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Virginia Woolf

da To the Lighthouse (1927)

(Trad. ita Gita al faro, di Maria Nadotti)

E se domani non è bel tempo, – disse la signora Ramsay, dando un’occhiata a William Bankes e
Lily Briscoe mentre passavano, – sarà per un altro giorno. E ora, – disse, pensando che il fascino di
Lily erano i suoi occhi cinesi, sbiechi nel visetto pallido, imbronciato, ma solo un uomo intelligente
avrebbe potuto notarli, – e ora alzati e lascia che ti misuri la gamba, – perché forse sarebbero andati
al Faro dopotutto, e doveva controllare se era il caso di aggiungere qualche centimetro al calzerotto.
Sorridendo, perché una splendida idea le era guizzata in mente in quel preciso istante – William e
Lily dovevano sposarsi – prese il calzerotto color dell’erica, con l’incrocio dei ferri metallici
all’imboccatura, e controllò la misura sulla gamba di James.
– Tesoro, stai fermo, – disse, perché nella sua gelosia, non piacendogli servire da metro per il figlio
del guardiano del Faro, James si dimenava apposta; e se si agitava cosí, gli chiese, come faceva lei a
vedere se era troppo lungo, o troppo corto?
Alzò gli occhi – quale demone l’aveva preso, il suo piccolino, il prediletto? – e vide la stanza, vide
le sedie, e le trovò davvero malconce. Le loro viscere, come aveva detto Andrew qualche giorno
prima, erano sparpagliate sul pavimento; ma a che pro, si domandava lei, comprare delle sedie
nuove per lasciarle lí a rovinarsi tutto l’inverno quando la casa, con solo una vecchia a custodirla,
letteralmente gocciolava di umidità? Pazienza: l’affitto ammontava esattamente a due penny e
mezzo; i ragazzi la amavano; a suo marito faceva bene stare a tremila, o per la precisione a trecento
miglia dalla sua biblioteca, dalle sue lezioni e dai suoi studenti; e c’era spazio per gli ospiti. Stuoie,
brande, bizzarri spettri di sedie e tavoli che, dopo una vita di onorato servizio a Londra, lí andavano
piú che bene, e anche un paio di fotografie, e libri. I libri, rifletté, proliferavano da soli. Lei non
aveva mai tempo di leggerli. Purtroppo! Neppure i libri che le erano stati donati con dedica del
poeta: «Per colei i cui desideri sono legge»… «Alla piú felice Elena dei nostri tempi»…
disonorevole a dirsi, ma non li aveva mai letti. E neppure il saggio di Croom sulla mente e quello di
Bates sui costumi dei selvaggi della Polinesia («Tesoro, sta’ fermo», disse), né si potevano mandare
al Faro. A un certo punto, probabilmente, il progressivo degrado della casa avrebbe imposto qualche
intervento. Se solo gli si fosse potuto insegnare a pulirsi i piedi e non portare dentro la sabbia –
sarebbe già stato un passo avanti. I granchi era costretta ad ammetterli, se davvero Andrew li voleva
dissezionare, o se Jasper pensava di poter fare una zuppa con le alghe, non glielo si poteva proibire;
o i reperti di Rose, conchiglie, canne, ciottoli; perché erano dotati, i suoi figli, ma tutti in modo
diverso. E il risultato era, sospirò, avvolgendo con lo sguardo l’intera stanza dal pavimento al
soffitto, mentre tendeva il calzerotto sulla gamba di James, che le cose si logoravano sempre piú,
estate dopo estate. La stuoia scoloriva, la carta da parati si staccava. Ormai era impossibile vederci
delle rose. Del resto, se le porte restano sempre aperte, e in tutta la Scozia non si trova un fabbro
capace di aggiustare un chiavistello, le cose per forza si sciupano. A che scopo gettare uno scialle di
cashmere verde sullo spigolo di una cornice? Nel giro di due settimane sarebbe stato del colore di
un passato di piselli. Ma ciò che la irritava erano le porte, le porte lasciate aperte. Tese l’orecchio.
La porta del salotto era aperta, la porta d’ingresso era aperta, sembrava che le porte delle stanze da
letto fossero aperte, ed era certamente aperta la finestra del pianerottolo, perché l’aveva aperta lei.
Le finestre dovevano essere aperte, e le porte chiuse – molto semplice, ma perché nessuno se ne
ricordava? La sera andava nelle stanze da letto delle domestiche e le trovava sigillate come forni,
tranne quella di Marie, la ragazza svizzera, che avrebbe fatto a meno del bagno piuttosto che
dell’aria fresca, ma a casa, aveva detto, «le montagne sono cosí belle». Gliel’aveva detto la sera
prima, guardando fuori dalla finestra con le lacrime agli occhi. Suo padre stava morendo laggiú, la
signora Ramsay lo sapeva. Li avrebbe lasciati orfani. Qualunque rimprovero e dimostrazione (come
rifare un letto, come aprire una finestra, e intanto apriva e chiudeva le mani come una donna
francese), tutto si era ripiegato quietamente in lei, alle parole della ragazza, come le ali di un uccello
si ripiegano quietamente dopo un volo nella luce del sole e l’azzurro delle piume sfuma dal grigio
acciaio a un pallido viola. Era rimasta lí in silenzio, perché non c’era nulla da dire. Aveva un cancro
alla gola. Ripensandoci – a come lei aveva reagito, a come la ragazza aveva detto «A casa le
montagne sono cosí belle», e che non c’era speranza, nessuna speranza, ebbe uno scatto
d’irritazione e disse severamente a James:
– Sta’ fermo. Non essere noioso, – e lui capí subito che diceva sul serio, allungò una gamba e lei
controllò la misura.
Al calzerotto mancava almeno un centimetro, anche tenendo conto che il figlioletto di Sorley era
meno cresciuto di James.
– È troppo corto, – disse, – decisamente troppo corto.
Mai nessuno fece una faccia cosí triste. Amareggiata e nera, a metà strada, giú nell’oscurità, nel
cunicolo che portava dalla luce alle tenebre, forse si formò una lacrima; una lacrima cadde; le acque
ondeggiarono qui e là, l’accolsero, e si quietarono. Mai nessuno fece una faccia cosí triste.
Ma era soltanto apparenza? diceva la gente. Che cosa c’era – dietro la sua bellezza, il suo
splendore? Si era fatto saltare le cervella, si domandavano, era morto la settimana prima del
matrimonio – un altro, piú giovanile amore, di cui si vociferava? O non c’era nulla? null’altro che
una straordinaria bellezza, al cui riparo lei viveva, e che non poteva in alcun modo alterare? Perché
le sarebbe stato facile in certi momenti d’intimità, quando le venivano raccontate storie di grandi
passioni, di amori contrastati, di ambizioni deluse, dire che sapeva, che l’aveva vissuto, ci era
passata anche lei, invece non parlava. Restava sempre silenziosa. Sapeva dunque – sapeva senza
avere appreso. Nella sua semplicità capiva ciò che persone colte fraintendevano. La sua onestà
mentale la faceva andar giú dritta come un sasso, planare con la precisione di un uccello, le dava,
con naturalezza, quello slancio e ricaduta dello spirito sulla verità che rallegrava, dava conforto,
sosteneva – forse erroneamente.
(«In natura si è perso lo stampo, – aveva detto una volta il signor Bankes, udendo la sua voce al
telefono, molto commosso sebbene lo stesse semplicemente informando s u un certo treno, –
dell’argilla con cui lei è stata modellata». La vedeva all’altro capo del filo, profilo greco, occhi
azzurri, naso diritto. Come sembrava incongruo parlare al telefono con una donna simile. Le Grazie
a convegno sembravano aver intrecciato le mani in prati d’asfodeli per comporre quel viso. Sí,
avrebbe preso il treno delle 10,30 a Euston.
– Ma non è consapevole della sua bellezza piú di quanto non lo sia un bambino, – disse Bankes
riagganciando e attraversando la stanza per vedere quali progressi stessero facendo gli operai che
costruivano un albergo dietro casa sua. E osservando lo scompiglio tra i muri non finiti, pensava
alla signora Ramsay. Perché c’era sempre, rifletté, qualcosa di incongruo che bisognava accordare
con l’armonia del suo viso. Si calcava in testa un cappello da cacciatore; correva nel prato con le
galosce per acciuffare un bambino pronto a una birichinata. Cosí, se si pensava solo alla sua
bellezza, bisognava tener presente quel fremito, quella cosa viva – trasportavano mattoni lungo
un’asse inclinata, mentre li osservava – e inserirla nel quadro; se invece si pensava a lei solo come
una donna, bisognava dotarla di una qualche stravaganza; o ipotizzare un desiderio latente di
spogliarsi della sua regalità di forme, come se la sua bellezza l’annoiasse, e l’annoiasse tutto ciò che
gli uomini dicono della bellezza, e volesse solo essere come chiunque altro, insignificante. Chi lo
sa. Chi lo sa. Ma doveva rimettersi al lavoro).
Sferruzzando l’ispido calzerotto rossiccio, con la testa bizzarramente inquadrata dalla cornice
dorata, con lo scialle verde buttato sullo spigolo della cornice, e la copia del capolavoro di
Michelangelo, la signora Ramsay smussò quanto di brusco c’era stato nei suoi modi poco prima,
alzò gli occhi e baciò il figlio sulla fronte. – Cerchiamo un’altra figura da ritagliare, – disse

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