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BEPPE LOPEZ

Capatosta
RoMANzo

Impaginazione e graca Loredana My

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indice

la nascita musi appesi e risate zi marisabbell lamoreggiamento il dispetto la prima notte puzze e mazzate il maloverme lo sponsalizio la separazione la morte

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Postfazione piccolo viaggio critico attorno a CAPATOSTA

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Dedicato ad Antonietta Sassanelli, una capatosta che non lasci nessun segno nella storia, ma nella vita s, a cominciare da quella dei gli capatosta Pinucc e Vitin e, attraverso loro, dei nipoti capatosta Cico, Corallina e Olivia, e dei capatosta che questi inevitabilmente niranno per mettere al mondo, aprendo la strada ad altre svariate generazioni di capatosta.

Questo racconto, partendo da situazioni reali e dalle vicende di persone effettivamente vissute o ancora in vita, descrive fatti e caratteri certamente verosimili e signicativi (di unepoca, di un mondo, forse persino di una certa maniera di stare al mondo, se non semplicemente dello stare al mondo, sempre e ovunque) ma da considerarsi puro frutto della fantasia dellautore, risultando ampiamente arricchiti o impoveriti, fortemente distorti o raddrizzati, arbitrariamente stravolti o appianati rispetto agli spunti iniziali. Perci desumere dal testo riferimenti a speciche persone e a speciche vicende sarebbe, sia sul piano formale che su quello sostanziale, assolutamente sbagliato e arbitrario.

la nascita Appena Donna Sabbedd si sgrav, la creatura non avette manco il tempo di pigliare ato che fu vestita di nero. Tanto per cominciare, naturalmente, lammatassarono stretta stretta con le fasce di lino bianco che allora, siccome non ci stava lo sciupasciupa di mo, passavano per risparmio da un piccininno che cresceva a un altruno che nasceva. Pure a lei lasciarono libere solo le braccia piccinonne piccinonne e la capa, quella capa gloriosa dove gi si potevano intravvedere la babbscia (s, il mento pronunciato, come si dice in italiano) e, con una certa fantasia, pure i capelli ondulati che da giovane lavrebbero fatta assomigliare nientedimeno che ad Alida Valli. E ci sta da dire che con quelle fasce la stringttero, sin dal primo d, con tanta forza da tradire qualche speranza segreta, se non lintenzione vera e propria di strozzarne lo sviluppo, di soffocarne la vita, insomma di farla tornare l da dove era venuta, non chiamata e meno che meno desiderata. Ma, quasi a eliminare pure la minima possibilit che qualche uno potesse confondere per segnale di buon ricevimento quella fasciatura che in effetti gareggiava per purezza e per innocenza con lincarnato suo, la pupa fu vestita, da sopra, tutta di nero. Il corredino colore della morte era pronto da due semane prima che nascesse quella vita nova: scufette nere, calzini neri, scarpettine nere, vestine nere, neri persino i primi bavaglini di Iangiuasandin. Laveva preparato, ogni volta lavandosi prima le mani, la glia grande di Felucc del Baccal, detto pure Felucc il Norvegese. Come si chiamava quella uagnedda, quella ragazza? Ah s, Varv la Zoppa. Era soprannominata cos, la poveredda, perch teneva la gamba offesa. Varv dava una mano dentro il negozio di famiglia, in via Bovio, dove si vendevano allingrosso balle di baccal e 9

pezzi di stoccasso. Ma tra una pesata e laltra faceva corredini e maglioncini, pi per la soddisfazione che per i tornesi. Anzi, erano pi le volte che non si faceva pagare. Proprio come con Donna Sabbedd, dalla quale non aveva voluto nulla pi che la lana, le pezze e le spagnolette di lo nero. Tra laltro, Varv non se lera proprio sentita di presentarsi lei da Momen della Mercer ad accattare tanta robba nera come per un lutto. Ma aveva accettato dimpegnarsi con quel corredino perch Donna Sabbedd era una fmmena sventurata senza marito. E cos si era messa a incrociare i ferri per un mese sano sano, col dolore in corpo per la povera creatura alla quale stavano preparando quella sorta di scherzo, chiamiamolo cos, e con la complicazione di tenere i dsciti della mano destra sempre a forma di corna, contro la iettatura. Ma in conclusione era venuto proprio un bel lavoretto, che per Varv non potette pigliarsi nemmeno la soddisfazione di farselo decantare dentro il rione. Si vergognava a mostrarlo, per via del colore. Che avrebbe detto la gente? Che era ammattita? Che una cimice aveva avuto la bella pensata di trasirle dentro la rcchia, facendola sragionare? Una cosa certa: dal momento che avesse fatto vedere alle commaredde quel corredino nero, tutti lavrebbero poi scansata con una scusa o con laltra e gli immini, soprattutto loro, si sarebbero grattati in mezzo alle gambe parlando con decenza solo a sentirla nominare. Sin dalla seranotte, quando cominciarono le doglie di Donna Sabbedd, si era scatenata senza preavviso una tempesta schiantosa di acqua e di mota. Non si era mai vista una tragedia simile. Per le strate e persino dentro le case tutti erano bagnati come pulcini. Dove ti voltavi e giravi, vedevi facce stralunate. Si sfrantumarono un sacco di case. Il fango ammant, almeno per un metro di altezza, mezzo paese: dalla stazione, dove tutti i treni furono poi bloccati per una semana, a via Napoli, a Carrassi, sino alla Madonnella. da quella notte che le scarpe, da noi, si chiamano fangose. 10

E la matina, quando Chell la Vammara tir nalmente fuori dal ventre di Donna Sabbedd quella piccinenna condannata a chiamarsi Iangiuasand dal nome dellattano suo, del pap suo invece che, come vole la tradizione, col nome della mamma dellattano, insomma della nononna sopra il terreno si contarono diciannove poveri cristi morti, cinquanta feriti e mezzo miliardo di danni (mezzo miliardo di lire degli anni Venti). In compenso, si sa com la provvidenza, al municipio furono segnate sedici nascite, compresa quella che non era venuta a rallegrare la casa di Donna Sabbedd. Ma non fu per i dolori e per i lutti provocati da quella tempesta che Iangiuasandin, appena nata, fu vestita di nero e che tutti chiangvano tanto di lagrime attorno al letto della sgravata... Donna Sabbedd non era pi una nanetta sprofumosa come una volta, quando si permetteva pure di girare con il cappellino ben sistemato sopra il cheggheruzzo, al braccio di quella sorta dmmeno del marito. Mo aveva perduto le penne e abbasciato la cresta. Ed era al quinto parto. Mai un aborto, sia mai! Mba Iangiuasand laveva sempre portata in palmo di mano e, al contrario di tutti gli altri mscui che conoscevano, non aveva mai permesso che Sebellin come la chiamava lui si facesse ruinare il piccioncino dai ferri di qualche vammara senza Dio. Di troppe disgrazie e di troppo sangue aveva sentito parlare Mba Iangiuasand, nonostante il fatto che questi fastidi le fmmene procuravano di scrseli a levare da sole, senza manco avvisare i mariti. S, erano cose da nascondere, da vergognarsene persino con le altre fmmene che non erano parenti strette, diciamo una mamma o una sora. Sebellin, lei, non aveva da fare mai nulla da sola e, del resto, non teneva n mamma n sore. Aveva da fare tutto con lui: informarlo prima di qualsiasi cosa e obbedire agli ordini suoi. Mba Iangiuasand stravedeva per lei e le dava sempre gli ordini giusti. La teneva dentro una campana di vetro la mogliera giovane giovane. E poi, per tornare al 11

fatto nostro, i gghi so la benedizione di Ges. Lo diceva sempre Mba Iangiuasand... Ora, attorno a loro due, mamma e glia appena nata, chiangvano tutti. Era mgghio che non nascivi gridava, chiangeva, si disperava e si strazzava i capelli Donna Sabbedd. Speramo che mori subito, accos non ci di tanti doluri e non te ne pigghi. Cristo, acchimatela a te domani, magari oggi stesso. E tutti squadravano la creatura senza essere capaci di nascondere il veleno e il furore di chi si sottomette a una tribolazione che ti manda il cielo e che ti devi caricare sopra la schiena, senza rimedio. Ma non morette quel d, Iangiuasandin, n il d dopo. E pi che una disgrazia, per tutta la vita sua tribolata, fu una disgraziata: dette lo da torcere, certamente, ma tanto, tanto di pi ne dettero a lei, insieme a infelicit, morticazioni e mazzate. Mba Iangiuasand era morto acciso da nove mesi. Per la precisione, da nove mesi meno un d. La sera prima della pi grande sciagura della vita sua, Sebellin se la ricord poi per sempre. Fu quella sera lultima volta che facette cich-ecich con il marito: lei, piccinonna e tracagnotta, sdegnosa e petulante, che per si squagliava come un gelato al sole tra le braccia forti forti di quel gigante che era Mba Iangiuasand, e lui alto e bello, coi mustazzi allins che gli tremuvano tutti, sino allultimo pelo, quando abbrazzava la mogliera. Buono come il pane, pulito come un bicchiere di acqua, gentile come un signore, voluto bene e rispettato da tutti, pure con la pelle bianca ma faticatore e forte. E nessuno poteva dire pure solo una parola fuoriposto innanzi a lui. Quella sera chiss, forse per un presentimento quel colosso domand a Sebellin di levarsi la sottoveste e di voltarsi, perch le voleva vedere per una volta la schiena. Vgghio 12

proprio mirrmela e rimirrmela, almeno per una volta. Ad accarezzarla, pare proprio un velluto. Lo domand dolce dolce e abbasciando la voce in maniera da non farsi sentire dai gli, che avevano da stare a dormire ma potevano stare discetati, e quasi pure per non sentirsi lui stesso. Sebellin, tutta vergognosa, si avvertette che pure lui era tutto vergognoso. E questo le dette tranquillit. Perci, senza il coraggio di ssarlo dentro gli occhi, si volt di schiena, adscio adscio si lev la sottoveste e se ne stette ferma ferma, con la faccia premuta sopra i cuscini, che quasi manco respirava. Sentette che lui lesaminava e intuette dal soprafato suo che pi la esaminava e pi si accalorava. E si accalorava pure lei, sentendo gli aghi di quegli occhi che la pungevano millimetro per millimetro. E simmaginava le mani del marito, mani abituate e strabituate a caricare e a scaricare, bloccate dal rispetto e dal pudore. Con un piede, istintivamente, Sebellin lo cerc e lo tocc, forse per non farsi sentire troppo in alto e troppo lontana da lui, che dentro certi momenti, effettivamente, esagerava a estasiarsi innanzi a lei come se fosse una santa o una regina. E quella sera, come era successo altre quattro volte (con la conseguenza degli altri quattro gli), lui aveva capito checcosa lei volesse dire con quel toccamento di piede malandrino e laveva abbrazzata, forte forte. La pigli cos, come non aveva fatto mai, penetrandola dentro la natura ma da dreto, come fanno ancora le bestie e come una volta, anticamente, facevano tutti gli immini con le fmmene loro quando erano meno delicati ma pure meno complicati di mo... Che stavamo a dire? Ah, s... Mba Iangiuasand, dunque, nette al Creatore nove mesi meno un d prima della nascita di Iangiuasandin. Insomma, troppo in anticipo perch quella creatura potesse essere considerata veramente una benedizione di Dio per quella casa e troppo tardi, invece, per fare a meno di mettere al mondo una sciagurata. Nove mesi meno un d prima della nascita di 13

Iangiuasandin, Mba Iangiuasand si era visto arrivare, alla cava, il carro e la mula di un giornaliero menati invece che dal riconosciuto proprietario loro da un uagnone, un ragazzo. Addo sta Colin? aveva domandato Mba Iangiuasand a quel uagnone, quasi un piccininno, e addo cappro vai tu, col carro e con la mula, a fare danni? E quello, abbasciando la capa per la vergogna, si giustic: Io so il fgghio di Colin. Pap sta ammalato e mha ammandato a me per abbuscarci la scirnata. Mba Iangiuasand prima lo cacci, ma poi avette compassione e lo richiam: Vabbuono, arrimani pure qua, col carro e con la mula, ad agguadagnarti la scirnata. Ma sei quattrossa, non ce la fasci ad accaricare. Stttene vicino alla mula, mentre noi accaricamo. Almeno vedi di farla stare ferma, accos non facimo doppia fatica. Solo da un annetto Mba Iangiuasand si era fatto la cava. Da uagnungiddo era stato operaio. Ma pure mo, pi che atteggiarsi a patrone vero e proprio, da operaio faticava. Caricava e scaricava pi dei lavoranti stessi. La ditta cominciava a ingranare. Una volta era venuto al cantiere, per la verit casualmente, persino un industriale del Norditalia, uno importante. Mentre veniva portato a vedere un oleicio, dopo che aveva fatto visita e dato consigli dentro unofcina, lingegner Olivetti si era avvicinato per curiosit alla cava, che stava sopra la strata, e gli aveva stretto la mano complimentandosi con lui. Bravo, bravo gli dicette sinceramente quella sorta dingegnere del settentrione, mi hanno detto che lei si fatto da solo, che viene dal nulla. Bravo, bravo, su gente come lei che sono riposte le speranze di tutti gli italiani per la rinascita del Sud. Comunque, Iangiuasand era diventato Mba Iangiuasand e con i tu suoi e le mani sue senza essere ingegnere, anzi senza avere nemmeno la quinta elementare si era fatto pure una bella casa, che faceva la gura sua in mezzo a tutti quei cafurchi di case di via Mirenghi. Del resto, tutti lo consideravano un mmeno attivo e concreto. Tanto concreto che, quando aveva scavato 14

le fondamenta della casa, dopo dieci minuti si era gi stancato di aspettare come facevano tutti che passasse per caso da l un cristiano o un gatto per murarne lombra sotto il primo tufo del primo strato di tu. Mica potimo stare qua ad apprdere mezza scirnata, accos, ad aggirarci i dsciti scatt allimprovviso. Facimo che sopralla calce stampamo lombra mia e laugurio della casa lo faccio io stesso. Dicendo cos, si mettette tra il sole e lo scasso, ordinando agli operai di piazzare i primi tu sopra lombra sua stessa, mentre attorno cera chi inutilmente gli gridava, chi gli raccomandava e chi gli intimava di non farlo perch apporta scommnica (insomma, porta malaugurio). A uno che aveva fatto quella stessa strafottenza lo sapevano tutti dentro il quartiere era capitato di morire acciso prima che la casa fosse tutta nita. Com e come non , in effetti la casa di via Mirenghi non era ancora stata completata quando quella matina al cantiere era venuto, al posto di Colin, il glio suo. Il uagnone non fu capace di farla stare ferma la mula. Anzi, giuocando con la scuriata, ad un certo punto facette schiantare la bestia, che scatt allandreto improvvisamente, piombando carro e tutto sopra Mba Iangiuasand da unaltezza di dodici metri. Il marito di Sabbedd e capo di famiglia responsabile di quattro gli morette quella giornata stessa allospedale, dove si dannarono lanima per cercare di salvarlo ma, per la verit, con la speranza di non farcela, date le tante ossa che si erano spaccate e immaginando il dolore e le umiliazioni che quel povero disgraziato avrebbe sopportato se fosse sopravvissuto. Lasciava la famiglia senza capo. Sabbedd era praticamente ancora una uagnedda, perch cos Mba Iangiuasand, pace allanima sua, aveva voluto che rimanesse. Anzi, se fosse dipeso da lui, Sebellin avrebbe fatto la pupa per tutta la vita, senza pensieri e senza responsabilit. Se li caricava addosso tutti lui i problemi della casa e dei gli...

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Ma Sebellin mo era vdua, con due gli mscui, Diador e Diopold, ancora troppo piccinunni per portare soldi a casa e con quelle due cambiali di Bellnia e Fin che, un d o laltro, avrebbe dovuto sfrangiare. Tali erano considerate le glie fmmene a quei tempi: cambiali di una certa consistenza e con una scadenza sempre troppo ravvicinata per essere umanamente sopportabili. E, per buon peso, Sebellin era pure incinta, come scoprette quando non le arrivarono le regole. Dentro quella casa scoppi la tragedia. Furono nove mesi di disperazione, di svenimenti, di rigetti, di depressione, di maledizioni e di attacchi isterici. Donna Sabbedd mo faceva gialla gialla, poi a furia di grattarsi diventava tutta una piaga. Per due volte fu preparata ogni cosa per laborto, per gettarla in terra quella creatura, frutto (ricordava Sabbedd con vergogna e con un brutto presentimento) di un accoppiamento alla maniera degli animali. Ma per due volte durante la notte lo spirito di Mba Iangiuasand venette ad assettarsi ai piedi del letto di quella cacasotto di Donna Sabbedd. La bonanima era diventato laugurio della casa e se ne stava tutto il d dentro il cesso, che non ce laveva fatta a piastrellare prima di rimanere acciso. Per due volte, eccezionalmente, quel fantasma di due metri si alz dal cesso e si permettette di appoggiare il culo sopra la manta di raso del letto matrimoniale, per parlare alla vdua disorientata, per ricordarle che nessuno le aveva toccato il barbagianni prima di lui e per ordinarle che nessuno aveva da toccarlo dopo di lui. Tanto meno per una cosa schifosa come laborto. Nemmeno il decotto di foglie di alloro Donna Sabbedd avette il coraggio di bersi. Una notte, piena di dolori e disperata, era sciuata zitta zitta dal letto e in cucina, sola sola, si era messa a ccere dentro lacqua sette foglie di alloro. Poi laveva svacata, ltrandola, dentro una tazza. Qualche una le aveva garantito che sarebbe bastata questa bevuta calda per abortire. Si era portata la tazza dentro la camera da letto, laveva appoggiata sopra il comodino e se la stette un poco 16

a rimirare per pigliare coraggio. Stava praticamente per agguantarla e portarsela alla bocca quando, improvvisamente, sentette rimbombare la voce terribile dello spirito di Mba Iangiuasand, che facette tremuare il lumino appicciato sotto la fotograa sua stessa: Fermati Sebellin, te lo approibisco. E attenta alla maledizione di Dio. Cos la gravida, paralizzata dalla pavura e dalla superstizione, rimanette gravida, aspettando la rottura delle acque come si aspetta la morte. Lultima mazzata Donna Sabbedd la ricevette quella matina, quando sentette la voce di Chell la Vammara che le aveva appena tirato fuori la creatura, gridare delusa: Mala nottata e fgghia fmmena. Dunque, unaltra bocca da sfamare e, perdipi, unaltra fmmena. Donna Sabbedd non volette manco surchiare, come di usanza, il brodo di palumbo (palumbo nel senso di uccello colombo, non nel senso del pesce palombo, che noi nominiamo pi propriamente penna). Era stato preparato dalla specialista del quartiere, Melin la Fruttaiola, che a Donna Sabbedd lo aveva gi servito per amicizia, comparizio e vicinanza di strata in occasione degli altri quattro parti, ma che questa volta dovette riportarselo a casa sua senza manco che qualche uno avesse avuto la sensibilit di dirle grazie. Teneva proprio la capa al brodo di palumbo e a Melin la Fruttaiola, dentro quel momento, Donna Sabbedd! Come sarebbe mai arrivata si disperava a sfrangiare questa terza cambiale? Altro che chiamarla Benedetta, il nome preferito da Mba Iangiuasand. Maledetta era il nome giusto per quella glia della morte. Ma gli impiegati del Comune avrebbero certamente fatto storie. Che allora si chiamasse come lui, fmmena e tutta: Iangiuasand. Lui laveva voluta? E lui se la caricasse sopra la schiena.

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musi appesi e risate Iangiuasandin, vai ad accattare una spagnoletta di cotone grigio le ordinava la sora grande, Bellnia. Ma la piccinenna, che da un paio di anni frequentava pure la rgia scuola elementare intitolata Pietro Toselli e che sin da quando era dentro le fasce non se ne faceva passare una, era lei che per tutta risposta domandava provocante a Bellnia: Questordine, per, robba tua o robba di mmmeta? La sora allora aveva da precisare, rassegnata e risentita: Ti do questordine a nome e per incarico di mamma. Vabbuono? S, accos vabbuono concludeva la piccinonna di casa, che allora se ne fusceva scattosa scattosa da Momen della Mercer. E, quando tornava, chiamava dal pianerottolo Bellnia e praticamente le sbatteva la spagnoletta sopra la mano, precisando con la voce tosta tosta: Ecco la spagnoletta per mmmeta. Sempre la stessa scena, sempre lo stesso tiatro, ogni volta che serviva di mandarla da qualche banda quella schecchiatedda. Cos Bellnia si affacciava dalla porta di casa e le gridava, per risparmiarsi le precisazioni delle altre volte: Senti, ha detto mamma di scire dal fornaro a pigghiare due pagnotte. Quella malcreata allora rispondeva a tono: E mmmeta non pote venire lei ad addomandrmelo a me? Ma, appena quella quattrofacce di Bellnia si voltava verso linterno della casa per dire Mamma, vedi che Iangiuasandin non vole..., la piccinenna si alzava, scendeva come una saetta i gradini a due a due tenendo le mani sopra la ringhiera per non indirupicare e fusceva dal fornaro.

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Insomma, erano passati gli anni ma Donna Sabbedd quella nascita non laveva digerita. Anzi, pi la glia del morto cresceva, pi si accumulavano musi appesi e punizioni, ostilit e dispetti. Donna Sabbedd diceva il minimo indispensabile a quella glia maledetta, solo quando era strettamente necessario e se non ci stava sottomano Bellnia per dire a lei checcosa aveva da riportare o da far fare a Iangiuasandin. Praticamente sin da quando Iangiuasandin aveva preteso di mettere la capa fuori dal ventre suo, non laveva mai voluta vedere. Succede. Certe volte, una nascita rivela a tutti qualcheccosa che si sarebbe preferito tenere segreto. Oppure non ci sta in casa la possibilit di sfamare unaltra bocca. Oppure, ancora, la creatura nasce strepiata. In questi tre casi pu succedere che, per riuto della nascita, la sgravata non tiene il core di allumare dentro la naca e quando allatta manco ladocchia quella bocca allupata che le srchia lanima. Ma normalmente la storia dura qualche d, al massimo una semana. Mica si pu rimanere come un manico di scopa innanzi allo spettacolo della tenerezza dei piccininni piccinunni piccinunni, a quellinnocenza, a quella fragilit. E quegli occhi che si aprono? e quelle recchietedde che si arrzzano mana mano che cominciano a distinguere voci e rumori? e quel naso cos rincagnato e ridicoloso? e quelle braccia piccinonne piccinonne che fanno sopra e sotto, come se volessero volare? Per questa ragione pure la mamma pi disperata, pi disgraziata e pi scalognata, ad un certo punto, si squaglia e comincia a mirarsela e ad accarezzarsela quella carne della carne sua, e poi a spupazzarsela e a vasarsela con esagerazione sino quasi a sciuparla, a struggerla, un poco per recuperare il tempo perduto e un poco per il rimorso di quella semana di cattiveria. Donna Sabbedd invece no. A lei non bast una semana per ripigliarsi. Non bastarono nemmeno gli anni. Troppo 19

uagneddozza e capafresca era rimasta dentro le mani di Mba Iangiuasand, e troppo era stato il dolore per quella morte prematura, troppo la sentiva quella mancanza. Perci quella vita nata mentre moriva la vita della vita sua laveva odiata dal primo momento. Laveva sentita subito come il sigillo di una esistenza che si sarebbe trascinata sino alla ne, sino alla morte, senza remissione, con il colore del lutto e la malinconia della viduanza. Per una semana, dopo il parto, Donna Sabbedd manco si era alzata dal letto, lei che le altre quattro volte praticamente aveva gliato allinpiedi. Le si ghiacciava il sangue allidea di passare innanzi alla naca e di essere costretta a vedere comera fatta, e magari a intenerirsi per quella quattrossa che lei era stata obbligata a farsi crescere in seno, mangiando e respirando nove mesi abbondanti con lei e per lei, e a cacciarla poi fuori con fatica pigliando aria e spingendo, pigliando aria e spingendo, sino a svenire, sino quasi a morire per lo sforzo e per la disperazione. Un paio di volte dentro quella semana, quando non ci stava nessuno a vederla, quella mamma snaturata stava pure lei per squagliarsi e difatti era sciuata dal letto, spinta dalla forza della natura a scire vicino alla naca, a scostare la tendina di tulle e a pigliarsela in braccio, a strngersela al petto quella pupa, che qualche uno le aveva accennato essere bellafatta come Mba Iangiuasand per alla femminile, diciamo allAlida Valli. Ma lodio era stato pi forte della natura. Tutte due le volte si era paralizzata un momento prima di scostare la tendina, tornando a infuriarsi sotto le lenzuola. La cattiveria contro la piccinenna arriv al punto di seccarle le menne, proprio a lei che le altre quattro volte soffriva di montate di latte che sarebbero bastate per uno iazzo sano sano di agnelli senza mamme. E cos Iangiuasandin fu costretta ad attaccarsi alle menne di unestranea... Non furono della mamma ma nemmeno di estranei le mani che laiutarono a fare i primi passi. Ci pensarono il 20

pi piccinunno dei due frati e soprattutto la pi piccinonna delle due sore. Per tutte queste ragioni, le prime parole che pronunci la pi rinnegata delle glie non furono mama n pa-pa, bens - e dio-dio. Fin e Diopold se la portavano a giuocare sopra il pianerottolo se la mamma stava arricettando in casa. Sapevano invece che avevano da farla sfuare in casa quando la mamma se ne stava asseduta a chiacchierare dentro il portone. Avevano da badare a farla mangiare e mangiare loro stessi prima o dopo la mamma. Ed erano loro a vestirla e a puliziarle il culo, a spogliarla e a metterla a dormire. Era notorio che Donna Sabbedd non la voleva tra i piedi quella specie di diavola sempre vestita a nero. Certo, il pi se lo caricavano addosso Fin, che poveredda pareva pure lei tenere ancora la bocca di latte, e Diopold, che aveva let e le energie da starsene a fare i fatti suoi con gli amici. Ma ognuno faceva la parte sua gli, parenti, amici e coinquilini per sparagnare a Donna Sabbedd malosangue e a quella povera creatura innocente di Iangiuasandin maledizioni e malacera. Dalla mamma, peraltro, mica da qualche uno che passasse da l per caso! Dentro quella casa era un tiatro continuo. Attenzione, attenzione, porta la piccinenna da l ch qua sta mamma. Oppure: Allora, io con una scusa acchiamo mamma ncucina e tu porti la menenna a farci fare una caminata... Con tutto ci, era robba giornaliera che mamma e menenna capitassero a tu per tu. Donna Sabbedd rimaneva impassibile, continuando a fare i fatti suoi, oppure voltava di scatto la schiena e cangiava stanza, quando Iangiuasandin, vedendola, cominci a tartagliare la parola ma-ma, senza che nessuno, manco Fin e Diopold, sapesse dove laveva sentita e come mai la collegava proprio alla vista di quella che, in effetti, le era mamma ma che si comportava con lei come unestranea, anzi come una nemica. Mana mano che cresceva, Iangiuasandin quellodio lo sentette, lo intuette, lo capette. Per un certo periodo, ogni 21

tanto aveva tentato di zomparle in braccio alla mamma, cos come faceva con gli altri. Ma quella, col muso appeso, si scostava. E siccome non le capitava mai di stare asseduta alla tavola, a mangiare, insieme alla mamma era il tempo in cui linnocente non era ancora in grado di concepire tantodio e tanta ostilit appena la vedeva asseduta, tach, si assedeva pure lei e le faceva una risa per accattivarsela. Ma quella, Donna Sabbedd, come reagiva? Gettava dentro il piatto la cucchiara che teneva in mano, si alzava e drizzava il piede da unaltra banda. E quante volte la sprovveduta aveva tentato dinseguire la mamma dentro la camera da letto, con lintenzione di stendersi con lei! Tutte le volte si era vista sbattere la porta in faccia da Bellnia, che invece vi dormiva regolarmente, o dalla mamma stessa se Bellnia non le stava dreto come una malombra. Una faccia brutta oggi, una porta sbattuta in faccia domani, alla ne la picciuedda cominci a intostarsi. Tu non mi vuoi? allora io ti voglio ancora di meno. Tu non mi vuoi bene come una glia? allora io non ti rispetto come mamma... Dopo tante umiliazioni patite senza che nemmeno sapesse checcosa fossero, quando arriv allet in cui le capette pure quelle passate Iangiuasandin principi a difendersi e poi ad attaccare. Nascette allora la dispettosa, la capatosta, la scontrosa. Non ne facette pi passare una liscia alla mamma e naturalmente nemmeno a Bellnia, delegata dalla mamma a trattare con lei, come delegato alle mazzate vere e proprie era il frate grande. Robba di ogni sera: appena rientrava dalla fatica, Diador era chiamato a rapporto dalla mamma e da Bellnia in camera da letto. E si sapeva gi checcosa avrebbe fatto dopo. Pigliava per una rcchia Iangiuasandin, se la metteva sopra le ginocchia e le dava dieci o venti schiaf al pop, a seconda della gravit delle malazioni fatte e della strafottenza delle parole dette, e a seconda che le avesse fatte e indirizzate a Bellnia o, incaricando Bellnia, alla mamma...

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Iangiuasandin, vedi che abbscio sta ad appassare il ceneraro lavvisava Bellnia, va e dicci che mamma tene abbisogno di un chilo di cenere. Sei proprio assicura che mmmeta non tha detto a te di scrcela a pigghiare la cenere? provocava Iangiuasandin. Sei tu che hai dallavare la robba, mica io. Allora vuoi scire, s o no? Io vado rispondeva la sfacciata, ma vgghio essere assicura che mmmeta non te lha detto a te di scire dal ceneraro, e che tu non stai a scaricare sopra me una ordinazione che stata fatta a te. Bellnia sapeva che allora aveva da voltarsi verso linterno e gettare la voce: Mamma, vedi che Iangiuasandin... A quel punto Iangiuasandin, immancabilmente, scattava, scendeva le scale a spezzacollo e fusceva dal ceneraro. Insomma faceva come il sorcio che giuoca con la gatta e la gatta non era certo Bellnia ma la mamma rischiando sempre di essere agguantato e sbranato, e questo solo per il piacere di sfotterla un poco, di stuzzicarla, dindispettirla la gatta, visto e considerato che purtroppo mai e poi mai il sorcio (non il sorcio-zccana, che tutta unaltra cosa) potrebbe arrivare alla grossezza e alla forza sua... Iangiuasandin si avvertiva che la mamma faceva di tutto per non vederla e che non le parlava. Figuriamoci poi ad abbrazzarla o solo a toccarla, a sorarla. La sentette pure, una volta, che bestemmiava in maniera specica la giornata in cui laveva messa al mondo, mentre contava i guai suoi a una commaredda. E unaltra volta la spi, mentre stava da sola in camera da letto a pregare, anzi proprio a parlare con la fotograa di Mba Iangiuasand, quella con il lumino sempre appicciato, e sentette che malediceva, s, una giornata specica, ma non quella in cui Chell la Vammara le tir fuori la glia della morte: discorreva con lo spirito del marito di una volta che stavano insieme loro due, lei e il marito ancora vivo, e lei Iangiuasandin non capette bene checcosa signicasse si 23

era girata di schiena. Perch mi hai fatto avvoltare di schiena quella sera, delinquente? diceva alla fotograa la mamma. La faccia sopral cuscino mi facesti mettere... Certo, accome faccio ad annascndertelo proprio a te, mica io non avvolevo... Per tu eri lmmeno di casa, il patruno della vita mia, quello che addecideva tutto e apprevedeva tutto... E poi ti vai a mttere pure sotto a quel carretto? E mi allassi sola sola con quel peso dentro alla ventre? Almeno mo dimmi, dammi un segno: checcosa posso fare con questa menenna? Non ci arriesco, non ci arriesco proprio a fare la faccia lavata, a fare nta che non marricorda morte e doluri... Per, una cosa non saper fare la faccia lavata aveva avuto la tentazione di gridarle Iangiuasandin, aprendo la porta da dove spiava e impatronendosi della tranquillit della camera della mamma e unaltra cosa maltrattarmi e farmi maltrattare dalla matina alla sera. Senza contare della crudelt di tutti quei vestiti neri... Mana mano che cresceva e metteva cervello, Iangiuasandin teneva la sensazione sempre pi netta che i cristiani simpressionavano per la maniera sua di vestirsi. Le altre menenne e gli altri meninni, ma diciamo pure tutti gli altri cristiani, portavano gonnelline, calzoni, maglioni e cammise di tutti i colori, perlopi il marrone e il grigio, ma pure il rosso e il giallo, il verde e il celeste, per non parlare del bianco di certe belle cammise e cammisedde per la domenica. Al contrario, le scarpe sue di pezza e di vernice, i calzetti e i calzettoni, le vesticedde e le cammisedde, persino le canottiere e le mutandine sue erano sempre e solo di un colore, il nero. Era talmente abituata e strabituata, addirittura da quando dormiva dentro la naca, a vedersi sempre con quel nero addosso, che non realizzava sino in fondo le ragioni dellimbarazzo e della sensazione di diversit che da un certo punto in poi aveva cominciato a provare, in mezzo alla strata ma pure in casa, fra tutti quei colori. Per lei era sempre stata come naturale, una specie di seconda pelle, quella colorazione di nero. 24

Come se fosse un destino inevitabile. Non ci stava forse chi nasceva strepiato, chi a un occhio, chi con una voglia di ctica stampata sopra la faccia, chi brutto come il debito, chi pi corto dei nani del Circo Togni? Mbe, lei era nata con quel nero addosso. Che ci poteva fare? E poi, alla ne, che ci stava di male? Ma la tragedia del colore nero era destinata a scoppiare, un d o laltro. E scoppi. Fu quando Iangiuasandin facette lentrata sua dentro il mondo della cultura, della lettura e della tabellina. Fu il primo d della prima elementare alla Pietro Toselli, quella bella scola che stava in via Modugno, afanco alle case popolari. Gi uno stratone prima Iangiuasandin, che teneva una manina dentro la manina di Fin e laltra manina dentro la manona di Diopold, avette un colpo. Da lontano sindividuavano tutti i meninni, da una banda, con il sinale nero e il occo blu, e tutte le menenne dallaltra, con il occo pure loro blu ma con il sinale bianco bianco. Iangiuasandin dette pure unocchiata al sinale della sora, che quel d cominciava la quarta elementare. E di che colore era il sinale di Fin? Era bianco bianco come il latte, immacolato come la neve appena caduta, praticamente luminoso come largento. E poi si dette unocchiata al sinale suo stesso, che pure gi sapeva di che colore era: nero. Fu una rivelazione, quella matina. Non era come le altre volte. E difatti la differenza fra il nero e il grigio, e fra questo e il marrone, e fra il marrone e il giallo sporco e fra questo e il bianco sporco e fra questo e il bianco bianco non che poi ti zompa agli occhi come ti zompa invece la diversit immediata, anzi il contrasto secco fra una massa di bianco e una massa di nero. Innanzi a quella netta separazione fra sinali bianchi e sinali neri, tra fmmene e mscui, Iangiuasandin capette allimprovviso lanormalit di tutto quel nero che si metteva addosso ogni d. Prov una vergogna insopportabile non solo per la gura che mo stava per fare, avendo da trasire vestita di nero dentro quel mare di sinali bianchi, ma pure per la pena che certamente faceva a tutti quelli che la vedevano, sempre in nero, da quando era nata... 25

La piccinenna istintivamente si ferm, squadr prima Fin e poi Diopold. La sora e il frate capttero pure loro istintivamente che Iangiuasandin aveva nalmente capito e, capendo, era mo stordita da una vergogna e da una pena sconnata per se stessa, piccinenna e tutta. E difatti non voleva scire innanzi, tentava di ritirare le manine, probabilmente per fuscrsene vergognosa vergognosa a casa, magari a nascondersi sotto il letto. Allora loro ce le stringttero quelle manine, con le lagrime agli occhi. La trattenttero, farfugliarono qualcheccosa tipo: Ma checcosa te ne freca a te del colore del sinale e praticamente se la tirarono sino ai gradini di marmo che portavano allentrata della Pietro Toselli. Dentro quel preciso momento le due colonne di studenti, quella bianca e quella nera, pigliarono a salire rispettivamente per lo scalone interno di destra e per quello di sinistra, verso i corridoi di destra e verso i corridoi di sinistra, per raggiungere una le aule delle fmmene e laltra le aule dei mscui. Checcosa facette allora quella piccinenna reattiva e vestita a nero, vedendo quelle due colonne moversi, dopo che Diopold aveva salutato le due sore per scrsene a fare i fatti suoi? Iangiuasandin facette una cosa semplice semplice, ma che la dice lunga a proposito del carattere che gi teneva, a unet in cui le piccinenne invece fanno praticamente tutte le stesse cose e tutte paiono avere lo stesso carattere. Allora, tu va con quelle vestite accome a te, e io vado con quelli vestiti accome a me dicette Iangiuasandin di corsa, lasciando la manina di Fin e fuscndosene a mischiarsi dentro la colonna di sinistra. Del resto, a quellet mascuitiddi e femmenedde, se vestono uguali, come fai a distinguerli? Certo, la capa di Iangiuasandin non era proprio rapata a carosello, come quella della maggior parte di quei piccininni. Ma ce nera pure qualche uno che pareva pi fmmena di lei, con certi boccoli che ci potevi fare passare una littorina in mezzo e con bocche cos carnose e rosse che non le potevano vanta26

re manco certe regine del cinematografo. Fin non avette il coraggio n la prontezza di precipitarsi da una colonna allaltra per recuperare quel diavolo di sora. E poi era sicura che Iangiuasandin avrebbe puntato i piedi, impedendole di trascinarsela appresso. Iangiuasandin quella matina fu trascinata da un bidello per una rcchia, da unaula allaltra, da un corridoio allaltro, quando una maestra scoprette che tra gli allievi suoi, tutti mscui, ce nera uno non suo, anzi una non sua. E ogni matina, per una semana, fu trascinata mo da un bidello e mo da un altro, ma sempre per la stessa rcchia, la sinistra, da unaula maschile alla sua, femminile. Ogni matina, difatti, Iangiuasandin faceva la stessa improvvisata alla sora, gridandole di corsa le stesse parole, inlandosi lei, col sinale nero dentro la colonna dei sinali neri, caminando per quei lunghi corridoi pieni di sinali neri e ccandosi dentro una delle tante aule, la maggioranza, con quaranta o cinquanta sinali neri per una. Donna Sabbedd, sta storia ha dacconcludersi alla ne della semana un bidello fu incaricato di venire a dire alla mamma che non voleva dare alla propria glia fmmena il sinale bianco obbligatorio. Certo, la piccinenna tene un bel carattere, ma tene pure rascione! Comunque, a casa vostra facite il comodo vostro, avvesttela e arrivesttela da lutto o da matrimonio o accome vi pare e appiace, ma alla scola le fmmene hanno da venire con il sinale bianco. Senn, non ammandtela per nulla da luned. Il direttore ha detto che non la fasce manco trasire pi. Cos, in fretta e furia, con le mani sue stesse, Donna Sabbedd fu costretta a rompere quellincantesimo. Forse, sottosotto, ma proprio sottosotto, fu una specie di liberazione pure per lei. Comunque non la facette volentieri quella prima veste non nera di Iangiuasandin, quel sinale bianco bianco di picch che era addirittura il contrario esatto di una veste nera. E difatti lo cominci il sabato, quando erano scapolate da scola le due glie e, con loro, quel bidello informa27

tore, e il luned matina non era ancora nito. Bellnia ce le cur praticamente addosso, a Iangiuasandin, le riniture del sinale, e proprio allultimo minuto. Fu sopra il pianerottolo, anzi abbscio, dentro il portone, che le cucette la martingala e le ss i bottoncini. Ma una piccinenna, che aveva agguantato questa sorta di vittoria, poteva mo rassegnarsi a tornare al nero, ogn d, appena rientrata a casa? Certamente non Iangiuasandin. Perch stai ancora col sinale? Perch non ti vai a cangiare? la rimprover Bellnia quel luned, unoretta dopo che le due menenne erano tornate da scola. Perch non fasci accome ha fatto Fin, che ha gi appeso alla crocetta il sinalino suo? Perch... perch non so fatti tuoi le rispondette sfrontata Iangiuasandin, fuscndosene abbscio al portone. Iangiuasandin, ha detto mamma di salire sopra! la richiam la rappresentante della mamma. Checcosa vole mamma? allora facette nta dinformarsi provocatoriamente Iangiuasandin, tornata sopra il pianerottolo, sapendo perfettamente quello che la mamma voleva e quello che la mamma avrebbe saputo, tempo un paio di minuti. Mamma vole che ti levi il sinale, senn te limbratti e domani non sapimo accome farti scire alla scola. ...Allora hai da dire a mamma che io non me lo posso levare il sinale stamatina. E perch non te lo puoi levare sto sinale, accome facesti sempre, sino a sabato, con il sinale nero? Che, tappiace tanto sto sinale bianco che non te lo vuoi levare per avere la soddisfazione di farti avvedere da tutti senza il lutto addosso? ...Non accapisco ste cose che stai a dire replic a questo punto la bardscia, non chiaro se con innocenza o con qualche intenzione di caricatura della sora. Hai da dire a mamma solamente che non mi levo il sinale perch non me lo posso levare. E non me lo posso levare perch non tengo nulla sotto. 28

Accome non tieni nulla sotto? si preoccup Bellnia. Che, sei stata alla scola solo col sinale e tutta allanuta sotto? No, non hai da dire alla mamma che sto allanuta, perch non vero volette precisare quella malazionante di piccinenna, che onde evitare a Bellnia un ingiusticato sospiro di sollievo, per conto suo o per conto della mamma, specic ulteriormente: Il fatto preciso preciso che sopralle mutandine e alla canottiera non tengo la veste. Tengo direttamente il sinale. Accome? E perch? si scandalizz la sora grande, che per manco si preoccup del freddo che certamente stava pigliando la sora piccinonna, senza un maglione e senza una gonna. ...Hai da dire alla mamma che Iangiuasandin sta solo con il sinale perch di vesti non ne tene. Checcosa stassurdit che stai a dire? domand Bellnia, cominciando ad alzare le antenne. Ma non tenite il com, tu e Fin, pieno pieno di vesti? Hai da dire alla mamma che dentro a quel com i tiretti di Fin so pieni pieni di vesti e i tiretti miei vacanti vacanti. Accome, vacanti? si allarm denitivamente Bellnia. Hai da dire alla mamma che dentro a quel com non ci sta pi una sola veste o un solo maglione o una sola cammisedda nera e che da domani, anzi da oggi, io non sccio checcosa mi ho da mettere sotto a sto sinale o al posto di sto sinale arriv alla conclusione del discorso Iangiuasandin. Mamma, mamma! grid allora Bellnia, precipitandosi in casa. E si scoprette che in effetti tutte le robbe di Iangiuasandin, meno le mutandine e la canottiera che quella sconsiderata almeno teneva addosso, erano sparite. Quel luned, la sera, la piccinenna di casa fu tirata per la rcchia da Diador, che se la port in cucina, chiudette le porte e ce ne dette di santa ragione, sopra il pop. Ogni 29

tanto si fermava, per riposarsi e per domandarle: Checcosa hai fatto dei vestiti? Addo li annascondesti? Ma quella non rispondeva e lui ripigliava a darle mazzate e schiaffoni sopra il pop, a decine, a centinaia. Fu tutto inutile. Diador, dopo cento, duecento schiaffoni sopra il culo di Iangiuasandin, non se le sentiva pi quelle mani e quelle braccia delicate da aspirante parrucchiere no. E poi avette pure un poco di piet per quella piccinenna che, nonostante let, stringeva i denti e non gettava manco una lagrima. Fatto sta che quella bocca non dicette quella sera (e non dicette mai) che ne avessero fatto tutti quei calzettoni, quelle gonnelline e quei maglioncini neri neri. E la matina dopo, subito subito, Donna Sabbedd gi si preparava a scire da Momen della Mercer per accattare qualcheccosa da far mettere a Iangiuasandin, sotto il sinale. Mamma, non starti a incaricare tu di scire da Momen della Mercer la fermarono Diador e Diapold, facimo noi un salto, accos tu continui ad arricettare ncasa. Tacchirono e tornarono. Donna Sabbedd e Bellnia, gi allertate dal fatto che per la prima volta i due mscui si offrivano di fare un servizio e per giunta insieme, loro che erano come il diavolo e lacqua santa, aprttero il pacco della robba accattata da Momen della Mercer con un brutto presentimento. E difatti, appena vedttero checcosa ci stava dentro, per un lo non sventtero. Certo che rimanttero mute e allibite: non avevano portato robba nera, ma una gonna rosso bord e un maglioncino addirittura giallo canarino, quei due scapecerrati di gli (s-capo-cirrati alla latina, ma non perch avessero i capelli a cirri, ma perch accirrate e arruffate avevano le idee, in quel momento, secondo le due fmmene di casa). Ma site matti! teneva intenzione di gridare e avrebbe gridato Donna Sabbedd, se non avesse avuto la gola seccata dalla sorpresa, diciamo pure dallo sfregio strafottente di quei due colori appicciati. Delinquenti, apportate mom 30

sta robba ndreto avette listinto di sbottare Bellnia, che per fu trattenuta dalla sbiancata della mamma e dallocchiata aspra di Diador. Mamma, mo abbasta! Sta commedia, anzi sta tragedia dei vestiti neri di Iangiuasandin ora che nisce: fu la prima volta che Diador parlava da mscuo pi grande della casa. E vuoi assapere una cosa? La piccinenna tene rascione. E ha fatto bbuono a fare scomparire tutto quel mortorio dai tiretti. Donna Sabbedd non gli parl per una semana al glio del core suo, Diador, e nemmeno al glio della simpatia sua, Diopold, che in occasione della sparata di Diador sopra i diritti di Iangiuasandin aveva mostrato per la prima e unica volta di essere daccordo per lo e per segno con il frate maggiore, con il quale invece stava sempre di punta e sempre lo sarebbe stato. Pure Bellnia, naturalmente, per una semana non parl n a Diador n a Diopold. Per quella semana, fu Fin a fare da rappresentante della mamma con i due mscui, oltre che con Iangiuasandin, la prima naturalmente con la quale mamma e sora grande non parlarono. Ma quella gonna di colore rosso bord e quel maglione giallo canarino non furono riportati ndreto quella sera a Momen della Mercer n il d dopo. Furono al contrario i primi vestiti veri e propri di Iangiuasandin, che non se li lev per una semana, tanta era la contentezza e pure perch non teneva materialmente la possibilit di cangiarsi. Con tutti quei cristiani che non parlavano e non si parlavano dentro quella casa, era umanamente impensabile che qualche uno potesse badare alla necessit di altri vestiti non neri per quella nata orfana. Passata una semana di musi appesi e di bocche chiuse, la vita dentro quella casa non ripigli a scorrere esattamente come prima. Oramai lincantesimo si era rotto. La situazione generale dei rapporti pareva essersi nalmente sbloccata. Prima ci stava solo lei, la regina della casa, Donna Sabbedd, con una coda che si chiamava Bellnia, e attorno 31

a lei solo uagnuni e uagnedde di casa che se ne stavano al posto loro e non ci pensavano manco a dire o a fare qualcheccosa che non nascesse dalla capa, dalle valutazioni, dalle decisioni e pure dai capricci della mamma. Non che Donna Sabbedd stesse l come una iena con la pavura di farsi mettere i piedi in capa dai gli o che ci tenesse a comandare. No, lei non pigliava piacere a dare ordini. Non che volesse sconoscere i diritti naturali di quei cinque gli, anzi di quei tre, visto che in effetti a Iangiuasandin sconosceva tutto, pure il diritto allesistenza, e che Bellnia per conto suo non pareva tenesse nessuna intenzione di rivendicare autonomia o cose di questo tipo. Quello della regina della casa era solo il ruolo che le aveva assegnato di autorit la malasorte e che il destino la costringeva a interpretare. Anzi, sottosotto, non vedeva lora che almeno Diador crescesse e si cominciasse a pigliare lui qualche peso e qualche responsabilit sopra la schiena. Capiva lei stessa che le cose non potevano scire innanzi per tanto tempo ancora cos, cominciando dalla sofferenza di quella povera picciredda di Iangiuasandin, senza il ato e persino senza le parole della mamma, per non parlare di tutto quel nero che era costretta a portarsi addosso da quando era nata. Quella nervatura continua, quellingiustizia Donna Sabbedd cominciava a capacitarsi pure di questo si rietteva poi sopra la vita di tutta la famiglia e di tutta la casa, con quelle facce scocciate e quei toni di voce permanentemente fastidiati... E mo, dopo la ribellione di Iangiuasandin e lalzata di capa di Diador, peraltro questa collegata a quella, una certa ventata di liberazione si contrappose a quellaria pesante, a quel grigiore che aveva sempre angustiato la casa di Donna Sabbedd da quando Mba Iangiuasand pace allanima sua aveva avuto la bella pensata di scrsene al Creatore. Una ventata di colori, certamente: i colori sgargianti che mo Iangiuasandin si portava addosso continuamente, da una banda allaltra della casa, da una camera allaltra, giuocando 32

e ridendo. Peraltro, nessuno si sentiva pi in dovere di badare dalla matina alla sera che Donna Sabbedd e Iangiuasandin non stessero tutte due dentro la stessa stanza. Piano piano, lincompatibilit non fu pi una regola. Fu come se quella girata di autorit di Diador avesse liberato Donna Sabbedd stessa dalla rigidit che, sei anni prima, laveva trasformata da uagneddozza in una mazza di scopa. Cominci a trattare il glio grande e a farlo trattare come si tratta il mscuo della casa. Dopo sbuffate e scocciamenti di mesi, dicette nalmente a Bellnia, chiaro e tondo, di scrsene per la strata con le compagne sue quando non teneva nulla da fare in casa, invece di stare sempre addosso a lei come una sanguetta, cominciando pure a pensare ad apparolarsi con un bravo uagnone ch oramai let ce laveva... E un poco per forza, un poco per la curiosit, Donna Sabbedd lanci le prime occhiate di sfusciuta a quel concentrato di vitalit che corrispondeva al nome di Iangiuasandin e oramai pure al soprannone di Capatosta. Le capit, una notte, di rimirrsele le due picciredde sue, che dormivano insieme sopra la branda: accarezz la capa a tutte due! E poi una matina, addirittura, capit che aggiustasse il occo non solo a Fin ma pure a Iangiuasandin, che per la verit stava l, afanco alla sora, come se se lo aspettasse, come se avesse capito che quella matina la poteva richiedere alla mamma la prima gentilezza. Insomma, non ci fu una rivoluzione vera e propria in quella casa o comunque, se ci fu, non arriv al punto di convincere e di permettere a Donna Sabbedd di trattare nalmente Iangiuasandin come una glia o almeno come una estranea con la quale si possa parlare serenamente per almeno non si aveva pi da stare tutti con la schienaperta come prima. Solo Bellnia apprott per tanti anni ancora del fatto che mamma Sabbedd, nonostante che laria non fosse pi quella di una volta, non ce la faceva proprio a parlare schietta schietta con Iangiuasandin. Cos la brut33

ta della famiglia non resisteva alla tentazione di bagnarci il pane sopra quel residuo dincomunicabilit, esagerando con la mamma i dispetti, la malacreanza e le mancanze di Iangiuasandin e, con Iangiuasandin, la severit, lacidit e lasprezza della mamma. Da un certo momento in poi, per, allincirca ai tempi della seconda e terza elementare di Iangiuasandin, dentro quella casa cominci un tale viavai di gente e di cose, di chiacchiere e di attivit, che la vita per tutte quattro quelle fmmene e femmenedde cangi da cos a cos. Divent pi allegra, pi incasinata, pi festaiuola. Succedttero infatti due cose. La prima: che quella casa si trasform, quasi senza che se ne avvertissero, in una specie di grande sartoria. La seconda: che dentro quella casa, senza che nessuno lo avesse deciso, a un dato momento non ci stava pi una famiglia, ma ce ne stavano praticamente due. Cominciamo dalla sartoria. Per la verit, pi che una sartoria vera e propria, la casa di Donna Sabbedd divent una bottoneria. O forse il nome pi giusto era un altro ancora: passanteria-bottoneria. Fatto sta che, piano piano, quella casa fu inondata da un mare di divise. Divise dei Figli della Lupa, dei Balilla, delle Piccole Italiane, degli Avanguardisti, dei Giovani Fascisti, delle Giovani Italiane, dei Guf e dei Fascisti veri e propri. Per non parlare delle saariane nere. Loro, la vdua e le glie della bonanima di Mba Iangiuasand, non centravano nulla con il taglio e la cucitura delle divise, che arrivavano in via Mirenghi gi belle fatte, ma senza bottoni n occhielli n passanti. I lavoranti del negozio di divise La Compatriota le trasferivano col triciclo, a decine, a centinaia alla volta, e le scaricavano in casa di Donna Sabbedd, dove per si caricavano delle divise da portare alla stiratura nale. Che capallerta quellAndr Ptrios, oramai chiamato da tutti Comp Ptrios, dagli amici soprannominato per fare 34

subito Comptrios e dai clienti battezzato sbrigativamente Compatriota! Di lui tutto si poteva dire meno che venisse da una famiglia di compatrioti nostrani, dato che non solo erano greci il nonno suo e lattano e il nonno del nonno suo e tutti i morti e gli stramorti suoi, ma pure lattano suo proprio e la mamma sua dalla Grecia erano venuti. Eppure aveva sfruttato il cognome suo, greco che pi greco non si pu, per alzarsi nientedimeno che un negozio patriottico italiano. Ma, a parte questo fatto di furbizia e di carta didentit, che faceva Ptrios? Con sistemi che si possono immaginare, essendo lui greco, cio pi barese dei baresi, convinceva il Partito a dargli lappalto per fare le divise, e accattava allingrosso, ma proprio allingrosso allingrosso, balle di stoffa e di fodera a centinaia, a migliaia, e bottoni a milioni. E a una famiglia faceva fare le maniche, a unaltruna afdava i calzoni. Poi ci stava la famiglia pi esperta che si dedicava alle fodere e alle imbottiture. Da unaltra banda una famiglia numerosa gli diceva sempre grazie al greco perch le faceva guadagnare due lire con i colletti e i revr... E in conclusione con tanti tricicli che vedevi scire innanzi e ndreto, dalla matina alla sera, dal centro ai rioni pi sperduti, dalla Madonnella a via Napoli, da Barivecchia allestramurale tutti quei pezzi di stoffa tagliati e cuciti nivano sotto le mani di non pi di cinque famiglie che si erano specializzate con limbastitura e il confezionamento denitivo della divisa. A quel punto mancavano solo i bottoni con gli occhielli loro e i passanti: ed era una famiglia, una sola, appunto la famiglia di Donna Sabbedd, quella povera vdua con cinque gli da mantenere, che aveva avuto la fortuna di essere incaricata da quel santmmeno di greco di provvedervi. Da via Mirenghi, prima di nire appese dentro i lunghi corridoi di deposito, esposizione e vendita de La Compatriota o di essere consegnati certe volte data lurgenza direttamente al Partito, avevano da passare sotto i ferri da stiro dellultima famiglia della catena umana forgiata da quel chiavicone di Ptrios. 35

Nessuno seppe mai con sicurezza come Andr Ptrios fosse capitato in via Mirenghi e perch avesse regalato quel bendidio di fatica e di guadagno a quella famiglia di fmmene che peraltro ne teneva proprio bisogno. Tra unorlatura e una cucitura, tra una consegna e laltra, Donna Sabbedd non precis mai, nemmeno alle glie o ai parenti stretti, lorigine esatta di quel privilegio. Forse Andr, da giovane, era stato lavorante dentro la cava di Mba Iangiuasand e a lui la vdua, sotto disposizione del morto, aveva afdato, diciamo pure regalato, la cava. Forse da quel regalo era cominciata la fortuna del greco da una banda e, dallaltra banda, era stata possibile la sopravvivenza per qualche annetto della famiglia del morto acciso. Interrogata a proposito, Donna Sabbedd non aveva mai respinto scandalizzata la voce che voleva Andr, s, primo lavorante alla cava di Mba Iangiuasand ma altres primo responsabile della morte sua: per non ruinarlo, pure perch non teneva ancora tutti i documenti apposto come residente in Italia, ci si sarebbe messi daccordo per scaricare la colpa dellincidente sopra quel povero uagnone del glio di Colin e soprattutto sopra la mula loro. E, prima di perdere completamente e denitivamente i sensi, Mba Iangiuasand avrebbe dato in consegna la cava e la famiglia sua al migliore amico suo, che era appunto Andr, facendosi promettere da Donna Sabbedd che non lo avrebbe denunziato. Verit? Chiacchiere di rione? Testimoni diretti della morte di Mba Iangiuasand, di quelli che stavano dentro la cava quella matina, ne erano sopravvissuti solo tre o quattro, e faticavano tutti a La Compatriota, compreso il glio di Colin. Andr se li era assunti per amicizia e piet o proprio per accattrseli? E chi poteva saperlo! Rimaneva la testimone numero uno, Donna Sabbedd, che per sopra tale questione non pronunci mai una parola, che fosse solo una. Del resto, nessuno la sentette mai chiamare direttamente o nominare almeno indirettamente il greco. Se lo avesse fatto e se avesse detto per esempio Andr, si sarebbe potuto 36

concludere che lei era in condenza con lui o lo era stata da giovane. Se avesse fatto ricorso invece al cognome Ptrios o magari pi completamente ad Andr Ptrios, uno avrebbe potuto ricavarne che teneva, s, rapporti personali con lui, ma rapporti non cos stretti. Se avesse utilizzato Comp Ptrios o Comptrios, avrebbe potuto far capire che si conoscevano da tempo e avevano rapporti personali diretti e che magari lui era stato amico o addirittura socio e non dipendente di Mba Iangiuasand. Se poi Donna Sabbedd avesse fatto riferimento al greco pronunciando, con freddezza, lespressione commerciale il Compatriota, allora due sarebbero state le possibilit, una minima e laltra massima. E cio: che tutte quelle congetture di quartiere a proposito dei vecchi rapporti fra il greco, Mba Iangiuasand e Donna Sabbedd erano solo ed esclusivamente chiacchiere, senza nessun fondamento, oppure che quella eccessiva indifferenza in Donna Sabbedd, al contrario, nascondeva un vecchio o addirittura continuato rapporto a due, fra lei e il greco salvatore. Come avrebbe potuto, infatti, ridurre a semplice relazione commerciale il rapporto suo con un mmeno che, in denitiva, aveva salvato dalla miseria lei e tutta la famiglia sua, permettendole (o, chiss, imponendole) di respingere decine di ambasciate di vdui e pure di scapoli bellifatti e con il posto sso? Donna Sabbedd aveva detto di no pure a Marchionn, il capo della seconda famiglia che si venette a sistemare dentro quella casa (salvo che per dormire). Era un cugino alla lontana della mamma di Mba Iangiuasand. Allepoca dei fatti nostri, quando rivedette quella vdua giovane e scattosa con cinque gli a carico, Marchionn teneva gi cinquantanni. Ma era pure lui, come Mba Iangiuasand, un mmeno tutto dun pezzo che faceva scire in pappa-di-lino indifferentemente fmmene fatte e picciuedde. Rispetto alla bonanima del marito di Donna Sabbedd, poi, teneva un portamento di autorit ancora pi giusticato e pi apprezzabile. Pi 37

giusticato, perch quellattivo attivo di Mba Iangiuasand era stato stroncato dalla morte allinizio della carriera brillantissima che avrebbe certamente fatto, mentre Marchionn la carriera sua di faticatore, di patrone e di ricco che si era arricchito da s laveva gi fatta. E pi apprezzabile, diciamo pure pi amabile appariva il portamento suo perch, mentre Mba Iangiuasand, buono come il pane e rispettoso pure delle mosche, scoppiava comunque di energia e dimpazienza giovanile, e te le faceva sentire ogni punto e momento questa energia e questa impazienza, al contrario le parole e il portamento di Marchionn ti davano tranquillit perch lo sentivi che ne aveva passate tante, che la strata sua laveva gi fatta e che, mo, desiderava solo starsene in pace e far stare in pace quelli che vivevano con lui. Per la verit, quando si affacci in via Mirenghi e venette a tizzuare alla porta di Donna Sabbedd, dopo anni che non si faceva vedere, Marchionn non era in grado, n interessato a fare ambasciate. Difatti, dentro quel periodo campava ancora la mogliera, Prescianz, per la quale Marchionn si sarebbe fatto tagliare un braccio. Beato a chi ti gode, Marchionn fu il bongiorno e un poco il rimprovero di Donna Sabbedd a quella specie di procugino, che era sempre stato portato ad esempio in famiglia come uno che si era saputo sistemare e arricchire. E Marchionn in effetti si era alzato e portava innanzi in via Napoli, oltre il giardino Garibaldi un caf, orgoglio e bandiera dei baresi, che potevano permettersi di scire ogni tanto a Napoli, ad assedersi al Gambrinus, senza vergognarsi delle cose nostre. Si era pure accattato nientedimeno che un palazzo di tre piani afanco al caf. Ma da lui Donna Sabbedd, per tutti gli anni della miseria pi nera seguiti alla morte di Mba Iangiuasand, non aveva mai avuto la faccia di scire a tizzuare per una mano di aiuto. Sebellin, ti veggo proprio assistemata le rispondette Marchionn, che da Sebellin laveva conosciuta ai tempi dellamoreggiamento e del matrimonio con Mba 38

Iangiuasand e Sebellin lavrebbe continuata a chiamare. Marchionn rispondeva senza manco avvertirsi del tono un poco di rimprovero, se non di caricatura, del bongiorno ricevuto, assettandosi sopra una seggia che Donna Sabbedd aveva sgombrato da una ventina di saariane nere... Era gi scattato il periodo fortunato di quella casa. Ci stavano giornate che non ci si poteva manco mvere fra tutti quei mucchi di divise. Era unimpresa passare da una stanza allaltra, scansando e spostando montagne di giacchette e calzoni, stando attenti a non sciuare mettendo il piede sopra un rocchetto e a non appoggiarsi con una mano sopra un ago inlato. Divise sopra i letti e le brande, sopra le segge e i puf, sopra la tavola e i tavolini, sopra il com e il buff, sopra larmadio e il cassettone; divise per terra, da tutte le bande, sopra il lavandino della cucina, sotto i letti, allingresso, sopra la tazza del cesso e certe volte mettendo qualche uno di guardia persino fuori di casa, sopra il pianerottolo. E divise da completare subito di bottoni e passanti, perch i lavoranti di Ptrios stavano sempre abbscio ad aspettare. Molte volte, non si faceva in tempo a spicciare le divise di una stanza che te ne arrivavano altrettante... Non me la so appassata sempre accos, cuggino Marchionn tenette a precisare Donna Sabbedd. Dopo la morte della bonanima, avimo dovuto fare qualche sacricio. Non tengo brevogna ad ammettere che, qualche d, non ci stava ncasa manco uno stezzo di pane per levarsi la fame. Ma, grazie a Dio, ce lavimo fatta. E speramo che accontnua accos. Ma tu, ma tu, Marchionn, accome ti vanno le cose? Accontnui a ngranare col caf? E di tutti i tornesi che tieni, che te ne fasci? Taccatti un altro palazzo? Sapessi, Sebellin, sapessi... Dimmi, Marchionn, dimmi... lo invit Donna Sabbedd, che gli domand con una punta di sfottimento: Tieni abbisogno di qualcheccosa? Per la verit s rispondette Marchionn, che da tempo non era pi capace di usare e nemmeno di capire accenni 39

di rimprovero, di caricatura o di sfottimento. Tengo abbisogno che tu maiutassi a cercare, da ste bande, un buco addo potimo venire a starcene io, Prescianz e i tre gghi che abitano con noi. Un buco? Tu, Prescianz e i gghi vostri dentro a un cafrchio, da ste bande? Ma stai a scherzare? Ma quale scherzare e scherzare, Sebellin! la smont Marchionn. Ci sta la crisi... Per salvarsi dalla crisi hai da fare gli imbrogghi accome agli altri... Non ti d una mano daiuto nisciuno... Anzi, chi pote tammena uno sgambetto... E se tu sei caduto o ti sei avvoltato da una banda, statti sicura che dallaltra banda ci sta qualche uno che ti d una pugnalata alla schiena... Madonna, la stai a vedere proprio nera! comment Donna Sabbedd, sinceramente dispiaciuta. Ma checcosa ti assuccesso? Parevi accomandare alla vita tua accome un grande marinaro accomanda alla varca dentro al mare ntempesta; con lallegria tua eri lattrazione principale del caf che tha fatto ricco, accattavi palazzi interi... E mo ti sei arridotto a vedere la vita accos nera e addirittura a cercare una casaredda dentro a sto quartiere di povere vdue e doperai. Ti ha da essere assuccessa proprio una brutta cosa! Lo puoi dire, purtroppo, Sebellin. Lo puoi dire... E cos Marchionn si decidette nalmente a contare alla cugina le venture e le sventure passate da lui e dalla famiglia sua dentro gli ultimi anni. Marchionn cominci da lontano, sia per lannata, dal 1929, sia per la localit, dallAmerica. A me mha ruinato la crisi di Uol Strit spieg. Quel cataclisma di tornesi e dinteressi si sentette pure da noi e tuttora ne soffrimo le conseguenze... Marchionn era stato colpito da quella crisi internazionale mentre, per la prima volta dentro la vita sua, stava a fare il passo pi lungo della gamba. Tu lo sai, il locale del caf non era il mio, mi costava venticinque lire al mese. E il desiderio di farmi una propriet era forte. Quei tornesi che adscio adscio stavo ad agguadagnare avevano 40

da avere uno sfogo. Il primo tentativo fu naturalmente quello daccattarmi il locale del caf, ma il patruno mi dicette chiaro e tunno che non lo vendeva e che se ne voleva tenere stretta stretta la propriet sino alla morte. Si vendeva per il palazzo afanco al caf, a sessanta mila lire. E lo accattai. Era il 24. Quarantamila lire le tenevo astipate in banca e venti le pigghiai a interesse... Io non me nintendo di ste cose si gett innanzi per non cadere Donna Sabbedd, ma mi pare che, per uno che ncassava accome a te, appagare ventimila lire, tanto al mese per una decina danni e pure considerando gli interessi, non era poi un azzardo. Eh s, fu lo stesso ragionamento mio. Perci mi gettai dentro a quellimpresa conferm Marchionn, ma non feci i conti con Uol Strit, che cinque anni dopo mi dette un bel colpo pure a me, oltre che ai miliardari americani e ai capitalisti e alle nazioni di tutto il mondo. E poi, accome se non abbastasse Uol Strit, mi spezz denitivamente le gambe la maa dei costruttori. Ecch, esiste la maa dei costruttori? sinform Donna Sabbedd, che solo mo si stava a lanciare dentro il mondo degli affari con aghi, cotone e macchina per cucire. Ess che esiste! le rispondette Marchionn. Accattando quel palazzo a quel prezzo, evidentemente, avevo dato un dispiacere a qualche uno. Fatto sta che, rifacendo un palazzo che stava attaccato al mio, limpresa edilizia di uno scornacchiato che poi me lo dicette, a quattrocchi, che me laveva fatto apposta, che facette? Indebolette le volte, che tenevano npiedi pure la propriet mia. Accos il palazzo accattato con tanti sacrici e tanti rischi sconocchi, tanto che simo stati costretti a scasare e a ricoverarci dentro a un altro appartamento appagato a peso doro. E sai a chi mi so dovuto afdare per il restauro del palazzo? Proprio a quello scornacchiato, che per allepoca io non sapevo che proprio con me ce lavesse. Naturalmente mi ha ammandato alla ruina. Mo aumentavano i materiali, mo la sorpresa di un altro danno alle fondamenta, mo saliva il costo della manodopera... 41

E mo, accome sta la situazione? volette sapere Donna Sabbedd. Il calo degli incassi del caf, il ume di tornesi che s bevuto il palazzo e limpossibilit di stare dreto ai pagamenti dei soldi a interesse e dei fornitori mi hanno fatto chiecare le ginocchia... Perch allora non vendi il palazzo, cercando accos di risollevarti lo consigli Donna Sabbedd. Gi fatto. Ma col culo nterra stavo e col culo nterra sto. E mo? Mo sto ad affecuare dentro a un mare di scadenze, di tratte e di cambiali. E accome pensi di potrtene assire? volette arrivare alle conclusioni Donna Sabbedd, venendo ad annascnderti da ste bande? Suppergi... le dicette Marchionn, lanciandole unocchiata di considerazione. Ma lo sai che sei arrivata alla stessa conclusione dellavvocato mio? A te te lo posso acconfessare: lavvocato Paglinico mha consigliato di fare un nto fallimento. Tieni cinquantanni, mha detto, chi te lo fasce fare a stare a combattere ancora per una decina danni contro ai debiti? E mha convinto ad annascndere da qualche banda la merce che tengo depositata, dalle attrezzature ai sacchi di caf e di zucchero, e ad annascndere me stesso e la famgghia mia dentro a una casa da quattrosoldi. Alzo le mani mha consigliato di dire ai creditori. Avvolttemi e arrivolttemi quanto volite, ma non tengo pi una lira. E subito dopo sparisco dalla circolazione. Accos spero dappassare la tempesta. Poi, a tempesta appassata, metto in vendita la merce depositata, arracmolo quelle quattro lire avanzate da tanta ricchezza e mi apporto la famgghia a Milano, addo tengo gi due gghi, che faticano uno alla Pirelli e uno da barista alla Motta. Ma tu non tenivi un uagnone che faceva il banconista al bar Vox, nvia Sparano? divag Donna Sabbedd. 42

S, Gesepp. Ed quello che appensammo di fare scire apposta a Milano in avanscoperta, ad apprepararci un poco la piazza, nsieme a Velardin... Velardin? Chi, il pilota? S, fgghiemo che era arrivato al grado di maresciallo pilota e che stato il primo a scrsene a Milano. Fasce il collaudatore alla Pirelli... E quindi, mo, quanti gghi abitano con voi? domand concretamente Donna Sabbedd, pensando gi a una casa vacante adatta per loro. Immaginava che, trasferendosi da quelle bande, la famiglia precipitata dalle stelle alle stalle sarebbe stata spesso e volentieri a casa sua, e cercava gi di prevedere i fastidi che forse ne avrebbe ricavato. Tre gghi. Checchell, la pi grande, forse te larricordi facette lelenco Marchionn. Poi ci sta Colettudd, lo studentino, e Tonin, il pi piccinunno. Quei cinque cristiani ai quali avevano spezzato le gambe la crisi di Uol Strit e la maa dei costruttori venttero a nascondersi aspettando che passasse la bufera dei copponi (i debiti nostri vengono dal francese coupon) dentro due locali miseri miseri di via Giovanni Iatta, che a quei tempi delimitava la zona di via Mirenghi e praticamente era il conne del paese abitato. Oltre via Iatta stava la campagna, anzi il campo che arrivava sino a via Napoli e che durante la prima guerra mondiale era servito da campo di aviazione. Mo era tutto erba e pietre, pietre ed erba. Ci stavano solo la capanna di Velas il Pecorale, con le bestie sue, e la chiesa delle Carmelitane, che facevano pure lasilo per i piccininni... Veniva mandato sempre lo studentino, Colettudd, ad accattare ogni volta, con la bottiglia, mezzo quinto di petrolio. Serviva per le lampade, dato che in via Giovanni Iatta quegli stretti-di-culo della Sgpe, che poi era la Societ Generale Pugliese di Elettricit, non avevano avuto ancora la compiacenza di fare arrivare la luce. In via Mirenghi, a cin43

que metri di distanza, gi ci stava. Ma in via Giovanni Iatta no. Perci Colettudd cominci lui a venirsene ogni tanto la sera in casa di Zi Sabbedd, per fare le lezioni. Poi venette ogni sera e, con lui, mo veniva un altro della famiglia sua e mo unaltra... In capo a qualche semana, quelle due famiglie furono tuttuna. Del resto, Donna Sabbedd e Bellnia, con tutte quelle divise e con laiuto della sola Fin, come potevano portare pure innanzi la casa, fare da mangiare, tenere dreto a Capatosta, lavare la robba, spolverare e puliziare in terra, eccetera eccetera? Cos Donna Sabbedd sistemava i passanti alla macchina da cucire e Comm Prescianz metteva qualcheccosa sopra il gas, Bellnia e Checchell attaccavano bottoni, Colettudd e Iangiuasandin studiavano, Diador e Diopold comparivano e scomparivano, e pure Marchionn alla sera si faceva vedere per spizzuare un boccone e per fare quattro chiacchiere con le fmmene e i uagnuni. Ma qualche altra volta era Donna Sabbedd che si metteva ai fornelli, mentre Comm Prescianz pigliava condenza con discitale, ago e bottoni, Bellnia ssava alla Singer i passanti, Checchell e Fin sistemavano le divise, e Colettudd le faceva sbambarare tutte quante con giuochi di parole, barzellette e storie che non nivano mai. E le fmmene, mentre cucivano e cucinavano, si mettevano pure loro a contare i fatti del quartiere e i detti e i mottetti di una volta... In effetti, ci sta da dire che larrivo di tutti questi altri cristiani, cangiando completamente la vita dentro quella casa, facette passare in secondordine pure la vecchia malinconia da vdua di Donna Sabbedd e soprattutto lostilit con la quale lei aveva sempre angosciato Iangiuasandin. Mo la piccinenna zompava come un grillo pure innanzi alla mamma, qualche volta la mamma si faceva addirittura sfuscire una risa per le pagliacciate sue e tutti quanti parevano pi allegri e spensierati. E stava quella bella radio, la Radio Fonola, che faceva sentire tante belle canzoni. Era Colettudd a sfogliarsi ogni matina il Radiocorriere e ad avvisare tutti quanti anzi, 44

tutte quante che a talora e a talaltra ci stava questo programma o questa opera o questo variet. E le posizioni di ciascuno di loro dentro quelle stanze, cos come lora per faticare e per mangiare, erano determinate, oltre che dalle consegne a La Compatriota, pure dalla programmazione dellEiar e dalle lezioni che tenevano da fare e dalla fantasia del momento di Colettudd e Iangiuasandin. Capatosta non vole arare alla scola aveva detto Donna Sabbedd a Colettudd, che con i quattordici anni suoi faceva gi la quarta magistrale inferiore, pregandolo di darle una mano a quella delinquente. Ma Colettudd si avvertette subito che quella capa era tosta solo di carattere ma non per incapacit di capire. E difatti, se non si distraeva, imparava tutto avvolo. Soprattutto se le promettevi, come faceva Colettudd, che poi le avresti contato una storia. ...Le sentinedde del castiddo svevo stavano con tanto docchi e tantissimo di rcchie pigli a contare una sera Colettudd per farsi promettere da Iangiuasandin che avrebbe imparato a memoria le tabelline dellotto e del nove, ma pure per far divertire tutte le fmmene di quella casa che stavano chi a mettere bottoni, chi a pedalare sopra la macchina per cucire e chi a girare i maccaroni, ...le sentinedde erano state accomandate dalla Principessa di tenere sotto controllo da una banda il mare, daddo poteva arrivare il pericolo turco, e dallaltra banda la campagna, daddo avevano darrivare i rinforzi militari al comando del Grande Cenerale. Sento rumuri di corazze e armature nostrane avvertette una sentinedda, la pi giovane, affacciandosi dalla banda del ponte levatoio. Ma che corazze e corazze! larrimprover la sentinedda pi anziana, appigghindolo per cravattina e attrascinndolo dalla banda che dava sopral mare, non sinti che si tratta di rumuri di navi di pirati? Accontinuando il disaccordo, fuscttero tutte due dalla sentinedda capa. Il soldato senza peli e senza malizia la nform che stavano ad arrivare i rinforzi e abbisognava perci abbasciare veloce 45

veloce il ponte levatoio, ma il soldato con la barba longa e bianca allert invece la sentinedda capa sopral fatto che, tempo qualche minuto, il castiddo e tutto il paese sarebbero stati distrutti dallorda turchesca. La sentinedda capa non sapeva cheffare. Allora acchiam a rapporto tutte le altre sentinedde, le piazz e si piazz pure lui al centro della piazza darmi del castiddo, ordin a tutti di stare citti citti e a ognuno di loro addomand checcosa sentivano che stava ad assuccdere fori dal castiddo... Colettudd, stasera la stai a fare troppo alla longa! lo rimprover mamma Prescianz, con la risa sopra la bocca e, pure lei, con la curiosit dentro gli occhi. Statti citta, statti citta la rimproverarono Iangiuasandin e Tonin. Facci sentire da Colettudd accome afnisce la storia. Statti citta tu, Capatosta, non fare la scostumata con Zi Prescianz intervenette Bellnia per rimproverare, naturalmente, la piccinenna di casa. Bellnia, pure tu ti mitti si facette sentire Donna Sabbedd, rimproverando dalla cucina la glia grande. E ftelo afnire a Colettudd, che conta accos bbuono preg tutti Fin la Fricamidolce, che lanci al pro-procugino unocchiata dolce e tenera che lo facette squagliare, ben sapendo che lui si squagliava ogni volta che lei lo sbirciava cos. E Colettudd continu: ...La sentinedda capa le interrogava a una a una le sentinedde semplici. Sinti rumuri tu? ci addomandava. Quella arrispondeva: Signors, sento rumuri. Seconda domanda: Sinti rumuri forti o rumuri deboli? Stessa risposta da tutte le sentinedde: Rumuri deboli, signora sentinedda capa. E si passava allora alla terza domanda: Sinti rumuri deboli di corazze e armature, di navi e remate oppure di qualche altra cosa? Tutte arrispondttero: Sento rumuri deboli di qualche altra cosa, signora sentinedda capa. A quel punto, che aveva da fare la sentinedda capa? Aveva da fare a tutte le sentinedde sottoposte, a una 46

a una, la stessa quarta domanda: E di quale altra cosa pzzono essere i rumuri deboli deboli che per si sentono sino a qua, seconno te? E ce la facette sta quarta domanda. La prima risposta della prima sentinedda nterrogata fu che... Allora tene rascione Comm Prescianz che stasera la stai a fare proprio troppo alla longa, Colettudd! gli tronc la storia Donna Sabbedd, mentre appuntava i sei bottoni della brachetta di un paio di calzoni da Giovane Fascista. Ci vuoi pigghiare proprio a caricatura tutte quante, stasera! Statti citta, statti citta, mamma si permettette Bellnia, che pure lei voleva sapere assolutamente come niva quella storia di sentinelle e di rumori. Se linterrompete sempre Colettudd, chiaro che poi non arrivamo mai alla conclusione del fatto. Statti citta tu, Bellnia, e non ti appermttere di fare la maleducata con mamma la pigli a caricatura Capatosta. Uagnedde, ma lo avite accapito s o no che sto disgraziato di fgghiemo non lo sape manco lui accome va ad afnire la storia, perch la sta inventando mom, mentre la conta? tent di richiamarle alla realt Comm Prescianz. E ftelo afnire a Colettudd, che conta accos bbuono dicette da capo Fin, lanciando al pro-procugino unaltra occhiata da fricamidolce. Colettudd, ce lo dici checcosa arrispondette alla quarta domanda della sentinedda capa la prima sentinedda semplice nterrogata? Allora, Fin le domand Colettudd, ti sta proprio a piacere sta storia? Tanto, tanto gli conferm la Fricamidolce. Mi sta proprio a piacere tanto tanto pure a me sintromettette Capatosta, gelosa che mo al maestro suo gli veniva lo sghiribizzo di fare lo scemo con la sora. Ci sta proprio a piacere a tutti quanti sta storia, Colettudd sintromettette Tonin, geloso del frate, e quindi, invece di fare tante mosse, perch non laccontnui? Eeeeeh! gridarono insieme le due mamme presenti alla scena che pure loro, quindi, sollecitavano lo studentino a scire innanzi anzich perdersi a fare gli occhi dolci a Fin. 47

E vabbuono, accontinuamo... si ripigli Colettudd, che continu. Dunque, alla quarta domanda della sentinedda capa, la prima sentinedda semplice azzard: I rumuri deboli deboli che si sentono sino a qua, seconno me, li stonno a fare le fmmene del paese, lavanno tutte quante nsieme le cazzarole dalla polvere e dalla fuliggine e appreparnnosi a venire sotto al castiddo a fare la iosa perch tneno fame e non tneno manco un pizzo di pane da darci ai piccininni loro. La sentinedda capa si scandalizz: Accome tappermitti dappensare a una cosa simile. In cella, in cella!. E lachiudttero in cella la prima sentinedda semplice. Seconna sentinedda grid allora la sentinedda capa, se non so di corazze, n di navi, n di cazzarole i rumuri deboli deboli che per si sentono sino a qua, rumuri di quale altra cosa so, seconno te?. E la seconda sentinedda arrischi: A occhio e crosce, a me prono i rumuri che fsceno sopragli scogghi i piedi dei compagnucci miei che non tneno la fortuna dagguadagnarsi la zuppetedda facenno i soldati e che per poter ammangiare vonno a plipi e pelose. La sentinedda capa salter: Ah, sto grattagratta che fsceno i compagnucci tuoi e magari pure tu, aqquanno stai in borghese? arrubbate i plipi e le pelose di propriet della Principessa? In cella, in cella! E pure la seconda sentinedda semplice fu mettuta ai rri. E tu, terza sentinedda semplice, che ne pinsi di sti rumuri? Tremuando tremuando, quella tent: A me personalmente mi prono i rumuri caratteristici della galoppata dei cavaddi salernitani che vneno in frette furia ad apportare alla Principessa nostra lambasciata del Principe di Benevento. Sinfuri, a ste parole, la sentinedda capa: Accome tappermitti, cafone, vastaso e ruzzulano che non sei altro, dintromttirti dentro a ste cose delicate di principesse e prncipi? In cella, in cella!. E la terza sentinedda fu sbattuta pure lei dentro al reclusorio... E spcciala, Colettudd lo invit a stringere la mamma. Quante sentinedde so state piazzate stavolta a fare la urdia al castiddo svevo? Cento? 48

A quel punto, in effetti, Colettudd accorci un poco tutte le fantasie che quella storia gli aveva fatto spuntare in capa. Dunque, la quarta sentinedda semplice, nterrogata pure lei sopral mistero di quei rumuri, arrispondette senzesitazioni. E rivel: Non tengo dubbianza. So loro, quegli insaziabili dei commercianti. Hanno organizzato tre varcuni, anzi tre navi vere e proprie, chiene chiene di grano accattato a Foggia, con la scusa che lo vgghiono scire a vnnere nientedimeno che al mercato di Antiochia. Sti rumuri vneno dal molo perch quelle tre navi stonno per partire. Facette avvedere dinteressarsi alla cosa la sentinedda capa, che ci tir le cime di rapa alla quarta sentinedda semplice, addomandando: E dimmi, dimmi sentinedda semplice accos accorta e nformata! Se quella di scire a vnnere il grano di Foggia ad Antiochia una scusa bella e bona, quale sarebbe la vera rascione di sto importante, costuso e faticuso viaggio? E quel povero-a-lui parl: Ma un segreto che sape pure Pulcinedda, sentinedda capa! I commercianti vgghiono scire ad arrubbare lossa di quel grande santo che Santa Nicola, miracoluso vescovo di Mira, in Asia Minore, libernnolo dalle mani degli infedeli mussulmani e apportnnoselo qua, accos noi ci potimo addedicare pure una basilica, la pi bella e la pi granne di tutte, e arrivano tanti pellegrini, miliuni di pellegrini da tutta lItalia e pure da fori dellItalia, dalla Frangia e dalla Germania, e allssano qua tanti di quei soldi che i commercianti nostri se li mettono sotto al mattone e addivnnano milionari! Alla sentinedda capa salette il sangue agli occhi: Ah, accos una sentinedda semplice saddiverte a sputtanare a tutti i segriti di Stato? In cella, in cella. E pure lei fu ncarcerata. E tu, quinta e ultima sentinedda semplice grid allora, tieni il coraggio e il cerviddo per dirmi tu chesso sti rumuri, se non so di corazze, n di navi, n di cazzarole, n di plipi sbattuti, n di zoccoli di cavaddi principeschi, n di vari clandestini di Stato? Su parla, parla sentinedda! Tremuando tremuando, questultima dicette sinceramente ci che appensava: 49

Evidentemente, per la quinta volta in dieci d, quei banditi di repubblicani stonno ad alzare lAlbero della Libert che noi, per cunto e per incarico della Principessa, per quattro volte avimo gi vittoriosamente abbattuto. Lo blocc la sentinedda capa: Accome dicisti? Dicisti: per cunto e incarico della Principessa? ...S, s arrisponnette quella, mo incerta e cacazzosa. Eh tu, la vedisti mai la Principessa? Tha mai apparlato la Principessa a te? ...No, no arrisponnette quella, oramai rassegnata al peggio trattamento. Allora, sai qual il dovere tuo mo? facette la faccia brutta il comandante in capo delle sentinedde del castiddo: Quella la direzione della galera, accammnami nnanzi, io ti vengo dreto e accos achiudo dentro a quella gabbia fetosa e umida umida pure lo spione nfame e spudorato che sei tu. E accos facette, arrimanndo a solo a solo a urdia del castiddo e alla difesa della Principessa... E mo, che assuccede? domand speranzosa Iangiuasandin. Mica la storia afnisce accos? Capatosta, statti citta e fallo nire la rimprover Bellnia, ch mo avimo daccapire se ci sta una conclusione degna della lunghezza della storia o se Colettudd ci ha pigghiato per il naso a tutte quante stasera. Mo vi do un boffettone a tutte due, se non la spicciate tagli Donna Sabbedd, minacciando uno liscio-e-busso di origine spagnola (bofeton). E Colettudd potette continuare: La sentinedda capa, a sola a sola, qualche rumore stavolta lo assentette pure lui. Appizz le rcchie e accapette che una voce cavernosa aggridava qualcheccosa dabbscio. Non addistingueva le nali delle parole, ma ci stava chiaramente qualche uno che si spolmonava per farsi sentire: Volet... sent... aprit... il porton... del cast... E ancora: Ma che non ci sta nisciun... da unor... che chiam... Son... il cener... La sentinedda capa savvicin di pi alla porta del castiddo, assentette un poco mgghio: Aprit... sono il cener... e scatt istintivamente soprallattenti. Dunque, si dicette fra s e s, arrivato il Cenerale, 50

il Grande Cenerale. Fuscette dalla Principessa. Principessa, Principessa, arrivato il Cenerale lavvertette. Ma lei non ci accredeva: Il Cenerale, gi oggi? Ma se laspettavo per la semana che viene! Non che si tratta di un trabocchetto? E si spostarono nsieme sino alla porta, per sentire mgghio quella voce. E sentirono nettamente dallaltra banda: Aprit... son... il cener... Perci si acconvincttero tutte due: era arrivato nalmente il Grande Cenerale con tutti i rinforzi militari e abbisognava, mo, prepararci in frette furia un accoglimento trionfale, allaltezza della gloria sua e della utilit sua per la salvezza del castiddo, della Principessa e di tutta la popolazione. Allora la sentinedda capa alliber le sentinedde ncarcerate per farsi aiutare da loro a discetare tutti i lavoranti e i cortigiani del castiddo, savvestttero tutti a festa, i musicanti accordarono gli strumenti e sappiazzrono afanco allentrata del castiddo, i cucinieri appreparrono in cinque minuti un pranzo principesco e generalesco in quanto a qualit e soldatesco in quanto a quantit, i camariri in due minuti e mezzo assistemrono tavole, tavolini e tavoluni chieni chieni di piatti, piattuni, bicchieri, bottgghie, caraffe, salviette, cucchiare, forcine e cortiddi, i trombettiri accominzrono a provare le trombette, i ballerini a ballare il amenco, le ballerine a fare la danza della panza, i buffuni a zompare e a fare ridere, i saltimbanchi a giuocare con le orsacchiotte... Fiumi di miero rosso di Barletta sboccarono dalle cantine, nsieme a intere partite di frutta tropicale e di frutta fuoristagione. Gli immini di forza si scolarono litri di petrgghio e dalle vocche accominzrono a lanciare per prova ammate pi alte della torre pi alta innalzata, pietra sopra pietra, da bizantini, longobardi, normanni, svivi, angioini e aragonisi. Sentinedda capa e sentinedde semplici si mettttero in la, a parata. E nalmente dallappartamento principesco saddegn dassire la Principessa, tutta vestuta doro e darginto, con le trasparenze dellametista e la mezzatrasparenza dellagata, seguita da sette ancedde ognuna vestuta di un colore diverso, rispettivamente di russo rubino, 51

di azzurro zafro, di verde smeraldo, di giallo topazio, di viola ametista, di bianco avorio e di grigio madreperla. La Principessa safferm sopral ballatoio principesco, ncima allo scalone principesco e, con una mossa di mano principesca, ordin che si poteva aprire e far trasire dentro al castiddo il Grande Cenerale. I trombettiri facttero pepperep, i cannuni facttero bumburubm, la porta fu aperta, il ponte levatoio fu abbasciato ed eccolo il Grande Cen... Ma chi era quel vecchiariddo tutto mbrattato di bianco che apparette, a solo a solo dentro alla cornice della porta aperta con la faccia schiantata per tutto quel trionfale ricevimento? E il Grande Cenerale? E tutti i rinforzi militari? E il Cenerale addo sta aggrid feroce al vecchiariddo la sentinedda capa che, pi facciatosta di tutti, fu il primo a ripigghiarsi dalla sorpresa e dalla delusione. Quale Cenerale e Cenerale? addomann quel vecchiariddo alla capa sentinedda. Il Grande Cenerale di tutti i rinfurzi militari che assrvono alla Principessa nostra, al castiddo e alla difesa di tutta la popolazione!. E quello: Che ne sccio io del Grande Cenerale? Di rincalzo la capa sentinedda: Accome che ne sai tu? Ci stivi tu nnanzi alla porta aqquanno il Grande Cenerale ci avvertiva gridanno: Aprite, aprite la porta, sono il Cenerale!. E quello: Vedite, sentinedda capa, che vi state a sbagliare. Io stavo nnanzi alla porta ma non ci stava nisciun Cenerale. E la sentinedda capa: Allora, ad aggridare: Aprite, sono il Cenerale! chi era? lo spirito dei murti e degli stramurti tuoi? E quello: Se appermettite, ero io che stavo ad aggridare, visto e considerato che nisciuno massentiva e nisciuno mapriva. E la sentinedda capa: Ma allora, si pote accapire chiccazzo sei tu e checcazzo aggridavi? E quello: Io so il ceneraro. M stato accomannato dalla camarera della Principessa dapportare al castiddo la cenere per lavare la robba. E io con la cenere mi so appresentato nnanzi al castiddo. Ma io tizzuavo alla porta e nisciuno mapriva. E allora mi so mettuto ad aggridare: Aprite, aprite sono il ceneraro. E la sentinedda capa: No, tu aggridavi: Aprite, 52

aprite sono il Cenerale. E quello: No, io aggridavo: Aprite, aprite, sono il ceneraro. E la sentinedda capa... A questo punto quello spiritoso di Colettudd fu assalito da due fmmene grandi, due uagnedde, una uagneddozza, una piccinenna e un piccininno che gliene dettero tanti, ma proprio tanti di schiaf, pizzichi in culo e chggheri sopra il cheggheruzzo. Ma dentro tutta quella confusione ci fu pure una mano che facette una carezza sopra la faccia di quel uagnone Si giuocava e si rideva continuamente, dentro quella casa, in contemporanea alla cucitura dei bottoni e dei passanti. E Colettudd non era sempre il solo mscuo che si tratteneva la sera in mezzo a quelle fmmene cucitrici e cuciniere. Ogni tanto facevano la parte loro, dentro quel tiatro, pure Marchionn, Diador e Diopold. Il procugino di Donna Sabbedd, in attesa che si risolvesse quellimbroglio del nto fallimento, se ne stava chiuso in casa o al giardino Garibaldi, a spatriare sopra una panchina insieme a qualche compagno dellet sua. E la sera se ne veniva tra le fmmene in via Mirenghi, per mangiarsi allinpiedi un poco di pane e provolone (o pane e olive fritte) e per partecipare pure lui alle chiacchiere. E contava qualche fatto che conosceva lui. Come quello di uno ziano suo, Don Gesepp, nato stagnaro no, poi titolare della prima licenza per costruire pesi e misure rilasciata dentro il 1860 dal rgio governo ancora con sede a Torino, e diventato fondatore e proprietario della primissima azienda dinscatolamento di pomodori. E poi che facette Don Gesepp? Vendette tutto e si mettette a vivere di rendita, con la glia grande, dentro il palazzo che si era alzato in via Giandomenico Petroni 33, afttando i sottani alla strata e tutto il pianoterra. Beato lui! E poi Marchionn contava la storia di Fracasso, il patrone del palazzo di mobili in via Pietro Rvanas che per un certo periodo lo aveva chiamato a fare il guardiano notturno. 53

Fracasso era stato daziere, poi si dimettette e improvvisamente si alz nientedimeno che un palazzo di mobili di cinque piani. Come aveva fatto un povero impiegato del dazio a farsi tanti tornesi? Fu processato Fracasso. I superiori suoi lo avevano alluzzato, avevano accapito che lui ai cristiani di un certo livello il dazio praticamente ce lo abbonava. Appena arrivava lui dentro a un ufcio del dazio, subito le entrate di quellufcio accalvano. Nsomma, Fracasso si faceva dare i tornesi lui personalmente, sottosotto, da quei grossi commercianti e achiudeva un occhio e pure tutte due sopralle partite di robba che quelli accattvano e avvendvano, e sopral dazio che quelli a sto punto non appagvano. Ma mai nisciuno laveva appigghiato con le mani dentro alla farina, dicimo accos. Quel fatto del palazzo, per, facette tanto incazzare la direzione centrale del dazio comunale che la cosa fu assegnalata al tribunale. Signor Fracasso ci aggrid il giudice con una voce terribile al processo, siete accusato di aver sottratto ingenti somme di danari allamministrazione daziaria, in concorso con commercianti e operatori economici disonesti. Ma la giustizia deve ammettere che non ci sono documenti o testimonianze denitive a vostro carico. Adesso dovete per confessare lorigine di tutti i soldi che vi sono serviti per comprare quel palazzo di cinque piani in via Pietro Rvanas, in contanti, e per avviare lesercizio commerciale. E sapite accome arrispondette quel fgghio di bonamamma di Fracasso, appigghiando per il naso tutti quanti, giudici compresi, e assalvndosi dalla galera? Arrispondette con una domanda di nove parole: E che ne sapite voi checcosa facesse mia moglie? Che drittezza, no? Dritto s, ma pure cornuto e contento! bagn il pane Checchell. Scusate, ma mi sfusce la conclusione del fatto si mettette in mezzo Fin, fricamidolce ma ingenua ingenua. Zi Marchionn le spieg mamma Sabbedd ha detto a noi che Fracasso ha fatto accapire al giudice che la mogghiera sua faceva la malafmmena. Perci, grazie alla fatica di ma54

lafmmena della mogghiera, aveva fatto tanti soldi da potersi accattare il palazzo di cinque piani in via Pietro Rvanas. Ma se la mogghiera faceva la malafmmena e appassava i tornesi a lui grid Iangiuasandin, collegando le parole di Zi Marchionn e della mamma a certe cose che aveva sentito a scola da quella maliziosa della compagna sua di banco, allora vole dire che Fracasso non era dritto e cornuto contento, ma ricottaro! Bellnia stavolta ce lo dette, e forte, un boffettone a quella sfacciata della sora piccinonna. Ma allasstela stare Iangiuasandin la difendette Colettudd. Bellnia, non accapisci che la piccinenna non sape manco checcosa assigncano le parole malafmmena e ricottaro! No, io lo sccio, io lo sccio si voleva fare rispettare Iangiuasandin: la malafmmena addorme dentro il letto con i mariti delle altre, che ci danno i soldi. E lei i soldi non se li tene, ma li d al marito suo, che perci sacchiama ricottaro. Ma lo vedi che non lo sai checcosa assigncano ste parole! tent dimbrogliare le carte Colettudd, il cianciaruso. E tu, Bellnia continu, facendo locchiolino alla pro-procugina grande, ti sei acconvinta mo che Iangiuasandin non sape di checcosa stamo a parlare? No, io lo sccio, io lo sccio gridava ancora Iangiuasandin, battendo i piedi. Io lo sccio, io lo sccio... E questo le procur, quella volta, uno dei primi attacchi diretti della mamma. Mo abbasta, afnscila dicette secca secca Donna Sabbedd e le dette un bel boffettone in faccia. Un fatto che quindi fu pure positivo, oltre che doloroso, perch nalmente Donna Sabbedd la toccava e le parlava direttamente a quella glia che aveva quasi completamente ignorato dalla nascita... Zi Marchionn sparigli quella scena imbarazzante atteggiandosi a Duce che mette il piede da dominatore sopra il mappamondo in verit, sopra una seggia come dentro il 55

quadro gigantesco che Fracasso aveva fatto pittare dal maestro Colonna, aveva fatto stampare sopra mille cartoline pubblicitarie spedite in tutto il mondo e poi aveva regalato alla Federazione. Quanti tornesi che spende e spande quel culaperto per accattare i cristiani osserv lex guardiano notturno provvisorio di Fracasso. E s che lui lo sape accome si fasce a farsi accattare! Certe altre volte Marchionn attaccava con le storie dei due gli emigrati a Milano, Velardin il collaudatore e Gesepp il banconista. A Velardin la fatica alla Pirelli ce lha approcurata lo ziano ricordava. Forse lacconosci pure tu, Sebellin. Te larricordi il marito della sora di Prescianz, il maresciallo dei carabinieri? S, proprio lui. Mo, a Milano, il canato di Prescianz un pezzo grosso. Accomanda la stazione dei carabinieri di via Moscova. Fu lui che si facette arricvere dallingegner Pirelli in persona. E Pirelli simpegn a fare faticare Velardin. Perci ammandammo Velardin a Milano. Ma non era quello il destino suo, il destino di collaudatore. Lui voleva fare il carabiniere, accome al canato della mamma. Perci aveva fatto il concorso per allievi ufciali dei carabinieri. E con gli studi, lesperienza e la specializzazione sua se li bevette gli esami del concorso. Ma fu arrespinto lo stesso. E sapite perch? Stava scritto chiaro chiaro sopralla comunicazione che ci arriv: stato arrespinto avente zio anarchico. Proprio accos: Avente zio anarchico. Cio per colpanza di quel matto di Zi Pasqualin. Sebellin, tu te larricordi Zi Pasqualin, il frate di Prescianz? Eccome no! gli rispondette Sabbedd. Zi Pasqualin, il calderaro specializzato che teneva quella bella fatica alle Ferrovie e che non sapperdeva unopera al Petruzzelli. Da dicembre a marzo non lo potivi tuccuare: passava tutta la scirnata ad apprepararsi per scire a tiatro. Si stirava da se stesso il vestito buono, si lavava da capo a piedi e ntanto si sentiva al grammofono i pezzi pi importanti dellopera che aveva da sentire a tiatro quella sera... Ma che assignca che anarchico? 56

Zi Pasqualin ha sempre tenuto la politica ncapa spieg Marchionn, ma una politica contraria a quella del Duce nostro. Prima ancora della Marcia su Roma, se ne stette con tanti altri spostati accome a lui a fare casino, per una semanintera, ad Ancona. E poi sempre stato antifascista. Ha fatto il matto contro al fascismo, facendosi pure la galera al castiddo svevo. Dentro alla stessa cella sua stava Gesepp Di Vittorio, un grandmmeno. Era un bracciante povero povero di Cerignola. Poi accominci a capire e a lottare contro lo sfruttamento. E siccome cerveddino, addiventato un grandmmeno. Ma che assignca esattamente essere anarchico? insisteva Sabbedd. ...Mo il discorso si fasce troppo lengo e difcile tagli Marchionn. Nsomma, Zi Pasqualin si arruinato con le mani sue stesse, mettendosi contro il Duce e il Partito. Ma ha arruinato pure a noi. E accos Velardin, quel povero uagnone, non ha potuto fare il carabiniere perch il frate di Prescianz non la pensa accome a Mussolini. Protestammo, scrivemmo, chiarimmo che Pasqualin non lo avvedevamo da anni, mettemmo naturalmente in mezzo il canato carabiniere di Prescianz... Nulla da fare. Disperata, Prescianz si gett ai piedi del comandante della legione dei carabinieri di Bari. Eccome sallagn con lui, conta uno ziano anarchico per essere arrespinto dal corso ufciali dei carabinieri, e non conta per essere accettato uno ziano che comandante della stazione dei carabinieri di via Moscova a Milano? Proprio accos: lanarchico contava negativamente e il comandante della stazione non contava positivamente... Intanto che i grandi parlavano di Zi Pasqualin, Colettudd, che dallo ziano anarchico aveva ereditato la passione per la musica, quella sera era il 39 stava a pistrigghiare, cio a pasticciare, con la radio. La matina, in via Imbriani, da un gruppo di studenti grandi che stavano appoggiati al muro, fra lentrata dellIstituto Magistrale 57

Dottula e la libreria Accolti Gil, aveva saputo che quella sera Radio Londra avrebbe trasmesso in diretta dal celebre tiatro Coven Garden nientedimeno che la Bom in italiano. Colettudd girava continuamente a destra e a sinistra il bottone della radio. La linea delle stazioni faceva inutilmente innanzi e ndreto. Fischi, sof, sirene, scoppi, grida, qualche cantata allitaliana: tutto si sentiva dalla radio, quella sera, meno che musica orchestrale e meno che meno la Bom. Del resto, chi laveva pigliata mai la stazione di Londra, capitale degli inglesi! Colettudd continuava oramai a girare quel bottone tanto per fare qualcheccosa, per un tentativo senza speranza, seguito con gli occhi scatesciati da Iangiuasandin e con gli occhi di fricamidolce da Fin la Buona. Era tanto da fricamidolce locchiata di Fin quella sera, che Colettudd a un certo punto sospendette la ricerca disperata della Bibbiss, per convincere lamore segreto suo a mollare per un momento la giacca alla quale stava a cucire il bottone della mariola, che poi la palda interna della giacca, e a levarsi quel discitale che le stava a ruinare il dscito. E ce lo girava tra le mani sue quel dscito (Accos ci facimo accircolare da capo liberamente il sangue), quando si avvertette che Iangiuasandin si era messa lei a pistrigghiare con i bottoni della radio. Stava per gridarle di non toccare i bottoni della radio ch lui laveva quasi pigliata Radio Londra, quando dentro quella stanza piena di divise e di fmmene faticatrici si sentette a tutto volume una bella voce di tenore che cantava: Che gelida manina, se la lasci riscaldar. Colettudd si mettette quasi a chingere per la gioia. Iangiuasandin, intuendo la grande impresa che era stata capace di fare, zompava e ballava per la soddisfazione ma senza fare rumore, per non disturbare Colettudd. Arriv dentro quel momento pure Diopold. Cazzo, la Bom grid il secondo glio mscuo di Donna Sabbedd e si assedette. Ma non chiudette completamente la bocca. Mo hai davvedere che tengo rascione io sussurr 58

dentro la rcchia di Colettudd. Quello a un certo punto canta: Cercar per Giove! perch non arriesce ad arrecuperare la chiave. Cercar per Giove! Ancora con questa storia! rispondette a voce bassa Colettudd, ancora non ti vuoi arrassegnare? Sei proprio capatosta accome a sreta piccinonna! Quello non canta: Cercar per Giove! Quello canta: Cercar che giova? Ecco quello che canta. Ma mo statti citto accos sentimo... E arrivati al punto di Cercar, tanto i due si mettttero a dire: Mo hai davvedere che ho rascione io e Statti citto che mo sentimo e Statti citto tu altrimenti non sentimo nulla, che nessuno capette le parole esatte pronunziate dal cantante e non fu possibile assodare una volta per tutte se Puccini avesse musicato unimprecazione o un interrogativo. Vabbuono, dicimo che tieni rascione tu alz le mani Colettudd, abbasta che mo ci fasci sentire sta bella Bom che stanno a sonare e a cantare a Londra proprio dentro a sto momento che la sentimo noi. E dalli con Bom e Bom si sentette improvvisamente la voce di Diador, che tornava dentro quel momento a casa dallalbergo diurno. Ma quante volte te lho da dire? Si dice: Boem, Boem, con la nale frangese. Ma che, state a dare i numeri stasera tutti quanti sbott Colettudd. Io faccio il frangese da tre anni e qualcheccosa di musica la sccio. Te lo posso proprio assicurare che si dice Bom e non Boem. Accome insisto e dico, a quellaltro campione di frteto, che il tenore non canta Cercar per Giove! ma Cercar che giova? Ah gli rispondette con laria del patrone di casa Diador, facendogli toch-toch sopra la schiena con la punta dei dsciti tesi tesi, io faccio il parrucchiere no, mica il vastaso al porto. E ti posso assicurare a te, con tutta la quarta magistrale inferiore tua dico inferiore, non superiore che questopera parigina si chiama Boem, Boem. Ma vaffaculo tu, lalbergo diurno e tutta lignoranza 59

che tieni, nsieme a quella di frteto reagette Colettudd. Mgghio che me ne vado, altrimenti qua assuccede un novantanove. E sbattette, ma non troppo forte, la porta. Ogni tanto capitava che uagnuni, uagnedde e piccininni di quelle due famiglie cos unite facessero questione. Ma poi tornava subito la pace. Pure perch era bello starsene in pace dentro quella casa mentre si cuciva, si cucinava, si puliziava in terra, si facevano le lezioni, si sentiva la radio, si contavano le storie di principesse e di briganti, si riportavano i sogni fatti la notte prima (e tutti tentavano dinterpretarli e di ricavarne qualche numero per il lotto), si commentavano le calunnie che circolavano sopra questa o quella vicina di casa, si malignava sopra fatti di corna e di commari... Ma una brutta giornata nette in via Mirenghi quel periodo di chiacchiere, di storie, di questioni fra uagnuni e di risate. Da un certo momento in poi, Prescianz di Marchionn aveva cominciato a lamentarsi per i dolori di reni. Il dottore della farmacia Ciaciulli la tast un poco, sentette come si lamentava e scudu preoccupato la capa: Dobbiamo fare una prova per vedere se nefrite. E se nefrite, non la veggo buona la situazione. Facttero la prova. Quella povera fmmena si rassegn a fare la pip direttamente dentro una aletta. Marchionn riscald la aletta con un fulminante. E vi spremette dentro un poco di limone. A quel punto, se la pip fosse rimasta limpida, avrebbe voluto dire che non cera nefrite, ma se si fosse intorbidata allora la conclusione sarebbe stata una sola: nefrite. La pip di Comm Prescianz si era intorbidata. Non bast a salvarla lalimentazione a base di verdure e di pesce in bianco, n le cure che ricevette allospedale delluniversit, n quelle che continuarono a praticarle allospedale San Pietro di Barivecchia. E quella brutta giornata arriv. Prescianz di Marchionn lasci questo mondo, il marito e cinque gli piena di dolori, 60

prima di trasire dentro quellaltro mondo di pace e serenit che era il camposanto di via Modugno. Fu uno sconquasso. Lunica glia fmmena della morta, Checchell, mo se ne stava sempre chiusa in casa, in via Giovanni Iatta, a fare i servizi e a tentare di tenere sotto controllo Tonin, che per si sfrenava tutta la giornata in mezzo alla strata. Solo Colettudd, lo studentino innamorato, continu a scire innanzi e ndreto, fra via Iatta e via Mirenghi, un poco con la scusa che teneva da far fare le lezioni a Iangiuasandin, che in effetti le faceva solo se ce le faceva fare lui, un poco per quegli occhi e quella risa da fricamidolce di Fin, e un poco pure perch da Zi Sabbedd si mangiava meglio che a via Giovanni Iatta. Diciamo pure che l si mangiava e sopra Colettudd, secco e scavato, aleggiavano sempre il sospetto e la pavura della tibicc mentre qua, al massimo, ci si poteva mettere ogni tanto qualcheccosa dentro lo stomaco. Quando ci stava, naturalmente, perch limbroglio del fallimento nto pareva non sbrogliarsi mai. Anzi. I tornesi non si vedevano e invece lavvocato Paglinico s! Marchionn facette la proposta di matrimonio a Donna Sabbedd dopo un anno di quella vita. E la facette proprio il d che si potette permettere di tenere dentro una mano le carte della chiusura denitiva del fallimento e dentro laltra la moneta della vendita di tutta la robba che aveva nascosto e, nalmente, smerciato. Sebellin, io oggi ti ho da dire una cosa che da qualche mese maggira ncapa le dicette quella sera, assedndosi in cucina, mentre lei arricettava e uagnuni, uagnedde e piccininni stavano per i fatti loro, dentro la stanza centrale della casa. Ma se sta cosa taggira ncapa da mesi senzassirti dalla vocca, che razza di cosa ? Una cosa brutta? comment ingenuamente Donna Sabbedd. No, non una cosa brutta la rassicur subito il procugino, anzi, pote essere una bella cosa per tutti quanti noi, 61

accominciando dai uagnuni e dalle uagnedde. Stanno accos bbuono tuttinsieme, prono una sola famgghia. E io, mo, le tengo assistemate tutte le cose mie, avendo realizzato pure un certo capitale... So proprio accontenta per te dicette Donna Sabbedd, cominciando a subodorare qualcheccosa, accos mo ti puoi assistemare con Checchell, Colettudd e Tonin dentro a una casa pi civile di quel buco di via Giovanni Iatta. E magari puoi accercare pure una brava fmmena che si pgghia cura di te e di quei tre gghi. Mica sei vecchio! E proprio sopra sto fatto stavo ad arragionare. Proprio questa la cosa che maggira ncapa da mesi. E appensavo che tu... Io? Io checcosa? gli tagli le conclusioni la procugina vdua. Io, grazie a Dio, con questo viavai di divise ce la faccio a campare e spero di farcela sino a quando Diador e magari pure Diopold hanno dagguadagnare qualche cifra consistente... Poi ci stanno ste tre cambiali di fmmene che una d o laltra ho da sfrangiare... Non tengo proprio la capa a me stessa. Ho dappensare a loro... Mica ti stavo a dire dappensare a te e non a loro! Al contrario... cerc di convincerla Marchionn sopra una cosa che peraltro non aveva ancora detto chiaramente. Un ato e un aiuto di mscuo a te e di capofamgghia a loro, ai uagnuni e alle uagnedde tue, ci vole, accome ci vole un ato e un aiuto di mamma ai uagnuni e alla uagnedda mia... Uagnuni e uagnedde li chiami tu! Ma oramai so immini e fmmene cominci praticamente a dirgli di no Donna Sabbedd. Tu tieni gghi doro e pure io non mi posso allagnare. Ma una cosa stare nsieme accome amici, accome pronipoti e prozii, e accome procugini, e tutta unaltra cosa... Ma, mo, io tengo due strate nnanzi a me la blocc Marchionn. O pgghio sti tre gghi che tengo qua e me li apporto l, a Milano, addo stanno gli altri due e addo uno accome a me una cosa da fare lagguanta senzaltro, oppure se tu volessi... 62

Statti citto Marchionn, stati citto, avessero da sentirti i uagnuni da quella banda... lo ferm Donna Sabbedd. Io so una fmmena. Io ho da stare al posto mio. E il posto mio qua, nvia Mirenghi, tra sti muri fabbricati personalmente da Iangiuasand mio, a tirare la carretta sino a quando non mi d il cngio Diador... Sei tu che sei un mmeno, tu puoi fare quello che vuoi... E forse fasci bbuono a pensare di scire a Milano, arrimettendo nsieme la famgghia. E magari taccpita una brava milanese che ti d una mano ad ammandare nnanzi la casa. Cos nette quella stagione in via Mirenghi. Marchionn e i gli suoi, Colettudd compreso, partirono per Milano, tra lagrime e pianti. Dentro la casa di Donna Sabbedd non fu pi aria di barzellette e di risate, e nessuno pi contava storie vere o storie inventate. La radio, mo, non lappicciavano nemmeno pi. Iangiuasandin, a scola, torn ad essere la capa-di-ciccio che era. E tra lei e la mamma ricominci a scorrere il veleno. Non come prima, naturalmente, quando manco si parlavano, ma sempre in quantit tale da ostacolare un rapporto normale tra mamma e glia. Un rapporto, perci, esposto alle conseguenze pi disastrose.

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zi marisabbell Capit che a una fmmena grande si affezionasse Iangiuasandin, da uagnedda. Naturalmente a una fmmena sbagliata, secondo lopinione di mamma Sabbedd, perch questa fmmena portava la nmina di essere praticamente unimbrattata. Sta di fatto che sarebbe stato meglio pure per lei che non le si fosse affezionata come a una mamma o forse, pi esattamente, come a una ziana, a Marisabbell la glia di Felucc il Norvegese e sora gemella di Varv la Zoppa che tutti cimentvano con il nome di Pittotunno perch teneva il petto pi grosso e pi tondo di tutto il quartiere, per non parlare del culo. Sia chiaro, si pu dire solo a cose fatte che sarebbe stato meglio, sapendo come in effetti quellamicizia nette. Quando le si era proprio affezionata affezionata, infatti, Zi Marisabbell sparette o, pi esattamente, fu costretta a levarsi dalla circolazione. E Iangiuasandin, gi orfana di attano e praticamente senza amore di mamma o di sora grande o di pro-procugino, subette un altro contraccolpo, come se navesse sofferti pochi sino ad allora. Dunque, quando Iangiuasandin teneva una quindicina di anni, Donna Sabbedd pens di mandare ogni tanto quella scapestrata da Zi Varv promossa a Zi Commara per via del corredino colore della morte che solo lei, quando fu necessario, aveva avuto lo stomaco di confezionare su ordinazione della vdua prena di Mba Iangiuasand perch imparasse almeno larte di fare i maglioni invece di starsene in casa a far fare veleno o in mezzo alla strata a fare la mascuona. Iangiuasandin impar e non impar questarte e, pi che affezionarsi a Zi Commara, seccasecca e zittazitta, si attacc alla sora di Zi Commara pi simpaticona e pi boccabocca. E con lei se ne stava a fare chiacchiere ore e ore, con lei papereggi sino al centro arrivando qualche volta al lungomare. E lei, Marisabbell, a Iangiuasandin contava tut64

ti i fatti suoi, spontaneamente, mettendosi allo stesso livello suo, come se avesse la stessa et. No, non era una culaperta come dicevano tutti, scoprette subito Iangiuasandin, ma una povera uagnedda, a dispetto dellet di fmmena fatta e di quella sorta di bellezza provocante che si portava stampata in faccia, sopra il petto e sopra il culo. Almeno Varv una sistemazione sua la tene si rodeva ogni matina Marisabbell e lo riconosceva sinceramente, apertamente con Iangiuasandin quando vedeva la sora trasire contenta e spensierata dentro il negozio, direttamente dalla camera da pranzo, con la caminata trppeta-trapp per via di quei due centimetri che le facevano difetto alla gamba destra. Varv, beata lei, non teneva preoccupazioni: ferri in mano e baccal, uncinetto e stoccasso. Sempre dentro il negozio a fare maglioni e a trattare con quella ventina di pesciaiuoli sbulinati che ogni semana venivano ad accattare da loro. Pure dentro la casa, che poi erano tre cameredde dreto il negozio, ci stava praticamente solo la notte e, il d, per mangiare avvolo e fare i piatti. Unico svago, la spesa. Era lei che, ogni mezzod, mentre pap Felucc stava attento al negozio, passava dal formaggiaro e dalla fruttaiola, e napprottava per farsi rimirare da qualche commara le cosaredde che faceva con ferri e uncinetto. Era la sola vanteria sua. Mai una passeggiata, mai una pretesa, mai una parola di pi, mai un dispiacere a pap. E n pruriti n sfottimenti n rodimenti era convinta Marisabbell: tutto il contrario mio. Varv sempre appizzicata a pap e lei, Marisabbell, sempre in guerra con pap. Anzi, di pap Felucc non ce ne stava uno, ma ce ne stavano praticamente due: uno con la risa stampata sopra la faccia e con le mani pronte alla carezza per Varv, e un altruno sempre abbafacchiato e col quarto allammerso per Marisabbell. Da quando era diventata quasi una fmmena, non si permetteva pi di menarla: ma quante, quante volte si era gettato come una furia sopra a lei, senza ragione e senza umanit, sfraganndola con quei 65

pesci secchi secchi e tosti tosti, attorno ai quali girava tutta la vita loro. E quanto facevano male, quando lattano la centrava alla capa o alle gambe, quelle specie di mazze che raschivano pure con le code e le pinne. Lasciavano segni che duravano semane. Beata a lei, Varv la Zoppa. Gli immini non la sfottevano ogni volta che la vedevano, i giovanotti non tentavano di pigliarsi qualche passaggio, i piccininni non le gridavano dreto le cose brutte. E il primo aprile non le menavano sopra la schiena la pezza di panno a forma di pesce, imbiancata col gesso, che quando si staccava lasciava la stampa sopra il vestito o la giacchetta senza che te ne avvertivi. A lei, a Marisabbell, i piccininni una volta le stamparono dreto una forma grande di pezza. Ci stava pure Iangiuasandin e nemmeno lei se navvertette. Pi che sopra la schiena, la forma si ss precisamente sopra quel mazzo delle meraviglie che Marisabbell si portava sempre appresso e che faceva scatesciare gli occhi a tutti i mscui che la incrociavano. Il gesso non era bianco, ma rosso. E non si trattava di una forma di pesce con il buco dellocchio, il triangolino della pinna e le curve della coda, ma di un pesce per modo di dire, grosso grosso, con la capocchia e due palle. E non era manco il primo aprile. Per tutta la passeggiata che facette con Iangiuasandin e una compagna dellet sua quella sera, sino al lungomare, passando prima per il giardino Garibaldi, facendosi tutto corso Vittorio Emanuele e poi tornando ndreto, Marisabbell se ne camin come se ne caminava lei, menne a meloni di prora e culo a cofanetto di poppa con quella sorta di regalo che non sapeva di avere ricevuto. Fu una scena che nessuno avrebbe pi scordato: n lei, n la tragginatrice (quella traditora della compagna) che si era avvertita dello scherzo ma non dicette nulla allinizio e non avette il coraggio di dire nulla poi, mana mano che il fatto si faceva grosso, n quei quattro o cinque piccininni che lavrebbero contata poi a tutti ridendo come matti. 66

Quella sorta di triglione con le palle fu stampato sopra lo scapezzato di Marisabbell allinizio della passeggiata, diciamo una decina di metri dopo il Supercinema. Per la verit, lintenzione di quei quattro schicchiatiddi era proprio di farla passare, con quel siluro stampato sopra lo scapezzato, innanzi alladunata di perditempo che pigliavano aria allentrata del cinematografo, tra il carretto dei chi dIndia, la cassetta dei bombolotti e il triciclo del gelato a limone. Ma avevano sgarrato il tiro e Marisabbell, senza saperlo, aveva evitato almeno lo sfottimento di quegli sbagugliati del Supercinema. Gi al giardino Garibaldi, per, teneva quel bel cannone stampato palle tutte al posto giusto, con linclinazione giusta, rosso, sopra la gonna del taierino bianco che praticamente la spremeva, evidenziandone la corporatura, come se ce ne fosse stato bisogno. Quante risate e quante malignit, quella sera, dreto la schiena di Marisabbell. Lei non sgam nulla per tutta la caminata. Iangiuasandin nemmeno. Certo, si erano avvertite che quei quattro fessacchiotti di piccininni non le lasciavano di piede e si facevano tanti segnali fra loro, ridendo sguaiati. Ma non era una novit. Quante volte lavevano seguita per ore piccininni, giovanotti e immini grandi godendosi lo spettacolo di quel culo di Marisabbell che pareva un monumento ambulante, tanto pi appetitoso per i mscui e scandaloso per le fmmene perch si allargava sotto un giro di vita stretto stretto, e che lei storceva ad ogni passo non sapendo pi nemmeno lei stessa se perch costretta dalla natura e da quelle cosce carnose carnose o se perch oramai avvelenata dentro il cervello dai pensieri scostumati, diciamo pure indecenti, che lasssiavano da tutte le bande. Iangiuasandin si era pure avvertita che la compagna di Marisabbell, ogni tanto, non ce la faceva a trattenere una risa tutta imbarazzata e lanciava occhiate maliziose allandreto. Ma pure questo non succedeva la prima volta. Ci avevano fatto il callo, lei e per prima Marisabbell, che peraltro faceva nta di non vedere e di non sentire tutte le porcherie 67

che, appena compariva, spuntavano dalla bocca ed evidentemente pure dentro la capa e tra le gambe dei mscui. E tutte le amiche che passeggiavano con lei da sola o con lei e Iangiuasandin, ogni volta si voltavano in effetti incuriosite e meravigliate a mirare le facce che facevano immini, uagnuni e uagnungiddi, attirati dalle menne e dal culo di Marisabbell come se quelle e questo fossero calamite potentissime. Perci, senza curarsi di nulla e di nessuno mentre Iangiuasandin se lo facette fuori in due minuti il gelato moretto comprato innanzi al Supercinema Pittotunno quella sera sl per tutto il corso dando mzzichi e leccando lenta lenta il gelato moretto suo, come faceva ogni sera. Ficcava dentro la bocca quella capocchia di crema ghiacciata con la crostacedda di cioccolata, la ritirava fuori ma trattenendola sopra la punta del muso, poi se la spingeva unaltra volta dentro la bocca, ciuccindola e anzi quasi surchindola, e la tirava fuori, se la rimetteva dentro la bocca e la ritirava fuori... E dopo aver sciolto, staccato e inghiottito tutta la crostacedda di cioccolata, si era messa a leccare con impegno la palla di gelato vero e proprio, alliscindola lentamente con la lingua, prima facendo con la capa sopra e sotto, sopra e sotto, dalla corona dello scartccio alla punta arrotondata del gelato vero e proprio, poi alliscindola attorno attorno, tenendo la capa ferma e facendo ruzzuare lo scartccio. Tutti la squadravano, gli immini con gli occhi di fuori e le fmmene con la faccia schifata, ma lei non si curava di nessuno. Gli occhi dritti, sino ad agguantare il prolo rococ, laggi, del cine-teatro Margherita, dove comincia il lungomare, Marisabbell continu lo spettacolo del leccalecca e della uagnedda perduta. Come ogni volta che metteva piede fuori di casa, in denitiva si assoggettava, pure se con il core spaccato, proprio a quello che i porci e le malelingue di via Bovio volevano: caminare e moversi come una che ne ha fritti di polipi! E cos caminando, con quella provocazione di capocchia dentro la bocca e con quellaltro disonore 68

di capocchia sopra lo scapezzato, Marisabbell continuava incurante la passerella, senza convincere nessuno per che veramente non le importasse nulla del mondo attorno a lei. Certo, se Pittotunno avesse appizzato di pi le rcchie al tiatro che stavano a fare, dreto a loro, quei quattro gli di avanzi-di-galera che non volevano lasciarla perdere e che le stavano ruinando la passeggiata, e se avesse fatto funzionare di pi le rotelle del cervello, invece di pensare solo a leccare e a surchiare cos sboccatamente il moretto, forse sarebbe arrivata a capire la situazione e a scotolarsi dal mazzo quellindecenza che faceva scoppiare dalle risate, alle spalle sue, tutta la popolazione che a quellora si ritirava a casa dal lungomare. Forse si sarebbe avvertita di come cangiavano la faccia, il tono e le parole degli immini e delle famiglie che le passavano vicino: muti per la sorpresa e limbarazzo dinnanzi, una volta dreto se la indicavano luno con laltro, come se fosse un pagliaccio del circo. Avrebbe colto, dentro il lampo delle occhiate che lamica sua lanciava dreto, quella sera, non solo seccatura e malizia, ma pure complicit: complicit con tutti quelli che stavano attorno a lei facce conosciute e facce mai viste, facce belle e facce da tre di bastone meno che con lei, anzi contro di lei. Marisabbell era per troppo impegnata a fronteggiare gli altri, alla maniera sua sintende, per avvertirsi degli altri. E si port appizzicato sopra il culo per tutto il corso, andata-e-ritorno, quella sorta di manganiddo con le palle. E Iangiuasandin? Non era stata una piccinenna attiva attiva, sempre con le antenne allertate e con la risposta pronta? Possibile che di nulla si avvertisse, almeno lei? Che ci voleva a seguire la direzione di tutte quelle occhiate, scoprendo quindi la ragione di tutte quelle risate? Non le voleva forse bene a Zi Marisabbell? Non laveva da difendere? No, non laveva da difendere. Anzi. Iangiuasandin aveva scoperto una fmmena fatta che, nalmente, si occupava di lei, era attenta a lei e la trattava da uagnedda giudiziosa. E poi, considerava 69

quella fmmena una fmmena che sapeva il fatto suo: bella, bona, forte, che non indietreggiava e non abbasciava la capa quando era cimentata, che non si nascondeva e non aveva pavura di riconoscere pure le debolezze e le sofferenze sue proprie, e che affrontava di petto situazioni difcili e cristiani malintenzionati, a cominciare dallattano. Pittotusto altro che Pittotunno lavrebbe chiamata Iangiuasandin, se non la chiamasse giustamente gi per quello che era, Zi Marisabbell. Appunto, una ziana, peraltro specicamente voluta pi che acquisita. Perci, quando passeggiava con Zi Marisabbell, non era certamente lei che aveva da difenderla, semmai era lei stessa che aveva da essere difesa. Ogni tanto se la guardava con orgoglio quella sorta di ziana e pure lei si metteva a ssare dritto dritto il Margherita, strafrecndosene di tutto quello che succedeva attorno. Era come se si sentisse abbellita dalla tanta bellezza di Zi Marisabbell, come se pure lei fosse al centro della passerella in mezzo a mille occhi scatesciati per lammirazione e linvidia. Non escluso che le sfuscesse ogni tanto dimitare senza avvertrsene la caminata della ziana e di storcere pure lei lo scapezzato, come se lo tenesse pure lei appetitoso e scandaloso, mentre al massimo con quei colpi di reni faceva ballare un poco lorlatura della vesticedda. E poi Iangiuasandin, come capita a quellet, era dentro un periodo stralunato. Le antenne da piccinenna erano cadute e scomparse, e quelle da fmmena ancora avevano da accimare. Perci non era pi reattiva (e quanto!) come da menenna e non ancora reattiva come sarebbe diventata (e quanto!) da signorina vera e propria Fu al ritorno, dentro il vialetto scuro tra la fontana centrale del giardino Garibaldi e lo spunto di via Manzoni, che Marisabell sentette come se qualche uno tentasse di palparle il cofanetto. Lei reagette distinto, cercando di colpire con la borsetta, in faccia, quellombra di lupo. Ma quelle mani di orco intercettarono e bloccarono la borsetta. 70

Signorina si facette sentire quella voce di leone, non accos che si dice grazie a un uagnone che tha fatto un piacere. Marisabbell si svincol: Fasci pure lo spiritoso, screanzato che non sei altro. Te napprotti ch qua non ci sta pap. Te lo faceva avvedere lui chi so io. E quello: Io lo sccio chi sei tu, lo speno tutti. Vuoi che io tattocco con una mano per pigghiarmi solo sto szio? Se uno passa allattacco con te, altro che mano! Ma stavolta tavvolevo fare solo un piacere. Tavvolevo solo dire e indicare checcosa tavevano stampato sopra... alla schiena quei quattro fetenti. A quelle parole, i quattro piccininni se ne fuscttero, se la l pure quella svergognata della compagna e Marisabbell e Iangiuasandin seguirono lindicazione della mano del giovanotto. Grazie a uno sprazzo di luce di lampione che sinltrava tra le foglie di un oleandro e i rami di un pino, individuarono nalmente quella stampa rossastra e improvvisamente capttero. Ricostruirono dentro un momento tutta la passeggiata, atteggiamenti, battute, risate, movimento di mani e di occhi... Oh Ges, mammanca laria sospir Marisabbell e cadette in terra. Tocc a Iangiuasandin bagnare alla fontana il fazzoletto e aiutare quella volta Zi Marisabbell a rinvenire Beata a Varv, zoppe tutta si amareggiava Marisabbell. La sora era offesa a una gamba ma la gente, curiosamente, non la sfotteva come faceva sempre con zoppi, sciancati e sgobbati. E nemmeno ne difdava, come in genere il popolino faceva ingiustamente e crudelmente con tutti quei poveri disgraziati segnati da Dio. A lei, anzi, la rispettavano. Quella mancanza pareva darle qualcheccosa di pi, una specie di autorit. Persino lei, Marisabbell, trattava la sora come se questa fosse pi grande di lei (del resto, non trattava praticamente da pari a pari quella menenna di Iangiuasandin?). Invece avevano la stessa et le due gemel71

le sparigliate di via Bovio. Anzi, Marisabbell era nata pure qualche minuto prima di Varv. Beata a lei, senza preoccupazioni si sfogava Marisabbell con Iangiuasandin, lei zoppa e io so facciabella, ma pap se ne va in pappa-di-lino solo per lei. Tutti sempre a dire: ma quant buona e brava Varv. E poi laggiunta, accome a una pugnalata: peccato che tene una sora che mgghio che Ges se lacchiama. So bella? so carnosa? Ma mi pare che qua la sola a essere frecata so io. I anchi, chiamiamoli cos, non scherzavano, ma la frecatura pi grossa di Marisabbell erano le menne, una parola che viene dallantichitate latina, minae (protuberanze). Ma quelle di Marisabbell erano proprio menne. Non le minne delle fmmene dei calabresi e dei siciliani che, pi grosse, sarebbero uno spreco o, come diciamo noi, uno schiaffo a Cristo, dato che a quei mscui corti e pelosi basta che una fmmena li smicci di sfusciuta per farci salire il sangue agli occhi. N le mennodde di certe baresodde di mo che, se tengono appena due albicocche sopra il petto, si sentono fmmene perdute. Marisabbell le teneva proprio grosse, come si usavano una volta. Ritonde menne le chiamava giustappunto quel malizionante di Giuann Boccaccio. Quelle di Marisabbell non solo non erano minne n mennodde, ma non erano manco menne e basta. Erano mennazze, menncchie, unenormit, bianche bianche e molle molle come la burratina di Andria. La natura, forse, aveva voluto fare un regalo a Marisabbell, la ricchezza della carne, e un dispetto a Varv, rubandole due centimetri a una gamba e strepindola. Ma la natura una cosa, la vita unaltra. La vita la fanno i cristiani. Cos la bellezza divent una condanna e la sciancatura fu promossa a dote. Se poi Varv non era gi maritata e autonoma a casa sua, era solo perch aveva addirittura detto di no allambasciata di Ucc il Vduo, impiegato comunale con due gli a carico, mentre a nisciuno appassa manco per la capa di pigghiarsi una cagna accome a me. Marisabbell ricorda72

va ancora le parole esatte di quella vasata-in-fronte-dallafortuna: Io vgghio stare sempre con pap. Accome pote campare pap senza di me? E si vedeva che non era stato un sacricio, per lei, rinunciare a un mmeno. Che stranezza! Lei, Marisabbell, un mscuo se lo sognava la notte, se limmaginava ogni minuto del d. Un mscuo, un mscuo qualsiasi, magari un mascuone forte e bellofatto ma pure un pensionato storciuto e scalcagnato: sarebbe bastato che fosse gentile con lei e le facesse sentire che era bellafatta. Punto e basta. Lo desiderava tanto un mscuo, perlomeno quanto i mscui di via Bovio sbavavano per lei. Ma loro non la vedevano come una uagnedda bella e mennaruta, che uno poteva sposarsela e godersela: la vedevano come una cagna che voleva fare, che voleva essere fatta, che si torceva tutta quando caminava per mettere in mostra merce da vendere, che chiss quante ne aveva fatte, che si vedeva a occhio che teneva il prurito dentro tutti i pertusi... Lo sapeva che era indirizzata a lei la canzone degli imbriachi, la notte: Pittotunno, ce purti sotto?/ purti il canale dellacquedotto/ Pittotunno, ce purti sotto?/ purti la pena du giovanotto/ Pittotunno, ce purti npitto?/ non so menne so saitte. Faceva nta di nulla quando passava innanzi a un portone e due o tre fmmene, che facevano qualche servizio allaria aperta, a buono a buono si mettevano a canticchiare la stessa musica con altre parole: Ti si fatta la permanente/ con i soldi du tenente/ Ti si fatta la vesta gialla/ con i soldi du maresciallo/ Ti si fatta la vesta rosc/ quando camini ti fasci accanosc/ Ti si fatta la vesta strett/ con il culo a cufanett. Perdeva il controllo solo qualche volta, quando si metteva a rincorrere un piccininno pi baldanzoso degli altri che le cantava proprio in faccia la solita canzone: Pittotunno, dreto alla meta/ ti facevano nnanze dreto/ Pittotunno, dreto a lu puzzo/ ti sucavi lu merluzzo. 73

E ne chiangeva tante di lagrime quando il pi spudorato dei uagnuni di via Bovio, facendo la voce di fmmena, insomma facendo la caricatura alla voce sua, rispondeva alle strofe dei piccininni da un terrazzo: No, non mi cimentate/ io so tanta sfortunata/ oh mamma mia/ io me ne vengo qua. Magari me ne potevo venire da te, mamma si disperava Marisabbell, ma tu, tu addo stai? La mogliera di Felucc il Norvegese li aveva mollati un d, lui e le due glie, per scire dreto a un panettiere di Carbonara con il ciuffo in fronte che aveva deciso di tentare la fortuna in America. Forse mo se ne stava con quel bellimbusto in Canad, a fare la bella vita. E lei laveva lasciata sola e disperata, con quei due, pap e Varv, che lavano cos damore e daccordo. Te ne potivi pure scire da casa, se volivi, ma perch non apportarmi con te? e perch poi farmi accos, con queste menne grosse grosse? che, me le ho da tagghiare per non essere trattata da tutti accome a una fmmena di strata? e le puttane non so pure loro povere disgraziate? Quante ne aveva sentite Marisabbell. Zizza cresciuta, fmmena perduta, Zucchero e mammelle fanno crescere puttanelle, Pitto a mennavacca, fmmena baldracca, Fmmene co le poppe so peggio delle zoppe, Grossa la menna, sintosta la penna... Quante ne aveva sentite. Aveva fatto lindiana, aveva fatto la sorda, aveva fatto la cecata e la muta, aveva fatto la scema, aveva fatto nta di ridere, qualche volta aveva risposto con le unghie e le stampate, certe altre volte era scoppiata a chingere... Ma lo sfottimento continuava, continuava sempre, a ogni spunto di strata, a ogni punto e momento. E nessuno, poi, che la chiamasse col nome suo. Per tutti era Pittotunno. E, quando pronunciavano questo soprannome, istintivamente le fmmene di via Bovio movevano le mani in maniera da formare due coppe sopra il petto. I mscui, invece, per dire che era passata lei, facevano: passata Pittotunno e le mani loro formavano, a mezzaltezza, qual74

checcosa a met fra le coppe delle menne e il mappamondo dei anchi. Anzi, il pi delle volte manco si fastidiavano ad aprire la bocca per pronunciare Pittotunno: bastava che uno facesse quelle mosse con le mani e laltro indovinava subito la bestia umana alla quale quello si voleva riferire. So stata Marisabbell per tutti sino a quattordici-quindici anni, proprio let che tieni mo tu contava a Iangiuasandin, quando allimprovviso mi saggonrono lanteriore di sopra e il posteriore di sotto. Fu una questione di mesi, dentro il ricordo suo addirittura di due d: un d aveva ancora il petto liscio liscio per cui, destate, poteva giuocare in mezzo alla strata con i pantaloncini corti e i sandali, senza nemmeno la canottiera, insieme agli altri piccininni di via Bovio, e il d dopo, capitando casualmente innanzi allo specchio prima di scire a sfrenarsi allaria aperta, avette la sorpresa di quelle due mortadelle appese e le venette un mancamento. Per tre d non volette assire dalla camera dove dormiva con la sora. Rimanette in casa pi di un mese. Mamma era gi in Canad o dove cazzo era lei. Zi Agnes, che veniva a dare una mano di aiuto in casa al frate suo, Felucc, rimasto senza mogliera e con due glie fmmene piccinonne da mantenere, era lultima alla quale avrebbe potuto dare e dalla quale avrebbe potuto avere spiegazioni a proposito delle menne che improvvisamente spuntano sopra il petto delle uagneddozze. E poi, Marisabbell odiava Zi Agnes perch, per ogni sciocchezza, quella la ingiuriava. Tale madre, tale fgghia le gridava appresso. Oppure la umiliava proprio: Sei proprio accome a quella vavosa di mmmeta. A parlare a pap Felucc dellimprovvisata delle menne di Marisabbell fu Varv, che aveva capito da sola, pur non sapendo nemmeno dove le menne stessero di casa (liscia come una tavola era e liscia come una tavola sarebbe rimasta praticamente tutta la vita). Se nera avvertita perch, nonostante fosse estate, Marisabbell dormiva per la prima volta con la canottiera e, alzandosi dalla branda, sinl subito la veste. E lindividu quel rigonamento sopra il petto della 75

sora. Unocchiata di sfusciuta e concludette che era diventata fmmena. Ma la faccia sua, a Marisabbell, non dicette nulla: n curiosit n invidia n pena. La sora zoppa aveva capito e tirava innanzi. La vita di Marisabbell cangi invece, dentro un solo d, da cos a cos. Ancora durante la quarantena, erano i piccininni che si affacciavano inutilmente al negozio o, dal portone, alla porta che dava direttamente sopra la camera da pranzo. Addo sta Marisabbell? domandavano, avimo da giuocare con i coperchietti al Giro dItalia. Quando invece, dopo un mese, avette la sfrontatezza di mettere il muso fuori della porta di casa, i piccininni nemmeno se navvertttero della presenza sua. Era come se si fossero stranamente scordati della compagna loro. Di pi: come se quella sagoma di fmmena che faceva mo la comparsa sua dentro il quartiere appartenesse senzameno a un altro mondo, al mondo dei grandi. E in effetti tutti i giovanotti e gli immini fatti le attaccarono addosso unocchiata da scornacchiati spogghiamadonne che da quel d la inseguette sempre e dovunque, e le fmmene la puntarono per la prima volta indignate e arraggiate come lavrebbero sempre puntata da quel momento in poi. Da allora fu, per tutti, Pittotunno. Forse persino per se stessa. Sbraitava e batteva i piedi, pretendendo di farsi chiamare con il nome suo vero e proprio, e respingendo come un oltraggio quel soprannome, ma sotto sotto non le dispiaceva tanto di essere diventata linvidia e la nemica di tutte quelle povere sciacquette di via Bovio che passavano la vita a fare i piatti e a servire da innanzi e da dreto i mariti, che poi il sabato scomparivano tutti per scire a pizza-e-birra e concludevano la serata a fmmene. E molti di loro, poi, avevano pure la commara dentro qualche altro quartiere o dentro un altro paese, e magari altri due o tre gli bastardi da mantenere. S, quel soprannome, quellinsulto piano piano penetr e si sistem dentro il cervello di quella povera uagnedda, dopo essersi insinuato e averne conformato la corporatu76

ra. Piano piano quella disgraziata cominci a comportarsi, persino a sentirsi lei stessa, non pi Marisabbell, uagnedda pulita e senza pensieri per la capa, ma proprio Pittotunno, provocatrice di mscui galletti e umiliatrice di fmmene galline. Accos mi volite? si rassegn alla ne, dopo anni di lagrime mute, di angosce notturne e di svenimenti diurni, e vabbuono, sia fatta la volont di Dio. Accos mo ho da essere. Che belle menne che tieni le sussurravano i mscui dentro la rcchia quando lei passava, se per caso stava qualche altra fmmena che poteva sentire, l vicino. Se invece la pizzicavano da sola, gridavano senza pudore: Vieni con me che ti faccio avvedere io che ci metto mmenza quelle menne. Non poteva passare innanzi a un mellonaro. Ce nera uno a ogni spunto di strata che vendeva meloni gialli e rossi: ad un certo prezzo quelli a sorpresa, che te li tagliavi per i fatti tuoi a casa scoprendo che era maturo o che avevi pigliato una frecatura, e ad un prezzo pi alto quelli con la prova (avevi diritto a spiarvi dentro con un coltello, prima di accattarlo). Che belli meluni che tieni npitto diceva a Marisabbell proprio il mellonaro o uno degli sfaticati che gli stavano appresso, vieni qua che ti facimo la prova. E il primo, lunico uagnone che le aveva fatto scattare un pensiero in capa? Lei era uagnedda uagnedda, lui uagnone uagnone, anzi un uagnungiddo attivo attivo che faticava dal fornaro. Le aveva fatto locchiolino. Lei aveva risposto distinto, per simpatia, facendo pure lei locchiolino. Fu la prima e lultima volta. Dentro quel periodo lei faceva di tutto per non farsi scoprire la forma e soprattutto la proporzione delle menne, stringendosele, anzi proprio cazzndosele con la fasciatura da neonata sua e di Varv che aveva scovato in fondo a un tiretto del com della mamma. Non hai da dare scandalo, non hai far venire i cattivi pensieri ai mscui fu la raccomandazione, in confessione, del parroco del Redentore. Con lui a quel tempo Marisabbell 77

si condava ogni tanto, contando di tutte quelle zampe da lupo, di quelle occhiate da porco e di quelle parole da volpe che la circondavano ovunque, sacrestia compresa. S, per, pure tu fgghia mia... era sbottato il prvito, quando lei gli rivel la bella sorpresa che le aveva fatto una volta il vicciere. Era stata mandata alla vicciaria, al posto di Varv, per accattare tre fette di carne di cavallo. E il vicciere, domandandole per piacere di pigliargli lei dalla palda dei calzoni gli spiccioli per il resto perch lui aveva le mani lorde di carne insanguinata, le aveva fatto lo scherzo della fodera della palda strazzata. E cos, al posto dei soldi spiccioli, lei aveva stretto con quei dsciti piccinunni e innocenti un pezzo di carne viva lungo e grosso quanto un lone di pane da mezzo chilo. Pure tu, fgghia mia scoppi il prvito, non devi indurre in tentazione gli immini, che so deboli. Pure questo peccato. Cos per qualche mese lei aveva girato tutta soffocata da quelle fasce strette strette. Lo faceva per non offendere Ges, per non provocare i mscui e pure per non umiliare le altre fmmene, che non potevano vantare quella sorta di bendidio. Ma quella sera sapeva che era aspettata e sarebbe stata pedinata dal lavorante del fornaro. Voleva essere bella. E dimpulso si liber le menne, insomma mettette in mostra la cosa pi bella che teneva, inlandosi un reggipetto della mamma che da tanto tempo aveva adocchiato dentro il com e che sino a quel momento non aveva avuto manco il coraggio di toccare. Lo pigli e se lo mettette. Un pennello! Segno che pure la mamma aveva da tenere un bel pettorale. Con quei due ori di primavera sbocciati sopra il petto e facendo nta di non avvertirsi di essere pedinata, arriv alla zona pi appartata del giardino Garibaldi. Lui si avvicin e, tremuando tremuando, le pigli una mano. Ma, quando tent di abbrazzarla, avette la sorpresa di scontrarsi con quella montagna di carne matura, massiccia, inaspettata, sconosciuta, incomprensibile, estranea, viziosa... Rimanette di ghiaccio il uagnungiddo. Non sapeva dove mettere le 78

mani, checcosa fare, checcosa pensare... Marisabbell lo vedette sbiancare, arrossire, girarsi attorno e, improvvisamente, gridare verso unombra, al di l dellaiuola: Ah, addo va? al biliardo? aspettami, ch vengo purio. E se ne era fusciuto senza una parola, lasciandola stranita, sola, con locchio sso sopra tutta quella carne che tanti dolori le stava dando gi da uagnedda. Figuriamoci da fmmena grande. Fu la prima volta che Marisabbell si permettette il lusso di un sentimento per un uagnone. Diciamo pure, pi semplicemente, di un sentimento. E difatti per lattano non provava nulla perch nulla lui provava per lei, come se avesse voluto chiudere con la glia che tanto assomigliava alla mamma, sicamente e di carattere quando la tragginatrice era fusciuta via in America con quello sfasulato che portava ogni semana le forme di pane di Carbonara a tutta via Bovio. A Varv, s, in fondo in fondo, Marisabbell voleva bene, ma non parlavano mai. Oltre che zoppa, la sora pareva pure sorda e muta. Sempre zitta, sempre per i fatti suoi, sempre con gli occhi sopra la stadera e sopra i conti del baccal. Non aveva la minima idea di checcosa tenesse in capa Varv. E poi, che sapeva della vita sua? Non di quella che viveva (quella era conosciuta e straconosciuta: stavano tutto il d l, gettate in via Bovio) ma di quella che teneva in capa: a chi voleva bene? a chi pensava? verso quale destino voleva scire? e che le piaceva? chi le piaceva? S, vole bene a pap, non ci fasce ammancare nulla a lui, come se volesse darci tutte le cose che mamma ci aveva levato fuscndosene di casa si diceva Marisabbell. Ma dopo di ci? Mica la vita si pote arridurre a fare i servizi a pap. Chiss checcosa tene ncapa quella! Lattano cos, la sora cos, tutti gli altri cos: dove poteva scire a piantarli i sentimenti suoi, a coltivarli, a coglierne i ori? Ogni tanto si domandava persino se valesse la pena vivere sopra questa terra, in quella maniera... Almeno Varv una sistemazione la tene si ripeteva Marisabbell, vedendo la sora incastrarsi dentro la porticina 79

del negozio, con la caminata sua trppeta-trapp. La sistemazione di Varv la vedeva chiara: pap e baccal, ferri e spesa. E lei, invece, lei che teneva? La passeggiata e il gelato. E la vita? Ecco la sora che si preparava a vendere baccal e stoccasso. Ecco per lei, invece, unaltra giornata vacante. Da quando era diventata una uagnona, quella porta che avevi da abbasciarti per oltrepassarla, non laveva pi oltrepassata. Io dentro al negozio non ci vengo aveva detto battendo i piedi, forse proprio perch lattano non le aveva mai domandato di dargli una mano al commercio: si era sempre dato solo ed esclusivamente di Varv. Lei, Marisabbell, se la lava e tornava in casa dal portone e, se teneva qualcheccosa da dire allattano o alla sora, lo faceva affacciandosi appena al negozio, dal marciapiede. In genere non salutava nemmeno, n quando scompariva per il passeggio n quando rientrava. Per, si vedevano ogni d, alle stesse ore: la matina appena discetati, alluna per mangiare e allotto di sera per mettere dentro lo stomaco una cosa qualsiasi. Ogni d, alle stesse ore, le stesse cose. Solo che loro due, pap e Varv, stavano sempre insieme a parlare, vendevano, trattavano, vedevano gente, campavano con tutti i cristiani di via Bovio, e lei invece non faceva nulla. N in casa n fuori. Che signicato aveva la vita sua, oltre a quello di essere sfottuta da tutti per le menne? Nessuno. La sola cosa che tutti si aspettavano da lei era che quelle due pagnotte se le facesse palpeggiare e imbottire, a turno, dai mscui di via Bovio e che diventasse nalmente la fmmena di tutti, come si poteva leggere dentro il destino scritto dalla natura e da quella snaturata della mamma... Un d, mentre stava con Iangiuasandin, sentette dreto la schiena una strofa nuova della solita canzone: Con una nghianata di treno/ Pittotunno assuta prena. Pure quella volta Iangiuasandin non capette. Cio la pigli come una semplice canzone a sfott. Ma Marisabbell invece capette. Cio intuette che quella non era solo una 80

canzone a sfott. Checcosera questa storia? si domand la sventurata. A chi poteva passare per la capa di cantarle dreto che aveva ricevuto, per dirla alla gentile, una bella spinta di treno che laveva messa incinta? E not, poi, meno allegria in faccia agli sfottitori, da quel d. Cera improvvisamente un poco di pena, un poco di piet dentro le occhiate delle fmmene verso di lei, mentre qualche uagnone pareva addirittura un poco imbarazzato quando lei passava. E certi piccininni le ssavano dritti dritti la panza, che pure era quella di sempre, tosta tosta ma bella rotonda, una specie di mezzo pallone gonato che partiva da sotto le menne, proprio al centro fra luna e laltra, e niva a strapiombo tra le cosce... Quando pure a lei, Marisabbell, parette quasi di sentire qualcheccosa che si moveva, proprio sotto lombelico, proprio come un animale piccinunno che tirasse a calci, fu tutto denitivamente chiaro. Insomma, circolava la chiacchiera che Pittotunno, a furia di giuocare con le pompette, era rimasta schizzata. Che chi aveva bagnato il biscotto chiss chi era, magari qualche delinquente di Barivecchia amante della galera, qualche contrabbandiere o ricottaro che laveva convinta ad aprirgli il conno fra gli scogli, sotto il Margherita e poi magari laveva messa a giro. Povera disgraziata di Marisabbell. Tanto la gente si aspettava che un d o laltro sciuasse, tanto la gente lo desiderava e da tanto oramai girava quella maldicenza della spinta di treno, che Marisabbell, senza avvertrsene, senza dirselo, ad un certo punto cominci a caminare come se fosse effettivamente incinta. Ci te lha fatto fa?/ vacant potivi stare/ oh Pittotunno/ ci te lha fatto fa? E mo? Pigliare di petto gli oltraggiatori? Scovare linfame, trascinarla per la cima dei capelli e svergognarla in piena via Bovio, innanzi a tutti? Bastava solo pensarci per concludere subito che non era possibile: qualsiasi infame, mscuo o fmmena, grande o piccinunno, sano o strepiato, sensato o matto, sarebbe stato comunque pi cre81

duto di lei. Avrebbero certamente dato credito a chi avesse detto: Io a far accircolare la voce che sei stata infornata? Ma chi tacconosce! Accerca piuttosto daccomportarti accome a una brava cristiana e di non sfottere i cristiani apposto. E si pu stare sicuri che avrebbero creduto pure a chiunque avesse ammesso: S, me la so fatta sfuscire io con le commari la notizia che sei stata nseminata. Me lha detta chi sccio io. Che male ci sta a dire la verit? Tu, piuttosto, accome tappermitti con quella ventre di vacca prena di criticare una fmmena pulita accome a me? Ascicquati trenta volte la vocca con lacito apprima di parlare con me. Checcosa ne avrebbe ricavato, Marisabbell, da un tentativo di svergognamento pubblico dellinfame? Nulla. Sarebbe stata ancora pi svergognata lei... E poi, in effetti, lei la panza ce laveva. Era quella di sempre ma, a ssarla, poteva proprio parere il ventre di una che sa cos la vita e che mo sta per darla, la vita, a unaltra povera creatura disgraziata come lei. Fu allora che Iangiuasandin cominci a capire. Non solo la questione di Pittotunno prena o, pi esattamente, la calunnia dellapertura del conno di Pittotunno a benecio di qualche spadaccino di mscuo e di conseguenza la falsit della malanova dellingravidatura (Zi Marisabbell ce lo aveva detto e garantito che lei il conno se lera tenuto sempre stretto stretto e nessuna spada di fuoco aveva incendiato il pagliaro suo, e lei a Zi Marisabbell sapeva di poter credere alla cecata). Iangiuasandin capette pure perch si era attaccata a quella fmmena: perch le pareva una specie di doppione suo, solo con una quindicina di anni di pi. Povera creatura disgraziata come lei, senza mamma e con lattano contro (e lei, Iangiuasandin, non era forse senza attano e con la mamma contro?), con la sora cos attaccata attaccata allattano (cos come attaccata attaccata a mamma Sabbedd era Bellnia) Ma, a parte queste rassomiglianze di parentela, era dentro il core e dentro la capa che Iangiuasandin individuava le rassomiglianze pi forti e pi dolorose. Dentro 82

il core della sofferenza e dentro la capa della tostaggine. E si domandava, angosciata: era pi o meno cos, come Zi Marisabbell, sola e disperata, che lei sarebbe diventata da grande? Quello era pure il destino suo? Intanto Marisabbell ancora pi sola e disperata perch, mo, non teneva manco pi il sollievo del piccolo ato che le dava Iangiuasandin, chiusa in casa da Donna Sabbedd quando tutto il rione si convincette denitivamente, data lingravidatura, che Pittotunno faceva la lorda al lungomare non avette manco il tempo di pensare a cosa fare, per assrsene con la faccia pulita da quellingucchio. Senza che lei se laspettasse, Pap Felucc laffront. Non le parlava praticamente da mesi, forse da anni. Fgghia ch fgghia mi sei ancora non vgghio assapere n chi, n aqquando, n addo, n accome... A che asserve? Chi che si pote pigghiare a una accome a te? Dimpulso so stato tentato di fare una sciocchezza, di tagghiarti la ventre, di levarti dal mondo e di scirmi a fare dreto alle sbarre la vita che marrimane da fare. Ma non me la so sentuta dallassarla sola a Varv, scalognata e innocente. Che peccato ha fatto lei? Perch ha dappagare per unimbrattata accome a te? Poi so arrivato al punto doffrire una fgghia mia a un mmeno. Che brevogna! Ma Ucc il Vduo, che pure oramai non si regge manco allinpiedi, mha dato un riuto. Tutte, una qualsiasi mha detto, ma Pittotunno no, proprio no. E poi, Felucc, tu che sei sempre stato un bravo cristiano, perch vuoi offendere un povero disgraziato accome a me? Perch proprio io mi ho da pigghiare per mogghiera una che ha fatto la bella vita e mo ci ha lassato pure le penne? Felucc, e che so io? La merda delle merde? Ma Ucc teneva rascione... Io volevo una decisione da lui, ma la decisione lavimo da pigghiare noi Ed stata pigghiata. Una decisione terribile, che non aggiusta le cose una volta per tutte ma che ci aiuta almeno a mettere una pezza a colore. Poi si tratta davvedere il resto. Parla con Varv. Lei sape tutto, ha organizzato tutto. Povera Varv, povera fgghia mia innocente. 83

Sin dallinizio della sparata dellattano, Marisabbell aveva tentato di fermarlo, di spiegare che non ci stava nulla di cui preoccuparsi o vergognarsi, che lei non era mai stata toccata da nessuno, che la serratura era rimasta chiusa cos come mamma laveva fatta, che quella panza non era una novit perch lei laveva sempre avuta come un pallone gonato, che era ora di nirla con tutte quelle falsit e calunnie, che quelle mormorazioni le stavano ad avvelenare la vita, che non ce la faceva pi a sopportare il peso di tutte quelle malignit e di tutti quegli attacchi, che un d o laltro avrebbe potuto fare una sciocchezza, che proprio dallattano non se laspettava che si mettesse pure lui a screditarla e a tagliarle i panni addosso, che lei era una picciuedda senza colpe, che proprio lui avrebbe dovuto invece difenderla dalle lingue lunghe che le sparlavano dreto la schiena, che non era un peccato e comunque non dipendeva da lei se aveva il culo grosso e le menne grosse, che non poteva fare pagare a lei il fatto che la mamma lo aveva scaricato perch non ce la faceva pi a misurare il baccal con la stadera e aveva preferito mettersi a vendere il pane a forma... Ma il queto Felucc il Norvegese non era mai stato cos aspro e violento dentro la vita sua e mai lo sarebbe stato pi. Gli occhi di fuoco, la voce ferma, le mani che gli tremuvano, aveva impedito a Marisabbell di dire pure solo una parola. E poi, a sapere che pap aveva fatto quellofferta a Ucc il Vduo (che la sora, Varv la Zoppa, non aveva voluto nemmeno quando quel povero-a-lui si teneva ancora allinpiedi), quasi le venette un mancamento per la rggia e la vergogna. Alla ne, piena di quelle mazzate, si era perduta dentro il nulla. Lavevano richiamata alla realt quelle poche, ultime parole a proposito di Varv che sape tutto e che ha organizzato tutto. Organizzato checcosa? E perch poi Varv, sapendo ci che assapvano pap e la gente, non era venuta a parlare con lei? Sintendevano poco, s, e ancora meno si parlavano. Ma il minimo indispensabile e le cose pi importanti se le 84

dicevano. Checcosera successo? Checcosa stava succedendo? Nemmeno a questo proposito Marisabbell avette il tempo di riettere, non si capisce se per la velocit dei fatti, per la concitazione dei due parenti stretti o per la lentezza dei riessi suoi. Certo che, mentre lei cercava Varv affacciandosi al negozio, fu pizzicata da Varv che, per la prima volta, rincasava da dentro al portone. Quasi a volerla pigliare da dreto la schiena. Aveva lei, Marisabbell, delle domande da fare alla sora e che domande! ma fu invece Varv che lanticip, sentenziando secca secca: Non potimo appermtterci lo scandalo di un bastardo. Ci sta solo una cosa da fare: gettarlo nterra. Cheee? Pure se Marisabbell rimanette senza parole, la reazione della faccia stralunata parlava pi che a sufcienza per lei. Ma non bast perch la sora si fermasse per aspettare le spiegazioni ed eventualmente le decisioni sue. Varv difatti continu: S, gettarlo nterra, eliminarlo. Non ci sta altro da fare, non ci potimo appermttere sto scandalo. Sccio io il posto giusto per questa brutta cosa. Pap mha dato i soldi che ci assrvono. tutto addeciso, tuttorganizzato. Partimo domani stesso. Alla gente facimo accrdere di scire da Checchin a Brindisi. tanto tempo che non la vedimo, la cugina nostra. Pure Zi Agnes non ha daccapire ci che sta ad assuccdere: voccavocca com, accapace di farsi sfuscire la novit un minuto dopo che lha assaputa. Del resto, proprio lei che mi dice sempre: va, va ad acconfortare Checchin a Brindisi, che sta sempre sola col marito e cinque gghi e non avvede mai un parente, fasce la monaca di clausura tutta la d ncasa, a lavare, a stirare e a cucinare. E noi mo ci appresentamo veramente a Brindisi, stamo a casa sua e poi, alla scordata, facimo nta che assuccede qualcheccosa e cintrattenimo un paro di d da chi sccio io per aggiustare il fatto. Mentre la sora parlava, Marisabbell la squadrava, con 85

sorpresa e curiosit. Ecco qua Varv, lamore di pap: zoppa, secca secca e buona. Per la verit non proprio secca secca come una volta, anzi mo pareva avere un bel colorito, forse perch tutta infervorata per la discussione, e pure ai anchi non le si vedevano le ossa come una volta. E nemmeno tanto buona, con questi ragionamenti cos freddi e malvagi. Ecco: Varv come pap, si dicette Marisabbell, non teneva nessuna intenzione di sapere la verit. E poi, perch drcela? pens. Che ci agguadagno? Partimo pure a Brindisi. Almeno, mi faccio il primo viaggio della vita mia. In via Bovio, la gente vedette partire le due sore che vanno a stare un paro di mesi a Brindisi da Checchin, che tene tanto abbisogno daiuto e di consolazione. Ma tutti sapevano la vera verit: Varv la Zoppa, la sora buona, accompagnava Marisabbell, la sora svergognata, ad abortire, a gettarlo in terra il glio dello scandalo. Nonostante che le avessero scompagnate, Zi Marisabbell ce la facette a salutare Iangiuasandin prima di partire per Brindisi, spiegandole che non teneva nessuna volont di ruinare la sopresa a Varv. Vgghio proprio avvedere sino addo so accapaci darrivare, lei e pap. In quanto a me le anticip, tengo intenzione di fermare il ballo solo allultimo momento, solo nnanzi alla vammara che sta per inlarmi i ferri. E si lasci quasi allegramente con la compagnedda sua, promettendole che al ritorno tempo tre o quattro d le avrebbe contato tutto. Ma Pittotunno non torn pi in via Bovio. Vi torn invece Varv, con la faccia bianca bianca, senza la sora, tenendo in braccio un piccininno piccinunno piccinunno, chiaramente affacciatosi al mondo solo da qualche d. E a nessuno, nemmeno a Felucc il Norvegese, pass fosse pure solo per lanticamera del cervello che quel glio della colpa potesse non essere di quella sconsiderata di Marisabbell. Alla gente contarono che quel pupo era stato gliato da chiss quale sventurata brindisina e abbandonato di notte innanzi alla chiesa del rione di Checchin, che il parroco ave86

va cercato per le case qualche anima buona che se lo pigliasse a carico e che Varv se lera pigliato per fare un atto di carit e per portare un poco di allegria dentro quella casa sempre zittazitta di via Bovio, contando al prvito la busca che la mamma e lattano stavano insieme, si volevano bene come due ziti freschi e avevano proprio il desiderio di adottare un piccininno perch non ne potevano avere pi... E Marisabbell? Alla gente dicttero proforma che non era tornata perch le piaceva stare a Brindisi dalla cugina e poi in via Bovio, lo sapevano tutti, non teneva manco una compagna vera e propria (in via Bovio a quella uagneddozza di via Mirenghi nominata Capatosta non la consideravano proprio), non aveva legato con nessuno e con lattano, che lattano, non parlava... La gente facette due pi due e credette di smagare il retroscena: forse avevano avuto qualche problema con la vammara incaricata di fare laborto o forse qualche problema laveva avuto la vammara stessa innanzi a quel piccione dimbrattata ruinato e straruinato da tanti assalti di mscui senza scrupoli o forse, ancora, lingravidatura datava oramai da troppo tempo perch potesse essere bloccata. Certo che Marisabbell aveva gliato lontano da casa e mo Felucc e Varv la Zoppa, che Ges li benedicesse, si caricavano sopra la schiena quella povera creatura, ma lei, la zoccoletta, non teneva la faccia di ripresentarsi in via Bovio. E poi, si sa come sono fatte le bestie: che ce ne freca a loro della creatura che mettono al mondo? Chiss da chi si faceva sbattere mo a Brindisi... Ci pens Zi Agnes a mettere la rma sotto i pettegolezzi: Io so la ziana. Non sccio nulla e non vgghio assapere nulla. Dico solo una cosa: tale madre, tale fgghia. Fra tutti, naturalmente, il pi perplesso agli inizi fu proprio Felucc il Norvegese. Aveva mandato le due glie a Brindisi, con i soldi giusti giusti perch Marisabbell abortisse e si era gi preparato allinferno che sarebbe diventata la vita loro dopo quellesperienza terribile. Si vedeva invece 87

arrivare in casa un piccininno che non ne aveva voluto assapere di morire. E delle due glie era tornata solo Varv, la pi amata, che difatti divideva con lui il segreto pi grande che possano tenere nascosto in due, solo in due, un attano praticamente vduo e una glia zoppa senza uagnone e senza marito. A proposito dellaltra glia, Felucc si avvertette subito di vivere lassenza di Marisabbell come una liberazione. Facesse quello che voleva, ogni tanto le poteva pure far arrivare qualche soldo per le mani di Checchin. Cos, tanto per coscienza. Ma se non si faceva vedere pi, erano solo preoccupazioni in meno. E quel piccininno? E quella carne della carne di Marisabbell? Al principio Felucc prov, per tale questione, un certo disorientamento. Sentette pure, istintivamente, che quelle fasce nascondevano pi segreti e pi imbrogli di quelli che lui potesse o volesse immaginare. Ma gli bast mirare Varv, che si perdeva beata e felice a curare il pupo proprio la gurina di una madonna col bambinges per convincerlo che comunque Varv aveva fatto una cosa giusta e delicata. Mo, potevano essere proprio una bella famiglia, loro tre, senza la zoccolona che trombava il pane e si faceva trombare dal panettiere carbonarese in Canad e senza la zoccoletta glia degna sua. Felucc il Norvegese non era mai stato cos felice e non aveva alcuna intenzione di cercare di capire pi di quanto non gli convenisse sapere. E le malelingue di via Bovio (Lavevo sempre detto io: quella era una zccana, nata zccana) erano cos soddisfatte che, dopo solo un paio di giornate dal ritorno di Varv da Brindisi, si convincttero che quella famiglia oramai non poteva pi dare materia di chiacchiere stuzzicose e si ccarono dentro altre storie e dentro altre case. Lunica a rimanere con lamarezza e la curiosit fu Iangiuasandin. Amarezza per questaltra illusione e man88

canza che pativa la vita sua, avendo intravvisto e goduto di un attaccamento di fmmena grande e avendolo subito perduto, per giunta con una conclusione che pareva dare ancora una volta ragione alla mamma sua (E con chi ti potivi mettere a fare ci-ci-ci e a papereggiare? Con una disgraziata pi disgraziata di te!). A proposito della curiosit, poi, Iangiuasandin si mangi il cervello anni e anni per indovinare ci che potesse essere successo a Brindisi tra Zi Marisabbell e Zi Commara. Contrariamente a tutti gli altri, Iangiuasandin credette veramente alla storia della creatura gettata innanzi a una chiesa e poi adottata, a nome dellattano, dalla Zi Commara. Del resto, lei lo sapeva: Zi Marisabbell non solo non era incinta ma il conno non lo aveva mai aperto a nessuno. E allora, che ne aveva fatto la povera Pittotunno? Checcos che le impediva di tornare a casa? E perch Zi Commara se lera trascinata con tanta convinzione a Brindisi, strafottndosene sin dallinizio delle spiegazioni e dei sentimenti della sora? In conclusione, Iangiuasandin dicette addio a distanza e con dolore allunico ato di grande che aveva tenuto da uagnedda, dopo aver detto addio allattano prima ancora di nascere e, da menenna, a Colettudd. Sentette che lesperienza dellamicizia con Zi Marisabbell e della scomparsa sua improvvisa e misteriosa laveva segnata in profondit dentro il core e dentro la capa. Stranamente, da un certo punto di vista, perch in denitiva aveva frequentato quella compagna grande solo per qualche mese. Per evidentemente tale la capacit delle uagnedde e dei uagnuni che hanno let che aveva allora Iangiuasandin di surchiare e di accumulare senza darlo a vedere e senza che loro stessi ne siano coscienti esperienze, intuizioni e sensazioni destinate a formarne il carattere e a determinarne la vita, e tale era evidentemente la ricettivit che contraddistingueva in particolare una uagnedda sola e senza amore come Iangiuasandin, che forse non ci sta tanto da meravigliarsi se si sentette segnata, anzi proprio marchiata da quellesperienza. Era come se il destino 89

amaro di Zi Marisabbell avesse denitivamente chiarito a Iangiuasandin un pensiero e una pavura che lamareggiavano da sempre: che pure a lei era stato assegnato, chiss perch, un destino di solitudine e dinfelicit. Pi o meno come quello di Zi Marisabbell.

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lamoreggiamento Era proprio un bellelemento Cilluzz, glio gagariddo di Martem Cioladoro, il pesciaiuolo zoppo di via Modugno, e di Taratt lAcconzaossa, quella santa fmmena che si faceva ogni matina alle quattro, al Redentore, la prima messa e che alle quattro del pomeriggio, a casa sua dreto il locale dove vendevano cozze nere, cozze pelose, frutta di mare in genere, baccal, stoccasso e, qualche volta, il pesce comandava il rosario in latino, senza sapere una parola di latino n ditaliano. Cilluzz giurava e spergiurava a Iangiuasandin, oramai signorina, di tenere la stessa et sua, ma si vedeva a occhio che era pi piccinunno di lei. Al principio lei laveva mandato a fafttere proprio per questo motivo. Ecch lo sbeffeggiava, ti ho da dare la pappina? Ma lui era tornato alla carica sventolando vittoriosamente la carta didentit. Vedi, vedi sopral documento, leggi si vant, tengo diciottanni accome a te, so grande, mica mi hai da dare la pappina. Si vedeva chiaramente che la carta era stata truccata: aveva aumentato let di un anno. Ma questa cosa piacette a Iangiuasandin, anzi linorgogliette. Sto fatto assignca che lui mi vole afforza concludette. E poi, mica un brutto uagnone. Sape pure litaliano. Mi attratta con rispetto, anzi con soggezione. Io questo me lo ammanovro accome vgghio. In effetti, Cilluzz pareva ancora pi piccinunno dellet sua ed era gentile gentile, secco secco come un malato di tubercolosi, alto, quasi un signorino fra tutti quei cortagni vastasi e malacarne di via Modugno. Pure la scola aveva fatto: non ci stava un altruno, dal giardino Garibaldi al camposanto, che avesse arato nientedimeno che sino alla terza avviamento. Lattano non gli aveva fatto mancare mai nulla. Bastava che ordinasse. 91

Una volta pigli il pccio per il ciccio: non il succhiotto per i piccininni, sia chiaro, ma proprio lui, il quattrozampe pi capatosta e ridicoloso che esiste. Pure gli altri piccininni, qualche volta, pigliavano il pccio per unanimale di compagnia e chiangvano e sbraitavano nch i grandi non ci davano il permesso di tenerselo in casa o dentro il portone. No, non si trattava di cani o di gatti: i primi allora erano al pi amici di strata e in strata avevano da rimanersene, senza calore e senza carezze, con la conseguenza che certe volte ti mozzicavano alle gambe; i secondi invece pur rimanendo talmente selvatici che qualche volta di sera, forse perch paurosi loro stessi, scattavano dalloscuro e ti zompavano addosso erano liberi di fare innanzi-e-dreto da dentro le case perch, in contraccngio di questa libert, liberavano case e portoni da sorci e zccane o perlomeno impedivano che dalla matina alla sera questi quattrozampe maligni e maleci spatriassero senza limiti fra marciapiedi e credenze. Gli altri piccininni ce la facevano a farsi dare il permesso, ma per animali pi piccinunni e meno ingombranti del ciccio, per esempio una testuggine o una cicala senza ali che faceva frifri-fri dalla matina alla sera (perci una cicala fmmena, come si diceva allora, nonostante che la scienza garantisca che, al contrario, quelle che cantano sono e sono sempre state solo le cicale mscue: ma si poteva mai ammettere, allora, che a fare la cicala fosse un mscuo e non una fmmena?) Da piccinunno, dunque, Cilluzz aveva pigliato il pccio per il ciccio e Cioladoro gli aveva fatto vincere pure questo pccio al primo glio del core suo, accattndogli un bel ciccio, con due rcchie pelose pelose di mezzo metro luna, che qualche uno trovava grazioso come i ciucci della Dalmazia e qualche altro dozzinale come i ciucci da fatica di Martina Franca. Lo tenevano dentro lo stallone che stava proprio attaccato alla pescheria. Per la verit, il piccininno pretendeva che il ciccio dormisse pure la notte con lui, ma in casa dormivano, mangiavano e facevano i fatti loro gi in 92

cinque. Difatti Cilluzz teneva due sore: Mar la Grossa, che frequentava inutilmente una sarta na tentando dimparare un mestiere che non era unghia la sua, e Iann la Matta, la pi piccinonna, che ricamava che era una delizia, prima solo a mano e poi pure con la Singer. Dentro il portone ci stava s una specie di stalla, ma era un buco che bastava a malapena per sistemarvi a stampate in culo la mula dei cozzali cos qua si chiamano i contadini che scomparivano la matina subito e tornavano solo quando faceva scuro dal campiceddo che tenevano a Santa Fara, dove seminavano e adacquavano fave e pomodori. Quei cozzali venivano a dormire e a fare i fatti loro, dentro un cafrchio attaccato alla stalla, in tre: i due vecchi, tat e mamm, e il glio loro nominato Chelin Vienimimmocca, lo scemo vero che stava tutte le sere innanzi al portone a mirare il passeggio e a farsi cimentare dai piccininni che spatriavano in mezzo alla strata. Lo stallone pareva che stesse l apposta, proprio afanco alla casa-e-bottega di Cioladoro. E il ciccio l dormiva la notte. Ambulanti, cozzali, fruttaiuoli, pesciaiuoli, cocchieri e calessieri vi venivano a ricoverare banchi e cavalletti, carri, carretti e carrozze, calessi e cavalli, stigli, tende e tendoni, secchi e secchioni. E poi si assedevano cazza-e-cucchiara (come a dire, culo-e-cammmisa) con imbriaconi, mozzonari, viziosi e senzacasa a un tavolone della cantina, dove gli stessi patroni dello stallone servivano il pezzo di vitellone o la brasciola di cavallo al suco, fette di pane di Carbonara sfornato da tre-quattro d e un miero cos allentato che non si capiva pi se era di Barletta o dellAcquedotto Pugliese (proprio il posto, insomma, dove il vino in tutti i modi si poteva nominare meno che come lo chiamiamo noi dallantichitate, miero, che viene dal latino merum: vino puro, cio almeno senza acqua). Ma non pass tanto tempo che Cilluzz si scocci di tirare e di farsi tirare dal ciccio per tutta la giornata. E poi, gli altri piccininni lo cimentvano. Lo seguivano come malombre, gridando e ripetendo: Ciu-ccio-ci, ciu-ccio-ci, 93

ciu-ccio-ci, sino a che lui non fusceva a chiudere il ciccio dentro lo stallone e la faccia sua tutta rossa dentro la casa. E pure i grandi, dentro la cantina, al caf di Don Mingh e quando spassavano il tempo sopra il marciapiede, lo cominciavano gi a soprannominare Cilluzz il Ciccio. Perci ad un certo punto stabilette che il ciccio non lo voleva pi. E Cioladoro ordin di venderlo, cos come aveva ordinato di accattarlo, a Col Settecerviddi, che con i sette cervelli suoi faceva almeno sette mestieri alle dipendenze di Martem, dal servitore allo spallaccia, dallo scaricatore al ragioniere. Era lui che stava dreto i conti della pescheria e si preoccupava di pagare le bollette, lui che ogni matina alle quattro si veniva a caricare il patrone sopra il trano e se lo portava al mercato allingrosso, lui che lo aiutava a capare le partite di cozze pi buone e pi mercate (che costavano di meno, insomma), lui che trattava con Felucc del Baccal eccetera eccetera. E non era solo per let e per quel fatto del ciccio, notorio dentro tutto il rione, che Iangiuasandin non ne voleva sapere inizialmente del glio di Cioladoro. Ma pure per certe cose sporche che le avevano rivelato anni prima, da piccinenna, le due glie di Melin la Fruttaiola, e che poi erano diventate una storia che la sera tardi i grandi si contavano in casa e i meninni si godevano da dreto le porte invece di dormire. Da piccinunno, insomma, Cilluzz e i compagnucci suoi di via Modugno avevano fatto le fetenzarie con le menenne di via Modugno che, per le menenne di via Mirenghi, erano in effetti tutte delle zccane culaperte. Dunque, ogni tanto le due piccinenne della Fruttaiola scomparivano da casa e non si facevano vedere per tutto il pomeriggio e per tutta la sera, e tornavano poi contente contente solo allora di mangiare e di coricarsi. Ma la mamma non capette mai perch, quando Angiolett e Colett scomparivano per ore e ore, con gli altri piccininni di via Modugno, dentro il portone che stava appresso alla drogheria Carofglio (lunico portone della strata che si chiudeva 94

da dentro), poi non toccavano nulla allora di mangiare, la sera tardi. Pane e mortadella? La banana? Una zuppa di latte? Nulla di nulla. Dicevano che non tenevano fame e si gettavano sopra la branda. Le prime volte Melin si mettette in pensiero, ma poi non ci facette manco pi caso. Capa a loro teneva! Con tutte le preoccupazioni che le dava il negozio, ci mancava pure che, mo, si facesse pigliare dalla disperazione perch due piccinenne facevano storie innanzi al piatto. Se tenevano fame, la credenza la sapevano dove stava ed erano tutti a disposizione loro quegli stigli traboccanti di scope di uva, di mele rosse, di amnue (le mandorle, dentro lantichitate, si chiamavano amygdalae) e del bendidio che veniva fuori dalla terra, per la verit con laiuto e il sudore di tutti quegli sposseduti che passavano la vita capasotto dentro la campagna senza venire mai al paese o, se venivano, vi venivano la sera praticamente solo per dormire. Dreto quel portone, chiuso, succedeva di tutto. E loro due, Angiolett e Colett, erano le regine della serata. Gli altri erano tutti mscui: Narducc il glio del Marmeraro, Cir il glio del Formaggiaro, appunto Cilluzz glio del pesciaiuolo zoppo e i due gli di Don Mingh del caf, Lorenz e Donatin. Alle due picciuedde della Fruttaiola questi cinque malizionanti, malintenzionati e malazionanti regalavano le paste ma in compenso pretendevano lo spogliarello. E quelle due sfacciate lo spogliarello lo facevano veramente, in contraccngio delle paste. Perci, spgliati e mangia, spgliati e mangia, poi la sera a casa non tenevano fame. Lorenz e Donatin, prima di venire dentro il portone, simbottivano di paste secche le palde. Soprattutto di quelle con la cerasa sopra che tanto piacevano a quelle due smorose. Cir, invece, nulla: non ci stava verso di fargli rubare nulla allattano, che pure ne teneva di cose appetitose dentro il negozio. Il Formaggiaro lo seguiva in permanenza con tanto docchi quel mammalucco del glio suo, tenendo chiss perch qualche sospetto, e gli ordinava sempre di non frequentare quei uagnunastri di via Modugno che la fatica la 95

volevano sparare e la scola la volevano accdere. E si sapeva gi come sarebbero niti, cio dentro il negozio degli attani loro, mentre lui, Cir, aveva assolutamente da studiare e da diventare un cristiano importante, in pratica un professore o un avvocato. Una volta, la prima e lultima, Cir prov a grattare dalla vetrina dellattano due formaggini a triangolo, uno di cioccolato e uno di crema, ccandoseli in fretta e furia uno dentro una palda e laltro dentro laltra. Fammi avvedere checcosa tieni dentro alle palde grid sospettoso il Formaggiaro al glio. Nulla tent di rispondere Cir, diventando rosso e verde, battendo forte le mani sopra le palde per fare vedere che erano vacanti vacanti e non ci stavano rigonamenti, e fuscndosene via per non farsi rovistare. Quando arriv dentro il portone e i compagni lo invitarono a tirare fuori i formaggini, Cir ancora con la faccia rossa e verde si avvertette che dei formaggini era rimasta solo la carta scazzata, mentre la cioccolata e la crema si erano sciolte e appizzicate alla fodera, ai calzoncini e direttamente alle gambe. Perci, nulla regalo per le due signorinelle e nulla spogliarello in contraccngio, quella sera. E per un mese Cir non venette pi in via Modugno, perch pap e mamma se ne erano avvertiti del furto, per via dei calzoni imbrattati, e non lavevano pi fatto assire. Quante sere pass a chingere Cir, immaginando come si stavano a sbambarare i compagnucci suoi dentro il portone del droghiere, mentre lui era costretto a starsene chiuso in casa. Ma poi pure lui torn in via Modugno, a godersi gli spogliarelli di quelle due belle piccinenne. E levate a cammesell... cantava Cilluzz. La cammesell gnor no gnor no era la risposta cantata di Angiolett, la falsa vergognosa. Se non te la vuoi levar, me suso e me ne vado da cc... Se non te la vuoi levar, me suso e me ne vado da cc faceva minaccioso il cantante Cilluzz, che a quel punto, tach, 96

tirava fuori dalla palda la pasta secca e la regalava alla nta contegnosa. Allora Angiolett si metteva in bocca la pasta come aveva fatto prima, quando si era slato le scarpe e dopo, quando era venuto il turno dei calzetti e adscio adscio si spuntava la cammisedda, se la levava, la consegnava alla sora piccinonna e, storcendosi tutta, con la bocca ancora piena di pasta secca sfrantumata, cantava: Va bbuono, me laggio levata, Ciccillo, contento, fa quello che vuo... Va bbuono me laggio levata, Ciccillo, contento, fa quello che vuo. Dopo la cammisedda, unaltra pasta e si calava la gonnellina. E dopo la gonnellina, unaltra pasta e si slava la canottiera. E rimaneva con le mutandine. E ogni volta, a quel punto, Cilluzz insisteva con la stessa musica: E levate le mutandine... Ma Angiolett, come faceva Colett quandera il turno suo a spogliarsi, a quel punto della sceneggiata si bloccava e ribatteva a Cilluzz facendo la faccia brutta: E che sei, ammalato ncapa? Le fmmene corrette non si levano le mutandine! Sempre la stessa scena, ogni sera, a ogni spogliarello. Quei cinque malandrini lo sapevano che mai e poi mai quelle cannarute (golose, no?) si sarebbero levate le mutandine, eppure ci provavano sempre. Immaginavano che, sottosotto, una possibilit ci poteva stare. Magari una sopra un milione, una sopra un miliardo, ma ci aveva da stare! E questa possibilit ne erano sicuri tutti e cinque quei maligni la si poteva cercare solo dentro il cannarile di Angiolett e Colett. Insomma, se volevano accarezzare la speranza di godersele senza mutandine quelle due canzonettiste, si trattava di continuare a incannarirle con il dolce. E una volta, dopo aver passato unaltra matinata intera sopra il marciapiede di via Modugno a pensare a come farcele levare nalmente quelle benedette mutandine alle glie non completamente traviate di Melin la Fruttaiola, a Cilluzz venette lidea buona. E organizzarono un furto in 97

grande stile al caf di Don Mingh. Cilluzz si present dentro la gelateria con un bollitoio e ordin un quarto di latte bollito con lo zucchero (come faceva peraltro quasi ogni matina e ogni sera, e perci Don Mingh non sinsospett). Lorenz e Donatin, gli degenerati, parteciparono al tranello contro lattano loro allineandosi innanzi alle paste piene. Cos Narducc e Cir potettero ccare le mani dentro quella vetrina senza essere visti e rubare una pasta-percoco per uno. Lo sapevano che, per la pasta pi grossa e desiderata della vetrina di Don Mingh tutta zuccherata, piena piena di crema, rossa, rotonda e con la spaccazza in mezzo, appunto come un percoco tutti in via Modugno avrebbero fatto una mattezza. Figuriamoci quelle due, che gi con le paste secche si mettevano quasi completamente allanuta. E cos quella sera, dopo che Colett si lev la canottiera quella sera toccava a lei fare lo spogliarello per prima Lorenz le cant come le altre sere: E lvate le mutandine... Ma, prima che la vergognosa gli gridasse tutta scandalizzata: E che sei, ammalato ncapa?, le mettette sotto il muso la pasta-percoco. La piccinenna non se laspettava, quellE che sei... le rimanette in bocca. Lanci con un occhio unocchiata avida a quel percoco e con laltro occhio, per capire checcosa avesse da fare, unocchiata interrogativa alla sora. E questa, Angiolett, che era la pi drittacedda, pigli la situazione in mano. Vabbuono, ci levamo le mutandine sentenzi, ma senza luce, alloscuro. Angiolett non aveva manco nito di pronunziare questa decisione che Cilluzz e Donatin, mettendosi uno sopra laltro, svitarono la lampadina. E dentro loscurit, sentttero Angiolett che istruiva Colett e Colett che cantava: Va bbuono, me laggio levate, Ciccillo, contento, fa quello che vuo... Va bbuono me laggio levate, Ciccillo, contento, fa quello che vuo. Qualche uno di loro, i mscui, credette dintravvedere qualcheccosa, un certo movimento dalla banda delle picci98

nenne, forse le mani di Colett che si levava effettivamente e si rimetteva in fretta e furia le mutandine. E poi, autorizzati da Angiolett, riavvitarono la lampadina e rivedttero con le mutandine Colett, che subito pretendette e si mettette a mangiare la pasta-percoco, mentre si rinlava canottiera, cammisedda, gonnellina, calzetti e scarpe, e saliva sopra il gradino Angiolett. Era il turno suo. Con lo stesso accordo, naturalmente. Pure le mutandine, ma alloscuro, e voi mallentate il percoco mettette in chiaro quella maldata, che si assicur: ma lo tenite veramente un altro percoco per me? Apprima ftemelo avvedere... Cos da quella sera si alternarono, dentro il portone afanco alla drogheria Carofglio, serate con paste secche e serate con paste-percoco, spogliarelli totali escluse le mutandine e (come credevano o facevano nta di credere, alloscuro, quei cinque malcreati) spogliarelli totali comprese le mutandine... Con Rosett e Carmelin, invece, bastavano le paste secche. Ma non per vedere: era proibito. Per toccare. Le glie di Comm Marteredd parevano vergognose vergognose, tutte due bianche bianche di carnagione, una secca secca e laltra grossa grossa, sempre vestite di nero perch ci era morto lattano giovane giovane. Non volevano venire mai dentro il portone appresso alla drogheria. Stavano sempre assettate innanzi al portone di casa loro proprio dirimpetto alla drogheria con la mamma e la nonna, e certe volte, quando le due fmmene grandi arricettavano in casa, da sole. E loro, quegli incantatori, le invitavano sempre: Venite con noi, venite dentro al portone del droghiere, ch ci addivertimo. Ci stanno pure altre due fmmene accome a voi. Ma loro, Rosett e Carmelin, nulla. Manco rispondevano. Si voltavano dallaltra banda e facevano nta di non avere sentito. Finch una volta, dentro un periodo che Angiolett e Colett stavano a farsi una semana in villeggiatura da una ziana di Torre a Mare, in campagna, Rosett e Carmelin a 99

quellinvito rispondttero: Perch avimo da scire dentro al portone del droghiere? Noi tenimo un bellstrico addo non ci sta nisciuno e potimo stare a soli a soli, noi piccininni. Cos salttero allstrico. Non si erano ancora assettati in terra, sopra lstrico nero nero di pece, sotto un cielo scuro scuro che pareva pure lui di pece, che subito Cilluzz proponette: Sentite, se noi vi damo le paste, voi ci facite avvedere le menne e in mezzo alle cosce? Rosett e Carmelin che, chiss come, gi sapevano checcosa succedeva dentro il portone del droghiere, si aspettavano la proposta. E infatti Rosett rispondette di scatto: Noi non ci facimo avvedere da nisciuno, mica simo accome a quelle due smorose culaperte delle compagne vostre. E allora, checcosa facimo? domand sbrigativamente la facciatosta Cir. Noi non potimo fare troppa quaquagna, troppa confusione, senn mamma e nononna se navvrtono. Accordmoci accos: voi ci apportate almeno dieci paste secche con la cerasa rossa in mezzo e, a turno, uno alla volta, salite con me o con Carmelin soprallstrico, mentre laltra sta a specchietto per avvertirci se arriva qualche uno. Narducc, che cominciava a non capire pi nulla, sinform: Ma qua, soprallstrico, che potimo avvedere? Non ci sta manco una lampadina? Allora non vuoi proprio accapire. Qua, non ci sta nulla davvedere. Noi ci avvergognamo. E allora? azzard Cir, che forse cominciava a capire ma non si voleva capacitare. Io, alloscuro, senza spogghiarmi, mi faccio tuccuare poco poco in mezzo alle cosce, con un dscito, da sotto alle mutandine. E Carmelin, aqquando il turno suo, senza spogghiarsi si fasce tuccuare le menne, che lei le tene gi. Ma pure lei alloscuro, con un dscito e da sotto alla canottiera. Cos facttero la prima volta e le altre volte. E cos passavano la vita tra gli spogliarelli di Angiolett e Colett, che 100

non si volevano far toccare, e le toccate alloscuro di Rosett e Carmelin, che si vergognavano a farsi vedere allanuta quei cinque piccininni che tenevano in bocca ancora laddore del latte ma erano gi cos pieni di malizia Questa era la storia delle fetenzarie che facevano i piccininni di via Modugno, Cilluzz compreso. Ma oramai era una cosa di altri tempi. Mo Cilluzz era un uagnone. E quando aveva cominciato a mettere i peli, scoprette e precis che non voleva fare il pesciaiuolo come lattano suo, perch si puzzava sempre, si tenevano sempre le mani dentro lacqua e ti veniva pure lartrosi giovane giovane. E poi, che aveva studiato a fare? Perci gli facttero agguantare un posto alle Ferrovie. Ci aveva pensato un amico di Settecerviddi che per sette mesi, dal primo d di fatica di Cilluzz alle Ferrovie, pass ogni d dalla pescheria a fare la pesca senza esca e senza tornesi. Ma Cilluzz aveva detto baibai a quella sistemazione, perch non voleva tornare a casa da solo, la sera. Teneva pavura dei cani. Faceva giri larghi larghi per scansarli ma poi, tcchete, come se quelli lo facessero apposta, ce ne stava sempre almeno uno innanzi a lui, a minacciarlo. Un paio di volte se lera proprio vista brutta. Lui, culocacato comera, fusceva solo a vederli quei bastardi arraggiati che parevano tanti lupi affamati di cristiani e stazionavano arrotando i denti agli spunti delle strate, vicino ai mucchi del remmato (la monnezza nostra ha conservato la derivazione diretta dal greco, rumma, rummatos). Ma fuscendo se li tirava praticamente lui stesso addosso. Ogni sera tornava a casa bianco come una fasciacuscini, con la bava alla bocca, gli occhi girati con la palla bianca innanzi e il tremuizzo alle mani. E dopo che una volta si ritir con la gamba mozzicata e il sangue che gli colava sopra i calzetti e sopra le fangose, Cioladoro non se la sentette di farlo continuare cos. E lui, Cilluzz, si convincette: meglio pesciaiuolo ma patrone che ferroviere e merdanculo

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Iangiuasandin li conosceva, Martem e Taratt, perch dentro certi pomeriggi destate veniva spedita da Donna Sabbedd ad accattare un poco di merosca. Quei pesci piccinunni piccinunni se li frecavano crudi, assedute al fresco, sopra il marciapiede, inghiottendo le alicette spine tutte, ma staccando e sputando la capa delle sardine prima di accompagnarle in bocca con un pizzico di pane. Il baccal non lo accattavano mai da Martem perch tutti dicevano che lui lo metteva a bagno dentro la calce, per farlo diventare alto e bianco, e pure per farlo pesare di pi. E difatti il baccal di Martem ti attirava proprio, per quanto era alto, bianco e amoruso (noi usiamo dire amore per sapore, per gusto, per aroma...). Un lavorante, che era stato a semana da loro per qualche mese, li aveva poi svergognati per vendicarsi del licenziamento, facendo sapere a tutti che quelli il baccal lo tenevano affogato pure quattro d dentro il bianchetto il nome sdruso usato dai pesciaiuoli per riferirsi alla calce in presenza di estranei e mettevano le tavolette sopra le vasche per nascondere tutto quel veleno, dimodoch non se navvertivano le guardie dellAnnona quando venivano a fare lispezione. Che poi quelli dellAnnona, quando facevano le ispezioni, prima avvisavano e gli occhi, quei mangiamngia, se li facevano chiudere con mezzo chilo di merosca o con una dozzina di noci reali... Invece le cozze nere di Cioladoro, bisogna ammetterlo, erano proprio le pi asprigne e le pi piene damore di mare, pure ad aprirle una a una dentro ogni pertuso dove le vendevano, dalla tomba di Santa Nicola al camposanto. Per sperare di scovarne di cos carnose, si aveva da arrivare al mercato di via Nicolai, dove uno faceva la spesa grossa. Ma la spesa giornaliera, in quanto a frutta di mare, eri praticamente obbligato a farla da Cioladoro. E poi, se lui feteva pi di tutte le stalle del rione messe insieme e, giuocando e ridendo, col bastone tentava sempre di toccare le fmmene e, qualche volta, alzava le gonne delle uagnedde (laveva fatto pure con Iangiuasandin, quando era pi piccinonna), a Taratt tutti 102

la rispettavano e la riverivano. Per interesse, perch a tutti poteva capitare un d o laltro, facendo le corna, di pigliare una sciuata e di venire fuscendo e scappando da lei per farsi mettere a posto un piede o un braccio. Ma pure per rispetto, perch Taratt era veramente di core, buona come il pane, tanto buona quanto pesava. E pesava tanto. Tutti, almeno una volta dentro la vita, la vedttero trascinarsi verso il Redentore, con il quintale di grasso che si portava addosso, farfugliando le preghiere. Per non perdersi la messa delle quattro, aveva da assire praticamente alle tre. E al ritorno ci metteva pure pi di unora, perch ogni quattro passi si fermava per pigliare ato, sempre tartagliando le orazioni in latino, con una bizzoca che faceva la stessa strata sua. Non sapeva il latino e non sapeva nulla di nulla, tanto meno di medicina o di ortopeda. Eppure non esisteva strettegghiatura o sveldatura di ossa che non sapesse aggiustare con una miracolosa stronazione di acito, con una tirata di forza che ti levava pure lanima o con una giudiziosa stoppata che lei faceva allistante, appena serviva, con bambagia, chiara di uovo sbattuta e cenere... Iangiuasandin non si capacitava proprio a dargli condenza a quel pappamosca di Cilluzz. Lattano e la mamma di tornesi certamente ne incassavano, ma tenevano le mani tanto sciuose da parere poveriddi. La casa loro dicevano tutti che era lorda e fetente. Non si lavavano mai, fetvano pure la glia signorina e la glia piccinonna. Almeno Cilluzz si metteva un poco di brillantina e qualche volta, quando passava prima dal salone, addirittura addorava. Si erano fatta la stanzetta del cesso, ma poi ricorrevano sempre a monzignore parlando con decenza non solo di notte ma, per abitudine, pure con la luce di Cristo. Lo si vedeva con gli occhi e, prima di tutto, lo si sentiva col naso quando gli aiutanti svacavano quel tazzone dentro il pozzo nero dello stallone, la sera, dopo aver chiuso la pescheria e buscato la giornata. E in effetti il monzignore, che per tutti chiamavano pi normal103

mente priso (dal francese antico privaise) o, alla greca, cntero o, alla napoletana, zipeppe, stava sempre pronto sotto il letto di Martem e Taratt. Bastava solo alzare il giraletto e stare un poco accorto a non trascinarti sotto le cosce, al posto suo, il boccaccio delle melanzane sottolio. Da l, mentre stavi assettato a svacarti lintestino o allinpiedi a cangiare lacqua alle olive e cio a fare, come dicono i piccininni, il gabinetto grande o il gabinetto piccolo potevi peraltro continuare a controllare la cassa del negozio: per avevi da usare la furbizia di lasciare la porta tra la camera da letto e la cucina aperta per met a destra, e la porta tra la cucina e il negozio aperta per met a sinistra. Da l potevi smicciare senza essere veduto n dai clienti n dai lavoranti. Almeno ne erano convinti Martem, la mogliera e i tre gli. Ma chiss se era proprio vero che dal negozio non fosse possibile allumare uno che stava asseduto ad arricrearsi sopra il priso con la convinzione (o lillusione) di spiare senza essere veduto. In tutti i casi era vero, c da dire, che i lavoranti non li avevi mai da perdere docchio, perch avevano tutti il vizio di mettersi ogni tanto dentro la palda qualche cento lire, invece di farle arrivare al posto loro, dentro la cassetta... La prima volta che Donna Sabbedd li pizzic insieme, alla sprovvista, Iangiuasandin e Cilluzz stavano a fare cici-ci allo spunto di via Mirenghi con via Modugno. Anzi, era Cilluzz che praticamente faceva ci-ci-ci da solo come un povero-a-lui. Teneva la posizione di uno che vole convincere qualche una di qualcheccosa, mentre lei, altezzosa altezzosa, pareva non avvertirsi manco della presenza sua, degnandosi appena di sentire il rumore di quella voce, con gli occhi ssi lontano e la risata sfottente stampata sopra il muso. Dentro una mano, il uagnone teneva la carta degli gnomeriddi caldi caldi, appena accattati. Ogni tanto, a turno, se ne frecavano uno di quegli involtini di frattaglie di agnello (te li cocevano allistante sopra il fuoco scaduto, agli spunti delle strate, servendoteli ancora bollenti e con un 104

pizzico di sale). E si leccavano ogni volta i dsciti, sia per farsi passare la brusciatura sia per il piacere della leccata salata. La mamma laveva pigliata per la cima dei capelli Iangiuasandin, proprio dentro il momento che Cilluzz stava per mettere un dscito suo salato in bocca alla uagnedda, per farselo leccare. Perci non si sapr mai se Iangiuasandin quel dscito, forse proprio quello centrale della mano destra di Cilluzz, se lo sarebbe fatto ccare in bocca o se avrebbe fatto resistenza con la bocca chiusa o se si sarebbe proprio levato dinnanzi, una volta per tutte, quello screanzato con una stampata dritta dritta sopra i contrappesi (e lei ne sarebbe stata capace, altro che no). Tu, uagnunastro senzarte e senza mestiere esclam Donna Sabbedd contro il glio pupo-di-zucchero di Martem Cioladoro, piombando come unindemoniata in mezzo a quella scena e spostando la glia con una forza che lasci di stucco tutti e tre, non thai da fare avvedere pi vicino a casa nostra, non thai dappermttere pi di dire unaltra sola parola a sta sciagurata, ch ti faccio fare un paliatone da chi sccio io. E Cilluzz, che non sapeva lo spagnolo, n tanto meno la parola palear, bastonare, comuque capette avvolo che aveva da cangiare aria e la cangi. E tu, sventura della vita mia, albero del tosco della casa nostra si spolmon contro la glia, per farsi sentire da tutti, mentre quello sparafucile di Cilluzz gi scompariva verso via Bovio, addo mi vuoi ammandare? ngalera? al camposanto? Tu hai da stare accepponata ncasa. Possibile che non vuoi sentire a nisciuno? Tu a me mhai darrispettare... Non hai daddisonorare la famgghia nostra... Pgghia esempio dalle sore tue... Mo ti hai da mettere pure con quel fesso del fgghio di Cioladoro, zeppo e puerco? Mgghio zitella, accos almeno maiuti a fare i servizi ncasa. Dopo quel fatto, lirresponsabilit di Iangiuasandin divent il problema centrale di quella casa. Appena due della famiglia si vedevano, di che parlavano? Delle preoccupazioni che dava Iangiuasandin, appunto la pecora zoppa 105

della famiglia. Se qualche uno vedeva per la strata Donna Sabbedd o Bellnia e la salutava, domandando per creanza: Accome state?, che rispondeva quella? Lo sai, se non fosse per Iangiuasandin non ci potimo allamentare. Se Donna Sabbedd voleva fare questione con Bellnia o Fin, come le provocava? Che , pure tu accome a Iangiuasandin mi vuoi ammandare al camposanto? E persino se spariva qualcheccosa dalla credenza o si rompeva un piatto o qualche commara grossa, assedndosi, faceva crepare una sedia, di chi era la colpa? Di Iangiuasandin. La mamma si faceva la croce allammerso, ogni volta che la vedeva. E ad un certo punto cominci a fare le corna con tutte due le mani contro di lei con i pugni uno attaccato allaltro e i soli mignoli tesi a fare da corna per neutralizzare, con tutta la forza che teneva, quel carico ambulante di sventure. Ci sta da dire che, dentro quella casa, da un poco di tempo si era oramai piazzata una quinta fmmena, Seran, la zita di Diador, che animava ogni d quelle quattro mura di chiacchiere e pistrigghi, come se non ne facessero gi abbastanza, per conto loro, le quattro fmmene della famiglia originaria. Seran era spiccicata la mamma, Natin dei Matarazzi, unaltra bellapelle, che girava per le case a svacare e a rifare letti, di crine quelli dei poveri disgraziati e di lana buona quelli di chi teneva i tornesi. Spiccicata non solo di faccia, ma pure di carattere. Per dire della mamma, nessuno capette mai se Natin fosse costretta a stare sempre in mezzo ai fatti degli altri per colpa di quel mestiere che la ccava ogni semana dentro una casa diversa, o se avesse pigliato quel mestiere proprio per la passione naturale dintromettersi. Una cosa certa: passava le giornate a governare e a sgovernare, oltre che i letti, pure la vita degli altri, combinando e scombinando come se fosse pagata per farlo, ma non lo era apparolamenti, matrimoni e comparaggi. Lo stesso vizio teneva Seran, che poi per Iangiuasandin, la canata pi piccinonna e pi drittacedda, teneva una sim106

patia sin dalla prima volta che Diador le aveva accennato i caratteri delle tre sore sue: la brutta acida, la buona fricamidolce e la capatosta. E da quando quel maledetto dscito che il glio di Cioladoro stava per mettere in bocca a Iangiuasandin aveva scatenato la disperazione di Donna Sabbedd, che mo non sapeva dove sbattere la capa, Seran ci aveva pensato e ripensato, e alla ne si era fatta la convinzione che una maniera per sbrogghiare la matassa ci sta. E dopo qualche d lo dicette alla suocera: Il lo per farci assire da sto labirinto tene un nome preciso preciso: Cazzulcchio. Cazzulcchio era un bravo e onesto faticatore, che aveva amoreggiato per un poco di tempo, alla nascosta da tutti, proprio con lei. E Seran sopra Cazzulcchio teneva ancora un certo dominio, forse perch gli aveva fatto vedere qualcheccosa che teneva sotto la veste e che lo aveva particolarmente impressionato o perch addirittura glielaveva fatta toccare. O comunque per fatti loro. Quello che interessa che, pure se non stavano pi insieme, Seran a quel dolcedi-sale di Cazzulcchio se lo faceva tuttora come voleva e, dove lo metteva lei, l lui rimaneva. Cazzulcchio, detto tra parentesi, non aveva proprio capito perch lei, di punto in bianco, avesse deciso di scombinare con lui. Forse perch voleva diventare una signora e Diador con quel mestiere di aspirante parrucchiere no chiss dove poteva arrivare, o forse perch era una fmmena che voleva sempre comandare e Diador era pi zittozitto o forse, ancora, per via di quel nome, Cazzulcchio, e per quel poco che di conseguenza si poteva immaginare che lui tenesse tra le gambe. Dunque, Seran si era ssata che data la cocciuta e dolorosa opposizione di Donna Sabbedd allo scapricciamento del glio di Cioladoro e dellAcconzaossa per la uagnedda pi scriteriata e, diciamo la verit, pi bellafatta di quella casa bisognasse per dare uno sfogo a Iangiuasandin, non a caso soprannominata Capatosta, aiutandola a non intestardirsi con lunico ciolone di mscuo che forse laveva saputa 107

solleticare e che lei giustamente aveva pigliato in considerazione. A parte, chiss quali pensieri impenetrabili Seran continuava a fare sopra Cazzulcchio e chiss se, per il proprio comodo, volesse mantenerselo in famiglia, a portata di mano, pure senza sposarlo... Fatto sta che Seran fu capace di farli stare insieme cinque volte Iangiuasandin e Cazzulcchio, a casa della uagnedda o a casa del uagnone (con la scusa che Diador e Cazzulcchio erano compagni da piccininni e non ci stava nulla di strano se ogni tanto si vedevano a casa di uno o dellaltro). E qualcheccosa pareva nascere tra i due, che gi si lanciavano occhi dolci e sorrisi intenzionati. Almeno cos se la vendeva Seran. Non un granch per quella civetta senza malizia di Iangiuasandin la nora garantiva, a consolazione della suocera, ma sempre qualcheccosa . Ci fu per qualche uno che riport tutte queste rufanerie a Cilluzz, senza tanti complimenti, anzi bagnandoci il pane dentro: questo qualche uno fu Iangiuasandin stessa. Tu lhai da spicciare di starmi sempre dreto dreto gli dicette sopra il muso. Io non so fatta per te. Mamma non vole che io mi metto con il fgghio di Cioladoro. Nulla da dire sopra mmmeta, una santa fmmena. Ma Cioladoro proprio un puerco, le sore tue non si lavano mai e tu, lo speno tutti, te ne vai sempre a Torre Tresca, in mezzo a quegli avanzi della societ, addo vieni arricevuto accome a un principe delle puercarie da zineta e da cuggneta. E non fatichi e non vuoi faticare. Lo sccio accome vai a nire: pure tu a fare il pesciaiuolo, con tutta la terza avviamento tua. E io un pesciaiuolo non lo vgghio, sempre con le mani dentro allacqua, che fete di baccal. E poi... E poi sto per pigghiare impegno con un altruno. Iangiuasandin, mentre allentava parole in maniera cos strafottente, vedette che a Cilluzz arrivavano il rosso agli occhi e il tremuizzo alle mani. Intuette che stava per succedere un quarantotto o un novantanove, ma non si trattenette, 108

caprigna comera, e arriv sino alla mazzata nale (Sto per pigghiare impegno con un altruno). Cilluzz, per la parte sua, sentette che stava per perdere il controllo della situazione. E alla mazzata nale, effettivamente, lo perdette. Non ci vedette pi. Facette una mattezza. Senza pensarci manco una volta, lassalt quella dispettosa, tramortndola con una scarica di cazzotti, di liscio-e-busso e di va-e-vieni, centrandola in faccia, sopra il ventre e dentro i anchi. La mazziava come un ossesso ma labbrazzava pure per non farla cadere in terra, la sfraganava di faccia e la stringeva per non farla fuscire, e intanto la mozzicava e la vasava in bocca, le sputava e la succhiava sopra il collo. Le teneva le braccia strette contro il corpo, imprigionandole, e la premeva contro se stesso con le mani affondate dentro la carne della uagnedda. Pigliata alla sprovvista, Iangiuasandin prima incass e svenette, poi si ripigli. Era ancora tutta intontita. Invasa dalla violenza cecata e dalla passione sconcertata di quel matto, avette pavura ma sentette pure attrazione. Perduta e accalorata, per quella bocca che la leccava e laddentava, per quelle mani che la rovistavano da tutte le bande, per le lagrime che sentiva scenderle dagli occhi, per la faccia di Cilluzz scombussolata dallazzardo e dalla mancanza di controllo, e per lagitazione che sentiva tra le gambe di quello spostato di Bisceglie, Iangiuasandin stava quasi quasi per vasarlo pure lei e per infuocarsi pure lei tra le gambe, quando recuper invece la forza di reazione, usando le mani per dare lei un lavamuso a Cilluzz, che stava tutto squilibrato e non se laspettava, e perci cadette in terra. Merda di un pesciaiuolo fgghio di ndrcchia, questo te lo faccio appagare amaramente, arricrdatene grid e se ne fuscette. A casa Donna Sabbedd, quella sera, non si avvertette n della faccia alterata n dei lividi da succhione n dellaccaloramento di Iangiuasandin. Ma, la matina dopo, provvedttero la curiosita di Seran e lintromissione di Matalen la Ghiacciara a fare arrivare il quadro alla piazza. 109

La prima aveva appena detto bongiorno che alz lantenne. Quella cavalla matta di Iangiuasandin, stranamente, stava zitta zitta e calma calma e, quelle poche parole che diceva e quei pochi movimenti che faceva, le diceva e li faceva con un imbarazzo che non aveva mai saputo nemmeno dove fosse di casa, boccabocca e dispettosa comera. Per caso, signor, sapite checcosa assuccesso a Capatosta? domand Seran a Donna Sabbedd. Nulla che io sccio. Perch? La veggo strana, accome se annascondesse qualcheccosa. Forse una lite con il fgghio di Martem? Donna Sabbedd scatt: Che centra, mo, quello? Non savvdono pi da semane. Iangiuasandin sape che, per lei, proibito e straproibito frequentarlo. E poi congettur, per cacciare i cattivi pensieri: Forse tene il mal di capa. Lo sai, ne assoffre. Ma Seran non era una ccanaso da quattrosoldi, era una professionista. Di pi: era glia di Natin dei Matarazzi. Perci, tanto si mettette dreto a Iangiuasandin a domandare, a insistere, a babbuare, a incalzarla, a dire e non dire, a sollecitarla, a tormentarla, a indagarla, a provocarla, a farle locchiolino e a pungerla che ad un certo punto la uagnedda avette una specie di scossa elettrica. Fu giusto quando la canata, che sapeva sette lingue, le mettette dentro la rcchia che il fgghio di Martem pare che un puttaniere. Iangiuasandin non rispondette con le parole a questa malignit, n si facette vincere dalla curiosit. La conosceva bene quella ferscula della canata, disonesta e furbetta come una fera selvatica. Avette per uno scatto docchi che a una fmmena normale non avrebbe detto granch, ma che a Seran svel quasi tutto. E poi, come mai stasera si era messa un fulr al collo, la bardscia di casa? e quei segni bluastri che il fulr non nascondeva allocchio indagatore della glia di Natin dei Matarazzi? e quei lividi sopra il braccio? E principalmente, checcosera quella specie di malinconia che ogni tanto si accavallava ai lampi di dispetto dentro gli occhi di Iangiuasandin? 110

Laltra, Matalen la Ghiacciara, vendeva sbarre, mezzesbarre e quarti di sbarra di ghiaccio a via Rogadeo col marito, che per non ci stava quasi mai perch gli piaceva la cantina e l sintratteneva, a mangiare le brasciole a gnomeriddo e a bere con i viziosi come lui. E ogni semana quel disonesto disonesto ma pure vieniminbocca scompariva proprio dalla circolazione per due giornate e due notti, dal sabato matina al luned matina. Tutti lo sapevano che se ne stava dalla commara, che poi era quella scorrotta che vendeva le grattate e i bombolotti allentrata del cinema-pidocchietto di via Napoli. E che con quella l si faceva fuori, dentro le vicciarie di Carbonara, strafocndosi di carne buona, tutti i tornesi guadagnati col ghiaccio dal luned matina al venerd sera. Perci dentro la casa alla strata con la comodit dello sgabuzzino del cesso proprio faccia in fronte al magazzino del ghiaccio alloggiavano quasi sempre solo in due, Matalen e Ninett, e cio mamma e glia grande. Laltra glia, la pi piccinonna, se ne era fusciuta, quando teneva tredici anni ma pareva gi una fmmena fatta, con un marinaro di Molfetta e mo si faceva vedere solo ogni tanto, quando il marito stava imbarcato. Ninett detta la Cimmaruta perch sgobbata, oltre che offesa a una gamba, faceva la maiesta. Dava cio lintrattieno ai gli pi piccinunni delle fmmene che non sapevano come combattere tutta la giornata con sei ma pure con dodici, quattordici gli. A quelle ire-di-dio Ninett, con la terza elementare sua, ogni d faceva fare i numeri e imparare le cantilene. Ma soprattutto lasciava che si pigliassero a raschi, asseduti sopra i panchetti che si portavano da casa. Limportante era che non crescessero in mezzo alla strata a fare i delinquenti, a strazzarsi le canottiere, a maliziarsi e a farsi scazzare sotto le rote delle carrozze che passavano allegre allegre per via Modugno verso il camposanto. Matalen e Ninett si facevano sempre i fatti degli altri, la mamma soprattutto con la bocca e la glia soprattutto con le rcchie (se uno ha perduto linnocenza e il ricordo di quando era piccininno, non pu manco immaginare quanti 111

segreti e quante vergogne scoperchiavano, senza avvertrsene, quegli innocenti di Dio asseduti sopra i panchetti, tutti insieme dentro una camera, sotto il controllo della maiesta. Altro che nire in bocca ai barbieri!). Perci quella matina stessa Ninett seppe che al campo di via Napoli la glia piccinonna di Donna Sabbedd, la sera prima, si era abbrazzata e vasata assai con un giovanotto che non teneva le mani apposto e forse stavano per fare la frittata, e che ad un certo punto la uagnedda se ne era fusciuta tutta rossa, con la gonna alzata e le menne di fuori. E Ninett subito scatt, abbandonando piccinunni e panchetti alla sorte loro, e fuscendo a contare il fatto alla mamma. E Matalen, che non voleva che le potesse capitare pure il guaio di una glia disonorata a quella brava e onesta cristiana di Donna Sabbedd visto che gi le era morto giovane giovane il marito, un mmeno tutto dun pezzo, e non ne aveva voluto poi sapere di rimaritarsi, a dispetto delle mille ambasciate che riceveva continuamente e di quelle tre cambiali da sfrangiare delle glie e Matalen dunque che aveva da fare a quel punto, dopo aver sentito da Ninett il fatto che questa aveva saputo da Damianucc, il glio della sora della cantinera di via Francesco Netti? Matalen facette la cosa che, appicciafuoco o fmmena sensata che fosse, sentiva di avere il diritto e il dovere di fare: drizz il piede verso il portone di via Mirenghi dove abitava la famiglia della bonanima di Mba Iangiuasand, lasciando il ghiaccio in mano a Ninett, che aveva messo quelle venticinque creature del diavolo in mano a Damianucc, che a cinque anni era il pi grande di tutti loro, il capo. Matalen tizzu alla porta di Donna Sabbedd quando Seran di Diador si stava ancora a mangiare il cervello a proposito delle reazioni e dei lividi di Iangiuasandin, cercando di tirare qualche conclusione da sfruttare con la suocera e con la canata a favore di Cazzulcchio. Scusa, Donna Sabbedd, se mintrometto esordette Matalen assedndosi per la stanchezza, senza aspettare di 112

essere invitata a farlo, sopra un puffo, ma tu lo sai accome so fatta io. Se non faccio il bene alla gente non sto contenta. E poi, a te so sempre stata affezionata. Tarricordi quante volte avimo giuocato nsieme alla campana, alla riverenza e ai cerchietti? E Mba Iangiuasand? Che mmeno! Ti ho dacconfessare un segreto: quando ero piccinonna ci feci un pensiero sopra Iangiuasand. Altro che quel gag zumpafussi di martemo, sempre a vizio e a fmmene, a farsi frecare i tornesi del ghiaccio. Donna Sabbedd incoraggi quella boccabocca di Matalen a intromettersi pure. Simmaginava che avesse da riportarle una delle solite chiacchiere sopra le liti fra qualche parente o vicino di casa. Nulla preamboli con me, Matalen tagli, e nulla complimenti. Io sccio accome sei fatta tu e tu sai accome so fatta io. E Matalen, abbasciando la voce per non farsi sentire dallaltra stanza, dove aveva intravvisto Iangiuasandin e Seran di Diador, pass a contare: due uagnuni contro il muro, gonna alzata, calzoni abbasciati, menne di fuori, abbrazzi stretti stretti e la fusciuta... Io non vgghio dire che assuccesso gi qualcheccosa dirreparabile concludette Matalen. Dio non volesse che fosse gi assuccesso. Ma pote assuccdere, Sabbedd, pote assuccdere da una d allaltra. Non per metterti il sale sopralla piaga, ma sta allerta. Io non sccio chi lui, non stato visto, perch Capatosta se ne scappata da qua e lui se l lata da l. Ma se ha fatto sta cosa alla fgghia di Donna Sabbedd, devessere proprio una carnetta. Forse uno di quegli sbulinati che se la spassano tra puercarie e ladrimenti a Torre Tresca. Attenta, Sabbedd, stattallerta. Per capire che Matalen aveva fatto centro sopra il concetto di onore che cio linfamona a n di bene, fosse o no questo lobiettivo suo, le aveva messo il coltello in mano alla vdua di Mba Iangiusand bastava vedere Donna Sabbedd allisciarsi continuamente il frontale e i capelli sino a dreto, al tuppo, mana mano che la Ghiacciara contava. La faccia 113

della mamma addolorata di Iangiuasandin passava dal rosso al bianco, la bocca le tremuava tutta lasciando intravvedere denti piccinunni e intatti (una rarit dentro quel mondo di denti storciuti, sovrapposti, cariati, caduti, spezzati, cavati con dolore e mai rimpiazzati). Donna Sabbedd vedeva, di punto in bianco, pericolanti la dignit, il decoro e il rispetto di quella famiglia e di quella casa senzmmeno, insieme allonore stipato come la cosa pi preziosa dentro tutti quegli anni di sacrici e di salti mortali per assicurarsi da mangiare e da vestirsi in sei. Certo, Bellnia non era una Clara Calamai e teneva pure un brutto carattere, ma aveva amoreggiato sempre e solo con Gamidd il Muto (muto non per mancanza di voce ma per volont e dispetto, non si seppe mai contro chi). E quel luposordo di Gamidd lavrebbe poi regolarmente sposata con la speranza di sistemarsi, come si sarebbero in effetti sistemati, dentro la stessa casa fabbricata personalmente da Mba Iangiuasand con le mani sue e i tu suoi. E Fin? Una pupetta che sapeva stare al posto suo e nessuno aveva mai avuto da dire nemmeno a sopra a lei. Diador aveva lasciato la scola, lui che vi era tanto portato, ma teneva un sico cos elegante che giovane giovane aveva cominciato a portare i tornesi in casa, dato che si era messo capasotto a imparare il mestiere di parrucchiere allalbergo diurno, prima fuscendo ad accattare le fumose per le clienti pi viziose e puliziando in terra, poi passando i bigodini ai lavoranti e facendo i primi sciampi e le prime tinture, venendo alla ne promosso ai tagli e alle permanenti. A dare un poco da pensare era Diopold, ma risultava cos simpatico, allegro e benvoluto che una strata buona lavrebbe rintracciata certamente. Insomma, una famiglia onorata, di faticatori e di fmmene corrette, se non fosse stato per quellossesso di uagnedda nata dopo la morte dellattano suo stesso... Disgrazia della vita mia si addolorava Donna Sabbedd, asseduta sopra la branda, faccia in fronte al puffo dove si era accomodata Matalen, facendo innanzi e ndreto col busto. 114

Mha apportato lutto, disdetta e tribolazione dal primo momento che ha mettuto la capa fuori da sta ventre. Maledetta quella d. E con un soprassalto che la facette quasi scire allandreto, contro il muro: Ma un provvedimento lho da pigghiare. Non la faccio assire pi di casa. Per un mese, per un anno: sempre ncasa accepponata a fare i servizi e a pigghiare mazzate ha da stare, naqquando non saddrizza. E se non saddrizza, lapporto dentro a un convento, la sbatto fuori di casa a fare la puttana, ma mo abbasta! Allimprovviso il va-e-vieni del busto si blocc e la faccia di Donna Sabbedd sbianc. Un lampo le aveva illuminato il cervello e poi un tuono laveva fatto rimbombare: E se avesse gi fatto lingucchio? Si pigli fra le mani la capa, una capa piccinonna piccinonna, le palme sopra il frontale e i dsciti che praticamente avvolgevano tutti i capelli e le arrivavano sino a dreto, alla noce del collo, passando ai lati del tuppo. E chi sto malandrino? Magari non tene manco le lagrime per chingere. Chi si pote pigghiare quella disgraziata? Un disgraziato morto di fame, senzarte n parte. Uno sbulinato senza coscienza. Un gagariddo senza sensi. Magari proprio il fgghio di Cioladoro. Che disgrazia, che guaio, che iattura, che iettatura, che malaugurio, che sciagura, che tribolazione, che dolore! Mana mano che faceva questo elenco di tipi di sventure, aveva alzato progressivamente la voce, sino a gridare. E quando oramai la sentivano pure dallestramurale e pareva, pi che una mamma accasciata, una gallina strozzata, capette che non ci stavano pi parole da dire. Allora zomp dalla branda e scatt come una iena verso il punto della casa dove sapeva che stava Iangiuasandin. Matalen, intanto, fatto il dovere suo di portarle quella sorta di malanova a Donna Sabbedd, poteva alzarsi dal puffo e tornare alle sbarre di ghiaccio, permettendo a Ninett di tornare a fare la maiesta e a quella povera creatura di Damianucc di tornare fra i piccininni. 115

Donna Sabbedd si precipit dentro laltra stanza, si lanci sopra Iangiuasandin, lagguant e la trascin per i capelli, gettandola in terra e pigliandola a stampate e schiaffoni, a raschi e mozzichi. Checcosa accombinasti? strillava, brutta disgraziata, disonore della famgghia. Ma io taddrizzo a te. Un anno, dieci anni achiusa ncasa ti faccio stare. Iangiuasandin, superata la sorpresa, non sottostette pi senza reagire. Tanto che, ad un certo punto, Donna Sabbedd pens bene di allontanarsi in fretta e furia da quella belva ferita che rispondeva a tu per tu, colpo a colpo, mozzico a mozzico. Oh Ges, mo d pure mazzate alla mamma si lament, ma lo dico a Diador stasera aqquando torna, statti sicura, e lui ti fasce nera nera. Ges, Gesepp e Mar, ha alzato le mani sopra me! Un anno, dieci anni ncasa hai da stare, sinaqquando non taddrizzi. E chiudette la camera sbattendo la porta, a sentenziare che da quel momento cominciavano clausura e tortura. Seran, con le rcchie appizzute, aveva sgamato tutto mentre Matalen contava il fatto alla suocera. Due e due fanno quattro: Iangiuasandin aveva avuto a che fare certamente con Cilluzz. Rimaneva un interrogativo: erano riusciti a fermarsi prima di combinare lingucchio? Ma se non lavevano ancora fatta, la frittata, quei due, pieni di salute e di pruriti comerano, certamente stavano l l per rompere lova. Se non si stringeva mo, a favore di quel provolone di Cazzulcchio, non si stringeva pi. Quando era scoppiata la discussione fra la suocera e la canata, Seran non era intervenuta. Non tanto per discrezione, gurimoci, quanto perch schiantata sino a farsela sotto e a ricorrere alla tazza del cesso prima dalla sfuriata della fmmena fatta e poi dal furore della uagnedda. Ma, ripigliandosi, pens che a questo punto il polipo si era cucinato dentro lacqua sua stessa e che nalmente mo si poteva mettere in mezzo al giuoco Cazzulcchio. E poi, bisognava pure cominciare a levare qualche bocca da sfamare da sopra la schiena di Diador, altrimenti non si sarebbe mai deci116

so, fesso e buono comera e accomandato a bacchetta dalla mamma, a sposarsi e a lasciare la famiglia. Mamma Sabbedd dicette la nora, portando un bicchiere dacqua fresca alla suocera agitata e assedndosi pure lei al tavolo della cucina, io un pensiero sso ce lho. Che pensiero, fgghia mia bella? domand la suocera, con la bocca almeno un poco sciacquata da quel veleno amaro che le aveva fatto fare la glia sbagliata avuta da Mba Iangiuasand. Risposta secca: Cazzulcchio. Reazione di Donna Sabbedd: Magari! Che bravo giovane accreanzato, il fgghio di Simin il Panettiere! Sorridette per un attimo. Per la risa le si astut subito sopra il muso: Ma chi se la pgghia pi a quella disgraziata, dopo che arrivato il quadro alla piazza dellamoreggiamento di via Napoli? E Seran: Factemi fare a me, signor. Io sccio accome parlare a Cazzulcchio e a quella sciagurata di Iangiuasandin. Non vi appreoccupate. Io sta cosa ve lorganizzo. E state tranquilla: Iangiuasandin ancora sana... Io lo so... Factemi fare a me. Dentro quelle giornate Iangiuasandin fu prigioniera in casa, senza potere assire manco per assedersi innanzi al portone, sopra il marciapiede, a mirare la gente che passava e a fare quattro chiacchiere almeno con la mogliera di Noffrin lo Stagnaro che contava sempre di quando erano emigrati in Francia e del glio, che era rimasto l perch aveva messo le mani sopra una francese e non le aveva volute staccare pi, sposandosela. Che voglia che teneva Iangiuasandin di fargliela pagare a Cilluzz per quel paliatone che le aveva fatto. Sottosotto ma questo lei, capatosta come una capra, non lo poteva capire quel fulmine di violenza da un uagnone che aveva considerato sempre un quaqu, che era pi piccinunno di lei, che aveva fatto le fetenzarie da meninno, che aveva vinto persino 117

il pccio di girare con un ciccio e che le pareva proprio uno smidollato, non laveva lasciata indifferente. E poi, il ricordo di quelle mani che non volevano stare ferme, di quei vasi che pareva volessero surchiarle la carne, di quellagitazione fra le gambe sue, sue proprie e sue di Cilluzz... Non laveva mai sentito prima di allora quella sorta di capitone che ad un certo punto quello screanzato le aveva premuto contro il ventre. Solo qualche parola qua e l, per strata: Vieni qua, che ti do il capitone fuori stagione!, E la banana, tappiace la banana?, Che stai stanca? appggiati a sto bastone!... Iangiuasandin continuava ancora a sentirselo il capitone di Cilluzz. Si scoprette a ricordarselo esatto esatto una punta in pressione che pi lui premeva, pi sciuava a destra e a sinistra e ad avere la curiosit, chiamiamola cos, di fermarglielo, di stringerglielo con una mano. Insomma, di sentire con i dsciti almeno una volta comera fatta quella benedetta spada di fuoco che tengono i mascuoni e che si dice che fa incendiare i pagliari delle fmmene... Seran di Diador laveva intuito che Capatosta cominciava a sentire qualche prurito di quelli che non si possono sopportare senza grattarseli. Cos, tra gli argomenti che sfrutt per convincerla a vedersi in casa qualche altra volta con Cazzulcchio, mettette in mezzo pure un leggero accenno allo strumento che quel bravo giovane, come tutti gli immini, teneva tra le gambe, ovviamente sorvolando sopra alle dimensioni sue. E Capatosta era ancora troppo ingenua per mettere subito in collegamento i soprannoni con i difetti sici nascosti dei cristiani. Nulla di ufciale, nulla di impegnativo, sia chiaro assicur Seran a Iangiuasandin: Cazzulcchio sarebbe venuto qualche volta in casa, con la scusa di accompagnare Diador. Una chiacchiaredda, un bicchierino di roslio e avrebbero potuto conoscersi meglio e, magari, piacersi. Che ci apperdo io? pens Iangiuasandin. Cazzulcchio non lo vgghio e non vgghio manco Cilluzz. Achiusa nca118

sa sto e qualche chiacchiaredda con un uagnone sempre mgghio di nulla. Cazzulcchio era un giovane quadrato, n smidollato n sparafucile. Era benvoluto da tutti. Giudizioso, sempre zittozitto, faceva i fatti. Stava pigliando la mano dentro il forno di pap. Da piccinonna, Iangiuasandin era stata spedita qualche volta da loro, in via PrincipAmed, ad accattare la carbonella per il braciere o una rota di pane. Da Simin Donna Sabbedd mandava sempre a ccere la tiella di patate, riso e cozze, il calzone di cipolla e, di Pasqua, le scarcelle a forma di cestino o di galluccio a uno, due, tre o quattrova a seconda della vicinanza di parentela dei piccininni che le avrebbero ricevute. Per il tredici giugno, portava a fare da Simin pure il pane di SandAndonio, per i poveriddi e i morti di fame: la massa la teneva a crescere mezza giornata sotto limbottita, ai piedi del letto. A trombare il pane sopra la tavola ci pensavano Donna Sabbedd e Bellnia. Di schicchiatiddi ai quali dare qualche lira per portare da Simin la tiella con la massa intrecciata erano piene le strate. A distribuirlo, poi, ci pensavano i piccininni vestiti da SandAndonio, con la tonaca e il cappuccio marrone, il cordoncino bianco alla vita e la capa rapata a carosello. Poi Simin aveva alzato il passo: e da Simin il Fornaro era diventato, dentro il giro di qualche anno, Simin il Panettiere. Voleva diventare, un d, Simin il Salumiere: ma ci sarebbero voluti ancora sacrici, tornesi e rischi. E poi, chiss, forse non lo sarebbe mai diventato. In compenso avrebbe preparato il terreno a Cazzulcchio, che sarebbe potuto diventare, lui s, Cazzulcchio il Salumiere. Nulla di che pensava Iangiuasandin. S, bravo, rispettoso, sta sempre al posto suo, non alza mai la voce, tutti dicono che bellofatto e in effetti squarciato di schiena accome a Sansone contro i listei, tene la vocca carnosa e i mustazzi accome a quelli della bonanima di pap, giusta la fotograa che sta sopral com di mamma col lumino appicciato... Ma a me non mappiace. Non mi dice nulla, scon119

zato, sciapito. E poi, checcosa vgghiono da me? Io so una uagnedda e mi vgghio addivertire. Che me ne freca a me di Cazzulcchio, per non parlare di quel puerco delinquente di Cilluzz? Ah, che teneva ncorpo! Dare mazzate a me! A me non mi d mazzate manco Diador, che lmmeno di casa. E mamma, che ci ha provato, se n pentita. Nisciuno mi ha da tuccuare a me! E se ne stava cocciuta dentro la clausura. Con la mamma non parlava e Diador non le parlava. Bellnia le dava voce solo per ricordarle gli sbagli che faceva e che avrebbe pagato amaramente dentro la vita, e il dolore che dava alla mamma, che proprio non se lo meritava. Scangiava qualche bongiorno con Diopold, che mo stava sempre fuori di casa a faticare dal barbiere o con gli amici e tornava a casa esclusivamente per mangiare, dormire e dare alla mamma le regale dei clienti. Iangiuasandin si condava solo con Fin, la sora buona, e del resto lei, quella zittazitta di Fin, si condava solo con Iangiuasandin. Quante chiacchiaredde, dentro il mese di clausura, fra le due glie piccinonne di Donna Sabbedd. Fin capette dentro quei trenta d che Iangiuasandin non voleva bene e non voleva male a nessuno, e che ce laveva solo con la mamma e con Cilluzz, per le prepotenze sopportate. E Iangiuasandin era venuta a sapere che quella fricamidolce di Fin, senza dre nulla a nessuno, teneva il zito: Tatucc, un maestro di scola, glio naturale di un tappezziere. Loicono? Ma che, parente di Martem delle cozze? Pure loro sacchimano Loicono, vneno da Barivecchia sincuriosette Iangiuasandin. Fin rispondette che no, non erano parenti. Lei glielo aveva domandato a Tatucc, quando ne aveva saputo il cognome, ma lui aveva risposto che manco lo conosceva a Martem e che la mamma, dalla quale aveva pigliato il cognome, era originaria della provincia di Lecce. Che stranezza annot Iangiuasandin, divertita: se per caso io mi fossi apparolata con Cilluzz, potevamo avere lo 120

stesso cognome sia da signorine che da maritate. E i due immini non si acconscono nemmeno. E poi Bellnia non si mettuta con Gamidd, che sacchiama Buonvino, accome alla bonanima di pap e accome a tutti noi? Doppia stranezza. Chiss cosa vole dire. Ma tanto: fra me e quel puerco di Cilluzz non ci sta nulla. E afnscono le stranezze apprima ancora di nascere. Dunque, la mamma di Tatucc era solo la commara del tappezziere, che per ad un certo punto, dopo dieci anni di doppia vita, di doppia casa e di doppia famiglia, non ce laveva fatta pi e aveva salutato la mogliera legittima per venire a starsene con la commara, che oramai gli aveva gliato tre creature. Nessuno aveva mai visto questo maestro di scola in via Mirenghi, nessuno conosceva i parenti suoi, che abitavano lontano, in fondo a via Calefati, verso il centro. Chiss come aveva fatto a conoscere Tatucc e come faceva a frequentarlo quella sottosotto di Fin... Io so una uagnedda e mi vgghio addivertire si ripeteva Iangiuasandin. Ma, aspettando di potersi divertire come voleva lei, accett di vedersi con Cazzulcchio. E permetteva che le chiacchiaredde senza importanza che facevano quando veniva in casa gli facessero nascere dentro il core una speranza che, bicchierino dopo bicchierino, diventava convinzione. Donna Sabbedd si faceva il segno della croce allammerso, per la sorpresa e per augurio. Seran laveva convinta ad allargare, d dopo d, le maglie della clausura. Mo per gli gnomeriddi, mo per la merosca, mo per i chi dIndia, i due uagnuni sempre accompagnati da Seran e Diador o da Seran da sola ogni tanto si facevano pure una caminata di qualche stratone. E Cilluzz? Pi volte laveva visto, dal balcone, appostato allo spunto della strata, insieme ad altri tre o quattro cacammerda come lui, a giocare allo stecchino con i chi dIndia. Lei subito indietreggiava e poi veniva a sapere da Fin che 121

il co con lo stecchino niva sempre in bocca a lui e che quindi a pagare per tutti i chi dIndia toccava sempre a lui, giacch gli altri per aggabbarlo approttavano del fatto che Cilluzz teneva sempre la capa voltata verso il balcone loro. Tre o quattro volte stava per succedere il quarantotto o il novantanove: lei e Cazzulcchio, insieme a Seran, che si palleggiavano in bocca uno gnomeriddo bollente per farselo squagliare un poco, masticarlo appena e poi lasciarselo sciuare dentro il cannarile prima che si raffreddasse, e Cilluzz che con la caminata a gambe larghe e a piedi piatti si riconosceva a un chilometro di distanza. La prima a vederlo era sempre quella gattamorta di Seran, che a quel punto faceva di tutto perch, a buono a buono, cangiassero strata o perlomeno direzione, e perch Iangiuasandin non si avvertisse della vera ragione dei capricci suoi. Giramo da qua pretendeva improvvisamente Seran. Oppure: Abbasta, mi so stancata daccaminare, tornamo ndreto. Ma se Seran teneva le antenne, Iangiuasandin, piccinonna e buona, le teneva doppie. Faceva nta di non capire e di sottomettersi, accettando la stretta di braccio e seguendo il passo di Seran. Lei gli dava per unocchiata di sfusciuta a Cilluzz appena il tempo per convincersi che quella faccia rossa di natura era diventata bianca bianca dalla disperazione perch lei non lo voleva e lui non sapeva dove sbattere la capa e seguiva Seran. E dreto a lei veniva quel ttaro di Cazzulcchio, che non sapeva nulla e non si avvertiva di nulla. Era proprio un buono. E sopra il muso di Iangiuasandin si disegnava una smora di soddisfazione (Cilluzz sta soffrendo accome a un puerco acciso perch vede che a me non me ne freca nulla di lui) che Cazzulcchio scangiava per altro: soddisfazione per lo gnomeriddo e per il mezzo apparolamento. La prima a parlare di apparolamento fu naturalmente Seran. Lo dicette, sottovoce, a Donna Sabbedd. Convincette con una parola Diador. Lultimo a saperlo, fra quelli che avevano da saperlo, fu Cazzulcchio. Ma Seran conosceva i pesci suoi: lui non aspettava altro, anzi era con122

vinto da tempo che il frutto fosse oramai maturo, da cogliere, ma per rispetto non laveva detto sinora a Seran, che il fatto aveva inventato e che la barca lavrebbe saputa certamente menare dentro il porto. Iangiuasandin, lei, non aveva da sapere nulla no allultimo momento. Ma Seran era sicura che si sarebbe piegata, forse pure volentieri. Non lo dicette a Donna Sabbedd n a Diador, per non dare loro un dispiacere e per delicatezza, ma pensava sinceramente che Iangiuasandin avrebbe accettato almeno per due motivi: perch non vedeva lora di fuscrsene dal dominio della mamma e perch voleva sentire bene di mscuo. A Fin contarono il minimo indispensabile, perch avrebbe potuto riportare tutto alla sora preferita, eppure aveva da essere proprio Fin a capire quale anello di apparolamento piacesse a Iangiuasandin (Capatosta accapace di far zompare pure il matrimonio per un pccio temeva quella sputasentenze di Seran). Aveva da farselo dire passando insieme a lei casualmente innanzi alla vetrina di Chiarin degli Aniddi. A Cazzulcchio, a Simin e alla mogliera non era stato precisato che si trattava di pigliare Iangiuasandin allinfame, che cio per quel sabato alla uagnedda era stato preparato un bel piattino: un apparolamento vero e proprio, con Cazzulcchio e i suoceri a mangiare in casa e con lanello inlato allanulare, senza leggere e scrivere, tra il caf e il roslio.

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il dispetto Quel gioved, a seranotte, si decidette il destino di Iangiuasandin, che chiaramente perdette il diritto alla in nale e da l in poi fu chiamata da tutti giustogiusto come lattano suo, praticamente alla maschile, Iangiuasand (e cio angelo santo, a dispetto della mamma e di tutti quelli che dicevano che era invece un diavolo assatanato). Dentro la camera delle due uagnedde piccinonne era rimasto appicciato solo il lumino sotto la gurina dei santi medici Cosma e Damian di Bitonto. Fin invit Iangiuasandin, che dormiva nella stessa branda ma dalla parte opposta, a venirsi a mettere afanco a lei, a capitale: No, non per la puzza dei piedi ma per stare nsieme precis (quando Iangiuasandin aveva lasciato con le gambe sue la naca, salendo sopra il letto delle sore dentro il tinello e inlandosi allegra allegra fra le gambe di Fin, Bellnia si era trasferita dalla mamma, dentro la camera da letto, mentre i due mscui continuarono a dormire sopra due letticeddi, allentrata). E le due sore sinlarono insieme dalla stessa banda del lettino, come quanderano piccinonne piccinonne, tenevano pavura dello scuro e si facevano coraggio luna con laltra, manina dentro la manina, trattenendo la risa dentro il cannarile e dentro gli occhi, nch non si abbrazzvano strette strette e pigliavano nalmente sonno... Dalla camera da letto non si sentiva pi nulla: Donna Sabbedd e Bellnia avevano nito di accordarsi sopra il cheffare domani, la spesa, la cucina e chiss sopra checcosaltro. La porta col vetro ghiacciato era chiusa, cio accostata perch da tempo non funzionava la maniglia, che poi non si capiva a checcosa potesse servire. Il tinello era diviso dallentrata con un tramezzo, che si fermava a un metro dalla volta. Cos dentro il tinello, durante il d, arrivava la luce della 124

cucina attraverso lingresso, ma di notte non cera nulla che impedisse alle chiacchiaredde e alla risa delle due glie piccinonne di Donna Sabbedd di arrivare alle rcchie dei due mscui. Nessun problema per Diador o da Diador: quando tornava con una giornata di fatica sopra la schiena dalla casa di Seran (ora mangiava a casa sua la sera), il frate grande si gettava sopra la branda, qualche volta senza manco spogliarsi, e dalli a dormire. Se era particolarmente stanco e strutto grufuava, ma quelle due era come se non lo sentissero. Ridevano, chiacchieravano, si abbrazzvano e dormivano. Qualche problema lo creava Diopold, che quasi sempre tornava pure lui dopo che le fmmene si erano coricate. Tanto per cominciare, tizzuava e bisognava alzarsi per scirgli ad aprire. Tizzuava piano piano per non discetare la mamma n, se per caso si fosse gi ritirato, Diador, lunico insieme a Donna Sabbedd ad avere possesso della chiave di casa. Prima, Diopold rincasava sempre tardi. Ma Diador veniva montato contro di lui da Donna Sabbedd e ancora di pi da Bellnia, che pretendevano che il uagnone si ritirasse a unora pi da cristiani evitando brutte compagnie e occasioni pericolose. Ne aveva sopportato di grida e di mazzate Diopold, sino a quando una volta reagette Era oramai diventato un omincchio, cominciava a portare i primi soldi a casa e rispondette con le mani a Diador. Non si sa se per una spinta del frate minore o se per una sciuata casuale, certo che ad un dato momento della discussione il frate maggiore nette in terra. Stava per succedere una tragedia. Diador capette che, se non reagiva a dovere, Diopold gli pigliava le misure e lui lo perdeva di mano per sempre, e Diopold dalla banda sua intuette che mo poteva nascere un secondo mmeno in casa. Se Diador, rialzandosi, avesse fatto magari il sostenuto ma sostanzialmente non avesse reagito, allora era fatta: da quel momento in poi si sarebbero dovuti rispettare luno con laltro, quasi come due pari. Ma se quello, essendo il mscuo grande della casa, avesse deciso di fare il mscuo 125

grande, allora erano guai. Se Diador si fosse quindi gettato sopra a lui per dargli una lezione, per rimetterlo al posto suo pure con un solo boffettone, checcosa avrebbe dovuto fare Diopold? Se, zitto e buono, se lo fosse tenuto il boffettone o se si fosse limitato a scansarlo e ad arretrare con la coda tra le gambe, a Diador sarebbe stato raticato il potere assoluto dentro quella casa, messo in discussione solo per qualche secondo (il tempo della sciuata). Diopold quella sera non se la sentiva per dindietreggiare, di abbasciare la capa ancora una volta come se fosse un meninno di quattro mesi, e sopra la bilancia bisognava pure mettere che mo era come una belva che aveva sentito, diciamo cos, laddore del sangue. Epper, checcosa sarebbe successo se avesse contraccangiato cazzotto con cazzotto? Si sarebbero fermati ai cazzotti o ad un certo punto, visto che quando arriva il sangue agli occhi non si capisce pi nulla, uno dei due si sarebbe precipitato dentro la cucina per acciuffare un coltello? Le fmmene indovinarono avvolo checcosa stava a scoppiare dentro quelle due cape mscue e si ccarono in mezzo. Donna Sabbedd e Bellnia aiutarono Diador a rialzarsi, imbriacndolo di chiacchiere, di comprensione e di conferma della posizione sua di mmeno di casa, accompagnandolo dentro la cucina per servigli un bicchiere di acqua e pregandolo di compiatirlo quello scapecerrato del frate minore che era ancora un uagnone senza la responsabilit e le preoccupazioni che teneva invece lui. E pure Fin e Iangiuasandin facttero la parte loro, trascinandosi Diopold vicino alla branda del tinello, agguantandolo una con un braccio e una con laltro, e accarezzandogli le mani che tremuvano tutte per la rggia. Quante chiacchiere e, dopo, passato il pericolo, quanta risa quella sera. Ma, da allora in poi, Diador non reagette pi ai ritardi di Diopold: o era lui ad arrivare pi tardi o, rientrando prima, dormiva o faceva nta di dormire quando sentiva rincasare il frate pi giovane... 126

Ma non ci stava solo da scirgli ad aprire a quel cmodocmodo di Diopold, quando decideva di ritirarsi, la sera. Bisognava pure starselo a sentire che faceva rumori dentro la cucina, si ricoceva e si mangiava appizzicati sotto, grattandoli dal fondo della cazzarola i mezziziti avanzati a mezzod, si scolava un paio di bicchieri di miero e acqua, sciacquava e singhiottiva a bocconi grossi una pera spadona, e si chiudeva dentro il cesso a fare i fatti suoi (se ci stava gi Diador, non scaricava, per non discetarlo: tanto la prima ad alzarsi la matina era sempre Donna Sabbedd, che avrebbe capito e scaricato lei). Finalmente, caminando scalzato per non fare rumore, senza nemmeno respirare, sinlava dentro il letto, tirando un lungo sospiro di sollievo. Ma poi mica dormiva subito, quello scapestrato di Diopold. Fin e Iangiuasandin erano sicure che lui rimaneva con le rcchie appizzute per capire tutto quello che loro si dicevano a mezza voce e che pigliava sonno solo dopo che stavano zitte e non cerano pi segreti da rubare. E la risa un poco sfottente che Diopold teneva sopra la faccia ogni matina o almeno cos pareva a loro le convinceva che in effetti quellintrigante aveva sentito tutte le chiacchiaredde che si erano fatte la sera prima... Che, tieni pavura stasera? domand Iangiuasandin, portandosi dai piedi a capitale del letto e mettendosi sotto la coperta dalla banda di Fin. No, non tengo nulla, ma ti ho daccondare una cosa... Diador grufuava e quindi non avrebbe sentito niente e nessuno, ma Fin non aveva mai parlato cos a bassa voce. ... Iangiuasandin, ti stanno a fare un tradimento sof Fin dentro la rcchia della sora, mentre la stringeva, quasi a difenderla sicamente dal pericolo. Ti vgghiono far apparolare con Cazzulcchio senza dirti nulla, mettendoti nnanzi al piatto pronto. Ha organizzato tutto quella strega di Seran. Mamma s fatta solo acconvncere. Tutto stato appreparato per dopodomani, perci vneno a mangiare da 127

noi Simin il Panettiere e la mogghiera. Mhanno mettuta in mezzo pure a me: domani ti ho da far appassare nnanzi alla vetrina di Chiarin degli Aniddi e farti dire quale aniddo tappiace di pi, cos loro laccttano, ti fsceno contenta e tu tapparoli. Iangiuasandin si sentette pugnalata alle schiena. E reagette alla maniera sua, senza riettere: Questo, mamma e Seran me lappgano. Sccio io accome me lappgano: loro non vgghiono che io mi metto con Cilluzz? e io Cilluzz mi pgghio! Fin, preoccupata, obiett: Pigghiarti quel fessacchiotto di Cilluzz? Ma se non tappiace nemmeno. Che, per fare uno sfregio a mamma tarruini per tutta la vita? Capatosta non ci vedeva dal desiderio di vendetta e di dispetto: Sccio io le cose mie. Sccio pi di te di Cilluzz: pure peggio di quello che pare. Ma mamma me lha dappagare. Ce lo d io Cazzulcchio, a lei e a quellimbrogghiona di Seran. Se io mi pgghio Cilluzz, mamma schiatta. E io la vgghio fare schiattare. Lei sopra me non accomanda. So io che accomando sopra me. Quel gioved notte Iangiuasandin denette naturalmente senza riettere, ma distinto tutta la vita sua. Pigli una decisione, per dispetto e per sfregio, che ne segn tutta lesistenza. Il venerd matina Donna Sabbedd concedette il permesso alla glia snaturata di assire con Fin: avrebbero fatto due passi insieme no a Simin per pigliare la carbonella e un po di cinigia, e potevano approttarne per accattare dal formaggiaro qualcheccosa di dolce. Iangiuasandin per prima cosa ci tenette, cos, per curiosit, a passare comunque innanzi alla vetrina di Chiarin. Cap subito il suo gioiello di apparolamento e lo segnal a Fin: una specie di serpente tutto intortigliato sino a fare una capa danello doro massiccio. Ma, poi, tanto costringette Fin a fare innanzi e ndreto, tagliando due, tre, quattro volte via Modugno, che alla ne 128

si facette scoprire e pedinare da Cilluzz, che dopo un paio di stratoni, non avvertendosi di essere cacciato e credendo di cacciare, affront faccia a faccia Iangiuasandin. Ma potimo accontinuare accos? le dicette accorato. Io abbrscio dalla passione per te, per te faccio il matto e tu scompari dalla circolazione e, quando mi vedi, fusci! Abbrsci dalla passione? Fasci il matto? Maqquando mai? facette nta di scendere dalle nuvole lei, babbundolo. Apprima mi fasci quello che mi facesti e poi hai pavura pure daffrontarmi. E chi ti dice che non mi appiaciuto? Sei proprio un piccininno... che non accapisce i segreti dellanima di una donna. Maccome ho da fare con te? Se tu non mi vuoi... La verit che tu sei uno scocchiato, tutto voccavocca e nulla fatti. Un malimparato senza sangue. Sei buono solo a fare il capuzzillo, ad alzare le mani sopralle uagnedde. Ma mi dicesti mai: Iangiuasandin, pigghiamo e fuscimo, dato che mmmeta non mi vole? Mai! Ma te lo potevo dire? Aqquando te lo avevo da dire? tentava di controbattere lui, sconcertato. Pure ieri, pure mo. A questo punto Cilluzz, pescato, avette subito la sensazione di averla dentro la rete e dicette, con uno slancio istantaneo, quasi non credendo alla propria determinazione ma con la convinzione di chi si ritiene messo senza preavviso innanzi alloccasione della vita: Te lo dico mo: vuoi fuscire con me? Aqquando? Accome? rispondette lei immediatamente, senza manco dargli il tempo di riettere sopra quello che stava a succedere. Pure domani sera? azzard lui. E perch no stanotte? lo smont lei, con una smora allAlida Valli che mai aveva fatto e mai pi avrebbe fatto cos bene (lo dicevano tutti che assomigliava a quella sorta di fmmena e di artista che faceva scire in pappa-di-lino immini importantissimi ai quali capitava la fortuna e il guaio 129

dintravvedere solo per una volta quegli occhi e quella bocca, e pure lei ne era ormai convinta avendola vista, una volta, con Eduardo, Peppino e Titina De Filippo ne Lamor mio non muore). Stanotte, a mezzanotte, sto sotto a casa tua, tu scendi e ce ne fuscimo. Lmmeno pigliava in mano la situazione. ...Ma addo pensi dapportarmi? Tieni un posto per annascnderci? Iangiuasandin per un momento pens, con un poco di sconcerto, che non conosceva nulla di quellmmeno, nulla della vita sua, nulla del carattere intimo suo. Eppure stava a mettere la vita propria dentro quelle mani. Ma fu solo un momento. Capatosta era tutta un dispetto. Ti porto addo sccio io, attocca a me organizzare la cosa. Tu non ammangiarti la capa. Abbasta che sei puntuale: a mezzanotte esatta esatta, allo spunto di via Mirenghi con via Modugno concludette Cilluzz e, senza nemmeno salutare, scomparette per scrsene chiss dove a organizzarsi. Pure Fin era stata pigliata alla sprovvista da quelliradiddio della sora. Manco il tempo di assire di casa e di farsi agganciare da quella pellepulita di Cilluzz, manco il tempo di farlo respirare quello scapocchione ed ecco che quella fafuoco di Iangiuasandin, con due battute di quelle sue non pi di due aveva gi provveduto a tutto per fuscrsene di casa, nientedimeno che quella seranotte stessa. E con chi poi? Con un mmeno sistemato, patrone della vita sua stessa? o con un giovane bellofatto e volenteroso, che si avviasse a diventare patrone della vita sua stessa? No, proprio con quello spatriato senza arte e senza sensi, invece, che passava tutta la giornata caminando con le mani dentro le palde dei calzoni e un palcchio fra i denti come un guappo di cartone, e che pareva addirittura orgoglioso di quei piedi alle dieci-e-dieci che lo facevano letteralmente spostare, a ogni passo, mo a destra e mo a sinistra, mo a destra e mo a sinistra, come un pupazzo. E con questo movimento ridicoloso, che lo faceva compiatire dalle fmmene sensate ma che lui era convinto faces130

se scire in pappa-di-lino le femmenedde che lo miravano e ridevano sottosotto tra loro, si girava una decina di volte al d corso Vittorio Emanuele, corso Cvur (noi lo chiamiamo cos) e via Sparano. Al primo giro, venendo da casa, corso Vittorio Emanuele naturalmente se lo faceva tutto tutto, lasciando il giardino Garibaldi, passando senza degnare di unocchiata il palazzo veneziano (a quellaltezza, lo incuriosivano di pi le fotograe degli sponsalizi esposte da Foto Ficarelli), pi in l facendo una smora verso la statua di Niccol Piccinni, informandosi dellora allorologio del palazzo rosso del Governo, leggendosi tutte le locandine del Teatro Piccinni e poi continuando dritto sino alla ne del Corso. L si fermava un poco, allumava attorno sempre con le mani dentro le palde, spostava con la lingua il palcchio da una banda allaltra della bocca, si leggeva ogni volta la lapide sopra la casa dove il 24 aprile del 1813 Gioacchino Murat piazz la prima pietra di un borgo che gli abitanti di Bari si propongono di edicare per supplire allinsufcienza di una citt che si accresce tutti i giorni, unocchiata al mercato allingrosso del pesce, una sputazza in terra e poi girava a destra e si faceva sotto gli alberi tre quarti di corso Cvur mangiandosi un panzarotto al Gran Caff Italia sino a via Dante. Qua girava a destra e incrociava via Sparano, e da qua, a destra, sino a rincrociare corso Vittorio Emanuele. E ricominciava il giro, sempre quello, per tutta la serata, per tutti i d... Fin era rimasta senza parole, trasecolata. Lultima cosa che avrebbe potuto fare era mettersi in mezzo a quei due e tentare di farli ragionare. Farli ragionare! La sora non era certo il tipo da furia francese e ritirata spagnola. Quando attaccava non si fermava pi, manco se sapeva che poi si sarebbe spaccata la capa, anzi manco quando se lera gi spaccata. Lui s, si sgamava a occhio il tipo: sapeva checcoserano la pavura, lindecisione e la marcia allandreto. Ma Fin lo vedeva comera ridotto: con gli occhi ssi dentro gli occhi 131

di Iangiuasandin, ipnotizzato, affatturato, completamente dominato da quella capa-di-pippo. Fricamidolce con tutti meno che con la sora piccinonna, Fin pens che Iangiuasandin stava proprio a combinare un guaio grosso quanto una montagna, ma la vedeva dentro uno di quei momenti suoi che non ci stava verso di farla tornare ndreto o pure solo di farla stare ferma. Ripigli ato solo dopo che Cilluzz si era levato dalla circolazione con quella caminata sua da pupazzo, e le dicette, per sconsolata e rassegnata: Ti rendi conto di quello che stai per fare? Ti vuoi arruinare per tutta la vita. Oramai Iangiuasandin, avendo peraltro manovrato come voleva e portato dove voleva Cilluzz, che lultima volta si era permesso addirittura di metterle le mani addosso, pregustava il dispetto contro la mamma: Lei mi vole dare Cazzulcchio? E io mi pgghio Cilluzz. Ci faccio avvedere io se mi faccio accomandare da lei... Quella notte le batteva il core a Iangiuasandin. Batteva forte forte pure a Fin. Le uagnedde si meravigliavano che il frastuono della emozione loro non discetasse Diador n Diopold, ma i frati quella sera parevano proprio cotti, sprofondati dentro un sonno dal quale non li avrebbero tirati fuori manco le cannonate. E per un momento, solo per un momento, Iangiuasandin avette la sensazione mentre si rivestiva, mentre vedeva Fin trattenere i singhiozzi, mentre arrivava alla porta, lapriva adscio adscio e laccostava avette la sensazione che dentro uno spigolo dellanima sua o della capa sua o delle viscere sue in agitazione volesse pigliare aria la speranza che Diador o almeno Diopold, quel fesso, che stava sempre discetato sino a tardi e che proprio quella notte era subito crollato, che uno dei due insomma si discetasse e la scoprisse, mazzindola e bloccandola in casa. Ma fu solo un momento, una sensazione. Il dispetto laveva fatta diventare leggera leggera come una piuma, la molla della branda non si lament come pure faceva ogni volta che 132

una vi si gettava sopra o vi si alzava, i vestiti non facttero il minimo frusco, Fin chiangeva per la prima volta zittazitta dentro la vita sua, le fangose non le sfuscttero di mano mentre se le inlava (quante volte le erano sfusciute!), Fin li trattenette proprio i singhiozzi quando si abbrazzrono e vasrono per lultima volta, Diador e Diopold non si movttero nemmeno quando Fin avette limpressione di avere fatto apposta un poco di rumore con la porta che divideva la stanza loro dal corridoio con i due letti dei frati. E, quando Iangiuasandin tir il ferro alla porta di casa, le parette come se uno ci avesse messo il grasso appena da qualche minuto, per la velocit e soprattutto per la silenziosit con cui cedette sotto la pressione dei dsciti. Fatto sta che, ad un certo punto, quella disgraziata si sorprendette fuori dal mondo suo di sempre, scendette velocemente la scala che portava dal pianerottolo di casa al pianoterra, facette quei dieci passi verso il portone spiando allandreto verso la porta di Noffrin lo Stagnaro, si blocc un momento sopra la soglia della casa costruita da quel gigante dellattano suo che non aveva mai conosciuto e che aveva sempre creduto, chiss perch, essere morto per colpa sua, e sincamin dolce dolce verso le due sagome una delle quali era certamente quella di Cilluzz che aveva intravvisto allo spunto con via Modugno, vicino a una carrozza. A met strata fra il portone di casa e la carrozza che lavrebbe portata chiss dove, sentette dreto la schiena il rumore di qualche uno che veniva di corsa verso di lei. Si gir di scatto e vedette Fin, che infatti si precipitava da lei. Pens o sper? dun tratto che la mamma o i frati avessero smagato tutto, che magari Fin avesse fatto linfame e li avesse discetati. Si facette agguantare. Checcosa assuccede? Facesti linfamona? la rimprover Iangiuasandin, cercando di parere ammolata. No, no diceva Fin tra le lagrime. Se ne so avvertiti? Sta a scendere Diopold per venirni ad acciuffare? 133

No, no chiangeva disperata Fin. Si sta avvestendo Diador, per piombare abbscio, pigghiarmi per la cima dei capiddi e arriportarmi a casa? No, no. Bellnia si avvertita di tutto e li sta discetando a tutti? No, no. Mamma sta a venire abbscio col battipanni? No, no. E allora, perch scendesti? concludette Iangiuasandin, che si lasci sfuscire uno scatto di delusione. Ma si ripigli subito: ...Vuoi fare scoprire tutto? Non avvedi che quei due ci stanno gi? Checcosa vuoi? Iangiuasandin, torna casa, stai ancora in tempo tentava di dire senza convinzione fra le lagrime e i singhiozzi Fin. Non ci penso proprio! Loro mi vgghiono obbligare ad apparolarmi con Cazzulcchio e io li freco. Mi pgghio chi vgghio io rispondette Iangiuasandin, spingendo la sora verso casa e riettendo che aveva da parere ben decisa se, nemmeno dentro questo momento, Fin si faceva pure lontanamente sorare dal pensiero di poterla effettivamente trattenere e convincerla a tornare. Erano mo, tutte due, sopra la soglia del portone. I due immini, dallo spunto, facevano segnali sempre pi agitati. E ad un certo punto, zompando come un pupazzo, Cilluzz le raggiungette, praticamente le spartette, pigli per un braccio la zita (che mo tale stava per diventare veramente) e, senza dire bongiorno o bonanotte, se la trascin verso la carrozza. Fin vedette per lultima volta la sora signorina che saliva sopra la carrozza di Rocch il Calessiere (che di l a qualche anno sarebbe diventato Rocch il Tassista). Iangiuasandin, un poco spinta per il culo da Cilluzz, tenette sino allultimo la faccia rivolta verso di lei e verso la casa della vita sua. La vita che niva l, dentro quel momento. 134

la prima notte Quella prima notte, a casa di Zi Tares la Zoppa, Iangiuasandin la scord subito. Sentette istintivamente che da quelloppressione aveva da liberarsi senza pensarci manco un secondo, per non morire di disperazione e di crepacore. Che aveva da svincolarsene per spirito di sopravvivenza. E poi pure, pi dolorosamente, per la necessit di fare posto agli altri incubi, alle angosce, ai pesi, agli affanni e allo sconforto che dalla matina dopo, da quella stessa notte lunga e avvelenata, d per d, ora per ora, avrebbero preteso scorrottamente da lei senza mai saziarsi spazio, tempo, persino vitalit e, se si pu dire, soddisfazione. Mangindosela ossa e tutte la vita sua, surchindosela come una sgravata si surchia un brodo di palumbo, avvolgendola interamente, esaurendola e trasformandola in una valle di lagrime. Non la valle di lagrime immaginaria che stava dentro le preghiere di una come Taratt, ma quella vera dove, quando non chiangevi e non ti davano la razione giornaliera tua di mazzate, avevi da ringraziare il cielo e da vasare in terra. E, quando non succedeva nulla, proprio questo avevi da affrettarti a ritenere ragione di contentezza. Iangiuasandin avrebbe continuato per tutta la vita ininterrottamente, inutilmente animale ferito e condannato a morte a tentare di dare un senso e una prospettiva alla propria esistenza come se tenesse una specie di febbre che le dava un calore e una frenesia a fare, a scire innanzi, a combattere, a pigliare di petto nemici e furfanti, a farsi le cose da sola senza dipendere da nessuno, a non abbasciare mai la capa e anzi a partire in quarta al minimo segnale di cattiveria e di prepotenza. Unenergia che chiss da dove le veniva a quella vasata-in-fronte-dalla-sfortuna: una forza misteriosa, senza forma e senza nome, segnata da una direzione oscura che lei, con il cervello appannato dallincoscienza e dal risentimen135

to, non avrebbe mai capito. Ammesso e non concesso che questa non sia, sottosotto, in denitiva, la direzione della vita di tutti quanti noi, che pure siamo capaci di darle tanti di quei nomi e tante di quelle forme, con la consapevolezza nostra, la sensata capacit nostra di sopportazione e la fantasia nostra. Una direzione precisata esatta esatta da una specie di freccia, con la coda per esempio fra le chiome di oleandri e di pini del giardino Garibaldi e la punta centrata giusto giusto fra i due cipressi di entrata al camposanto di via Modugno... Ma torniamo a quella seranotte in cui cominci lincubo che fu praticamente tutta la vita di Iangiuasand, dopo che si era gettata alle spalle la condizione di signorina pulita e tesa, di uagnedda di buona famiglia. Il cavallo si port la carrozza di Rocch per via Modugno, verso il camposanto, ma senza arrivarvi. Duecento metri prima di quel giardino di consolazione e di arricreamento, svolt a sinistra, attravers i binari e poi la campagna di San Giorgio, campagna di chi-chi e di gelsi rossi, sino al canalone con le pareti piene di chi dIndia, lo costeggi diciamo per un chilometro e poi imbocc al passo, senza fare tanto rumore, una viottua di polvere e di pietrodde che faceva zig-e-zag tra baracche, case sfasciate, tettoie scafuate, tuguri, capanne, catapecchie, ricoveri improvvisati... Per tutto il viaggio, i due uagnuni se nerano stati asseduti, luno faccia in fronte allaltra, a dieci centimetri di distanza, zitti zitti e immobili. Non una parola, non un lagno, non un movimento. Cilluzz era livido, la capa calata, gli occhi ssati sopra il fondo della carrozza, completamente svacato dintenzioni e di energia. Pareva rassegnato a quello che stava succedendo, come se non fosse dipeso e non dipendesse da lui. E invece dentro Iangiuasandin si erano scatenati lampi e tuoni, combattuta comera tra il dispetto e il disorientamento, fra la cocciutaggine e la sensazione della brutta piega che pigliava, mo, la vita sua proprio per colpa sua, della capa sua. 136

Quando si decidette di spiarlo quel campione, per un momento, senza farsene avvertire, forse solo per curiosit, capette di essere trasportata chiss dove da qualche volont sconosciuta, oscura, indecifrabile e forse inesistente: no, non era quellmmeno, quel uagnone rammollito e scoraggiato lo intuiva precisamente dentro quel momento che stava decidendo della vita loro. E allora? Chi aveva deliberato la fusciuta? E perch? E chi le avrebbe pigliate, dallora in poi, tutte le altre decisioni che si pigliano quando si campa in due dentro la stessa casa? Chi avrebbe comandato? Lei no, perch era una fmmena. Lui no, perch non pareva allaltezza di farlo. Chi allora, checcosa avrebbe guidato la vita loro? il cielo? il destino? il caso? E comerano la vita e il caso fuori dal dominio di Donna Sabbedd e dal mondo delle chiacchiaredde con Fin? Non avette per il tempo di darsi nemmeno una risposta, che una, sbattuta come un polipo fra il desiderio di brusciare sino in fondo il dispetto alla mamma affrontando tutto il rischio e il dolore inevitabili e il desiderio di tornare a casa, per ricominciare tutto da capo. Ricominciare da capo? Se avesse potuto ricominciare da capo, checcosa avrebbe fatto? E chi lo sa? Due cose erano sicure e chiare: da una banda, con Cilluzz, la mancanza assoluta di sentimenti e dallaltra, con Cazzulcchio, la mancanza assoluta di passione. E perch poi sbattere afforza da una banda allaltra? Tanto valeva la pena di starsene quieta a godersi la giovent e poi, col tempo... Stava quasi per cominciare a ragionare, quando la carrozza si ferm. Fu stretta per un braccio da Cilluzz e forzata a scendere. Ma qua Torre Tresca! grid Iangiuasandin, appena mettette il piede in terra, sprofondando dentro la lota. E allora? rispondette lui, senza convinzione, voltando imbarazzato gli occhi e il passo verso una baracca di mattoni e lamiere. U, che stai a fare lindiano? si dimen Iangiuasandin, gettando gli occhi scatesciati attorno attorno, a vedere tut137

te quelle baracche e quella povert, quella miseria e quella sporcizia, qua pieno di puttane, di ricottari e di borsaiuoli. Vuoi che io non lo sccio? Addo mapportasti, disgraziato? qua che sapporta una uagnedda la prima notte? Ma checcosa tieni ncapa, la segatura? Apprtami proprio mo, ma proprio mom, lontano da qua. Accome tappermitti? Mica so una della razza tua, io! Fu dentro quel momento che Iangiuasandin, mentre si allontanavano irreparabilmente i rumori degli zoccoli del cavallo e la carrozza di Rocch, vedette per la prima volta Zi Tares la Zoppa. Anzi, conoscette prima la cattiveria e la forza delle braccia sue tuttossa. Non aveva nito di pronunziare la parola razza che uno spintone, da dreto, la gett in terra, fra le pietre e la lota. Stava per rialzarsi, ma fu bloccata, tutta imbrattata, dal bastone che Zi Tares le aveva puntato alla base del collo, un poco sopra il petto, che ansimava tutto. Tu, da mo in poi, thai dasciacquare la vocca con lacito trenta volte apprima dapparlare della razza nostra intim la sora grande di Martem Cioladoro. Io non sccio esattamente se sei una fgghia di zccana o solo una povera sciacquetta. Ma con me li liscio, non si sgarra! Quindi si volt al nipote del core suo, che ssava con il terrore dentro gli occhi il bastone che lei roteava: Io ero sicura e mo so strasicura: tu da sta signorinedda ti sei fatto affrecare. Mavivi da dare adenza a me, mavivi da sentire, avivi dallassarla perdere a sta uagnonastra. Ma mo, la frittata fatta. Perci, mttila apposto apprima che lei si mette a te sotto ai piedi. La mala d savvede dalla mala matina. E mo, tutti dentro: i cazzi nostri non li avimo da fare assapere a tutti. Iangiuasandin non vedette e non ricord mai comera fatta esattamente quella casa, da dentro. Vivette quella notte, per istinto di sopravvivenza, praticamente senza vedere e senza pensare. Cera per tutta la casa, questo s, la puzza propria delle vecchie che non si lavano da mesi, da anni. E eti di pisciaturo, di merda e di sburro. Tares ai ziti dette il letto suo, che stava dentro la seconda camera: un buco di tre 138

metri per tre, con una branda a una piazza e mezza, un com senza specchio, una colonnetta, un lumino appicciato (Zi Tares sapeva che mai e poi mai il nipote avrebbe dormito allo scuro), una ballerina con la specchiera e, in uno spigolo, il priso di creta. Nessuna nestra o apertura, salvo la porta con una tendina appesa a un pezzo di ferlato che dava sopra la prima camera, con un brandina stretta stretta (quella della glia della Zoppa, Tetedd, trasferita per loccasione chiss dove), un tavolo con un tiretto per le cucchiare, un fornellino a gas e un bussolotto a due sportelli per il pane, il sale, lo zucchero, tre piatti e tre bicchieri. Per lacqua bisognava assire fuori: ci stava una fontana di fortuna al centro di Torre Tresca, con lacqua rubata dalle tubature dellAcquedotto Pugliese. Due cose, dentro quella casa nera e lorda, erano inaspettatamente bianche bianche, proprio del colore del latte, puliziate e profumate, come se fosse passata da l, appena da qualche minuto, una lavorante di lavanderia-stireria a fare le consegne: le lenzuola lisce lisce sotto le quali sinlarono Iangiuasandin e Cilluzz, quasi senza manco avvertirsi di quello che stavano a fare, e la cammisa da notte che quella strega di Zi Tares, chiss in base a quale inspiegabile e impenetrabile pensiero gentile, aveva lavata, stirata e piegata sotto il cuscino della zita fusciuta. I due uagnuni disorientati, stesi sopra il letto di Zi Tares sinterrogavano lui se stesso, lei se stessa sopra checcosa ci stessero a fare l, dato che quella matina stavano praticamente ancora a giuocare e forse il d dopo cominciava linferno. Lei castano-bionda, con la cammisa da notte che le arrivava ai piedi, tutta spostata da una banda del letto, dentro un vortice di pavura e di confusione, che gli dava la schiena a lui. E lui, bianco come il lenzuolo eppure rosso malpelo, pieno di nei, lentiggini, efelidi e macchie solari, con la maglia della salute e le mutande lunghe di lana, sdraiato di schiena, con gli occhi ssi al softto della baracca. 139

Un poco per stanchezza, un poco per vigliaccheria, un poco come per fuscrsene senza essere visti da quella situazione disperata e senza sbocchi, quelle due anime-di-dio si appapagnrono. Non se ne avvertttero nemmanco se dormttero propriamente. Fatto sta che, durante la notte, forse discetati dai movimenti della tendina segno che Zi Tares era venuta dentro la camera per afferrare il priso, facendovi il comodo suo e riportandolo poi dentro la camera dei due con quellaltra esalazione si spostarono un poco tra la veglia e il sonno, e per caso si toccarono. Ma forse non solo per caso. Si sa la vita com strana e misteriosa, e com complicata soprattutto la capa degli immini (e pure delle fmmene, naturalmente). Mo, mai possibile che quei due, dopo tutto quello che era successo, mentre a due passi da loro ci stava quelliradiddio di Zi Tares, e poi, parlando con decenza, con tutte quelle pestilenze dentro laria e dentro i nasi, possibile che quei due potessero pensare a toccarsi e, magari, a fare certe cose? Possibile, possibile. Forse perch uno, arrivato ad un certo punto, tiene bisogno di abbandonarsi, di sfuarsi e di svacarsi dai pensieri. Certo che mentre tentava di sistemarsi pi comodamente, non si sa se dentro la veglia o dentro il sonno, fu proprio lei, la schizzinosa, a sorargli inavvertitamente un piede a quel maulone. E lui, invece di limitarsi per gentilezza a spostarsi un poco pi in l o comunque di riettere sopra tutti i guai che stava a combinare insieme a quellaltra malcreata, si era sentito in dovere, a quel punto, di fare la parte sua. E che facette allora, quello spudorato? Piano piano, leggero leggero, sicuro o quasi sicuro di non discetarla, le pigli la cammisa dai piedi alla bella addormentata e cominci ad alzarla. Le scoprette le gambe, poi le cosce e alla vita si ferm. Che spettacolo! Sotto la cammisa, Iangiuasandin era allanuta. Cilluzz non sapeva se era allanuta per abitudine o per malizia, ma avvedndosi che quella svergognata, forse per pi dentro il sonno che dentro la veglia, non si moveva, 140

non si abbasciava offesa la cammisa, non protestava e non si voltava per dargli un liscio-e-busso, il uagnone piano piano, leggero leggero, si era abbasciato lui le mutande sue proprie sino sotto le ginocchia. Mirando stordito quel personale delizioso mezzo allanuta che, senza che manco pi se lo aspettasse, mo pareva proprio a disposizione sua, Cilluzz si capacit che non aveva mai visto n lontanamente immaginato un pezzo di corpo umano cos delicato e pulito che gli pareva una volgarit chiamare culo o posteriore o ponente o scapezzato. E che apparteneva nientedimeno che alla zita sua. Che tentazione di stringerla, che desiderio di abbrazzarla! Ma non si faceva coraggio e intanto si toccava invece lui innanzi. E ad un certo punto pigli ato, sillumin tutto: s, sintostava, poteva continuare, era allaltezza... E con ardimento pass allattacco, accarezzandola con la mano libera la zita, sorandolo appena quel palloncino di carne bianca che sorprendentemente Iangiuasandin teneva appizzicato dreto, insomma tentando (e tentandola) con delicatezza e ancora con qualche preoccupazione. Poi, con la gamba destra un poco accavallata sopra i piedi e poi sopra le gambe di lei, piano piano, laveva premuta sino a farla voltare quella dispettosa. E lei si facette voltare, ma come se stesse ancora tra la veglia e il sonno. Di schiena sopra il letto, quella capatosta continuava a tenere la faccia dallaltra banda, verso la ballerina, mantenendo le braccia tese tese. Mezza allanuta ma sempre ferma come una morta, immobile come una mummia, insensibile come un pezzo di marmo. La verit che, dentro di lei, la fermezza del risentimento combatteva contro il bisogno di consolazione, per non parlare della battaglia fra i soldati dellorgoglio e i guerrieri del piacere, fra i militari della ripicca e la ciurmaglia della distrazione, del genio, della baldoria, dello spassatempo... Iangiuasandin sentette che una specie di calore di brace le riscaldava progressivamente tutto il corpo, cominciando 141

dai piedi e arrivando sino alla cima dei capelli. Chiss dentro quale piega del cervello ma certamente fu l, dentro la sostanza grigia scoppi la scintilla della capitolazione. La vampa la identic dentro il petto, il fuoco vero e proprio si appicci dentro il ventre ma fu tra le cosce che lincendio bruci tutte le resistenze di quella vergine che non aveva visto mai bene. Provvedttero i dsciti, i dsciti suoi stessi, a tradire Iangiuasandin, alla quale pure sino a quel momento era stato possibile trattenere tutto dentro, senza fare una smora, senza manco voltarsi verso di lui. Furono i dsciti che le sfuscttero di mano. Furono pi forti della volont sua di non scoprirsi con quel delinquente, che stava a diventare sempre pi pesante e pi materiale. Per la precisione, un dscito malandrino e senza responsabilit, lindice della mano destra, approttando della vicinanza con il ventre del uagnone, si alz appena e glielo tocc, glielo sfruguli il pisello, che era stato sfruguliato gi abbastanza dal patrone suo stesso. Si sa come sono i piselli dei uagnuni: se ci dai un dscito si pigliano tutto il braccio e qualcheccosa di pi. E si sa pure come sono questi dsciti di uagnedde portabandiere di grandi agitazioni corporali e di memorabili curiosit. Perci mo la mano di Iangiuasand Iangiuasandin veramente non esisteva pi, a questo punto ispezionava preliminarmente tutta la zona circostante, prima di concentrarsi sopra quella mazza prepotente che certo avrebbe preteso da lei, tempo un paio di secondi, tutte le attenzioni possibili e immaginabili. E Cilluzz si faceva fare, ci mancherebbe altro, godendosela pure lui steso mo sopra la schiena quella mano viziosa e, insieme, vergognosa. Sempre con la capa voltata verso la ballerina, Iangiuasand piano piano gli allisciava la pelle del ventre tesa tesa come quella di un tamburello. Gli sfrizzolava leggera leggera il cespuglio dei peli rizzi, come se stesse a fare un giuocariddo di meninni. Gli pigliava dolce dolce fra i dsciti la pelle tenera tenera della borsa e poi quella pallina l dentro che, appena la stringeva, sfusceva... 142

Non aveva fatto in tempo a toccargli la pallina, che sentette improvvisamente il corpo di Cilluzz crollare sancato sopra il letto, come se sino ad allora fosse stato in aria, tenuto teso dallemozione e appeso dal desiderio. Distinto Iangiuasand risalette con la mano, per ripigliargli tra i dsciti e il palmo quella sorta di banana che aveva appena toccata e che evidentemente non aspettava altro che di essere sbucciata, ma scoprette che l oramai della banana ci stava solo lombra, al pi una specie di palloncino sgonato. Allora si volt nalmente verso Cilluzz. Un paio di lagrime gli scendevano dagli occhi chiusi sopra la faccia disperata a quel disadattato. La bocca gli si moveva appena appena. Non ce la faccio, non ce la faccio, tengo solo una palla si ripeteva Cilluzz, spiccicando le parole sempre pi chiaramente e a voce sempre pi alta. Non ce la faccio, non ce la faccio oramai gridava. Ed ecco la riapparizione di Zi Tares, che lo rimprover rimanendo allinpiedi vicino al letto: Ti vuoi stare citto o ti ho da spaccare la capa col bastone? Prova, prova, sgrzala, che ce la fasci! Ma chi tha mettuto ncapa che non ce la fasci? E indicando col bastone Iangiuasand: La colpanza la tua. Tutto fumo e nulla arrosto. Una iena a rompere i cogghiuni, una fessa a letto. Datti da fare, stronza. Non accapisci che oramai questo marteto. Tinitelo buono e fallo addivertire, fallo arrapare, fglielo intostare, pgghialo mmocca, fccatelo dentro il piccione, incstratelo nculo, fa ci che vuoi, ma fa la fmmena accos lui fasce il mscuo. Cilluzz chiangeva per il difetto e per la vergogna, Iangiuasand chiangeva per la disperazione e per il disorientamento. Continuarono a chingere dopo che la Zoppa torn a cuccia, dentro lingresso senza lontanamente pensare a toccarsi e senza lanciarsi manco unocchiata. Lui mormorava, tra le lagrime e i singhiozzi: Tengo solo una palla, solo una palla. Chiangeva e sussurrava: Non ce la faccio, tengo solo una palla. Non ce la faccio E piano piano si addorment quel povero disgraziato senza spina dorsale. 143

Non aveva mai capito n accettato, per ignoranza ma soprattutto per la cacazza dei medici e delle medicine che lavrebbe accompagnato per tutta la vita, quel fatto della ritenzione testicolare di cui aveva parlato un professore, che lo aveva visitato da uagnungiddo. Uno dei due testicoli aveva spiegato quello scienziato a Martem e a Taratt gli rimasto dentro allinguine dalla nascita al ragazzo. Basterebbe una piccola operazione, un tgghio piccinunno piccinunno, per consentire il ritorno della ghiandola dentro alla sua posizione naturale. Ma solo a sentire parlare di taglio a Cilluzz gli veniva il mancamento, guriamoci a farselo fare. E non se la facette mai quelloperazione. Taratt, per la disperazione di quel piccininno che mo teneva pure pavura di essere condannato a diventare ricchiniddo (una maniera gentile di dire ricchione), ma che comunque non voleva scire al Policlinico a farsi loperazione, prov senza convinzione con i metodi suoi. Per mesi e mesi, ogni sera, gli facette stronazioni e massaggi sopra il ventre, in mezzo alle cosce e sopra i anchi. Ma la palla, dentro la borsa, una era e una rimaneva. Signori, ve lo arripeto fu laccoglienza del Professore, la seconda e ultima volta che Martem e Taratt tizzurono alla porta e alla scienza sua, si tratta di un semplice fenomeno di ectopa, di e-cto-pi-a, cio di anormale posizione della ghiandola. La pavura della ricchionggine? Ma signori cerc di tranquillizzarli come fanno i professori, non diciamo bestialit. Questa ritenzione non pu avere alcuna seria conseguenza sullintegrit e sulla funzionalit sessuale dellorganismo di questo bel uagnungiddo. Ve lo garantisco io: cento per cento di secrezione interna, ed ci che conta per la scienza medica, e cinquanta per cento di secrezione esterna, cio delleiaculazione. Insomma, potenza coeundi e generandi intatta, ed ci che conta per i mscui e per le fmmene loro. Non vero? Vero, vero: potenza teoricamente intatta. Ma di fatto questo il Professore non lo dicette e non lo prevedette una vita devastata dal terrore dellinadeguatezza sessuale... 144

Mentre Cilluzz dormiva e chiangeva, voltandosi e rivoltandosi come un piccininno, soffrendo e lamentandosi come un vecchio, dato che sognava il Professore che con coltelli e marrazzi gli tagliava la borsa e il ventre ma della seconda palla non sintravvedeva nemmeno lombra, Iangiuasand non si addorment pi quella notte. Quanti pensieri. Quanto pentimento. E questo Cilluzz con una sola palla! che si faceva comandare come una femmenedda da Zi Tares. Che vita dinferno che le si prospettava. Lui smidollato, a farsi mettere i piedi in capa fuori di casa e a sentirsi capo-di-robba solo in casa, a farsi comandare da tutti e sfundosi a comandare solo sopra a lei, e lei, che mai nessuno laveva messa sotto, fresca come una rosa che sta per sbocciare, vergine... Iangiuasand realizz allimprovviso di essere ancora signorina. Allora la fusciuta non valeva! La mamma se nera certamente avvertita a quellora, Fin forse gi le aveva contato tutto, ma Martem e Taratt magari nemmeno se lo immaginavano (non era la prima volta che Cilluzz, senza dire nulla, rimaneva a dormire da Zi Tares) e certamente la gente non sapeva ancora. E poi, pure se avesse saputo, qua il forno era rimasto chiuso. Tutto forse poteva ancora essere riportato a qualche ora ndreto, si dicette speranzosa Iangiuasand. Da sotto la tendina si era inlata un po di luce di Cristo. Fuori era gi lalba. Cilluzz dormiva, quella strega di Zi Tares pure. Iangiuasand, pigliando una decisione alla maniera sua, senza nemmeno dirsela, senza ragionarci tanto, sciu fuori dal letto, zittazitta sinl la veste e le scarpe, scost la tenda, arriv come una piuma alla porta passando a pochi centimetri dalla branda di Zi Tares, che dormiva vestita scarpe tutte, e lasci a piedi Torre Tresca, fra la curiosit ma non di pi dei primi abitanti discetati di quel quartiere puzzolente che erano abituati e strabituati alle apparizioni pi strane e alle scene pi indelicate. Le cose brutte che si contavano sopra quelli che abitavano a Torre Tresca erano tante. A Iangiuasand, che pure 145

si sentiva cos forte perch aveva avuto il coraggio di fuscire la prima notte nientedimeno che dal letto della fusciuta, le venette improvvisamente la cacazza. Chiss, mo, cosa le poteva capitare, dentro quella campagna, prima di arrivare dalle bande di casa. Ma, senza che quasi se ne avvertisse, si scoprette a fare gli stessi passi, anco afanco, con una uagnedda come lei. Quella prima la squadr, sospettosa, poi evidentemente capette suppergi con chi aveva a che fare e si avvicin. Facttero conoscenza e la strata insieme. E scoprttero che, forse, si erano pure viste qualche volta, perch quella uagnedda, Palmin, serviva in via PrincipAmed, ad appena due stratoni da via Mirenghi. Ogni matina Palmin se ne fusceva subito subito da casa, se si pu avere la sfacciataggine di chiamare casa quelle quattro mura nere e quelle quattro cose lorde. Appena allaperto, tirava un sospiro di sollievo che non niva mai, come se avesse trattenuto il ato dalla sera prima, rientrando, sino a quando si era chiusa la porta dreto la schiena per fuscrsene da quella gabbia di matti in libert. E arrivata allultima casa di Torre Tresca, ma proprio lultima lultima, insomma la prima venendo da Bari, immancabilmente si voltava a considerare quelle quattro baracche e una voce che le sgorgava dal core esclamava sempre: Che brutta gente! Sputava in terra per sfregio e, drizzando il piede verso il centro, si metteva a cantare allegra allegra: Oh, bella piccinina/ che passi ogni mattina... Pareva proprio unaltruna, rispetto ad appena qualche metro e a qualche minuto prima. Il fatto che non li poteva proprio digerire quegli spidocchioni che se ne stavano tutto il d a Torre Tresca, gettati da qualche banda, a non fare nulla: disperati, imbriaconi, profughi abruzzesi, cercalemsina, pecorali senza pecore, strepiati, puttane, cozzali senzaterra, scansafatiche, pezzenti, marinari senza barca, briganti, senzacasa, sfalliti... E tanti, tanti di quei piccininni che per tutto il d, mezzi allanuta, si 146

arrutuvano dentro la lota, si pigliavano a mazzate, giuocavano al pallone, spaccavano i vetri, tiravano le pietre contro gli invalidi, rubavano i cappelli ai vecchi, gridavano, facevano il trenino, mangiavano pane e pomodoro con le mani lorde di merda, inseguivano i sorci-zccana che fuscvano da ogni pertuso e quando ne pigliavano uno laccidvano annecndolo dentro un secchio di acqua e se lo lanciavano appresso, levavano i coperchietti alle biciclette e le foravano, stavano sempre a spiare quando uno cacava, catturavano le lacerte e ci spaccavano il ventre per fare la strafottenza di mangiarsene lentrame... Palmin di Torre Tresca li schifava, li odiava quei piccininni perch schifava, odiava gli attani e le mamme loro, gli ziani e i nononni loro. La schifava, la odiava tutta quella gente che si era ammassata come fanno le bestie, senza pensieri e senza dignit, una sopra laltra, dentro le baracche di quel campo di concentramento dove erano stati chiusi prima americani e inglesi, e poi tedeschi e fascisti. Erano arrivati l quegli animali, chi a solo e chi a gruppo, avevano visto quei quattro buchi e si erano ccati dentro, senza ricostruire, senza puliziare, senza sistemare nulla, fra pietre e remmato, lota e ferri arrugginiti, zccane e vipere. Avevano ssato qualche pezza alle nestre, inchiodato due tavole alle porte, gettato in terra un matarazzo di fortuna, steso sopra i tetti crepati un taglio dincerata rubata chiss dove, e si erano messi a campare l, senza acqua, senza cesso, senza gusto, senza desideri e senza speranza. Pure i tre piccininni suoi, carne della carne sua, erano come quei piccininni e stavano tutto il d a fare le stesse cose. Li odiava, le facevano schifo e ribrezzo pure loro? Pure il marito, come tutti gli altri immini di Torre Tresca, passava il d gettato in terra a fumare le Alfa e ogni tanto faceva lo sforzo di scire a svacarsi gli intestini o a bere due bicchieri di miero allo spaccio. Lodiava, le faceva schifo pure lui? E la mamma e lattano suo non stavano l, a Torre Tresca, 147

tutto il d spettinati, disperati senza saperlo, imbrattati senza avvertrsene, fetosi, scalzati senza badarci, con la morte stampata in faccia ma senza uno specchio per non mettersi pavura? Li odiava, le facevano schifo pure loro? E tutte le serve che, come lei, ogni matina se ne fuscvano spettinate da Torre Tresca per scire a servizio da qualche famiglia dimpiegato o di avvocato, e che si voltavano e sputavano in terra appena arrivavano allultima casa di quella fognatura umana allaperto che era Torre Tresca, e che drizzando il piede verso il centro si mettevano a cantare, e che tiravano fuori dalla palda la pettinessa per darsi una residuata ai capelli e un fulr per parere quasi una cristiana normale, e che la sera quando tornavano si rimettevano dentro la palda il fulr e si spettinavano apposta per non parere tanto diverse da quegli sbagugliati che erano rimasti tutto il d a Torre Tresca, e che la domenica restavano pure loro a Torre Tresca tutto il d e allora erano proprio spiccicate come tutti loro, tutte le serve come lei le odiava e le facevano schifo pure loro? No, non mi faccio schifo. Mi faccio pena, mi faccio piet si rispondeva da sola la seranotte, quando non aveva requie dentro quella camera nera e fetente dove dormivano in cinque. Cio dove dormivano in quattro il marito e i tre gli, che per qualche ora almeno, speriamo per loro, col pensiero non stavano a Torre Tresca perch lei, che per tutto il d era stata fuori da quel manicomio, durante la notte rimaneva con gli occhi scatesciati e il cervello in ebollizione inchiodata proprio l, a Torre Tresca. E hai voglia a cercare di pensare alla camera da letto della Signora con limbottita di raso rosa e la pupa al centro, a quei profumi di saponetta, a quelle graziose cammise da notte della Signora bianche bianche con il pizzo, ai colli inamidati del Professore, a quella bella credenza piena di pane e di ogni bendidio, a quei piccininni con i boccoli e il cravattino, a quei bei lampadari di vetro di Murano colorati... Hai voglia a cercare di pensare alle cose belle. Il pensiero pa148

reva rimbalzare da quei muri neri, da quelle porte di tavole di cantiere e tornava ndreto, costringendola a ssare Torre Tresca, a vivere a Torre Tresca, a sentirsi una di Torre Tresca sino alle viscere. Cos era tutta la notte, ma poi nalmente si poteva capire pure dentro quel miserabile cafrchio che fuori era cominciato il d. Immediatamente Palmin, in fretta e furia, si alzava senza fare rumore, si vestiva senza discetare quelle anime del diavolo che dormivano dentro la camera sua, attraversava con le scarpe in mano il corridoio dove grufuavano lattano e la mamma sopra due brande separate, una contro il muro di destra e laltra contro il muro di sinistra, apriva e chiudeva adscio adscio la porta e fusceva. Ogni notte, ogni matina. Ma quando oltrepassava quellultima catapecchia, cos scafuata che Palmin non aveva mai capito come facesse a tenersi allinpiedi, era una liberazione. Diventava unaltra cristiana. E non tanto per la residuata ai capelli e per il fulr, che certo la parte loro la facevano. Ma soprattutto in capa, dentro il core, dentro le gambe si sentiva proprio unaltruna. Una normale. O quasi. Pareva un marchio per quelli di Torre Tresca: erano tutti sgobbati, curvati, con la capa che pendeva, mo da qua e mo da l, come un batacchio senza campana. Pure lei, Palmin, a Torre Tresca caminava cos. Ma, appena superava quella fetente di ultima casa di Torre Tresca, era come se la schiena le si drizzasse. Le gambe diventavano leggere leggere. E alzava il passo, non tanto per scire pi veloce ma praticamente per ballare caminando con il ritmo della canzone: Oh, bella piccinina/ che passi ogni mattina/ sgambettando allegra fra la gente... E sentiva che pure la pelle della faccia le si stendeva, diventava liscia liscia. Gli occhi le si aprivano, diventavano grandi grandi. Quanti profumi, improvvisamente, attorno a lei (segno che pure il naso, sino a quel momento, se ne era stato spontaneamente tappato, per non disturbarsi con tutti quegli addori, diciamo cos, tipici di Torre Tresca). I ori, la mentuc149

cia, lamore del mare che si faceva sentire arrivando parete parete per il canalone e poi, dopo il passaggio a livello di via Brigata Regina, il fumo del treno, gli zoccoli di un cavallo ferrati a caldo, la vernice spruzzata dentro le carrozzerie, la cacca gialla dei cavalli delle carrozze che se la lavano matina matina al camposanto portandovi le fmmene pi fresche di vduanza e quindi ancora vergognose di farsi vedere a piedi tutte vestite di nero e con il mazzo di ori in mano... E poi laddore della strata bagnata dalle pompe della macchina degli spazzini modernizzati, la segatura gettata dal portinaro della Signora per asciugare (dopo il lavaggio) il pavimento del portone e dei pianerottoli, lolio dato da poco agli stipiti dellascensore e quel profumo di latte caldo e di caf bollente che proveniva dalla porta della Signora... Palmin di Torre Tresca sonava il campanello, diceva bongiorno in italiano, si chiudeva dentro lo stanzino e si metteva la veste sua. Anzi, a piacere, una delle quattro vesti che le aveva regalato la Signora e che lei, nonostante le insistenze, non aveva mai voluto portare a Torre Tresca. Un poco per rispetto di quegli animali senza vestiti che stavano a Torre Tresca, un poco per non apparire con loro troppo sprofumosa ma un poco pure per dispetto. Forse soprattutto per dispetto e per staccare con quel mondo che le dava solo incubi di notte e, improvvisamente, pidocchi il d. Eh s, non passava d che due o tre pidocchi, da una delle mille tane loro nascoste dentro il sottobosco dei capelli, non se ne venissero a fare una passeggiata attorno al collo di Palmin o addirittura ai bordi del colletto della cammisedda. Che vergogna, che scorno. Hai voglia a trattarti la capa ogni d col pettinino stretto, a gettare dentro il cesso a decine e decine quei maledetti. Chiss come, chiss da dove, spuntavano sempre fuori quando meno te laspettavi. Appena poteva, Palmin stava sempre a mirarsi innanzi allo specchio e cos, molte volte, lo smicciava lei il pidocchio, lo arrestava con un pizzico prima che si nascondesse chiss dove e lo gettava vivo dentro il cesso, tirando la catena, perch le faceva 150

schifo accderlo tra le unghie come facevano tutti quei mangiammerda di Torre Tresca che gareggiavano a chi laccideva pi grosso e poi manco si lavavano e se ne stavano tutto il d con le unghie lorde di quel sangue schifoso. Era terribile quando il pidocchio sopra il collo ce lo vedevano gli altri. Se era la Signora, almeno, lei si limitava a squadrarla zittazitta, con gli occhi di rimprovero e di schifo. Palmin capiva, diventava rossa rossa come un paperusso (nominati cos nonostante che i peperoni, oltre che rossi, sono pure verdi e gialli) e fusceva dentro il bagno, si liberava di quella bestia disonorevole e ricompariva dopo un quarto dora, il tempo di farsi passare il rosso dalla faccia. Ma se erano i piccininni della Signora ad adocchiare quel punto nero disgustoso che caminava sopra il collo della serva, allora era proprio un guaio. Quei due gli di ndrcchia si mettevano a gridare per tutta la casa: Palmin tene il pidocchio! Palmin tene il pidocchio! E tutti venivano a conoscenza del fatto vergognoso. Il peggio capitava col Professore. Quando era lui ad avvertrsene del pidocchio, per esempio mentre Palmin lo serviva a tavola o gli portava le scarpe puliziate in camera, almeno per una semana poi non la voleva manco vedere. E Palmin sapeva che, quei d, la Signora faceva la guerra col marito per convincerlo del fatto che, per un pidocchio, non si poteva cacciare di casa quella uagnedda che era cos apposto, onesta manco a dirlo e zittazitta, e che sapeva lavare e stirare cos bene. Dove la potevano pigliare unaltra che non ti combinava guai, non ti rubava nulla e non contava in mezzo alla piazza come facevano le altre serve tutte le cose che succedevano dentro le case dei signori? Quando il Professore aveva queste crisi era proprio un guaio, non solo per la vergogna e per il rischio di essere cacciata da quella bella casa (dove lavrebbe scovata pi, Palmin, una Signora cos buona e rispettosa, che manco ti faceva sentire di essere una serva?). Difatti quelle sere il Professore, per punizione, non laccompagnava con la macchina a casa, 151

come faceva sempre, venendola a scaricare proprio innanzi alla prima catapecchia di Torre Tresca. Allora o Palmin se ne tornava piede piede, ma anticipando a moversi prima che venisse scuro o la veniva a ritirare il marito con la bicicletta. Lui, il marito, non era contento di assrsene da Torre Tresca e di farsi poi tutto quel viaggio di ritorno con la mogliera sopra la canna. Ma certe volte era proprio costretto e, farfugliando giaculatorie da glio del diavolo, landava a caricare dal Professore e la scaricava a casa. E non ci stavano solo i pidocchi a rivelare, a chi non lo sapesse, che Palmin non era propriamente una signora. Ci stava pure quellaltro fatto: il fatto che si sputava sempre dentro le mani e poi se le stronava, come a lavarsele. Non lo faceva nessuno di quelli che conosceva: n quelli di Torre Tresca, che le mani le tenevano sempre lorde e non se ne preoccupavano per nulla, n quelli della casa del Professore che, quando simbrattavano pure un poco poco le manine, correvano a sciacquarsele sotto il rubinetto e qualche volta persino a lavarsele con la saponetta. Del resto, non che Palmin si sputacchiasse e si stronasse le mani quando erano lorde. No. Rispetto alla lordura, faceva come gli altri: se stava a Torre Tresca non ci pensava nemmeno, n si sputava n si lavava, e le mani rimanevano asciutte e lorde; se stava invece a casa della Signora, si chiudeva dentro il bagno e si lavava, con acqua e saponetta. Il fatto che Palmin si sputava o, pi semplicemente, si bagnava le mani di sputo passandosele vicino alla bocca e facendovi colare dentro lo sputo sempre e solamente a casa della Signora e quando aveva da tenere afforza le mani puliziate. N a lei stessa quel vizio pareva assomigliante a quello dei vastasi che, prima di pigliare tra le mani un peso da caricare sopra le spalle, in effetti le mani se le sputazzano, forse per aumentarne la capacit di presa o, cos, per szio di categoria. E allora perch lei, invece, teneva questo brutto vizio? Non se lo spiegava proprio. Non era per lavarsi. Non era 152

per un vizio di vastasa, perch allora si sarebbe sputacchiata pure quando pigliava qualcheccosa di pesante in mano a Torre Tresca. Lei invece si sputacchiava solo in casa della Signora, solo quando teneva le mani pulite e, per completare il quadro, non lo faceva nemmeno quando aveva da pigliare qualcheccosa di pesante o pure semplicemente qualcheccosa in mano. No. Si sputacchiava cos, tanto per farlo, appena stava sola ed era sicura che nessuno la vedeva. Sputt faceva con la bocca e si stronava le mani, sino a fare scomparire ogni traccia di schiuma di sputo. Per le rimaneva attorno non solo attorno alle mani, ma addirittura dentro tutta la stanza dove lei stava ferma pi di due minuti un addore forte forte, diciamo una puzza, che neppure a lei piaceva. Figuriamoci agli altri. E allora, perch lo faceva? Una volta aveva avuto una sensazione: era come se quelle mani, che pure parevano pulite, le ricordassero Torre Tresca, come se le rappresentassero quello che era il mondo suo veramente, quello che era lei. Ed era come se gli volesse dare una punizione a quel mondo e a se stessa, a quella Palmin, come se si volesse fare uno sfregio. E cos si sputava (in effetti un segnale di sfregio, di schifo e, dato che veniva lanciato contro se stessa, pure di disperazione). Ogni volta, appena la vedeva, la Signora le addorava le mani e, sentendo la puzza dello sputo, le gridava appresso che non aveva da fare sapere afforza a tutti che era di Torre Tresca e le ordinava di lavarsi le mani con lacqua del rubinetto e la saponetta. Palmin naturalmente non teneva il coraggio di rispondere alla Signora che quelli di Torre Tresca non si sputazzavano mai sopra le mani semmai ti sputavano in faccia a te e fusceva rossa rossa al bagno per lavarsi. Ma poi non resisteva alla tentazione di sputarsi unaltra volta dentro le mani. Cos, tempo una mezzoretta, appena si vedeva sola lo faceva unaltra volta. Ma la Signora oramai la conosceva e perci, appena la rivedeva, le ordinava di aprire le mani, ce le addorava, faceva la faccia schifata e la mandava dritta dentro il bagno per lavarsi. 153

Per il resto Palmin, quando stava in via PrincipAmed, non pareva proprio di Torre Tresca. Tutti la rispettavano: dal portinaro al fruttaiuolo, dal vicciere al formaggiaro, dallo scarparo al droghiere, dal pesciaiuolo al molaforbici, da Piripcchio che veniva sotto il balcone con il sarmonicistatrombettista-iazzbannista a fare Sciarlot per buscarsi la giornata allacconzaombrelli, dallacconzapiatti, allacconzacaldare E tutti rimanevano meravigliati quando scoprivano che, invece, era di Torre Tresca. Mentre caminavano insieme, non che Palmin dicette a Iangiuasand tutte queste cose, ch nemmeno se le sapeva lei stessa tutte quante, ma quello che sentette e quello che vedette bast per far crescere dentro la capa della signorinedda di via Mirenghi lo schifo e la pavura per ci che lei stessa stava per diventare, appunto una di Torre Tresca. Niente di pi facile che quello scapocchione di Cilluzz proprio l avesse intenzione di portarla ad abitare, dalla ziana. Meno male che me ne so fusciuta: mo torno a casa di mamma pensava Iangiuasand, alzando il passo, e mi faccio apperdonare. Quanti passi che facette quella matina Iangiuasand, prima con Palmin e poi, dallaltezza di via PrincipAmed, sola sola! Ma si sentiva liberata, leggera: le pareva di volare. Tutta quella strata che aveva fatto allandata in carrozza un viaggio che pareva non nire mai al ritorno, a piedi, manco se ne avvertette che laveva fatta tutta ed era gi arrivata innanzi alla porta di casa, di casa sua. La vedette accostata la porta. Spingette il battente e si scoprette ssata da dieci occhi che non volevano credere a quello che vedevano. Tutto si aspettavano quella matina, Donna Sabbedd e i quattro gli suoi con la capa apposto, fuorch di rivedere quella sfacciata di Iangiuasand. Il primo a ripigliarsi fu Diador: Sapimo tutto. Ce lha detto Fin. Mo il posto tuo non pi qua, ma ncasa di marteto. Addov lui? E tu che vuoi, mo? Sei venuta a ritirare i vestiti? Nisciuna preoccupazione! te li ammandamo noi. Ma questa non pi casa tua. Esci, sgualdrina! 154

Donna Sabbedd scatt come un bersagliere per scirsi a chiudere dentro la camera sua a chingere, seguita da Bellnia. Diopold, che si era preoccupato a vedere quella scalognata sora sua piccinonna cos bianca bianca e cos disorientata, si precipit dentro la cucina per servirle un bicchiere di acqua. Fin la ssava impietrita: aveva passato tutta la notte in bianco, con quella espressione terrorizzata e avvilita stampata sopra la faccia. Diador precis, per chiarire sino in fondo il disastro fatto da Iangiuasand: Sto ad arrischiare di essere allicenziato dalla fatica, per colpa tua, stamatina. Pure Iangiuasand scatt per raggiungere Donna Sabbedd, che stava stesa sopra il letto, con la faccia contro limbottita rosa, mentre la spallaccia Bellnia cercava di confortarla. Non lo faccio pi, mamma grid Iangiuasand, forse sinceramente pentita. Non lo faccio pi. Non assuccesso nulla. Checcosa non fasci pi, brutta spudorata? avette un sussulto Donna Sabbedd. E che ha dassuccdere di pi di quello che gi assuccesso, disgrazia della casa nostra? Si era gi ripigliata dalla depressione. Agguant la glia fusciuta e se la trascin fuori di casa, fuori dal portone, fuori da via Mirenghi, mentre Iangiuasand gridava: Taggiuro, mamma, taggiuro: non assuccesso nulla, non mi ha manco tuccuata, so ancora sana sana accome mi facesti tu. Ma la mamma manco la stava a sentire: da quella glia sua aveva sopportato tutto il dolore del mondo, sin dalla morte prematura del marito suo, adorato come un santo e forte come una roccia. Lo sapeva da sempre che lavrebbe pure disonorata. Non ci stava nullaltro da fare che rassegnarsi al destino. Pigghitevela dicette appena arrivarono innanzi alla pescheria di Martem. Lei lo ha voluto, lui se la godette e pace allanima vostra. Donna Sabbedd abbandon la scena come una furia e Iangiuasand si sentette sola e abbandonata in mezzo a una strata. Di pi: prigioniera dentro quella casa. 155

Quando erano arrivate, Martem Cioladoro, appoggiandosi al bastone, si stava appuntando la brachetta, lasciando come al solito un bottone fuori dallocchietto, non si sa se solo per sbulinatezza o per malizia. Perci, quando era asseduto, in genere si vedeva il bianco giallastro delle mutande di lana e, qualche volta, sintravvedeva pure la grande ciola che era il vanto suo da giovane e, da vecchio zoppo, lorgoglio suo. Per chiarezza, c da dire che la ciola un aciddo, un uccello, in tutti i sensi: dalla ciaula, la gazza, gzzera o cecca cantata dai napoletani, alla cornacchia, corvo nero o tccola della Puglia, dove si conta ai piccininni pure di un aciddo fantastico con questo nome che li spia quando fanno le cose brutte. Ma se Martem lo avevano soprannominato Cioladoro non era certamente per riferirsi a un aciddo volante, ma proprio a una delle tre gambe sue, come dicevano i uagnuni: quella che sta in mezzo. Ma ci sono forse altre due parole, spagnole, allorigine della ciola dei baresi come Martem, oltre alluccellone pulo-napoletano: chulla, che signica fetta di prosciutto (probabilmente per via della forma del prosciutto non ancora affettato) e soprattutto chullo, che tradotto dal vocabolario italiano sta per drudo e nel vocabolario della vita indica lamico fedele, lamante dissoluto, il ganzo vizioso... con quella sorta di strumento che Martem aveva convinto Taratt, che imparava da monaca dentro un convento di Barivecchia, a lasciare sorelle e badessa e a farsi impalmare da quellarmadio dmmeno che tutti conoscevano come grande faticatore e grande puttaniere. Era stato pure in galera, e se ne vantava, per una storia di fmmene: aveva inseguito con un rasoio sin sotto il letto di casa facendogli in faccia lo sfregio di Gano di Maganza uno della stessa et sua che si era permesso di dire una parola gentilmente intenzionata a una che si teneva lui. Solo un albero di barca, spiantato in mezzo al mare da una brutta tempesta e precipittogli sopra la gamba, aveva spezzato la carriera di quel marinaro, dotato di robustezza e di carattere, sempre il primo a lanciarsi, ad 156

avvertire, a calatafare, a scaricare, a tirare di cazzotti e a scire a vizi. Allora era diventato marinaro di terra, un pesciaiuolo. Della vecchia, bella vita gli erano rimasti due brutti segni: la gamba strepiata e la silide. Cos Taratt, monaca e vergine, dal grande aciddo di Martem fu smonacata e impestata. E non si era pentita mai di quella scelta: lui faceva un poco il galletto, ma quella gamba sempre tesa lo inchiodava a starsene asseduto tutto il d, afanco alla mostra delle cozze e del baccal e, quando cera, del pesce. Qualche volta Taratt lo sapeva il marito si faceva portare in casa di qualche puttana a fare le cose sporche. Ma lei era una fmmena di chiesa, certe cose non poteva farle ed era giusto che un mscuo ogni tanto si sfuasse con qualche povera fmmena che praticava quel mestiere per guadagnarsi la zuppetedda. Per il resto, Martem la rispettava veramente: anzi, la fede della mogliera per Dio, Gesuccristo Redentore e la Madonna lo metteva un poco in soggezione. Sentiva istintivamente che quella fmmena teneva dentro qualcheccosa di pi forte e di pi importante di tutto quello che lui era in grado pure solo dimmaginare. E poi, le puttane erano lunico svago di quellmmeno vigoroso ridotto a vecchio strepiato, insieme alle reti e alle partite della squadra biancorossa. Faceva e riparava reti: da pesca per i marinari e da porta per i giuocatori di pallone. Le faceva sopra il marciapiede, afanco alla pescheria o, se il sole era l, sopra il marciapiede faccia in fronte. Qualche volta, gli toccava riparare le reti doverano, al posto loro: al lungomare, vicino alle barche o sopra qualche campo sportivo. Ve lo portava con la bicicletta quel bravo uagnone di Uelin il Provolone. Lui si assedeva sopra la canna e Uelin si metteva a pedalare come un ciccio di fatica, facendosi venire i muscoli di Ercole alle gambe Quando Iangiuasand fu scaricata dalla mamma dentro la pescheria che mo diventava casa sua, Cilluzz non era ancora rientrato dalla casa di Zi Tares. E, mentre Martem levava il baccal dallacqua col bianchetto e lo sciacquava, 157

Iangiuasand avette agio di conoscere subito e veramente Taratt, che da allora, per anni, fu per lei lunico, pure se inadeguato conforto. Fgghia mia bella le dicette la suocera, che suocera oramai le era, noi simo dentro a una valle di lagrime. Dio ha da mettere alla prova la fede tua. Hai dassoffrire, ma adddica alla Madonna tutto il dolore che hai da provare. Statti citta se tapprvocano o taccolpscono, abbuzzisci, prega, prega sempre. Accos hai da raggiungere la pace con te stessa e con Ges, che dentro al core tuo. E poi, aqquando ha da essere il momento, hai da salire su, dentro al regno dei cieli, accanto a Lui e alla Madonna. Taratt diceva cose sottomesse, usava un linguaggio supplichevole e aveva un tono morticato che normalmente avrebbero fatto imbestialire Iangiuasand, tutta il contrario come carattere, ma la faccia e gli occhi di Taratt erano talmente sinceri che le apparttero, quel d e poi dentro gli anni a venire, sopportabili, quasi convincenti, di certo un momento di sostegno e qualche volta di sollievo. Iangiuasand sbirci attorno. La pescheria era grande, con le vaschette per il baccal, il banco di marmo e, appoggiati al muro, i cavalletti e le tavole che servivano per la mostra innanzi e ai lati della porta sopra il marciapiede. Dreto la pescheria, la cucina provvista di tavolo per mangiare, fornello, buff e qualche seggia, con lo sgabuzzino del cesso. Dreto la cucina, un camerone tagliato a met fra zona d, con la branda di Cilluzz e il tavolo da ricamo di Iann la Matta, e zona notte, con il letto matrimoniale. E in alto, una specie di mezzanino, doverano sistemate le due brande delle uagnedde, che sovrastava sia la zona d che la zona notte. Una tendina scendeva dal softto al pavimento del mezzanino per staccare, per quanto possibile, il mondo innocente di Mar e Iann dalloscuro regno notturno dove dominava la notoria ciola doro di Martem.

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puzze e mazzate Iangiuasand scoprette subito che quella era, s, una valle di lagrime, di mazzate e di morticazioni, ma soprattutto di puzze, di eti, di addori forti, di profumi allammerso, di aromi di remmato e di esalazioni che ti facevano svenire se non ci eri abituato. Soltanto a fare lelenco di quelle fragranze puzzolenti, ci vorrebbe una semana: il priso pieno di schifezze che nessuno svacava mai prima di sera, gli zampilli di pisciaturo sopra il muro dello stanzino del cesso, la lordura che nessuno puliziava sopra il pavimento della casa perch le spruzzate di acqua si fermavano al negozio, il fetore di chiuso dentro quelle due camere che pure stavano sempre aperte, i tan di robba da mangiare inacidita, le muffe di tutti i tipi, le incrostrazioni annuali di sudore sotto le ascelle e sopra il collo per non parlare del resto, i miasmi di viscere rinfrescate solo una volta al mese dalla magnesia San Pellegrino, le puzzolenze che non si capiva mai se fossero di animali morti o di pesce affetisciuto o di ricotta ascuante, i ati pesanti che ti dicevano chiaramente che sarebbero passate almeno altre due generazioni prima che a qualche uno di quegli sposseduti gli capitasse casualmente tra le mani uno spazzolino per i denti, cercando qualche altra cosa, sopra uno stglio fuorimano della drogheria Carofglio... Senza contare le conseguenze per il naso e per lo stomaco, oltre che per le rcchie, di ppiti, strazzaculi, loffe, scorregge e puzzette che erano rispettivamente le cinque specialit di ognuno dei cinque gli di Dio che abitavano in quella casa in ordine di et, a cominciare dal pi grande per nire alle due pi piccinonne quando si liberavano gli intestini dei gas e delle tempeste. Ma Iangiuasand simpression, in particolare, per la ca159

pacit di penetrazione, compenetrazione e irremovibilit della puzza di formaggio dei piedi. Ne aveva sentito parlare da Diador. Certe volte al diurno si presentavano poveri cristiani che non si lavavano da mesi, qualche uno da anni e, quando si slavano i calzetti, il frate grande quasi sveniva e scopriva, parlando con decenza, piedi talmente lordi da parere neri di natura con qualche scarsa venatura bianca o grigia. E Diador concludeva sempre alla stessa maniera: Ma quella puzza di formaggio dei piedi una cosa che non si pote addescrvere. O la si sente o non ci si accrede. A casa di Donna Sabbedd, invece, tutti si lavavano ogni matina i piedi dentro il bacile e le ascelle sopra il lavandino della cucina. Eppure a Iangiuasandin un lo di addore di formaggio dei piedi era arrivato, qualche volta, dal secchio della robba sporca, prima che Bellnia la lavasse: veniva propriamente dai calzetti di Diopold. E Iangiuasandin, linnocente, credeva che fosse quella la puzza di formaggio dei piedi. Ma in effetti non aveva avuto mai la minima idea della vera e propria puzza di formaggio dei piedi, prima di trasire in casa di Martem. Qua quella peste era praticamente stampata sopra i vestiti, i calzetti e le lenzuola, che pure venivano lavate una volta ogni tre mesi col sapone giallo e una volta allanno bolliti. E quello che feteva pi di tutti ai piedi, forse per via di quellangolazione alle dieci-e-dieci, chiss, era proprio Cilluzz, che per conto suo non aveva la minima idea di quella che era una casa senza puzza di formaggio dei piedi. E perci non ci faceva manco caso. Per lui, quello era laddore della casa. Lunica a sentire un poco, ma solo un poco, la differenza fra una vita con la puzza di formaggio dei piedi e una senza, era Mar, per via dei pomeriggi che passava fuoricasa, dalla sarta. Iann, invece, stava praticamente sempre in casa e manco immaginava che si potesse respirare unaria diversa da quella. 160

Quella puzza era la cosa pi naturale di questo mondo pure per Taratt, che per avrebbe potuto vantare (ma non lo faceva, riservata e semplice comera) piedi che addorvano, chiss come, addirittura di rose. Si trattava dello stesso addore che gettava fuori dalla bocca quando diceva il rosario, non sapendo neppure lei alcunch dellinvenzione e dellesistenza dello spazzolino per i denti. Da dove veniva quelladdore di rose? un segno di Dio spiegava a tutti il parroco del Redentore, Taratt una santa! Accome vi spiegate che sape il rosario in latino mgghio di me, che pure vengo dal seminario? E tutta quella scienza ortopedica, daddove accredete che vene? Dal Policlinico certamente no. Vene da Dio. Il latino spontaneo, la scienza infusa e laddore incorporato vneno tutte tre da Dio! Non c quindi da meravigliarsi se ci stava chi la trattava, gi da viva, come se fosse la Madonna addolorata. Dal cielo, quindi, cera evidentemente chi provvedeva, senza che lei se ne avvertisse per ringraziarla delle tante messe, dei rosari giornalieri, del bene che faceva ai cristiani e dellesempio di bont che dava a tutti i parrocchiani a puliziarla e a spruzzarla di profumo di rose. Primo, perch con tutta quella massa di lardo, quando mai si sarebbe potuta lavare da sola, la poveredda? Secondo, per non far fare una brutta gura a Nostro Signore Gesuccristo, che non poteva certo mandare da qua e da l a rappresentarlo una vecchia lardosa che spurgasse, fra le altre, puzza di formaggio dei piedi. Passando a Martem c da dire che, un d s e uno no, si faceva fare ai piedi e alle gambe le stronazioni con acqua di mare: era un giovanotto appena strepiato quando qualche uno gli aveva detto che un marinaro senza mare poteva sanare da tutte le malatie se si stronava, un d s e uno no, con lacqua di mare. Perci lui, Martem, pure se involontariamente, la puzza di formaggio ai piedi non la teneva. E comunque non lavrebbe sentita per via della prevalenza delladdore di creappolo un eto peraltro notoriamente 161

dominante emanato permanentemente dalle mutande sue stesse, dai calzoni e dal letto matrimoniale, che certe volte, destate, era unimpestatura per laria di tutto il quartiere e, a un naso no, avrebbe detto qualcheccosa pure dal giardino Garibaldi. E la puzza delle zccane, dentro quella casa? Anzi le puzze: quella delle zccane vive e quella delle zccane morte. Eh s, i signori che non hanno esperienza di zccane in casa di zccane a quattro zampe, sintende credono che i sorci fteno solo da morti, magari stesi sotto il sole, con le mosche che ci vanno a sfottere lentrame. E invece no: esiste laddore di zccana viva, che tu la senti che ci sta e che si move da qua e da l pure se non fa manco un rumore o un frusco, che tu capisci da quellesalazione che ti sta a spiare per non essere agguantata, che ti tiene discetato la notte terrorizzandoti senza bisogno di fare squit-squit ma solo con quelladdore suo come si pu dire? di morte, di falsit e dinganno. Un addore che assomiglia alla pavura che ti fa unombra nera che improvvisamente ti pu dare una pugnalata alla schiena. Una presenza inaspettata, misteriosa e che sai violenta, dentro una camera alloscuro. Insomma, la zccana viva tiene un addore terribile e inconfondibile, come impar subito quella signorinedda di Iangiuasand dentro la seconda casa della vita sua. Se avevi la fortuna di catturarne viva una di quelle bestie, con la gabbietta e il pezzo di formaggio, facevi subito ad annecarla, gabbietta e tutta, tenendola calata dentro un secchio di acqua e a scaricarla morta vicino a qualche cumulo di remmato, allo spunto della strata. Ma se uno di quegli animali schifosi mangiava il veleno e si trascinava a gettare lultimo respiro chiss dove, era destino startene per tutto il d, per d e d, con la puzza di putrefazione. Una tortura che niva relativamente subito, se capitava che quella zccana stendeva le zampe dentro un pertuso individuabile e raggiungibile. Ma che non niva mai se il sorcio avvelenato si 162

faceva dare lestrema unzione dai compagnucci suoi dentro qualche tana segreta, dove i cadaveri di quella razza nociva di quattrozampe non li poteva acciuffare nessuno. E cos quella puzza schifosa la spicciava di avvelenarti la vita solo dopo tre a quattro semane, quando scoprivi, insieme, che ti eri abituato a respirarla senza avvertrtene e che chiss come e perch si era dispersa. E se le zccane, pur facendosi sentire ogni notte e rosicandosi ogni d qualcheccosa dentro la credenza, si vedevano diciamo - una volta alla semana, invece i pidocchi, che ringraziando il cielo almeno non puzzano, tenevano sostenute quelle pettinature in permanenza, facendosi vedere e rivedere durante la giornata. Pare strano a dirlo, mo che siamo diventati tutti signori mbe, proprio tutti signori no, diciamo la maggioranza ma allora i pidocchi erano pure uno spassatempo, dentro quelle giornate tutte uguali. Se te ne capitavano due o tre allimprovviso sopra il collo o lindividuavi sopra il cuscino o sopra una cammisa, era quasi una soddisfazione farli schiattare fra le unghie dei due pollici e avvicinare la rcchia per accertarti distintamente che facevano trach. E ti sentivi poi proprio appagato quando ti passavi il pettinino bianco, che era fatto apposta con i denti stretti da una banda e quelli stretti stretti dallaltra, per catturare pure i pidocchi pi piccinunni (un pettinino di questo tipo lo trovavi immancabilmente sopra il primo stglio a destra, sia da Momen della Mercer sia alla drogheria Carofglio). Alla ne delloperazione, dopo una decina di passate con la dentatura pi allentata e una decina con la dentatura pi densa, facendo tanti trach, uno dreto laltro, di pidocchi non ne catturavi pi. E ti potevi godere la bella sensazione di averli eliminati tutti, nonostante che ricordassi perfettamente che il d prima avevi avuto la stessa impressione e pur sapendo gi che il d dopo ti saresti levato ancora lo szio di scazzarne a decine. Insomma, sapevi che quella dentatura di pettinino, stretta stretta quanto vuoi, 163

di ova di pidocchi non se ne trascinava appresso nemmeno uno, ma ti volevi convincere lo stesso che quella battaglia quotidiana aveva da essere combattuta e valeva la pena di essere combattuta. Del resto, la fascia centrale di quel pettinino, larga larga e liscia liscia, pareva servire proprio a questo, a permettere lo scazzamento agevole di quelle belve nere. E poi, non era forse bianco bianco proprio per questo, per individuarle meglio e pure per scazzarle con precisione? Comunque, scazzati e pistrigghiati tra le unghie dei due pollici o scazzati e pistrigghiati con una sola unghia sopra la fascia centrale del pettinino stretto, quel trach-e-trach era una soddisfazione, un giuoco che non costava nulla, un piacere che ti potevi pigliare da solo tra un pensiero e laltro o, in compagnia, fra una chiacchiera e laltra. Tanto che da uagnungiddo ti dispiacevi pure quando mmmeta, scoprendo preoccupata che il pettinino tratteneva non due o tre pidocchi a passata ma intere cavallerie, decideva di darti una bella spruzzata di it in capa. Bastava per che ci pensavi un momento e ti ricordavi che quel it ne accideva, s, di pidocchi, ma non li sterminava completamente: perci, dopo una o al massimo due semane potevi ricominciare con quellarricreante trach-e-trach... Non che i pidocchi a Iangiuasand si rivelarono improvvisamente, per la prima volta, dentro la casa della famiglia di Cilluzz. Ma c da dire che un poco per la pulizia generale che regnava dentro la casa di Donna Sabbedd, un poco per la superiorit del diditt rispetto al it e soprattutto grazie a Diador, che mana mano che saliva di grado allalbergo diurno diventava signore e pretendeva che pure la famiglia sua fosse allaltezza della carriera e della stessa pulizia sua dentro la casa di signorina di Iangiuasand di pidocchi se ne vedevano pochi. E comunque non rappresentavano n ragione di vanto n un giuocariddo, anzi una vergogna. Chi si faceva pizzicare con un pidocchio addosso, era chiamato e trattato da porco. Perci, se ti capitava la disgrazia di vedertene uno sopra il collo e poteva capitare a tutti, pure a 164

Diador ti vergognavi, correvi a nasconderti dentro il cesso e, senza farti vedere da nessuno, nemmeno da mmmeta o da sreta, ti levavi quel disonore. Di una cosa Iangiuasand non si capacit mai, nonostante che pure in capa a lei, mana mano che rimaneva dentro quella casa di via Modugno, i pidocchi aumentassero di numero, di proporzione e di vivacit, angustiandola, umiliandola e costringendola a lavarsi i capelli addirittura ogni mese: quei porci di Cioladoro e dei parenti e dei lavoranti suoi non si scandalizzavano n si preoccupavano per tutti quei pidocchi che si portavano appresso. Anzi ci giuocavano, si contavano volentieri uno con laltro i risultati delle passate di pettinino fatte a casa, si vedevano e si grattavano in capa uno con laltro, se li tiravano appresso per scherzo e se ne vantavano pure... Ma dentro quella vallata di puzze che, annusate una alla volta, forse ti avrebbero levato il respiro ma che tutte insieme era come se ti sintrufolassero dentro i polmoni e le ossa e tu diventavi tuttuno con loro e con la casa che le conteneva e se ne impregnava, e alla ne non ti davano nemmeno pi fastidio, anzi... sopra tutte quelle puzze dominava incontrastato, quale re, papa e cardinale, laddore del baccal. Un tuttuno con mobili, matarazzi, coperte, lenzuola, cuscini, asciugamani, stronacci, vestiti, scarpe e fazzoletti. Il pane? Pareva trombato con il baccal. Ti bevevi un bicchiere di acqua e ti sentivi sciuare dentro il cannarile quel sapore disgustoso. Ed era inutile lavarli i calzoni, le gonne, i maglioni, i cappotti, le mutande, le canottiere e le maglie della salute: erano fatti oramai di cotone e addore di baccal, di percalle e addore di baccal, di lino e addore di baccal, di lana e addore di baccal. Poi, passavano mesi prima che arrivasse il tempo di lavarli. E nessuno li avrebbe gettati sino a quando non si fossero letteralmente strutti e strazzati: non cera nessuno che li rammendasse come dentro le altre case. Iann? Che centra, lei ricamava. E Mar? Sarta na. Mica potevano perdere il tempo a rappezzare scuciture e strazzature! 165

Una vita di animali, insomma. Una vita lorda e vacante. Senza impegni e senza passioni. Senza allegria e senza risa. Senza sentimenti e senza nulla. Ci si alzava la matina e, quando arrivava la sera, non rimaneva alcuna memoria di quello che era stato fatto durante la giornata. Sei persone che giravano a vuoto, che sopravvivevano, che ripetevano le stesse cose e si scangiavano le stesse parole una ventina al pi ogni d. Un vecchio paralizzato, in fondo in fondo sazio di quella vita senza senso; una santa fmmena inacchita dalla pesantezza della carne sua propria e dallignoranza; due uagnedde infastidite, stranite; uno smidollato senza nemmeno lombra di una determinazione o di unidea della vita, e lei, Iangiuasand, una capa pi tosta della pietra, capricciosa ma pure addolorata, piena di energie eppure abbattuta da una specie di dolore che neppure lei sapeva checcosa fosse e da dove venisse esattamente. Un dolore che si teneva dentro e, del resto, inimmaginabile per quella marmaglia di poveri cristi che, pi o meno abitualmente, frequentavano quelle sei anime sospese fra la miseria morale e il nulla. Due tipi di avvenimenti si sviluppavano parallelamente dentro quella casa durante la giornata, con intrecci che per non lasciavano tracce n dentro le persone n dentro i rapporti fra quella famiglia e il resto del mondo. Ci stavano le cose e i fatti del commercio comandati da Martem: il mercato allingrosso la matina subito, il ritorno con la robba accattata, la preparazione della mostra, le pesate, gli incassi e la chiusura, con la pompa che spruzzava acqua puliziando negozio e marciapiede. E ci stavano le cose e i fatti del mondo di Taratt: lavvicinamento lento lento alla chiesa del Redentore allalba, la messa, il ritorno faticoso faticoso a casa, il trambusto che succedeva quando arrivavano cristiani sofferenti e bisognosi di scrocchiamenti e stronazioni, la capera il pomeriggio e il rosario subito appresso. Qualche volta, quando la capera non poteva venire prima del rosario per pettinare Taratt, le due cose si facevano insieme. E cos lacconzaossa pi considerata da tutta la po166

polazione che passava le giornate fra il giardino Garibaldi e il camposanto in lunghezza, e fra il Redentore e via Napoli in larghezza, insomma lacconzaossa numero uno di tutto il quartiere e forse di tutto il paese nostro di allora, comandava certi d il rosario mentre la capera le scioglieva completamente i capelli che arrivavano sino in terra, le passava la pettinessa, le passava e ripassava il pettinino stretto per spidocchiarla quellanima di Dio, ce li allisciava lisci lisci quei capelli neri neri da madonna sconsolata e poi, piano piano, le rifaceva trecce e tuppo... E gli altri: Cilluzz, Iangiuasand, Mar la Grossa e Iann la Matta, checcosa facevano tutta la giornata? E chi lo sa! Nemmeno loro lo sapevano. Cilluzz si pigliava e non si pigliava il fastidio di scire al mercato generale, non serviva quasi mai i clienti, stava sempre al caf di Don Mingh a non far nulla e a regalare da bere a tutti, dormiva due o tre ore ogni pomeriggio, si faceva portare dal bar il caf con un sussurro di cogncch, diceva immancabilmente Io me ne vado e scompariva da casa. Qualche passeggiata a vuoto sino al lungomare, unocchiata attorno attorno senza interesse e poi rincasava. Le stesse cose Cilluzz continu a fare pure dopo larrivo di Iangiuasand dentro quella casa, con linserimento immediato di un paio di scazzi giornalieri che diventarono, d per d, sempre pi rumorosi e, per lei, sempre pi dolorosi. Vivevano insieme, dormivano dentro lo stesso letto, ma lei non voleva essere toccata e non voleva nemmeno parlargli. Praticamente non parlava quasi con nessuno, i primi tempi, perch non aveva ancora digerito la fusciuta di casa di cui si era pentita quella notte stessa e di conseguenza non voleva accettare la situazione dentro la quale si era messa e dalla quale voleva assolutamente assire ma non poteva assolutamente assire. Il carico da undici, poi, ce lo metteva la totale mancanza di carattere, di gentilezza e di fantasia di Cilluzz. Quella capatosta cocciuta, muta e sorda che non stava pi 167

dentro la casa da signorina e non vi poteva tornare pi ma proprio l voleva tornare, e non voleva stare dentro la casa di signorina fusciuta ma l stava e l era condannata a rimanere il glio di Martem non ce la faceva a pigliarla di autorit e non sapeva pigliarla con la dolcezza. Che gli rimaneva? Una sola strata: le mazzate. E mazzate le dava, appena poteva. Per Iangiuasand fu il periodo pi misterioso della vita sua: non seppe mai dire checcosa facesse, n checcosa avesse fatto dentro quei d, quei mesi. Un poco come succede ai uagnuni e pure a lei era gi successo una volta, da uagnedda, ai tempi di Zi Marisabbell che non sono pi piccininni e passano quegli anni strani dentro i quali pare che non facciano nulla, non pensino a nulla e non capiscano nulla, e poi, a buono a buono, te li vedi affamati di vita e curiosi di tutto. Solo che lei non stava a crescere: al contrario, stava a scire allandreto. Non si capiva verso checcosa, ma lei stessa aveva la sensazione di sprofondare, ogni d pi abbscio. Dentro la sporcizia e la miseria. Ma non dentro la miseria di tornesi, sia chiaro: la moneta l correva, pure assai. Dentro la miseria dei pensieri, dentro la mancanza di rispetto per gli altri (e per se stessi, che poi la stessa cosa)... Tu non hai sogni n ambizioni Iangiuasand grid una volta a Cilluzz, ripetendo una frase che aveva imparato a memoria da un libro damore lunico che aveva letto (riletto e straletto) sino ad allora ma le pareva sinceramente di pensarla cos a proposito delle giornate vacanti che si vivevano dentro quella casa fetosa. Cilluzz quella volta non le sganci subito un cazzotto, fermandosi e ssandola dentro gli occhi come a domandarle spiegazioni e, se si pu dire, lautorizzazione a colpirla. E lei spieg, alla maniera sua: Tu e i parenti tuoi non site accome agli altri cristiani, che affatcano per addiventare signori, che accombttono per scire nnanzi dentro alla vita, che da pesciaiuoli per esempio si danno da fare per addiventare grossisti, che mandano i fgghi alla scola per farli addiventare dottori, che mettono i tornesi sotto al mattone 168

per accattarsi una casa da cristiani. Voi appassate le scirnate a mangiare, a vendere e a dormire. Accome a tanti animali. A questa parola, animali, Cilluzz capette che Iangiuasand stava proprio a sfruguliare. Perci si sentette autorizzato ad allentarle il liscio-e-busso della giornata, e ce lo allent, gettandola in terra e avvertendo, come ogni pomeriggio: Io me ne vado. E tacchi, sbattendo la porta. Mar qualcheccosa in casa la faceva, il minimo indispensabile, e poi amoreggiava con Sepp, che ogni tanto scompariva per mesi seguendo qualche circo sapeva far mangiare le bestie, puliziava e dava una mano ai pagliacci un poco per scappare da casa e un poco per cercare la vita che evidentemente non gli davano n la famiglia sua n quella sposseduta di Mar. Una volta fu veduto da tutti, dato che il circo dove faticava arriv al paese e facette la slata per la strata. Lui stava asseduto nientedimeno che sopra un elefante. Quella volta era pittato da negro dAmerica, con un cappellino ridicoloso sopra il cheggheruzzo e una specie di tuta di trentamila colori. Quel santo dellattano, che poi era il meglio guarnimentaio di cavalli che fosse mai nato e stava sempre a capasotto quando faticava, aveva lasciato la bottega seccato e incuriosito da tutta quella quaquagna. Improvvisamente si vedette innanzi quella sorta di animale. Alz la capa e individu il glio, acconciato a quella maniera. Non voleva credere agli occhi suoi, ma tutti attorno attorno facevano con la capa e con gli occhi innanzi e ndreto fra lui e quel pagliaccio sopra lelefante, il pagliaccio adocchiava verso di lui, poi verso la gente e poi ancora verso di lui. E lui stesso ssava mo il pagliaccio mo i conoscenti dello stratone, mo il pagliaccio mo i coinquilini, mo il pagliaccio mo i piccininni che se la ridevano Insomma, il mondo si mettette a girare come una trottola attorno al povero guarnimentaio abituato alla calma della bottega sua che non avette pi dubbianza ad un certo punto sopra la sensazione che aveva avuto dal primo momento e che cio quel buffone 169

da quattrosoldi era proprio quello scapestrato di Sepp. Gli venette un mancamento a quel bravo cristiano, che cadette in terra azzoppando la capa. Un mese poi stette con la vergogna della capa fasciata, avendo da spiegare a tutti i calessieri clienti suoi checcosera successo... Sepp era lmmeno pi allegro, lunico mmeno allegro che circolasse dentro quel mondo di tristagnuoli e di capecalde. Teneva pure il grammofono a casa e una decina di dischi allegri allegri: Ma le gambe, ma le gambe a me piacciono di pi, la sarmonica di Peppino Principe, che poi era della provincia di Foggia, Arriva Cosimo con la chitarra in man (proprio lui, Cosimo Di Ceglie, paesano di Andria, emigrato a Milano per fare fortuna), Ho un sassolino nella scarpa pennellata da Natalino Otto, Op op trotta cavallino Quando Sepp ballava faceva ridere, un poco perch si moveva a tempo di musica cos elegantemente che pareva quasi un femmeniddo e un poco perch istintivamente, ad un certo punto, si metteva a fare proprio il pagliaccio. Ballava appena poteva e tentava sempre di convincere gli altri a farlo. Pure le fmmene cercava sempre di farle zompare con lui, non la sola Mar, e se le tirava in mezzo a una pista da ballo che esisteva solo dentro limmaginazione sua, facendole ridere e sbambarare. Lui lo faceva cos, per allegria e senza nessuna malizia, e ciononostante si guadagnava antipatie di ziti e malacera di mariti... Iann, invece, stava tutto il d a fare centrini, a ricamare fasciacuscini e pure lenzuola. Qualche volta si vasava dentro il portone di casa con Amblet, un cameriere che teneva le punte dei piedi ancora pi aperte di quelli di Cilluzz, quasi alle nove-e-un-quarto, ma che si buscava tante regale e un d sarebbe diventato proprietario di bar come quellmmeno con la capa sopra il collo di Don Mingh Chi cucinava dentro quella casa? E si cucinava? Probabilmente s, qualcheccosa in denitiva vi si mangiava. Beninteso, dentro cazzarole e tiani che non venivano lavati 170

per semane intere. Ma non ci stava nemmeno il posto per assedersi alla tavola, per fermarsi un momento a mangiare insieme. Una cosa sbrigativa sopra il fornello, qualche tubetto con le cozze, il suco con le brasciole la domenica, e sempre allinpiedi, chi qua e chi l, chi mo e chi dopo. E pi di una volta a semana si ricorreva al fornaro. Soprattutto per la debolezza numero uno di Cilluzz, cio la capuzza di agnello o la capa di cavallo, cervello e tutto. E la tiella di patate, riso e cozze, quando la si faceva, la si faceva grossa grossa in maniera che durasse almeno qualche d. Fredda assicuravano tutti era pure pi amorosa. La matina, appena discetate, le uagnedde a turno facevano una scappata al bar di Don Mingh, per accattarsi un quarto di latte bollito con lo zucchero. Era cos scarso il senso della casa e della famiglia l dentro, da impedire persino che ci si mettesse al fornello a bollire la matina il latte o, almeno, che si gettasse dentro il latte bollito da Don Mingh un poco di zucchero e lo si girasse con la cucchiara. Pure la sera, quando si alzava, Cilluzz ordinava sempre a qualche aiutante di scirgli a pigliare un caf col sussurro da Don Mingh. Nessuno che abbia mai preparato un caf dentro quella casa, dove forse manco ci stava la ciclatera. La colazione? il pranzo? Parole e concetti totalmente ignorati. La cena? E checcosa , robba che si mangia? Certo, ci stava pure il fatto che durante la giornata, specialmente il pomeriggio e la sera, si pizzuava sempre qualcheccosa sopra il bancone. Qualche cozza nera o pelosa e, quando cerano, un paio di polipetti. La ssazione di Iangiuasand erano le noci reali, quelle con la lingua rossa che si move, contrariamente a Cilluzz, al quale facevano tanta impressione e che per questo mai le mangi, mai le tocc e mai le vendette. E poi, ci stava sempre qualche szio che, tra una cosa e laltra, uno si gettava in bocca. Mo passava il carretto dei chi dIndia, mo si faceva vedere il cozzalo che vendeva fasci di ceciariddi, mo arrivava lmmeno dei gelsi rossi e te li metteva con una cucchiara dentro un piatto con 171

il suco rosso che colava da loro stessi, mo uno si faceva venire lidea di scire ad accattare una dozzina di gnomeriddi... Perci da Martem non si mangiava mai, a tavola, alle ore canoniche: si stava sempre a pizzuare, per tutta la giornata, e quindi a uno si spezzava la fame. E, quando arrivava la stagione loro, non si niva mai di affettare meloni. Non quelli di acqua, n quelli di pane, ma solo quelli gialli gialli, perch la debolezza numero due di Cilluzz erano perlappunto i sementi di melone giallo. Lui nemmeno lo toccava: n per tagliarlo n per frecrselo. Praticamente manco lo voleva vedere e per lui potevano pure gettarlo dentro la monnezza, spaccato in due o a fette. Pretendeva solo che venisse accattato, che gliene mettessero da una banda il core laccioso, che gli sciacquassero appunto i sementi e li mettessero ad asciugare. Solo a quel punto interveniva lui, facendoseli fuori tutti in mezza giornata. Ma una cosa certa e stracerta: ogni melone che faceva la comparsa sua dentro quella casa aveva da essere senza discussione giallo, di quelli gialli gialli da fuori e praticamente bianchi da dentro. Senza discussione? Iangiuasand non era proprio una che accetta unimposizione senza fare storie. Dire che le prime liti fra loro due furono sopra i meloni per dire una fesseria. Certo, prima di rassegnarsi ai meloni gialli lei prima mangiava solo meloni rossi, quelli con la scorza tutta verde che vengono da Brindisi ce ne furono di discussioni, occhi storciuti e chiazzate (che la traduzione letterale dellitaliano piazzate e pure quella sostanziale di chiassate). Ma liti e mazzate fra Iangiuasand e Cilluzz furono originate da cose ben pi serie dei sementi, del colore e del sapore dei meloni. E avttero conseguenze ben pi serie di qualche melone gettato in terra o lanciato appresso a qualche una. Quante volte Taratt, dentro quei mesi e quegli anni, si gett in mezzo a Cilluzz e Iangiuasand per spartirli, crollando volontariamente in terra con tutta la corporatura sua e 172

spaccandosi ogni volta le ginocchia (perci stava quasi sempre con i lividi e gli impacchi di acqua e acito). Alzava le braccia grosse grosse al cielo per pregare Signoriddio dilluminare il cervello di quel glio suo impetuoso e violento ma pure per impedire che i cazzotti e gli schiaffoni che lui allentava arrivassero sopra la faccia delicata di quella picciuedda, innocente ma sconsiderata, che si era incatenata per tutta la vita a un uagnone che di fatto manco conosceva. Supplicava il glio indemoniato di sfuarsi con lei: Accolpscimi a me, accolpscimi a me, ma piet per questa povera uagnedda. E roteando quegli occhi suoi, grandi grandi e acquosi, occhi forse tipici di quelli che soffrono di diabete e lei ne soffriva si voltava al cielo, come aveva visto mille volte sopra le gurine dei santi e supplicava Cristo di perdonarlo quellossesso del glio suo che non sape quello che fasce. E Cilluzz si frenava e non si frenava: si mangiava le mani dalla rggia, cercava di trattenersi da pigliare a palate pure la mamma, ma tentava comunque di assestare qualche colpo a quella uagnedda che praticamente gli era mogliera e, nonostante ci, non voleva abbasciare la capa. Iangiuasand, con la faccia abbottata e rossa rossa per le mazzate e con gli occhi neri neri come le malandre dei polipi, non gli dava nemmeno la soddisfazione di un grido di dolore o di una lagrima. Questo faceva imbestialire ancora di pi Cilluzz, e pi lui si aspettava che lei gridasse e chiangesse e pi lei stringeva i denti, inghiottendo le lagrime prima ancora che arrivassero agli occhi. Lo puntava dritto dritto in faccia quel quaqu che si permetteva di darle mazzate solo perch lui era mscuo e lei fmmena. E pi lei lo squadrava, sfottente, ridendo pure, con quella maniera provocante che una volta aveva veduto fare ad Alida Valli o mettendosi certe volte la mano a imbuto in bocca per dirgli che aveva abboccato pure stavolta il vienimimbocca, pi a Cilluzz saliva il sangue agli occhi. E quasi ogni d lAcconzaossa si pigliava la razione sua di 173

stampate ai anchi che Cilluzz non ce la faceva a far arrivare alla destinazione loro, avendo poi da assire di casa con la rggia per non essersi sfuato contro quella glia di ndrcchia di Iangiuasand e con il rimorso di aver mazziato nulladimeno che quella santa fmmena della mamma. Non passarono pi di due mesi dentro quella casa che, da quella bocca che non sapeva stare zitta, zomparono e nirono in terra, a uno a uno, i bellissimi denti di Iangiuasand che tanti mozzichi avevano dato sino ad allora. E da allora, ogni sera prima di coricarsi, lei per vendetta metteva la dentiera dentro un bicchiere di acqua, sopra la colonnetta afanco al letto, sempre alla presenza di Cilluzz. Aveva capito che a lui gli dava fastidio quella mossa: non perch gli ricordava, a quellmmeno senza core, il male che faceva a una uagnedda che, a quellet, gi non teneva pi la dentatura naturale, ma piuttosto perch gli faceva disgusto pensare che la zita sua teneva la bocca con le gengive allaria come le vecchie. E poi perch, sin dalla prima volta, quella mossa gli era apparsa come un atteggiamento insopportabile di voluta strafottenza contro di lui. Lui quasi sempre faceva tardi, perch se ne stava al caf di Don Mingh e, per avere lillusione di essere un mmeno rispettato e benvoluto, offriva da bere a tutti. E tutti i mangiapane-a-tradimento di via Modugno ne approttavano, passandosi la voce (Oh, va al bar che sta quel capallaria di Cilluzz a pagare da bere a tutti). E mentre lui si faceva spennare come una gallina, lei lo aspettava discetata pure se teneva sonno, con la dentiera in bocca, per fargli quello sfregio di tgliersela quando stava lui presente. Appena Cilluzz, senza calzoni, si avvicinava al letto, lei con una mossa lenta lenta della mano si staccava la dentiera, piano piano la portava verso il bicchiere e la lasciava sciuare dentro lacqua, in maniera che facesse ploff . E lo ssava dritto dentro gli occhi, accennando a canzoni romantiche che parlavano di risa e di bocche dinnamorate. Per esempio, Ba-ba-baciami piccina sulla bo-bo-bocca piccolina... 174

E cio, in pratica gli diceva: vedi, mo ti faccio dormire con una senza denti, e ben ti sta! Lui, arraggiato come un cane alla catena, non poteva reagire, non poteva nemmeno darle qualche carezza delle sue perch quella provocatrice si sarebbe messa a gridare, e allora la mamma si sarebbe discetata e subito messa a strillare pure lei, invocando Gesuccristo Redentore e la Madonna, e alzando le braccia verso il mezzanino, dove i due ziti erano stati sistemati provvisoriamente. Dentro quei momenti, Cilluzz non poteva fare di pi che bestemmiare a voce bassa le bestemmie pi terribili contro quella fgghia di zccana che del resto pure quando lui la sfraganava di faccia non si sottometteva e non chiangeva nemmeno. Facimo i conti domani matina minacciava Cilluzz inlandosi sotto le coperte con le mutande lunghe di lana grossa. Vgghio proprio avvedere domani matina checcosa sai fare rispondeva quella sfrontata. La matina Cilluzz era sempre lultimo ad alzarsi, pure se da un certo momento in poi avette il disturbo di scire ad aprire, ogni matina, il chiosco in via San Frangisch. Glielo aveva procurato naturalmente lattano. Oramai lo sponsalizio fra quei due uagnuni non poteva pi essere rimandato. Perci, Cilluzz aveva da cominciare a faticare per conto suo, a pigliarsi le responsabilit sue, a guadagnarsi qualcheccosa lui personalmente con le mani sue, potendo scrsene nalmente a casa sua con la mogliera sua. Avere un banco al mercato di via Nicolai non era facile. Col per mesi tizzu alle porte di chi poteva, offrette da bere e dette da mangiare ai tipi giusti, alz la voce, preg parenti, amici e compari. Nulla da fare, per ora. E poi, diciamo la verit, non che Cilluzz sbavasse dalla voglia di diventare denitivamente un vero e proprio pesciaiuolo, un mmeno con la capa sopra il collo e con gli obblighi e i pesi di un capofamiglia. Alzarsi alle quattro, scire con un aiutante prima in via Nicolai a sistemare il banco e poi sino al mercato 175

allingrosso, trattare con quei volponi dei grossisti e degli operai loro, capare le cozze, studiare il pesce, indovinare la partita buona, caricare e scaricare la robba, fare lite con quelli degli altri banchi per rubarsi i clienti, cercare di lanciare le grida pi forti e pi curiose per attirarli, stare capallerta per non farsi frecare dagli aiutanti che cercavano sempre di mettersi dentro la palda i tornesi di qualche pesata, e poi magari, alla ne della giornata, tenersi sopra lo stomaco il pesce avanzato, metterlo sotto il ghiaccio... Allora, per cominciare, meglio un bel chioschetto. Solo uno o al massimo due quintali di cozze nere a giornata, qualche decina di chili di cozze pelose quando ci stavano e un paio di pezzi di baccal, di quello preparato da Martem. Uno sgabuzzino di quattro per quattro, fabbricato da un mastrodscia amico di Col con quattro lire, allincrocio di via San Frangisch con via Napoli. Ma Cilluzz non dur pi di una semana a gettarsi dal letto alle quattro in punto, per scire al mercato allingrosso. Dallottavo d, provvedttero Col e Cioladoro pure alla robba per il chiosco del pupo-dizucchero di casa. Cilluzz aveva cominciato unaltra volta ad alzarsi tardi, alle sette e qualche volta alle sette e mezzo, per scire al chiosco, dove mo stava per lui praticamente il piatto pronto. A quellora Iangiuasand si era gi alzata e se ne stava con Mar o Iann o appizzicata appizzicata a Taratt. Nulla mazzate, perci. Il turno delle mazzate veniva spostato al pomeriggio. Quando Cilluzz tornava dal chiosco con le cozze avanzanti, si precipitava subito sopra il mezzanino. Tirava la cassetta dei tornesi da sotto il letto, lapriva con la chiave che portava sempre con s, vi metteva dentro lincasso della giornata, la richiudeva, la ripiazzava sotto il letto in maniera tale che se ne sarebbe avvertito se qualche uno lavesse toccata e scendeva, per mangiarsi allinpiedi un piatto di maccaroni, tenendolo in mano e facendo sopra e sotto per il locale. Finito di strafocarsi, risaliva sopra il mezzanino per dormire. Le mazzate, per Iangiuasand, arrivavano dopo, quando lui si alzava fresco e riposato. 176

E tra mazzate e dispetti, la vita di Iangiuasand trascorrette per un anno senza amore e senza carezze. Da quella prima notte a casa di Zi Tares, non si erano pi toccati. A questo proposito, ci sta da dire che Iangiuasand impar subito che loffesa pi grossa che poteva usare contro Cilluzz, quella che gli faceva perdere il controllo prima e pi di tutte, era appunto un accenno a quel problema della palla mancante al cannone e conseguentemente della spada che quellamico-del-sole non ce la faceva a sguainare. E appena poteva, Iangiuasand ricorreva a questoltraggio. Era la risposta preferita sua alle mazzate. Una mossa veloce, che durante le liti faceva naturalmente da sopra le spalle di Taratt inginocchiata, per non farsene avvertire dalla suocera: si toccava con pollice e indice il pezzo della rcchia dove si ccano gli orecchini, come a dirgli che era ricchione, e a lui gli saliva subito il sangue agli occhi. E notti, matine e serate si ripetevano tutte uguali. Lui pigliava sonno di colpo, impotente con quella uagnedda dispettosa che dormiva dentro lo stesso letto suo e che gli piaceva ma non dominava, poco convinto dalle prove dimportanza che dava al bar offrendo da bere a tutti e stremato dalle prove di superiorit di mscuo che inutilmente come lui stesso in fondo sapeva sentiva lobbligo di dare ogni pomeriggio a Iangiuasand.

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il maloverme Iangiuasand si era avvertita da un poco di tempo che Martem, stranamente, non la trattava sempre alla stessa maniera. Per la verit, sin dallinizio si era sentita puntualmente imbarazzata quando capitava che lei e il suocero stessero dentro la stessa camera o comunque a portata docchi. La uagnedda non ne individuava la ragione, pure in considerazione del fatto che non era mai stata vergognosa o timida con qualche uno. Anzi, se di una cosa lavevano sempre rimproverata in casa della mamma era che non teneva soggezione di nessuno. Invece quel vecchio la faceva stare sempre a schienaperta, vale a dire inquieta e sospettosa. Specie da quando intuette da dove nasceva quella specie di ritegno che la bloccava in presenza dellattano di Cilluzz. Nasceva appunto dal fatto che lui si comportava con lei ecco la prima cosa che le fu chiara e le cominci ad aprire gli occhi con certe maniere la matina, quando Cilluzz non circolava per casa perch stava a vendere al chiosco, e con altre maniere il pomeriggio e la sera. Gi allora che si sapeva che Cilluzz poteva ritirarsi da un momento allaltro, Martem manco ladocchiava pi n le parlava. Iangiuasand era come se non esistesse per lui. Se ne stava accepponato al posto suo, sopra il marciapiede, afanco alla mostra per controllare che nessuno approttasse di tutto quel bendidio, n gli aiutanti senza onest, n i clienti senza soldi e n qualche piccininno che avvolo poteva agguantarsi, passando fuscendo, una zampata di cozze pelose. E non le domandava di fare nemmeno un servizio alla nora uagnedda. Tanto, per fargli qualche servizio dentro casa o dentro qualche negozio l vicino, ci stavano sempre i lavoranti della pescheria che non gli potevano certamente dire di no. E se per caso si soravano, quelle pochissime volte 178

che Martem, appoggiandosi con pesantezza al bastone, faceva qualche passo dentro il negozio di pomeriggio e di sera, per adacquare il pesce o per fare qualche pesata tanto per non perdere completamente labitudine e il mestiere, lui era come se nemmeno se ne avvertisse. Lei, la nora giovane con la faccia dispettosa, per lui non esisteva proprio. Ma, durante le ore della matina, Iangiuasand sentiva di essere sempre al centro delle occhiate sue e dei pensieri suoi. Pensieri cattivi, pensieri luridi concludette dopo qualche mese di osservazione e di riessione. Allinizio le pareva che quel vecchio non perdesse occasione di studiarla solo perch forse voleva capire chi si era messo in casa. Che la stesse studiando, insomma, per valutare il carattere e la creanza della picciuedda che se nera fusciuta con il primo e unico glio mscuo suo e che per tutta la vita aveva da stare con lui, regalandogli la felicit o condannandolo allafizione perpetua. Perci, i primi tempi, un poco per dovere e un poco per giuoco, Iangiuasand aveva contraccangiato le occhiate e gli rispondeva pure con una risa dolce a Martem. Per lui, il vecchio, stranamente rimaneva serio serio, continuandola a ssare, con le sopracciglia che si arcuavano sempre di pi: ma non la ssava dentro gli occhi, la ssava addosso, la puntava, anzi la squadrava, la squadrava e la riquadrava, la soppesava e la esaminava, quasi che ne volesse imparare a memoria la corporatura pezzo a pezzo, centimetro per centimetro, dai piedi alla cima dei capelli. Insomma, a ogni punto e momento della matina, Iangiuasand si sentiva quegli occhi, freddi ma penetranti, centrati senza requie addosso a lei. Qualunque cosa facesse e in qualsiasi posizione stesse, quegli occhi la seguivano, la inseguivano, la pedinavano, la spiavano... Le facevano la posta pure quando lei stava in casa e lui, il suocero, fuori. Persino quando lei si chiudeva dentro il cesso per fare i fatti suoi. Appena si riaffacciava al negozio, eccoli sempre l quegli occhi a inchiodarla, come se fossero stati ssi sopra la porta da dove lei sarebbe rispuntata per tutto il tempo che lei era stata in casa o dentro il cesso. 179

E Iangiuasand, linnocente detto seriamente, senza sfottitura fu particolarmente impressionata allinizio dal fatto che quegli occhi, di fuoco e di ghiaccio, erano come se dicessero tutto e nulla. Cio si trattava di occhiate, sse o sottosotto, in faccia in faccia o da dreto la schiena, che certo sentiva che erano cariche cariche dintenzioni, ma non capiva esattamente di quali intenzioni. Non scordiamoci che stiamo a parlare di una picciuedda appena fusciuta dalla casa della mamma e che per giunta si riteneva pure arzilla arzilla. Perci n vantava esperienza di certe cose n era cos umile da mettersi dentro le condizioni dintuirle distinto. Non sapeva per esempio che, in presenza di comportamenti curiosi e inspiegabili di un mscuo rispetto a una fmmena fmmena fatta o uagnedda, impegnata o libera non ha importanza uno si pu e si ha da sforzare naturalmente per capirne la sostanza e il signicato, ma che se alla ne degli sforzi e delle analisi quelle azioni gli rimangono curiose e inspiegabili, questo non signica che sta punto e da capo. Al contrario: proprio dentro questo caso, difatti, ci sta una spiegazione, una sola spiegazione. La spiegazione pi vecchia del mondo: quellmmeno a quella fmmena se la vole fare. Ma prima di arrivare a queste conclusioni semplici semplici ce ne vogliono di anni e di pazienza. E Iangiuasand di anni ne teneva pochi e di pazienza ancora meno. Cos, a causa dellet e del carattere, a Iangiuasand veramente non pass manco per la capa almeno allinizio che un vecchio paralizzato e fetente potesse pensare a certe cose e che potesse fare certi pensieri sopra una uagnedda, che poi era addirittura la zita del glio. Perci i primi tempi gli rideva a quel malintenzionato. E se le passava vicino sorandola, lei si scostava e, domandandogli scusa perch non si era avvertita che stava arrivando e non si era spostata prima, diceva: Appoggitevi, appoggitevi pure a me e gli faceva da bastone sinistro, aiutandolo a tornare ad assedersi. E manco ci faceva caso se, per metterle il braccio sopra la spalla, il vecchio si fermava con la mano ad allisciarle un poco il collo 180

suo di velluto oppure faceva sciuare la mano innanzi, sino a toccarle di sfusciuta le mennodde. N dava importanza al fatto che, quando lei saliva sopra il mezzanino, se poteva quel brigante se ne stava abbscio, proprio ai piedi della scala, avendo la possibilit di spiarla da sotto la veste. Che ne sapeva allora, quel ore di mamma, del maloverme che qualche volta nasce, cresce e si allunga esageratamente dentro la capa di un mmeno grande, di un vecchio, addirittura di un suocero, sino a disorientarlo, a dominarlo, a comandarlo a bacchetta, a fargli fare pure cose che, per qualche lampo di godimento o comunque di debolezza, possono creare sfracelli familiari? Ma poi, un poco alla volta, Iangiuasand cominci ad aprire gli occhi, a scostarsi, a prevenire... Pure le rcchie appizz. Difatti si avvertette che, in presenza sua, il vecchio qualche volta era come se si dicesse qualcheccosa, fra lui e lui, movendo appena la bocca. Una specie di mormoro, un sussurro che a lei capitava quasi didenticare quando gli passava innanzi e se lo sentiva dreto la schiena, ma non capette mai checcosa dicesse esattamente. Una sensazione precisa per la davano quelle parole indecifrabili e quei bisbigli oscuri: un mschio di cose belle e di cose brutte, di complimenti e di minacce. Per, d per d, le espressioni malvage della faccia e della voce piglivano sempre di pi il sopravvento. E Iangiuasand cominci a non ridere pi quando lo vedeva e cerc pure di non allumarlo pi, a meno che non era strasicura che lui non la stesse a spiare. Ma che vole sto fesso da me? cominci a domandarsi senza essere capace di darsi una risposta. Comunque, senza leggere e scrivere, a un dato momento pigli le distanze da quello che percepiva oramai come un pericolo. Era sconcertata, non capiva e non sapeva esattamente checcosa potesse fare. Sentiva per che un fucile puntato la teneva sempre di mira. Ma non si trattava solo del fatto che non capiva e che, 181

sottosotto, cominciava a sentire addore di brusciato. Ci stava pure il fatto che quella ostinata non aveva abbasciato la capa con nessuno, nemmeno con la mamma o con il zito, e gurimoci se mo poteva abbasciarla con il suocero. Eppoi, lo sappiamo, se si metteva a capa abbasciata, lo faceva solo per attaccare. Pure quel vecchio lurido lo pigli di petto, passando adscio adscio dalla sorpresa alla difesa e, con la velocit di un siluro, dalla difesa allattacco. A modo suo, naturalmente. Per esempio, quando non si moriva di freddo, faceva innanzi e ndreto sopra il mezzanino, per mettere a posto le cose e per rifare il letto, con le mutandine e le gambe allanuta. Io posso scire accaminando vestita o allanuta, come mi pare e appiace. Questa pure casa mia si era detta, una volta che ci aveva pensato. lui, il malacarne, che ha da stare al posto suo, che si ha daccontrollare. E quando faceva freddo e simbacuccava dentro una vestaglia di anella che la teneva calda calda, quella sprudente manco se ne avvertiva se, piegandosi verso il letto, si scopriva tutte le gambe da dreto, dimodoch le avrebbe potuto adocchiare le cosce e le mutandine chi fosse passato da sotto, dentro la camera da letto di Martem e Taratt, o chi si fosse semplicemente affacciato alla porta tra il negozio e la casa e avesse sbirciato allins. Eppure aveva oramai appurato che la matina Martem si alzava in continuazione dal posto di vedetta, fuori dal negozio. E quando lei faceva le cose sue sopra il mezzanino, lui pi di una volta sinoltrava sino alla cucina, mo con una scusa e mo con laltra, mo per lurgenza di pisciare e mo per pigliare una pillola da sopra il com. E per esempio stava ore piazzato vicino alla cassetta dei soldi, appoggiato alla vasca, facendo nta di spostare e rispostare ogni tanto il baccal per agevolare la penetrazione della calce dentro tutti i pezzi, e di parlare con i uagnuni, ma per la verit di Cristo quasi sempre con gli occhi verso linterno della casa, attraverso la porta mezza chiusa. E gli occhi loro, della nora e del suocero, qualche volta sincrociavano. 182

Nemmeno quando lei scendeva abbscio dal mezzanino, naturalmente, Martem la niva di starle addosso. Anzi. Lui si piazzava quasi sempre alle strettoie, fra il muro e il tavolo, fra una seggia e il buff, fra lo stipite chiuso e laltro aperto di una porta, proprio quando lei passava da l. E se stava lei a fare qualcheccosa dentro una zona stretta, ecco che, per caso, pure lui teneva cheffare proprio da quelle bande o comunque proprio da l aveva bisogno di passare. E passava, tenendo sempre il culo dallaltra banda e strusciandosi sopra la uagnedda. Che per, mo, non si spostava. lui che vene a sfttere, lui che si ha da spostare, non io pensava Iangiuasand, bloccandosi sopra i mattoni e dentro la posizione che teneva. E l rimaneva no a che quel malizionante non passava e ripassava, pigliandosi appunto passaggi che Iangiuasand, mancante di esperienza ed eccessivamente piena invece di dispettosit, non sapeva manco checcosa fossero. Ma che per lui, il vecchio, erano proprio passaggi. E il maloverme si sa di passaggi si abboffa, e pi si abboffa e pi ne vole. Una volta Martem, mentre passava dreto di lei per scire a mettere i tornesi di una pesata dentro la cassetta, torcendosi per la gamba paralizzata e per il bastone lei teneva labitudine di appoggiarsi con le braccia sopra il banco del pesce, a godersi lo spettacolo di quelli che passeggiavano per la strata o si fermavano innanzi al negozio rischi di cadere in terra. Il bastone zomp allaria e lui si mantenette in equilibrio agguantandosi ai anchi di Iangiuasand e stringendosi forte forte a lei. Ma la verginedda si liber di scatto di quella presa, strafrecndosene della posizione instabile di quel vecchio strepiato ed essendo interessata solo ed esclusivamente a non farsi mettere le mani addosso da quella zecca. Martem quella volta non nette culo in terra con quale conseguenza per la salute sua, non si sa solo perch intervenette a salvarlo dalla caduta Uelin il Provolone. Il uagnone stava a specchietto sin da quando Cioladoro 183

si era alzato dal posto suo per una pesata di cozze che invece poteva far fare tranquillamente a lui, spiandolo mana mano che procedeva trppeta-trapp verso linterno del negozio. Era sicuro che, per pigliarsi un passaggio sopra la nora, quel vecchio vizioso avrebbe gettato i tornesi delle cozze dentro la cassetta dei tornesi del pesce, anzich dentro la cassetta loro, quella di destra. Faceva nta di stare attento a quello che succedeva sopra il marciapiede, ma teneva gli occhi praticamente rivoltati allandreto per marcare il patrone che, invece di girare a destra, sterz difatti a sinistra. Aveva cominciato a preoccuparsi seriamente quando lo aveva visto ondeggiare, tra il bastone e la gamba buona. Uelin lo conosceva il patrone suo, sapeva il malacarne che era, aveva indovinato da tempo checcosa teneva in capa a proposito della nora, perci quellondeggiamento non lo sorprendeva ma lo inquietava. Non lo sorprendeva perch rappresentava chiaramente loscillazione del vecchio fra la tentazione di toccarla da dreto quella uagnedda, che ingenuamente non si era avvertita del pericolo che si avvicinava, e la preoccupazione di non farsi scoprire dai lavoranti e dai clienti che lui arrivava addirittura a sfottere la zita del glio. Ma quellondeggiamento della corporatura, che non lo sorprendeva perch rispecchiava loscillazione dei pensieri che aveva gi radiografato dentro il cervello del vecchio, inquietava Uelin per due ragioni. Primo, perch se sopra la preoccupazione avesse vinto la tentazione, l poteva succedere mo un quarantotto o un novantanove. Secondo, perch dalla caminata ondeggiante facile che un vecchio zoppo, peraltro con certe tentazioni per la capa, passi alla caduta quando meno te laspetti. E difatti, ad un certo punto, Uelin aveva visto volare il bastone ed era scattato. N si era fermato quando il patrone era rimasto in equilibrio appoggiandosi e stringendosi alla patrona giovane. Figurimoci realizz distinto se quella ci stava a farsi mettere le mani addosso, pure se con la scusa, anzi con la necessit vera che teneva il vecchio quella volta, 184

di agguantarsi a qualcheccosa o a qualche uno per non cadere malamente in terra, con il pericolo di spaccarsi forse la spina dorsale. Sapeva gi che Iangiuasand lavrebbe gettato allaria quel vecchio vizioso: perci Uelin non si ferm. E solo per questa ragione, tutto rosso in faccia per la vergogna di aver spiato quel tentativo di sfottimento, arriv ad agguantarlo il vecchio un momento prima che azzoppasse con violenza sopra le chianche del pavimento Ma, durante i primi mesi della vita di Iangiuasand dentro quella casa, questo era stato lunico incidente vero e proprio con quellmmeno che, per matinate intere, non la perdeva mai di vista. Col passare del tempo, le azioni e i movimenti dei due diventarono sempre pi uguali a se stessi, fatti e rifatti sempre alla stessa maniera, quasi che fossero un giuoco o una commedia gi scritta che loro non potevano cangiare. Del resto, per esempio, lei checcosa poteva fare, come poteva reagire? Lo aveva da mettere al posto suo, quel porco? Eccome? Lui era grande, era lattano del marito suo, era il patrone della casa. Se lo avesse pigliato a tu per tu, era lui che avrebbe messo apposto lei! E allora? Fare uno scandalo? E sopra checcosa poi? E con chi parlarne: con Taratt? con Cilluzz? con quel poveriddo di Uelin? E che avrebbero potuto fare, loro? E poi, parlare di checcosa? In denitiva, mica il suocero laveva pigliata a boffettoni. Di checcosa avrebbe potuto lamentarsi con Taratt o Cilluzz o qualche altra anima buona? Delle occhiate, degli adocchiamenti, dei sottecchi? delle intenzioni di Martem? delle sensazioni che lui le provocava? Bastava solo pensarci per concludere che sopra questa strata non avrebbe ricavato granch, se non guai e sputtanamento. Ma non so questi gli stessi problemi che teneva Zi Marisabbell? gli stessi ragionamenti che faceva lei? si ricord e si dicette ad un certo punto. A me nisciuno mi pote nominare imbrattata e le menne mie so normali, non so scandalose accome erano effettivamente quelle di Pittotunno, eppure sotto alle mazzate accome a lei sto. 185

Perch? Per la rascione che so capatosta accome a lei o pi semplicemente perch so fmmena? E in effetti un mscuo capatosta non vene nominato imbrattato e nemmeno propriamente capatosta. Di lui si dice, al contrario, che tene i cogghiuni, che un mmeno in sesto, che nisciuno pote pronunziare pure una sola parola fuori posto nnanzi a lui. E perch a noi fmmene invece ci pteno pigghiare a male parole e a mazzate? Perch a noi ci hanno da mettere i piedi e le mani addosso, e noi ci avimo da stare pure citte citte, senza reagire? Un carcere era diventata quella situazione con il suocero, per Iangiuasand. E siccome si sentiva dentro una situazione senza vie di uscita, per reazione faceva un poco per inesperienza e un poco per dispetto praticamente quello che il suocero si aspettava che lei facesse. S, stava sopra il mezzanino proprio quando lui poteva venirla a spiare. E allora? S, si metteva ai punti della casa e del negozio dove lui poteva tentare di sorarla? E allora? Che ci provasse! S, lei faceva il passa-e-spassa fuori e dentro il negozio pi del necessario quando era il vecchio a tenere cuita alla mostra delle cozze (cuita non una parola che viene dallitaliano ma dallo spagnolo cuidar, aver cura). E allora? Che, la strata era la sua? E, senza sapere esattamente ci che faceva, impar pure a torcersi caminando impar? pi semplicemente si ricord di come caminava Zi Marisabell e lo faceva a proposito quando sapeva che quel vecchio bacucco la spiava. Per sda. Come per dirgli: Vecchio rattuso, io so una uagnedda bellafatta, tengo diritto di stare addove vgghio e accome vgghio, e tu thai da stare al posto tuo. E Uelin il Provolone? Uelin parlava poco e stava al posto suo. Ma era un posto, diciamo cos, da dove si vedeva tutto e, con un poco di sale in capa, si capiva tutto ci che succedeva dentro quella casa. Che poi non era un complesso di cose cos complicato. Certo, prima dellirruzione di quella uagnedda di via Mirenghi, tutto era pi semplice e scorre186

va dolce dolce, senza scatti e senza questioni. Iangiuasand aveva scombussolato quella vita: mo Cilluzz circolava sempre con la capa guastata e la nervatura, Mar e Iann erano venute a dormire abbscio dove apprima ci stava la branda di Cilluzz per lasciare il mezzanino ai due ziti, Taratt teneva il pensiero sso di difendere Iangiuasand dalle mazzate del glio e Martem, con quellaltro pensiero sso suo che sarebbe stato meglio per tutti che se lo fosse levato, metteva in agitazione sia naturalmente quella povera uagnedda di Iangiuasand sia Uelin stesso, forse lunico della casa a sapere di quella brutta malatia che si era pigliata il vecchio. Rispetto a tutti gli altri, Uelin teneva il vantaggio di stare per ore e ore solo con Martem, quando lo portava a fare qualche servizio, al mercato, a rappezzare reti da qualche banda o in casa di qualche signorina a pagamento, ch pure lui teneva diritto di sfuare listinto di mscuo con una fmmena vera e propria, dato che non lo poteva certamente fare sino in fondo, detto senza voler offendere nessuno, con quellelefante di Taratt. E asseduto sopra la bicicletta con la gamba tesa tesa che costringeva Uelin a tenersi ad almeno un metro e mezzo di distanza dai motori o dalle macchine che passavano o stavano parcheggiate sopra la destra a Martem gli piaceva parlare. Con il vento in faccia, con quei quattro capelli che gli rimanevano in capa tutti arruffati, quel culoseduto parlava, parlava... Parlava sempre lui, parlava continuamente. Allora si misurava in effetti la ducia che teneva per Uelin. Il massimo della ducia che uno pu avere per un altruno: non lo considerava proprio. Evidentemente voleva sfuarsi pure con la bocca. E sfuarsi senza rischi, senza che qualche uno potesse approttarne o riportarlo a qualcun altro o offendersi o fare delle domande. E cos di fatto si parlava a lui stesso, parlava allaria, al cielo, al vento e alle rcchie di Provolone. Parlava di spese e guadagni, dei parenti loro, della sora Tares la Zoppa che Martem non voleva che manco si affacciasse al negozio per quanto era intrigante, delle malatie di Taratt, dei fastidi che 187

gli dava la silide, dei culi e delle menne delle fmmene che passavano innanzi al negozio, delle partite del Bari... Pure dei gli suoi e delle scemetdini che facevano. E, parlando di questo e di quello, un paio di volte si facette sfuscire qualche battuta a proposito della nora, senza contare la conferma di una cosa che sapevano tutti e che cio tra Cilluzz e la zita le liti erano assai e il disaccordo totale, sia a piano terra sia sopra il mezzanino. E poi: Se non era che Cilluzz fgghiemo! Oppure: Va sempre papereggiando con quelle gonne strette strette! O ancora Quella vocca che parla sempre, nvece di fare cose pi concrete... Battute che a Uelin rivelarono chiaramente e denitivamente il maloverme che si era intrufolato dentro la capa del patrone. Non a caso soprannominato Provolone, pareva scordarsi tutto quello che aveva sentito, appena scendeva dalla bicicletta e accompagnava il patrone ad assedersi. Faceva nta di non sapere, di non vedere e di non capire. E rimaneva sempre muto, con la capa un poco abbasciata. Le parole avevi da tirargliele con la tenaglia e, per fargliela alzare quella capa, ci volevano gli spari di Santa Nicola. Ma in effetti non gli sfusceva nulla a quel cervellino. La bocca stava s chiusa, la capa stava s abbasciata, ma le rcchie le teneva sempre appizzute appizzute. Sentiva tutto, pure la caduta di una foglia dinsalata di scarto dentro il negozio di Melin la Fruttaiola. Sapeva pi di tutti, seguiva tutto e intuiva dalle azioni di quelli che abitavano e passavano dentro quella casa pi di quanto loro stessi non immaginassero. Se fosse stato malvagio, con quel quadro completo della situazione che aveva accumulato in capa, avrebbe potuto fare in quella casa il patrone e il sotto. Ma forse gli dicevano e gli facevano sentire tutto proprio perch era cos, buono e onesto. Lo sapevano tutti che a lui non gli piaceva fare n il patrone n il sotto. Lui si accontentava di starsene da una banda, al posto suo, per i fatti suoi. Punto e basta. Ma mo Uelin era un poco agitato. La venuta di quella uagnedda aveva scombussolato pure la vita sua. No, a lui 188

non era venuto il maloverme in capa: ci mancherebbe altro che gli fosse venuto di fare qualche pensiero sopra la zita del glio del patrone! Ma a Iangiuasand, parlando con rispetto, le aveva voluto bene sin dal primo momento. Laveva vista cos piccinonna e cos pulita. Aveva capito subito che si era messa dentro quella situazione per un dispetto scemo. Avette il presentimento, anzi la sicurezza dei guai e delle tribolazioni che quellirresponsabile avrebbe sofferto dentro quella casa e con quei cristiani, che non centravano proprio nulla con lei. Perci gli facette subito tanta piet Iangiuasand. Sin dal primo momento sentette che, dentro i limiti suoi sintende, aveva da aiutarla e spalleggiarla. E mana mano che Iangiuasand pigliava cazzotti da quello scornacchiato di Cilluzz, crescevano dentro Uelin il bene e la considerazione per la patrona uagnedda. E quante volte laveva salvata, avvisando lui Taratt che i ziti si stavano a pigliare e che aveva da correre a mettersi in mezzo, a spartirli. Sapeva che quella situazione poteva cangiare solo in peggio. Ma quando si avvertette di certe occhiate e di certi movimenti di Martem, e quando poi sentette quelle battute sue sopra le gonne strette strette e sopra le cose pi concrete che avrebbe dovuto fare la bocca della nora, capette che i fatti stavano a precipitare pure pi velocemente di quanto lui temesse. Uelin passava quelle lunghe matinate con la faccia sempre rossa a causa della vergogna che provava per quel vecchio prepotente e della pena per quella uagnedda sprudente ma innocente e col core che gli batteva come uno stantuffo di ciuff-ciuff. Teneva pavura che da un momento allaltro potesse succedere una cosa brutta assai dentro quella famiglia, che poi era lunica famiglia che la vita gli avesse dato. Uelin veniva da Napoli o da qualche paese l vicino. Era glio di enne-enne, non teneva nessuno, manco un cugino o un parente alla lontana. Nessuno sapeva nemmeno dove dormisse. Forse dentro una baracca, in campagna. Se nera fusciuto da un orfanotroo. Aveva fatto lo schiavo, di mas189

seria in masseria, sino ad avvicinarsi prima alla zona portuale di Brindisi, dove facette lo scaricatore e poi a Bari, senza nemmeno sapere perch e percome. Una volta, la prima volta che quel napoletano capit al mercato allingrosso del pesce, Martem praticamente se lo vedette sotto le stanghe del trano a portargli la robba in via Modugno. Senza che nessuno gli avesse domandato nulla. Martem e Col lo avevano lasciato fare. Il uagnone pareva serio e poco pretenzioso. Forse era proprio laiuto che ci voleva, allet loro. Oramai Col non ce la faceva pi a portare il trano, col doppio carico delle cozze e del patrone strepiato. E da quel d, ogni d, Uelin fu di casa. Lo chiamarono subito con un altro nome, il Provolone, perch per molti mesi non fu necessario dargli nemmeno una lira per la fatica che faceva. Una pagnotta con il provolone e la mortadella a mezzod, e una pagnotta con la mortadella e il provolone la sera, e lui era contento. E non ci volle molto a Martem per avvertirsi che lui era lunico degli aiutanti, anzi lunico di tutti quelli che giravano per quella pescheria e per quella casa, che non rubava manco una lira dalla cassetta e che non si faceva sciuare dentro la palda il pagamento fosse solo di una pesata. Fu dopo molte insistenze del patrone che cominci a spizzuare, ogni tanto, qualche cozza o qualche polipetto. L, invece, tutti quanti si levavano le pieghe a furia di strafocarsi. Cos, dopo qualche mese, Martem cominci a mettergli in mano, alla ne della giornata, quattro soldi. Ma si scoprette che con quelle due pagnotte continuava a campare. Stipando i tornesi che gli dava Martem, si era accattato gli avanzi della bicicletta che quel macaco del glio grande di Melin la Fruttaiola aveva sfracassato la prima e ultima volta che lus, sbattendo contro il carretto del marmeraro. E piano piano, pezzo a pezzo, se lera rimessa a posto. Cos, a buono a buono, se lo vedttero arrivare alla pescheria, invece che piede piede, sopra una bella bicicletta. Vedite ste belle due rote? dichiar subito al patrone: Dora in poi queste so le gambe vostre. E da allora, difatti, il pesciaiuolo zoppo di via Modugno po190

tette scire innanzi e ndreto a piacimento suo, attaccandosi naturalmente sempre di pi a quel uagnone pi che a un glio... A Uelin quei movimenti fra suocero e nora gli facevano venire una goccia, ogni d. Alcune volte, quando credeva che la scintilla stesse per scoppiare, cercava gli occhi, quasi a domandare aiuto, di Taratt, se cera, o di Mar e Iann, se capitavano da quelle bande. Ma quelle parevano non avvertirsi mai di nulla, non voler vedere, non interessarsi di nulla... Quel d Cioladoro aveva fatto alzare il glio ordinandogli di scire al mercato allingrosso al posto suo e se ne era rimasto a letto. Brividi di freddo, pesantezza di stomaco e mal di capa: cos si era lamentato quel busciardo. Mo erano soli: lui abbscio, a letto e lei, la uagnedda, sopra il mezzanino, a fare innanzi e ndreto in vestaglia. Lui, il feruscolone, sapeva che si sarebbe goduto lo spettacolo delle cosce e delle mutandine che le altre matine adocchiava da lontano, dalla cucina se non, attraverso la porta aperta, dal negozio. E difatti, ecco la uagnedda che si piegava per fare il letto, manovrando con il risvolto della coperta e coi cuscini, e si scopriva da dreto sino alle cosce. Si pu immaginare checcosa succedeva dentro la capa e tra le gambe del vecchio, con la faccia e gli occhi voltati verso il mezzanino. Iangiuasand ad un certo punto si sentette ssata e, istintivamente, sbirci da sotto le braccia, abbscio, verso il letto dei vecchi. E la vedette quella faccia da tre di bastone con gli occhi puntati proprio in mezzo alle gambe sue. Quello spudorato non sbirciava di sottecchi. E gli occhi suoi non cangiarono direzione, quando sincrociarono con quelli della uagnedda. Per la prima volta, si parlarono veramente con quegli occhi. Lui che le diceva, in sostanza: Ma una d o laltra ti ho dagguantare a te. E lei che gli rispondeva, sempre con gli occhi: Se tappermitti solo di tuccuarmi, ti faccio fare un volo che te larricordi per tutta la vita. Fu un momento, ma un momento decisivo per capirsi fra quei due. 191

La prima tentazione di Iangiuasand, appena vedette quei due occhi allupati, fu di risollevarsi e di scire a tirare la tenda, che forse Cilluzz aveva lasciato aperta e che lei stessa, mentre faceva i servizi, sprudentemente non aveva pensato a chiudere, forse perch di solito a quellora non ci stava nessuno abbscio e, soprattutto, non ci stava quello sfaccimo. Ma pigli il sopravvento la dispettosa. lui che si ha da spostare, lui che non ha dafssare gli occhi quassopra pens, io a casa mia posso stare accome vgghio, mica ho da tenere sempre la schienaperta pure a casa mia. E continu a stare piegata sino a quando non nette di farlo il letto. Poi, con il comodo suo, tir la tenda e si vestette. Quando scendette, era vestita. E drizz il piede verso il negozio, senza nemmene salutarlo. Ma quello zozzoso la ferm con la voce, domandole di preparagli una borsa di acqua calda. E mamma? E Mar? E Iann? fu il suo no. Lhai da fare tu lacqua calda insistette lui, con il tono del capofamiglia, perch stanno tutte tre fuori stamatina. Me lha gi fatta Taratt una borsa, apprima dassire, ma mo s arraffreddata. E di malavoglia Iangiuasand si mettette a scaldare lacqua dentro una cazzarola. Mentre lacqua ferveva, cercava inutilmente la borsa di gomma in cucina. Si affacci dentro la camera da letto, per vedere se fosse sopra il com o sopra il letto dei vecchi. Nulla. Torn in cucina per astutare il gas sotto la cazzarola. Fu a quel punto che lui la inform dal letto: La borsa sta qua. Qua addo? domand lei, affacciandosi alla camera per dormire. Qua, sotto alla coverta le rispondette lui. Allora pigghitela e dtemela. E lui: Non posso chiecarmi, tengo i doluri alla schiena, vieni qua e mitti tu una mano sotto alla coverta per pigghiarla. 192

No, io la mano sotto alla coverta non la metto. E perch non la vuoi mettere. Perch lo sccio io. Fa subito ch lacqua si arraffredda. No, io la mano sotto alla coverta non la metto. Allora lui, cedendo proforma: Vabbuono, avimo accapito, vuoi fare la smorosa stamatina. Allora la borsa la pgghio io, ma tu vieni qua vicino al letto, da sta banda, accos io te la posso appassare. Iangiuasand si avvicin, pass innanzi ai piedi del letto, evit il monzignore puzzolente che era proprio dentro quello spigolo e sinl fra il muro e il letto, dalla banda in cui si coricava Martem. Sto vecchio puerco tene brutte intenzioni, lo so, ma se tenta di farmi qualcheccosa gli svaco il priso ncapa pensava la uagnedda avvicinandosi al suocero, che invece sl la borsa da sotto la coperta, piegandosi innanzi e lagnandosi per il dolore alla schiena, e ce la dette. Iangiuasand la pigli avvolo e fuscette verso la cucina, tutta rossa in faccia per i brutti sospetti e i cattivi pensieri fatti sopra il vecchio, che invece, poveriddo, non le aveva fatto proprio nulla in denitiva. Mentre metteva lacqua dentro la borsa stava cercando di capire se, dentro le occhiate e i movimenti di tutti quei mesi, ci fossero veramente tutta la malizia e la cattiveria che lei aveva intravvedute oppure solo le fantasie sue, le pavure sue, lantipatia sua per quel vecchio strepiato che tutti chiamavano Cioladoro, lo schifo che sentiva per quella casa e la stessa angoscia per la situazione dentro la quale si era messa fuscendo con Cilluzz. E gli port la borsa di acqua calda, un poco pi rassicurata. Ma mentre gliela porgeva, quasi pentita oramai per quello che aveva pensato sopra il vecchio dentro tutti quei mesi, per quelle passeggiate dispettose in mutandine sopra il mezzanino e pure per la sgarbatezza che gli aveva fatto pochi minuti prima, fu travolta da una furia selvaggia, dalla forza e dalla violenza di dieci marinari assatanati messi insieme. Con la mano sinistra Cioladoro si era liberato della 193

coperta, scoprendosi completamente allanuta dallombelico ai piedi insomma, stava senza mutande e con la destra le aveva acciuffato il collo tirandola verso di s, contro il ventre peloso come quello di un cane. La uagnedda fu immobilizzata, le gambe imprigionate dalla gamba buona del vecchio contro la gamba paralizzata, e le braccia bloccate dreto la schiena dallacciaio della mano sinistra di Martem. Pgghialo mmocca, pgghialo mmocca gridava come un ossesso il vecchio, che con la destra le forzava la capa tirandole forte forte i capelli che quasi le si staccavano pelle tutta, ti faccio avvedere io a fare la zccanedda con gli aiutanti e poi non ti vuoi far attoccare da Cilluzz mio! Iangiuasand resistette poco, con la bocca stretta stretta e col collo teso teso, allins. Poi il collo cedette, ma tent unultima resistenza premendo il muso con la bocca chiusa contro le gambe di quelliradiddio, vicino ai ginocchi. Apri la vocca, zccana, apri la vocca gridava quellassatanato, cercando di spostarle la capa verso il centro delle cosce sue. E quando non ce la facette pi a resistere, la uagnedda si sentette la bocca, che alla ne aveva aperto per il dolore terribile di quei capelli tirati, piena come mai se lera sentita e mai pi se la sarebbe sentita. La capa le si annebbi, percepette delle grida, intuette vagamente che non si trattava solo della voce del vecchio e svenette. Quando ripigli i sensi, si avvertette che Uelin, tenendola per la vita, cercava di farla caminare, dalla cucina al negozio. E dal negozio, stretti stretti, per la strata. La patrona sta addisturbata spieg Uelin quella scena allaltro aiutante e a due clienti. Dato che Taratt non ci sta, laccompagno io alla farmacia Ciaciulli per accapire checcosa tene e checcosa ha da pigghiare. Il uagnone avette, per un attimo, la tentazione di agguantare la bicicletta, di farvi montare sopra la canna quella bella uagnedda della patrona e di fuscire con lei da quel mondo schifoso. Ma fu soltanto la fantasia di un momento. 194

Facttero un giro a piedi, sino al campo di via Napoli. L non ci stava nessuno. Piano piano Iangiuasand si ripigli, ricominci a ragionare e a capire. Ricord che Uelin, attirato dalle grida e capendo avvolo checcosa stava a succedere, si era precipitato come una furia dentro la camera da letto di Martem con il marrazzo per tagliare il baccal. Patruno, io varrispetto accome e pi che a un attano gli aveva gridato a Martem, con il sangue agli occhi per la prima e ultima volta dentro la vita sua, ma se non allassate mom la uagnedda vaccido. Se lallassate, vi do la parola donore che nisciuno ha dassapere mai quello che assuccesso e io torno a servirvi accome a sempre, se volite. Altrimenti me ne posso pure scire. Ma la uagnedda lavite dallassare. Subito, mom! Innanzi alla sorpresa dellentrata da guerriero di quel bravo giovane, a quelle parole e a quella sorta di arma che stringeva in mano, Martem era rimasto imbambolato, fermo, tenendo ancora bloccata la picciuedda fra le gambe e le mani, forti le une e le altre come la pietra. Poi nalmente aveva aperto le mani e le gambe e si era gettato allandreto, sopra il cuscino, con gli occhi stralunati. E Uelin, con uno scatto, prima che quellassatanato ci potesse ripensare, si era piegato sopra il letto, pigliando la uagnedda e portandosela di peso verso la cucina... Oramai Ingiuasand si moveva con le gambe sue e teneva dentro la capa un vulcano didee di guerra e di vendetta. Ma, tornando alla pescheria, Iangiuasand si avvertette che per la prima volta dentro la vita sua stava a sentire il consiglio di un cristiano. A checcosa asserve fare una tragedia, mo? le stava a consigliare Uelin, che praticamente per la prima volta le parlava, mgghio accercare di capire checcosa convene fare. Magari potite acconvncere Cilluzz a cangiare casa nalmente. Per il vecchio, non vi state ad appreoccupare. Non vi fasce pi nulla, mo. Sape che se vattcca pure con un dscito, io che so buono e caro laccido con le mani mie. 195

Martem intanto era tornato al solito posto suo, asseduto di vedetta, col bastone, afanco alla mostra del pesce e della frutta di mare. Nulla pi brividi di freddo o pesantezza di stomaco o mal di capa. E nemmeno pi maloverme in capa. Stava l e l sarebbe rimasto tutta la vita come se nulla fosse successo, come se la nora non lavesse mai cimentata. Lei torn al negozio e salette dritta dritta sopra il mezzanino. La capa le scoppiava, sentiva freddo e caldo e si gett sotto le coperte.

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lo sponsalizio Iangiuasand rimanette inchiodata al letto per un mese sano sano. Quellabbattimento improvviso della zita di Cilluzz, che era straconosciuta come una uagnedda tostaredda anzichen, fu una vera sorpresa per tutti, meno che naturalmente per quello sfottitore di picciuedde di casa che rispondeva alleloquente soprannome di Cioladoro, e per quel Provolone di nome ma non di fatto che si era rivelato per una volta Uelin. A nessuno risultava un incidente, pure un minimo infortunio, fosse pure una semplice sciuata o unazzoppata di capa che potesse giusticare quella sorta di guaio capitato a Iangiuasand. La uagnedda mo sirrigidiva e colava sudore freddo come una sbarra di ghiaccio e mo sprigionava calore come un vulcano, un momento era gelata e bianca come una morta e un momento dopo avvampava. Rigettava puntualmente le due o tre cucchiare di pastina che ogni tanto accettava, tremuando per la febbre. Tre volte ogni ventiquattrore lanciava tutto allaria e si metteva a chingere. Dormiva, agitata, durante la giornata e teneva invece gli occhi scatesciati di notte, ma non per questo ci stava modo di tirarle dalla bocca una sola parola. Insomma, pure per chi avesse saputo lorigine di quei malanni (e l almeno in due ne erano a conoscenza), sarebbe stato complicato assai capire se Iangiuasand non potesse parlare per quanto stava male o se stesse male per quanto non poteva dire. Certo che Taratt era la prima volta che vedeva una cosa del genere. Ma non si limit certamente a mettersi le mani dentro i capelli quella santa suocera della malata. Quante ne facette e ne facette fare per combattere contro la malatia che si era scatenata a buono a buono sopra quella povera uagnedda! Siccome i piedi dellAcconzaossa non ce la facevano a portare sopra il mezzanino quella massa di lardo che a malapena 197

si trascinavano terra terra, tocc a Mar e a Iann fare sopra e sotto per la scala di tavola con bicchieri, pillole, cucchiare, impiastri, termometro, piatti (spani e copputi, a seconda del tipo e della consistenza della portata), liquore di aglio per laffanno, unguenti, camomille, zuppiere di siero di latte, borsa di acqua calda, bacili di acqua fredda, pannolini, fazzoletti per stringere la capa, ova di pollastra, tazze di ori della passione, acqua bollita di limone, decotti di rosolaccio... Da sotto, Taratt gridava alle due uagnedde quello che avevano da fare e da non fare, si faceva descrivere le reazioni della malata e ordinava le controreazioni che poteva arrivare a pensare unacconzaossa con la scienza e la coscienza sua. Si azzard a sperimentare alla cecata dandosi delle mani e della parole delle glie pure tentativi di medicatura mai provati sino ad allora sopra cristiano vivente. Ma tutto fu inutile. Piena di dolori, ammagagnata, muta e accepponata al letto Iangiuasand stava, e piena di dolori, ammagagnata, muta e accepponata al letto rimaneva. Per una volta si arrampic sopra il mezzanino pure il Dottore, trattato sempre in pescheria con i guanti gialli, non tanto perch cliente sso e buon pagatore quanto perch, essendocene la necessit e chiamato durgenza, correva sempre a fare da aiutante allAcconzaossa, sostenendo con quelle quattro cose che aveva imparato alluniversit la giornaliera attivit di prontosoccorso, salvamento e cura gratis-et-amore-dei che si praticava dentro la cucina, chiamiamola cos, di quella casa di Dio e del diavolo. Mentre Provolone gi gli incartava mezzo chilo di musci e mezzo di taratuf, pure questi gratis-et-amore-dei, il Dottore si dichiar dello stesso avviso di Taratt: la prima volta che maccpita una malata accos, avendo per lardire di pronunziare la congettura che forse stato per unagitazione. Ma nessuno seppe dirgli se s, la uagnedda si era agitata per qualcheccosa oppure che no, non si era pigliata assolutamente nessuna agitazione e nessuno schianto. 198

Ne sai nulla tu, Uelin, che quella d che Iangiuasand si sentette quel mancamento fosti il primo ad assoccrrerla? domand ancora una volta Taratt al uagnone, tanto per sicurezza. Che vi ho da dire? tentenn un poco Uelin, lanciando un occhio dalla banda del patrone. Patrona, vi posso dire una busca a signor? Dal negozio la intravvidi la patrona giovane che stava ncucina e che era addiventata bianca bianca accome a un lenzuolo. So scattato per assostenerla, ci feci bere un bicchiere dacqua fresca e lho accompagnata fuori per farci pigghiare un poco daria. Punto e abbasta. E non avisti la curiosit daddomandarci sinform la patrona, che teneva? che ci era assuccesso? Io mappermisi daddomandrcelo, vero ammettette Uelin, facendo innanzi e ndreto con gli occhi fra la patrona grossa e il patrone zoppo, ma lei non marrispondette. E tu, Martem continu gli interrogatori Taratt, a benecio del Dottore, tu che stavi a letto quella matina, possibile che nulla sentisti e nulla vedesti? Quante volte te lho da dire? Quella matina, aqquando la uagnedda scendette dal mezzanino, stavo pi a dormire che discetato conferm Martem, mo mirando e rassicurando la mogliera, e mo sbirciando e venendo rassicurato da Uelin, e di quello che assuccedette ncucina, poi, non ne sccio proprio nulla. Taratt era disperata, non solo perch non arrivava a capire e soprattutto a farla rialzare dal letto quella benedetta nora, ma pure perch, per la prima volta dentro la vita sua, una malata non le dava nemmeno la soddisfazione di dichiarare che provava un certo miglioramento. Tutti quelli che le erano capitati sotto le mani, dopo pure solo una stronazione o un impacco, immancabilmente si premuravano dinformarla che si sentivano gi un poco meglio. Magari qualche volta lo facevano per ringraziarla, per farla contenta. Qualche altra volta il miglioramento era solo immaginario o apparente o provvisorio. Ma, senza contare naturalmente 199

quelli ai quali Taratt veramente restituiva la salute, quelli che cio venivano portati a braccia dentro la pescheria, svenuti e piegati in due, e tornavano a casa con le gambe loro e con la risa stampata in faccia, una cosa certa: un poco, un lo, uno stezzo, unombra, unimpressione di miglioramento la dichiaravano tutti. Invece Iangiuasand nulla. Non solo non dichiarava di sentire qualcheccosa che forse poteva signicare, pure alla lontana, che si stava a rimettere, ma non si dichiarava proprio. Non parlava per nulla. Manco per lamentarsi, manco per gelare Acconzaossa e glie sbattendoci in faccia che si sentiva male esattamente come prima, come il primo d della crisi. Magari che addirittura si sentiva peggio di stomaco, per colpa di tutte quelle fetenzarie che le davano da bere e da inghiottire. Nulla. Iangiuasand pareva muta, muta e sorda. Per, comm Taratt concludette il Dottore, che si voleva spicciare a scrsene a casa, sentendosi gi in bocca lamore dei taratuf, quel sapore di acido fnico che solo i taratuf tengono fra tutti i frutti di mare, non sttevi ad appreoccupare pi del necessario. La uagnedda non tene nulla di grave. Il corpo sano. Devessere una questione di capa, di nervatura. Un poco di pascienza, comm Taratt, e tranquillit... Una camomilla la matina, riso in bianco a mezzod e una camomilla la sera. Accos ha da passare la malatia. Limportante che la uagnedda la facite stare quieta quieta. Nemmeno la messa al Redentore, le preghiere dellandata e ritorno, e il rosario del pomeriggio arrivarono a cangiare la situazione. Ad un certo punto, per penitenza, lAcconzaossa cominci a scire pure il pomeriggio in chiesa, e a recitare l il rosario, rinunziando alla capera. Insomma, facette il doppio voto di prostrarsi non una volta ma due volte ogni d ai piedi di Cristo direttamente a casa Sua, e di non farsi pettinare i capelli sino a quando Iangiuasand non si fosse rialzata dal letto. Comm Catarin, che vendeva vicino al Redentore quaderni e sinali per i piccininni della scola, ce 200

lo diceva: Comm Taratt, non potite scire nnanzi accos, a fare due volte alla d casa-e-chiesa, casa-e-chiesa. Non site mica una uagneddozza, n pesate venti chili. Ma Taratt accettava la seggia da Comm Catarin, per riposarsi e forse per appapagnarsi un poco prima di farsi il ritorno a casa, ma non il consiglio. E continu quel doppio voto, non solo diventando ogni d pi stanca e pi bianca, ma pure dando agio ai pidocchi che teneva in capa di moltiplicarsi e spatriare da una rcchia allaltra, dalla noce del collo sino agli occhi, come pareva e piaceva a loro, senza controllo di pettinino e senza che nessuna capera li catturasse e li accidesse. Ma tutto era inutile. Camomilla, riso in bianco, sacrici, doppia visita giornaliera a Gesuccristo e moltiplicazione volontaria dei pidocchi. La uagnedda n stava peggio n meglio. Ftela stare quieta, patrona. Ascommetto che, accos accome venuta, la malatia se ne va tenette lardire di consigliare timido timido Uelin a Taratt. E Martem, che non parlava mai di quellargomento, quella volta dicette: Tene rascione Provolone. La uagnedda ha da stare quieta quieta. Allasstela stare. La malatia ha da fare il corso suo. Perci Taratt fu contenta quando Cilluzz, che non ce la faceva a vedere una pillola senza svenire (gurimoci quel va-e-vieni continuo di rimedi e di medicazioni) e che quella zita scattosa non lavrebbe lasciata quieta manco se lavesse vista sopra il letto della morte, le comunic che per tutta la durata della malatia di Iangiuasand se ne sarebbe stato a dormire a casa di Zi Tares. E cos facette, quel cacazzoso. Ma il trentesimo d, alle cinque di pomeriggio, lo vedttero ripresentarsi a casa. Stanotte addormo qua annunci. E, innanzi alle facce interrogative della mamma e delle sore, spieg: Oramai appassato un mese, la malatia di Iangiuasand stasera se ne va. E checcosa ne sai, tu, fgghio mio bello, di ste cose lo 201

ripigli sconsolata Taratt. Non ne accapisco e non arriesco a fare nulla io, non ne accapisce e non arriesce a fare nulla il Dottore, e pure la Madonna immacolata e addolorata, dopo tante preghiere, orazioni e rosari, non d segni... E mo arrivi tu, frescofresco, non sei manco salito sopral mezzanino ad avvederla accome sta quella creatura di Cristo, non ti sei manco asseduto e ci dai sta bonanova... Volesse Dio! Ah, vedite che il mio non un augurio che ci faccio a quella spostata, n un semplice presentimento tent di chiarire Cilluzz, che si avvertiva di non essere creduto. Vi sto solo a nformare che stasera, fra un paro dore, Iangiuasand sta belle sanata e salza dal letto. Maccome fasci a dire ste cose, fgghio mio bello? Ma che ne vuoi assapere tu di ste cose! Nemmeno la mamma trattenette una risa tra lamaro e il rimprovero, mentre Mar e Iann fuscttero invece fuori per non fargli una risata in faccia al frate grande, per giunta con quella malata in casa che, dentro certi momenti, pareva stare pi da l che da qua. Che ne puoi assapere tu! aggiungette sconfortata Taratt. Lo sccio io perch lo sccio rispondette il zito della malata, sapendo in effetti lui le cose sue ma non essendo a conoscenza e non avendo manco lontanamente il sospetto della vera ragione dello sbattimento, dellabbattimento e della malatia di Iangiuasand. ...Lo sccio io perch lo sccio ripetette. E preferette scrsene alla cantina ad aspettare, innanzi a una brasciola col suco, che linformazione portata in casa, tempo un paio di ore, si rivelasse esatta e si concretizzasse. Cilluzz non tenette il coraggio di spiegare la ragione di questa sicurezza sua. Gli manc la faccia di confessare, pur di farsi credere, che quella malatia di Iangiuasand la teneva lui sopra la coscienza, anzi lui e quelle due malefmmene di Tares la Zoppa e, tale mamma tale glia, Tetedd la Settebellezze. Per convincere quelle miscredenti della mamma e delle sore che lui era perfettamente legittimato a sapere che quella sera stessa la zita sarebbe zompata dal letto con la 202

sveltezza di un grillo, risanata e intatta come trenta d prima, avrebbe dovuto contarci una storia bruttassai. Trenta d prima, spinto da quella malaserpe della ziana e dalla cugina, signorina grande, aveva tagliato di notte un cirro di capelli a Iangiuasand per farle fare una fattura. Di e di, la Zoppa e la Settebellezze lavevano convinto che la vita sua non poteva scire innanzi cos, con una mogliera che non gli era mogliera n in chiesa, n per il municipio, n sopra il letto. Era buona solo a fargli salire il sangue agli occhi e a farsi dare mazzate. Lui o se laveva da levare dai piedi quella capaspostata o laveva da fare rigare dritta. Voleva ottenere uno di questi due risultati? Mbe, ci stava una masciara a Torre Tresca che non ne aveva sbagliata una di fattura. Loro due, mamma e glia, le avevano gi contato il fatto. E la sentenza di quella fmmena valente era stata che il malefzio si poteva fare. Bastavano un cirro di capelli della uagnedda, un limone giallo, sette spilli e una fettuccia. Stava a lui decidere il colore della fettuccia: verde se voleva che a Iangiuasand le arrivasse una bella disgrazia che la faceva crescere una buona volta; nera, per una fattura a vita, cos se la levava dattorno e non se ne parlava pi; rossa, caso mai lui volesse ancora perdere il tempo a tentare di farsi volere bene da quellindemoniata. Cilluzz non immaginava manco lontanamente checcosa avessero architettato quelle due fmmene. La Zoppa oramai si era ssata: voleva che, piano piano, facendo lite prima con Iangiuasand e poi con lattano e la mamma sua, e sentendosi solo, Cilluzz se ne venisse a stare con lei e, piano piano, si mettesse con Tetedd, nonostante che questa fosse pi grande di et rispetto a lui, che gli rimanesse cugina e che avesse fatto la bella vita sino a qualche annetto prima. Allora: verde, nera o rossa? Come la voleva ordinare la fettuccia, Cilluzz, alla masciara? Con quale colore voleva attorcigliare attorno agli spilli i cirri di capelli di quella diavola della zita sua? Col verde della speranza, col nero della morte o col rosso del core? 203

Vabbuono rispondette Cilluzz, voltando la faccia per la vergogna da unaltra banda, perch capiva che ci stava a dare una bella delusione a quella che gli voleva bene come una seconda mamma, pure se a modo suo, e a quella che almeno lui considerava una terza sora, vabbuono, mettmoci la fettuccia rossa. Si sorprendette lui stesso a scoprire che in fondo in fondo a quella matta non le voleva male. Voleva, in fondo in fondo, che abbasciasse la capa come fanno tutte le altre fmmene, insomma che gli portasse pi affezione e pi rispetto. Solo alla trentesima giornata di dolori e tormenti per Iangiuasand, quel citrone di Cilluzz realizz linganno patito e facette la facciatosta con Tetedd. Non che mavite fatto un bel trano? le domand allimprovviso. La Settebellezze fu lei, per la prima volta, a diventare rossa e gialla, sentendosi obbligata a fare s con la capa. E se ne fuscette Lui, il cugino, le si mettette dreto. Non la voleva perdere di piede. Era convinto che quella culaperta, mo, lo avrebbe portato dove, forse, si poteva riaggiustare il fatto. E si fermarono innanzi al vecchio pozzo, pieno di remmato e di cani morti che stava proprio alle spalle della fontana di Torre Tresca. Tetedd si cc dentro il pozzo e, volta e rivolta, volta e rivolta, lo rintracci il limone. Cilluzz se ne avvertette di colpo: la fettuccia, stretta stretta attorno agli spilli e ai capelli di Iangiuasand, era nera. Perci tent di slarcelo dalle mani il limone, con tutto quel veleno e quel tranello ingarbugliati attorno. Ma Tetedd lo ferm, spiegandogli: Statti fermo, sccio io accome si fasce. Io gettai il limone dentro al pozzo e attocca a me fare mo quello che ho da fare. Cilluzz la ss e concludette che si poteva dare: quella selvatica aveva nalmente capito che con lui, in quanto a letto, non ci stavano speranze. Perci abbasci le braccia e la lasci fare. E la mir mentre tirava a uno a uno i sette spilli, e a ogni spillo diceva le parole magiche che le aveva condato 204

la masciara: Accos tiro sti spilli, accos si hanno da levare dalle carni della patita. E mentre Cilluzz correva a casa, per vericare gli effetti della controfattura, Tetedd sfaceva i nodi della fettuccia e appicciava con un fulminante fettuccia e capelli, pronunziando tre volte la formula segreta: Fusci malefzio ch il fuoco abbrscia... La malatia di Iangiuasand, stasera, se ne va aveva anticipato Cilluzz tornando in via Modugno. Ma, senza manco sapere la storia della fattura e della controfattura, chi gli poteva credere a quel fatuo? Del resto, quale esperienza di cose di salute poteva vantare, se se ne fusceva sempre, per limpressione, pure quando la mamma aveva da tirare con forza qualche braccio stortigghiato per rimetterlo apposto? Ma quella sera Cilluzz si pigli una bella rivincita sopra tutti quanti. Improvvisamente e immotivatamente, cos come erano arrivati trenta giornate prima, dal corpo di Iangiuasand sparirono febbre, macchie, dolori di capa, agitazione e tremuizzi. Cos, inaspettatamente e inspiegabilmente. Cilluzz laveva detto, nessuno gli aveva creduto e mo si realizzava esatta esatta la profezia sua. Che, era diventato un mago? o un dottore? o pi semplicemente, tira e tira, si era avvertito di volerla bene a quella picciuedda scalognata e tanto aveva pregato a Cristo quel sacrlego pentito che, il trentesimo d, Cristo gliela aveva fatta la grazia, preavvisandolo? Senza considerare che, pur escludendo magia, scienza e fede, si sa che se uno la vole una cosa, se la vole con tutto il core e con determinazione, alla ne riesce a spostare pure le montagne. O quasi. Quelle due so proprio due assassine tir le somme, sollevato, Cilluzz. Ges, grazie grid Taratt, che allistante ordin di scire a chiamare la capera perch corresse a levarle dalla capa quella tortura dei mille, dei diecimila pidocchi che si erano ingrassati e moltiplicati durante le giornate di voto, diven205

tando naturalmente ogni d pi potenti e pi prepotenti. Meno male, afnito sto sopra-e-sotto si dicttero Mar e Iann. Che schianto che mi aveva fatto pigghiare pens Martem. Povera uagnedda chiangette emozionato Uelin sopra la bicicletta, per tutta la strata che lo portava dalla pescheria a casa, in campagna. E lei, Iangiuasand? Quando aprette gli occhi, dopo trenta giornate di assenza dalla vita, si vedette sopra il naso una rcchia di Cilluzz, che stava a sentire se respirasse regolarmente e se si ripigliasse nalmente. La prima tentazione della resuscitata fu di staccargli una rcchia con i denti, ma si sorprendette a vincerla, questa tentazione, e a far nta di discetarsi adscio adscio, dandogli il tempo di allontanarsi e di assedersi dallaltra banda del letto. Che stranezza, quasi quasi era contenta di vederselo afanco. Il tempo di scendere dal mezzanino e gi aveva deciso checcosa sarebbe successo, mo, della vita sua. Tanto per cominciare, aveva da dire baibai a quella casa. Quel vecchio porco non voleva nemmeno vederlo pi. E poi, nch stavano tutta la giornata insieme a Martem e Taratt, dentro la stessa casa, a mangiare dentro gli stessi piatti, Cilluzz rimaneva uagnone e se ne approttava. E lei rimaneva appesa, n signorina n patrona di casa, n con Cilluzz n senza Cilluzz. Mo abbasta pens, chi vole la vita che se la campa. E quella sera stessa pass allattacco. Per la prima volta, da quando era capitata dentro quella casa e salita sopra quel mezzanino, gli parl sinceramente a quel povero disgraziato che le avrebbe dovuto essere marito. Senti, Cilluzz, accos non potimo accontinuare gli dicette e lui quasi non credeva agli occhi suoi e alle rcchie sue, sentendo quel tono di voce e osservando quella espressione di faccia. Senti continu la zita, sta vita di mazzate e di dispetti non pote scire nnanzi. E non potimo stare ancora dentro alla casa di mmmeta. Qua il patruno Martem 206

e la patrona Taratt. Che accomandamo, noi, sopralla vita nostra? Perch non ci facimo una casaredda nostra? Ci abbasta una stanza. Tanto, il chiosco mo lo tieni e ascommetto che fra poco tarriva pure il banco a via Nicolai. Mica poi ci vgghiono tanti tornesi per una stanza e per un boccone a mezzad. Cilluzz era stato pigliato alla sprovvista da quelliradiddio di uagnedda. Ma se non simo manco marito e mogghiera? balbett. E lei: Appunto, che aspetti a organizzare il matrimonio e a pigghiare in aftto una casaredda solo per noi? Ma io addicevo marito e mogghiera a letto... Iangiuasand, a quel punto, avette unilluminazione e capette dove stava portando il giuoco suo senza che nemmeno lei stessa lo avesse voluto consapevolmente. Tu sei ammalato ncapa se credi che io mi metto a fare con te, senza che mi sposi, nchiesa, e senza una casa tutta per noi, addo io so la patrona e tu porti i calzuni. Ma io accredevo che tu non mavvolivi. E tu mhai addomandato mai se io tavvolevo? ...Allora? domand lui speranzoso e sconcertato, gi vedendosi allanuta e patrone, sopra quella matta tutta allanuta pure lei che si torceva dal gusto. Allora? Allora checcosa? Fissamo il matrimonio, pigghiamo una casa e fuscmocene da qua. Aqquando? domand Cilluzz, riperdendosi innanzi a tutte quelle decisioni da pigliare. Aqquando? Aqquando? gli facette la caricatura Iangiuasand, cangiando per subito tono: Mo, mom. Domani stesso facimo le carte. E la casa? tent di tirarsi ndreto Cilluzz. Mica larricperi accos una casa giusta, a un prezzo giusto. Qua lo voleva portare a quel tordo e qua lo aveva portato. A proposito della casa, Iangiuasand teneva la risposta pronta da quando aveva avuto lilluminazione sopra il giuoco che si era messa istintivamente a giuocare con quello sbarbatiddo 207

di Cilluzz, che in effetti non aveva mai toccato un mazzo di carte in vita sua, mai fatto una mano a patrone-e-sotto e mai palleggiato con parole e pensieri. E mo Iangiuasand aveva pure capito perch prima di cadere malata si era interessata per semplice curiosit al Si loca appeso sopra il portone afanco alla farmacia Ciaciulli. Pareva fatto apposta per due ziti freschi: una stanza col cesso, al primo piano, addirittura col balcone, proprio allincrocio fra via Modugno e via Mirenghi. Fatto apposta per loro due, dato che rimaneva praticamente a settanta metri dalla pescheria di Martem e a settanta dalla casa dovera nata e cresciuta lei, sino a quando aveva avuto quella bella pensata di fuscire per fare un dispetto alla mamma. La casa? dicette lasciandolo di stucco, la casa ci sta, ci sta. Sta proprio qua vicino, sopralla farmacia Ciaciulli. Ma magari troppo grande per noi azzard una resistenza Cilluzz. No, non troppo grande per noi lo inform Iangiuasand, anzi, ci sta giusta giusta. Una bella stanza col cesso. E te ne puoi pure assire sopra un bel balcone, per pigghiare aria e per affumarti una fumosa. Ma magari il patruno della casa vole i numeri. Allassamo stare... Ma che numeri e numeri. Il prezzo che appretende giusto, alla portata nostra. Ma che ne sai tu che saftta? che ne sai tu che non lha gi pigghiata qualcun altro? ...Senti Cilluzz, inutile che accerchi scuse riepilog il fatto Iangiuasand: la casa sta libera e noi ne avimo abbisogno accome al pane. Non potimo pi stare qua. Lo accapisci da solo... Ma accome ti ho da dire che ti vgghio essere mogghiera a tutti gli effetti e vgghio che tu mi sei marito a tutti gli effetti? Mica parlo georgianese... Cilluzz drizz le antenne: Allora vuoi fare la pace con me? Ma sei proprio beduino? si sentette rispondere da 208

Iangiuasand, che ripetette: Ti vgghio essere mogghiera a tutti gli effetti e vgghio che tu mi sei marito a tutti gli effetti. Te lho daddichiarare sopralla carta bollata? Facmola allora sta pace si squagli denitivamente Cilluzz, avvicinandosi a lei con gli occhi di pesce lessato. Ma che ti sei mettuto ncapa? lo smont lei, scostandosi. La pace, accome la vuoi fare tu, la facimo dentro alla casa che sta sopralla farmacia Ciaciulli, da sposati. O l o nulla. Lo ss con intenzione e malizia dentro gli occhi, con la mano lenta lenta si lev la dentiera, lenta lenta lavvicin al bicchiere e la lasci cadere dentro lacqua. Ploff si sentette sopra il mezzanino, lei canticchi sottovoce: I te vurria vas, i te vurria vas, ma o core nun m oddice e te scet, e te scet e si volt dallaltra banda. Lui pens che Iangiuasand era proprio una glia di zccana che non abbasciava mai la capa, ma non lo grid quella volta. Non solo perch non si voleva far sentire abbscio, dai vecchi, ma pure perch, mo, con la decisione pigliata, cominciava a intravvedere la possibilit di metterla sotto. S, lavrebbe sposata: e che poteva fare di diverso? S, avrebbero scasato: e poteva forse per tutta la vita stare a sopportare la patronanza dellattano, lautorit della mamma e il fastidio delle sore? Ma, a quel punto, a soli a soli dentro la casa loro, lei non avrebbe avuto pi scuse e si sarebbe fatta mettere nalmente sotto. Da tutti i punti di vista. Avrebbe abbasciato la capa. E se atava, mazzate. Se atava ancora, mazzate ancora, sino a quando non atava pi. Non ci sarebbe stata nemmeno Taratt a salvarla, dentro quella casa sopra la farmacia Ciaciulli... Quattro e quattrotto, Col facette le carte e contratt col farmacista quella stanza col cesso al primo piano. E fu ssata la data dello sponsalizio. Ma il segnale che mand Gesuccristo, quella giornata, fu ancora pi feroce della tempesta con diciannove morti, cinquanta feriti e mezzo miliar209

do di danni che si era scatenata quando Iangiuasandin fu tirata fuori dal ventre di Donna Sabbedd. Non avevano manco messo piede dentro il Redentore i due ziti, tutti i parenti e i conoscenti di lui della famiglia di Iangiuasand nemmeno lombra che si sentette un colpo che facette tremuare laltare, scoppiare la vetrata a colori con la Madonna, Ges e San Gesepp, e svenire tutte le fmmene. I mscui di via Modugno, per la prima volta dentro la vita loro, si facttero il segno della croce in chiesa. E subito si riseppe: era scoppiata una nave al porto, trecentosessanta morti e millesettecento feriti. Certo, sedici mesi prima era successa una cosa ancora pi tragica: diciotto navi incendiate, mille morti e una distribuzione di veleno dentro lacqua e dentro laria che avrebbe continuato ad accdere e a far soffrire gente per cinquantanni e forse di pi. Alle otto di sera di quella giornata di sedici mesi prima, per, al massimo Iangiuasand (allepoca Iangiuasandin) stava a fare qualche dispetto alla mamma: nulla, comunque, che potesse giusticare una reazione di Cristo cos spietata e sanguinaria. Ma stavolta, con quei trecentosessanta morti, forse Domineddio voleva proprio dire qualcheccosa a proposito del matrimonio della glia capamatta della bonanima di Mba Iangiuasand, che possa riposare in pace, con il glio capapersa di Martem Cioladoro. Era il 1945, per la precisione il 9 aprile 1945. Al porto era scoppiata la nave alleata Henderson. Il governo si pigli il fastidio di destinare, per i primi soccorsi, undici milioni di lire. Tanta fu limpressione generale, che venette da queste bande il Luogotenente in persona, senza contare il ministro Gasparotto. Dentro le stesse giornate, la nona armata americana oltrepassava lElba e marciava sopra Berlino. La terza armata ucraina arrivava a Linz. I tedeschi perdevano Vienna e Dresda. Si calcolava che, tempo un mese, anzi di meno, Berlino sarebbe stata occupata o liberata, a seconda del punto di osservazione. Il nazismo stava a morire (qualche uno diceva che Itler era gi morto 210

acciso, forse fatto fucilare da quellaltra iena di Immler). Il fascismo, poi, lo aveva notoriamente preceduto, e il Duce stava passando un brutto quarto dora, insieme a tutta la Repubblica Sociale sua: diciamo pure lultimo quarto dora, suo e di questa. La quinta armata americana e i partigiani conquistavano Carrara. Gli inglesi, i polacchi, i neozelandesi e gli indiani dellottava armata alleata oltrepassavano il Santerno e penetravano dentro la pianura padana... Insomma, ne stavano a succedere di cose dentro il mondo. E al paese nostro non lItalia, ma proprio il paese nostro checcosa succedeva dimportante, oltre allo sponsalizio di Iangiuasand e Cilluzz? Filovie ferme per mancanza di rote di ricngio. Coprifuoco per mancanza di carbone. Mancanza di grano e farina, e quindi pane razionato e di una qualit che pure i cani lo schifavano. Una mancanza generale, una mancanza di tutto, meno che di bocche da sfamare. Ce ne stavano diecimila di profughi a Bari, cinesi compresi. E dove ti voltavi e giravi, vedevi cristiani di tutti i colori e di tutte le razze, persino del Canad, della Nuova Zelanda e dellIndia. E attorno a loro, per colpa loro e contro di loro, borsaneristi, imbriaconi, signorine per modo di dire, intrallazzisti, e la povera gente obbligata a inventare ogni d la maniera per mettersi qualcheccosa dentro lo stomaco. Eppoi, come se non fosse bastata la guerra con tutte le conseguenze sue, non pioveva. La terra teneva arsura, moriva dallarsura. Stretto di culo il cielo sempre stato, con noi, in quanto ad acqua. E durante quel periodo particolarmente disgraziato e tragico, il cielo in quanto ad acqua fu con noi particolarmente stretto di culo. E che losoa mettono in capa ai poveri cristi larsura, la fame e la disperazione? Una sola: chi vole la vita che se la campa. Cos il forte rub al debole e laccavallato (di mitra, di coltello o di prepotenza) rapin il disarmato. Vale a dire che la storia, come raramente successo, si faceva sentire pure dalle bande nostre. Nientedich: ventri vacanti e rubaruba. Pure lei, la storia sempre stata stretta 211

di culo con questi paesi nostri. In via Modugno e in via Mirenghi, poi, non si era proprio mai vista. Del resto, bisogna dire onestamente che tutti quei poveri cristi del quartiere Africa cos chiamavano quelle strate i signori del centro erano pure loro a essere stretti di culo con la storia, con tutti quelli che non abitavano da quelle bande e con tutto quello che non fosse lapertura di bocca, lapertura di conno e lapertura dei negozi. Chiss, forse non erano in fondo in fondo tanto diversi, in quanto a impulsi e bisogni, da quelli che abitavano al centro, ma il fatto che, a differenza di loro, non si facevano tutta la scola dalle elementari alluniversit e non leggevano dalla matina alla sera libri e giornali. E cos non avevano manco imparato a identicare e a nominare in una qualche maniera impulsi e bisogni personali, riconoscendoli conseguentemente legittimi per loro stessi e per gli altri. Quelli del centro, come quelli del centro di tutti i paesi della terra, campavano e davano un nome a quello che facevano, che volevano o non avevano. Invece quelli del quartiere Africa che per la verit al municipio veniva nominato, forse con una busca, quartiere Libert campavano e basta Quel d, comunque, con quella nave alleata scoppiata e quei trecentosessanta morti e millesettecento feriti, la storia si era fatta sentire forte pure da quelle bande. E chi teneva pi la capa, dentro il Redentore, a fare le cose obbligatorie per gli sponsalizi in chiesa, dopo quella sorta di colpo e con tutto quel viavai di cristiani agitati, di grida e di notizie di sangue? Il prvito non facette manco la predica. Capiva da solo che ogni parola sua, pure senza quellapocalisse scoppiata al porto, sarebbe stata praticamente inutile con il zito che pareva che manco centrasse con quel matrimonio e con la zita in tair, senza il velo delle vergini, che si vedeva subito che non le frecava nulla della funzione e non vedeva lora di scrsene alla Casa del Mutilato a ballare. Che aveva da dire? Che non si fanno le cose brutte, pur sapendo tutti che quei 212

due le avevano gi fatte, fuscendo? E checcosa raccomandare senza essere pigliato a pernacchie a tutta quellaltra marmaglia di gente senzadio, morti di fame, scansafatiche, contrabbandieri, amanti del miero e cercaliti, per i quali esistevano solo la tavola, il cich-e-cich e il portafoglio? Pareva che dentro il Redentore ci fossero solo il prvito e Taratt: lui, con locchio sso sopra la faccia di Taratt per ricevere conforto dallunica cristiana che capiva, si fa per dire, le orazioni latine e limportanza della funzione; lei, Taratt, che ssava in alto, oltrepassando con linnocenza la barriera degli angeli e dei santi pittati sopra il softto e arrivando a ringraziare personalmente Ges, Gesepp e Mar per quel miracolo. Cilluzz e Iangiuasand sposati! rideva e chiangeva Taratt lAcconzaossa, parlando tra lei stessa e lAldil. Pgghiali nconzegna tu, Cristo Redentore, e fa la grazia a sta povera fmmena, che tapprega in ginocchio, di farli scire daccordo. Lo sccio, difcile pure per te. Ma fammi sta grazia! Da sto momento mi impegno a recitare, in pi, un Pater e unAvemaria ogni ora che tu ammandi nterra, con la speranza che sti due uagnuni arriscono a scoprire una maniera accome a unaltra per stare nsieme senza scannarsi. Cilluzz, alla Casa del Mutilato, facette per tutta la festa lunica cosa che sapeva fare: ballare. Che tanghi che disegn, con i piedi alle dieci-e-dieci che volavano a tre o quattro centimetri di altezza, con il braccio destro stretto stretto alla vita della dama e i dsciti della mano dritti dritti, con quei quattro peli dei mustazzi che tentava di farsi crescere tutti arrizzati per la contentezza. E rideva, rideva. Gli venette pure la risata da malandrino. Fu il vero re della festa, a prescindere dal fatto che era il zito. Si rivel cos a Iangiuasand, che non sapeva nulla di questa passione sua, un grande maestro di ballo. Comand la quadriglia con tutti i richiami e le grida in francese, e tutti lo capivano e facevano per lo e per segno i passi e i contropassi che ordinava lui, pur sapendo il francese quanto lui, cio zero. Turdem, valans! Dame 213

e cavalieri si lasciavano e si ripigliavano, giravano tutti attorno attorno alla pista a serpentina e facevano allindr, lui rimaneva fuori dal cerchio sempre comandando in francese e controllando la situazione, con una occhiata complessiva da comandante di nave, poi rientrava e ordinava che si riformassero a caso le coppie. Larch! E i cavalieri da una banda e le dame dallaltra facevano la galleria e, a una a una, le stesse coppie ci passavano sotto. E ricominciava la quadriglia. Iangiuasand non aveva mai lontanamente immaginato che quello smidollato di Cilluzz, ad un certo punto, come stava a succedere dentro quel momento, potesse diventare il capo della situazione. Che valzer che facette, lui e la dama parevano mo due palomme leggere leggere che volavano dal centro della sala al posto dei compari, mo due grilli che zompavano dalla porta dei camerieri alla pedana dellorchestra, mo due serpenti che strisciavano dalla tavola delle pagnotte al tavolino delle paste secche. E poi, quel ballo lento lento, lui abbrazzato abbrazzato alla dama, la faccia di lui appizzicata appizzicata alla faccia di lei, lui che ssava da qua e lei che ssava da l, eppure mai uno sbaglio, non una sola distrazione, non un passo falso. Iangiuasand non facette manco un ballo. Pi Cilluzz si esibiva in zompi e piroette con questa e con quella, pi lui si appassionava facendo i tanghi con Tetedd la Settebellezze che aveva fatto la vita ma, quando ballava, pareva effettivamente che non avesse fatto niente altro sino a quel momento che ballare con Cilluzz, per quanto erano perfetti quei passi lenti e quei movimenti improvvisi, e per come parevano divertirsi alla faccia di tutti gli altri che erano convenuti alla sala degli sponsalizi e delle feste da ballo della Casa del Mutilato pi la zita faceva veleno. Per tutta la serata non dicette una sola parola. Teneva la faccia tutta abbafacchiata. Ti sei addivertito? gli domand con la bocca e le mani che le tremuvano, appena furono a soli a soli, dentro la stanza sopra la farmacia Ciaciulli, per la prima notte di matrimonio. 214

Mbe, s... rispondette lui che, fatuo e sventato di primordine, non si era avvertito per tutto il pomeriggio e la serata del muso appeso e dellabbafacchiamento della zita, n mo del veleno che sprizzava da quella battuta. Era tanto tempo che non si sfrenava a ballare. E poi, senza contare la soddisfazione di dans e di dans tanto bene da farsi fare gli applausi da una masnada di apatici che normalmente manco lo smicciavano Cilluzz era allegro allegro perch nalmente, mo, quella mogliera sua ribelle si sarebbe spogliata per lui. Mo si sarebbero messi uno sopra laltra, allanuta tutti e due, e lei avrebbe cominciato ad abbasciare la capa come tutte le mogliere. ...Era tanto tempo che non abballavo spieg Cilluzz con tutta sincerit. Mbe lo ghiacci lei, acida acida, mo il divertimento afnito. Solo a quel punto lui nalmente capette checcosa stava a maturare. Con Iangiuasand mo cominciava tutto punto e da capo. Improvvisamente Cilluzz vedette crollare il castello che si era costruito con tutta la pazienza sua, mana mano che procedevano i preparativi per lo sponsalizio, e che si era completato e abbellito proprio quella giornata con balli e liquori, lui che non ballava oramai da anni e non aveva mai toccato bottiglia in vita sua. Realizz solo allora che, in effetti, la zita era stata zittazitta durante tutta la serata e teneva una faccia come se lavesse mozzicata un cane arraggiato. Balbett Cilluzz: Che ti assuccesso? Non ti volivi sposare? Non ti appiaciuta la festa? La festa? Quale festa? Tu ti sei addivertito, sino a mo, con quelle sfondate e quei cornutazzi dei parenti tuoi, allassndomi sola sola accome a una bestia appestata sbott Iangiuasand, chiudendosi dentro il cesso e continuando a parlare da dreto la porta, e mo ti vuoi sbambarare con me? Te lo scordi. Addo facesti lestate, l vai a fare linverno. Cilluzz era in bilico, fra il disorientamento totale e lammattimento, fra lesplosione e il controllo. Tent ancora, cercando di contenersi e tizzuando piano piano alla porta 215

del cesso: Vedi che stai a sbagliare... Sei tu che te ne sei stata sempre asseduta, muta e sorda, senza parlare con nisciuno... Io accredevo che tu eri emozionata e te ne volivi stare per i fatti tuoi... Ma che emozione ed emozione... Io volevo abballare, era la festa mia, la zita ero io e nvece tu abballasti sempre con le altre insistette da dreto la porta quella capatosta di uagnedda. Tappiaceva a stringerle, a tuccuarle, a strusciarti, a fare cich-tu-cich? Puerco e delinquente. Ma me lappaghi, lhai davvedere accome me lappaghi... A quel punto Iangiuasand sentette un grido. Cilluzz aveva pigliato la strata dellammattimento e dellesplosione, scansando il disorientamento e perdendo il controllo. La zita fresca facette appena in tempo a schiantarsi e a vedere la porta del cesso sfasciata da un cazzottone di Cilluzz, che si gett come una furia sopra a lei, ancora asseduta a fare i fatti suoi, e le dette un boffettone che la facette sbattere contro il muro... Quando la zita si ripigli, la prima cosa che vedette fu la faccia bianca da cadavere ambulante di Taratt. Era successo che Cilluzz, innanzi al corpo della uagnedda immobile in terra, con la capa e la faccia piene di sangue, aveva fatto ricorso fuscendo fuscendo alla mamma. Appena aveva veduto e sentito il glio, Taratt capette e grid: Checcosa accombinasti, fgghio del demonio? Cilluzz era bianco come un lenzuolo e tremuava. Vai a casa dicette appena, ch mi scapp di fare una fessaria. Taratt per la prima volta dentro la vita sua, per la prima e unica volta, volt verso il cielo una faccia di rimprovero e di delusione. Ma fu solo un momento. Reagette, pigli il rosario e, pregando pregando, si facette venire il soprafato alzando il passo per quei settanta metri che parevano settanta chilometri e quelle due scale che non nivano mai, tanto lunghe e ripide che pareva potessero portare in paradiso e invece ascendvano (certo ascendere in italiano signica salire, ma da noi signicherebbe pi propriamente scende216

re), ascendvano allinferno, linferno che era gi diventata quella casa alla prima notte di matrimonio. Ed eccola l quella povera uagnedda, stesa in terra. Meno male... tir subito il ato Taratt, avvertendosi che Iangiuasand respirava. Non nulla... dicette al glio, che solo a vedere il sangue di un raschio quasi sveniva ma che quella sera facette la fatica di Ercole di pigliarlo addirittura in braccio il corpo pieno di sangue della uagnedda e lo spost sopra il letto. Taratt sciacqu la faccia alla uagnedda, con un pannolino e un poco di spirito le pulizi il sangue dalla capa, gliela fasci, la vas in fronte e sgombr. Pensava che lei, l, non teneva niente altro cheffare o cheddire, e che da mo in poi quei due oramai sposati avevano da vedersela loro e Gesuccristo. I ziti passarono dodici mesi e due d, dentro quella stanza col cesso sopra la farmacia Ciaciulli, senza dirsi mai bongiorno n bonasera ma chitemmurto e stramurto s. Iangiuasand gliela facette pagare a Cilluzz, e Cilluzz si convinceva sempre di pi che quella spostata era proprio la sciagura della vita sua. Lui non le dava i soldi e lei non cucinava, lei non preparava nulla da mangiare e lui le dava mazzate, lei non gli lavava la robba e lui le dava mazzate, lei allora gli rideva in faccia e gli faceva ricchione toccandosi la rcchia con due dsciti e lui, col sangue agli occhi, pi mazzate le dava. Avevano da vedersela loro e Gesuccristo, era stato il pensiero di Taratt quella prima brutta sera di matrimonio. Ma Gesuccristo aveva delegato proprio Taratt, per la vicinanza che lei teneva sia con la casa dei ziti sia con la casa del Signore, a vedersela con loro. E cos fu. La robba di Cilluzz continu a lavarla lei, con laiuto di Mar e Iann. Un boccone per Cilluzz a casa della mamma ci stava sempre. E dentro i viaggi che ogn d, per dodici mesi e due d, facette da casa sua a casa dei ziti, Taratt impar subito che settanta metri equivalevano a met rosario, almeno con la velocit del lepre 217

che ci metteva lei a recitare le orazioni e con la lentezza della testuggine che tenevano al contrario i piedi suoi. E, dentro quel va-e-vieni, si poteva fare un rosario intero. Cos, dato che le preghiere lei non era capace di pensarle, dimmaginarle, ma aveva da dirle con la bocca, con la voce, come se parlasse a Qualche Uno, per quelle due maledette scale che portavano al primo piano del palazzo della farmacia Ciaciulli si permetteva dinterrompere le preghiere, ripigliando ato. Del resto sapeva che, dentro la casa dei ziti, di ato ne avrebbe avuto bisogno. L ci stava da faticare, aveva da mettersi a fasciare e a sfasciare, a medicare, a stronare, a nettare ferite, a preparare borse di acqua calda, a fare impiastri, se necessario a mettere e levare sanguette, insomma a sfruttare tutte le arti che aveva imparato in tanti anni passati ad aggiustare ossa e a fare prontosoccorso. Per tutti quei dodici mesi e due d, gli unici conforti di Iangiuasand non quelli per il corpo, ai quali era delegata la suocera, ma quelli della capa e del core furono la novit del Grand Hotel e la scappata che, un d s e uno no, faceva da lei Fin la Fricamidolce. Quando stava sola, specialmente la sera, Iangiuasand non sapeva proprio dove sbattere la capa. I servizi li faceva e non li faceva: e per la verit, dentro quella sola stanza col cesso, li poteva sbrigare subito subito. Certe volte se li trascinava per tutto il d, spostando mo una sedia e mo laltra, puliziando prima un pezzo di pavimento e poi laltro, sbattendo e risbattendo il matarazzo oltre il necessario, lavando prima una forcina e poi una cucchiara, eccetera eccetera, ma era chiaro che si trattava di perdere il tempo. E soprattutto di cercare di non pensare alla situazione senza sbocchi dentro la quale era prigioniera. Perch, peraltro, pi ci pensava e pi la sera diventava provocante con Cilluzz, e pi provocazioni faceva o comunque pi era reattiva con lui e pi mazzate rimediava. E allora? Che aveva da fare tutto il d, dato che di assire non ne aveva proprio voglia, pure perch quasi sempre teneva un braccio fasciato e appeso al collo o un occhio a 218

melanzana e non voleva fare sapere a tutti che le pigliava? Per qualche tempo le facttero compagnia due libri, forse i soli due libri che circolavano dentro tutto il quartiere, insieme a quello damore senza copertina (e perci senza titolo) che lei aveva letto, riletto e straletto a casa della mamma e che l aveva abbandonato fuscendo quella notte maledetta con Cilluzz. Una volta, per passare il tempo puliziando sopra il gabbiotto del cesso, grazie alla scaletta bianca prestatale dal uagnone della farmacia Ciaciulli, spost una cscia per la frutta piena di bottiglie vacanti e scoprette tuttimpolverati quei due libri, tutti e due con la copertina grigia come la polvere stessa. Li aveva scordati, evidentemente, il professore di scola che prima abitava da solo dentro quella casa e che mo, da solo, si era promosso a cittadino del centro (noi diciamo professore di scola e non solo professore, per distinguerli dai professori di concertino, allora ben pi considerati e pi titolati per essere chiamati semmai loro professori e basta). Grazie alla copertina, quei due libri avevano pure un titolo: Alessandro Manzoni, I promessi sposi, Storia milanese del secolo XVII, commento storico-estetico e note illustrative di Fortunato Rizzi, collezione scolastica Marzotto, Firenze 1940, un volumone di seicentosettanta pagine con le lettere piccinonne piccinonne che a quel professore era costato, ai tempi suoi, lire 20; Giuseppe Arbore, Fatti di casa nostra, Letture storiche per i ragazzi delle scuole medie inferiori di Terra di Bari, Trani, Tip. Ed. Paganelli 1945, che poteva essere accattato a lire 120, come stava scritto sopra la copertina di dreto, presso la libreria Fiore, Via Duomo 69, Corato (Bari). Sar stato per quelle lettere piccinonne, peraltro stampate sopra pagine pure loro grigie quasi quanto la copertina, sar stato per lo spavento che le facevano quelle seicentosettanta pagine, fatto sta che Iangiuasand sintratteneva pi col prof. Arbore da Corato che con lillustrissimo Manzoni da Milano. Per vincere langoscia che le faceva quel volumone, lo leggeva a scarti e rimbalzi, soffermandosi sopra una scena 219

ogni dieci-venti pagine, zompando senza pensarci manco un momento descrizioni e ragionamenti per lei praticamente incomprensibili e comunque pallosi, e attardandosi invece, per gusto e per minore difcolt di lettura, sopra le battute che si scangivano i protagonisti di quella storia milanese. Ci sta da dire, per onest, che dopo mesi e mesi di sforzi e cefalee non arriv mai oltre la pagina duecentonovantadue, dove Renzo esce da unosteria, incaminandosi dalla parte opposta a quella per cui era venuto. Del resto, pure se molte delle parole scritte dallo stesso prof. Arbore non le capiva veramente, almeno qua le lettere erano grosse e chiare, stampate sopra una carta gialla che le faceva risaltare ancora di pi. E poi, qua, ci stava la leggenda di Enea che da Troia spieg le vele verso le coste della Puglia, chiamata allora Japigia, si contava di quando a Bari comandavano i Saraceni, si descriveva il matrimonio a Trani tra il glio di Federico II, Manfredi, ed Elena Commeno, glia di Michele Commeno, despota dEpiro, prncipe di Tessaglia e dEtolia, si parlava pure dellarcivescovo barese Bartolomeo Prignano diventato papa correndo il 1378 col nome di Urbano VI, della disda di Barletta, della peste a Bari correndo il 1656-57, eccetera eccetera. Le centoquarantatr pagine del prof. Arbore s che se le leggette tutte, anzi qualcuna di esse le rileggette e straleggette (pure per cercare di capirci qualcosa di pi della volta prima o comunque qualcosa). Che soddisfazione quando arriv allultima frase della pagina centoquarantatr: Erano passati appena settantanni dal 1848, quando il piccolo Piemonte os scendere in campo contro il grande e potente Impero austro-ungarico, per fare lItalia! Nel 1918 lItalia fatalmente si compiva, mentre lImpero austro-ungarico cessava di essere. Punto e Fine. Nessuno sapr mai cosa potesse dire e quanto potesse rimanere di tutto questo dentro la capa di Iangiuasand. Certo che quel Fine la inorgogliette, pure se lei sintratteneva con quei due libri, per la precisione con quelle parole, non per scelta o per piacere o per capacit di comprensione ma sem220

plicemente e puramente per disperazione, perch lunica alternativa a quelle parole per quanto sdruse, strane e incomprensibili una volta fatti i servizi e una volta scocciatasi di stare a mirare le mosche sopra il balcone era sbattere la capa contro il muro. Ma quando faticosamente arriv a quella benedetta pagina manzoniana numerata duecentonovantadue, proprio mentre Renzo se ne fusceva preoccupato da unosteria, dopo aver educatamente chiesto e saldato il conto, arriv una specie di salvezza storica per Iangiuasand (e non solo per lei): il Grand Hotel. Che bel giornale che avevano inventato, proprio dentro quel periodo: le gure erano disegnate cos bene che, in pratica, una uagnedda di casa che non teneva nessuno che la portasse al cinema si poteva vedere un bel lm di sentimenti e di avventure, fra una lavata di piatti e una lavata in terra. Le uagneddozze del quartiere, ma pure certe fmmene grandi, si erano praticamente abbonate al giornalaio. A turno, alla nascosta dei mscui e delle vecchie, se le accattavano e se le scangivano le puntate di quelle favole moderne, sparagnando ma non perdendosene nemmeno una. Perci quel giornale, considerato dai mscui pieno di fessarie e perdita di tempo e dalle vecchie scandaloso, anzi peccaminoso, circolava clandestinamente. Pure Iangiuasand lo aveva da nascondere e leggere tuffandosi dentro quelle storie damore e di passione quando stava sola. Non tanto per Cilluzz, quanto per via di Taratt. Taratt aveva saputo dai prviti che dentro i grandotl ci stava in pratica il diavolo, con le corna, la coda e una certa cosa rossa rossa innanzi che non si poteva nemmeno nominare. Perci facevano fuochi grandi e grossi afanco al Redentore con i grandotl e poi, a maggior ragione, con tutti i fotoromanzi che arrivarono dopo, che si accumularono dentro ledicola e dentro i nascondigli delle case, e che le bizzoche scoprivano sotto i letti delle uagnedde o sopra le credenze o dreto agli specchi e sequestravano, fuscendo a 221

portarli dentro la sagrestia senza manco darci unocchiata, fosse pure per curiosit, a quelle scene di vasi in bocca e di passione carnale, di abbrazzi stretti stretti e di tradimenti, di fmmene perdute e di commendatori senza Dio che quelle disgraziate se le accattvano come si accttano le bestie da sfruttare e da mandare poi al macello... Una volta al mese, di sera, dalla chiesa facevano assire la statua della Madonna e li incendiavano tutti quei giornali del diavolo. E tutte quelle vecchie, schiantate innanzi a quellincendio come se fossero effettivamente innanzi allinferno vero e proprio, facevano il coro, insieme al parroco con laltoparlante. La musica era la stessa dei cantastorie, che giravano per le strate con un pappagallo che beccava la busta della fortuna e una chitarra per cantare i fatti pi brutti che capitavano dentro il paese e che solo due o tre del quartiere leggevano sopra la Gazzetta. Il coro delle bizzoche e la musica, attorno attorno al fuoco, erano sempre gli stessi. Come unossessione, quei quattro versi venivano ripetuti per ore, no a quando non si riduceva in cenere lultima pagina dellultimo fotoromanzo: Chi legge i grandotelli/ andr subito allinferno/ e alla morte che sar/ saran amme in quantit... Per accattare il grandotl, Iangiuasand si faceva passare i tornesi, alla nascosta, da Uelin il Provolone. Si sa che il giovanotto non era come gli altri aiutanti che frecavano Cioladoro da innanzi e da dreto, facendo nta di mettere dentro il tiretto ma schiaffndoseli in effetti dentro la palda i tornesi di un cliente ogni dieci o quindici, a seconda delle possibilit. Per, per fare un piacere alla patrona uagnedda, cio a quellunica cristiana dentro quel viavai di bestie umane alla quale voleva bene ma che non si permetteva nemmeno di adocchiare in faccia per quanto era timido e rispettoso dei patroni, Uelin una volta alla semana pure lui metteva qualcheccosa meno del dovuto dentro la cassetta: esatti esatti, i tornesi per il grandotl di Iangiuasand. Diventava rosso come un paperusso, apriva e chiudeva il ti222

retto facendo rumori che non avrebbe fatto nemmeno se vi avesse scaricato dentro monete a milioni (e invece vi faceva cadere solo la differenza fra lincasso della pesata e il prezzo del grandotl), faceva due colpi di tosse da tisico pure tenendo una salute di ferro e non avendo mai pigliato in bocca una fumosa dentro la vita sua, e quasi indirupicava sopra a se stesso drizzando il piede verso linterno della casa con la scusa di scire a pisciare. Ma nessuno gli faceva caso, tanto era poco considerato e tanta era la ducia dei patroni. E cos lui poteva lasciare sopra il tavolino della cucina i tornesi che servivano giusti giusti per accattare il grandotl. Lo facevano sempre di matina. Iangiuasand veniva alla pescheria solo quel d, un d alla semana, col bollitoio in mano e con la scusa di scire da Don Mingh a pigghiare un quarto di latte bollito con lo zucchero. Agguantava avvolo i tornesi dal tavolino della cucina senza farsene avvertire da nessuno e taccheggiava verso il caf. Si faceva servire da Don Mingh, appoggiava in terra vicino alla vetrina il bollitoio con il latte e attraversava la strata a spezzacollo per non farsi vedere da Cioladoro, sempre accepponato alla seggia afanco alla mostra delle cozze. Italo il Giornalaio, che sapeva la cosa, stava pronto con una mano a pigliare i tornesi e con laltra a darle il grandotl. Iangiuasand riattraversava via Modugno come una furia, con il giornale sotto il maglione e, destate, sotto la gonna. Ripigliava da terra il bollitoio e piano piano ripassava innanzi a Cioladoro, alla mostra e a Provolone, oltrepassava pescheria, formaggiaro e farmacia Ciaciulli, e sinlava nalmente dentro il portone di casa sua. La prima occhiata al grandotl la dava mangiando adscio adscio quattro o cinque pezzi di pane dentro il latte. Ma la sera, la sera era unaltra cosa. Da sola, dentro il caldo del letto, praticamente viveva quelle avventure e nessuno la disturbava. Quei disegni e quelle fotograe se li mangiava, mirandoseli e rimirandoseli cinquanta volte; pure quelle scritte semplici semplici, piazzate sopra la capa o afanco o sotto la gura dei personaggi di quelle storie, se le beveva e 223

se le ribeveva, nonostante che alla lettura fosse stata sempre una capa di ciccio. Finalmente le pareva di pigliare un poco di requie (oltre che patronanza della lettura), dentro un mondo dove una non aveva sempre da combattere, ma se ne poteva stare beata fra immini rispettosi e fmmene contegnose, che non si sorano nemmeno con un ore. S, ogni tanto un malandrino tentava di fare lo sgambetto a un bravo e bel uagnone oppure una malafmmena dava una pugnalata dreto la schiena a una ingenua glia di mamma oppure, ancora, un lurido imbroglione cercava di fare sfallire ingiustamente la ditta di un giovane che si voleva fare strata onestamente dentro la vita... Ma poi, alla ne, dentro i grandotl, vinceva sempre lui, il Bene. E, con il Bene, trionfava lAmore. E lAmore signicava passione, vasi e carezze. Ma, soprattutto, dentro quel mondo di civilt non ci stavano eti insopportabili, n zccane (quelle a quattro zampe, sintende), vive o morte che fossero, n cavallerie di pidocchi, n mazzate senza ragione. Che bello sarebbe stato vivere dentro un mondo cos. Ma esisteva? S, forse esisteva veramente. Anzi, ogni tanto Iangiuasand pensava che un mondo non proprio cos ma quasi cos ce lo avevano praticamente tutte meno che lei. Poi pensava alla vita che scorreva nei sottani alla strata di via Modugno e di via Mirenghi ma pure nei portoni e ai primi piani e concludeva che quelle fmmene, per, se la sudavano la vita, faticando e sopportando le prepotenze dei mscui. Certo, il caso suo era speciale. Tutte ogni tanto si pigliavano un boffettone. Ma quelle fmmene normali non reagivano, se lo tenevano e cos poi arrivava per loro pure il dolce, dopo lamaro. Invece lei, Iangiuasand, di boffettoni non se ne tenette mai n uno n met, e cos il dolce non arriv mai, anzi i boffettoni diventarono dieci, cento, mille. E ai boffettoni si associarono cazzotti e stampate, a ogni punto e momento e con ogni scusa... La sera, perci, sinventava con laiuto del grandotl una seconda vita, quella giusta, quella vera. Sia chiaro, 224

Iangiuasand non simpressionava tanto per la felicit e per i vasi, che pure non sarebbero stati certamente una cosa brutta. Non era di quella e di questi che sentiva di pi la mancanza. Era una uagnedda che le capiva certe cose, per cui non le passava manco per la capa di desiderare che uno si mettesse a corteggiarla e poi la rapisse e la portasse via da quella vita disgraziata, per regalarle una vita da principessa dentro un castello, una vita di felicit e di vasi. Iangiuasand, pi che sentire bello e desiderabile quello che le mancava, dentro quelle storie scopriva come dire? che si poteva campare senza loppressione che invece dominava la vita sua, che la inchiodava dentro quella situazione dove lei non era patrona della vita sua e aveva da abbasciare la capa innanzi a uno smidollato e stare zitta. Punto e basta. Come se la godeva Iangiuasand la sera, a sola a sola, sotto le coperte, a surchiarsi la vita civile ssata e stampata sopra quelle pagine. Pareva proprio vera e a portata di mano. Ma era unillusione. Difatti, tutto niva quando arrivava Cilluzz. Appena sentiva il rumore della chiave, lei nascondeva il grandotl sotto il letto e cominciava a staccarsi la dentiera. Lui manco diceva bonasera e si levava i vestiti. Il ploff che faceva la dentiera gettata dentro il bicchiere di acqua e il chitemmurto e stramurto a denti stretti di Cilluzz erano i soli rumori della serata dentro quella casa, quando nessuno dei due aveva il quarto allammerso e tutti e due se ne morivano dal sonno. Ma cerano sere che Cilluzz si ritirava con la nervatura pronta a scattare e con una rggia che voleva soddisfazione oppure sere che a Iangiuasand le girava di fare proprio la provocante, e allora erano dolori. Si partiva dal chi sei tu e chi so io, passando agli oltraggi e nendo subito alle mazzate. Il pi delle volte, Iangiusand correva a chiudersi dentro il cesso, sapendo che l dopo lesperienza tragica della prima notte di matrimonio stava al sicuro. Difatti, tempo tre quarti dora e dopo aver maledetto e stramaledetto cento volte quella fgghia di zccana, Cilluzz si gettava sopra il letto e cominciava a grufuare. Solo 225

allora Iangiuasand riappariva e sinlava pure lei sotto le coperte Ma unoretta in santa pace, quasi ogni d, Iangiuasand la potette passare dentro quei dodici mesi e due d grazie a Fin la Fricamidolce. Le due glie piccinonne di Mba Iangiuasand se ne stavano a fare chiacchiaredde, assedute a due seggioline, sopra il balcone. E fu proprio Fin, alla scadenza di quei dodici mesi e due d, a portarle la polvere. E checcos questa? domand Iangiuasand, sorprendendosi proforma ma in realt avendo capito avvolo di checcosa si trattava. Lo sai bbuono checcos questa la rimprover dolce dolce Fin, che conosceva da sempre la faccia che faceva la sora quando ngeva di non capire: una polvere. E asserve a quello che asserve. Ecch, volimo tentare daggiustare la capa dei matti con una polvere? Ma fammi il piacere. Iangiuasandin, lo sai, nemmeno io ci accredo si ostin a bassa voce Fin, sbirciando verso il portone della mamma, come se la potessero sentire sino l, a settanta metri, ma tu che ci apperdi? Me lha data Tatucc, dice che alla mamma ha affunzionato. E tu lo sai, in effetti lattano suo ha allassato la mogghiera e la famgghia legittime, per venire a starsene con la commara, che poi la mamma di Tatucc. Che ci apperdi tu a tentare? Tu mttila dentro al piatto di pasta che gli apprepari e poi, al peggio, ci viene il mal di stomaco. Iangiuasand non rispondette allistante. Non perdette il tempo a spiegare a Fin che a lei non le passava manco per la capa di preparare un piatto di pasta a Cilluzz. Lidea di fare quello scherzo a quel delinquente disossato, per, non le dispiaceva. Se non avesse fatto centro, che se ne frecava? cos stavano e cos rimanevano. Se invece lo scherzo, diciamo cos, avesse centrato lobiettivo, lui sarebbe diventato buono come un agnello, e lei allora se lo sarebbe potuto fare come voleva. 226

Sai che ti dico io? rispondette nalmente Iangiuasand, allungando la mano per pigliarsi la busta, quasi quasi ce la faccio sta fattura. Accome si fa? Un pizzico alla d, per trenta d. Non lhai da mettere dentro al suco, ma direttamente soprai maccaruni, tanto non si vede e non si sente... Il suco? E chi glielo fa il suco? pens Iangiuasand, che volette sapere: E dentro al miero affunziona lo stesso? No, no: col miero, birra e aranciata, no. Con le cose da bere non affunziona. Me lha detto Tatucc: non fasce nulla e poi si sente pure... Solo soprai maccaruni. Possibile che mo gli ho da fare ogni d i maccaruni a quel malacarne? pens Iangiuasand, che sinform: E dentro alle insalate, dentro alla verdura? S, s, affunziona dentro alle cose dammangiare. E quella sera Cilluzz non credette agli occhi suoi, quando torn a casa. Sopra il tavolino, vedette per la prima volta due piatti di pasta col suco rosso, due bicchieri e una bottiglia di miero. Addirittura la tovaglia e le salviette per puliziarsi il muso vedette. Per chi sta festa? domand spiritoso e sospettoso. Nisciuna festa lei rispondette senza risa ma pure senza la faccia abbafacchiata di ogni sera. per noi. Mmmeta ci ha dato il suco e quattro maccaruni non ci vole nulla ad apprepararli. Nientedich. Nientedich? pens lui, ma questa pareva una rivoluzione. Comunque, come , . Si assedette e si mettette a mangiare. Pure lei si assedette, ssandolo forte forte quasi che si aspettasse di vedere subito gli effetti di quella polverina. E tu, non ammangi? sentette che lui le domandava. Ah, s. Bonappetito. E pure lei mangi, dentro il piatto senza polverina. Dodici mesi e due d dopo lo sponsalizio, era cominciato cos una specie di danzamento dentro quella stanza col cesso sopra la farmacia Ciaciulli. Taratt si faceva la croce con la sinistra, per la sorpresa, innanzi a quello spettacolo. 227

Ges, tarringrzio desserti addegnato di far cadere locchio tuo dentro a sta casa pregava al cielo, e sia fatta sempre la volont tua. Quei due, mo, parevano lare damore e daccordo. Nientedich, naturalmente. Cilluzz spariva di prima matina e tornava la sera. Ma la sera il piatto ci stava e pure un poco di robba puliziata. Iangiuasand vedeva che Cilluzz diventava sempre pi calmo e rispettoso e cominciava a credere che quella polvere faceva veramente la parte sua. E Cilluzz, che pure allinizio era un poco sospettoso per quel cangiamento improvviso di carattere della mogliera, piano piano si convincette che Iangiuasand stava abbasciando la capa. Laveva vista, s, combinare forse qualche pistrgghio con il piatto, tanto che una sera pens proprio che ci stava a mettere qualcheccosa dentro, una specie di polvere bianca. Una dubbianza lo tenette in sospeso per un paio di giornate: una fattura? Ma dentro i piatti che gli serviva Iangiuasand non si vedeva e non si sentiva nulla di sdruso, di strano. Le sere dopo, la spi meglio, sottecchi, mentre si moveva attorno al fornello e ai piatti, e per la verit Iangiuasand faceva tutti i movimenti che fanno le fmmene normali per preparare ai mariti cose normali da mangiare. In tutti i casi non si sa mai si metteva a parte civile scangiando, appena poteva, i piatti portati a tavola dalla mogliera. Iangiuasand se ne avvertette una volta e, dalla sera dopo, mettette quasi sempre dalla banda sua il piatto con la fattura e dalla banda del marito il piatto normale, e con la scusa di scire a lavarsi le mani si allontanava, cos lui e lei lo smicciava con la coda degli occhi aveva il tempo e la possibilit di scangiarli. Questo, quasi sempre. E in effetti, Iangiuasand scoprette che qualche volta Cilluzz non approttava dellallontanamento suo per effettuare lo scngio. Forse perch aveva visto che lei metteva la polverina e che poi piazzava il piatto affatturato, per ingannarlo, al posto di lei stessa? O forse perch non aveva visto n capito nulla, e quindi quando scangiava i piatti era solo per caso, magari per accaparrarsi il piatto pi sucoso? 228

La storia continu cos per un mese. Iangiuasand non seppe mai con sicurezza che ne facesse il piatto con la fattura, se cio se lo mangiasse effettivamente Cilluzz o se invece dopo uno o due scangi, suo e del marito la polvere nisse dentro il sangue e dentro la capa sua. E Cilluzz non capette mai veramente se dentro il piatto di maccaroni Iangiuasand la polvere ce la mettesse effettivamente o se il fatto della polvere fosse solo una fantasia sua. Probabilmente i maccaroni con la polvere nirono, pi o meno, tante volte dentro la cucchiara di Cilluzz e altrettante fra i denti della forcina di Iangiuasand. Polvere o non polvere, affatturati o no, fatto sta che, alla trentesima giornata di questo tiatro, succedette il fatto. Erano tornati da votare, tutti e due per il Re (e non perch fossero contro la Repubblica, ma solo perch non sapevano manco checcosa fosse la Repubblica e perch l, in via Modugno, votavano tutti per la monarchia). Lui si era gettato con le mutande sopra il letto e pareva che stesse a pigliare sonno, lei aveva lavato i piatti e, un poco stanca, si era appoggiata pure lei sopra il letto, con la faccia voltata dallaltra banda, piano piano, per non discetarlo quel disonesto che quando dormiva pareva un pupo-di-zucchero, bianco bianco, delicato, quasi un piccininno. Iangiuasand dormiva e non dormiva quando, ad un certo punto, sentette che Cilluzz, convinto che lei dormisse, piano piano le pigli una mano e se la mettette piano piano sopra la brachetta. Iangiuasand lo lasci fare, facendo nta di dormire. Cilluzz la vedeva ferma, di spalle, e stava proprio tranquillo e beato, con quella mano leggera leggera eppure abbandonata abbandonata. Non teneva pavura di sgurare. Pure se il tordo non avesse schiato, che importava? Tanto lei dormiva, non se ne sarebbe avvertita. Il uagnone stava proprio in paradiso, forse si addorment un poco, in pace con la vita come mai gli era capitato, forse si sogn una scena damore con Iangiuasand, che non era dispettosa 229

ma tenera tenera e si faceva abbrazzare e vasare come una pupa. La uagnedda, che continuava a fare nta di dormire e rimaneva di spalle, capette checcosa provava il uagnone e si emozion, un poco. E pure lei stava proprio bene, dentro quel momento e forse pure lei dormette un poco e sogn. Sotto la mano dolce dolce di Iangiuasand, quella specie di testuggine che Cilluzz teneva in mezzo alle gambe improvvisamente alz la capa, drizz il collo e divent un serpente. La uagnedda tent ancora di far nta di dormire, ma quellesplosione le aveva spostato la mano e lei non resistette allistinto di riportarla sopra quel bendidio. Lui si avvertette allora che non era un sogno quello che sentiva e che la zita era discetata. Pure lei si volt nalmente, si studiarono con gli occhi e, per una volta, si piacttero e si piglirono come due uagnuni che si vogliono bene e vogliono fare. E facttero. Per lei era la prima volta in assoluto, per lui era la prima volta con tutta quella tenerezza e con quella completezza.

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la separazione Iangiuasand e Cilluzz aprette appena gli occhi, la prima matina loro di mogliera e marito regolarmente accoppiati pure se a distanza di dodici mesi e due d dalla celebrazione del matrimonio e capttero subito che mo stavano punto e da capo. La zita, ancora mezza addormentata, si volt difatti al zito col desiderio di una pasta e stava per avvicinarglisi a una rcchia per domandargli dolce dolce: Perch non me la vai ad accattare, una bocca-di-dama, da Don Mingh?. Si era coricata con la luna buona e si discetava con il quarto giusto. Si aspettava, mo, di essere trattata con i guanti gialli, come sono trattate tutte le uagnedde dai mariti loro, specie quando si alzano la matina dopo che hanno fatto per la prima volta ci che loro due in effetti avevano fatto. Pure Cilluzz si sentiva nalmente in braccio a Cristo. Aveva pigliato sonno dopo quella sorta di vittoria: non solo aveva fatto e rifatto il dovere suo di mscuo, non solo quella dispettosa laveva inchiodata e rinchiodata sopra il letto, ma si era sentito come un leone che, se ce ne fossero state altre tre o quattro di leonesse da quelle bande, le avrebbe sbranate, senza toccarle n con le zampe n con la bocca. Da leone aveva pigliato sonno e da leone si discetava. Convinto che mo la teneva sotto, come tutti i mariti che sapevano far stare al posto loro le mogliere, la vedette che si voltava dalla banda sua e che stava per aprire bocca (a proposito della bocca-di-dama). E lanticip. Vammi a pigghiare un caf col sussurro le ordin con il tono del patrone di casa. Ah, questo il bongiorno che si d a una zita? reagette di botto Iangiuasand. Alza tu il culo e vttelo a pigghiare tu il caf dicette scattando dal letto come una saetta, dato che lui, senza leggere e scrivere, le stava gi a sganciare un cazzotto. 231

Pure Cilluzz zomp dal letto, inseguendola. Ma lei agguant avvolo un coltello dal tavolino. Prova ad avvicinarti, smidollato lo minacci, ch oggi faccio proprio uno sproposito. Allscia il coltello, capamatta, ch tu sei proprio accapace di fare una fessaria. Cilluzz si sforzava di parere un mmeno senza pavura, ma si vedeva chiaramente che si era pigliata una cacazza tanto cacazza che quasi si cacava addosso. Eh s che la faccio una fessaria conferm da strafottente lei, avvertendosi che lui teneva pavura e quindi facendo ancora di pi gli occhi feroci. E da mo in poi ha da essere sempre accos. Stattallerta pure la notte, ch mentre addormi ti spacco il core con una coltellata. Allora, facivi nta ieri sera di essere una uagnedda normale, che ci appiace fare con il marito? Non facevo nta. E poi chi ti ha detto che mi appiaciuto? Avevo dattenere un mscuo vero dentro al letto per addivertirmi, non uno accome a te. Cilluzz, a queste parole, avette listinto di gettarsi sopra a lei per tempestarla di cazzotti e stampate, ma Iangiuasand lo blocc facendo la mossa dinlargli una coltellata: Statti fermo oppure taccido. E quello che hai assaporato stanotte, scrdatelo: non lavvedi pi manco con il cannocchiale... facile immaginare il veleno e la rggia di Cilluzz, precipitato fra seranotte e matina dalle stelle alle stalle, con la dubbianza che fosse solo tutta una fantasia sua quella prima e unica volta che si era sentito proprio un leone. Rieccola la mogliera che non voleva abbasciare la capa e che, mo ne era convinto una volta per tutte, non lavrebbe mai abbasciata. E si difendeva pure con il coltello quella spostata, minacciando addirittura di farlo fuori mentre dormiva. Ma se quella matina Cilluzz lasci casa con la bava alla bocca e la coda in mezzo alle gambe, si rifacette i d e le semane dopo. Iangiuasand ogni tanto aveva da difendersi col coltello. Qualche volta, il uagnone della farmacia Ciaciulli 232

sentiva le grida e accorreva a chiamare Taratt e Taratt si precipitava, si metteva in mezzo, gridava aiuto alla Madonna e cos il glio malacarne la piantava di fare il matto e sbatteva la porta di casa senza spaccarle nulla, quel d, a Iangiuasand. Ma la zita teneva sempre in faccia o sopra le braccia o dentro landatura qualche segno una fasciatura, gli occhi a melanzana, qualche sparatrappo, raschi e lividi, una gamba dolorante che faceva capire che ne pigliava di mazzate dal marito. Non qualche boffettone di tanto in tanto, ma stampate e cazzotti alla cecata, ogni d che Ges mandava in terra. Cilluzz quando menava era come se non avesse la minima coscienza dei danni che le poteva arrecare a Iangiuasand. La poteva pure accdere dentro quei momenti e non se ne sarebbe avvertito. Quando gli pigliavano i cinque minuti e gli pigliavano almeno una volta al d la colpiva con tutta la forza, cos come gli veniva, con le mani e con i piedi. Meno male che teneva pavura dei coltelli e non li voleva nemmeno toccare, altrimenti lavrebbe accisa sin dal primo d, con un taglio alla cecata. Non ricorrette solo alla suocera e alla farmacia Ciaciulli, dentro quel periodo, Iangiuasand. Ma pure alla Croce Verde, al Policlinico e alla Clinica Logrscino. Non gli bast, a quella merda dmmeno, costringerla a rifarsi due volte la dentiera con un paio di pugni ben assestati. Una volta le spezz i dsciti di tutte due le mani ad esclusione solo dei pollici rivoltandocele allandreto. Il naso le spacc, una volta che laveva gettata in terra e, dandole decine di stampate alla cecata a quella poveredda, con una ne centr la faccia. Che tiatro che succedette: il lago di sangue, la pavura che avesse pure perduto gli occhi, la sirena, lambulanza, tutta via Modugno e via Mirenghi piene di cristiani bramosi di sapere e di compiatire (tutti meno che naturalmente Donna Sabbedd e la famiglia sua)... Insomma quei due non erano una coppia litaiuola, come ce ne stavano tante pure a quellepoca (quando incompatibilit e infelicit, grazie al fatto che le fmmene avevano 233

da sopportare e sopportavano, il pi delle volte rimanevano segrete e comunque sopportate, perlopi per tutta la vita). Quei due erano una cosa speciale assai e drammatica, erano una specie di malatia senza possibilit di guarigione: lei che non voleva abbasciare la capa e lui che le dava mazzate perch non voleva abbasciare la capa, lei che a quel punto non solo non abbasciava la capa ma gli faceva pure i dispetti perch lui le dava mazzate e lui che le dava pi mazzate ancora perch lei non solo non voleva abbasciare la capa ma gli faceva pure la dispettosa... Si sarebbe continuato cos allinnito, sino a quando uno dei due non fosse stato portato al camposanto e quasi certamente sarebbe toccato a lei, alla fmmena senonch arriv una novit. Una bella giornata Iangiuasand capette che, pur avendo fatto la mogliera solo una notte con quel marito e comunque pur avendo provato bene di mscuo per una sola volta dentro tutta la vita sua, era rimasta gravida. Lo dicette solo a Fin, facendole giurare di non dire nulla a nessuno. Ma poi not la sora, Cilluzz non lo ha da venire ad assapere lo stesso? Per, frattanto, a me fasce piacere che lui vene cimentato dagli amici perch non accapace di fare un fgghio. Ma per fare un dispetto a lui la sora si sforzava di farla ragionare, tu fasci un danno a te stessa. Ci hai appensato che, se sape che stai ncinta, almeno non ti d mazzate? Ma sai che dici sempre cose sensate, sora mia scherz Iangiuasand, che in effetti a quel vantaggio non ci aveva pensato e che solo a quella buona uagnedda di Fin si rivolgeva senza acidit. Perci glielo dicette, al marito, che aspettava un glio. E per otto mesi, Cilluzz non la tocc nemmeno con un dscito. Non stava dentro la pelle per la felicit il uagnone. Tutta la giornata fuori di casa a vantarsi e a bearsi con i compagni e con la gente di passaggio al caf, offrendo da bere a una 234

ventina di cristiani al d, e quando tornava a casa portava sempre qualcheccosa buona da spizzuare. Una mozzarella o una treccia un d, il vov il d dopo, ogni sera gli gnomeriddi che facevano scire in pappa-di-lino Iangiuasand come peraltro i paperussi fritti, e ogni pomeriggio quella specie di lampadine terragnole che, per chi non le conosce e quindi non le capisce, sarebbero niente di pi e niente di meno che cipolline selvatiche mentre, al contrario, si tratta proprio di loro, dei lampasciuni Quanti piccininni con le voglie che si vedevano in giro. Sia mai che il glio di Cilluzz venisse con la ghel di miero rosso, che poi quando era il tempo di vendemmiare devastava tutta la faccia. Cos una scopa di uva a Iangiuasand non mancava mai. E la macchia di cafellatte? e quella di fegato? e le cerase? Per non parlare della ghel pi schifosa, quella di ctica, con tutti quei peli di porco. Per quegli otto mesi, dentro la casa di Iangiuasand ci fu cristo-a-cantare. Merosca, chi dIndia, allievi, polipetti, rizzi di mare, banane, gelsi rossi, bocche-di-dama, cioccolata svizzera... Iangiuasand, che gi era cannaruta da s, si lev tutti gli szi. E quando non mangiava, si fasciava le mani coi pannolini, cos non si grattava. Ma se proprio ti vene il pccio per qualcheccosa, non tieni nisciuno a portata di mano che te la va ad accattare e non puoi fare a meno di aggrattarti le ricordava ogni volta Taratt, mi arraccomando, aggrttati il culo, accos se al piccininno ci vene la ghel almeno non savvede quando avvestito. Furono gli otto mesi pi belli della vita di Iangiuasand. Nessuno che la comandasse, nessuno che le desse mazzate, senza fare nulla in casa, le sore del marito e la sora sua che la servivano da innanzi e da dreto, Cilluzz che il d stava sempre a mirarle il ventre con la stessa faccia che teneva Taratt innanzi al mistero dellostia consacrata e la seranotte si faceva piccinunno piccinunno, dallaltra banda del letto, per non darle fastidio o addirittura una stampata, senza volerlo, durante il sonno. Eh s, quel senzacervello aveva labitudine di dare calci pure involontariamente, quando dormiva. 235

Iangiuasand cominci ad assire dal quel paradiso in terra verso il settimo mese di gravidanza. Un pensiero la tormentava: checcosa sarebbe successo dopo, quando il fgghio di Cilluzz fosse venuto al mondo? Non le passava manco per la capa che il marito potesse essere cangiato denitivamente rispetto a lei. Dava cio per scontato che, appena lei si fosse sgravata, lui lavrebbe spicciata immediatamente di servirla dinnanzi e da dreto, tornando alle gentilezze di mano e alle carezze pesanti di prima. Non ne parliamo, poi, se al posto del fgghio di Cilluzz fosse venuta fuori, invece, la fgghia di Iangiuasand. Uneventualit che il glio di Martem non pigliava manco in considerazione, se non per scartarla cos: Ma se fmmena, non la vgghio manco avvedere! Certo, dal momento che nasceva il piccininno, Iangiuasand sapeva che un vantaggio ci sarebbe stato, rispetto a prima. Non aveva da aspettare pi che arrivasse Taratt a spartirla dal marito per non pigliare calci e cazzotti, n afforza da agguantare il coltello: gi si vedeva, difatti, correre a sollevare e a farsi scudo col piccininno, e immaginava i cazzotti di Cilluzz che si fermavano a met strata prima di colpire per sbaglio la creatura al posto suo. Ma che vita, comunque, sarebbe stata? In denitiva, pure peggio di prima, lei ancora pi schiava della casa e lui che mo poteva pure vantarsi e sbambararsi con il piccininno. Mana mano che si avvicinava il d della nascita, un proposito nascette e si rinforz, prima vagamente e poi sempre pi chiaramente, dentro quella capatosta che cominciava a fare i conti con la vita. Il proposito era di non dipendere pi da Cilluzz cos come da uagnedda dipendeva dalla mamma per mangiare, per pagare la casa e per i vestiti. Anzi, di non dipendere pi da nessuno, perch oramai aveva fatto esperienza e aveva capito che, per una come lei, essere sottomessa a qualche uno signicava infelicit e morticazioni, con conseguenze devastanti per tutta la vita sua (e pure per quella degli altri, disonesti o semplici selvatici che fossero). Nessuno pi, allora, aveva da dirle checcosa fare e checcosa 236

no, n alzare la voce o, peggio, le mani sopra a lei. Sopra a lei avrebbe comandato solo lei stessa e nessun altro. Ma come? Era cos delicata di sico. Non aveva mai lavorato, manco in casa. Checcosa poteva fare? Quasi non credette alla voce sua quando un d, stando a sola a sola con la suocera, la inform allimprovviso: Pure io vgghio fare la pesciaiola. Mamma, mi date una mano ad aprire un negozietto di cozze e baccal? Taratt per poco non svenette. Ma squadrando la uagnedda, capette che, con laiuto suo o senza, quella cosa lavrebbe fatta, dato che se lera messa in capa. Allora, tanto valeva aiutarla. Sei proprio assicura di avvolerlo? le domand senza convinzione, tanto per pigliare ato. Sei una uagnedda accos na e delicata, tieni ancora la capa al giuoco, non sai manco bbuono il valore dei tornesi, lambiente nostro lurdo, so tutti mscui e cafuni. Accome hai da fare ad accombttere con i grossisti, con gli scaricatori, col bianchetto, con i clienti, con le scadenze, sempre con le mani dentro allacqua, sempre in mezzo alla strata? Mamma, so arrisoluta. Lo sapite accome so fatta io rispondette Iangiuasand, aqquando addecido, addecido. E chi vene da dreto, achiudesse la porta. Il negozio ci stava gi, in via Trevisani: Iangiuasand aveva visto un Si loca dentro quella strata, alle spalle della chiesa di San Frangisch. Pareva proprio adatto: vi si potevano piazzare giusto giusto due vasche per la mostra e una vasca grande per tenere a bagno il baccal. Avanzava pure lo spazio, da staccare dal resto del locale con un foglio di compensato, per sistemarvi un fornello e per spizzuarvi qualcheccosa. Cos non era manco costretta a fare due volte innanzi e ndreto da casa ogni d. E Cilluzz, se voleva, poteva venire l a farsi un boccone a mezzod, senn pace allanima sua. E si sarebbero visti la sera. E il piccininno, aqquando annasce, addo lo appiazzi tutta la scirnata? chi te lo tene? prov a obiettare Taratt. 237

Non vi appreoccupate, mamma. Dirimpetto al negozio stanno due vecchi, che vendono caramelle e cciri-e-sementi, che mhanno assicurato che so contenti di tenere cuita alla creatura, aqquando io ho dasservire i clienti. E al mercato? E ad accattare il baccal? Chi ci ha da scire? Hai da alzarti tu alle cinque della matina? Ti hai daccaricare tu lacqua di mare per adacquare le cozze? Non vi appreoccupate, mamma. Se non mi danno una mano n Cilluzz, n Martem, n Col, sccio io a chi addomandare un aiuto. E sccio che non mi dice di no. Taratt capette subito a chi Iangiuasand si riferiva. Cera un solo cristiano tanto buono, in via Modugno, da fare a quella uagnedda tutto quello che lei gli domandava, senza dire manco a e senza pretendere una lira: Uelin il Provolone, che peraltro mo teneva pure una bella Vespa, al posto della bicicletta. Stipando i tornesi che gli dava Martem, si era accattato gli avanzi della Vespa lunica e sola dentro tutto il rione che quel macaco del glio grande di Melin la Fruttaiola aveva sfracassato la prima e ultima volta che lus per farsi grande con i compagni di via Modugno, sbattendo contro il carretto del marmeraro. Mo quella sorta di campione, per la verit pi valente con la bilancia che col manubrio, montava nulladimeno che una Emmev e la domenica faceva le corse (o almeno cos lui si vantava). Provolone, invece, piano piano, pezzo a pezzo, se lera rimessa a posto la Vespa. E al sellino di dreto ci aveva montato il tubo appoggiaschiena e il tubo appoggia-gambe che gli altri vespisti aprivano quando caricavano una bella fmmena. Ma si era capito subito chi si sarebbe servito da patrone assoluto di quei tubi: Martem Cioladoro. E cos succedette, almeno sino a quando Iangiuasand non decidette di lanciarsi pure lei, da sola, dentro il mondo del commercio. Da allora quei tubi e comunque la capacit di Uelin di scire innanzi e ndreto, da qua e da l, a fare servizi capacit maggiorata dalla disponibilit di due rote a motore non furono pi monopolio esclusivo del pesciaiuolo zoppo di via Modugno. 238

Quando Iangiuasand cominci a fare dingle-e-dangle, tra la casa matrimoniale di via Modugno e il negozio in allestimento di via Trevisani, con quella panza che diventava ogni d pi grossa, un sentimento che prima era una specie di angoscia e poi divent pavura vera e propria simpatronette di Cilluzz. La pavura di perdere, prima ancora che nascesse, il piccininno suo, carne della carne sua. E pure la pavura di perdere quella specie di mogliera che, bene o male, certo pi con i dispetti e le preoccupazioni che con lamore, era in denitiva al centro della vita sua. Una pavura, un dolore preventivo che portava stampato in faccia pure quando capit, una sera, a casa di Zi Tares. E quelle due, Zi Tares e Tetedd la Settebellezze, gli tirarono le cime di rapa, facendogli cio ammettere che stava depresso e disperato perch quella capamatta di Iangiuasand mo si era fatta la ssa di aprirsi un negozio, che si stava facendo aiutare da quello scemo di Uelin il Provolone, che chiss cosa succedeva mo che si sgravava e si rendeva autonoma, che magari lo lasciava per scrsene a vivere da sola col piccininno, sangue del sangue suo... E una matina Iangiuasand se le vedette spuntare innanzi, quelle due streghe, in via Trevisani. Uelin aveva avuto lincarico di scire a chiamare il mastrodscia perch venisse ad acconcertare il separ di compensato e lei stava nettando le vasche che il d prima erano state montate dai fabbricatori. Iangiuasand le ss dentro gli occhi e si avvertette che erano pieni di odio e di cattiveria. Sud freddo. Tent inutilmente di fuscire fuori, ma fu bloccata e portata da quelle due furie selvagge dentro uno spigolo del negozio. Tent inutilmente di non farsi imprigionare le braccia dreto la schiena dalla vecchia e di non farsi tappare la bocca. Tent inutilmente di scansare i calci che Tetedd le dava con tutta la forza contro il ventre, oramai allottavo mese di gravidanza. Brutta zccana gridava Zi Tares, eccitando la glia a colpire sempre pi forte, ti faccio avvedere io che sto fg239

ghio di zccana che apporti dentro alla ventre te lo scordi. Con chi lhai fatto? Tappiace il Provolone, ah? tappiace? E ste stampate tappiacciono? Tu non fasci cornuto uno della famgghia nostra. Tu puoi frecare a Cilluzz, ma non a me. Sto fgghio di zccana non ha da nascere, tu non hai daddisonorare la famgghia nostra. La lasciarono e se ne scapparono solo quando Iangiuasand, dopo aver gridato e smaniato, svenette. Avevano fatto la parte loro. In terra, ancora senza sensi, la scoprette Uelin il Provolone tornando dal mastrodscia. Il uagnone non perdette tempo a domandare. Le gett un poco di acqua in faccia per farla rinvenire. E con la Vespa la port alla Croce Verde. Uelin guidava piano piano per non farla cadere, lei si agguant forte forte a Uelin per non cadere. Dalla Croce Verde la portarono con lambulanza al Policlinico, qua le facttero analisi e sopranlisi. Il piccininno si era salvato. Anzi nascette la notte stessa. Proprio un mscuo, come desiderava Cilluzz, e non una fmmena, come avrebbe voluto Iangiuasand per poterle dare questo per non lo confess a nessuno quello che a lei, glia fmmena, la mamma non aveva dato... La faccia piccinonna piccinonna e triangolare, la capa grossa grossa, le gambe e le braccia lunghe lunghe: Martem Piccinunno era il ritratto di Cilluzz. E Cilluzz era tutto emozionato, non solo perch mo teneva un glio ma pure perch gli avevano assicurato che i piccininni assomigliano alla mamma o allattano loro a seconda di chi era voluto pi bene dallaltro (o dallaltra). Mbe, il fatto che Martem Piccinunno tenesse la fronte larga sua, il naso suo, la bocca carnosa sua pure Iangiuasand per la teneva allora voleva dire che quella matta di Iangiuasand sottosotto gli voleva bene, che anzi lui piaceva a lei persino di pi di quanto lei era desiderata da lui. Ma questa illusione gli dur poco a Cilluzz. Il d dopo la nascita del piccininno, fu convocato alla stazione dei ca240

rabinieri del Policlinico, insieme a Zi Tares la Zoppa e a Tetedd. Iangiuasand aveva detto tutto ai carabinieri, delle mazzate e delle stampate delle due fmmene, e ci aveva aggiunto pure il carico da novanta contro il marito, facendosi volontariamente sfuscire dalla bocca che quelle due delinquenti forse erano apparanzate con lui, con martemo... Quella una capamatta protestava Cilluzz con lappuntato. Ma se io ci vgghio bene a quella sconsiderata! lei ad ammenare calci contro a me e io lassopporto perch ci vgghio proprio bene. Che centro io con la mattezza di zinema e di cuggnema? Non sccio perch, ma quella mi vole arruinare. Intanto la Zoppa e la Settebellezze giuravano sopra la Madonna che non avevano fatto nulla alla uagnedda, stavano solo a ragionare con lei perch loro erano preoccupate dellinfelicit di Cilluzz quando, di colpo, Iangiuasand si era messa a scappare e aveva sbattuto contro una vasca, cadendo in terra e svenendo... Sentite, amici del sole, queste so chiacchiere. Se la uagnedda nsiste con la denuncia spieg lappuntato, un brutto quarto dora per tutte tre. Ci sta una sola maniera, per voi, dassrvene puliti: che la uagnedda arritira la denuncia. Cilluzz teneva vergogna a scire da Iangiuasand, per domandarle il piacere di ritirare la denuncia contro quelle due carnette che volevano accdere Martem Piccinunno prima ancora che nascesse. Ma quelle lo tenttero appizzicato contro un muro del corridoio di ginecologia nch non lo ccarono, con la minaccia di cancellarlo per sempre dalla vita loro, dentro la camerata dove stava la sgravata. Vuoi che arritiro la denuncia, no? gli dicette Iangiuasand, appena se lo vedette spuntare innanzi, rosso rosso come un paperusso per la vergogna, allora facimo un patto: che tu ti pigghi la robba tua da casa e non ti fasci avvedere pi. Cilluzz stava per rispondere qualcheccosa, ma lei lo rianticip: Senti, mi so acconvinta che non pi unghia la 241

nostra di stare insieme. Non appreoccuparti, il piccininno aqquando vuoi lo puoi avvedere. Ma io non posso pi addipndere da uno che mi sape dare solo mazzate. E poi, perch avimo da stare nsieme? Io non ti vgghio pi. Perci, se drizzi il piede e te ne vai, stamo tutti mgghio. Se nvece vuoi fare il forte con me, allora so guai per te: ti pigghi una bella denuncia, nsieme a quelle che so la vera mamma tua e la vera mogghiera tua, e io me ne fscio col piccininno pure in America e non te lo faccio avvedere mai pi, per tutta la vita. E se pure mo dici s tanto per dire e poi, dopo il ritiro della denuncia, vieni a casa, stessa cosa: un minuto dopo me ne vado, e addio per sempre a Iangiuasand e a Martem Piccinunno. Cilluzz sapeva che Iangiuasand non minacciava a vuoto. E da quella stessa giornata si sistem da capo dentro la casa da scapolo, pure se poi rimaneva quasi sempre a dormire da Zi Tares. Iangiuasand, appena fuori dallospedale, si avvertette di non essere pi la piccinonna capricciosa di prima. Era una fmmena, teneva un glio e faceva la pesciaiola. Certo, specialmente allinizio, Uelin il Provolone la serviva da innanzi e da dreto, le cozze la matina ce le portava lo stesso carretto che portava la robba alla pescheria di Cioladoro, una semana s e una no passava da via Trevisani Felucc il Norvegese per pigliare direttamente da lei le ordinazioni di baccal e stoccasso, e per i conti e il pagamento se la vedeva Col. Ma, poco alla volta, impar a fare tutto lei. Un poco perch le cose sue voleva vedersele lei senza dipendere dagli altri, un poco perch voleva assire da quel mondo che comunque era il mondo di Cilluzz. Lunico aiuto di cui non poteva e forse non voleva fare a meno era quello di Uelin, che si affezionava sempre di pi a lei. E lei si appoggiava sempre di pi a quel uagnone, che stava sempre al posto suo e non diceva mai no.

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la morte Quanto tempo era passato da quando aveva deciso di fare la pesciaiola e di tagliare con Cilluzz? Dieci anni? Venti? E che differenza fa? Tanto, una vita fra le cozze e le umiliazioni, sempre con le mani dentro lacqua e con lanima addolorata, che vita ? Una giornata o mille o un milione di giornate sono la stessa cosa. Solo se c un accavallamento di gioie e di dolori, di calci in culo e di carezze, la vita una vita vera e propria, una cosa che si tocca con le mani, che la senti in capa e dentro il core. Ma se ogni giornata se ne va via cos come era arrivata, e la giornata dopo la stessa canzone, senza una risa, senza un sentimento, che giornate sono? che vita ? Una vita senza vita. Le giornate, i mesi, gli anni le erano slati innanzi, a Iangiuasand, senza lasciare tracce, senza darle emozioni, senza manco regalarle ogni tanto un poco di calore, senza aprirle una qualche speranza, persino senza costringerla a farsi carico dei problemi concreti che afiggono tutte le fmmene senza marito. Lunico ato suo, Uelin, aveva provveduto lui a questo e a questaltro, a scire qua e l al posto suo, a levarle questo peso e questaltro, a impedire che qualche uno arrivasse a farle male. Le aveva risparmiato pure certe difcolt che una fmmena sola ha da affrontare: difcolt sotto le quali una fmmena sola destinata a rimanere scazzata, essendo costretta ad abbasciare la capa e, da questa posizione, a tentare di avere rapporti di amicizia e di vita e ad averli con tutti gli altri cristiani, brutti e belli. Oppure, difcolt che una fmmena sola riesce invece a vincere e a superare, agguantando una posizione di forza rispetto agli altri, mscui compresi. Comunque, si tratta di difcolt che in denitiva la tengono viva la fmmena sola, perdente o vincente che sia, costringendola a fare i conti con la realt, a essere attenta, 243

a seguire le cose che le succedono attorno, a interpretare i comportamenti degli altri, insomma a tenere appicciata la luce del cervello e degli occhi, a rimanere una pianta viva che srchia continuamente aria, sole e acqua, col tempo buono e col malotempo, destate e dinverno, con la luce e di notte... Non che, mo, Iangiuasand arrivasse a incolpare quel santo fesso di Uelin, che la serviva da innanzi e da dreto, del fatto che lei si sentiva come una lampadina che lentamente ma progressivamente si astutava, come una pianta che si ammosciava sempre di pi. Ci mancherebbe altro. Con un uagnone apposto come Uelin sempre a disposizione con un uagnone? oramai Provolone era un mmeno e lei, Capatosta, una fmmena fatta ci stava da ringraziare il cielo e da vasare in terra ogni d, appena discetata. E lei lo sapeva. Persino a Brindisi lo fece scire. Parecchie volte sospir: Chiss che ne ha fatto Zi Marisabbell! Oppure: Quanta nostalg che tengo di quella fmmena! Lamarezza di quella illusione e di quella mancanza sofferta da piccinenna la pativa ancora, senza contare la curiosit mai soddisfatta di sapere checcosera successo quei d a Zi Marisabbell e a Zi Varv, che se ne era tornata a casa col piccininno che tutti meno che Iangiuasand erano convinti che fosse di Pittotunno. E Uelin ce la volette dare pure questa soddisfazione. Si mettette sopra il treno, destinazione Brindisi. Vi rimanette una decina di giornate e mai come in questa occasione mostr quanto sbagliassero quelli che lo chiamavano Provolone credendo che fosse un provolone dmmeno. Parl con questo e con quello, disturb i gli di Checchin, rispolver vecchie compagnie di giovent e di patimenti, indag dentro il mondo della malavita, si giuoc un poco di tornesi pigliati in prestito chiss da chi ma alla ne potette rientrare con la ricostruzione esatta esatta di quella storia. La prima cosa che le dicette a Iangiuasand fu la prima 244

che in effetti lei voleva sapere, e cio che ne avesse fatto Zi Marisabbell: Sta al Purgatorio. Pettotunno era morta accisa o si era accisa, non si sapeva con certezza. E da tempo, da un sacco di tempo. Insomma, non aveva campato assai, dopo che era stata lasciata dalla sora lontano da casa. Il cadavere, livido e abbottato, fu individuato che galleggiava dentro il mare, vicino al porto. Questa malanova, per quanto ritardata, fu un altro colpo per Iangiuasand, un altro pezzo della vita sua pure questo concretamente corto corto, ma ingigantito dentro la capa sua dal bisogno inappagato di ati e di sentimenti che alla verica risultava inesistente da anni e anni, essendo stato stroncato peraltro in quella maniera cos barbara. Uelin aveva accertato che gi dopo tre o quattro d che stavano a Brindisi, mentre facevano una passeggiata, Marisabbell e Varv avevano incrociato, per caso, Vitin dArginto, un bel uagnone che una notte aveva lasciato via Bovio fra due carabinieri, che si diceva avesse fatto la bella vita con le fmmene-a-pagamento e che, dopo due anni di carcere, era tornato a farla a Brindisi, dove ci stava un bel va-e-vieni di marinari, soldati e viaggiatori. Da quel d si vedttero ogni d, in tre. E tra Marisabbell e Vitin cresceva la simpatia. Diceva tante barzellette, quel birbante di Vitin, e rideva, rideva, col dente suo di argento. Varv rideva come nessuno laveva mai vista ridere. La situazione era proprio spassosa e allegra. Marisabbell sapeva che, da un momento allaltro, la pacchia sarebbe nita: erano venute per farla abortire, ma lei non era incinta. Perci quello che oramai lei viveva come limbroglio suo ai danni della sora (e di pap) sarebbe stato scoperto. Ma passavano le giornate e Varv non si decideva ad affrontare la discussione, a fare la cosa che aveva organizzato. Mgghio accos pensava Marisabbell. E quel d non arriv mai. Arriv prima un altro fatto. Stavano con Vitin al solito bar del corso. Varv improvvisamente si volt a Marisabbell e le dicette: Io vado a sbrigare quella cosa che sai. E voltata a Vitin: Perch non 245

apporti Marisabbell a farci avvedere i trulli che tieni ncampagna? Ci rivedimo qua stasera. Marisabbell non credeva alle rcchie sue. Non credeva agli occhi suoi stessi mentre Varv si allontanava e Vitin le lanciava unocchiata di fuoco e di allegria che le facette venire le formiche sotto i piedi per lemozione. La corsa sopra la motocicletta la inebri. Lei, attaccata per un braccio a quel tronco di mscuo. Quella faccia malandrina sempre rivoltata allandreto verso di lei, piuttosto che concentrarsi a controllare la strata. Quegli occhi che se la volevano mangiare. E lei che si poteva nalmente far mangiare lontana da tutti, dalla gente, da via Bovio, da casa, da pap, da Varv. Marisabbell non vedette pi Varv, n pap, n via Bovio. Ma Varv ci aspetta avette appena voglia e possibilit di obiettare quel pomeriggio, mentre scendeva dalla motocicletta e metteva piede sopra quella terra sconosciuta eppure cos promettente, ce la facimo a tornare ntempo? Lui rispondette, per un momento senza risa: Non starti ad appreoccupare. Varv sape se ci ha da aspettare o no. Fu lunica volta che, quel pomeriggio e dentro i d e i mesi che venttero, Marisabbell accenn a Varv e a quellappuntamento nato mancato. Vitin dArginto non le dette mai il tempo di pensare, la possibilit di riettere, lo spazio per fare qualcheccosa di diverso da quello che lui si aspettava o voleva che facesse. Vitin dArginto la ston, la imbriac, la gett allanuta un milione di volte sopra le chianche del trullo fresco destate e caldo dinverno, la trapan, la volt e la rivolt, la spacc, la soffoc, la elettrizz, la ipnotizz, la smont, la rimont, la patroneggi, la schiavizz, la offrette ai compari, la sfrutt... Intanto, quel pomeriggio, Varv era tornata immediatamente a casa della cugina e le aveva detto di non preoccuparsi se, per due o tre d, lei e Marisabbell non venivano a mangiare n a dormire. Si giustic, col tono di non poter dire di pi: Sai, Marisabbell non sta in salute, nervosa, mgghio che sarriposa due o tre d ncampagna. Ci sta una 246

signora che ci fasce stare dentro a un trullo, noi ci damo una mano ad arricettare ncasa e lei ci fasce arrespirare un poco daria bona. Appena Marisabbell sta mgghio, tornamo qua e poi partimo a Bari. Checchin colleg subito la novit a quella rivelazione a proposito di Marisabbell che aveva letto, fra le altre cose, dentro la lettera della mamma portata a mano dalle due uagnedde di Zi Felucc. E dicette, con partecipazione: S, vabbuono, ho accapito, ma marraccomando di stare molto attenta, lo sai accom sreta. Dentro quei tre d Varv facette quello che aveva organizzato, torn a casa di Checchin col piccininno che non ne aveva voluto assapere di morire contandole di una Marisabbell che pur di non tornare a Bari se ne era fusciuta chiss con chi, lasci la cugina brindisina con qualche interrogativo senza soluzione in capa e nalmente fu rivista in via Bovio, dove cominci quella vita a tre: lei, lattano e il glio suo. Suo per parlare in faccia in faccia nel senso di suo proprio (di Varv) e dellattano. S, proprio cos: quel piccininno era nato da un momento di debolezza di Felucc per la glia strepiata e senza bene di mscuo, e di Varv per lattano vduo e senza amore di mogliera. E la conseguenza di quel momento di debolezza (di core e di carne) Varv non la comunic allattano e mai lavrebbe comunicata. Cos Felucc non sapeva, anzi faceva nta, non aveva il coraggio e non gli conveniva sapere. E comunque non sarebbe stato capace probabilmente di sopravvivere sapendo chiaro chiaro o sentendosi dire papale papale da qualche uno che aveva fatto la puercaria con la fgghia sua stessa, strepiata e tutta, e che quel bastardo gli era nipote e glio Una pietra mettette subito Iangiuasand sopra tutta questa storia Uelin non ce la raccont proprio cos e forse nemmeno lui laveva ricostruita esattamente cos, ma cos se la immaginarono, giustamente, tutti e due continuando a campare come se niente fosse successo, come se quella Zi Marisabbell non fosse mai esistita. Del resto, era esistito 247

forse pap Iangiuasand, se non in fotograa? E la mamma, i frati e le sore addo stavano, se non dentro i ricordi suoi? Era esistito Colettudd? La vita, la vita sua, era solo questa che si trascinava in via Trevisani. E gi era tanto, grazie allaiuto e alle gentilezze di Uelin. Volessi due gnomeriddi! si permetteva ogni tanto di farsi sfuscire dalla bocca lei e lui, tach, correva ad accattarle una dozzina di gnomeriddi allo spunto della strata. Che dici, gi tempo di lampasciuni? lei aveva la debolezza di domandargli e lui, tach, si precipitava a pigliare i lampasciuni dalla fruttaiola. Sai che mo mi facessi proprio due paperussi fritti! e lui, tach, scompariva e dopo dieci minuti si presentava con i paperussi pi rossi, verdi e gialli arrivati in paese dalla campagna quella matina. Volessi una cosa bona! accennava lei e lui improvvisamente diceva: Mo vengo e poi ricompariva con una cosa dolce da spizzuare. Certe volte arrivava sino a via Manzoni per darle il piacere della pasta-percoco pi amorosa di tutta lItalia. S, ma non si campa solo di strafoco. Era il core, era listinto, era la passione di Iangiuasand a rimanere ogni d digiuna, senza soddisfazione. Ogni d, ogni semana, ogni mese, ogni anno, per una vita. Quante rote di Vespa che struggette Uelin, a furia di scire innanzi e ndreto, come una formica faticatrice, al servizio suo! Si faceva in quattro, si faceva in quaranta per lei e sempre con la capa abbasciata, sempre zitto, senza mai una risa o un motivo di contentezza. Dentro quellambiente dove le uagnedde venivano pigliate a stampate come se fosse niente e con la stessa facilit vasate e arricreate, Uelin non la tocc manco una volta, nemmeno di sfusciuta o per caso o per sbaglio (gurimoci per malizia!). Addirittura, per rispetto e per timidezza, non si permettette mai di ssarla dentro gli occhi. E allora, che brivido ti pu dare un mmeno che manco ti ssa quando ti parla? Certo, meglio il pane che niente. Meglio il pane di Uelin che le mazzate di Cilluzz... Cilluzz? E chi lo aveva visto pi. Ogni tanto qualche uno la veniva a informare che quel248

la sorta di campione non dormiva quasi pi dalla mamma, qualche uno lo aveva visto a fare il maccarone vicino alla casa della cugina a Torre Tresca, qualcun altro la compiativa poveredda! perch il marito non le dava manco una lira per far mangiare il piccininno e lui invece si faceva sfruttare da tutti i pagnottisti che incontrava no a ridursi sempre con le pezze al culo. Al bar continuava ogni sera a offrire da bere a tutti nch non si struggeva lincasso della matina a via Nicolai, dove peraltro gli aiutanti lo frecavano da innanzi e da dreto. E mo si era messo sso con lui un mangiapane a tradimento che erano pi i tornesi che si metteva dentro la palda che quelli che metteva dentro la cassetta. Ma Cilluzz faceva nta di non vedere. E fai nta oggi, fai nta domani, quel malandrino aveva capito che Cilluzz era uno smidollato che non sapeva reagire. E piano piano aveva pigliato il sopravvento e mo era praticamente lui, il lavorante sso, che comandava sopra il patrone del banco, invece di essere comandato... Comunque, Cilluzz rimaneva dove stava, grazie al cielo. E Uelin era buono come uno stezzo di pane. Certo, meglio il pane che le mazzate, meglio il pane che niente. Ma il fatto che dentro alla vita una tene abbisogno di metterci qualcheccosa sopral pane. In effetti, da questo punto di vista, lei era stata sempre diversa assai da Uelin. Se lo ricordava ancora checcosa le dicttero subito, la seconda giornata che stava dentro la casa-pescheria di Martem: che quel uagnone si chiamava Provolone ma che, pure se gli regalavi una pagnotta senza nulla dentro, era contento lo stesso. E quando cominciarono a mettergli il provolone in mezzo alla pagnotta, non che lui lo gettasse ma non faceva certamente gli zompi allaria per la contentezza. Era come se tenesse pavura di aver da ripagare con altrettanto provolone, diciamo cos, il provolone ricevuto. Perci, forse, a Iangiuasand non le aveva mai dato il provolone parlando senza malizia dentro tutti quegli anni passati insieme in via Trevisani, praticamente da soli, 249

prima che Martem Piccinunno diventasse omincchio. Era abituato al pane asciutto Uelin. E pane asciutto dava e pane asciutto si aspettava dagli altri, pure da lei. Anzi, forse da lei non si aspettava manco quello. E in denitiva manco quello lei gli dava. Manco le briciole. Un poco perch, sin dal primo d che si vedttero, si erano abituati tutti e due a trattarsi da patrona, pure se giovane, a uagnone di negozio: lei sempre a domandare, qualche volta a pretendere, comunque ad aspettarsi servizi e riverenza, e lui sempre a fare, a darsi da fare, a cercare dindovinare in anticipo di checcosa lei tenesse bisogno. Ma un poco pure per i caratteri originari: lei tosta, capatosta e prepotente (almeno con chi la stava a sopportare), lui mollo, remissivo e gentile di natura. Tosta, capatosta? E quando mai pi? Una volta! La cosa strana che, nch lavevano trattata a mazzate e a male parole, lei aveva resistito. Anzi, pi la mamma la pigliava di punta e pi lei sintestardiva, pi tosta diventava, pi Capatosta giustamente la chiamavano; pi Cilluzz le allisciava il pelo e pi i peli suoi si arrizzvano. Ma dopo, mentre quelle giornate, quei mesi, quegli anni si sgranavano tutti uguali e cio proprio quando la vita pareva avviarsi sopra un binario di tranquillit e di calma com curioso il destino! un poco alla volta a Iangiuasand le era venuta una malatia inguaribile che non la lasci pi. Piano piano, senza che nemmeno se ne avvertisse, era passata dalla ribellione al disinteresse per una vita che, mo, non si presentava pi manco con gli occhi feroci e con le mani crudeli di qualche disgraziato che la volesse mettere sotto. A vedere allandreto la vita sua, a considerare il calo che aveva avuto il carattere suo e a misurare le energie che le erano rimaste rispetto a quelle che da menenna, da piccinenna e da fmmena giovane avevano fatto ammattire tutti quelli che si erano provati a domarla o pure solo a sfotterla, praticamente non si riconosceva pi. Mo era come una morta che caminava senza domandarsi nulla e senza sapere se la realt, se il mondo vero fosse quello nero e sso che teneva dentro la capa che le pesava come se 250

contenesse permanentemente un quintale di ferro, dentro il core che non batteva da anni e dentro le vene, dove non sentiva manco pi scorrere il sangue, o quello a colori e in movimento che le capitava di attraversare le rare volte che metteva il piede fuori da quel buco di via Trevisani. No, quel glio che cresceva d per d non bastava a farle pigliare interesse per la vita. Martem Piccinunno la teneva legata allordinariet delle giornate, la spingeva a tirare innanzi, ma nulla di pi. Le mancava una passione dmmeno, un ato di sora, una consolazione di mamma, una compagnia di compagna. Ma che ci stava invece attorno a lei? Nulla. Solo un meninno giudizioso e un aiutante rispettoso. Un ato sarebbe stata Fin. Ma quella fricamidolce non era stata capace di frecare la morte, che se lera rubata giovane giovane. E prima ancora non aveva avuto la forza n lenergia di opporsi alla mamma e al zito, il maestro di scola, che le avevano proibito di scire qualche volta a confortare la sora scalognata che si era ridotta a vendere cozze e baccal, a fare quattro chiacchiere con lei per svacarla un poco di pensieri, a sollevarla un poco ogni tanto. No, quella fricamidolce, messa alle strette, aveva abbasciato la capa pure lei. Persino alla mamma e a Bellnia laveva abbasciata, poi al zito e in conclusione dei fatti, gurimoci, al marito, che aveva da comparire e non poteva far ricordare sempre a tutti che la mogliera era la sora della pesciaiola di via Trevisani. E, come se non bastasse, Cristo se lera pigliata. Iangiuasand non poteva manco pi sperare di avere la sorpresa di vedersela a buono a buono spuntare innanzi, un d o laltro, con quella risa da pupa che ti arricreava, che ti calmava, che ti addolciva un poco. S, poi si erano fatte vedere pure la mamma e Bellnia. Ma sarebbe stato meglio che non si fossero degnate di fare questo passo. Oh, che speranza quando le aveva viste la prima volta avvicinarsi al negozio, dopo tanti anni che non le vedeva e non ci parlava! Le aveva riconosciute da lontano, 251

dallo spunto di via Trevisani con corso Mazzini. Individu prima quella tracagnotta della mamma, che mo era un poco pi barilotto di prima. E, senza vederla, indovin subito che quella appresso a lei non poteva essere che quella malombra della sora grande. Appena identic le due sagome, il primo impulso fu di speranza, diciamo pure dillusione. Le parette improvvisamente come se tutto potesse ricominciare, come se lei potesse tornare ndreto a quella seranotte quando fuscette di casa con Cilluzz. Come se, mo, non fusceva pi e tornava a dormire dentro la branda con Fin... Ma, quando arrivarono a una decina di metri dalla pescheria, Iangiuasand capette chiaramente gi dalle facce loro che quelle due odio e umiliazioni le avevano dato da piccinenna e da uagnedda, e odio e umiliazioni le avrebbero dato da fmmena. La risa, sopra quelle due bocche, dur poco poco, un lampo. Peraltro tenevano il muso storciuto, si vedeva che si sforzavano di far nta che mo forse le volevano da capo un poco di bene. E dopo due o tre parole manco le avevano domandato come stesse e come avesse fatto a sopravvivere da sola tutto quel tempo quelle due gettarono il veleno: volevano tornesi. E sempre, poi, da quel d ogni semana, ogni mese, ogni anno ci stava una urgenza, una scadenza, una cosa nova che Bellnia non poteva ma aveva da pagare, pure la dote per le glie, pure gli interessi dello strozzino. E ogni semana, ogni mese, ogni anno le due si presentavano con il borsellino vacante e quando la salutavano, se si fastidiavano a salutarla, tenevano il borsellino pieno. Ma mica si accontentavano di frecarle i soldi! La morticavano pure. Dicevano che i suoi erano soldi che fetevano di baccal e che si vergognavano, dato che erano di famiglia onesta e pulita, a far sapere che erano la sora e la mamma di Iangiuasand delle Cozze. Senza contare che mo Diador era considerato uno dei parrucchieri ni pi ni di tutto il centro e Diopold, che aveva messo la capa apposto, aveva imboccato la strata sua dentro le Ferrovie. Insomma, in casa tenevano tutti necessit di com252

parire. Quindi, che non si facessero vedere in via Mirenghi n lei n Martem Piccinunno, quel glio disgraziato di poveri disgraziati. Non si preoccupasse, per: ogni tanto sarebbero venute loro. E difatti venivano sempre, sempre insieme, con la malacera e la fame di tornesi. Due parole, pigliavano i tornesi e se la svignavano, gettando unocchiata con laria schifata a Iangiuasand, a Martem Piccinunno (in effetti sempre con le mani e la faccia lorde) e a tutto il negozio. Non parliamo, poi, quando ci stava Uelin. Manco ti facevano lonore di trasire, un altro poco. Giusto il tempo di frecarle un po di tornesi con la faccia disgustata e, via, se ne fuscvano a fare i fatti loro, a scire ad accattare la robba per i gli di Bellnia in via Manzoni, a ruinarsi con due o tre strozzini alla volta, a organizzare le migliori feste da ballo e a prenotare i ristoranti alla moda per i matrimoni delle glie della glia numero uno di Donna Sabbedd... I tornesi? Ecch, danno decoro i tornesi? danno la calma? il rispetto? Ma non scherziamo nemmanco. Arrivavano e scomparivano i tornesi, soprattutto con quelle sanguette della mamma e della sora. Aveva tentato pure lei di darli a interesse a qualche una, pensando di poter cominciare la carriera della strozzina e lasciare un d quel mestiere senza onore di pesciaiola, magari per aprirsi una merceria, ma ci aveva rimesso soldi e ato: certe clienti non volevano pagare le semane o perch erano miserabili senza nemmeno due soldi per salvare la dignit o perch glie di bonamamma che avevano capito di essere capitate con una strozzina per modo di dire che non sapeva fare il mestiere suo e se ne approttavano. Cos Iangiuasand la piant subito di farsi frecare i tornesi come strozzina. E fu una bella mazzata pure quella, non solo per la moneta perduta. Eccome, si disper era il tempo che almeno si disperava, ogni tanto una fa tanti sacrici, tenta di fare un passo innanzi, pi per il glio che per se stessa, e Cristo ti d pure queste mazzate! Allora, non ci sta proprio giustizia? Non ci sta proprio speranza per una povera fmmena sola, nata orfana, cresciuta praticamente 253

senza mamma e mo senza marito, oltre che senza nemmeno una sora degna di questo nome? Ma poi, avendo accumulato da capo quattrosoldi, che non bastavano per accattarsi una casa vera e propria, tent ancora di fare un passo innanzi, di levarsi quel disonore di fare la pesciaiola. Ma ricevette unaltra mazzata pesante. Fu aggabbata da un feruscolone di fabbricatore, che la port da un notaro impegnandola, con pagamento a rate, per tre buchi rispettivamente dentro il cortile, dentro il sottoscala e sopra la terrazza di un palazzo in costruzione. Investimenti le assicur quel fabbricatore, che da operaio era diventato in pratica costruttore. Fu uno scatafascio, invece. Iangiuasand soffrette di un periodo dincassi scarsi, per pagare le rate pigli lei un poco di soldi a semana e quindi, dopo averci rimesso un sacco dinteressi, decidette di rivendere quei buchi. A met prezzo rispetto a quanto li aveva pagati: non tenevano mercato, le dicette quel costruttore mangiamngia. In quanto a tornesi, insomma, Iangiuasand non avette mai fortuna. Perci non ci aveva mai fatto afdamento e, comera dimostrato e stradimostrato, non poteva farne. Da un certo momento in poi, capette che pure sopra Uelin non che potesse continuare a fare afdamento alla cecata per tutta la vita. E non era manco giusto. Checcosa pretendeva? quello che nemmeno domandava a quel santo uagnone? quello che non si aspettava? E che faceva lei per avere, per meritare quellattaccamento? E gli aveva mai detto grazie, forse, a Uelin per quellaffezione continua, quella bonacreanza, quelle gentilezze? Mai. Iangiuasand sapeva per caso, mese per mese, anno per anno, mo da una mezza parola sua e mo da una mezza parola di qualche altro, la vita che faceva Uelin quando non stava con lei, a servirla. Lo veniva a sapere senza volerlo, sentiva quelle rivelazioni senza interesse, non ci metteva nessuna curiosit a cercare di approfondire la vita, il carattere, i problemi e i pensieri di quel servo contento di servire. 254

Ma una volta seppe che Uelin si era apparolato con una uagnedda, anzi una uagneddozza di fuori, di campagna. La mamma di questa uagneddozza era una specie di zingara e una zingaredda era pure la glia, un poco selvatica, ignorante, bassa bassa come un turacciolo, ma bella bella come una statua di madonna. Almeno cos dicevano. E Iangiuasand sentette che quella notizia, quella sorpresa dellapparolamento di Uelin non le pass sopra il core come se fosse acqua fresca. Non se lo dicette, non fu sincera con se stessa, ma quella novit fu unaltra mazzata dentro la vita sua. Qualcheccosa le si era appicciata improvvisamente dentro il cervello, una specie di sensazione di pericolo e di pavura, e contemporaneamente qualche altra cosa si era astutata, diciamo una specie di speranza e di desiderio che per lei non sapeva di tenere, accecata comera dalla depressione e pure dalla superbia rispetto a quel uagnone. Scopriva solo mo di avere avuto quella speranza e quel desiderio, di averne goduto sottosotto, solo mo che luna e laltro venivano spezzati alla radice dalla malanova dellesistenza di quella uagneddozza segreta. Non si ferm qua la cosa, naturalmente. Unaltra volta le contarono che Uelin aveva aperto un negozio di cozze e baccal alle due zingare. E da quel momento lo vedette scire e venire sopra unApe, che era pi adatta della Vespa per i tre negozi che oramai Uelin serviva: quello del patrone originario Martem, quello di Iangiuasand e quello della uagneddozza. E un altro d ancora, stavolta proprio con la voce sua, sempre con la capa abbasciata per, Uelin la inform che non faticava pi per Martem perch aveva deciso di mettersi a faticare in proprio. Dove? Alla pescheria delle due zingare di campagna. Allora Iangiuasand capette che lapparolamento fra Uelin e la uagneddozza aveva avuto qualche sviluppo impegnativo. Tempo un mese, Iangiuasand sentette casualmente che il uagnone del barbiere cimentava Uelin perch portava la 255

fede al dscito. Cos venette a sapere che Uelin era fusciuto con la uagneddozza, daccordo con la zingara grande. Poi avevano fatto le carte al municipio e mo Uelin mangiava e dormiva con le due zingare, dentro uno stanzino senza nestre, dreto quel negozio di cozze e baccal. Dunque Uelin si era sposato, non aveva avuto il coraggio di preannunciarlo a lei, n dinformarla a cosa fatta, e perdipi quando stava con lei si levava la fede e se la nascondeva dentro la palda... Iangiuasand lo aveva sentito come un colpo denitivo quel tradimento. S, proprio questa parola le sfuscette dalla bocca, stando da sola in via Trevisani: Tradimento. Una parola e un risentimento senza capo n coda, visto e considerato quanto poco lei pensava a Uelin e quanto poco faceva capire di apprezzarne la dedizione e la fedelt. Un risentimento, anzi un dolore giusticato per dalla disperazione che, tempo qualche d, si era impossessata di Iangiuasand, senza che lei se ne avvertisse allinizio, senza che se lo aspettasse. Non si era mai sentita cos disperata, cos sola, cos in balia delle onde, senza un appoggio, senza un ato, senza un aiuto, senza nulla di nulla, senza nessuno. Mo nalmente si avvertiva dei tanti anni passati con Uelin, appoggiandosi a lui senza toccarlo, facendosi adorare senza aiutarlo nemmeno ad alzare gli occhi, comandandolo senza abbasciarsi a lanciargli unocchiata, facendo afdamento totale sopra a lui senza nemmeno pigliarsi il fastidio di saperlo, ottenendo tutto senza dare nulla. Si schiant alla sola idea di tener bisogno di qualche uno, di rischiare di dipendere da lui, di volere una cosa che forse non poteva avere pi e che non aveva voluto che combinazione! sino a quando avrebbe potuto piglirsela con la facilit di una bevuta di acqua. E reagette alla maniera sua. Uelin, ti ho da dire una cosa gli anticip a tu per tu, dopo averlo invitato dreto il separ di via Trevisani. Ditemi, patrona, vi sento rispondette pronto lui, aspettandosi che lei gli domandasse di farle qualche servizio. Ma per sentirmi, stavolta, mi hai dafssare dentro agli 256

occhi lo invit lei, con un tono che era un poco di cortesia e un poco di comando. Per la prima volta dentro alla vita tua, almeno stavolta, mi hai da sentire alzando la capa. Ditemi, vi sento tartagli lui, che per la prima volta la vedeva veduto, quasi svenendo per lemozione e intuendo limportanza della cosa che mo quella sorta di fmmena uagnedda gli stava per dire. Uelin ti ho da dire sta cosa e qua Iangiuasand divent molla molla dentro e tosta tosta fuori: per il bene mio e per il bene tuo, dicimo per il bene di tutti, ti ho da dire che quella la porta e vattinne, smamma, scrdati dellesistenza mia! Accome? Accome avite detto? sbianc Uelin. Uelin, sentisti bbuono. Scrdati il nome mio, scrdati la faccia mia, scrdati lesistenza mia ribatt Iangiuasand, diventando sempre pi molla dentro, sino al mancamento, e sempre pi tosta fuori, parendo crudele e comunque convincente. Sentisti bbuono: quella la porta e vattinne, una volta per tutte. Ma... tent ancora Uelin. Niente ma, niente parole, mo abbasta, il giuoco afnito sentenzi Iangiuasand, che si lasci sfuscire: Tu statti con mogghireta e io me ne sto con fgghiemo. Baibai! A quel punto Uelin capette che non ci stava Cristo di farla ragionare. Capette che quella lunga storia fra loro due pi esattamente, fra lui e lei era nita: e niva proprio mo che lui, mediante quellaccenno risentito a mogghireta, scopriva nalmente che la patrona a lui ci teneva e che forse lei stessa lo scopriva dentro quel momento. Con la morte dentro il core, Uelin il Provolone volt la schiena, lasci il negozio, mettette in moto lApe e scomparette per sempre dalla vita di Iangiuasand. Fu allora che Iangiuasand si era sentita proprio sola. E chi lo aveva mai sospettato che Uelin potesse signicare per lei qualcheccosa di pi di quella comodit di uagnone 257

sempre a disposizione? che addirittura era diventato il perno della vita sua, il cardine che le permetteva di aprirne e di chiuderne la porta? Lo patette il crollo, eccome se lo patette. Non fu dolore o sofferenza. No. Fu un crollo. Dal d e dal momento che Uelin tir la messa in moto dellApe, per non fare pi ritorno in via Trevisani, Iangiuasand cominci a crollare. Ma non tuttinsieme: un poco alla volta, lentamente lentamente. Si sentiva tutta svacata, senza interesse o curiosit per nulla. Pure la forza di faticare le pass, lei che per tanti anni non aveva fatto altro dalla matina alla sera che faticare, mettere il baccal a bagno, pesare, combattere con i grossisti e con i clienti... Per tanti anni la vita sua era stata questa. Se lera messa sopra la schiena, tenuta in braccio, laveva caricata e scaricata, adacquata, accattata e venduta, incartata... Ma il fatto che dentro alla vita una tene abbisogno di metterci qualcheccosa sopral pane: mo se lo ricordava quello che ogni tanto si diceva a questo proposito e le veniva da ridere per la disperazione. Mo se ne avvertiva checcosa signica non avere manco il pane, manco uno come Uelin dentro la vita, dentro la casa, dentro quelle giornate tutte uguali ma almeno con un ato di cristiano che ti vole bene, che ti vole fare piaceri, che fa di tutto perch tu stia bene. Che desiderio di pane dolce di sale e di giornate tutte uguali che le venette improvvisamente a Iangiuasand, sola dentro il deserto che era diventata la vita sua, anzi che in sostanza era sempre stata e mo si rivelava completamente, sfacciatamente, senza che nessuno si pigliasse il fastidio di farcela parere diversa, pi bella, pure solo pi sopportabile. Del resto, con chi se la poteva pigliare? con Uelin, forse? Con lei stessa aveva da pigliarsela e con lei appropriatamente se la pigliava. Ma non per darsi gli schiaf in faccia. Magari! Per fare questo ci vole unenergia e, sottosotto, una forza di reazione che lei non teneva, non si sentiva pi dentro. No, non si dava gli schiaf in faccia. Ammetteva solo che quella infelicit se lera costruita con le mani sue. Pure con la 258

mamma, da uagnedda, non che tutte le colpe fossero della mamma. Certo, Donna Sabbedd laveva vestita a lutto per anni e per anni non le aveva nemmeno parlato alla glia. Ma checcosa aveva fatto lei, Iangiuasandin prima e Iangiuasand dopo, per farla squagliare la mamma, anzi per non farla intostare sempre di pi? Aveva risposto con dispetti, malacreanza e sfregi. E pure con Cilluzz. Con quel povero-a-lui di Cilluzz veramente sarebbe bastato poco, per giuocarselo come avesse voluto: sarebbe stato sufciente abbasciare proforma la capa un poco, ma proprio appena appena, e se lo sarebbe potuto girare e rigirare come un pupazzo. E invece? Invece pure a lui Iangiuasandin prima e Iangiuasand dopo avevano riservato cocciutaggine, ostinazione e provocazioni. Con Uelin, poi... Non lo aveva mai considerato. Manco il tu si faceva dare: era pi piccinonna di lui, non era pi patrona, n nora n mogliera di patrone, e si faceva dare ancora il voi. Proprio una sconsiderata, uningrata. Lui praticamente aveva vissuto per lei sino a quella novit della uagneddozza di campagna e lei che gli aveva dato dentro tanti anni? Tornesi lui non ne voleva, di risa lei non ne teneva, occhiate di ringraziamento lei non poteva manco fargliele perch peraltro lui teneva la capa abbasciata... E mo aveva levato il disturbo. Anzi, era stata addirittura lei che si era pigliata il lusso nale di metterlo alla porta, che aveva avuto la superbia e lirriconoscenza di cacciarlo, invece di aspettare che almeno fosse lui a scrsene, a dire addio, amica del sole, stanco e strutto da tanti anni di servizi e da quel continuo va-e-vieni tra la casa che si era fatta con la uagneddozza e la casa che naturalmente non aveva mai avuto manco lardire di pensare che un d potesse essere pure la sua. Eh s, il buco di via Trevisani col tempo era diventato una casa, si fa per dire. Tutte quelle sanguette, la mamma, la sora, il fabbricatore e gli strozzini, lavevano messa col culo in terra a Iangiuasand. In via Trevisani, poi, non che esi259

stesse la possibilit di fare tanti guadagni: a due passi ci stava il mercato di corso Mazzini la matina e una certa quantit di pesate le faceva solo alla sera. Ma la sera si sa che le pescherie guadagnano assai col pesce fresco, con la merosca, con la paranza: tutta robba da pesciaiuoli mscui che, per non complicarsi ancora di pi la vita, Iangiuasand non aveva mai voluto trattare. A tutti questi impedimenti si erano associate, poi, le conseguenze della depressione, diventata prima patrona della capa di Iangiuasand, il punto suo pi esposto, e poi caltale dentro il core, occupandole quindi il ventre e, in conclusione, appesantendole le cosce e bloccandole lattivit dei piedi. Detta cos, appare una cosa veloce e comprensibile, una cosa che tu puoi seguire d per d, tappa per tappa. Invece no. Fu una cosa di anni, una progressione allentata, sotterranea e invisibile, della quale lei comunque non si avvertette mai. Quando era cominciato quel dolore, che si era annidato al centro della capa e non ne aveva voluto pi sapere di scrsene? E chi lo sa. E quando aveva cominciato a perdere il sonno, a passare notti intere con gli occhi scatesciati e ad avere la sorpresa di non tenere poi bisogno di recuperare, di coricarsi almeno per una mezzoretta durante la giornata? E quando era scomparso lappetito? Da uagnedda, sia a casa della mamma sua sia a casa dellattano e della mamma di Cilluzz, e pure da fmmena, sia sopra la farmacia Ciaciulli sia agli inizi in via Trevisani, era uno sgranatorio continuo: merosca, ceciariddi, polipi, meloni, paste-percoco, sfogliatelle, lampasciuni, paperussi, rizzi di mare, noci reali, gnomeriddi, olive fritte, pane e provolone, per non parlare dei mezziziti col suco e la brasciola, del riso e cggiri, della tiella di patate, riso e cozze... E mo? Lo stomaco mo si era come chiuso. Come quellaltro appetito, quello di un mscuo. Non che lo avesse mai soddisfatto. Ma quante, quante volte aveva desiderato che qualche uno ci mettesse il provolone in mezzo alla pagnotta sua! Il prurito, per il prurito, quello se lera 260

grattato da sola, qualche volta che non ce laveva fatta pi. Mo che si voltava allandreto, Iangiuasand faceva il conto e tirava la somma: una sola volta, una sola, aveva avuto a che fare con una spada di mscuo, una sola volta era stata inlzata. Pure questa considerazione, quindi, non che le permettesse di dirsi, allet sua di fmmena fatta: va bene, tengo tanti di quei problemi, per la vita mia la feci, mi sono divertita. Pure come fmmena fmmena, insomma pure come animale, la vita sua era stata un disastro. Pure da questa angolatura si avvertiva che la sua non era proprio stata una vita, non era stata nulla... Comunque, quella necessit mai soddisfatta almeno se la sentiva addosso, le gonava il core, le brusciava tra le gambe. Segno che qualcheccosa la intralciava, la bloccava come succedeva a tutta la vita sua, per colpa del carattere che teneva e le impediva di tirare fuori la vita, i desideri, i sentimenti che per dentro teneva, eccome. Ma ad un certo punto, come venette meno lappetito per le cose da frecare, da mangiare, e che sino ad allora si frecava, si mangiava, cos diminuette, sindebolette e poi sparette completamente pure quellappetito di mscuo, quel desiderio di frecare, di stringere e di farsi stringere da un mscuo, di farsi strapazzare, inlzare, inlare, trapanare, trapassare, inondare... Iangiuasand si voltava allandreto a esaminare la vita sua, poi tornava a considerare la situazione presente e concludeva che una cosa non farcela a soddisfare per asprezza di carattere o per altro un desiderio che comunque ti senti dentro la carne, e tuttaltra cosa non sentire desideri. La prima cosa signica che sei infelice, la seconda che sei una morta... Senza soldi, senza interesse per nulla, senza forza di scire ancora innanzi e ndreto fra via Modugno e via Trevisani, Iangiuasand aveva detto baibai alla casa con il balcone sopra la farmacia Ciaciulli e se ne era venuta a stringere con Martem Piccinunno, pure per dormire, dreto il separ di quel buco della pescheria sua. Una casa-pescheria, la casa261

pescheria pi piccinonna del mondo. Innanzi al separ non ci stava spazio per il pesce e nemmeno per due cozze pelose o due vongole, ma solo per una decina di chili di baccal e una cinquantina di chili di cozze nere, e dreto al separ da un certo punto in poi non ci stava pi nemmeno spazio per le gambe di Martem Piccinunno, che si allungava sempre di pi, n per i libri e i giornali che quello schicchiatiddo aveva cominciato a leggere e ad accumulare. Martem Piccinunno, lunica ragione della vita sua. Un gioiello di piccininno, un uagnone che arava a scola, poi un giovane che dette soddisfazioni ma che a una certa et cominci a fare il matto. Non ci stava un capo della casa che gli desse mazzate, se ne approttava dalla debolezza della mamma (Iangiuasand era debole per la prima volta, solo con lui aveva abbasciato la capa) e cos faceva quello che voleva. A un dato momento non volette pi saperne della scola e la scola non lo vedette pi. Non voleva scire a faticare e non faticava. Non voleva stare nemmeno dentro il negozio di cozze e baccal e non ci stette. Dalla matina alla sera stava a leggere, libri e giornali, giornali e libri. Sopra il cesso, sopra il letto, caminando, al giardino Garibaldi... Ovunque. Libri e giornali. Magari da grande avrebbe fatto il commesso dentro una libreria o addirittura il giornalaio, patrone di unedicola e della vita sua. Cos avrebbe potuto non dare conto a nessuno, se non a se stesso. E difatti, regalando a questo e a questaltro, Iangiuasand ce laveva fatta a piazzarlo dentro unedicola di giornali Martem Piccinunno, che oramai era un giovanotto. Un mestiere pulito e un avvenire sicuro. Laveva messo a posto. E lei? Che senso aveva continuare a sbattere la capa? a stringere un limone secco secco, che non aveva mai dato suco e mai ne avrebbe dato? ad agitarsi per questa nullit che la vita? Certo, se avesse potuto ricominciare tutto da capo, da quella sera che, uagnedda, se ne fuscette da casa con Cilluzz! Ma, ammesso e non concesso che avesse potuto ricominciare da l, non facendo pi la mattezza di far262

si caricare da quello sposseduto sopra la carrozza di Rocch il Calessiere, checcosa avrebbe potuto fare di buono, con quella mamma che non ne aveva mai voluto sapere di lei? Che vita, poi, era stata la sua non solo da maritata, ma pure da uagnedda, da piccinenna, da menenna, da pupa appena nata? Era stata proprio una condanna a morte quella vita. E Martem Piccinunno? Che avrebbe potuto dare a Martem Piccinunno, pi di quello che non gli avesse gi dato? E checcosa gli aveva dato, salvo che metterlo al mondo e regalargli unedicola di giornali? Martem Piccinunno non aveva fatto pure lui sino a mo per colpa sua, della mamma una vita disastrata? Iangiuasand si avvertiva poi che, mo, cominciava pure il glio a provare un poco di fastidio, diciamo pure vergogna, a trasire e ad assire dalla pescheria della mamma. Chiss, cominciava pure ad avere vergogna della mamma stessa, che faticava come un mascuone e feteva sempre di baccal. Del resto, che poteva fare Iangiuasand? chiudere la pescheria e mettersi sopra la schiena di Martem Piccinunno? E come? Ledicola ingranava appena e s e no poteva bastare per dare da mangiare a un giovanotto. E poi, non aveva da cominciare pure a pensare alla vita sua il glio? Oramai teneva let e, un d o laltro, certamente se lo sarebbe visto arrivare a casa con una uagnedda sotto il braccio? Anzi, chiss se non la teneva gi e se, per la vergogna, non laveva manco presentata alla mamma pesciaiola. In tutti i casi, mo Martem Piccinunno cominciava a costruire la vita sua, e lei gli era solo di peso e sempre di pi lo sarebbe stata. Insomma, Iangiuasand era arrivata alla conclusione che mo se ne poteva pure scire dalla vita, ammesso e non concesso che avesse mai avuto la possibilit di trasirvi. E poi si convincette che non solo se ne poteva scire, ma se ne aveva da scire. E se ne sc.

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Postfazione piccolo viaggio critico attorno a CAPATOSTA A dieci anni esatti dal suo esordio nelle librerie italiane dal suo immediato successo commerciale e dalla straordinaria accoglienza ricevuta da critici e storici della letteratura il folgorante romanzo di esordio di Beppe Lopez ormai stabilmente considerato un classico della letteratura meridionale e, per il suo contenuto e la sua forma, uno dei pi interessanti testi della narrativa italiana contemporanea. Per descrivere la forza della lingua e loriginalit della storia raccontata in Capatosta si fatto ricorso a una impegnativa serie di riferimenti storici: da I Malavoglia di Giovanni Verga a Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda, dalle periferie romane di Pier Paolo Pasolini allo Stefano dArrigo di Orcynus Orca, da Ninfa plebea di Domenico Rea a Luigi Meneghello e alla sua epopea di Libera nos a malo, dalle storie e dalla lingua siciliane di Andrea Camilleri allumanit dolente dei vicoli del Cairo descritta da Nagib Mafhuz, dalluso colto del dialetto nel cinquecentesco Cunto de li cunti di Giambattista Basile alla metropoli di Eduardo, Prisco, Rea e Marotta; dai Fuochi del Basento di Raffaele Nigro ai versi lucani di Albino Pietro, sino a Dickens, a Dostoevskij, al ventre di Parigi di Victor Hugo, ad Antigone e a Psiche... In realt Capatosta, che non si limita a riproporre la pur strategica questione del rapporto fra subalternit sociale e letteratura, n si propone solo come un romanzo di identit e di riscatto, entrato di prepotenza nella letteratura italiana per una serie di motivi, riassumibili in quattro: 1) la storia scritta in un linguaggio mai usato prima, un impasto di italiano e di dialetto centro-meridionale nella versione barese, storicamente privo di tradizioni letterarie. E contrariamente ai pi recenti casi di ricorso alle lingue 264

regionali per non far nomi, Camilleri non tratta una materia leggera n fa la caricatura di cose gravi, ma riporta la vita nella complessit dei suoi registri, compreso quello tragico; 2) la storia ambientata in un mondo mai descritto, in unItalia mai raccontata, in un Sud n contadino n borghese, n operaio n cittadino, n magico n metropolitano; 3) i personaggi che non hanno avuto mai voce nella storia e quasi per niente nella letteratura italiana e le vicende narrate sono pressoch privi di valori, di consapevolezza culturale, di politicit, di introspezione interiore o di espliciti collegamenti con la storia del Paese o comuque con quella che passa per essere stata ed essere la storia collettiva italiana e meridionale; 4) la gura della protagonista, Iangiuasand, come pure stato detto, risulta comunque, in assoluto, uno dei ritratti femminili pi belli della narrativa italiana. Il 19 settembre del 2000 Capatosta (Mondadori) dunque nelle librerie di tutta Italia. Raccontata con una lingua di prorompente vigore, intarsiata con rafnatezza da un dialetto espressivo e scontroso, celebrata nella sua grandezza non meno che nei suoi difetti e nei suoi limiti, si legge nel risvolto di copertina, la protagonista Iangiuasand attinge una dimensione di assoluta memorabilit. Anche Lopez, come Rea, autodidatta (pur avendo alle spalle poco meno di un quarantennio di scrittura e di lavoro giornalistico). Anche qui, come in Rea, ci sono lostinato attaccamento e praticamente lidenticazione con un mondo, insieme, feroce e sublime, alto e basso, misero e nobile. Fosse viva ancora Anna Magnani, si legge nella scheda con la quale lAnsa presenta il romanzo, il personaggio di Iangiuasand non glielo toglierebbe nessuno. Per lo scrittore Raffaele Nigro, che presenta il romanzo a Bari, quella di Lopez unoperazione pi sottile e rafnata rispetto al recente e fortunato lm barese Lacapagira, si tratta di due opere della marginalit, del degrado, della centralit 265

metropolitana. Nigro confronta e intreccia la storia e la lingua di Capatosta con le opere di Gadda, DArrigo e Basile. Tira dentro la questione Eduardo, Prisco, Rea e Marotta. Ragiona attorno alla continuit/discontinuit segnata da Capatosta rispetto alle opere di altri autori pugliesi e lucani: Cassieri, Gallinari, Ventrella, Saponaro, Maurogiovanni, Di Lascia, lo stesso Nigro e Pierro. Senza tralasciare il riferimento pi immediato, quasi obbligato a Giovanni Verga: quello descritto da Lopez un mondo ossessivo e senza redenzione, senza successo, pietricato come quello dei Malavoglia. La storia, sostiene Piero Traccagnoli sul Mattino, cattura dopo un minimo sforzo (lunico che si richiede a chi mastica prose pi rassicuranti), quello di riuscire a seguire londa della lingua. Si sottolinea che Lopez unautorit nel campo dellinformazione locale, sale di una professione che insegna a raccontare con immediatezza e rapidit. Capatosta, invece, appare quasi come una disintossicazione dal mestiere con le sue regole indispensabili e inossidabili. La semplicit costituita dalla ricerca di un linguaggio che calzi alla storia narrata come una guaina. In settembre, fra le altre, le prime due recensioni nazionali. Per Liberazione, la vera scoperta del romanzo proprio in questo dialetto pugliese, cos nobile, ricco anche se faticoso. Quindi linserto TuttoLibri della Stampa a dedicare un ampio spazio alla critica di Giovanni Tesio: proprio limpasto linguistico di Capatosta a preservarla da ogni eventuale sospetto di neo-neo-realismo. E in occasione dei consigli per le feste natalizie, Tesio torna sulla Stampa a parlare di Capatosta segnalandolo calorosamente come un libro che non ha avuto lattenzione che merita. Con una precisa motivazione: contro la saturazione di tanti romanzi di decorosa e inappellabile mediocrit. Si tratta, per il critico piemontese, di una lettura per lettori che non hanno fretta e che sanno amare le storie in cui la vita dice la sua. Lo storico della letteratura Franco Brevini su Panorama sostiene, partendo dal linguaggio usato dallo scrittore, che 266

limpasto linguistico dialettale acquista un singolare prolo sperimentale. qualcosa di pi dellitaliano regionale e qualcosa di meno del dialetto, ma in misura variabile ha formato lossessione di una parte della narrativa contemporanea. A Brevini vengono in mente Stefano dArrigo di Orcynus Orca, Domenico Rea e Ninfa Plebea, il Luigi Meneghello con la sua epopea di Malo, lo stesso Camilleri, ma anche lumanit umiliata che si aggira per i vicoli del Cairo di Nagib Mahfuz. Ad agitare Lopez, secondo Brevini, unossessione. Quel Meridione senza riscatto, quella vita che non diventa mai storia, un grumo autobiograco. Il latinista e scrittore Luca Canali sul Giornale denisce il romanzo di Lopez un frutto inatteso nellattuale deserto popolato dinniti sottoprodotti letterari, anche riniti nel loro formalismo, ma terribilmente inutili. E lo colloca nel solco del rinascimentale Cunto de li cunti di Basile. Walter Pedull apprezza sul Messaggero una lingua prima mai usata che d aspri sapori agli eventi quotidiani, urla la ribellione sica e metasica, musica i sentimenti, che sono delicati e selvaggi insieme. Dellintensit del libro di Lopez scrive appassionatamente Massimo Onofri in un lungo articolo sul Diario della Settimana: trascinante ed euforico, ma intenso e disperato e pieno di personaggi che non si dimenticheranno facilmente. Lopez ha voluto che molta vita si coagulasse come sangue, nelle sue vene di rorido scrittore, per sacricare agli anni unindubbia, e fuori del comune, vocazione narrativa, che molti altri, assai meno dotati, avrebbero scialacquato alla prima occasione. Riferendosi alla lingua usata, Onofri parla di un idioletto e lo si dice per approssimazione prima ancora che della lingua, dellimmaginazione. Pi recentemente Onofri, intervenendo nel dibattito sulla consistenza della scuola di romanzieri italiani e attribuendo, tra i pi giovani, un posto assoluto a Niccol Ammaniti indica in Pirandello, Svevo e Tozzi i padri, valuta Moravia e Soldati due grandissimi narratori e sostiene che narratori di rilievo 267

non mancano nelle ultime generazioni, da Maurizio Maggiani e Sandro Veronesi agli outsiders come il Cesare De Marchi de Il talento e il Beppe Lopez di Capatosta. Anche la grande stampa regionale si interessa a Capatosta. Per il Giornale di Sicilia, Capatosta uno dei ritratti femminili pi belli della narrativa italiana. Entusiasti sono anche i giudizi, fra gli altri, di Luigi Compagnino sul Secolo XIX (Una straordinaria gura di popolana e laffresco di un mondo che ha abitato raramente le pagine della letteratura) e di Giuseppe Amoroso sulla Gazzetta del Sud, per il quale Lopez impiega strumenti narrativi di tipo tradizionale. Il suo un libro regolare, lento e pausato nei movimenti, assestato su itinerari di svolgimenti distesi mediante la chiamata in causa di tutti i passaggi obbligati, le descrizioni necessarie, il dosaggio dei molti particolari sempre collocati al punto giusto e armonizzati con unequilibrata distribuzione dei fatti nel disegno generale. Quello che invece appare fortemente provocatorio luniverso linguistico: una miscela di impasti dialettali e di lessico medio, un italiano talora un po sbandato per quel suo contatto continuo con sollecitazioni anomale, con striature vernacolari. Ne scaturisce un pastiche che alla lontana richiama certe operazioni espressionistiche degli ultimi tempi. E pensiamo, per esempio, a Stefano DArrigo Capatosta fa viaggiare i suoi poveri personaggi in un mondo sico, senza mitologie e simboli, senza sirene e spettacolari mostri dellinconscio: attrezzato piuttosto per non staccarsi mai da terra. Lo sorprende e ghermisce un realismo che brucia se stesso nellindomabile effervescenza, nel magnetico rovello delle sue strutture sintattiche, ampie, a pi piani, trascinate dalla furia creativa di uno scrittore che intende aggiungere, ammassare, agglutinare tutto ci che pu allargare un motivo: furore di certi processi emozionali in cui lelementarit psicologica dei personaggi soverchiata da unaria da melodramma. Giuseppe Marchetti sulla Gazzetta di Parma rileva un miscuglio che ricorda, peraltro, una illustre tradizione 268

italiana, da Verga a Marotta, da Bernari a Fiore, da Rea a Pasolini immerso in una intensit narrativa che non cede mai e in un impegno lessicale e stilistico che fa lievitare i fatti con singolare forza di penetrazione. Di queste storie dicevamo piena la terra e, quindi, la letteratura. Ma Lopez non voleva tessere un racconto soltanto pregno di questo ambiente per tante ragioni miserabile: la sua preoccupazione unaltra, quella di far emergere dal racconto stesso la propria forza e la propria umanit specialmente attraverso la dittatura esigentissima della lingua, i nomi dei personaggi, il loro esprimersi, il loro parlare e colpirsi e offendersi o difendersi. In questa interminabile teoria di situazioni che germinano le une dalle altre senza soluzione di continuit il grido umano della piet, dellamore, del sarcasmo e della pena si ritorce su se stesso e diventa cos penetrante da costituire, alla ne, il maggior esito del romanzo, la sua connotazione di fondo e un inoppugnabile dato di fatto. Anche Corrado Augias, sul Venerd di Repubblica, mette laccento sulla lingua usata da Lopez: un impasto di italiano e dialetto piacevole e forte come in Camilleri, forse di pi. Parla invece di stile immediato, rapido, incisivo, che si evidenzia nella potenza di movimento di alcune scene di un taglio cinematograco, che mettono in luce le caratteristiche dei vari personaggi deniti nei loro rapporti interpersonali la critica e francesista Wanda Rupolo sulla Nuova Antologia. Ed il solitamente feroce stroncatore Roberto Cotroneo a non nascondere sullEspresso la sua ammirazione per questa magnica storiaccia, confessando di stupirsi che sia poi Mondadori, editore generalista e poco incline agli esperimenti, a pubblicare un libro cos. Cotroneo afferma senza equivoci che se ci fossero pi libri cos in giro, le cose di questo mondo letterario andrebbero meglio, rilevando la capacit di Lopez di costruire una storia intensa senza stereotipi, senza format inventati da altri, senza i soliti luoghi comuni che pervadono senza scampo buona parte dei libri che escono di questi tempi, con una lingua assolutamente 269

funzionale alla storia che non ornamento, ma aggiunge visionariet e signicato a ci che si legge. Il premio pi inaspettato e qualicante Lopez lo riceve proprio nella sua citt, Bari. Nonostante il sempre vigente nemo propheta in patria, in questo caso rafforzato dagli scontrosi rapporti che il giornalista ha da sempre con lestablishment locale, a cominciare dal quotidiano monopolista barese (che difatti ignora totalmente luscita del libro, il suo successo nazionale e persino gli incontri che sul libro si svolgono numerosi nella regione). Il Premio Citt di BariPinuccio Tatarella alla sua quarta edizione. Inventato dallo scomparso ex dirigente di Alleanza Nazionale (e assessore alla cultura della citt) e da Nigro, ha gi un suo riconosciuto prestigio nazionale. Naturalmente mai nessun barese o pugliese entrato nella cinquina dei vincitori. La giuria composta da letterati del livello di Raffaele Prisco, Pontiggia, Pedull, Nigro e Gino Montesanto. Questa volta, la cinquina da essa selezionata comprende, oltre a Capatosta, gli ultimi lavori di Gina Lagorio, Lorenzo Mondo, Laura Pariani e Marcello Venturi. Il giudizio nale della giuria popolare formata da cinquecento lettori decreta il 18 luglio 2001 un vero e proprio trionfo per Lopez. Capatosta superstar titola a piena pagina la Repubblica di Bari. Il Corriere del Mezzogiorno: La vittoria di una Capatosta. Antonio Di Giacomo, che rma larticolo sulle pagine pugliesi del quotidiano romano, sottolinea ancora una volta lestremo e appassionato atto damore di Lopez per la sua citt. Per una volta Bari, quella citt che spesso si detta ingrata ha invece avuto la forza e lumilt di dire grazie a Beppe Lopez, al suo indimenticabile Capatosta. Aggiunge Luigi Quaranta, sullinserto pugliese del quotidiano milanese: Era una vittoria annunciata, ma pi che legittima e avvertita da tutti come giusta: perch Capatosta ha attirato lattenzione dellItalia letteraria sulla citt e sul suo dialetto, di cui Lopez ha nutrito la lingua del suo romanzo alla maniera di un Gadda di Puglia. Il libro aveva gi conquistato, a ne aprile, la prima edizione del Premio Letterario Piedicastello, istituito per ricor270

dare il grande romanziere molisano Francesco Jovine, esponente di rilievo del neorealismo meridionale. Cos come era entrato prepotentemente nella terna dei nalisti del Premio dei Lettori di Lucca. E lantropologa Daniela Marcheschi, nellannuario del Premio, denir lo stile di Lopez straordinariamente aggressivo, di grande impatto frontale nel suo originale tessuto di voci dialettali pugliesi, anche arcaiche, e di lingua italiana nelle varie e profonde straticazioni storiche. Ci che colpisce la critica letteraria comunque lassenza di compiacimento nel raccontare il peso del male e la leggerezza del bene, nellaccompagnare il lettore in quel vero e proprio vortice di orrore e grazia che anche lesistenza pi derelitta. E dopo il Molise, Lucca e Bari, Lopez si vede assegnare la targa doro del Premio Nazionale Stefanelli a Caserta. Molto coinvolti da Capatosta si rivelano numerosi docenti dellUniversit di Bari, che ne fanno oggetto di studi e approfondimenti con gli studenti e con lo stesso Lopez. Sotto la lente dingrandimento, la lingua usata dallo scrittore barese e la rappresentazione del disagio sociale ed esistenziale nella narrativa del Novecento. Comincia il prof. Leonardo Sebastio, con un seminario nellambito del corso di perfezionamento in Metodologia e didattica della lingua e della letteratura italiana. Un altro seminario (Dialoghi sulla citt e sulle sue scritture: Capatosta e i diritti del ricordo) promosso dal prof. Raffaele Girardi, per il corso di perfezionamento in Lingua, stile e generi della prosa italiana, con la partecipazione del prof. Franco Cassano e del prof. Francesco Tateo. Questi sostiene, fra laltro, che larricchimento dei registri del barese con un racconto che lo adotta per un registro prevalentemente melanconico e drammatico certamente il fatto pi importante delloperazione di Lopez. Un dialetto diventa lingua solo quando dimostra di essere duttile e capace di servire ai registri pi vari Ma per far funzionare lesperienza storica, c da chiedersi se non sia ormai troppo tardi. Lopez si limita ad osservare, a que271

sto proposito, che il mondo non nito. E gli intellettuali hanno sempre il tempo per fare la propria parte. Capatosta fa un salto anche nella lingua francese. Marie Thrse Jacquet, della facolt di Lingue, impegna un gruppo di studenti nella traduzione dellultimo capitolo del libro. Unesperienza piuttosto complessa perch Capatosta, spiega la francesista, presenta un alto livello di non traducibilit, soprattutto per il monotonismo della lingua francese che si contrappone al carattere ospitale di quella italiana. La lingua di Rabelais viene ritenuta lunica adatta a tradurre, almeno sperimentalmente, il testo dello scrittore barese, rititolato Tte de mule. Il prof. Ettore Catalano organizza poi un seminario sulle Scritture a Sud imperniato su Lopez e Nigro per la cattedra di Letteratura italiana del corso di laurea in Scienza delleducazione. ancora Sebastio lanimatore del Corso di formazione primaria per la Storia della lingua Italiana, imperniato su tre testi: Capatosta di Lopez, Ninfa plebea di Rea e Altri libertini di Pier Vittorio Tondelli. A dispetto di ogni progresso della cos detta civilt, ha scritto fra laltro del romanzo di Lopez uno dei pi grandi scrittori italiani contemporanei, Giampaolo Rugarli, le falde freatiche del nostro esistere rimangono quelle che sono raccontate in questo libro con una evidenza, con una brutalit e una segreta tenerezza di assoluta originalit. Io sospetto che lautore di Capatosta abbia regalato molto di se stesso al personaggio. La letteratura realistica di norma approda a denunce sociali: lo sfruttamento di chi lavora, i soprusi dei padroni, la complicit dei pubblici poteri, la miseria come premessa del vizio ecc. ecc. Tutto questo in Capatosta non c, o meglio c sullo sfondo: ma, per singolare che sembri questa mia affermazione, a Lopez premono i sentimenti e lanima, una entit forse mai menzionata in tutta la narrazione. Lopez artista troppo ne e sensibile, non dico per sbrodolare, ma anche solo per esprimersi in modo frontale, diretto: si muove sotto traccia, allude, accenna appena ap272

pena, ma a me sembra chiaro che il dolore e la bestialit e il brago da Lopez rivoltati nascondano una certa voglia di innito. La stessa voglia che assilla Iangiuasand, solo che lei non lo sa o forse non sa come chiamarla. La lingua di Lopez, ritiene il critico letterario del Messaggero Renato Minore, viene costruita come una sorta di partitura musicale, con i suoi valori che sono il ritmo e la prosodia che accompagnano la vita di Iangiuasand, la protagonista, sin dalle prime battute del libro. Questa lingua non assolutamente la trasposizione nellitaliano di una forma dialettale astratta, di unidea-dialetto, ottenuta magari con particolari ritmi e cadenze sintattiche o semplici citazioni di parole o frasi dialettali, come capitava ai testi neorealisti, e non impasta neppure i suoi innesti plurilinguistici, come capita a uno scrittore del calibro di Carlo Emilio Gadda. Lintenzione di Lopez diversa. lirriducibilit di una lingua fortemente spinta verso il dialetto ma che non dialettale tout-cour. Una lingua in cui litaliano tende a camuffarsi, a slittare verso forme meticcie, a diventare unintelaiatura sintattica, una gabbia semantica dentro cui far scorrere la storia. Una storia continuamente spinta e contaminata dallurgenza espressiva di questo nero-seppia pugliese che una non chiusa ferita, come allinizio del Novecento diceva un autore, tanto diverso da Lopez, come Giovanni Boine La lingua del romanzo circoscrive nella sua essenzialit antropologica il modo di essere, in una sorta di immaginazione e di materialit che formano il palinsesto della visione del mondo di una comunit di sposseduti del Sud, come Lopez chiama i suoi protagonisti, le gurine di questo presepe pugliese. Una comunit che ha vissuto senza essere nora n conosciuta n rappresentata, ai margini della storia, ai margini della possibilit di essere rappresentata. una comunit di senza voce, che non ha mai avuto una testimonianza Questa comunit, che emerge come protagonista del racconto, rispecchia linterdizione di questa visione del mondo, dove ogni cosa trasuda miseria e bassezza, dove non 273

possibile il riscatto sociale, dove velleitaria ogni speranza di rinnovamento sia personale che collettivo, dove vietata anche ogni via che pu portarci verso un possibile scenario di futuro di speranza Viene raccontata anche con lorgoglio di un narratore che non gioca al ribasso, ma rilancia la posta, che una posta molto alta. Un narratore che preso, coinvolto in questo ruolo demiurgico e invasivo, in una sorta di scommessa che anche una sda sul valore fortemente conoscitivo della letteraturaIntorno a questa intenzione di giusticata ambizione, credo che il romanzo di Lopez rafguri, nella storia di Capatosta, una sorta di reticolo narrativo intenso e drammatico, in un patto che si rinnova con il lettore e che restituisce per intero, insieme al piacere della lettura, anche la sua avvolgente necessit di conoscenza. Per la scrittrice Anna Maria Mori, Capatosta non fa parte di una corrente pi o meno costruita a tavolino dagli editori, non si allinea con te mode pi o meno letterarie o solo salottiere: uno che ha una storia da scrivere, e la scrive, cos come lha sentita forse raccontare, o se la ritrova depositata nella memoria. quello che si chiama un outsider. E la forza di quello che ha da raccontare, insieme alla lingua in cui sceglie di raccontarlo, ne fanno immediatamente un caso, per sua e nostra fortuna, un vero e proprio caso caso letterario: piace subito anche ai critici pi difcili, che gridano addirittura al miracolo. E i miracoli di cui fatto il romanzo Capatosta, credo si possa dire senza paura di essere smentita, sono sostanzialmente due (o forse tre: mettendoci anche la straordinaria capacit dellautore di costruire una trama avvincente): da una parte, come gi dicevo, la scelta, il recupero, linvenzione della lingua, attingendo al dialetto pugliese; dallaltra, e comunque insieme, il coraggio (che non poteva che essere di un outsider) di riportare a galla le passioni, le violenze fatte e subite, la bellezza, la durezza e la grandezza, orami dimenticate da troppo tempo, di un mondo di tante donne diverse, vecchie e giovani, belle e storpie, capatoste come le capre cui assomiglia la protagonista che 274

no in fondo cerca di non arrendersi al suo destino di creatura riutata. Un romanzo assai intrigante, ma non semplice e non facile, questo di Lopez: ambizioso nel progetto narrativo che simula, ma solo per travalicarli nel simbolo, impianti neorealistici denso di implicazioni antropologico-esistenziali e dotato di una forte carica di provocazione intellettuale, ha scritto fra laltro Vitilio Masiello, illustre ordinario di letteratura italiana, introducendo il volume Il caso Capatosta (Odipus 2004). Ma il suo livello pi os, la vera sorpresa del romanzo per usare le parole di Corrado Augias la lingua: un audace, persino temerario pastiche linguistico realizzato attraverso un tto intarsio di dialetto barese su un fondo di italiano parlato dimpronta meridionale; un dialetto barese italianizzato, o un italiano medio, popolareggiante, fortemente dialettalizzato. questo laspetto del romanzo su cui soprattutto si sono soffermati linteresse e lattenzione di critici e recensori, non sempre con comprensione effettiva delle sue ragioni profonde. Ma in che consiste, propriamente, la sorpresa cio il fatto inatteso e imprevedibile, la novit stravagante o temeraria (ma anche, sotto sotto, lo scandalo) del romanzo di Lopez? Non certo nelluso del dialetto per nalit artistico-letterarie (di letteratura darte) o nella mescolanza di codici e registri linguistici diversi che lasciando da parte il modello ineguagliabile di Gadda, appartenente per progetto e strategia compositiva, oltrech per risultati, ad altra costellazione non costituisce di per s una novit nella tradizione narrativa italiana moderna e contemporanea, da Pasolini a DArrigo a Camilleri (per limitarci ad alcuni degli autori pi noti e alla tipologie pi consuete di impiego di codici alternativi o di mescolanza di codici). La sorpresa sta nelluso di un dialetto, quello barese, privo di una inuente tradizione letteraria (di letteratura narrativa) e per di pi delegittimato ai ni del suo impiego letterario dalla grossolana contraffazione comico-farsesca cui stato sottoposto sulla scena mediatica. Su questo sul tema, in275

tendo, delle condizioni che consentono ad un dialetto (che non ha mai, in s per s, intrinseche, naturali potenzialit letterarie positive o negative) di assurgere alla dignit di lingua letteraria ha scritto cose estremamente acute e persuasive sotto il prolo storico e teorico Francesco Tateo, in un intervento che non mi pare sia stato ben compreso nelle sue intenzioni e motivazioni. Lungi dallaver sottovalutato limportanza dellesperimento di Beppe Lopez e le possibilit dimpiego letterario del dialetto barese per difetto di titoli storici (per la mancanza di una tradizione), Tateo riconosce a quellesperimento il merito di aver promosso larricchimento dei registri del barese (nora prevalentemente limitati a quelli del comico nellimpiego teatrale o della deformazione farsesca nel circuito mediatico) con un racconto che lo adotta per un registro prevalentemente melanconico e drammatico. Segno, questo, di un sia pur tardivo assurgere di quel dialetto a dignit di lingua, giacch aggiunge Tateo un dialetto diventa lingua solo quando dimostra di essere duttile e di servire ai registri pi vari. Cos continua Masiello: Quello della lingua che ha in un certo senso monopolizzato, alluscita del romanzo, linteresse di critici e recensori non pu per essere assunto come problema autonomo e separato dalloggetto della narrazione: dalla materia narrativa cui quel singolare amalgama linguistico inerisce, dandogli espressione, forma specica ed identit. Si pu anzi dire che la strategia linguistica seguita da Lopez e cio ladozione o meglio la creazione di una lingua meticcia, ibridata, a forte dominante dialettale consustanziale, organica ed assolutamente necessaria ad un progetto narrativo che ha per suo oggetto la rappresentazione di un universo sociale e di una condizione umana i cui caratteri fondamentali sono lemarginazione, lesclusione, lesilio: lestraneit di esistenze reiette alla storia, e della storia a loro. Allinterno di un universo sociale ed umano cosiffatto, la solitudine, lorgoglio testardo e la disperata rassegnazione della protagonista del romanzo, Iangiuasand (la capatosta) rap276

presentano lunico modo possibile di rivendicare il diritto allesistenza, al riconoscimento di s come soggetto, allidentit. Ma lemarginazione, lestraneit, lesclusione non possono esprimersi con il linguaggio dellintegrazione sociale (litaliano, magari colto, letterario) se non negandosi. Il linguaggio dellestraneit alla storia il dialetto, soprattutto se letterariamente inusitato, privo di tradizione. E la sua assunzione letteraria non in purezza, ma in un impasto ibrido realizzato sotto il suo segno, documento dellascendere dei soggetti sociali che ne sono gli utenti abituali allautocoscienza storica, e di quel dialetto stesso a dignit di lingua, attraverso la mediazione di un intellettuale (di uno scrittore) che in quella realt antropologica e linguistica si riconosce (riconosce le proprie radici) nel momento stesso in cui se ne distanzia criticamente (ne riconosce e sancisce lalterit irrisarcibile). Un punto che Masiello vuole chiarire meglio perch esso strettamente connesso con la tecnica narrativa seguita da Lopez e col ruolo che in essa gioca limpiego ad intarsio tto del dialetto, con la diffusa patina dialettale che ne consegue e che caratterizza la tessitura linguistica del romanzo, senza tuttavia precluderne la leggibilit al di l della provincia barese. Ha detto Beppe Lopez, rispondendo ad alcune sollecitazioni critiche di Tateo, che il suo idioletto si scritto da solo. Lenunciato un illuminante non so se consapevole o inconsapevole calco verghiano: della tesi verghiana che lopera darte debba sembrare essersi fatta da s e che, a questo ne, debba, conseguentemente, narrarsi da s. strano che a critici e recensori, nella rassegna degli antecedenti di Capatosta in materia di alchimie linguistiche, sia sfuggito questo straordinario ed ineguagliato archetipo ottocentesco mi riferisco in particolare al Verga dei Malavoglia del quale il romanzo di Lopez riecheggia, in piena autonomia, modelli di ibridazione linguistica e connesse tecniche narrative. Come, con quali procedure operative possibile conseguire lobiettivo di unopera darte di un romanzo 277

che si narri da s (si scriva da solo dice Lopez)? La via aperta da Verga quella della costruzione di un racconto a focalizzazione interna: gestito, cio, da una voce narrante o dagli attori stessi della vicenda (dai personaggi del racconto) secondo un punto di vista tutto interno al mondo rappresentato. Lo scrittore, insomma, per conseguire il massimo di verit rappresentativa, entra nella pelle dei suoi personaggi, racconta i fatti con la loro voce, vede il mondo con i loro occhi e rappresenta la realt secondo i loro modi di pensare, col loro linguaggio, con le loro parole. Strumenti delezione per la realizzazione di questa sorta di narrazione delegata e autogestita dai personaggi sono, in Verga, luso sistematico dellerlebte Rede (discorso rivissuto), che consente al narratore dice Leo Spitzer di raccontare gli avvenimenti come si riettono nei cervelli e nei cuori dei suoi personaggi, e il ricorso assiduo al discorso indiretto libero, che consente il riecheggiamento nella scrittura del parlato popolare e lintarsio nel continuum del tessuto narrativo della voce e del linguaggio specico dei personaggi. Spiega Masiello in questo modo, grazie a queste rivoluzionarie tecniche del racconto e a queste audaci alchimie linguistiche, che i pescatori e i contadini siciliani dellOttocento anchessi e assai pi che i popolani baresi del rione Africa estranei alla storia escono dalla loro secolare esclusione e dal loro secolare silenzio ed irrompono nel mondo della letteratura non, si badi bene, come oggetti, ma come soggetti del racconto, portandovi, con la narrazione della loro storia travagliata, i loro modi di essere, di pensare, di parlare. azzardato dire (ma, occorrendo, potrebbe farsene una verica analitica) che il progetto narrativo di Beppe Lopez e la strategia tecnica e linguistica che lo realizza trovano nel grande modello archetipico verghiano un termine di riferimento che ne consente una pi piena comprensione? E che non cera altra via, altro modo lo dico con le parole di Beppe di raccontare unItalia mai descritta, nella quale si muovono persone che non si sono mai affacciate alla 278

storia e certo mai alla letteratura, e che parlano e pensano in dialetto. In quel dialetto? E che per questa via e in questo modo esse, come di sopra accennavo, risalgono dal silenzio e dallestraneazione alla storia e il loro dialetto dalla deformazione farsesca alla dignit di lingua?

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Stampato presso le Arti Grafiche Panico galatina (le)

il volume privo del simbolo delleditore da ritenersi fuori commercio

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