Sei sulla pagina 1di 2

LA REPUBBLICA ›

Uno, nessuno e fascista: così Pirandello


appoggiò il regime
Annotations
MARCH 23, 2021

Luigi Pirandello

Il 17 settembre del 1924, nel momento storico in cui Mussolini appariva isolato e il fascismo
perdeva colpi in seguito al rapimento e all'assassinio del deputato socialista Giacomo
Matteotti, Luigi Pirandello scriveva al Duce una lettera in cui chiedeva l'iscrizione al Partito
Nazionale Fascista. Con il peso della sua notorietà internazionale il drammaturgo veniva in
soccorso del regime non ancora consolidatosi. Gli organi e la stampa di opposizione si
mostrarono disorientati di fronte a un gesto che apparve estemporaneo e autolesionistico. In
realtà la coraggiosa decisione di Pirandello era coerente con la biografia intellettuale di chi,
figlio di un ex garibaldino, disprezzava la classe politica "liberale", rivelatasi non all'altezza
delle idee e dei propositi di rinnovamento che avevano guidato il moto risorgimentale, e
riteneva, con accenti non privi di qualunquismo, la democrazia, cioè il governo della
maggioranza, la causa vera di tutti i mali, come si legge in un passo del romanzo "Il fu Mattia
Pascal" ﴾ 1904﴿: " Perché, quando il potere è in mano d'uno solo, quest'uno sa d'esser uno e di
dover contentare molti; ma quando i molti governano, pensano soltanto a contentar se stessi,
e si ha allora la tirannia più balorda e più odiosa: la tirannia mascherata da libertà ".

Per tanto tempo, intorno al rapporto tra Pirandello e il fascismo si è scritto molto, badando
soprattutto a sottolineare che, pur senza esplicite prese di posizioni pubbliche, il drammaturgo
apparve, negli anni del consolidamento del regime, sempre più distante da una reale
partecipazione politica. Confuta, invece, questa tesi il recente libro di Piero Meli, Luigi
Pirandello. " Io sono fascista" ﴾ Salvatore Sciascia editore, 147 pagine, Caltanissetta‐ Roma,
2021﴿, che mette a disposizione dei lettori una ricca messe di informazioni tratte da pagine di
giornali d'epoca e notizie di cronaca dimenticate, e riscrive in maniera non reticente un
tassello di quel capitolo di storia politico‐ culturale del nostro Paese che vide personalità di
alto profilo come Giovanni Gentile, Alfredo Rocco, Gioacchino Volpe e lo stesso Pirandello
dare il loro contributo quando Mussolini prese il potere. È vero infatti che qualche mese dopo
la marcia su Roma, in una intervista apparsa sul "Giornale di Sicilia" nel dicembre del 1922,
Pirandello si dichiarava un precursore del fascismo e affermava: " Io non sono un uomo
politico e quindi esprimo un impressione piuttosto che un giudizio. Attribuisco un grande
valore psicologico al trionfo del Fascismo e, per ciò stesso, al suo metodo di azione".

Nell'ottobre del 1923, dopo essere stato invitato a colloquio da Mussolini ﴾ sarà ricevuto poi
per quattro volte tra il 1932 e il 1935﴿, Pirandello andrà in America per presenziare il 1°
gennaio 1924 alla inaugurazione della stagione pirandelliana organizzata dal Foreign Press
Service, e qui si impegnerà, come farà in seguito quando sarà all'estero, con discorsi e
conferenze nei circoli sociali e intellettuali per dissipare le diffidenze del popolo americano sul
fascismo e sulla figura di Mussolini. E questo perché Pirandello trovava nel fascismo e nel suo
fondatore l'ideologia politica più aderente al suo pensiero: "Io sono fascista perché credo
soltanto nella creatività dei singoli e non in quella delle masse. L'umanità è fatta di creatori e
di materia inerte. Le masse costituiscono la materia, non hanno né una volontà né una forza
propria e sono soltanto materia nelle mani di un grande creatore. Il creatore imprime una
forma e un movimento a questa materia inerte. L'Italia di oggi non è più quella di ieri, perché
uno spirito l'ha ricreata".

Allo scopo di ridimensionare l'immagine di Pirandello fascista, gli studiosi del drammaturgo
ne hanno esaminato l'opera alla ricerca di allusioni, indizi, prove, episodi che potessero
dimostrare il contrario. Lavoro sterile, dice Meli, perché non c'è niente di antifascista nella
produzione letteraria di Pirandello ﴾ a differenza di quanto credeva Leonardo Sciascia, che ha
interpretato in questo senso la novella "C'è qualcuno che ride"﴿, così come non c'è niente di
fascismo, poiché Pirandello fu apertamente contro un'arte fascista. In quest'ambito lo scrittore
rivendicò sempre la propria autonomia di fronte al regime e non si allineò alle sue direttive. "
L'arte ‐ diceva Pirandello ‐ è il regno del sentimento disinteressato " , pertanto " non si può
per intenzione, fare dell'arte fascista; facendola, si fa della polemica e nient'altro".

Pur avendo subìto qualche affronto dal fascismo, come quando Mussolini nel marzo del 1934
fece ritirare dal cartellone del teatro dell'Opera di Roma l'opera musicale di Gian Francesco
Malipiero "La favola del figlio cambiato", su libretto di Pirandello, colpevole di avere creato un
incidente diplomatico con il governo della Germania a causa della storia del bimbo brutto e
nero, figlio del re di una Nazione cultrice della pura razza ariana, lo scrittore non prenderà mai
pubblicamente le distanze dal regime, che con le sue istituzioni continuerà a fargli giungere
riconoscimenti, ricambiati dall'artista con la sua militanza politica che registra episodi
clamorosi: l'accettazione del ruolo di guardia d'onore al Palazzo delle Esposizioni nel 1935 e
l'offerta della medaglia del Nobel contro le "inique sanzioni", senza dimenticare la sua
adesione al manifesto degli intellettuali fascisti. In questo senso, a ulteriore prova della sua
ostinata fede politica, è utile riportare quanto si legge nel libro dello storico americano John
Patrik Diggins, "L'America, Mussolini e il Fascismo", Laterza, 1972: "Quando nel 1935
Pirandello arrivò negli Stati Uniti, parecchi commediografi, tra i quali Clifford Odets e John
Howard Lawson, andarono a trovarlo nel suo appartamento al Waldorf Astoria. Essi cercarono
di indurlo a sconfessare il fascismo e a ripudiare l'invasione dell'Etiopia. Ma Pirandello invocò
l'autonomia dell'arte dalla politica, e il colloquio terminò in uno stato d'animo di reciproco
rancore ﴾ NyT, 24 luglio 1935﴿".

Al momento della morte Pirandello, con le sue disposizioni testamentarie ‐ far passare sotto
silenzio la sua morte, carro di infima classe, divieto a parenti e amici di seguirlo, dispersione
delle ceneri al vento ‐ dribblava la "bella morte" fascista e lasciava uno sberleffo postumo e
inaspettato a Mussolini. Ma qui Meli, instancabile esploratore del materiale pirandelliano, ci
riserba una sorpresa: scrive che il presunto testamento " antifascista" dello scrittore era un
foglietto ingiallito e sgualcito dal tempo che risaliva al 1911. Il grande commediografo ci
dimostra così che la vita è, come lui la vedeva, " una cruda e buffa opera teatrale".

https://outline.com/nvdDBA COPY
Annotations · Report a problem
G
M
T
Rileva lingua
Italiano

Opzioni : Cronologia : Opinioni : DonateChiudere

Outline is a free service for reading and annotating


news articles. We remove the clutter so you can
analyze and comment on the content. In today’s
climate of widespread misinformation, Outline
empowers readers to verify the facts.

HOME · TERMS · PRIVACY · DMCA · CONTACT

Enter article URL TRY IT


READ & ANNOTATE ARTICLES

Potrebbero piacerti anche