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Istituto Universitario di Scienze Pedagogiche e Sociali

Progetto Uomo
Riqualificazione – Educazione Professionale

GERAGOGIA

Docente: Nicolò A. Pisanu


Studentessa: Denise Comandini
Matricola: 341EPR22
A.A.: 2022/2023
1 – L’educazione permanente a sostegno dell’individuo nelle fasi evolutive della vita

Passano gli anni, cambiano le mode, si trasforma il mondo intorno a noi, la società si
diverte a cambiare quasi a rendersi sempre più criptabile all’occhio delle persone, ma la
spinta dell’uomo ad interrogarsi sulla vita, sull’esistenza, sul perché e cosa siamo, non si è
mai esaurita, andando sempre più a ricercare interrogativi nuovi che emergono da fenomeni
sociali che ogni giorno fanno la loro comparsa. E nel suo instancabile sapere, nascono
nuove discipline che si configurano come nuovi strumenti di conoscenza, per spiegare ciò
che in passato già ha trovato risposta, ma che oggi non è più compatibile con i nostri tempi.
Seppure i nostri antenati, milioni di anni fa, ci hanno fornito esaustive risposte ad interrogativi
esistenziali riguardo alla vita, al suo senso, al suo evolversi, il lavoro di analisi e di quali
servizi possono essere forniti a supporto dei bisogni contemporanei, continua ancora oggi.

“Prendete in mano la vostra vita e fatene un capolavoro” diceva papa Giovanni Paolo
II, ma per quanto questa frase sia facile da pronunciare, sappiamo sulla nostra pelle quanto
sia difficile, seppure tanto voluta, da realizzare. Perché per quanto esistano scienze che
continuamente si interrogano su ciò di cui ha bisogno un individuo in ogni fase della sua
vita, quali siano i bisogni, quali difficoltà si possano incontrano e come si possano
fronteggiare, nessuno di noi ha un proprio manuale d’istruzioni da seguire lungo il suo
percorso di crescita, anche se poi come per magia questo documento è nelle nostre mani
subito dopo essere andati oltre, entrati in una fase successiva. Ci si guarda indietro e le
risposte che fino a poco tempo prima cercavamo sono tutte lì, mentre quello che un domani
saremo è destinato ad essere ancora ignoto. Un bambino appena nato non sa come
affrontare questo nuovo mondo, non sa chi si prenderà cura di lui, cosa vuol dire mangiare,
essere consolato. Sua sorella non sa come adattarsi a questa nuova vita famigliare in cui
non è più l’unica su cui sono concentrate tutte le attenzioni. La mamma e il papà non sanno
ancora come far spazio ad un nuovo arrivato, come riuscire a dividersi per entrambi i figli e
allo stesso tempo riuscire ad andare al lavoro e lavorare con efficienza. Così come qualsiasi
persona davanti ad una nuova sfida si sente privo degli strumenti per fronteggiarlo.
Siamo soliti pensare che parole come crescita, evoluzione, educazione siano appartenenti
al mondo dei più piccoli che hanno ancora tutta la loro vita davanti, che ancora non hanno
vissuto nessun’esperienza che li ha messi a confronto con il mondo esterno, con gli altri. O
pensare che chi è bambino ha il diritto di diventare grande, di imparare di conoscere. Come
il fatto di credere che sia la scuola il luogo in cui esperimentarsi.
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Niente di più sbagliato. L’educazione e la pedagogia non sono discipline a favore solo dei
più piccoli, ma sono servi instancabili al servizio della persona e della sua vita. Di tutta la
sua vita. Dal primo all’ultimo giorno. Se pensiamo alla nostra esistenza come un susseguirsi
di esperienze che condizionano il nostro modo di pensare, comportarsi, conoscere e
relazionarsi con gli altri, capiamo ben presto che questo non riguarda solo un bambino.
Riguarda anche l’adolescente che inizia a non sentirsi più bambino, i suoi vestiti, la maestra
di scuola, quel modo di giocare con i suoi amici, gli va stretto; ma ancora non si sente un
adulto pari ai suoi genitori, perché ancora quel mondo gli va troppo largo. Ed ancora, l’adulto
che una volta uscito dalla scuola che si trova nel mondo del lavoro, deve imparare a
confrontarsi con una nuova realtà, con regole diverse da quelle seguite fino ad ora e in una
nuova modalità di relazione con gli altri, che non necessariamente sono famigliari o amici,
e che richiedono nuovi codici comunicativi, in quanto colleghi o superiori.
Così come sta crescendo e si trova ad affrontare un cambiamento, chi per età è arrivato alla
pensione e si trova a dover riorganizzare le sue giornate un tempo occupate dal lavoro. O
così come un anziano dovrà imparare a fronteggiare quella che sa essere l’ultima fase della
sua esistenza.

Ogni giorno è una piccola crescita, ogni momento può essere un modo per migliorare le
proprie conoscenze, capacità e competenze, che riguardano sé stesso come individuo, ma
anche come persona che all’interno della società ricopre un ruolo sociale e professionale.
La mission dell’educazione è cambiata. Non ci si circoscrive più solo nei primi anni di vita
(infanzia e adolescenza), ma l’interesse si è ampliato anche alle fasi successive della vita,
che una volta venivano tralasciate, in quanto si riteneva che una persona, una volta
diventata adulta, disponesse di tutti gli strumenti necessari per sapersi muovere nella
società, per autodeterminarsi. Sicuramente una buona istruzione e formazione, acquisita da
più piccoli, farà da base solida su cui proseguire il resto degli anni, ma come abbiamo visto
ogni età, ogni fase di crescita, propone nuovi bisogni, nuove condizioni, nuove sfide da
affrontare. Si aggiunge così al termine educazione l’aggettivo permanente, a sottolineare
maggiormente quello che è l’obiettivo primario, una continua crescita che, in termini
quantitativi si protrae nel tempo, ma che ha anche una sua funzione qualitativa di essere
duratura, fissata, perenne.
In questa breve trattazione affronteremo il tema dell’educazione permanente riservata a
quella fase ultima della vita che è l’età senile, percorrendo i passi della geragogia,
un’educazione all’invecchiamento, in cui la persona anziana non viene più vista come
soggetto passivo del passare del tempo, ma come soggettivo attivo nelle proprie scelte.
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2 – Carta d’identità: evoluzione del profilo dell’anziano nella società contemporanea

Io non sarò mai vecchio.

Per me l’età della vecchiaia inizierà sempre

Quindici anni dopo la mia.

Francesco Bacone

Per poter parlare di educazione all’invecchiamento, come ogni fenomeno che si rispetti,
dobbiamo sapere di cosa stiamo parlando, conoscere l’argomento in maniera approfondita:
partendo sempre dalle radici, dai cenni storici, comprenderne la natura fisica, psicologica e
sociale, per poi meglio così comprenderne i bisogni ed eventualmente avanzare proposte
di servizi e assistenza di cui si possa beneficiare.

La geragogia negli ultimi anni ha mosso diverse problematiche, partendo proprio da una
definizione di anziano, andando a evidenziare un cambiamento che negli ultimi anni c’è
stato riguardo tale età, e di come ultimamente ha acquisito una valenza negativa. Infatti, se
nelle società più arcaiche l’anziano era la figura portante della società, intorno al quale si
costruiva l’intera comunità che ne beneficiava della sua saggezza, delle sue regole,
ricevendo grande rispetto dalle nuove generazioni, oggi potremmo tranquillamente
sostenere che la realtà è ribaltata. Il mondo, il tempo, il ritmo giornaliero è perfettamente
pensato e scandito per chi è giovane, mentre chi ha superato una soglia di età riveste un
ruolo satellite, che ruota intorno al mondo in maniera silenziosa ed invisibile. Un
cambiamento che non ha niente a che fare con l’aspetto cronologico, ma che risente
esclusivamente di quello economico: velocità, produttività, mercato, richiesta, prodotto,
sono termini su un piano commerciale più vicini ad una società giovanile che anziana, ben
lontana dal mondo del lavoro. Ed ecco che, la geragogia ci pone di fronte ad una domanda
tanto banale, quanto complessa nella sua risposta.
Volendo stipulare una carta d’identità, con un profilo ben definito: chi è l’anziano. Forse nell’
immaginario collettivo, pensiamo a qualcuno che con i capelli bianchi, riflessi rallentati, una
dentiera sul comodino, e alla domenica, a pranzo, circondato da nipoti. Tutto questo però
va in contrasto con quello che invece la società contemporanea afferma, facendo coincidere
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l’inizio dell’anzianità con la fine della carriera lavorativa e l’inizio della pensione, non curante
del fatto che, se mai questo dato possa essere esaudiente oggettivamente, nella pratica,
molti pensionati oggi non hanno capelli bianchi, né dentiere sul comodino. Potranno anche
avere molti nipoti con cui sedere al tavolo la domenica a pranzo, ma invece di raccontare di
vecchie storie che riguardano tempi lontani, possono raccontare dell’ultimo viaggio fatto
qualche settimana prima in qualche parte sperduta della terra, un dito medio ben alzato
rispetto a chi li crede rallentati nei riflessi. Questo perché l’età media, grazie ad un
miglioramento qualitativo dello stile di vita e funzionalità dei servizi, è notevolmente
aumentata, tanto da fare una distinzione fra terza età (che una volta coincideva con la
vecchiaia) e quarta età. Oggi per terza età intendiamo una persona pensionata ma
completamente autonoma, mentre per la quarta età soggetti che fisicamente e/o
psicologicamente non sono più in grado di svolgere in autonomia le azioni quotidiane.
Da qui emerge un’incompatibilità nel voler far coincidere età dell’invecchiamento con quello
della pensione. Ma anche su questo la scienza dell’educazione ci viene a sostegno,
suggerendoci che, se è vero che nei bambini ogni tappa di sviluppo viene generalmente
conquistata in una certa età, allora sarà vero anche che l’adulto possa entrare nella senilità
in anni diversi che variano da persona a persona.
Proviamo a pensare ad una persona tenendo presenti tre parametri di riferimento, che nel
caso della senilità chiameremo eterocronia della vecchiaia, che sono quello biologico, quello
psicologico e sociale. È indubbio che con il progredire dell’età il corpo inizia a perdere
gradualmente le sue funzioni fisiche-biologiche, coinvolgendo tutti i sistemi (nervoso,
respiratorio, cardiocircolatorio) così come le ossa iniziano ad essere indolenzite e i muscoli
a perdere la loro capacità elastica di distendersi a causa di una riduzione delle fibre
muscolari. Così come cambia anche l’immagine di sé stessi, nel non sentirsi più in grado di
fare da soli quello che prima facevamo senza pensieri.
Ciò che bisogna fare ora è pensare a questi tre parametri come fattori, il cui prodotto è in
grado di generare il “grado di anzianità”. Sicuramente una persona di ottanta anni in perfetta
salute fisica, ancora in grado di vivere in casa da sola, fare la spesa, perfettamente coinvolto
nella vita famigliare, con piccoli hobby che lo tengano occupato, percepirà il “peso” della sua
età diversamente da un suo coetaneo, con anche solo uno dei tre fattori qualitativamente
molto basso. Ad incidere sono anche le sue abitudini e lo stile di vita condotto per tutta la
vita, l’educazione e la cultura coinvolta, le attività sociali e relazioni passate e presenti.
Ma quanto detto finora, basterebbe a spiegare del perché il ruolo dell’anziano ha nella
società contemporanea un ruolo così marginale?

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La risposta è no, perché abbiamo solo parlato dell’anziano in relazione a se stesso, al suo
cambiamento, e no del suo ruolo all’interno della società. Quali sono i servizi che il territorio
mette a disposizione di questa fascia d’età? Conosciamo tutti l’esistenza di strutture per
anziani non autosufficienti, centri diurni per anziani, centri anziani, o di servizi che i più
fortunati possono usufruire direttamente da casa. Filo conduttore di questi servizi è la
missione, ossia quella di puro assistenzialismo. Un aiuto pratico per svolgere le faccende
domestiche, o per l’igiene personale, o semplicemente per tenere compagnia, per
combattere la solitudine e l’isolamento in cui si trovano solitamente. Per gli anziani più
“arzilli” vi sono i centri ricreativi in cui incontrarsi e trascorre del tempo insieme. Tutto
sommato un aiuto pratico e della buona compagnia potrebbero essere delle buone risorse
che accompagnano questa ultima fase della vita di una persona. Utile, ma non sufficiente.
Sì perché, se da una parte l’aspetto fisiologico è quasi impossibile da arrestare, perché le
cellule del nostro corpo hanno una loro ciclicità nel nascere-crescere-morire, fino a ridurre il
loro numero, molto si potrebbe fare intervenendo sugli altri due fattori, quelli psicologico e
sociale, permettendo così all’individuo di rallentare questo processo di invecchiamento, ma
allo stesso tempo rendendo questo ultimo periodo ricco di stimoli, di crescita e conoscenza,
proprio come quando erano piccoli ed andavano a scuola.

3 – Proposte ed iniziative firmate educazione permanente

Come abbiamo visto, cambiamento è la parola chiave di qualsiasi fase evolutiva. Quello che
però solitamente accade per tutte le fasce d’età è pensare a questo cambiamento con un
accento positivo, come un momento che porterà a cose nuove e creerà una nuova persona.
Quando invece si pensa a questa fascia d’età, il cambiamento può fare paura: si è troppo
portati a pensare alla senilità come ultima fase della vita, in cui non si è pronti ad affrontare
il dopo. Si smette così di vivere il presente, assaporare ogni giorno, e si è proiettati a pensare
solo agli ultimi che mancano. Non c’è nessuna batteria in via di esaurimento, c’è una
persona che deve essere accompagnata in questo nuovo cambiamento, affinché si ricavi
qualcosa di nuovo, nuove esperienze da vivere. Una persona che impari a conoscere
nuovamente il suo corpo, fare amicizia con nuove emozioni, ritrovare e riconoscere anche
con qualche anno in più. Seppure siano ultimi giorni, mesi, anni, vale la pena essere vissuti
mettendosi in gioco, e non rimanendo a guardare un mondo che continua ad andare avanti.
Proporre dei luoghi in cui ritrovarsi, e svolgere insieme delle attività, può essere già un primo
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passo per rimettersi in gioco, rispettando i nuovi ritmi. Non sono poche le proposte educative
che si trovano all’interno delle strutture per anziani, ognuna con uno scopo diverso, per
riuscire a poter coinvolgere la maggioranza, fornendo così, aiuto, compagnia, momenti di
condivisione e di crescita.

Già di per sé non c’è da sottovalutare l’importanza di uscire di casa e incontrarsi in uno
stesso luogo. Come in una sorta di mutuo aiuto, nel momento in cui si trova qualcuno con
cui trascorrere un momento della giornata, si sta ricevendo e allo stesso tempo donando
compagnia. Purtroppo accade molto spesso che il sentimento maggiormente vissuto in
questa fase della vita sia la solitudine. La colpa non è di nessuno se non della vita stessa:
molti vivono da soli in casa perché hanno magari già perso il compagno o la compagna della
propria vita, i figli hanno ormai una famiglia da gestire e fra lavoro e i nipoti, il tempo da
trascorrere insieme è poco. Avere un punto di ritrovo, quindi, è un momento anche per
creare nuove abitudini quotidiane positive e occasioni per socializzare, stringere nuove
amicizie, adottare uno stile di vita ricco di nuovi stimoli e mantenere attiva la partecipazione
alla vita sociale. A questo si aggiunge che, le attività ricreative hanno dalla loro parte non
solo la possibilità di offrire un momento di incontro e condivisione, ma anche un momento
in cui poter partecipare a delle attività organizzate, che fungono da allentamento per la
mente e il corpo, diventando una vera e propria terapia anti-age, completamente in pari con
quanto precedentemente argomentato.

Vediamo di seguito alcuni tipi di iniziative che possono, e che in molti casi vengono proposte,
analizzandone la motivazione che vi si cela dietro ad una proposta rispetto ad un’altra.

Il cambiamento più visibile è senza dubbio quello fisico, che nel più dei casi si
accompagna ai primi dolori agli arti e alla schiena, ma a questa età non sono poche
le persone che vivono problemi di salute e patologie invalidanti. Sicuramente una
leggera attività fisica, piccoli esercizi posturali e articolari, piccole passeggiate
organizzate (meglio se nel verde o presso piste ciclabili), possono servire da panacea
dei primi dolori o, perché no, tardarne l’arrivo. Oltre a corsi settimanali, non sono
poche le occasioni in cui è possibile muoversi a tempo di musica: balli di gruppo e di
coppia, possono essere un’ulteriore proposta.
Iniziano gli “anta” e la memoria inizia a vacillare. Rimane indelebile quella a lungo
termine, per cui un tuffo nel passato diventa un modo per riportare alla mente ricordi
importanti ma anche un modo per raccontarsi. Meno lucida quella a breve termine:
risulta più complicato ricordare quello che si è fatto nei giorni indietro, o se si è presa
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la pasticca per la pressione. Sicuramente sono diverse le attività che si possono
proporre come allenamento per la memoria, sia a favore di quella a breve che a lungo
termine. Nel primo caso cruciverba, rebus, sudoku, solitari sono un buon allenamento
ma anche un modo per occupare il tempo in solitaria.
Basta trascorrere poco tempo, anche pochi minuti, con un signore anziano, anche
sconosciuto incontrato in fila alla posta, che ci si immerge nella sua storia precedente.
Se c’è una cosa che piace molto è raccontare la propria vita, quello che un tempo
sono stati. In questa direzione un progetto educativo da proporre potrebbe essere
quello di raccogliere queste memorie per iscritto o tramite video, per poi poterle
condividere fra di loro, ma anche con le diverse generazioni, ad esempio con i
bambini delle scuole elementari. Per i bambini è molto facile pensare ad un nonno
che gioca con loro, ma non è altrettanto facile immaginare quel nonno bambino come
loro, fra i banchi di scuola, a fare le prime marachelle, o durante le feste in famiglia.
Molto spesso i nostri nonnini ci raccontano di sentirsi soli, soprattutto quando la
persona con cui hanno condiviso una vita intera viene a mancare, quando vedono
andare via gli amici che hanno conosciuto in questa fase tarda della vita. Si sentono
impotenti davanti al trascorrere del tempo e molto spesso viene loro da pensare a
quando anche loro non ci saranno più. La parte psicologica è quella maggiormente
in grado di spostare l’ago della bilancia nel vivere una vita piena o priva di senso. E
se di per sé lo stare insieme, svolge attività, giocare a carte, fare una gita insieme
possa notevolmente migliorare l’umore delle persone, è importante pensare a dei
momenti dedicati a migliorare l’umore. Creare dei momenti di incontro con le famiglie,
figli, nipoti, come feste, cene, possono regalare dei momenti di convivialità preziosi.
Un’ idea molto carica, in accordo con le scuole, potrebbe essere quella di laboratori
di manualità svolti sia dai piccoli che dai grandi, in cui vengono sperimentati gli antichi
mestieri, che loro stessi una volta svolgevano. Lavorare manualmente insieme ad un
oggetto, pensarlo, aggiustarlo, crearlo, può diventare una bella occasione per stare
insieme, migliorare la motricità fine e venire a conoscenza di mestieri che nel tempo
sono scomparsi, ma che possono sempre affascinare i più piccoli.
E se da un lato ci sono persone psicologicamente più fragili, che soffrono la solitudine
e hanno paura di rimanere soli, non mancano chi invece rivendica, anche a gran voce
la propria autonomia. Aprire la propria casa a qualcuno che li aiuti durante il giorno,
sia anche una persona della famiglia, potrebbe essere letto da loro nel modo
sbagliato. Importante, in questi casi, è il lavoro sul prendersi cura. Prendersi sicura

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vuol dire amare, comprendere, compartecipare alla vita di una persona. Prendersi
cura delle piante, costruire un piccolo orto, accogliere a casa un piccolo animale
domestico, collaborare con associazioni di volontariato potrebbe essere un ottimo
metodo per far comprendere che tutti hanno bisogno di qualcuno su cui poter contare.
Questa è forse l’ultima generazione di “nonni” che viaggia ben lontano dalla
tecnologia e da un mondo tecnologico in cui siamo immersi. È molto probabile che la
nuova generazione di anziani sia completamente digitalizzata, ma adesso ci sono
molti non in grado di utilizzarli. Poco male se pensiamo alla tecnologia come un
passatempo, ma le cose possono farsi più serie quando tutto si è digitalizzato, basta
pensare agli ultimi anni che ci siamo lasciati alle spalle. In tempo di covid
videochiamate, prenotazioni on-line per i tamponi, per i vaccini, la creazione dello
spid, con tutti i servizi correlati, hanno messo a dura prova chi non nutre un’affinità
con la digitalizzazione. Due possono essere le proposte: attivare dei corsi per chi
vuole approcciare ad un linguaggio informativo anche in terza età, o fornire un aiuto
per chi invece si sente troppo stanco per iniziare alla propria età ad entrare in un
mondo nuovo.

4 – Quando una “quarta età” non basta

Conosco la mia età,

posso dichiararla,

ma non ci credo.

Marc Augé

Quanti anni hai?

Tutti noi sappiamo rispondere a questa domanda, basta fare un piccolo calcolo a partire
dall’anno della nostra nascita. Eppure qualche volte mentiamo nulla nostra età, perché non
ci riconosciamo dentro a quel numero. Alle volte ci sta largo, alle volte stretto. Ma siamo
sicuri di star mentendo? Forse diciamo la verità, e la nostra vera età è quella che realmente
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sentiamo addosso. È una piccola bugia, ma quella che si definisce a fin di bene.
Nella mia vita, ne ho conosciuto uno che sulla sua età ha sempre mentito. Ne aveva ottanta
e già ne dichiarava dieci in meno, poi è arrivato a spegnerne novanta, ma quelle venti
candeline in più proprio non riusciva a suggerirne. Ma detto fra di noi, Costantino se avesse
potuto ne avrebbe dichiarati ancora di meno. Semplicemente, per quanto tutto poteva
sostenere la sua bugia, il suo fisico mostrava a tutti la sua vera età. Essere un uomo di terza
età gli andava stretto, figuriamoci di quarta, e di strada ne aveva tanta alle spalle. Negli
ultimi anni aveva iniziato a raccontarsi, ed io che lo ascoltavo in silenzio mi domandavo
sempre come fosse stato possibile vivere tanto in una sola vita. Una voglia di rialzarsi ogni
volta che qualcosa andava storto “E anche stavolta si riparte da zero” era il suo motto.
Resilienza. Forse questo è il quarto fattore, quello che non fa parte solo dell’ultima fase, ma
dovrebbe accompagnare per intero tutta la vita. Resilienza è la parola chiave per affrontare
ogni sfida, superarla e continuare ad evolversi. E il miglior modo di affrontare la vita l’ho
imparato da lui, mio nonno. Il signor resilienza in persona che, nonostante i suoi anni, le
patologie e varie difficoltà, si rialzava sempre più forte di prima, in un corpo sempre più
invecchiato e stanco, ma dall’animo sempre più giovane. È il temperamento che fa la
persona e lui non era di quei nonni saggi dal consiglio giusto da seguire; piuttosto era un
bambinone irrefrenabile che molto spesso non si accorgeva di sfidare se stesso. Se gli
veniva voglia prendeva la macchina per andare al mare, seppure erano anni che non
guidasse più. Non esistevano orari per le pasticche, né prima né dopo i pasti: le medicine
venivano prese tutte insieme, pressione colesterolo tiroide “tanto vanno sempre a finire tutte
qua” diceva, indicandosi la pancia. Non usciva mai sconfitto da una visita geriatrica o per
l’accompagnamento: era in continua sfida con il dottore. “Ma che si pensa. Sono vecchio
mica rincoglionito” Aveva una capacità di far arrabbiare mia mamma, più di quanto facessi
io, da fare invidia. “È possibile che per te tutto è sempre un gioco” e lui non rispondeva. Mi
guardava e mi strizzava l’occhio.

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Riferimenti Bibliografici

• “Continuare a crescere. L’anziano e l’educazione permanente”, Massimo Baldacci,


Franco Frabboni, Franca Pinto Minerva, Franco Angeli, 2012
• “Il tempo senza età. La vecchiaia non esiste”, Marc Augé, Raffaello Cortina Editore,
2014
• “Educazione permanente nella prospettiva del life long e lifewide learning”, Gabriella
Aleandri, Armando Editore, 2011
• “Progettarsi. L’orientamento come compito educativo permanente”, Luca Girotti, Vita
e Pensiero, 2006
• “La progettazione educativa e sociale. Modelli, metodologie e strumenti”, Loredana
Paradiso, Mondadori Università, 2020
• “Costruire e valutare i progetti nel sociale. Manuale operativo per chi lavora su
progetti in campo sanitario, sociale, educativo e culturale”, Liliana Leone, Miretta
Prezza, Franco Angeli, 2005

Riferimenti Sitografici

• https://cerca.ministerosalute.it/
• https://www.comune.roma.it/web/it/welcome.page
• https://peranziani.it/
• https://www.geragogia.net/geragogia/

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