Edward Said, Nel segno dell’esilio: riflessioni, letture e altri saggi
17. Riflessioni sull’esilio [estratti]
L’esilio è qualcosa di singolarmente avvincente a governanti dispotici e totalitari, è il tempo dei
pensarsi, ma di terribile a viversi. È una crepa rifugiati, dei profughi, dell’immigrazione di massa. incolmabile, perlopiù imposta con forza, che si Di contro a questo scenario vasto e impersonale insinua tra un essere umano e il posto in cui è nato, l’esilio non può venire invocato a sostegno di ipotesi tra il sé e la sua casa nel mondo. La tristezza di fondo umanistiche: per le proporzioni che assume nel XX che lo definisce è inaggirabile. Se è vero che la storia secolo non è più comprensibile né esteticamente né e la letteratura sono gremite di gesta eroiche e slanci umanisticamente. La letteratura sull’esilio potrà romantici, di imprese gloriose e azioni trionfali tutte tutt’al più restituire un senso di angoscia e di compiute da vite in esilio, tali episodi non sono che indecidibilità che pochi hanno vissuto in prima meri tentativi di lenire il dolore inconsolabile persona; ma pensare l’esilio che informa questa provocato dal distacco e dall’estraneità. Le conquiste letteratura come qualcosa di potenzialmente benefico di un esule sono costantemente minate dalla perdita e “umanistico” significa prima di tutto banalizzarne di qualcosa che si è lasciato per sempre alle spalle. le mutilazioni: il costante senso di perdita inflitto a Eppure, una volta ammesso che l’esilio allude di coloro che lo provano sulla pelle, il silenzio sordo che per sé a una condizione di perdita definitiva, perché oppone a ogni tentativo di interpretarlo come mai la rappresentazione che se ne dà nella cultura qualcosa di “positivo”, di good for us. Non è forse vero moderna ha potuto tradursi in un tema tanto potente che le visioni dell’esilio che affollano la letteratura e e ricco di suggestioni? Abbiamo iniziato a la religione finiscono per trasfigurare ciò che in realtà familiarizzare con l’idea di una modernità orfana, esso contiene di autenticamente terribile: che l’esilio spiritualmente alienata: l’era dell’ansia, dello è una condizione irrimediabilmente secolare e straniamento generalizzato. Nietzsche ci ha insopportabilmente storica; che è sempre insegnato il disagio nei confronti di ogni tradizione, un’imposizione che alcuni esseri umani esercitano su Freud a vedere nella stessa intimità familiare la altri esseri umani, che, come la morte, ma senza il facciata rispettabile di una violenza sorda, parricida e definitivo “beneficio” che questa concede, ha incestuosa. La cultura dell’Occidente moderno è in strappato milioni di persone al nutrimento di una larga parte il prodotto di esuli, emigrati, rifugiati. tradizione, una famiglia, una geografia? Negli Stati Uniti, per esempio, il pensiero […] ogni tentativo di cogliere la specifica accademico, intellettuale ed estetico, è quello che è in punizione politica che definisce oggi l’esilio deve primo luogo grazie a chi è fuggito dai fascismi, dal necessariamente misurarsi con territori di esperienza comunismo o da altri regimi – conseguenza più o che si pongono al di là di quelli mappati dalla meno immediata ma reale della repressione e letteratura di e sull’esilio: occorre allora accantonare dell’espulsione in massa di dissidenti. Ciò ha indotto Joyce e Nabokov, e rivolgersi direttamente alle George Steiner ad avanzare la tesi più che fondata per innumerevoli masse in soccorso delle quali sono state cui un intero genere della letteratura occidentale del create le agenzie umanitarie delle Nazioni Unite. XX secolo dovrebbe considerarsi “extra-territoriale”: Occorre abbandonare la propria casa e i propri campi una letteratura da e sull’esilio, che ipostatizza questo senza alcuna speranza di potervi fare ritorno, armati tempo come il tempo dei rifugiati. Scrive Steiner: solo di una carta per le razioni di cibo e del numero che è stato assegnato loro da un’agenzia umanitaria. sembra sensato, quasi fisiologico, che tutti coloro che Parigi può ancora essere considerata la capitale creano arte in una civiltà semi-barbara, che ha saputo produrre un’enorme massa di sradicati, passando da una rinomata in tutto il mondo per i suoi altrettanto lingua all’altra si trasformino in poeti erranti e senza fissa celebri esuli cosmopoliti, ma è anche e soprattutto la dimora. Individui eccentrici, distaccati, inclini alla città dove uomini e donne senza fama alcuna sono nostalgia, deliberatamente inopportuni. costretti a vivere in assoluto anonimato e in tremenda solitudine: vietnamiti, algerini, cambogiani, libanesi, Già in altre epoche gli esuli sono stati associati ad senegalesi, peruviani. […] analoghe visioni cross-culturali e transnazionali, Giungiamo qui a toccare il nodo del nazionalismo hanno sofferto le stesse frustrazioni e miserie, hanno e le profonde implicazioni che intrattiene con l’esilio. svolto lo stesso ruolo lungimirante e critico. Ma la Il nazionalismo è in primo luogo affermazione di differenza tra gli esuli del passato e quelli del presente appartenenza a (e in) un posto, un popolo, un è soprattutto – ed è essenziale ribadirlo – un fatto di patrimonio condiviso. Riconosce nella “casa” il scala: il nostro tempo, il suo moderno imperialismo prodotto di una comunità linguistica, di una cultura, militare, le ambizioni quasi teologiche dei suoi di tradizioni, e così facendo elude l’esilio, lotta per prevenirne gli effetti devastanti. Ma non è così semplice: l’interazione tra nazionalismo e esilio Yanko era stato costretto ad abbandonare la propria assomiglia infatti alla dialettica hegeliana tra servo e casa: pressioni troppo forti gli impedivano di padrone, dove i due opposti si informano e si continuare a vivere lì. L’America lo aveva abbagliato definiscono reciprocamente. Ogni tipo di con le sue promesse, ma finì per essere risucchiato nazionalismo, perlomeno nei suoi passi iniziali, nasce dall’Inghilterra. Qui sopravvisse a stento, non e cresce su una condizione di estraneità. Le lotte che riuscendo a farsi capire e venendo per questo spesso hanno portato all’indipendenza americana, temuto, sempre frainteso. Solo Amy Foster, una all’unificazione di Germania e Italia, alla liberazione giovane contadina cresciuta negli stenti e dell’Algeria, erano guidate da gruppi nazionali isolati decisamente poco attraente, tenta in qualche modo di – e cioè esiliati - rispetto a ciò che veniva pensato e comunicare con lui. E ciò basta perché i due si costruito come il loro legittimo modo di vivere. Il sposino e abbiano un figlio; ma quando Yanko si nazionalismo realizzato e trionfante giustifica quindi ammala, Amy, spaventata e in balia dei pregiudizi che sia retrospettivamente che prospettivamente una circondano il marito, rifiuta di assisterlo, prende con storia tenuta insieme in forma essenzialmente sé il bambino e fugge. Il suo abbandono accelera la narrativa: per questo tutti i nazionalismi possiedono fine miserabile di Yanko che, simile a quella di molti il proprio pantheon, i propri padri fondatori, i propri altri eroi di Conrad, viene descritta come l’esito testi fondativi e semireligiosi, le proprie retoriche di tragico di un insopportabile isolamento nella più appartenenza, i propri punti di riferimento storici e assoluta indifferenza del mondo circostante. Il geografici, i propri nemici ed eroi ufficiali. Questo destino di Yanko è, nelle parole di Conrad, “una ethos collettivo contribuisce a definire ciò che Pierre tragedia della solitudine e della disperazione”. Bourdieu ha chiamato habitus, quell’amalgama Yanko vive una situazione oggettivamente coerente di pratiche che permette di tenere insieme straziante: quella di uno straniero ossessionato e l’abitudine e chi la abita. Col tempo, i nazionalismi assolutamente solo, in una società indecifrabile e vincenti finiscono inevitabilmente per assegnare la sorda. Ma l’esilio vissuto in prima persona, sulla pelle, verità solo ed esclusivamente a se stessi, e la falsità, porta Conrad a esasperare la stilizzazione delle l’errore e l’inferiorità a chi sta fuori, agli outsiders. I differenze tra Yanko e Amy: dove Yanko è nazionalismi parlano sempre una lingua plurale, di impetuoso, delicato, vivo, Amy è invece pesante, gruppo, laddove l’esilio rappresenta il senso spenta, bovina; quando lui muore, si ha l’impressione lancinante di quella solitudine assoluta che si può che la gentilezza inziale di Amy non fosse che un sentire solo quando si è fuori da ogni gruppo: la inganno per adescarlo e poi fatalmente intrappolarlo. deprivazione che si prova nel non poter condividere La morte di Yanko è romantica: ogni cosa intorno a con altri una casa comune. […] lui è volgare, insensibile; nessuno mostra Il racconto di Joseph Conrad Amy Foster comprensione, neppure Amy, unica ad essergli stata costituisce con ogni probabilità la più fedele e davvero vicina. Conrad assume l’ansia nevrotica che intransigente rappresentazione dell’esilio che sia mai accompagna l’esule per costruirgli sopra un principio stata scritta. Del resto, Conrad stesso si viveva come estetico che gli è totalmente estraneo. Nell’universo esule polacco: quasi tutto il suo lavoro – e la sua conradiano, cioè, nessuno può capirsi e comunicare stessa vita – è inconfondibilmente segnato davvero: eppure, paradossalmente, questa radicale dell’ossessione tipica dell’emigrato, ipersensibile al mutilazione che azzera ogni possibilità di linguaggio proprio destino e ai tentativi vani di stabilire una non inibisce la continua tensione verso una relazione autentica con l’ambiente che lo circonda. comunicazione possibile. Al centro di tutte le storie Amy Foster è allora una storia quasi interamente di Conrad è sempre la vicenda di personaggi soli che centrata sui dilemmi dell’esilio, forse a tal punto da raccontano vite più grandi di loro e i cui continui non risultare uno dei romanzi più famosi – e riusciti tentativi di imprimersi sugli altri, anziché ridurlo, – di Conrad. Nucleo centrale della vicenda è l’agonia acuiscono l’originario senso di isolamento. Ogni del protagonista, Yanko Goorall, un contadino esule rappresentato da Conrad teme – ed è dell’est europeo che, in viaggio verso l’America, è continuamente condannato a immaginare – lo coinvolto in un naufragio al largo della costa spettacolo di una morte solitaria, “illuminata”; per britannica: così dire, da occhi indifferenti e assolutamente incomunicanti. […] è certo difficile per un uomo ritrovarsi straniero, privo di Se è vero che ogni persona cui a diverso titolo sia ogni sostegno, incomprensibile e dalle origini misteriose, in qualche oscuro angolo della terra. Eppure tra tutti gli proibito il ritorno a casa è da considerarsi esule, avventurieri naufragati nelle più remote e selvagge parti del occorre tener conto di un certo numero di differenze mondo, credo non ve ne sia mai stato alcuno che abbia sostanziali tra esiliati, rifugiati, espatriati ed emigrati. subito un destino così semplicemente e assolutamente L’esilio origina dalla pratica antica del bando. Una tragico come quello toccato in sorte all’uomo di cui sto volta messo al bando, l’esiliato è costretto a vivere parlando, il più innocente degli avventurieri. una vita fuorilegge e miserabile: lo stigma dell’outsider lo accompagnerà per sempre. I rifugiati particolare originalità di sguardo. La stragrande sono invece un prodotto delle politiche statuali del maggioranza delle persone si trova a vivere nella XX secolo. La parola “rifugiato”, cioè, ha da subito consapevolezza di una cultura, di un ambiente, di una assunto un significato politico, alludendo a masse casa; gli esuli invece sono consapevoli dell’esistenza ingenti di individui innocenti e sradicati per i quali si di almeno due di queste condizioni, e tale pluralità rende urgente un intervento di assistenza produce a sua volta una consapevolezza, internazionale, laddove “esiliato” credo comporti dall’esistenza di dimensioni simultanee, una sempre un peculiare carattere di solitudine, accanto a consapevolezza cioè che, prendendo a prestito un un non so che di spirituale. Gli espatriati vivono in termine musicale, è contrappuntistica. Agli occhi di un un altro paese per scelta volontaria, dovuta perlopiù esule, una forma di vita, una determinata espressione a motivi personali o astrattamente sociali: nessuno ha o anche una semplice attività che si svolgano in un mai costretto Hemingway e Fitzgerald a vivere in ambiente nuovo, accadranno sempre sullo sfondo Francia. Gli espatriati possono cioè condividere la della memoria, del loro ricordo in un ambiente solitudine e l’estraneità che definisce l’esilio, ma non diverso. Per questo, nuovo e vecchio finiscono per soffriranno mai le dure proscrizioni da cui l’esilio essere entrambi analogamente vividi, ugualmente scaturisce. I migranti godono invece di uno status attuali, per ricorrere insieme contrappuntisticamente. ambiguo: alla lettera, è migrante chiunque emigri E in questo tipo di percezione si può provare un verso un nuovo paese. E la scelta in questo caso piacere unico, soprattutto se l’esule è consapevole di indica una possibilità reale: ufficiali coloniali, altre collisioni contrappuntistiche che riducono missionari, tecnici specializzati, mercenari e l’ortodossia di giudizio e favoriscono consiglieri militari in trasferta possono anche l’apprezzamento e la reciproca empatia. Insomma, si considerarsi in esilio, ma di certo non sono stati può provare un particolare senso di conquista banditi da nessuno. (personale) nell’agire come se si fosse a casa in La vita degli esuli è spesso riscattata qualsiasi luogo accada di trovarsi. Tutto ciò resta compensando il frastornante senso di perdita che li comunque rischioso: l’abitudine alla dissimulazione è accompagna con la creazione di un mondo nuovo, tanto faticosa quanto snervante. L’esilio non è mai un tutto da governare. Non sorprende allora che tra gli modo di essere appagato, soddisfatto, o sicuro. Con esiliati abbondino scrittori, giocatori di scacchi, parole di Wallace Stevens, è “una mente invernale”, attivisti politici, intellettuali: tutte professioni che dove il pathos dell’estate o dell’autunno e le richiedono un investimento minimo in risorse potenzialità della primavera si rivelano sempre lì, a materiali e senso del luogo, offrendo in cambio portata di mano, ma comunque irraggiungibili. Forse notevoli gratificazioni in termini di mobilità sociale e questo non è che un altro modo per dire che una vita professionalità. Il nuovo mondo dell’esule, in esilio si muove in base a un altro calendario, che è verosimilmente, gli apparirà innaturale, e la sua meno stagionale e regolata della vita “a casa”. Esilio innaturalità sembrerà finzione, pura fiction. In Teoria è la vita vissuta fuori da un ordine abituale. È del romanzo, György Lukács avanza la tesi forte per cui nomade, decentrata, contrappuntistica: e non si fa in il romanzo, forma letteraria costruita su una tempo ad abituarsi che la sua forza sconvolgente condizione assolutamente irreale ed egoica, il regno erompe di nuovo. dell’ambizione e della pura fantasia, sarebbe la forma di uno “sradicamento trascendentale”. L’epica classica, sostiene Lukács, emana da culture sedentarie in cui i valori sono chiari, le identità stabili, la vita immutabile. Il romanzo europeo attecchisce invece su un’esperienza di tipo esattamente opposto: quella di una società in continua trasformazione, dove un itinerante e diseredato eroe della classe media (uomo o donna che sia) si sforza di ricostruire un nuovo mondo che in qualche modo assomigli a quello che si è lasciato definitivamente alle spalle. Nell’epica non esiste un altro mondo, solo la finitezza di questo: Ulisse ritorna dopo anni di vagabondaggio, Achille morirà perché non può sfuggire al fato che incombe su di lui. Il romanzo, invece, esiste proprio perché altri mondi possono esistere: mondi alternativi, per speculatori borghesi, vagabondi, esiliati. […] Vedere “il mondo intero come una terra straniera” offre (anche) la possibilità di una