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Sentenza n 299/10 Questioni di legittimit costituzionale Legge della Regione Puglia n 32/2009

a cura di Armando Strinati

Con la sentenza n 299 del 2010, la Corte Costituzionale si pronunciata a seguito di un ricorso promosso dal Presidente del Consiglio, rappresentato dallAvvocatura generale dello Stato, avverso la legge della regione Puglia n32 del 2009. Lo Stato ha sollevato, in riferimento allart. 117, secondo comma, lettere a), b), h) ed l), della Costituzione, ed in relazione agli artt. 4, 5, 10, 10-bis, 11, 13, 14, 19, 35 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n286, questioni di legittimit costituzionale degli art. 1, comma 1 e 2, lettera h), e 3; 2; 3; 4, comma 4; 5, comma 1,lettere a) e b); 6, comma 1, lettere b) e c); 10, commi 5 e 6; 13; 14 e 15, comma 3, della legge pugliese. Tale legge reca norme per laccoglienza, la convivenza civile e lintegrazione degli immigrati e attraverso il suo contenuto mira a garantire leffettiva realizzazione di un pieno inserimento e inclusione sociale degli immigrati sul territorio regionale. Accesso allabitazione, lavoro,istruzione, formazione professionale sono solo alcuni degli obiettivi che il legislatore regionale ha inserito allinterno della norma e per perseguirli ha dato vita a due nuovi organismi territoriali, con compiti diversi, ma entrambe finalizzati allo studio ed alla elaborazione di queste politiche: la Consulta regionale per lintegrazione degli immigrati con funzioni propositive in ambito legislativo e di programmazione, e lOsservatorio regionale sullimmigrazione e diritto dasilo con funzioni di studio e monitoraggio del flusso migratorio. La normativa pugliese, nel regolare la materia sopracitata, contiene numerose disposizioni riguardanti ambiti diversi tra loro. Appare chiaro come la ragione fondante del ricorso presentato del Presidente del Consiglio riguardi una violazione del riparto di competenze tra Stato e Regione. Le norme impugnate davanti alla Corte sarebbero, secondo la Stato, tutte in contrasto con larticolo 117 Cost e nello specifico, gli articoli richiamati allattenzione violerebbero le lettere a), b), h), l). In aggiunta , il ricorrente ritiene che le disposizioni della legge pugliese prevedano una serie di interventi regolati in maniera generica, utilizzando locuzioni imprecise, il che indurrebbe a ritenere che le norme in questione riguardino anche immigrati irregolari violando cos i principi sanciti all interno del d.lsg. n 286 del 1998. Questo decreto legislativo attribuisce, in tale ambito, alcuni compiti alle regioni, salvo

rilasciare competenza esclusiva allo Stato in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri sul territorio nazionale. Tra le norme impugnate, lart 10, commi 5 e 6, ha ad oggetto la disciplina dell assistenza sanitaria. La Regione nella legge in questione disciplina le modalit di fornitura di cure essenziali e continuative ai cittadini stranieri temporaneamente sul nostro territorio non in regola con il permesso di soggiorno. Il Presidente del Consiglio fa notare come tale disposizione contrasti con l articolo 35 del decreto legislativo sopra ricordato, il quale prevede unicamente a detti stranieri le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti e non anche (come invece previsto dalla legge regionale pugliese) tutta una serie di prestazioni sanitarie ulteriori quali, ad esempio, lerogazione dellassistenza farmaceutica con oneri a carico del Servizio Sanitario nazionale (SSN) . Da ultimo viene dedotta lillegittimit costituzionale dell articolo 1, comma 2, lett.h) visto che la Regione con la legge 32 del 2009, recepisce e attua obblighi internazionali contenuti nella Convenzione internazionale per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e delle loro famiglie, la quale per non stata ancora ratificata dallItalia: quindi non recepibili ai sensi dell art. 117, secondo comma, lett.a) Cost. A mio avviso, la Regione Puglia controbatte le questioni sollevate dello Stato con argomentazioni chiare e precise. Sostiene infatti che la legge in questione non attribuisce agli stranieri diritti incompatibili con la legislazione statale, ma volta ad agevolare lapplicazione di quei diritti loro riconosciuti dalla Costituzione e dalle altre norme statali. Inoltre secondo il resistente, tutta la disciplina concernente la materia immigrazione contenuta nella legge 32/09 in totale conformit anche con il decreto legislativo 286/98. La Corte accoglie solo in minima parte il ricorso presentato dal Presidente del Consiglio respingendo quasi tutte le richieste avanzate: vengono dichiarate inammissibili le questioni di legittimit costituzionale riguardo gli articoli 2, comma 1, e 10, commi 5 e 6, della legge in esame. Vengono dichiarate non fondate le questioni riguardanti gli articoli 1, commi 1 e 3, lettere da a) a g) e da i) ad l); 2; 3; 4, comma 4; 5, comma 1, lettere a) e b); 6, comma 1, lettere b) e c); 13 e 14 della legge della Regione Puglia n. 32 del 2009, proposte, in riferimento allarticolo 117, secondo comma, lettere a), b), h) ed l), della Costituzione, ed in relazione agli articoli 4, 5, 10, 10-bis, 11, 13, 14, 19 e 35 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286; gli articoli 2, comma 1, e 10, commi 5 e 6, in riferimento allarticolo 117, comma 2, lett. a) e b); dichiara inoltre non fondato larticolo 15, comma 3, proposto in riferimento allarticolo 117, secondo comma, lettera l). Viene invece dichiarata lillegittimit costituzionale dellarticolo 1, commi 2, lettera h), e 3, lettera h),della legge della Regione Puglia 4 dicembre 2009, n. 32. Le due disposizioni appena citate ritenute, quindi, in contrasto con la Costituzione, riguardano: Il diritto alla difesa dello straniero soggiornante a qualunque titolo ( articolo 1, comma 3, lettera h)).

Lapplicazione dei principi della Conv. ONU del 18/12/1990 ( articolo 1, comma 2, lettera h)). Riguardo il primo punto, la corte afferma che le politiche della Regione sono finalizzate, tra laltro, a garantire la tutela legale, in particolare leffettivit del diritto di difesa, agli immigrati presenti a qualunque titolo sul territorio della regione. Questa disposizione richiama chiaramente le materie menzionate allinterno dell art. 117, comma 2, lettera l). Aggiunge poi che questa conclusione si impone anche in riferimento alla disciplina del diritto di difesa dei non abbienti, che le norme statali contemplano in riferimento al processo penale, civile, amministrativo, contabile e tributario e negli affari di volontaria giurisdizione, garantendolo anche allo straniero e allapolide residente nello Stato. Come evidente nessuno dei due profili pu essere riconducibile ad un ambito di competenza regionale finendo, la norma, per diventare illegittima. La seconda disposizione ritenuta in contrasto con la Carta l art. 1, comma 2, lettera h). In questo articolo viene a crearsi un vero e proprio concorso regionale sullattuazione dei principi espressi dalla Convenzione internazionale per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e delle loro famiglie. Laccordo internazionale, come gi detto, non mai stato ratificato dallItalia, di qui la violazione dell articolo 117, comma 5, Cost. e delle norme contenute nella legge n131/03 cui le regioni devono attenersi nell attuazione ed esecuzione di trattati internazionali. La giurisprudenza costituzionale in materia di soggiorno e integrazione sociale degli stranieri si sviluppata a partire da ricorsi statali proposti in via incidentale, in relazione a specifici diritti riconosciuti agli stranieri da parte delle regioni ed enti locali. La tendenza sviluppata dalla Corte quella di respingere le tesi sostenute dallo Stato circa lo straripamento dei legislatori regionali riguardo una competenza statale in materia di immigrazione ritenuta esclusiva ai sensi dellarticolo 117, comma 2, lett. a) e b), affermando che la stessa legge dello Stato a prevedere che una serie di attivit pertinenti la disciplina del fenomeno migratorio e degli effetti sociali di questultimo vengano esercitate dallo Stato in stretto coordinamento con le Regioni, ed affida alcune competenze direttamente a questultime, ed al contempo che lintervento pubblico non si limita al doveroso controllo dellingresso e del soggiorno degli stranieri sul territorio nazionale, ma riguarda necessariamente altri ambiti,dallassistenza allistruzione, dalla saluta allabitazioneche intersecano ex Costituzione, competenze dello Stato con altre regionali, in forma esclusiva o concorrente (sent. n 300 del 2005). quindi la stessa Corte a riconoscere la possibilit alle Regioni di intervenire con atti legislativi al fine di regolare il fenomeno dellimmigrazione come previsto dal d.lgs. n 286 del 1998 (Testo Unico sullImmigrazione), tenendo presente che ci pu essere fatto solo in relazione ad ambiti coperti da competenza concorrente o residuale (sent. n 134 del 2010). Con la sentenza 148 del 2008 vengono riconosciuti un nucleo fondamentale di diritti spettanti alla persona sanciti dalla Costituzione e dei quali titolare anche lo straniero, mentre con la sentenza 252 del 2001 si afferma lesistenza di un diritto alla salute,

costituzionalmente protetto, come ambito inviolabile della dignit umana, il quale impone la totale impossibilit di dare vita a situazioni che possano pregiudicare tale diritto. Altra importantissima sentenza la n 269 del 2010 originata dal ricorso dello Stato nei confronti della legge della Regione Toscana n 29 del 2009. Qui la Corte ha rigettato le eccezioni di incostituzionalit riguardanti la previsione di specifici interventianche a favore di cittadini stranieri comunque dimoranti nel territorio regionale; quelle rivolte a norme inerenti al campo socio-assistenziale e sanitario e della formazione professionale. Per quanto riguarda invece la possibilit da parte delle regioni di dare esecuzione ad obblighi derivanti da accordi internazionali, la Corte richiama tutta una serie di pronunce passate (sentt. nn. 258 e 131 del 2008, 211 del 2006) che ribadiscono limpossibilit per le regioni di dare attuazione a tali trattati indipendentemente dalla legge di ratifica quando questa sia necessaria ai sensi dellart. 80 Cost.(sent. n 379/2004). La sentenza in commento non sembra innovare la giurisprudenza in materia in modo rilevante: ribadisce infatti lesistenza in capo alle Regioni di un notevole ventaglio di competenze per ci che concerne le politiche di integrazione, anche se lo Stato sempre pi portato ad attrarre verso se tutto ci che abbia attinenza con interessi considerati nazionali. Questo atteggiamento del legislatore statale si accentuato con lapprovazione del pacchetto sicurezza che ha dato vita a nuove tensioni nel riparto di competenze tra Stato e Regioni in tema di immigrazione e sicurezza pubblica. Argomento critico rappresentato dallintroduzione del reato di clandestinit (art. 10-bis T.u.i.m. cos modificato dall'art. 1, comma 16, Legge n. 94/09 del 15 luglio 2009) e nella sentenza in analisi, basandosi su tale reato, il ricorrente solleva una questione di legittimit sostenendo che ogni intervento regionale orientato al riconoscimento di diritti sociali ad immigrati irregolari travalica in competenza statale esclusiva, dal momento che tali interventi regionali, in qualche modo agevolano la permanenza sul territorio nazionale di cittadini extracomunitari i quali non solo non avrebbero titolo a soggiornare ma, una volta sul territorio nazionale, dovrebbero essere perseguiti penalmente (pt. 2 del ritenuto di fatto). Leffetto possibile dellart. 10-bis sul nostro ordinamento altro non sarebbe che lesclusione di ogni competenza regionale in tema di immigrazione irregolare con conseguente attrazione della materia in ambito esclusivo statale, il quale prevede per lo pi politiche di sicurezza e un minimo di diritti sociali e civili eguali per tutti. La Corte nelle sue pronunce passate, in pi di una occasione ha sottolineato come lindividuazione di questo standard minimo di diritti debba avvenire non in astratto, ma in concreto, valutando caso per caso le singole situazioni e con riferimento alla condizione del singolo individuo. La tendenza dello Stato, in tema di riparto di competenze in materia di immigrazione, quella di interpretarlo in modo rigido finendo per negare allo straniero non in regola diritti che eccedano lessenzialit dellart. 117 comma 2, lett. m). Le Regioni, invece, intendono disciplinare i fenomeni migratori facendo leva sulla cooperazione tra livelli di governo, in piena sintonia, tra laltro, con quanto disposto nel t.u.i.m. del 98. La giurisprudenza costituzionale pi propensa a sostenere la tesi regionale, evidenziando come il concorso di competenze possa riguardare anche competenze riconducibili ad un nucleo di materie statali

esclusive, ponendosi in controtendenza rispetto alle pronunce intervenute prima e dopo la legge costituzionale 3/2001, la quale norma ha predisposto tutta una serie di strumenti finalizzati alla conservazione degli spazi di formazione statale. Se, come gi detto, larticolo 10-bis da un lato crea un effettivo problema di riparto delle competenze tra Stato e Regioni sui temi sopra citati, dallaltro suscita non poche perplessit se rapportato allordinamento europeo e pi precisamente se valutato alle luce della Direttiva 2008/115/CE (direttiva rimpatri). Prima della creazione del reato di immigrazione clandestina (con la legge n 94 del 2009), la materia rimpatri era disciplinata dalla legge Bossi-Fini che introdusse automatismi quali laccompagnamento forzato e trattenimento amministrativo che divennero la regola generale per lesecuzione di provvedimenti di allontanamento degli stranieri irregolari. Questi automatismi furono poi aggravati, appunto, dalla realizzazione del 10-bis, allo scopo di rendere pi veloci le procedure di accompagnamento alla frontiera. La Direttiva comunitaria 2008/115/CE impone a Prefettura e Questura, prima di passare allutilizzo dell allontanamento forzato, di considerare lespulsione con invito a lasciare il territorio italiano, il cd. Rimpatrio volontario. Il 24 dicembre 2010 scaduto il termine di attuazione della Direttiva senza che lItalia vi abbia dato attuazione. In base al diritto comunitario, una volta che sia scaduto il termine per lattuazione, la Direttiva pu comunque essere applicata dal giudice interno al quale rilasciata la possibilit di disapplicare la norma interna in contrasto. Al fine di un attuazione conforme alle aspettative comunitarie, lItalia dovrebbe, in primis, modificare sostanzialmente la disciplina riguardo la detenzione amministrativa nei centri di identificazione ed espulsione (CIE) in quanto, come sostiene parte della dottrina, costituisce una violazione dei pi elementari diritti della persona. la stessa Direttiva a menzionare al proprio interno tutta una serie di diritti fondamentali riguardanti le persone vulnerabili; diritti che sono altres previsti dalla nostra Carta e applicabili a qualunque immigrato, quale che sia la sua condizione di soggiorno. Sono numerosi i rapporti di organizzazioni internazionali che hanno attestato il fallimento delle pratiche di allontanamento forzato, oltre che il degrado in cui sono costretti a vivere gli immigrati rinchiusi nei CIE e la totale assenza di possibilit di esercizio di un diritto di difesa. In base al Considerando 16 della Direttiva comunitaria il ricorso al trattenimento ai fini dellallontanamento dovrebbe essere limitato e subordinato al principio di proporzionalit con riguardo ai mezzi impiegati e agli obiettivi perseguiti. Il trattenimento giustificato soltanto per preparare il rimpatrio o effettuare lallontanamento e se luso di misure meno coercitive insufficiente. Lart. 14 afferma il carattere residuale della detenzione amministrativa, tant che anche nei casi in cui sia impossibile il rimpatrio forzato, la detenzione rimane comunque priva di fondamento. In base alla Direttiva 2008/115/CE , laccompagnamento forzato pu essere disposto solo se sussista il rischio di fuga o se una domanda di soggiorno regolare stata respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta o se linteressato costituisce un pericolo per lordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale. In ogni caso gli stati

membri devono tenere nella debita considerazione: linteresse superiore del bambino, la vita famigliare, le condizioni di salute del cittadino di un paese terzo interessato. Emerge come la finalit principale sia leffettivo allontanamento dei clandestini; far diventare la permanenza illegale un reato, non risolve le cose ma semplicemente le posticipa a quando la pena sar scontata. A dire il vero la Direttiva in questione prevede allarticolo 2.2, la possibilit per gli stati membri di non dare esecuzione al contenuto in essa nei confronti di cittadini di paesi terzi, qualora questi siano sottoposti a rimpatrio come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale. Ma palese come il reato di immigrazione clandestina non possa essere considerato presupposto di impedimento attuativo, e quindi da escludere che al momento dell emanazione dell atto comunitario in questione, gli autori facessero riferimento agli stranieri ritenuti colpevoli ai sensi del 10-bis. Piuttosto da intendere che i reati che escludono lapplicazione della Direttiva sono quelli come, ad esempio, la rapina e non quelli nei quali la colpevolezza si ha per il solo fatto di essere irregolari sul suolo nazionale. Il fatto che lItalia non abbia ancora dato attuazione a tali obblighi comunitari, oltre che una violazione in termini di mancato recepimento, viola il ben pi importante principio di leale collaborazione (questo quanto affermato dalla CGE, vedi dopo). Tale principio disciplinato dallarticolo 4 TUE il quale impone che nel recepimento gli stati si muovano secondo buona fede in modo da non neutralizzare il contenuto, ma di realizzare lo scopo a cui tende la Direttiva. La stessa Corte di Giustizia europea si pronunciata nella sentenza El Dridi sul mancato recepimento della direttiva rimpatri; la Corte dappello di Trento emise unordinanza di rinvio pregiudiziale nella quale veniva chiesto ed ottenuto un procedimento urgente ai sensi dell articolo 104 ter del regolamento di procedura della Corte,in ragione dello stato di detenzione in cui si trovava limputato El Dridi Hassan. Il quesito che i giudici trentini sottoponevano alla Corte era se lo Stato potesse prevedere una sanzione penale detentiva in conseguenza di una mera condotta di mancata cooperazione dello straniero alla procedura di rimpatrio. La CGE si espressa in maniera negativa: secondo quanto sostenuto dai giudici europei, una tale pena frustrerebbe leffetto degli articoli 15 e 16 della direttiva ed da ritenersi incompatibile con il diritto UE alla luce del principio di leale collaborazione tra Stati membri e Unione. In questa sentenza viene fatto un diretto riferimento all articolo 14, comma 5 T.u reo secondo la Corte di ritardare il conseguimento dello scopo finale dellallontanamento dello straniero dalle frontiere nazionali,cui lo Stato tenuto in virt della Direttiva, in quanto la detenzione e poi la pena si inseriscono in via incidentale nellambito del processo amministrativo di espulsione. Lo Stato non deve perdere tempo a processare lo straniero, e poi ad attendere lesecuzione della pena detentiva, bens deve continuare ad adoperarsi per dare effetto alla decisione di rimpatrio, preparando le condizioni per lallontanamento dello straniero , eventualmente trattenendolo , per il tempo strettamente necessario allo scopo , in un apposito centro, alle condizioni stabilite dagli articoli 15 e 16 della direttiva. Una tale pena, infatti, segnatamente in ragione delle sue condizioni e modalit di applicazione, rischia di compromettere la realizzazione dellobiettivo perseguito da detta direttiva, ossia linstaurazione di una politica efficace di

allontanamento e di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare. In particolare, come ha rilevato lavvocato generale al paragrafo 42 della sua presa di posizione, una normativa nazionale quale quella oggetto del procedimento principale pu ostacolare lapplicazione delle misure di cui allart. 8, n. 1, della direttiva 2008/115 e ritardare lesecuzione della decisione di rimpatrio. LItalia ,secondo quanto affermato dalla CGE, colpevole di non essere stata in grado di attuare la Direttiva e di procedere alle espulsioni, dando vita al reato di clandestinit solamente per ovviare a tale mancanza. Ad avviso di chi scrive, piuttosto che continuare a detenere stranieri irregolari nei centri o nelle carceri a spese dei contribuenti italiani, sarebbe auspicabile quanto meno che l Italia iniziasse attivamente ad dare esecuzione ai rimpatri: se adesso i cittadini si trovano a sborsare denaro per il mantenimento dei clandestini, non da escludere che la mancata attuazione della Direttiva possa portare ad un procedimento di infrazione con conseguente inoltro di multe salate per violazione del diritto comunitario. C chi sostiene che in caso di condanna litalia potrebbe trovarsi a dover pagare una sanzione minima di euro 9.920.000, cui aggiungere una somma intorno a euro 700.000 per ogni giorno di ritardo. Inoltre nella stessa sentenza della CGE, afferma: Ne consegue che gli Stati membri non possono introdurre, al fine di ovviare allinsuccesso delle misure coercitive adottate per procedere allallontanamento coattivo conformemente allart. 8, n. 4, di detta direttiva, una pena detentiva, come quella prevista allart. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 286/1998, solo perch un cittadino di un paese terzo, dopo che gli stato notificato un ordine di lasciare il territorio di uno Stato membro e che il termine impartito con tale ordine scaduto, permane in maniera irregolare nel territorio nazionale. Essi devono, invece, continuare ad adoperarsi per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, che continua a produrre i suoi effetti. Gli effetti della sentenza El Dridi nell ordinamento italiano si sono riversati sia sui procedimenti in corso per il reato disciplinato dal gi citato articolo 14; sia sulle relative determinazioni dei p.m.. Le pronunce della Corte di Giustizia, avendo efficacia erga omnes, interpretano il diritto dell unione con efficacia vincolante per tutti i poteri e gli organi degli Stati membri. Questo significa che vincolato anche il giudice interno e di conseguenza tutti i giudici penali dovranno ora disapplicare larticolo 14, comma 5 ter, nei processi a tuttoggi pendenti. La Corte ha ammonito il giudice italiano sulla necessit di tener conto del principio dellapplicazione retroattiva della legge pi mite, che fa parte della tradizione degli stati europei e che espressamente riconosciuta dallarticolo 49 della CEDU. Il risvolto pi importante sta nel divieto da parte del giudice interno di sottoporre a reclusione ai sensi dell articolo 14, comma 5 ter T.u, per leventuale violazione consumatasi prima del 24 dicembre 2010, dal momento che oggi una tale condotta non pi punibile. Lintervento della Corte di giustizia rappresenta un sostegno nei confronti di tutti quei giudici italiani che nei mesi prima della pronuncia in questione, avevano gi accolto tale soluzione, consentendo di respingere tutte le accuse infondate di non volersi adeguare e applicare alla legge. Il fatto che larticolo 14 sia divenuto inapplicabile, merito

essenzialmente del nostro (oramai ex) governo che in sede europea ha contribuito e acconsentito allapprovazione di una Direttiva che era in totale contrasto con quella specifica incriminazione. Sono infatti tante le sentenze nelle quali stato rilevato un conflitto tale per cui i giudici, di volta in volta, hanno disapplicato il diritto italiano in favore di quello comunitario. Il Tribunale di Torino, assolve uno straniero imputato di essersi trattenuto sul suolo italiano senza giustificato motivo in violazione ad un ordine di allontanamento del Questore. Il ragazzo stato assolto con la motivazione della prevalenza del diritto comunitario su quello italiano: lapplicazione delle norme penali in materia di clandestinit viola le garanzie imposte dalla Direttiva 2008/115/CE. Non possibile punire con una norma penale e con la detenzione, poich la Direttiva prevede una sanzione qualitativamente diversa (amministrativa e non penale). La Procura della Repubblica di Firenze, con un provvedimento del 16 gennaio 2011, ordina le remissione in libert per uno straniero che non aveva lasciato il territorio italiano a seguito di un ordine del Questore. La Procura afferma: Leffetto diretto prodotto dalla direttiva inattuata deve comportare conseguentemente la non applicazione della norma incriminatrice che comprime la libert personale dello straniero in modo palesemente contrastante con gli obblighi inattuati posti a carico dello stato dal diritto comunitario. Per finire, la Procura della Repubblica di Pinerolo (13 gennaio 2011) ha richiesto larchiviazione al Gip di un caso simile allultimo citato, in quanto le norme italiane devono essere disapplicate perch in contrasto con quelle europee. Il 17 dicembre del 2010, il Capo della polizia Manganelli ha emesso una circolare con la quale si riconosciuta lefficacia immediata della direttiva, in assenza dellattuazione dellordinamento interno. Alla faccia della Costituzione, nel nostro Paese una materia tanto delicata non regolata dalla legge, ma da una semplice circolare amministrativa. La parte pi critica di questo documento riguarda i casi di rimpatrio forzato, quando il termine per la partenza volontaria non concesso, e precisamente quando: a) sussista il rischio di fuga dello straniero; b) la sua domanda di soggiorno stata respinta in quanto manifestamente infondata; c) linteressato costituisca un pericolo per lordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale; d) il rischio di fuga deve essere accertato individualmente, sulla base di criteri oggettivi. Nessun cenno alla possibilit che gli stati documentino la condizione degli stranieri irregolari che non possibile allontanare, anche al fine di dimostrare la loro situazione specifica in caso di verifiche o controlli amministrativi, tali persone dovrebbero essere munite di una conferma scritta della loro situazione (Considerando n12). Inoltre allinterno della circolare non vengono affatto presi in considerazione i diritti e le garanzie che sono richiamati dalla stessa Direttiva comunitaria in tema di mezzi di ricorso previsti dallarticolo 13, il quale predispone mezzi effettivi di ricorso contro provvedimenti concernenti il rimpatrio. Appare francamente inappropriato, a mio avviso, da parte del nostro Paese regolare una materia cos delicata come questa, attraverso atti dellautorit amministrativa. Come sostiene la dottrina in materia, le misure restrittive della libert personale necessitano di essere disciplinate da atti aventi la forza e i caratteri della legge: almeno per quanto riguarda

una definizione chiara dei casi specifici e delle modalit di applicazione. A sostegno di tale affermazione, la CEDU a prevedere il requisito della riserva di legge per regolare il caso restrittivo di libert appena citato, qualora ci sia in funzione di un successivo allontanamento dal territorio dello stato. Alle indicazioni contenute nella circolare del 17 dicembre, succeduta una circolare della Procura della Repubblica di Firenze che ha dato ordine di bloccare gli arresti di clandestini, salvo singoli casi da valutare situazione per situazione, uniformando cos lazione delle forze dellordine alla Direttiva comunitaria, al fini di colmare il grave inadempimento dellItalia. Stesso ordine stato emesso il 26 gennaio 2011, dalla Procura della Repubblica di Brescia. Alla luce di questo, obiettivamente molto difficilmente che un atto revocabile e modificabile in qualsiasi momento, come latto amministrativo, possa soddisfare il principio di legalit, garanzia fondamentale in uno stato di diritto come lItalia. Il rischio in cui si potrebbe incorrere nel non disciplinare legislativamente la materia, quello di lasciare una troppo elevata discrezionalit allautorit amministrativa, con conseguente applicazione difforme sul territorio nazionale: tutto ci chiaramente si pone come gravissima violazione dell articolo 3 Cost. Necessario ed auspicabile, come gi accennato in precedenza, lintervento del legislatore nazionale al fine di limitare in modo netto i confini discrezionali dellautorit amministrativa. La Corte stessa spinge inoltre verso una modifica sostanziale degli articoli 13 del T.u.i.m., in modo da rendere la nostra normativa interna in linea con i dettami comunitari e con i principi contenuti nalla nostra Costituzione. Lintero regime dei centri di detenzione amministrativa disciplinato dallo stesso articolo 14 del T.U. n 286 del 1998, cos come disciplinato allinterno della legge Bossi-Fini e poi modificato dai numerosi pacchetti sicurezza, si trova ,come abbiamo visto, in totale contrasto con le previsioni comunitarie. Non bisogna certo essere esperti di diritto per capire come la Direttiva europea disegna una procedura in netta antitesi con la nostra disciplina interna: il risultato che oggi lItalia si trova senza una legislazione propria in materia di espulsione del migrante privo di titolo di soggiorno. La riforma Bossi-Fini si caratterizza per essere, come afferma Raffaele Miraglia, un complesso di norme-manifesto dove la volont di affermare principi finisce per sopraffare il compito di esprimere regole che consentano di amministrare la condizione giuridica dello straniero. Un altro aspetto importante emerso nella sentenza il giudizio relativo alle disposizioni in materia di assistenza sanitaria. La legge Regionale 32/2009 prevede che gli stranieri assistiti con il codice STP (straniero temporaneamente presente) abbiano diritto di scelta del medico di base (non previsto invece dalla legislazione nazionale). Inoltre la normativa regionale in questione dispone anche che ai cittadini comunitari presenti sul territorio regionale che non risultano assistiti dallo Stato di provenienza, privi dei requisiti per l'iscrizione al SSR e che versino in condizioni di indigenza, sono garantite le cure urgenti, essenziali e continuative attraverso l'attribuzione

del codice ENI (europeo non in regola). Le modalit per l'attribuzione del codice ENI e per l'accesso alle prestazioni, sono le medesime innanzi individuate per gli STP". La Corte ritiene legittime entrambe le norme in quanto la prima non altera le restrizioni sulle cure allimmigrato irregolare come disposta dalla legge nazionale. La seconda disposizione viene dichiarata legittima in quanto in allineamento con il d.lgs 30/2007 come interpretato dalla Cirtcolare Minsalute del 19/2/2008. Il decreto appena menzionato ha dato esecuzione alla direttiva comunitaria n 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dellUnione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati Membri, riconoscendo ad essi tutta una serie di diritti civili e sociali. La circolare interna invece indicava come fondamento per il rilascio del codice ENI proprio il diritto costituzionale riconosciuto dall articolo 32 Cost.: e cio la tutela del diritto alla salute. Limportanza di questa pronuncia della Corte, sta nel fatto che la tesi menzionata allinterno della circolare, trova per la prima volta una benedizione dalla Consulta e per questo motivo mette al riparo latto da eventuali tagli governativi. In realt un tentativo di modifica di questo atto amministrativo era stato era fatto. Il ministro Tremonti, con la L. 133/2008, modific larticolo 1, comma 2, del d.lgs. 286/98, il quale garantiva lapplicazione al cittadino comunitario non iscritto in anagrafe la possibilit di fruire di assistenza sanitario gratuita al pari dello straniero irregolare. La circolare non agganciandosi all articolo 1, co.2, ma al disposto costituzionale, era sopravvissuta alla modifica. Anzi la stessa operazione di modifica dell articolo 1, co.2, viene meno dopo la pronuncia della Corte con sentenza 299/10: infatti in questa viene disposto che le norme della legge regionale si applicano, qualora pi favorevoli, anche ai cittadini neocomunitari. La questione di legittimit costituzionale era stata sollevata proprio in relazione alla modifica dell articolo 1, co. 2. La Consulta respingeva il ricorso dichiarando che criteri relativi al diritto di soggiorno dei cittadini dellUnione europea devono essere armonizzati con le norme dellordinamento costituzionale italiano che garantiscono la tutela della salute, assicurano cure gratuite agli indigenti, lesercizio del diritto allistruzione, ed attengono a prestazioni concernenti la tutela di diritti fondamentali, spettanti ai cittadini neocomunitari in base allart. 18 del TFUE (gi art. 12 del Trattato CE), che impone sia garantita, ai cittadini comunitari che si trovino in una situazione disciplinata dal diritto dellUnione europea, la parit di trattamento rispetto ai cittadini dello Stato membro. I giudici costituzionali non fanno altro che riprendere quanto gi affermato nella sentenza 269/2010 riguardante una legge della Regione Toscana: sono legittime le disposizioni regionali che intendono assicurare anche ai cittadini comunitari quelle prestazioni ad essi dovute in relazione ad obblighi comunitari e riguardanti settori di propria competenza, concorrente o residuale, riconducibili al settore sanitario ( sentenza 269/10). La disposizione impugnata si inserisce in un quadro normativo volto alla integrazione piena anche dei cittadini neocomunitari (ovvero cittadini bulgari e rumeni) e questo indispensabile al fine di recepire nel modo corretto la disposizione comunitaria concernente la materia della cittadinanza europea.

La disciplina italiana riguardante lassistenza sanitaria per cittadini stranieri, comunitari e non, richiede liscrizione al Servizio Sanitario Nazionale al fine di garantire tutta lassistenza prevista dal nostro ordinamento e comporta la parit di trattamento rispetto ai cittadini italiani. Al S.S.N. hanno lobbligo di iscriversi i cittadini stranieri titolari di permesso di soggiorno che svolgono regolare attivit di lavoro subordinato, autonomo o che siano iscritti alle liste di collocamento; i cittadini stranieri regolarmente soggiornanti o quelli che abbiano chiesto il rinnovo del permesso di soggiorno, per lavoro subordinato, per lavoro autonomo, per motivi familiari, per asilo, per richiesta di asilo, per attesa adozione, per affidamento, per acquisto della cittadinanza o per motivi religiosi; i familiari a carico (regolarmente soggiornanti) dei cittadini stranieri rientranti nelle categorie sopra indicate. Liscrizione valida per tutta la durata del permesso di soggiorno e in caso di mancato rinnovo o di revoca del permesso, o in caso di espulsione, l iscrizione cessa. Liscrizione invece non possibile se lo straniero in possesso di un permesso di soggiorno per motivi di cura: le prestazioni sanitarie gli saranno garantite dietro pagamento di tariffe previste per legge. Come gi citato in precedenza, nel caso in cui lo straniero non fosse in possesso di risorse finanziarie tali da consentirgli le cure per le quali si recato su territorio italiano, gli verranno comunque garantite cure ambulatoriali, ospedaliere urgenti o comunque essenziali o urgenti. La legge italiana prevede che, se la richiesta viene fatta da stranieri irregolarmente presenti, laccesso alle strutture non pu comportare alcun tipo di segnalazione alle pubbliche autorit, salvo casi i cui per ordine pubblico o altri gravi motivi, le Autorit potranno ottenere il referto. Il 2011 cominciato sotto i migliori auspici con il voto del Parlamento Europeo a favore della Direttiva 2011/24/CE sui diritti dei malati riguardo lassistenza sanitaria transfrontaliera. La presente direttiva si colloca nel filone della giurisprudenza della Corte di giustizia a partire dalla sentenza Kohll e Decker pronunciata il 28 aprile 1998, che aveva sancito il diritto dei pazienti al rimborso delle cure mediche in un altro Stato membro. La ratio di questa Direttiva quella di abbattere gli ostacoli che impediscono ai malati di recarsi in altri Stati membri per ricevere cure appropriate. Questo fondamentale sia sul piano della diagnosi, sia sul piano di un effettiva possibilit di scelta, da parte del malato, dei centri che a livello europeo offrono le maggiori garanzie: John Dalli, Commissario europeo per la salute e la politica dei consumatori, ha affermato che alcune malattie rare non sono neanche riconosciute in alcuni Paesi, per non parlare di come vengono curate... i Paesi pi piccoli spesso non sono in grado di offrire gli stessi servizi sanitari delle nazioni pi grandi. Qualora i malati ritengano opportuno spostarsi in un paese membro dellunione per ricevere cure sanitarie, hanno lobbligo di chiedere il permesso alle autorit sanitarie nazionali al fine di accedere al rimborso. Ma la grande novit introdotta dalla Direttiva rappresentata dallimpossibilit di negare lautorizzazione o comunque di posticiparla indefinitamente per cure riguardanti malattie rare. Peraltro vengono definite in modo chiaro le regole e le procedure per ottenere il rimborso: gli Stati devono istituire centri di informazione che

offrano ai pazienti dati sui trattamenti, sui centri disponibili e sulle procedure di rimborso in tutta Europa. Larticolo 12 della Direttiva recita La Commissione assister gli Stati Membri nello sviluppo di network europei di riferimento tra gli operatori sanitari e i centri di eccellenza negli Stati Membri, in particolare nel campo delle malattie rare. Lo Stato di cura deve organizzare e fornire lassistenza sanitaria e assicurarsi che siano rispettate gli standard di qualit e sicurezza al momento della prestazione attraverso meccanismi di controllo. In aggiunta deve garantire il rispetto della tutela dei dati personali e della parit di trattamento dei pazienti di altri Stati membri. Le procedure amministrative relative alla fornitura dell'assistenza sanitaria devono essere necessarie e proporzionate; sono attuate in modo trasparente, entro i termini preventivamente stabiliti e in base a criteri obiettivi e non discriminatori. Nellesame amministrativo di una richiesta di assistenza sanitaria transfrontaliera gli Stati membri devono tenere conto principalmente dello stato di salute specifico del paziente nonch dellurgenza del caso e delle singole circostanze. Per di pi, i singoli Paesi devono cooperare tra loro per la creazione di reti di riferimento europee di fornitori di assistenza sanitaria allo scopo di contribuire a promuovere la mobilit degli esperti in Europa e l'accesso a cure altamente specializzate, grazie alla concentrazione e all'articolazione delle risorse e delle competenze disponibili. E ancora, gli Stati membri devono riconoscere la validit delle prescrizioni mediche se i medicinali indicati sono autorizzati sul territorio. Sebbene tale atto sia stato positivamente accettato da tutti, parte della dottrina afferma che tutto ci potrebbe comportare un pericolo di turismo sanitario delle persone alla ricerca di prestazioni mediche a poco prezzo. Consci delle prospettive allettanti, in tutto il mondo alcuni operatori hanno aperto agenzie virtuali e i siti web che offrono e organizzano tour che includono trattamenti medici o estetici. Oltre all'intervento, in alcuni casi, viene offerto anche un giro turistico nella citt che ospita il paziente. E pensare che se il paziente italiano il risparmio si aggira intorno al 60%. Soprattutto in Italia il turismo medico si sta diffondendo con particolare vigore: infatti pare che almeno un italiano su cinque rinuncia alle cure odontoiatriche per problemi economici. Sono oltre 20mila i nostri concittadini che vanno fuori confine per farsi curare i denti, soprattutto in Romania che raccoglie il 70% delle richieste. Le nuove regole potrebbero favorire coloro che vivono in prossimit dei confini nazionali per i quali sar pi semplice ed economico farsi curare nel Paese vicino. I dati oggi riferiscono che la domanda di assistenza sanitaria riguarda circa 1% della spesa pubblica, mentre la famiglie che sono alla ricerca di una cura allestero, si attesterebbero sul 2%. Il livello di attenzione delle politiche sanitarie verso gli immigrati generalmente medioalto in Italia, ma sono presenti forti disomogeneit regionali, con differenze non riconducibili alla diversa presenza della popolazione migrante sui territori di cui la politica espressione: in quanto ad impatto delle politiche sanitarie locali sulla saluta degli immigrati leccellenza rappresentata dalla Regione Puglia. Ora lo Stato italiano ha fino il 25.10.2013 per adottare la Direttiva: laugurio che lo Stato la recepisca e provveda dunque ad uniformare il quadro interno agli obblighi europei.

Personalmente ritengo che la legge pugliese sia un esempio di come, alle volte, il legislatore regionale sia molto pi sensibile e attento alle problematiche della societ rispetto a quello statale. Ed il fatto che, come ricordato prima, il nostro Stato si trovi oggi a non avere una normativa interna su un tema tanto importante come quello dei rimpatri degli stranieri irregolari, la dice davvero lunga. Senza giri di parole possiamo essere tutti concordi nel definire la Bossi Fini come una norma manifesto che non solo non ha risolto il problema ma addirittura lo ha accentuato ingigantendo il tasso di irregolarit per evitare lo stanziamento regolare dello straniero. Anche grazie a norme come queste, il processo di integrazione degli stranieri viaggia ad una velocit davvero lenta. Troppo di frequente si vengono a creare situazioni di conflitto tra cittadino e straniero che sfociano in reazioni al quanto discutibili: le ronde in Veneto e Lombardia sono un esempio su tutti. Il nostro Stato dimentica, spesso e volentieri, che la nostra politica interna non fine a noi stessi, ma rivolta ad una dimensione europea. Oggi ragionare a livello di un Sistema Europa condizione imprescindibile. La credibilit in Europa di parte dei nostri rappresentanti, che in questi anni andata scemando in maniera vertiginosa, in gran parte dovuta, secondo me, soprattutto grazie a decisioni di politica interna: sia in ambito economico, sia in ambito politico. Sembra quasi che la nostra classe politica (dati alla mano una delle pi anziane in assoluto) sia apatica su tante tematiche riferite ad un livello europeo: quanti cittadini italiani sono a conoscenza dei diritti derivanti dallo status di cittadino europeo?! Questo certamente dovuto anche dal fatto che c troppo poco impegno nella sensibilizzazione del cittadino. Nessuna pubblicit progresso, telegiornali che non citano quasi mai questioni europee o se lo fanno dedicano un servizio di 2/3 minuti, nessuna campagna informativa nelle scuole. Lidea di fondo sembra essere ( a me arriva questo, spero vivamente di sbagliarmi) che meno il cittadino sa, meglio per uno Stato che tante volte sembrato incapace di fronteggiare le richieste sovrannazionali. Perch io sono convinto che un cittadino informato a dovere non avrebbe mai permesso un buco normativo come il nostro in tema di rimpatri. Questa inettitudine comporta a mio avviso un effetto terrificante: e cio in un ipotetica linea che parte da 27 Stati singoli per arrivare al tanto sperato Stato Federale, il nostro Stato rischia di restare fermo e di non remare verso la meta tanto auspicata. Da studente di giurisprudenza sono indignato, da cittadino europeo lo sono ancora di pi.

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