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«La scrittura celeste: nell’alfabeto un’antica testimonianza


archeoastronomica?»

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Stefano Serafini
The International Society of Biourbanism
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La scrittura celeste: nell’alfabeto un’antica testimonianza archeoastronomica?

Dott. Stefano Serafini


stefanonikolaevic@gmail.com

Abstract: According to Prof. G. Sermonti, the origin and the order of the Semitic alphabets may belong to constellations as projected
in sky, drawn and memorized by humans since the Magdalenian Era. The present paper deals with a two-millenarian paleographical
phenomenon: the so-called “letters with spectacles”, i.e. with circular ends, as found in several languages. It may represent a relic of
an Alexandrine awareness about the original correspondence between letters and groups of stars.

I. Antichità delle conoscenze celesti, dello zodiaco, dell’alfabeto

L’alfabeto perde le sue origini nella notte dei tempi e giunge a noi carico di antichità1. Il deserto del
Sinai di 3700 anni fa ci ha reso le prime testimonianze di segni alfabetici2, ma ciò delimita piuttosto
il punto d’arrivo attuale della nostra archeologia, sia per quanto riguarda l’alfabeto veicolo
linguistico, sia, come accenna lo stesso Alessandro Bausani3, per la eventuale preesistenza di segni
investiti di altro scopo e adattati alla scrittura in epoca successiva.

I recenti studi di Giuseppe Sermonti4 sulla derivazione degli alfabeti indoeuropei dalla forma e
dall’ordine delle costellazioni, vengono suffragati da ritrovamenti5 ed analisi6, che fanno
propendere per un’età addirittura preistorica del nostro firmamento culturale, cioè del modo di
identificare e interpretare figurativamente le costellazioni celesti. Che lo zodiaco quale noi lo
conosciamo abbia una sorprendente costanza immaginale lungo lo scorrere dei millenni
storicamente documentabili (con l’eccezione dell’Egitto alessandrino, la cui cultura celeste
obbedisce ad altre influenze ed è, in un certo senso, cultura “di ritorno”) è cosa risaputa7. Ma
ritrovamenti come il cosiddetto Zodiaco di Taghit (Deserto del Sahara) datato da Frobenius e
Obermayer ca. 8000 a.C., [Fig. 2] la somiglianza del quale con i nostri segni è notevole, destano

Figg. 1 e 2 – A sin. particolare di un kudurru del tempo di Nabucodonosor, ca. 1150 a.C. (British Museum) in cui si riconoscono
alcuni dei nostri segni zodiacali [da G. Pettinato, La scrittura celeste, Milano, 1998, tav. 2 fuori testo]. A destra “lo zodiaco di
Taghit” (ca. 8000 a.C.) disposto a confronto con il nostro zodiaco [da G. Sermonti, Il mito della Grande Madre. Dalle amigdale a
Çatal Hüyük, Milano 2002, p. 125].

una certa impressione8. Ancor più interessante – se non altro per la datazione, assai meno
problematica di quella dell’incisione di Taghit – risulta la serie di bastoni di comando del
Magdaleniano (ca. 15.000 a.C.), già archiviati come raffigurazioni a tema stagionale da Alexander
Marshack9, e rivelati invece da Sermonti, sulla scia di Marcel Badouin10, vere mappe
astronomiche11. Quel che più conta di tali raffigurazioni è la costanza plurimillenaria del bestiario
celeste: laddove, sul firmamento, l’uomo paleolitico leggeva un cavallo, seguito da un cavallino e
preceduto da un cervide, al di sopra di due strani serpenti uniti a V per le teste, ancora oggi noi
indichiamo Pegasus, Equleuus, Aries, e la doppia figura dei Pisces [Fig. 4].

Figg. 3 e 4 – A sin. un confronto morfologico fra alcune costellazioni e lettere corrispondenti [da: G. Sermonti, “Origine
astrologica dell’alfabeto”, Avallon, 2002, n. 50 – La scrittura delle stelle, p. 46]. A destra, confronto fra mappa celeste e alcuni
bastoni di comando in corno ritrovati, dall’alto, ad Abri Mège, Teyat (Magdaleniano superiore), Montgaudier (tardo
Magdaleniano), La Madeleine (Magdaleniano superiore) [da G. Sermonti, Il Mito della Grande Madre, op.cit., p. 128].

L’argomento delle conoscenze astronomiche degli antenati preistorici è vasto e discusso, ma non
dovrebbe sorprendere data l’importanza che per uomini legati alle stagioni agricole e venatorie
doveva avere lo splendente moto siderale, al cui ritmo si piegava il tempo e dunque la vita tutta.
Esso ha rappresentato il sottofondo costante alle ultime ricerche del grande Giorgio de Santillana.
Semmai fa specie lo stupore (lo scandalo?) che accoglie sovente le verifiche documentate di tale
sapere, come accadde a Marcel Griaule per i “primitivi” Dogon12, o recentemente a Franklin Edge,
Michael Rappenglück e Chantal Jègues Wolkiewiez13 che indipendentemente l’uno dall’altro hanno
riletto come mappa celeste gli affreschi rupestri di Altamira — peraltro, quest’ultima, una fonte di
incredulità per il mondo scientifico fin dalla sua scoperta.
II. Protosegni e raffigurazioni celesti

Curiosando fra i reperti precedenti all’Età del Bronzo e nella cosiddetta Rock Art non è raro
incontrare, affianco di realistiche figurazioni animali, segni che potremmo definire astratti,
variamente interpretati. E’ ancora una volta Sermonti a sovrapporre tali glifi al firmamento, sulla
scolta dell’ipotesi di una costanza figurativa protostorica. Nel reperto di Lorthet della Fig. 5, ad es.,
lo studioso vede Capricornus (il cervo sulla destra) ergersi su un Piscis Austrinus magdaleniano. Il
quadro celeste si accompagna a un doppio segno che ricorda vagamente il theta greco, lettera
dell’alfabeto corrispondente alla costellazione zodiacale.

Fig. 5 – Bastone di comando di Lorthet (Pirenei,


Magdaleniano superiore) [da G. Sermonti,
“¿Desciende el alfabeto de las constelaciones?”,
art. cit., p. 26]

Secondo Roy Harris, dell’Università di


Oxford, è possibile identificare nei segni
non figurativi di questo tipo l’alba dei
“sistemi di scrittura”, intendendo per
“scrittura” qualunque sistema
indipendente di segni. Ciò porterebbe il
confine del nostro studio indietro nel
tempo fino all’inizio del paleolitico
superiore in Europa, e a 60.000 anni da
oggi in Africa. Francesco D’Errico
(Istituto di preistoria e geologia del Quaternario di Talence, Francia) ha perciò ritenuto di
ridenominare i calendari lunari di Marshack (ad es. una tavoletta di avorio incisa, rinvenuta nel
riparo Blanchard in Dordogna e datata 35.000-30.000 a.C.) come Sistemi di Memoria Artificiale14.

III. La comparazione fra astri e lettere

L’accostamento fra asterismi e lettere dell’alfabeto ha una tradizione poco conosciuta ma


consistente. Elémire Zolla ipotizzava che essa fosse stata elaborata in età ellenistica da ambienti
gnostico-neoplatonici15. E’ dunque forse anche per tale censo, schivo del mondo, che l’idea non ha
mai conosciuto vasta diffusione. In realtà la risacca dell’interesse verso questo argomento va e
viene piuttosto discretamente, trasportata ora dalla corrente della mitologia comparata, ora da quella
dell’eblaistica, ora dall’archeologia. In fondo già nel ‘600 il P. Athanasius Kircher aveva accostato
segni alfabetici e asterismi, alla ricerca di una lingua originaria che per lui doveva essere
l’ebraico16. Altri eruditi (per la verità assai meno brillanti di lui) si interessarono in epoca moderna a
tale accostamento, sempre transitando per la comparazione glottologica, come l’egittologo Gustavus
Seyffart (1796-1885)17 o J. Broome che nel 1872 pubblicava Astral Origins of the Emblems and
Hebrew Alphabet18. Ma la letteratura è comunque rada e avara, nonché difficile a reperirsi19.

E’ anche vero – e ben lo ha provato Giorgio De Santillana, pagandone l’ostracismo verso il suo
monumentale Hamlet’s Mill20 – che presso gli studiosi esiste quasi il timore di venir contaminati da
un’antica e catasterizzata superstizione popolare, e per molto tempo l’accademia ha preferito evitare
argomenti odorosi di astrologia. Errore grave da commettere, al cospetto dello axis mundi! Non è
forse il più antico libro della storia, l'Enuma Anu Enlil, un manuale astrologico?
Ma è soprattutto, io credo, la natura del tema ad averne resa faticosa una comprensione lineare. Il
soggetto si estende in un lasso di tempo che va dalla preistoria ai tempi moderni, e abita una terra di
nessuno posta fra astronomia, glottologia, epigrafia, storia dell’astrologia e delle religioni,
paleontologia, antropologia culturale, semiologia, orientalistica. La mancanza di un quadro
disciplinare determinato rende perciò difficile organizzare gli strumenti specifici con i quali
procedere a un’analisi accademicamente inappuntabile. Va da sé che la cosa, per stessa ammissione
di chi come Hugh Moran si è cimentato in tali studi, non ha giovato alla completezza scientifica
della maggior parte dei lavori esistenti sull’argomento21.

Il fenomeno tuttavia esiste, e merita attenzione. Tracciamo dunque brevemente una generica
classificazione dei diversi modi in cui stelle e abbecedari sono stati congiunti.

a) Tradizione cabalistica

Il Sefer Yetzirah o Libro della Formazione, attribuito dalla tradizione ad Abramo e poi ad Abulafia
(in realtà redatto tra il II e il VI secolo) proclama che Dio ha creato l’universo attraverso le
trentadue vie di saggezza, cioè le dieci Sefirot e le ventidue lettere dell’alfabeto ebraico, nella
duplice modalità della loro pronuncia ed incisione nell’aria. Le lettere si dividono in tre madri, sette
doppie e dodici semplici, e queste ultime corrispondono ai segni zodiacali.
E’ da tale tradizione cabalistica che prende vita uno dei dogmi della cultura esoterica europea
secondo la quale sarebbe esistita una scrittura originaria leggibile nel firmamento e detta “celeste” o
“di Dio” o “degli dèi”, di cui tracce si rinverrebbero appunto nell’alfabeto ebraico22. Cornelio
Agrippa spiega a proposito di tale scrittura: «nel vasto spazio celeste (…) si trovano figure e segni
(…). Tali figure splendenti sono le lettere dell’alfabeto, con le quali il Dio benedetto ha creato
Cielo e Terra. (…) le lettere del loro alfabeto, secondo quanto affermano i rabbini ebrei, sono
costituite sulla base delle figure delle stelle e perciò sono piene di celesti misteri, sia per quanto
concerne la forma, la figura e il significato, sia per quel che riguarda i numeri in esse contenuti»23.
Coerentemente ai testi cabbalistici, accolgono come Agrippa tale tradizione Paracelso, Fludd,
Postel24.

b) Convenzionalismo steganografico

Approccio convenzionalista, il quale associa lettere e segni celesti secondo un’intenzione artificiosa
o ideologica. Si tratta di uno sviluppo che deriva da quello mistico precedentemente esposto, ed
esplode nel ‘500 italiano al seguito delle traduzioni fiorentine delle opere ebraiche, nonché al gusto
per l’ermetismo proprio dell’epoca. In pratica consiste nell’associare lettere e segni zodiacali
secondo codici magici o crittografici (la steganografia), senza tener conto della somiglianza
formale. E’ lo stesso Cornelio Agrippa a fornircene un esempio, nella medesima opera sopra citata
in cui ostende la dottrina della scrittura celeste. In effetti la derivazione di tali tecniche
crittografiche direttamente dal cabalismo e dal lullismo è ovvia. Il loro maggiore diffusore fu
l’abate Tritemio (1462-1516), ma anche Giordano Bruno ne fece uso25.

c) Raffronto basato sull’idea che l’alfabeto sia un calendario

Alessandro Bausani, nel suo famoso studio “L’alfabeto come calendario arcaico”, apparso in Oriens
Antiquus, 17, ritiene che occorra associare l’alfabeto al calendario lunare, datando così la nascita del
suo ordine (A, B, C…) almeno al II millennio a.C. per ragioni di calcolo della precessione. I segni
alfabetici si sarebbero in qualche modo adattati alle costellazioni evidenziate dal passaggio della
luna, e avrebbero funzionato in tal modo da memorandum calendariale.
Tale associazione è accettata e integrata da David H. Kelley, D. Knip e Cyrus Gordon26, secondo i
quali, data l’universale conoscenza del calendario lunare da parte dei coltivatori dell’Età del
Bronzo, esso assunse il ruolo di corrimano mnemonico per la nuova sequenza di simboli nati con la
scrittura. In pratica la conoscenza universale, ordinata secondo una progressione ben acquisita, dei
segni celesti rappresentati sulla lavagna della notte, finì naturalmente e forse inconsapevolmente a
funzionare da collana mnemonica su cui infilare i rivoluzionari strumenti mentali di una nuova era:
quella della scrittura. Manfried Dietrich e Oswald Loretz riprendono espressamente la tesi di
Bausani relativamente all’ugaritico27.

d) Confronto morfologico

Apparentemente è l’approccio più ingenuo e diretto. Da quanto ho potuto vedere ha il suo


precursore più recente in Hugh Moran, che però era stato tratto in inganno nei propri calcoli dal
ritenere più antiche di quanto fossero le costellazioni cinesi28. Secondo tale impostazione, ad es.
l’Aleph (=bue) nelle sue varianti grafiche dal presinaitico sino al latino, corrisponderebbe
all’antichissimo asterisma del Toro, il cui simbolo ( ) peraltro richiama, se ruotato di 90°, l’alfa
minuscola. Il problema principale di tale approccio consiste nel numero limitato delle costellazioni
zodiacali: solo 12 contro 22 lettere. Lascio la discussione di questa importante materia al prof.
Sermonti, e mi limito a presentare un corollario possibile di tale tesi principale.

IV. Lettere con gli occhiali

Sono andato a studiare il curioso fenomeno delle “scritture con gli occhiali” come le definisce
Giorgio Cardona29, cioè di una particolare e ricorrente deformazione calligrafica dei caratteri
alfabetici, la quale conclude ed unisce i loro tratti con occhielli. I testimoni di tale tradizione
decorativa risalgono almeno al III sec. a.C., e si protraggono indiscriminatamente nella scrittura
greca, copta, araba, ebraica e latina fino al XVII sec. d.C. Fioriscono successivamente in varie
forme di grafia esoterica cinquecentesca, trovando persino un inaspettato estuario in terra slava nel
glagolitico, alfabeto ritenuto tradizionalmente artificiale ma anch’esso, in un certo senso, dato agli
uomini dal cielo30. Singole lettere a grafia normale e tuttavia caratterizzate dalla presenza dei
medesimi occhielli, si riscontrano peraltro in varie scritture
semitiche antiche e moderne, ad es. il , il q e il nel sabeo, nel
semitico meridionale, nel talmudico, nel sabatanico,
nell’etiopico, l’arcaico koppa greco, o il punkt delle lingue
scandinave (å).

Fig. 6 – Tre tipi di “scrittura celeste” come riprodotti da C. Agrippa, De Occulta


Philosophia, op. cit.

La spiegazione di questo fenomeno come “motivo


ornamentale” contrasta con la sua ampia e trasversale
diffusione, in cui possiamo far rientrare ad es. anche alcune
forme di scrittura su papiro del III sec a.C.31 Giovanna Menci
ha dimostrato che certi caratteristici segni di calamo, lungi dal
rappresentare banali sbavature come qualcuno sarebbe stato
portato a credere, obbediscono a una precisa tradizione
calligrafica stranamente diffusa. Cardona, da parte sua, assimila
apertamente tale tradizione alle “scritture celesti” di influsso
ebraico. Che gli autori influenzati dalla cabbala e
dall’ermetismo siano sospetti per la bontà del nostro argomento
è fuor di dubbio. Ma ciò non toglie l’importanza di una continuità — questa sì genuina — con
secoli ben anteriori al ‘500 italiano ed europeo tanto affascinato dall’ebraismo.

L’ipotesi che avanziamo è dunque che, lungi dal costituire una mera curiosità per bibliofili, la
tradizione della “scrittura con gli occhiali” rimandi all’originaria somiglianza morfologica fra
lettere e costellazioni. Gli occhielli insomma rappresenterebbero gli astri principali della
costellazione di riferimento alla forma della lettera, e si sarebbero conservati e diffusi – spesso
inconsapevolmente – come reperti archeologici che ammiccano all’origine astronomica della
scrittura [Figg. 6, 7].

Su questa traccia ci appare allora non del tutto azzardata l’ipotesi di Boll, Bezold e Gundel32, i
quali, alla luce della tecnica di incisione scrittoria utilizzata nella terra natale dell’astronomia e
dell’astrologia, la Mesopotamia, intravedevano il precedente di tale usanza grafica nel cuneiforme,
dove ciascun cuneo rappresenterebbe una stella, a mo’ dei nostri occhielli.

Un’analisi del numero e della posizione degli astri delle costellazioni interessate, dei cunei sumeri, e
degli occhielli delle “scritture con gli occhiali” ci ha in effetti portati a rilevare una certa
concordanza, che meriterebbe forse maggiori approfondimenti. Noi riteniamo tuttavia che in realtà
un rapporto stretto, statistico, non abbia grande importanza.

Così come la somiglianza morfologica fra costellazioni e lettere greco-latine potrebbe derivare
dall’opera di un colto ad anonimo calligrafo alessandrino, consapevole o convinto di una originaria
relazione, altrettanto le lettere con gli occhiali potrebbero rappresentare testimoni di una rinnovata
consapevolezza dell’antica corrispondenza fra lo scrivere in terra le lettere, e lo scrivere in cielo le
costellazioni, unendo fra loro, per renderli maggiormente comprensibili, i punti fermi posti dal Dio.

Fig. 7 – Il cielo stellato è un libro di lettere “con gli occhiali”, secondo A. Kircher, Oedipus aegyptiacus [Riprodotto da
E. Zolla, I mistici dell’Occidente, op. cit., p. 110]
1
Si veda Émile Puech, “Origine de l’alphabet. Documents en alphabet linéaire et cunéeiforme du IIe
millénaire”, Revue Biblique XCII (1986) 2, pp. 161-213.
2
Cfr. Françoise Briquel-Chatonnet, “Les inscriptions proto-sinaïtiques”, in: D. Valbelle (cur.), Le
Sinaï durant l’Antiquité et le Moyen Âge. 4000 ans d’histoire pour un désert, Errance, 1998.
3
Alesandro Bausani, “L’alfabeto come calendario arcaico”, Oriens Antiquus, 17, pp. 131-146: p.
144.
4
Giuseppe Sermonti, “Le nostre costellazioni nel cielo del Paleolitico”, Giornale di Astronomia, 20
(1994) 3, pp. 4-8; Id., “¿Desciende el alfabeto de las constelaciones?”, Beroso (Barcelona) 2 (2002)
7, pp. 7-30; Id, Il Mito della Grande Madre. Dalle amigdale a Çatal Hüyük, Milano, 2002. Ma cfr.
anche A. Bausani, art. cit. e Hugh A. Moran – David Kelley, The Alphabet and the Ancient
calendar Signs, Palo Alto (Ca), 1953, 19692.
5
Leo Frobenius – H. Obermayer, Urzeitliche Felsbilder Kleines Africas, Munich, Hádschra
Mátkuba, 1925; A. Durman, The Vucedol Orion and the Oldest European Calendar, Zagreb, 2000.
6
Si veda la comunicazione di Franklin Edge al Convegno della Specola Vaticana tenutosi a
Palermo nel gennaio 2001 (cfr. http://www.rm.astro.it/amendola/lascaux/lascaux.html ); dello stesso
autore Aurochs in the Sky. Dancing with the Summer Moon, Society for Scientific Exploration,
1996; di Michael Rappenglück, Une carte céleste de la période glaciaire? Une contribution sur la
préhistoire de l’astronomie et la méthodologie paléo-astrnomique, Europäischer Verlag der
Wissenschaften, Frankfurt a. M., 2000; Id., “Ice Age People Find their Ways by the Stars: A Rock
Picture in the Cueva de El Castillo (Spain) May Represent the Circumpolar Constellation of the
Northern Crown (CrB)” in: http://www.artepreistorica.it/articoli/articolo.asp?idarticolo=39 .
7
Cfr. l’importante lavoro di Giovanni Pettinato, La scrittura celeste. La nascita dell’astrologia in
Mesopotamia, Milano, 1998.
8
La somiglianza è discussa in Giuseppe Sermonti, Il mito della Grande Madre, op. cit., pp. 124-
126, in particolare per quanto riguarda Leo, Aries, Pisces, Capricornus, Sagittarius e Libra.
9
Alexander Marshack, The roots of civilization, 1991, New York, p. 36.
10
Marcel Badouin, “La préhistoire des etoiles au Paléolitique”, Bulletin et Memoires de la Societé
d’Antropologie de Paris, 1916, pp. 274-318.
11
Giuseppe Sermonti, Il mito della Grande Madre, op. cit., pp. 126-137. Id., “Le nostre
costellazioni nel cielo del Paleolitico”, art. cit. passim.
12
Marcel Griaule, Dieu d’eau, Paris, Librairie Arthème Fayard, 1966.
13
Nel XVIII Valcamonica Symposium (2000), Chantal Jegues-Wolkiewiez ha conferito su
“Lascaux: vision du ciel del Magdaleniens”, senza peraltro citare il collega Rappenglück il quale
nell’edizione 1989 dello stesso Simposio aveva destato stupore, perplessità e interesse presentando
le raffigurazioni del Pozzo di Lascaux come volta celeste al solstizio d'estate del 16500 a.C.,
mediante l'utilizzo di un programma computerizzato del Dipartimento di Storia delle Scienze
Naturali della Facoltà di Matematica e Scienze Informatiche dell'Università "Ludwig Maximilians"
di Monaco di Baviera. Per Edge cfr. nota. 6.
14
Francesco D’Errico, “Le prime informazioni registrate”, Le Scienze Dossier - Dal segno alla
scrittura, 12, (2002), pp. 4-9.
15
Elémire Zolla, I mistici dell’Occidente, nuova ediz. riveduta, Milano, 1997, vol. I, pp. 28ss., e
particolarmente le figure 4 e 5 a pp. 110 e 111.
16
Ad es. in Turris Babel, o in Oedipus aegyptiacus (vedi la ns. fig. 7). Cfr. Caterina Marrone,
“Lingua universale e scrittura segreta nell’opera di Kircher”, in: M. Casciato, M. Ianniello, M.
Vitale (cur.), Enciclopedismo in Roma barocca. Athanasius Kircher e il museo del Collegio
Romano tra Wunderkammer e museo scientifico, Venezia, 1986.
17
Gustavus Seyffarth, Berichtigungen der roemischen, griechischen, persichen, aegyptischen,
hebraeischen Geschichte und Zeitrechnung, Mytologie und Alten Religionsgeschichte: auf Grund
neuer historischer und astronosmischer Huelfsmittel, 1855.
18
Recensito criticamente da Archibald Sayce in Nature, XXV, aprile 1882, pp. 525-526.
19
Secondo E. Zolla (comunicazione personale al prof. Giuseppe Sermonti) sarebbe pressoché
introvabile un testo fondamentale sull’argomento: Eduard Stucken, Der Ursprung des Alphabetes
und die Mondstationen, Leipzig, 1913, che infatti non siamo riusciti a rintracciare.
20
Giorgio de Santillana, Hamlet’s Mill. An essay on myth and the frame of time, Chicago, MIT
Press, 1969
21
Si veda ad es. Arnold Wadler, One language – Source of All Tongues, 1948, assai poco
incoraggiante.
22
Per una trattazione: Ghershom Scholem, Il nome di Dio e la teoria cabalistica del linguaggio,
Trad. It. Milano, 1998.
23
Cornelius Agrippa de Nettesheim, De occulta philosophia, Antverpiae, 1531.
24
Su Postel: Marion Kuntz, Guillaume Postel, The Hague, 1981.
25
Si veda Giordano Bruno, De Magia, in: Opera latine conscripta, Firenze 1891, vol. III, pp. 395ss.
26
Si veda lo studio in progresso pubblico di Gary D. Thompson, “An Annotaded Bibliography of
Studies of Occidental Constellations and Star Names to the Classical Period” presso lo URL
http://www.unifon.org/alfa-earliest-order2.html .
27
Manfried Dietrich – Oswald Loretz, Die Keilalphabete – Die phonizisch-kanaanaischen und
altarabischen Alphabete in Ugarit, 1988, Münster, pp. 72-73.
28
Cfr. la discussione al riguardo sviluppata da A. Bausani, art. cit.
29
Giorgio Raimondo Cardona, Storia universale della scrittura, Milano, 1986
30
Vittorio Peri, “Note preliminari e profane sull’origine paleografica degli alfabeti slavi”, Scrittura
e Civiltà, 8 (1984) pp. 31-67: pp. 32-33.
31
Giovanna Menci, “Scritture greche librarie con apici ornamentali (III a.C.-II d.C.)”, Scrittura e
Civiltà, 3 (1979) pp. 23-52.
32
Franz Boll., Charles Bezold, Wilhelm. Gundel, Storia dell’astrologia, trad. It. Roma – Bari,
1979, cap. 1.

Pubblicato in RIVISTA ITALIANA DI ARCHEOASTRONOMIA, II (2004), pp. 95-105.

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