mancato rispetto dell’ordine stesso. Per altri aspetti, questi atti condividono il
regime del provvedimento come la disapplicabilità e la sidacabilità per eccesso di potere.
Anche le operazioni materiali poste in essere dall’amministrazione non si possono qualificare come
provvedimenti, ma sono atti di esecuzione di provvedimenti ad es. la disciplina del traffico
automobilistico o il respingimento o l’accompagnamento alla frontiera.
Profili strutturali
Prima si sono analizzati i caratteri che differenziano il provvedimento dagli altri atti giuridici, ora
vediamo i requisiti che un atto deve avere per essere un provvedimento.
Estinzione e requisiti del provvedimento
Spesso si pone il problema di stabilire se un provvedimento amministrativo esiste, (diverso dal
problema della validità, un provvedimento può essere esistente ma invalido), il provvedimento può
essere annullato dal giudice o dall’amministrazione stessa ma, fino a quando ciò non avviene,
rimane esistente e produce i suoi effetti.
La disciplina fornisce indici decisivi per stabilire che un certo atto è una legge, poiché vi è la
promulgazione da parte del Presidente della Repubblica e l’inserimento nella Raccolta ufficiale,
similmente per stabilire se un atto è una sentenza, basta far riferimento l’autorità emanante, al suo
deposito e all’autoqualificazione dell’atto.
La legge stabilisce che un provvedimento è nullo se manca degli elementi essenziali, però la legge
non individua gli elementi essenziali. Però i casi di nullità per assenza di un elemento essenziale
(come l’oggetto del provvedimento o la firma del funzionario) sono veramente rari.
Più frequenti invece sono le altre ipotesi di nullità, esaminate nel trattare l’invalidità.
Nella struttura del provvedimento di certo c’è il contenuto e la forma, individuare altri elementi è
un’operazione arbitraria e non particolarmente importante.
L’analisi strutturale del provvedimento è utile per illustrare il modo in cui vengono risolti alcuni
casi in cui si pone un problema di esistenza del provvedimento.
Vengono quindi analizzati i singoli aspetti legati alla struttura.
Il soggetto
Il soggetto che emana il provvedimento amministrativo è di regola una pubblica amministrazione
(anche se può essere imputabile a più soggetti). Le attribuzioni di competenza sono riferite ai singoli
uffici , l’attribuzione invece è riferita all’intera amministrazione (il ministero, il comune). Il
provvedimento emanato in difetto assoluto di attribuzione è nullo e non produce alcun effetto,
quello viziato di incompetenza è soltanto annullabile, quindi produce provvisoriamente i suoi
effetti.
I presupposti
I presupposti del provvedimento sono le circostanze di fatto e le situazioni giuridiche che ne
consentono l’emanazione: per es. la domanda dell’interessato per il rilascio dell’autorizzazione, un
titolo di studio o il superamento di un esame per l’iscrizione a un albo professionale.
La sussistenza di un presupposto può ovviamente essere oggetto di apprezzamento discrezionale o
di valutazione tecnica.
Un particolare presupposto è l’urgenza (si pensi ai decreti-legge, alle misure cautelative), l’urgenza
consente anche alle autorità di occupare, requisire o disporre di beni privati. questi atti così emanati
sono detti atti necessitati, se emanati in difetto del presupposto di urgenza, essi sono ovviamente
illegittimi. Per far fronte a situazioni non prevedibili come ed es. le catastrofi naturali, si parla di
ordinanze d’urgenza o di necessità. Questi provvedimenti vanno in deroga alla disciplina vigente,
quindi questo potere è temperato dalla norma attribuendo simili poteri solo a determinate autorità (il
ministro, il sindaco, il prefetto).
La volontà e i motivi
Il provvedimento è sempre un atto volontario, cioè voluto dal soggetto che lo emana, che è un
organo ben identificabile. Esso è di regola una dichiarazione di volontà, in quanto anche il suo
contenuto è voluto. La volontà del contenuto è un atto procedimentale, perché si forma
progressivamente e grazie all’apporto di diversi soggetti. Se manca la volontà, non vi è un
provvedimento. L’unilateralità del provvedimento e la sua normale forma scritta fanno si che
difficilmente per esso si ponga il problema dell’assenza di volontà.
Importanti sono i motivi del provvedimento. Essi coincidono con il perseguimento dell’interesse
pubblico, il provvedimento è illegittimo se i suoi motivi non coincidono con la tutela degli interessi
in questione. Ciò è alla base dell’obbligo di motivazione.
Il contenuto
Il contenuto del provvedimento dipende dal tipo di potere esercitato quindi può essere il più vario:
l’autorizzazione a svolgere un’attività, il trasferimento della proprietà di un bene o l’attribuzione di
una somma di denaro a un privato, l’irrogazione di una sanzione. È ovviamente un elemento
necessario, poiché se manca l’indicazione dell’attività autorizzata, o il bene da trasferire, non vi
alcun provvedimento. L’assenza e l’indeterminabilità del contenuto sono solo ipotesi teoriche, ma la
nozione è rilevante per vari motivi, per determinare il tipo di provvedimento, ad es. un atto
qualificato concessione può essere in realtà un’autorizzazione, un atto qualificato come revoca può
essere un annullamento d’ufficio; per l’applicazione di norme che si riferiscono soltanto a
determinati atti; per stabilire il termine del ricorso; per determinare se il provvedimento scaturisce
da un eccesso di potere e così via.
Due particolari categorie si distinguono per quanto riguarda il contenuto: i provvedimenti negativi e
le decisioni amministrative. Quest’ultime presuppongono un conflitto tra l’amministrazione e
l’interessato, il contenuto è simile a quello della sentenza. Vi rientrano ad es. i provvedimenti
emanati in seguito a ricorsi amministrativi, gli atti di accertamento tributario.
L’esternazione
Come ogni atto giuridico, il provvedimento deve avere un’esternazione: perché l’atto esista non
basta che vi sia la volontà di emanarlo, ma è necessario che questa volontà venga manifestata.
L’esternazione scritta
Non vi sono regole generali che impongono una determinata forma di esternazione, quindi si
afferma il principio della libertà della forma. Tuttavia la forma normale è quella scritta, che in molti
casi è imposta dalle norme, quando sono imposti pareri e controlli sull’atto e quando il
provvedimento deve indicare elementi come la data, la sottoscrizione o la denominazione.
I provvedimenti esternati in forma scritta hanno spesso una struttura formalizzata: intestazione,
preambolo, dispositivo, motivazione, logo e data, sottoscrizione, indicazione del termine e delle
autorità a cui è possibile ricorrere, ma poiché vi è libertà di forma è necessario soltanto che il testo
contenga alcune indicazioni essenziali (autorità emanante, oggetto e contenuto, in assenza dei quali
l’atto non è riconducibile ad un provvedimento, quindi inesistente o nullo. Se manca la
sottoscrizione il provvedimento è inesistente, se essa è illeggibile il provvedimento è illegittimo (se
vi è il timbro e si capisce chi lo ha sottoscritto il provvedimento è valido).
Il testo può essere redatto a stampa, con scrittura a mano, o a macchina, non deve contenere lacune,
correzioni o aggiunte. In caso di errore si possono cancellazioni che lascino leggibile la precedente
stesura. Possono essere utilizzati mezzi informatici, vi sono quindi atti amministrativi informatici,
in questo caso la sottoscrizione è sostituita dall’indicazione a stampa del nome del responsabile.
Altre forme di esternazione
Hanno esternazione orale le deliberazioni degli organi collegiali, come ad es. il risultato della
votazione da parte del presidente, per i quali è prevista un’ulteriore forma di esternazione, data dal
verbale, che è condizione di esistenza della deliberazione.
Vi è il provvedimento implicito, risultante da un altro provvedimento o atto che lo presuppone (per
es. il diniego di un permesso di costruire che risulti dalla comunicazione del parere negativo della
commissione edilizia).
Il comportamento concludente, che mostra la volontà dell’amministrazione pur non essendo volto a
manifestarla (per es. l’erogazione di una somma di denaro per un finanziamento).
La via di fatto (per es. la presa di possesso di un bene immobile di proprietà di un privato, da parte
della forza pubblica, in esecuzione di un provvedimento di espropriazione ignoto all’espropriato).
La motivazione
Non diversamente da come avviene per altri atti di svolgimento di funzioni, come le sentenze e certi
atti normativi, deve comprendere non solo l’indicazione della decisione dell’amministrazione, ma
anche la sua motivazione, a pena di illegittimità del provvedimento. Unica eccezione sono gli atti
normativi e quelli di contenuto generale.
L’obbligo di motivazione è volto a favorire la trasparenza amministrativa, poiché serve sia agli
interessati, sia al giudice. La norma precisa quale deve essere il contenuto della motivazione,
motivazioni in senso stretto (esternazione dei motivi) e della giustificazione (esternazione dei
presupposti, comprese le norme applicate, e dei fatti di legittimazione).
In secondo luogo da essa deve emergere le risultanze dell’istruttoria, di quest’ultima la motivazione
deve essere una sintesi. In altri termini la legge si preoccupa non solo che i motivi siano espressi,
ma anche che siano fondati. Il difetto di motivazione è indubbiamente una violazione relativa alla
forma del provvedimento, inoltre i provvedimenti che richiedono una motivazione in senso stretto
sono quelli discrezionali.
La comunicazione agli interessati
L’esternazione del provvedimento, come di ogni atto giuridico, implica di per sé una forma di
comunicazione, e finché non esce dalla sfera individuale del suo autore, essa non può essergli
nemmeno imputata. La semplice emanazione del provvedimento normalmente non assicura il
raggiungimento del suo scopo: per es. il verbale della seduta del consiglio comunale che ha adottato
il piano regolatore generale non ne assicura l’adeguata conoscenza, per la quale sono necessarie
ulteriori misure di pubblicità; l’emanazione di un provvedimento di concessione o di autorizzazione
è inutile, se il soggetto autorizzato o concessionario non ne viene informato.
Il provvedimento quindi deve essere comunicato agli interessati in forma individuale, notificazione
o collettiva, pubblicazione. Alcuni provvedimenti inoltre producono effetti con la comunicazione al
destinatario. La mancata comunicazione non provoca l’illegittimità del provvedimento, ma il
mancato decorso dei termini di impugnazione.
Luogo e tempo degli effetti
Gli effetti del provvedimento sono, naturalmente, limitati nello spazio e nel tempo. Per quanto
riguarda lo spazio, l’efficacia di molti provvedimenti trova un limite naturale nei confronti dello
Stato, per es. per la fissazione delle aliquote dei tributi locali, a volte questo limite è dato dai confini
dell’Unione europea, per es. per il rilascio delle patenti di guida.
Per quanto riguarda il tempo, occorre considerare sia il momento dell’inizio degli effetti, che
coincide con quello dell’emanazione del provvedimento (l’esternazione), sia quello della loro
cessazione.
La retroattività del provvedimento dipende a volte dalla natura stessa dell’atto (non possono che
essere retroattivi gli atti di controllo, di annullamento o di convalida). Al di là di queste ipotesi, la
giurisprudenza tende a escludere che il provvedimento possa essere retroattivo, a meno che arrechi
un vantaggio all’interessato.
Il problema della cessazione degli effetti si pone solo per i provvedimenti a efficacia durevole, come
gli atti normativi, i piani urbanistici e le autorizzazioni commerciali, non per quelli a efficacia
istantanea, come le espropriazioni e le sovvenzioni. La cessazione può essere automatica (per
decorso dei termini finali) o volontaria, derivando da un atto come la revoca.
L’esecuzione
Con l’esecuzione del provvedimento si passa alla concretizzazione dell’effetto giuridico. Anche se
non tutti i provvedimenti amministrativi richiedono un’attività di esecuzione. Non la richiedono per
es. i provvedimenti negativi e dichiarativi. La richiedono quelli dai quali sorgono obblighi, come
quello di espulsione (che impongono allo straniero di uscire dal territorio nazionale e in alcuni casi
alla forza pubblica di accompagnarlo alla frontiera, o gli atti di imposizione tributaria.
L’esecuzione può competere all’amministrazione stessa o ad altri soggetti e può consistere nel
compimento di sola attività materiale (ad es. ordine di demolizione), o anche di atti giuridici (come
il caso del bando di concorso che richiede l’emanazione di ulteriori atti.
L’esecuzione forzata amministrativa
Per i provvedimenti che richiedono un’esecuzione può porsi il problema dell’esecuzione forzata,
che consiste nell’esecuzione del provvedimento contro la volontà dell’interessato. In caso di
inosservanza l’amministrazione può porre in essere la stessa attività spettante al privato, o superare
la sua opposizione con l’uso della forza. I provvedimenti suscettibili di esecuzione forzata si dicono
esecutori. In settori come la pubblica sicurezza l’esecutorietà, quindi l’esecuzione forzata è la
regola.
L’invalidità
Come ogni atto di esercizio del potere, il provvedimento amministrativo è soggetto a una
valutazione di validità. Invalido è un provvedimento affetto da un vizio al quale l’ordinamento
riconosce rilevanza. Il provvedimento non è soggetto a una valutazione di liceità: l’illiceità deriva
dalla violazione di norme impositive di doveri e non di norme attributive di poteri.
Cause ed effetti dell’invalidità
Il primo problema è quello dell’individuazione dei vizi rilevanti, cioè delle difformità abbastanza
gravi da rendere l’atto invalido (non sono rilevanti, errori di battitura o improprietà di linguaggio,
ma che non lascino dubbi sul contenuto), ma è rilevante l’esercizio del potere da parte di un
soggetto che non ne è titolare (il consiglio comunale che vuole emanare una legge).
Il secondo problema è quello delle conseguenze dei vizi rilevanti, una legge contraria alla
Costituzione, una sentenza contraria alla legge, cosa ne consegue? La soluzione più naturale è
quella che produce effetti solo al valido esercizio del potere. Una legge contraria alla Costituzione e
la sentenza contraria alla legge producono i loro effetti fino a quando vengono annullate o
riformate. Diverso è il regime di invalidità di un contratto, che di regola è nulle se viola delle
norme.
Il regime di invalidità del provvedimento amministrativo l’annullabilità è la regola, la nullità
l’eccezione.
La legge individua le cause di nullità e quelle di annullabilità del provvedimento.
Invalidità e illegittimità
L’invalidità del provvedimento deriva dalla violazione di norme giuridiche: coincide quindi con
l’illegittimità. Vizi di legittimità, sono definiti i tre vizi del provvedimento individuati dalla legge,
incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge.
Il provvedimento può essere perfettamente legittimo, perché conforme alle norme, ma inopportuno
perché inutile o dannoso. Il giudizio sull’opportunità del provvedimento è arbitrario. Ciò spiega
perché l’inopportunità del provvedimento amministrativo sia di regola irrilevante: è rilevante solo
quando è previsto un controllo (giurisdizionale o amministrativo) di merito, ipotesi rara.
Il giudice amministrativo ha imposto alle pubbliche amministrazioni il rispetto non solo delle norme
scritte, ma anche di principi generali, logicità e ragionevolezza dell’azione amministrativa e a
favorire l’effettiva realizzazione dell’interesse pubblico, evitando un eventuale eccesso di potere
(applicando principi di ragionevolezza, proporzionalità e buona fede).
I tre vizi di legittimità del provvedimento hanno lo stesso effetto: l’annullabilità. Il difetto di
motivazione porta ad un eccesso di potere ed è violazione della legge.
L’eccesso di potere
Perché il potere amministrativo venga validamente esercitato, non è sufficiente che tutte le norme
siano rispettate, ma è anche necessario assicurare la realizzazione dell’interesse pubblico, la figura
dell’eccesso di potere consente di verificare la realizzazione dell’interesse pubblico, ma non per
sindacare le scelte dell’amministrazione, ma per controllare che nel processo di formazione e di
attuazione di quelle scelte non vi siano circostanze che dimostrino che l’interesse pubblico non è
stato correttamente perseguito. La nozione è strettamente legata alla discrezionalità amministrativa,
in quanto il sindacato per eccesso di potere è una forma di controllo sul modo in cui
l’amministrazione compie le scelte che le sono riservate.
Le regole per stabilire ciò sono enunciate in forma negativa, il-logicità, dis-parità di trattamento, in-
giustizia manifesta, difetto di istruttoria), il giudice non può sindacare nel merito la scelta
dell’amministrazione, ma può controllare che non si siano verificate circostanze che sono indizi di
cattivo esercizio del potere.
Lo sviamento di potere con il perseguimento di un fine diverso da quello per il quale il potere
amministrativo è attribuito: per es. il licenziamento di un dipendente per ragioni di servizio, adottato
in realtà a scopo sanzionatorio.
Travisamento dei fatti, ad es. destinazione a zona boschiva al fine di mantenere il patrimonio
boschivo esistente, di un’area quasi totalmente e legittimamente edificata.
Disparità di trattamento: mantenimento in servizio di alcuni impiegati che hanno raggiunto i limiti
di età con esclusione di altri che si trovano nelle stesse condizioni.
Ingiustizia manifesta: esonero per scarso rendimento di un dipendente la cui capacità di lavoro sia
stata limitata da un infortunio sul lavoro.
I casi di illogicità: disposizioni amministrative che dopo aver imposto un divieto di circolazione
stradale per gli automezzi pesanti, viene ridotta la portata con numerose deroghe.
Difetto di istruttoria: chiusura del traffico automobilistico nel centro storico in assenza di adeguato
studio.
L’incompetenza
All’incompetenza vengono normalmente ricondotti i vizi relativi al soggetto, cioè a provvedimenti
emanati da un organo diverso da quello competente, nell’ambito della stessa amministrazione: il
sindaco anziché il consiglio comunale, se appartiene ad amministrazione diversa da quella che
detiene il potere (incompetenza relativa).
La violazione di legge
Con il termine legge si indica genericamente le norme giuridiche che disciplinano l’esercizio del
potere amministrativo, quindi la violazione di legge può derivare dalla violazione di norme
procedimentali, dall’assenza dei presupposti necessari per l’adozione del provvedimento, da vizi
nell’esternazione, dalla violazione di espliciti divieti contenuti nelle norme. La legittimità di un
provvedimento amministrativo va valutata con riferimento alle norme vigenti al momento.
L’annullabilità del provvedimento invalido
Abbiamo detto che l’ordinamento tende a mantenere la corrispondenza tra validità ed efficacia,
quindi garantisce gli effetti giuridici dei soli provvedimenti validi. Per garantire ciò attribuisce a
vari organi il potere di annullare un provvedimento invalido. Dall’altro lato però fino al suo
annullamento, il provvedimento efficace, anche se illegittimo, deve essere applicato, gli interessati
possono chiedere l’annullamento del provvedimento invalido.
La nullità
Per il provvedimento amministrativo invalido, l’ordinamento opta per lo schema dell’annullabilità,
a differenza di quanto fa per il contratto, per il quale alla violazione di norme corrisponde la nullità.
Però possono sorgere incertezze di due tipi: quelle relative alle modalità del suo esercizio e quelle
relative alla sua esistenza. Cioè può capitare che un potere sia esercitato violando le norme che lo
disciplinano, ma può capitare anche che venga esercitato un potere inesistente (come il potere di
condannare a morte o di espropriare un bene al di fuori dei casi previsti dalla legge).
Per il primo caso l’ordinamento può scegliere tra lo schema della nullità e quello dell’annullabilità
(di regola il secondo). Ma sono nulli gli atti di esercizio di poteri inesistenti: altrimenti potrebbero
acquistare efficacia leggi emanate da un consiglio comunale, o provvedimenti di espropriazione
emessi dal sindaco di un comune lontano.
Le cause di nullità
Tra le cause di nullità, la legge menziona in primo luogo il difetto degli elementi essenziali del
provvedimento. Non è facile stabilire quali siano gli elementi essenziali, in quanto manca una
norma analoga a quella del codice civile, che individua i requisiti del contratto.
Una delle cause di nullità è il difetto assoluto di attribuzione, l’amministrazione che pone in essere
un atto senza avere attribuito quel potere (carenza di potere). Quest’ultima può aversi nel caso della
c.d. incompetenza assoluta, cioè nessuna norma attribuisce ad alcuna autorità il potere
amministrativo che si pretende di esercitare.
Altra causa di nullità, si ha quando il provvedimento è emanato in violazione o esclusione del
giudicato. Ciò dipende dall’esigenza di evitare che l’interessato abbia l’onere di impugnarlo.
L’irregolarità
L’irregolarità è la condizione del provvedimento caratterizzato da una difformità, rispetto allo
schema normativo, il cui rilievo non è tale da viziare il provvedimento. Si tratta di una condizione
diversa dall’invalidità, ad essa la giurisprudenza fa riferimento per evitare l’annullamento dell’atto
la cui anormalità non dia tale da pregiudicare gli interessi tutelati dalle norme. Applicata per
anomalie relative all’esternazione (difetto dell’intestazione, mancata indicazione della data o del
numero di protocollo, irregolarità nella convocazione di un organo collegiale sanata dalla
partecipazione di tutti i componenti). L’irregolarità non incide sulla validità né sull’efficacia del
provvedimento, ma è rilevante per altri fini ad es. per la responsabilità del dipendente che ha
predisposto o emanato il provvedimento.
Tipologia
Ora vediamo i principali tipi di procedimento
Gli atti precettivi
Gli atti precettivi sono quelli volti alla definizione di norme giuridiche (atti normativi, come i
regolamenti amministrativi), o di prescrizione generale. La loro funzione è quella di regolare la
condotta degli uffici pubblici, per es. gli atti di organizzazione, i programmi di attività, le direttive, i
regolamenti di attuazione della 241/90. Regolano la condotta dei privati, atti volti alla fissazione di
prezzi e tariffe, autorizzazioni che regolano il trattamento dei dati personali ecc.
Regolano la condotta degli uni e degli altri i piani urbanistici, i bandi, i regolamenti edilizi dei
comuni ecc..
Le concessioni
Le concessioni sono atti con i quali le pubbliche amministrazioni disponendo di risorse riservate, le
concede ad un concessionario. Si possono concede beni pubblici (demaniali e denaro), servizi
pubblici (servizio idrico), lavori pubblici (progettazione e realizzazione di un opera. Vi sono anche
concessioni non patrimoniali, aventi per oggetto la cittadinanza, le onorificenze.
Alla base del regime di concessionario, vi è la sottrazione di una determinata risorsa alla
disponibilità dei privati, a volte la sottrazione dipende dal fatto che la risorsa è scarsa e quindi
bisogna regolarne l’uso (la spiaggia, le acque pubbliche), altre volte deriva da un’esigenza di
controllo per interessi pubblici come la sicurezza dei cittadini, l’esercizio di farmacie, la gestione di
giochi e scommesse. La concessione è spesso uno strumento non di disposizione di risorse scarse,
ma di governo dell’economia e di controllo sullo svolgimento di attività private (superata per
l’affermarsi del principio di concorrenza), quindi il regime concessionario viene sempre più spesso
sostituito dal regime autorizzatorio.
Il provvedimento di concessione soddisfa l’interesse del concessionario che ottiene la disponibilità
del bene e la possibilità di svolgere l’attività, e nello stesso tempo l’interesse dell’amministrazione,
che riceve un corrispettivo, un canone per l’uso del bene, o ottiene lo svolgimento di una attività di
pubblico interesse.
Il rilascio di una concessione può essere un procedimento ad iniziativa di parte, essendo avviati
dalla domanda dell’aspirante concessionario, oppure vi è un bando e la scelta avviene tra i diversi
aspiranti (procedura di concorso). Il concedente mantiene i poteri di controllo e sanzione sul
concessionario con istituti di decadenza, di revoca, e il riscatto (cioè la risoluzione del contratto e il
trasferimento degli impianti al concedente).
Una disciplina particolare si ha per le sovvenzioni, quindi per l’erogazione di denaro pubblico. La
Comunità europea tende a limitare gli aiuti concessi dagli Stati alle imprese, in quanto si altera la
concorrenza, quindi sono vietati con alcune eccezioni.
Le autorizzazioni
Le autorizzazioni servono a controllare la compatibilità dello svolgimento di attività privata con un
interesse pubblico, (guidare un autoveicolo, possedere un’arma, esercitare un commercio) queste
attività possono ledere un interesse pubblico (la sicurezza dei cittadini, la salute, lo sviluppo
dell’economia, il paesaggio), quindi la liceità dello svolgimento è spesso condizionata all’esito
positivo di un controllo preventivo.
Le autorizzazioni sono procedimenti ad iniziativa di parte, e sono una tecnica di controllo sulle
attività private.
Lo svolgimento di determinate attività private nell’esercizio di diritti Costituzionali non possono
essere soggette ad autorizzazione, (riunirsi, costituire un’associazione, manifestare) i pubblici poteri
possono solo intervenire successivamente per sanzionare violazioni (sciogliere una riunione
pericolosa o violenta).
Il diritto europeo considera il regime autorizzatorio strumento di restrizione dell’accesso ai mercati,
in quanto condizionato alla decisione discrezionale di un’autorità amministrativa, quindi si tende a
sostituire il regime autorizzatorio con un regime diverso, per es. quello dell’autorizzazione generale,
seguita da una denuncia di inizio attività. In altri casi si mantiene il regime autorizzatorio, ma
definendo i caratteri delle autorizzazioni, stabilendo che esse debbano rispettare i principi di
oggettività, non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità.
La politica di liberalizzazione induce a sostituire le autorizzazioni con meccanismi di controllo
successivo, il principale dei quali è la denuncia di inizio attività fatta dal privato
all’amministrazione competente. Il controllo da parte dell’amministrazione è comunque necessario
ma è successivo.
Fatta la denuncia l’interessato deve attendere trenta giorni, poi fatta una seconda dichiarazione, può
iniziare a svolgere l’attività. Entro i successivi trenta giorni (anche se decorsi per l’autotutela),
l’amministrazione può vietare la prosecuzione dell’attività.
Alla base del silenzio assenso vi è la politica della semplificazione, che risolve il problema
derivante dall’inerzia dell’amministrazione a fronte di un’istanza dell’interessato.
I provvedimenti ablatori
I provvedimenti ablatori sono quelli con i quali l’amministrazione sacrifica l’interesse di un privato,
imponendogli un obbligo di fare (come negli ordini), di non fare (come nei divieti) o di dare (come
negli atti di imposizione tributaria), o privandolo di un bene (come l’espropriazione). È forte il
conflitto tra interesse pubblico e interesse privato e si risolve sacrificando quest’ultimo.
Uno dei casi è l’espropriazione per pubblica utilità, solo nei casi previsti dalla legge, prevede
l’indennizzo e la sussistenza di un pubblico interesse per motivi di interesse generale.
I relativi procedimenti sono a iniziativa d’ufficio.
Le sanzioni amministrative
Le sanzioni amministrative servono a punire gli illeciti amministrativi, cioè i comportamenti
censurati dall’ordinamento, che non prevedono responsabilità penali o civili, ma amministrativi,
quindi la sanzione non viene irrogata da un giudice ma da una autorità amministrativa. Sanzioni
amministrative sono previste per la violazione di prescrizioni urbanistiche, delle norme edilizie, del
codice della strada. Le più frequenti sono le sanzioni pecuniarie.
Le sanzioni interdittive, impediscono l’esercizio di un diritto (sospensione della patente di guida).
La l. n. 689/81 contiene una disciplina generale delle sanzioni amministrative. Vale naturalmente
l’obbligo di motivazione, è previsto un termine perentorio per l’irrogazione dei provvedimenti
sanzionatori, i quali sono di regola impugnabili davanti al giudice ordinario.
Una categoria a se stante sono le sanzioni disciplinari previste per i pubblici dipendenti.
I provvedimenti di secondo grado
I provvedimenti di secondo grado sono quelli con i quali l’amministrazione interviene su precedenti
provvedimenti per modificarne, rimuovere o confermare gli effetti. Ciò può avvenire sulla base di
un ricorso amministrativo o su iniziativa dell’amministrazione. Nel primo caso il ricorso è proposta
da un’iniziativa di parte, che fa sorgere in capo all’amministrazione l’obbligo di provvedere
(accogliendo e rigettando il ricorso). Le norme sulla giustizia amministrativa disciplinano in
dettaglio i procedimenti innescati dai ricorsi amministrativi.
Nel secondo caso l’iniziativa è d’ufficio, non fa sorgere l’obbligo di provvedere e per rimuovere gli
effetti di un provvedimento, è necessario porre in essere un procedimento uguale a quello seguito
per la sua emanazione.
Vi sono atti che tendono alla conservazione degli effetti del provvedimento e quelli che tendono alla
loro interruzione, eliminazione o modifica. Tra i primi rientrano la conferma e gli atti di sanatoria,
tra i secondi l’annullamento d’ufficio, la revoca e la riforma.
Con la conferma assorbe il precedente atto e si sostituisce ad esso. È adottata a seguito di un nuovo
procedimento e di una nuova valutazione degli interessi ed è automaticamente impugnabile. Invece
l’atto confermativo che è la semplice dichiarazione che il potere è già stato esercitato (per richiesta
di riesame) non è automaticamente impugnabile.
Con la sanatoria viene eliminato un vizio.
La convalida è l’atto con il quale l’amministrazione dichiara l’esistenza del vizio e lo elimina,
riaffermando l’efficacia del provvedimento. Ovviamente può essere convalidato un provvedimento
viziato ma esistente, quindi annullabile non un provvedimento nullo o già annullato. Questo
provvedimento prende il nome di ratifica.
Molto più frequenti dei casi di sanatoria sono gli annullamenti d’ufficio, con il quale
l’amministrazione rimuove retroattivamente gli effetti di un proprio provvedimento, entro un
termine ragionevole ed in presenza di due presupposti: l’illegittimità del provvedimento e la
sussistenza delle ragioni di interesse pubblico, valutati tenendo conto degli interessi dei destinatari e
dei controinteressati. Ciò serve per ripristinare la legalità.
L’annullamento d’ufficio è peculiare del diritto amministrativo, rispetto ad altri atti giuridici i quali
possono essere annullati da un giudice. Ad es. il Parlamento può abrogare le leggi, ma solo la Corte
costituzionale può annullarle, i contraenti possono sciogliere un contratto per mutuo consenso, ma
l’annullamento può essere pronunciato da un giudice. Invece le pubbliche amministrazioni possono
annullare i propri provvedimenti, facendone valere l’illegittimità.
Con la revoca l’amministrazione fa cessare gli effetti di un precedente provvedimento, si distingue
dall’annullamento, sia per la causa (l’inopportunità e non l’invalidità), sia per l’effetto (non
retroattivo). È prevista solo per i provvedimenti ad efficacia durevole. Se la revoca comporta un
danno per l’interessato, l’amministrazione deve corrispondergli un indennizzo.
Oltre a confermare o rimuovere gli effetti del provvedimento l’amministrazione può modificarli. La
riforma in genere consiste spesso nell’annullamento o nella revoca parziale.
Infine vi è la soppressione che pone gli effetti del provvedimento in uno stato di quiescenza,
paralizzando le situazioni soggettive sorte sulla base del provvedimento stesso ed impedendo la sua
esecuzione. Essa è ammessa per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario e purché ne sia
esplicitamente indicato il termine, se tale indicazione manca il provvedimento di sospensione è
illegittimo (sospensione patente di guida, licenza porto d’armi).
I CONTRATI

Moduli convenzionali e azioni amministrative: contratti e accordi


Le amministrazioni tendono a preferire soluzioni concordate con i soggetti privati a soluzioni
imposte unilateralmente, quindi il diritto privato si intreccia con la disciplina amministrativistica.
Fatti salvi l’esercizio dei poteri autoritativi per il perseguimento dell’interesse pubblico e il rispetto
dei principi costituzionali. Ogni qual volta la pubblica amministrazione sottoscrive con un soggetto
privato o con un’altra amministrazione un documento con un contenuto predeterminato e vincolante
di diritti e di obblighi si ha un contratto (di tipo negoziale). L’amministrazione opera in posizione
paritetica con la controparte privata. Il diritto amministrativo interviene per regolare le modalità del
ricorso a tale strumento contrattuale, allo scopo di salvaguardare i principi alla base dell’azione
amministrativa. Quindi abbiamo varie formule di carattere negoziale, accordi amministrativi,
accordi di programma, intese, convenzioni, istituti di programmazione negoziata, contratti di
servizio e contratti di programma.
Si possono vedere elementi comuni a queste diverse formule convenzionali:
a) l’amministrazione si presenta a confronto con la controparte privata pur sempre in veste
autoritaria.
b) Dietro decisioni concordate, c’è la volontà dell’amministrazione (incentivata dalla legge) di
trasferire al di fuori della propria organizzazione la produzione di servizi, esternalizzazioni;
c) l’interesse pubblico non è solo il motivo dell’azione negoziale del soggetto pubblico, ma è
elemento interno alla causa dell’accordo in campi e settori dove l’amministrazione pubblica
agisce in posizione di primaria responsabilità;
d) La disciplina di diritto comune colma gli spazi lasciati vuoti dalla disciplina di diritto
amministrativo.
Quindi dalla descrizione degli elementi tipici dei moduli convenzionali può trarsi una linea di
demarcazione sufficientemente chiara tra contratto e accordo in senso stretto.
Il contratto è il prodotto dell’esercizio del potere negoziale che compete all’amministrazione,
fornita di piena capacità giuridica, può esercitare la capacità di autoregolamentazione dei propri
interessi, come manifestazione della propria autonomia contrattuale, fino al punto di stipulare
contratti misti. Diversamente dall’utilizzo che può essere fatto del provvedimento amministrativo,
esercizio del potere discrezionale, legato al principio di tipicità, a sua volta corollario del principio
di legalità.
Si pensi ad un accordo sull’utilizzo di un bene o sull’organizzazione di un servizio di interesse
pubblico, si tratta di oggetti sottratti alla libera circolazione e assoggettati ad un regime di
funzionalizzazione disposto dall’ordinamento, che compete al soggetto pubblico di amministrare, ad
esempio garantendo la libera fruizione da parte della collettività. Pertanto sono inquadrati in un
contesto a matrice prevalentemente pubblicistica.
L’amministrazione pubblica è oggi stimolata a cercare l’intesa con l’interessato, stipulando accordi
amministrativi o contratti di servizio.
La norma stabilisce che a garanzia dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione
amministrativa, in tutti i casi in cui una pubblica amministrazione conclude accordi, la stipulazione
dell’accordo è preceduta da una determinazione dell’organo competente per l’adozione del
provvedimento.
Due regole costitutive della disciplina dei rapporti derivanti da contratto: la durevolezza del vincolo
contrattuale e della sua capacità di produzione degli effetti che ne conseguono per tutto il tempo
stabilito. Il contratto ha forza di legge tra le parti, non può essere sciolto che per mutuo consenso o
per cause ammesse dalla legge.
Differente è il regime dell’accordo. La decisione amministrativa di tipo discrezionale è assunta sulla
base di una determinata comparazione e ponderazione degli interessi pubblici e privati in gioco.
Il mutamento dell’assetto degli interessi pubblici, consentono all’amministrazione di intervenire
sull’accordo già concluso, recedendo unilateralmente da esso, salvo l’obbligo di provvedere alla
liquidazione di un indennizzo in relazione al danno.
Procedura amministrativa e strumento negoziale
Dobbiamo tenere presente che gli elementi di disciplina amministrativistica si intrecciano con quelli
di disciplina civilistica. Anche se l’azione amministrativa viene realizzata mediante contratti o
accordi, si applicano le modalità tipiche dell’agire amministrativo, cioè l’agire per procedimenti.
Gli accordi amministrativi rappresentano solo uno dei possibili accadimenti che si realizzano a
seguito dell’avvio, di un procedimento amministrativo. Il potere amministrativo, deve pervenire ad
una manifestazione espressa, l’accordo può essere una forma di tale manifestazione, determinando
il contenuto dell’atto finale (accordo integrativo o preliminare). Nel momento in cui si pervenga a
positiva conclusione, la ricerca del consenso diviene determinante per la stessa conclusione del
procedimento, fermo restando che in caso negativo, la potestà dell’amministrazione di ricorrere
all’esercizio del potere unilaterale.
Abbiamo le convenzioni accessive o concessioni, ad es. per la regolazione dell’utilizzo di beni
pubblici (concessioni-contratto), qui l'accordo è spesso necessario, in quanto previsto dalla norma, è
sovente esterno al procedimento, soprattutto quando si pone in sequenza di tempo intervallata
rispetto al provvedimento concessionario, ma è in funzione al procedimento e al potere
discrezionale di amministrazione del bene.
Contratti di servizio, anche qui l’accordo è necessario, ma è stabilito che il suo schema sia allungato
al capitolato predisposto dall’ente locale per la gara indetta per l’affidamento del servizio.
Per quanto riguarda i contratti, è totalmente invertita il collegamento con il procedimento. Il
contratto, infatti, è come veicolo della determinazione consensuale della regolazione dell’interesse
pubblico e dell’interesse privato, ed è lo strumento individuato dall’amministrazione per lo
svolgimento della propria azione in vista del perseguimento dell’interesse pubblico.
L’amministrazione contraente svolge una serie di atti, rendere visibili i motivi di interesse pubblico
che presiedono la scelta contrattuale, nonché i modelli di gestione delle risorse finanziarie che
vengono impegnate dall’amministrazione nell’esercizio della propria azione contrattuale. Nel
contempo vengono poste le condizioni ad assicurare, ai soggetti interessati, a partecipare allo
scambio contrattuale. Chiamate le procedure della “evidenza pubblica”, atti di qualificazione posti
in funzione di garanzia della convenienza amministrativa da un lato, e di garanzia delle opportunità
imprenditoriali dall’altro.
Le fonti del diritto comunitario
Il rapporto tra diritto civile ed amministrativo applicabile ai contratti della pubblica
amministrazione è stato notevolmente complicato dallo sviluppo del processo di integrazione
europeo, che mira a garantire una più ampia liberalizzazione del settore.
Il Trattato prevedeva: il divieto di discriminazioni effettuate sulla base della nazionalità, il divieto
delle restrizioni alle importazioni, la libera prestazione di servizi, il divieto di misure restrittive della
concorrenza all’interno della Comunità. Gli appalti pubblici nazionali sono stati aperti alle imprese
dei diversi Stati membri, al fine di conseguire lo sviluppo della competitività internazionale. Questo
dovuto alla necessità di creare un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza.
Le fonti del diritto interno: le fonti statali
Le fonti normative interne, sono: il codice civile (principi di autonomia contrattuale, buona fede,
correttezza nel comportamento negoziale, di diligenza, di responsabilità), la legge di contabilità
dello Stato e il relativo regolamento (principi di imparzialità e convenienza amministrativa,
massima partecipazione e della par condicio degli aspiranti al contratto, maggiori entrate e minori
spese dell’amministrazione). La legge di contabilità dello Stato vale per tutte le amministrazioni
statali, sono previste anche normative particolari per alcune amministrazioni, Ministero della difesa.
I contenuti delle discipline speciali sono fortemente derogatori alla disciplina generale, in quanto
adeguate ad esigenze diversificate, ma comunque sempre con obiettivo di semplificazione e di
modernizzazione delle procedure.
Il diritto comunitario nell’ambito della contrattualità delle amministrazioni pubbliche, definisce una
soglia minima, in relazione all’importo del contratto, superando la quale la normativa esige
applicazione uniforme da parte delle amministrazioni nazionali. Soglie diverse in base al tipo di
appalto. Anche se la più recente giurisprudenza comunitaria ha sancito che pure per i contratti
pubblici sottosoglia si applicano i principi generali del diritto comunitario, specie i principi di non
discrezionalità, parità di trattamento, concorrenza e trasparenza. Queste sono state recepite
dall’ordinamento italiano, con esclusione dei alcuni settori acqua, elettricità, gas e trasporti.
Le fonti regionali. I capitolati
Tra le fonti della materia contrattuale per le pubbliche amministrazione abbiamo i capitolati (o
capitoli) d’onere, che si dividono in capitolati generali e capitolati speciali. I primo contengono le
condizioni che possono applicarsi indistintamente ad un determinato genere di lavoro, appalto o
contratto e le forme da seguirsi per le gare; i secondi riguardano le condizioni che si riferiscono più
particolarmente all’oggetto del contratto. Nei capitolati speciali è indiscussa la natura contrattuale, e
sono equivalenti agli atti che contengono le condizioni generali del contratto. Il capitolato generale
dei lavori pubblici dello Stato ha natura regolamentare.
Il mercato dei contratti delle amministrazioni pubbliche
L’area dei contratti delle pubbliche amministrazioni rappresenta un caso importante di mercato
regolamentato. Abbiamo da un lato la domanda di beni, servizi e lavori avanzata dalle pubbliche
amministrazioni, dall’altro i produttori e fornitori appartenenti ai vari settori economici. Vi è una
notevole rilevanza delle dimensioni quantitative della domanda pubblica, che in alcuni casi copre
quasi l’intero mercato di riferimento (industria della difesa). In considerazione della specifica
posizione delle amministrazioni nell’ordinamento e nella società, il mercato delle forniture e degli
appalti pubblici deve essere un mercato regolamentato, le ragioni di una disciplina pubblica del
settore è tuttora ben illustrata nella Comunicazione della Commissione europea dell’11 marzo 1998
su Gli appalti pubblici dell’Unione europea, ove si afferma che “efficienza nelle procedure
d’appalto si configura come particolarmente importante alle soglie dell’avvento della moneta unica
e nell’attuale clima di stabilità finanziaria. Una politica efficace nel settore degli appalti pubblici,
frenando l’inefficienza della spesa pubblica e fornendo un importantissimo strumento di
prevenzione della corruzione, potrà dare la certezza ai contribuenti di un corretto investimento del
loro denaro e rafforzare così la fiducia del pubblico in coloro che governano.
I principi della regolazione del mercato dei contratti pubblici
Oggi i principi della regolazione in materia sono essenzialmente principi di garanzia, derivanti da
una pluralità di motivi, alcuni derivanti nella prospettiva della parte pubblica, altri dalla parte
privata. In primo luogo la garanzia della conformità dell’azione amministrativa che si svolge
mediante contratti, al vincolo del fine, che per l’amministrazione pubblica si concretizza nella cura
dell’interesse specifico. Principio importante è quello di legalità.
In secondo luogo la garanzia della correttezza formale e della convenienza economica nella
gestione delle risorse pubbliche, sia che comporti un entrata, sia che comporti una spesa.
In terzo luogo la garanzia della diligenza, lealtà, e correttezza dell’agire dei pubblici funzionari,
attraverso criteri atti ad assicurare uno svolgimento imparziale della loro funzione ed allontanare i
sospetti di collusione o conflitto di interesse.
In quarto luogo, la garanzia della pari condizione degli operatori economici.
Infine il principio della legalità, come principio della pretesa del soggetto privato all’osservanza da
parte dell’amministrazione di comportamenti previsti dalla legge, che assicura parità di chances di
successo nel mercato dei contratti.
Le regole dell’attività
La regola fondamentale, attraverso la quale si vogliono realizzare i principi appena illustrati, è
quella per la quale l’amministrazione pubblica deve procedere alla scelta del contraente e alla
conclusione del contratto mediante una procedura di gara formalizzata, cioè una sequenza di atti ed
operazioni dell’amministrazione agente e delle imprese interessate, previsti da norme di legge e
regolamenti. Questa è la modalità più sicura di garanzia per tutti gli ordini di ragione. Anche
l’ordinamento comunitario ha volto la sua attenzione soprattutto agli aspetti in grado di consentire
la tutela di quei principi di trasparenza, pubblicità, non discriminazione e parità di trattamento,
come forza espansiva per l’intero settore dei contratti delle pubbliche amministrazioni e corollario
del principio fondamentale della libera concorrenza.
Per garantire adeguata pubblicità e trasparenza delle procedure, sono state stabilite delle direttive
prescrizioni:
a) obblighi dell’amministrazione di pre-informazione circa le intenzioni contrattuali e post-
informazione circa l’aggiudicazione delle procedure già concluse.
b) Forme adeguate di pubblicazione dei bandi di gara e degli inviti a partecipare;
c) Termini sufficientemente ampi
d) Predeterminazione dei requisiti tecnico-organizzativi ed economico-finanziari delle imprese;
e) Predeterminazione delle norme tecniche da assumere come parametro;
f) Delimitazione dei sistemi di aggiudicazione secondo criteri oggettivi;
g) Modalità di valutazione da parte dell’amministrazione delle offerte troppo basse;
h) Vincolo di motivazione per l’amministrazione delle proprie scelte.
Alle procedure di evidenza pubblica si applica il principio di efficienza, criteri di ragionevolezza
che cercano di dare soluzioni equilibrate alle diverse esigenze, celerità e semplificazione.
Diritto di accesso ai documenti amministrativi, tutela della riservatezza legata ad esigenze aziendali
e di corretta competizione sul mercato delle imprese che si sono e che intendono candidarsi per il
contratto.
Tensione tra obiettivi nazionali e comunitari in alcuni settori particolari (sostenibilità ambientale,
sviluppo di alcune regioni, lotta contro la disoccupazione o di maggior favore ad alcune categorie di
lavoratori o per lavoratori in particolari situazioni di disagio, lotta corruzione e criminalità). Si è
raggiunto un punto di equilibrio stabilendo che le amministrazioni aggiudicatici possono esigere
condizioni particolari in merito all’esecuzione dell’appalto, purché siano compatibili con il diritto
comunitario e siano precisate nel bando di gara o nel capitolato d’oneri. Le condizioni di esecuzione
possono basarsi su considerazioni sociali e ambientali.
I soggetti
Amministrazione aggiudicatrice, cioè assoggettata ad eseguire le procedure della evidenza pubblica,
ma non è soltanto l’ente pubblico, ma qualsiasi organismo, dotato di personalità giuridica e
costituito per finalità di interesse generale a carattere non economico, che sia funzionalmente
collegato con lo Stato, Regioni, enti locali o enti pubblici, attraverso l’intestazione a queste ultime
amministrazioni di un potere di controllo, direzione, vigilanza, nomina o di finanziamento,
organismo privato di interesse pubblico, tutti assoggettati alle procedure di evidenza pubblica.

Sul versante dei soggetti privati, una prima questione posta in rilievo è quella della qualificazione
delle imprese aspiranti alla partecipazione della gara. Abbandono, in particolare per i lavori
pubblici, del precedente sistema dell’iscrizione all’Albo nazionale dei costruttori, per un diverso
sistema di accertamento dei requisiti di qualità, professionalità.
Altra questione è quella dei soggetti collettivi o comunque delle forme associate legittimate a
presentare offerte nelle gare, abbiamo società e consorzi, consorzi fra società cooperative di
produzione di lavoro, quindi è stata introdotta la figura del raggruppamento o associazione
temporanea di imprese, in forme associative di tipo orizzontale e verticale. Nella prima forma, più
imprese aventi analoghe capacità tecniche, si riuniscono al fine di realizzare una prestazione di
dimensioni superiori, con rappresentanza anche processuale ad una di esse, la capogruppo; mediante
la seconda, più imprese con capacità tecniche differenziate e specializzate conferiscono mandato ad
un’impresa capogruppo, ciascuna per l’esecuzione di una parte scomponibile della prestazione,
restando l’impresa capogruppo responsabile solidalmente nei confronti dell’amministrazione
aggiudicatrice.
Si riapre la questione se il possesso dei requisiti minimi previsti per la partecipazione alla gara
debbano essere accertati in capo ad un’unica impresa, ancora la giurisprudenza non è chiara,
pertanto vi è un’ampia flessibilità ai fini della valutazione delle diverse relazioni tra singoli
operatori economici.
Tipologia dei contratti delle amministrazioni pubbliche
I contratti conclusi dalle pubbliche amministrazioni sono assoggettabili a classificazioni diverse:
A seconda della causa del contratto
Possiamo distinguerli in:
- contratti tipici, sono: vendita, somministrazione, locazione, appalto, trasporto ecc. nei
confronti di questi tipi contrattuali non esistono limitazioni di genere per le pubbliche
amministrazioni. Ad es. molto discusso il contratto di compravendita di cosa futura avente
per oggetto un bene immobile in luogo di un contratto di appalto, pur non previsto nella
legislazione statale di contabilità, il Consiglio di Stato ha stabilito che non può essere
escluso dall’ordinamento delle amministrazioni, anche se deve essere circondato da cautela
per evitare simulazioni e frodi alla legge, quindi l’amministrazione deve dare conto di una
serie di accertamenti e valutazioni.
- Misti, sono quelli risultati dalla combinazione di più tipi previsti dal codice civile, ad es.
contratto di appalto per lavori e servizi, o per lavori e fornitura di beni. La disciplina
applicata è in base al criterio della prevalenza economica, cioè del maggiore valore del tipo
di prestazioni, ovvero secondo il criterio della relazione principale-accessorio oggetto del
contratto.
- Poi vi è una figura di contratto integralmente nuova, anche questa è una manifestazione
dell’autonomia contrattuale, espressamente prevista dalla disciplina: le parti possono anche
concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purché
diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela (leasing, factoring, brokering assicurativo,
engeenering, global service, performance bond, project financing, sponsoring).
A seconda dell’interesse economico
Dal punto di vista dell’interesse economico, i contratti possono distinguersi in contratti attivi e
passivi. Quindi in base agli effetti del contratto sul bilancio dell’ente pubblico: attivi quei contratti
che comporteranno l’acquisizione di una entrata a vantaggio del bilancio, passivi comportano un
esborso di denaro. Se invece si considera l’incidenza sul patrimonio dell’ente pubblico, allora un
contratto passivo come l’appalto per la realizzazione dell’opera pubblica si trasforma in un
incremento del patrimonio, e ricevere un’alienazione di un immobile, si trasformerà in un
decremento del patrimonio pubblico.
A seconda della disciplina
Dal punto di vista della disciplina cui è assoggettato il singolo contratto, si distinguono in contratti
di diritto comune e contratti di diritto speciale. I contratti di diritto comune sono quelli previsti dal
codice civile (compravendita, locazione). I contratti di tipo speciale, sono essenzialmente quelli in
relazione ai quali una pubblica amministrazione è necessariamente una delle parti e predetermina
regole specifiche di svolgimento del rapporto, ad es. giochi e scommesse o debito pubblico. Nei
giochi e scommesse la pubblica amministrazione partecipa come organizzatore del gioco dando vita
ad un contratto bilaterale, presiede e controlla lo svolgimento del gioco e funge da intermediario tra
i vari scommettitori, dando vita anche ad un contratto plurilaterale con i partecipanti.
Nel caso del debito pubblico, il soggetto pubblico stipula un contratto di mutuo con il sottoscrittore
di appositi titoli rappresentativi del debito assunto e sottoposti a specifica disciplina.
Procedure dell’evidenza pubblica e formazione del contratto
Le procedure di evidenza pubblica per la formazione dei contratti della pubblica amministrazione
sono articolate in quattro fasi, il loro centro nell’attività preparatoria e di svolgimento della gara tra
aspiranti al contratto.
La deliberazione di contraente
La prima fase è costituita dalla assunzione della deliberazione di contrattare. Con tale atto sono
predeterminati gli scopi, i criteri, i contenuti e le modalità della successiva attività, che
l’amministrazione porrà in essere in vista dell’obbligazione contrattuale, e fissa i parametri che
l’autorità di controllo dovrà tenere presente nell’approvazione del contratto concluso. Questa
attività però non è espressamente disciplinata dalla norma generale di contabilità dello Stato, ma è
considerato un mero atto interno dell’amministrazione.
Con riguardo all’attività contrattuale degli enti locali trova una più puntuale definizione di ordine
legislativo. È stabilito che la stipulazione dei contratti deve essere preceduta da apposita
determinazione del responsabile del procedimento di spesa, indicante:
a) il fine che il contratto intende perseguire;
b) l’oggetto del contratto e le clausole ritenute essenziali;
c) le modalità di scelta del contraente
l’atto in questione è la dichiarazione di intento delle amministrazioni circa la sua volontà di
stipulare un contratto di un certo tipo. È la base di riferimento per la vera e propria attività
contrattuale, e si pone anche come la conclusione di una prima fase di attività preparatoria.
La scelta del contraente
La seconda fase è costituita dal complesso degli atti e delle operazioni per la scelta del contraente, i
quattro sistemi per l’individuazione del contraente sono: Pubblico incanto o asta pubblica,
licitazione privata, appalto-concorso, trattativa privata. I primi due sono caratterizzati dalla
meccanicità del modo di aggiudicazione del contratto, con una procedura concorsuale la gara di tipo
formalizzato. Gli altri due mancano di automatismi, infatti per la trattativa priva, vi è anche la
possibilità di escludere una pluralità di soggetti.
Le innovazioni apportate dal diritto comunitario hanno rafforzato l’adozione del principio di
concordualità, come modalità essenziale per la scelta del contraente, comunque anche adottando
altri sistemi, è possibile verificare la legittimità della procedura, della regola per cui la limitazione
della partecipazione alla gara, non può e non deve tradursi in violazione del principio di effettiva
competizione, né tanto meno produrre situazioni di discriminazione a danno dei soggetti candidati.
La stessa trattativa privata, cioè la meno formalizzata delle procedure, seppur limitata ad alcuni casi
consentiti dalla normativa, si avvicina alle procedure di gara. Attraverso l’obbligo
dell’amministrazione di provvedere alla preliminare pubblicazione di un bando.
Nella stessa direzione, quindi rafforzando la possibilità di competizione, i c.d. obblighi di
preinformazione: si tratta delle comunicazioni che le pubbliche amministrazioni sono tenute a dare
circa le caratteristiche essenziali degli appalti di lavori e servizi e delle forniture la cui realizzazione
sia stata deliberata dalle amministrazioni stesse con riferimento ad un arco di tempo predeterminato.
In terzo luogo la normativa comunitaria ha indotto alla riformulazione dei criteri di aggiudicazione,
il prezzo non è più solo il criterio decisivo.
In Italia il legislatore ha individuato procedure aperte, ristrette e negoziate.
La procedura aperta
Alle procedure di gara aperta il legislatore italiano ha ricondotto la procedura per il pubblico
incanto o asta pubblica, già disciplinata dalla normativa nazionale di contabilità dello Stato.
Garantisce massima competitività tra i soggetti aspiranti, ha avvio con la pubblicazione di un bando
di gara o avvio d’asta.
Il bando di gara è soggetto a rigoroso regime di pubblicità Gazzetta ufficiale europea per i contratti
sopra soglia, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana e in alcuni giornali di larga
diffusione nazionale. Contiene le clausole ordinatorie della gara, le modalità applicative del criterio
di aggiudicazione, gli adempimenti di ordine amministrativo e finanziario posti a carico dei
partecipanti, il mancato rispetto comporta esclusione dalla competizione.
L’amministrazione ha il potere di escludere dalla gara persone o ditte, con l’obbligo di motivazione,
quindi nel bando vengono anche inseriti i requisiti di idoneità. La normativa ha previsto con
riferimento ai diversi tipi di appalto, distinti requisiti di capacità tecnica, economica e finanziaria,
per i partecipanti. Tale potere però è circoscritto nel suo esercizio da un criterio di ragionevole
corrispondenza e proporzionalità. Il bando di gara, insieme al capitolato speciale, vale come offerta
al pubblico, con la conseguente offerta del soggetto privato, con un contenuto di accettazione
dell’oggetto della prestazione indicato nel bando e di formulazione della proposta con il relativo
prezzo. Diverse sono le modalità di raccolta delle offerte di prezzo: “pubblico banditore”,
“estinzione delle candele vergini”, “offerte segrete da confrontarsi poi col prezzo massimo o
minimo prestabilito e indicato in una scheda segreta dell’amministrazione”, “offerta segreta da
confrontarsi poi col prezzo a base d’asta”, comunque per la sua assoluta decisività, l’elemento finale
è il prezzo.
Il contratto è aggiudicato al concorrente che abbia presentato l’offerta più vantaggiosa, che è quella
che contiene il prezzo migliore, o confrontando il minimo e il massimo, a seconda del tipo di
contratto.
Le procedure ristrette
Nelle procedure ristrette rientrano la licitazione privata e l’appalto concorso, limitando così la
platea dei partecipanti alla gara. Gli operatori dei vari settori ricevono da parte dell’amministrazione
l’invito formale a formulare l’offerta. È un vero e proprio caso di discrezionalità tecnica, la
discrezionalità era così ampia da permettere il verificarsi di abusi e favoritismi. Quindi per
sopperire a tale inconveniente è stato introdotto per la licitazione privata, l’istituto del preventivo
avviso di gara con funzione di sollecitazione di manifestazioni di interesse da parte dei possibili
candidati in vista dei successivi inviti. L’Amministrazione fa una proposta contrattuale
rigorosamente predeterminata in ogni suo elemento (tranne il prezzo), senza possibilità di proporre
condizioni aggiuntive o modifiche. Tale processo ha raggiunto il suo apice con una disposizione del
1994, per cui l’amministrazione deve invitare tutti i soggetti che abbiano formulato richiesta. Ma
anche la disciplina comunitaria seppur favorevole al principio di più ampia accessibilità alla gara da
parte delle imprese, aveva utilizzato il criterio della forcella, prevedendo un numero minimo e
massimo di partecipanti. Per l’aggiudicazione sono previsti gli stessi metodi dell’asta pubblica,
valutando il prezzo delle offerte pervenute. Il tutto è stato innovato introducendo il concetto di
offerta economica più vantaggiosa, in cui l’elemento prezzo perde il suo ruolo esclusivo, ampliando
il margine di valutabilità da parte dell’amministrazione appaltante.
Il sistema dell’appalto-concorso costituisce una forma di gara utilizzata quando l’amministrazione
ha necessità di avvalersi di imprese particolarmente idonee a predisporre progetti di opere, di una
certa complessità tecnica. L’amministrazione si limita a fornire un progetto di massima con l’onere
delle imprese a determinare il prezzo e di definire il progetto particolareggiato delle opere. Quindi è
necessariamente una gara ad inviti che si svolge sulla base del progetto preliminare. La scelta non
avviene sulla base del progetto migliore, ma preferibile, secondo un giudizio discrezionale
dell’amministrazione, in genere la scelta è demandata ad apposita commissione. Quindi il prezzo si
combina con la valutazione degli elementi di ordine tecnico e le condizioni della sua realizzazione,
tenendo conto anche delle garanzie di capacità e serietà che presentano gli offerenti.
La procedura negoziata
La trattativa privata ha luogo quando, dopo aver interpellato più persone o ditte, si tratta con una di
esse (procedura negoziata). È un sistema di scelta del contraente utilizzabile per speciali ed
eccezionali circostanze. L’amministrazione procedente deve dare un’accurata motivazione in sede
di deliberazione, circa le ragioni dell’adozione di questo sistema di contrattazione, in quanto il
legislatore ha inteso circoscrivere il suo utilizzo. Quindi in linea di principio, per quanto concerne
l’attività di contrattazione vera e propria, l’amministrazione opera libera da particolari forme
procedimentali, o meglio opera con la libertà garantita dal regime privatistico, rispettando il vincolo
del fine.
La stipulazione del contratto
Il verbale di aggiudicazione, steso da apposito funzionario designato quale funzionario rogante, è
l’ultima operazione delle procedure di gara formalizzata. Il verbale equivale per ogni effetto legale
al contratto, qualora questo non abbia tale valore si procede nel più breve termine alla stipulazione
del contratto. La necessità di procedere a separata e successiva stipulazione, può verificarsi per due
motivi.
1) nel caso in cui siano stati utilizzati i sistemi di appalto-concorso e della trattativa privata,
poiché il contenuto dell’accordo necessita ancora di puntuale determinazione anche dopo la
scelta del progetto. Inoltre nel caso di appalto concorso la scelta è fatta da una commissione
che necessita poi di approvazione da parte dell’organo competente dell’amministrazione
aggiudicatrice. Nella trattativa privata manca totalmente un formale processo di
aggiudicazione, quindi il vincolo si forma con la stipulazione del contratto.
2) A volte è previsto dal bando o nella lettera di invito, di trasferire a questo momento l’effetto
di insorgenza del vincolo obbligatorio, ciò in vista della costituzione di rapporti negoziali
complessi, in questo modo ci si riserva la possibilità di fissare con l’atto contrattuale
clausole integrative.
È regolata anche la competenza e le modalità di stipulazione, è disciplinato anche l’uso della firma
elettronica per la stipulazione di contratti in via informatica. Distinguendo la sfera politica da quella
amministrativa, per gli enti locali e per le altre pubbliche amministrazioni, la competenza alla
stipulazione dei contratti rientra oggi nell’area di competenza dei dirigenti.
L’approvazione del contratto
Il passaggio del contratto alla fase di esecuzione è condizionato dall’approvazione del contratto da
parte dell’autorità competente, i contratti non sono obbligatori per l’amministrazione finché non
sono approvati dal ministro o dall’ufficiale all’uopo delegato e sono eseguibili solo dopo
l’approvazione. A questa interpretazione se ne contrappone un’altra, sostenuta talvolta dalla
giurisprudenza, l’atto approvativi ha solo funzioni di controllo, quindi il contratto è già perfetto.
Gli aspetti alla funzione di controllo sono attinenti alla competenza, ai parametri e agli effetti del
controllo medesimo. Spetta ai dirigenti amministrativi di tutti gli atti che impegnano
l’amministrazione verso l’esterno. Per quanto riguarda i contratti delle amministrazioni statali, i
decreti di approvazione rimangono sottoposti al successivo controllo esterno della Corte dei conti.
In secondo luogo la funzione di controllo attiene sia alla legittimità che al merito, quindi comporta
non solo la verifica della conformità del contratto alle norme, alle deliberazioni, al bando e alle
clausole dei capitolati, oltre che all’esistenza della necessaria copertura finanziaria.
Le alternative all’evidenza pubblica
L’ordinamento comunitario e nazionale, a determinate condizioni, prevedono forme di
contrattazione alternativa, per favorire alleggerimenti da vincoli procedurali.
La spesa in economia
Le pubbliche amministrazioni possono realizzare determinati lavori, servizi e forniture, entro limiti
di somma prefissata, mediante atti di funzionari autorizzati, i quali sotto la propria responsabilità,
provvedono direttamente all’acquisto di beni, servizi, materiali e all’assunzione di tecnici ed operai
(amministrazione diretta) o all’appalto con imprenditori noti all’ufficio procedente (cottimo
fiduciario). Le attività così realizzate sono accompagnate dall’obbligo del rendiconto finale
periodico delle somme messe a disposizione dell’amministrazione. I lavori in economia possono
essere eseguiti entro il limite di cinquantamila euro o col sistema del cottimo fiduciario entro il
limite di duecentomila euro. Qui si procede ad una gara ufficiosa sul modello della trattativa
privata, di norma sottratta al momento dell’approvazione. Prevale l’aspetto fiduciario ponendo in
secondo piano il profilo legato all’imparzialità dell’azione amministrativa.
L’affidamento diretto
L’affidamento diretto è una variante delle spese in economia, infatti si può prescindere dalla
richiesta di pluralità di preventivi, nel caso di nota specialità del bene o servizio da acquisire o
lavori, in relazione alle caratteristiche tecniche e di mercato e quando la spesa non supera
l’ammontare di ventimila euro escluso IVA. Del resto era già possibile procedere alla trattativa
privata nel caso di acquisto di macchinari, strumenti e oggetti di precisione che una sola ditta può
fornire con i requisiti tecnici e il grado di perfezione richiesti.
Forme di affidamento diretto sono anche le convenzioni-quadro unitamente stipulate per le
amministrazioni statali dal Ministero dell’economia e delle finanze a seguito di procedure
competitive gestite dalla Consip, a quest’ultima si può procedere all’affidamento diretto in quanto
società a totale partecipazione statale. Con tali convenzioni l’impresa prescelta si impegna ad
accettare fino a concorrenza della quantità massima complessiva stabilita dalla singola convenzione
ed ai prezzi e condizioni già stabiliti, per il periodo di validità della convenzione.
L’affidamento alla Consip può rientrare nelle categorie denominate dalla giurisprudenza
comunitaria, appalti in house, cioè affidamento diretto di contratti a soggetto formalmente distinto
dall’ente pubblico, ma l’ente pubblico esercita un potere penetrante di controllo, analogo a quello
che eserciterebbe se la stessa attività fosse svolta direttamente.
L’e-procurement
Con l’e-procurement si indica il sistematico ingresso dei sistemi informatici e telematici nell’attività
contrattuale delle pubbliche amministrazioni, mirate a conseguire obiettivi di ampliamento delle
economie di scala, maggiore trasparenza del confronto competitivo e sua velocizzazione, riduzione
dei costi. Tutte le pubbliche amministrazioni possono ora affiancare alle tradizionali procedure
contrattuali, procedure telematiche di gara. Però le procedure telematiche devono essere precedute
da specifiche fasi di abilitazione aperte al pubblico, comportanti una sorta di albi di soggetti
legittimati, aventi efficacia limitata nel tempo.

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