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“AUTOSTIMA, AUTOEFFICACIA E LOCUS

OF CONTROL”

PROF. CRISTIANO DI SALVATORE


Università Telematica Pegaso Autostima, autoefficacia e Locus of control

Indice

1 IL CONCETTO DI AUTOSTIMA ----------------------------------------------------------------------------------------- 3


1.1 PROCESSO DI FORMAZIONE ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 4
1.2 TIPOLOGIE DI AUTOSTIMA ------------------------------------------------------------------------------------------------------- 4
2 I 3 KILLER DELL’AUTOSTIMA------------------------------------------------------------------------------------------ 7
3 IL SENSO DI AUTOEFFICACIA ----------------------------------------------------------------------------------------- 10
3.1 DIFFERENZA TRA AUTOSTIMA ED AUTOEFFICACIA--------------------------------------------------------------------------11
4 COME SI ORIGINANO LE CONVINZIONI DI AUTOEFFICACIA --------------------------------------------- 13
5 IL LOCUS OF CONTROL -------------------------------------------------------------------------------------------------- 15
5.1 ORIGINI DEL LOCUS OF CONTROL ----------------------------------------------------------------------------------------------16
6 LOCUS OF CONTROL COME FATTORE MULTIDIMENSIONALE ------------------------------------------ 17
7 FAMIGLIA, STRESS E RELAZIONI ------------------------------------------------------------------------------------ 19
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 21

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)

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1 Il concetto di autostima

L'autostima è il processo soggettivo e duraturo che porta il soggetto a valutare e apprezzare

se stesso tramite l'autoapprovazione del proprio valore personale fondato su autopercezioni. La

parola autostima deriva appunto dal termine "stima", ossia la valutazione e l'apprezzamento di sé

stessi e degli altri.

È un paradigma che non deve essere considerato totalmente statico, bensì può essere

costruito giorno dopo giorno attraverso strategie cognitive all’interno delle quali assumono grande

rilievo credenze, valori ed esperienze.

Una prima definizione del concetto di autostima si deve a William James1, il quale la

concepisce come il risultato scaturente dal confronto tra i successi che l’individuo ottiene realmente

e le aspettative in merito ad essi.

Alcuni anni dopo Cooley e Mead definiscono l’autostima come un prodotto che scaturisce

dalle interazioni con gli altri, che si crea durante il corso della vita come una valutazione riflessa di

ciò che le altre persone pensano di noi.

Infatti l’autostima di una persona non scaturisce esclusivamente da fattori interiori

individuali, ma hanno una certa influenza anche i cosiddetti confronti che l’individuo fa,

consapevolmente o no, con l’ambiente in cui vive.

1
Bascelli e all, 2008

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1.1 Processo di formazione

A costituire il processo di formazione dell’autostima vi sono due componenti: il sé reale e

il sé ideale.

Il sé reale non è altro che una visione oggettiva delle proprie abilità; detto in termini più

semplici corrisponde a ciò che noi realmente siamo.

Il sé ideale corrisponde a come l’individuo vorrebbe essere. L’autostima scaturisce per cui

dai risultati delle nostre esperienze confrontati con le aspettative ideali. Maggiore sarà la

discrepanza tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere, minore sarà la stima di noi stessi.

La presenza di un sé ideale può essere uno stimolo alla crescita, in quanto induce a

formulare degli obiettivi da raggiungere, ma può generare insoddisfazioni ed altre emozioni

negative se lo si avverte molto distante da quello reale. Per ridurre questa discrepanza l’individuo

può ridimensionare le proprie aspirazioni, e in tal modo avvicinare il sé ideale a quello percepito,

oppure potrebbe cercare di migliorare il sé reale2 .

1.2 Tipologie di autostima

Immaginando di poter esprime il concetto di autostima come un continuum possiamo

suddividerla in tre marcoaree:

Autostima troppo bassa: gli individui con autostima molto bassa generalmente portano con

sé la convinzione “io non sono ok, gli altri sono ok”.

2
Berti, Bombi, 2005

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In termini pratici hanno una sfiducia nei confronti della vita, tendono a preoccuparsi molto

per il cambiamento e le cose nuove, sono attenti a valutare i problemi piuttosto che le opportunità.

Nelle relazioni interpersonali tendono ad essere introversi, ad isolarsi, oppure cercano a tutti

i costi di far parte di gruppi ed essere accettati; hanno difficoltà a parlare in pubblico e ad assumere

ruoli di leadership.

Nei conflitti hanno l’abitudine di evitare discussioni oppure giustificano eccessivamente il

comportamento altrui, assumendosi spesso gran parte delle colpe.

Se immaginassimo di portare questo concetto all’estremo potremmo identificarlo con la

depressione maggiore.

Autostima troppo alta: gli individui con autostima molto alta possiedono la convinzione

“io sono ok, tu non sei ok”.

In termini pratici hanno grande fiducia in se stessi, si assumono rischi, amano essere notati e

gratificati.

Nella vita tendono a sottovalutare e minimizzare i problemi, amano il cambiamento.

Nelle relazioni interpersonali hanno difficoltà a scusarsi, ad ammettere le proprie

responsabilità, assumono atteggiamenti poco empatici.

Sono molto portati a ruoli di leadership assumendo però atteggiamenti autoritari anziché

autorevoli, sono molto inclini a parlare bene di se stessi ma al tempo stesso sono poco sensibili

all’ascolto.

Portando questo concetto all’estremo, potremmo collocarlo nel disturbo narcisistico di

personalità.

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Autostima equilibrata: convinzione centrale di vita è “io sono ok, tu sei ok”. L’okness

(pronuncia: ocheiness) si può riassumere nell’affermazione: per me va beneessere me stesso, e va

bene che tu sia te stesso. Che significa: può darsi che non accetti quello che fai, ma accetto sempre

quello che sei.

Eric Berne diceva che ogni essere umano nasce principe o principessa, ma a volte non

utilizza pienamente le sue potenzialità e, come nella famosa fiaba, può trasformarsi in ranocchio. La

sua posizione, dunque, era profondamente diversa da quella della psichiatria tradizionale, che tende

a dividere le persone in “sani” e “malati”. Per Berne era importante riuscire sempre a vedere negli

altri, e in noi stessi, quel principe o quella principessa originari.

L’espressione popolare “io sono ok, tu sei ok”, con cui spesso si riassume l’okness, implica

un’accettazione reale e profonda di sé e degli altri, ed è considerato un atteggiamento sano, che

aiuta il clima interpersonale e permette una relazione autentica.

Il concetto di okness descrive anche l’atmosfera della psicoterapia, e sottolinea anche

la “competenza” che ciascuno di noi possiede nel prendere decisioni su di sé e sulla propria vita.

Nelle relazioni interpersonali attraverso l’okness riusciamo a riconoscere sia le nostre che

altrui responsiabilità; si è portati a parlare di se e al tempo stesso ad ascoltare gli altri e a lasciare

loro lo giusto spazio.

Nel mondo del lavoro si assumo posizioni di leadership di tipo autorevole, adottando una

comunicazione assertiva.3

3
L' assertività, area intermedia nel continuum aggressività-passività, si attua attraverso un comportamento partecipe e
non in contrapposizione con l'altro, attarverso la capacità di farsi valere con la persuasione, orientando le scelte e
ottenendo il consenso altrui.

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2 I 3 killer dell’autostima

Quali sono i fattori che possono minare la nostra autostima? Cosa determina che essa

aumenti o diminuisca?

Principalmente possiamo individuare nel confronto, nel bisogno di approvazione e nel

risultato i fattori principali che possono rinforzare e al tempo stesso indebolire il nostro senso di

autostima.

Il confronto: William James4 concepì il concetto di autostima come il risultato scaturente

dal confronto tra i successi che l’individuo ottiene realmente e le aspettative in merito ad essi.

Dunque se da un lato il confronto potrebbe spronare a migliorare, dall’altro potrebbe

determinare una competizione “malsana”. Un esempio è dato quando in famiglia i genitori

paragonano tra di loro i figli. Es. “Guarda tuo fratello come è bravo a scuola, oggi ha preso un bel

voto! Tu invece dovresti studiare di più! Fai come lui!”

Il bisogno di approvazione: essendo animali sociali, per natura abbiamo bisogno

dell’approvazione altrui. Un classico esempio è dato quando attraverso l’approvazione entriamo a

far parte di un gruppo e quindi ci sentiamo accettati.

Soprattutto nelle prime fasi della vita, se viene a mancare il soddisfacimento di questo

bisogno, sarà molto probabile sviluppare problemi legati all’autostima, e tutto questo potrebbe

4
William James è stato uno psicologo e filosofo statunitense di origine irlandese. Egli fu presidente della Society for
Psychical Research dal 1894 al 1895.

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evolversi nella vita adulta in uno sviluppo di autostima bassa, oppure una ricerca spasmodica e

patologica di essere approvati dagli altri.

A tutti noi ovviamente piace sentirci lusingati e ricevere complimenti; solo che una cosa è

desiderare una naturale e fisiologica approvazione, un’altra è passare questo confine e cercare

l’approvazione ad ogni costo, e divenire totalmente dipendenti dall’opinione altrui per sentirci bene.

Se per esempio, le nostre emozioni cambiano molto a seconda dell’opinione altrui, se non

riusciamo di dire di no ad alcune richieste, se ci preoccupiamo troppo delle apparenze e di ciò che

gli altri penseranno di noi se faremo questa o quella cosa, allora è bene considerare tutto questo

come un campanello d’allarme.

Per migliorare eventuali criticità in questo aspetto, potrebbe essere utile riflettere sul fatto

che ogni essere umano ha una sua unicità, che non siamo tutti uguali e che quindi possono esserci

differenze tra persone. Importante riflettere sul fatto che non possiamo piacere a tutti, e anzi, più

cerchiamo di accontentare ad ogni costo tutti e più scontenteremo gli altri e noi stessi.

Attraverso l’okness non dobbiamo necessariamente sentirci ogni volta superiori oppure

inferiori agli altri, e anche in caso di critiche e di un rifiuto, non significa che non abbiamo valore

come persone oppure che l’obiettivo non potrà essere raggiunto.

Il risultato: soprattutto in ambito sportivo è un tema classico. Ognuno di noi, se ha praticato

sport, ricorderà quando in seguito ad una competizione, i nostri famigliari o amici ci hanno chiesto,

“com’è andata?”, e generalmente a questa domanda si risponde “bene, abbiamo vinto!”, oppure

“male, abbiamo perso!”.

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Ecco, questo è il classico esempio di come la nostra autostima diminuisca o aumenti in

esclusiva funzione del risultato, tralasciando magari aspetti importanti come la performance. Infatti

la differenza tra risultato e performance è la seguente.

Per esempio, rappresenta un obiettivo di risultato: vincere le Olimpiadi, superare un esame

scolastico; essi sono legati all’esito finale di una gara, di un anno scolastico; in questo modo, il

concetto di successo ed insuccesso spesso non sono sotto il completo controllo dell’individuo, per

questo è sconsigliato concentrarsi solo sul raggiungimento degli stessi, pena un alto livello di

frustrazione; quelli di prestazione o di performance sono per esempio: aumentare la resistenza in

corsa, ottimizzare il metodo di studio, sono legati al miglioramento di un comportamento o di

un’abilità ritenuta fondamentale al raggiungimento degli obiettivi di risultato e, a differenza dei

primi, sono sotto il controllo dell’individuo perché dipendono dall’impegno e dalla volontà.

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3 Il senso di autoefficacia

L’autoefficacia, meglio nota come autoefficacia percepita citando esattamente le parole

usate da Albert Bandura, corrisponde alla consapevolezza di essere capace di dominare specifiche

attività, situazioni o aspetti del proprio funzionamento psicologico o sociale. In altre parole, è la

percezione che abbiamo di noi stessi di sapere di essere in grado di fare, sentire, esprimere, essere o

divenire qualcosa.5

Il costrutto di autoefficacia è stato usato in ricerca secondo due accezioni: da una parte

come autoefficacia riferita all’abilità percepita di effettuare un particolare comportamento;

dall’altra come autoefficacia riferita all’abilità percepita di controllare, prevenire o gestire le

potenziali difficoltà che possono sorgere nell’esecuzione di una particolare prestazione6.

Ciò significa che oltre ad una percezione generale di autoefficacia, ci sono credenze molto

specifiche di autoefficacia riguardanti differenti domini del sé (ad es. forza fisica nel calcio,

resistenza alla fatica nel prepararsi ad un difficile test di matematica).

Prendendo l’ autofficacia nell’ utilizzo di una lingua come esempio esplicativo: il livello

di autoefficacia nell’ utilizzo di una lingua si riferisce alle variazioni di padronanza percepita per

esempio tra una prima ed una seconda lingua; la forza nell’autoefficacia percepita si riferisce al

grado di sicurezza nell’usare questa lingua in occasioni formali o sociali, mentre la generatività si

riferisce al trasferimento delle credenze di autoefficacia tra differenti compiti legati alla lingua (ad

es. esposizioni scritte o orali).

Ciascuna credenza e le sue conseguenze sono sensibili a variazioni di situazione, di contesto

e nel compito; queste credenze guidano ed organizzano la performance e l’insieme delle azioni di

5
Bandura, 2000a; Ehremberg, Cox e Koopman, 1991

6
Kirsh, 1995; Maddux e Gosselin,2003

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ciascuna persona, queste ultime a loro volta avranno conseguenze positive o negative a livello

fisico, sociale e di autostima. Ogni valutazione successiva alla performance modificherà le credenze

di autoefficacia della persona, modificando la probabilità che lo specifico compito venga ripetuto

in futuro.

L’autoefficacia è anche una parte costituente il concetto di autostima, rivolta a una serie di

convinzioni che il soggetto ha di se stesso.

Il costrutto di autostima e di autoefficacia sono intimamente correlati tra di loro, al punto

che si influenzano e determinano reciprocamente. Esiste una sorta di relazione duale, in cui

all’aumentare dell’uno aumenta l’altro e viceversa.

3.1 Differenza tra autostima ed autoefficacia

Mentre il concetto di autostima deriva da un senso globale d’identità, l’autoefficacia

invece si riferisce ad un ambito o compito preciso.

Per esempio, potrei avere una bassa autostima e al tempo stesso un alto senso di

autoefficacia nel giocare bene a calcio.

Le persone cercano di esercitare il controllo sugli eventi che riguardano la loro vita.

Con questa influenza sul corso degli eventi esse tendono di realizzare scenari futuri

desiderati e tentano di prevenire quelli indesiderati.

Questo controllo è caratteristico di quasi ogni azione umana. La capacità di esercitare

un’influenza sugli eventi li rende maggiormente prevedibili e apporta numerosi vantaggi; la

prevedibilità a sua volta, permette di non farci trovare impreparati7.

Anche se un forte senso di autoefficacia porta a realizzare obiettivi e benessere, comporta

anche degli effetti indesiderati.

7
Bandura, Il senso di autoefficacia, Edizioni Erikson 1996

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Per esempio, le vite di innovatori e riformatori sociali, sospinti da un forte senso di

autoefficacia personale, spesso si trovano ad essere derisi, disapprovati o addirittura perseguitati; al

tempo stesso si può essere dunque artefici e vittime del proprio destino.

Nel corso degli anni, sono state proposte molteplici teorie riguardo la capacità di esercitare

controllo sugli eventi.8

Il focus principale della ricerca psicologica, riguarda dunque la convinzione circa la capacità

che hanno le persone di produrre determinati effetti. Per comprendere appieno questa dimensione, è

necessario creare un modello che riguardi moltissimi microprocessi sia a livello individuale che

collettivo.

8
Adler 1956

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4 Come si originano le convinzioni di autoefficacia

Le convinzioni delle persone riguardo la propria efficacia si possono originare da 4 fonti

principali:

1) Le esperienze di gestione efficace, cioè quelle in cui una persona affronta

con successo un’esperienza. Esse sono il banco di prova più eloquente per costituirla;

ovviamente le esperienze “fallimentari” la indeboliscono.

n.b. Se le persone sperimentano solo facili successi, in seguito tenderanno ad

aspettarsi facili risultati e si potrebbero scoraggiare rispetto agli insuccessi.

2) L’osservazione di modelli simili e funzionali, cioè il fatto di vedere persone

simili a sé che raggiungono i propri obiettivi attraverso l’impegno e l’azione personale,

rafforza la convinzione di possedere capacità per riuscire in situazioni analoghe9. Allo stesso

modo, l’osservazione di persone che falliscono nonostante si impegnino, indebolisce il senso

di efficacia e ne abbassa il livello di motivazione dell’osservatore10.

3) La persuasione è il terzo mezzo capace di consolidare la convinzione delle

persone di essere in possesso di ciò che occorre loro per riuscire. Le persone che sono state

convinte verbalmente di essere in possesso delle capacità necessarie per compiere

efficacemente determinate attività, hanno più probabilità di portare a termine un incarico.

Nella misura in cui la persuasione migliora la fiducia in se stessi, essa promuove lo sviluppo

9
Schunk 1987
10
Brown e Inouye, 1978

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di abilità e un ulteriore senso di efficacia personale. Al tempo stesso, utilizzando solo la

persuasione come leva motivazionale senza che ci siano i fondamenti di reali capacità

dell’individuo, queste convinzioni vengono rapidamente vanificate se poi l’azione conduce a

risultati deludenti.

4) Stati emotivi e fisiologici: spesso le reazioni di stress e la tensione vengono

interpretati come segnali che fanno presagire cattive prestazioni. Nelle situazioni che

richiedono prestanza fisica, le persone giudicano la stanchezza, i dolori e la sofferenza come

segnali negativi11. Anche l’umore entra in gioco: lo stato d’animo positivo aumenta il senso

di autoefficacia e quello negativo la diminuisce12.

n.b. Non è tanto la semplice intensità delle reazioni emotive e fisiche ad essere

importante, quanto la nostra interpretazione. Per esempio persone dotate di buon senso di

autoefficacia considerano il proprio stato di attivazione emotiva come qualcosa che facilita

l’azione , mentre quelle sfiduciate vivono la stessa attivazione in modo debilitante.

11
Ewart, 1992
12
Kavanagh e Bower 1985

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5 Il locus of control

Il locus of control indica la percezione del controllo degli eventi che ognuno possiede ed

esso può essere attribuito a se stessi o a fattori esterni.

Il Controllo è un concetto molto utilizzato in psicologia e psicopatologia. Esistono persone

che pensano di controllare qualsiasi cosa, altre, invece, credono di essere controllati da situazioni

che si verificano all’esterno. In generale, controllare significa dirigere le proprie azioni per

influenzare gli esiti di un determinato accadimento. Spesso la parola controllo è preceduta da un’

altra: Locus o luogo, che tradotto significa il posto attraverso il quale si definisce il controllo.

Ognuno di noi possiede un Locus of Control13, che può essere interno o esterno.

Coloro che basano il loro successo lavorativo e credono di avere pieno controllo della loro

vita hanno un locus of control interno. Al contrario, le persone che attribuiscono il loro successo o

il fallimento a cause esterne hanno un locus of control esterno.

In sostanza, il locus of control rappresenta l’atteggiamento mentale grazie al quale si

riescono a influenzare le proprie azioni e i risultati che ne derivano.

Chi mostra un locus of control esterno percepisce gli eventi come imprevedibili, dipende

dagli altri, ha bassa autostima, scarsa autoefficacia e attribuisce i propri insuccessi al destino o agli

altri.

Al contrario chi ha un locus of control interno mostra conoscenze e skill che consento di

affrontare al meglio le situazioni e i problemi, pensano di poter raggiungere gli obiettivi prefissati,

credono nelle loro capacità e non temono la fatica.

13

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5.1 Origini del locus of control

Rotter nel 1954 teorizzò il concetto di Locus of Control, definendolo un costrutto

unidimensionale caratterizzato da due poli, l’interiorità e l’esteriorità, posti lungo un continuum.

Coloro che presentano un locus of control interno tendono ad attribuire i risultati ottenuti a

capacità personali, sono certi di possedere competenze altamente specifiche che li rende in grado di

raggiungere standard molto elevati e ritengono i risultati delle loro azioni derivanti dalle proprie

abilità. Inoltre, credono che ogni azione ha delle conseguenze, per questo per cambiare gli

esiti sostengono sia necessario esercitare un controllo serrato.

Al contrario, chi presenta un locus of control esterno ritiene che le conseguenze di alcune

azioni siano dovute a circostanze esteriori, per questo le cose che accadono nella vita sono fuori dal

loro controllo e le azioni messe in atto sono il risultato di fattori non gestibili, come il destino e la

fortuna. Queste persone tendono a incolpare gli altri piuttosto che se stessi per i risultati ottenuti.

Quindi, chi ha un locus interno considera l’interiorità come legata esclusivamente a una

serie di abilità personali e se volesse ottenere risultati dovrebbe mettere in atto sforzo e sacrificio,

mentre chi ha un locus esterno sostiene che gli accadimenti siano gestiti e regolati dal fato e quindi

siano fuori dal proprio controllo.

Le modalità di attribuzione di controllo si ripercuotono evidentemente sulla motivazione al

successo e sulla gestione delle emozioni. Infatti, coloro che presentano un locus of control

interno sono più inclini all’ansia mentre coloro che mostrano un locus of control

esterno potrebbero manifestare principalmente depressione.

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6 Locus of control come fattore multidimensionale

L’ unidimensionalità del costrutto di Locus of Control, successivamente, è stato contestato

da Levenson14 che sostenne l’esistenza di dimensioni separate tra loro e non più poli opposti di un

continuum. Quindi, non più un costrutto categoriale, ma dimensionale. Partendo da questo

presupposto teorico Bernand Weiner ha aggiunto alla teoria dell’attribuzione di Rotter, i seguenti

due criteri:

1) la stabilità, ovvero quanto risultano durature nel tempo le cose ottenute;

2) la controllabilità, che può essere alta se dovuta alle proprie competenze, o bassa se

dipende da fattori come la fortuna, le azioni degli altri, il destino, etc.

L’interazione tra i due criteri porterebbe a considerare le situazioni esterne come prevedibili

e controllabili, ottenendo in questo modo un controllo anche su situazioni apparentemente non

gestibili.

Esistono, inoltre, persone con un locus of control che è una via di mezzo tra interno ed

esterno. Tali individui mostrano una combinazione tra i due tipi di locus of control e sono spesso

indicati come bi-loci. Essi sono capaci di gestire lo stress e far fronte alle difficoltà in maniera più

efficiente ed efficace, poiché mostrano una maggiore flessibilità nello spostarsi dall’esterno

all’interno e viceversa. Le persone che possono contare sul duplice locus of control sono in grado

di assumersi maggiori responsabilità e raggiungono gli obiettivi con minori disagi emotivi.

14
Aprile KA; Dharani B; Peters K. (2012). “L’impatto di Locus di aspettativa di controllo sul livello di benessere ”.

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Chiaramente, il tipo di locus of control di ciascuno risulta essere influenzato della

personalità, della cultura e dalla famiglia di origine, oltre che da una serie di rinforzi positivi o

negativi che si verificano durante la vita.

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7 Famiglia, stress e relazioni

Lo sviluppo del locus of control deriva dallo stile familiare e dal tipo di risorse interiori di

cui ciascuno dispone. Molte persone che presentano un locus of control interno sono cresciute con

famiglie che pongono particolare attenzione all’impegno, all’istruzione, alla responsabilità e alla

costanza nel raggiungere un obiettivo. Solitamente i genitori di queste persone ricompensavano i

loro figli nel momento in cui riuscivano a raggiungere i risultati prefissati. Diversamente, chi ha

un locus of control esterno proviene da famiglie che esercitano un basso controllo e non

considerano centrale l’assunzione di responsabilità.

n.b. Chiaramente col passare del tempo, e coll’avvicendarsi di situazioni di vita, è possibile

che il locus si possa modificare.

Per quanto riguarda il benessere psicofisico e la gestione dello stress, si è osservato che con

una percezione di controllo interno è più facile fronteggiare lo stress in modo adeguato e adottare

uno stile di pensiero che influenzi l’attuazione di comportamenti volti a raggiungere gli obiettivi.

Di conseguenza, la reazione emotiva che ne deriva è funzionale al conseguimento dello

scopo. Al contrario un controllo esterno potrebbe risultare utile a minimizzare la propria

responsabilità in caso di incidenti: attribuire la responsabilità di un evento negativo a una fonte

esterna permette di minimizzare l’emozione di colpa.

Quindi, pensare che l’accaduto sia colpa del destino o di persone esterne, è in questo senso

funzionale al benessere individuale perché preserva dal rimurginio e permette di canalizzare le

energie mentali nell’affrontare al meglio le conseguenze.

In generale, pensare di poter controllare gli eventi o ritenere che non si possa esercitare alcun tipo

di controllo porta a mettere in atto comportamenti diversi e più o meno funzionali al proprio

benessere.

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Chi ha un locus of control interno si sentirà maggiormente responsabile delle sue azioni e

avrà maggiori possibilità di successo perché consapevole di avere una serie di caratteristiche e

abilità, quindi assumerà una posizione attiva nell’affrontare i problemi.

Invece, l’atteggiamento di un individuo con un locus of control esterno sarà passivo

rispetto agli accadimenti e più orientato all’accettazione, anche quando potrebbe intervenire

efficacemente nel modificarli.

Nelle relazioni interpersonali, è adattivo possedere un locus of control interno piuttosto che

esterno, perché consente di porsi nei confronti dell’altro in modo collaborativo e volto al

raggiungimento dello scopo. Si tratta di individui fiduciosi, ottimisti e pronti a prestare soccorso, se

necessario.

Le persone che, al contrario, mostrano un locus esterno hanno la percezione di essere

prevalentemente controllati da chi sentono più forte di loro, nei confronti del quale mostrano spesso

un atteggiamento di sottomissione, hanno sfiducia in loro stessi, nelle proprie capacità e presentano

umore basso.

In ogni caso, non esistono soggetti che hanno esclusivamente un locus of control

esterno o interno.

Per questo, in un sistema di credenze equilibrato e adattivo, funzionale al benessere

dell’individuo, sarebbe auspicabile possedere un mix di loci, interno o esterno, adattabili alle

diverse situazioni che si verificano.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)

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Università Telematica Pegaso Autostima, autoefficacia e Locus of control

Bibliografia

 Bandura, 2000a; Ehremberg, Cox e Koopman, 1991

 Kirsh, 1995; Maddux e Gosselin,2003

 Bandura, Il senso di autoefficacia, Edizioni Erikson 1996

 Eric Berne Analisi transazionale e psicoterapia. Un sistema di psichiatria sociale e individuale

EditoreAstrolabio Ubaldini 1978

 Aprile KA; Dharani B; Peters K. (2012). “L’impatto di Locus di aspettativa di controllo sul

livello di benessere”.

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