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Diego Armando Maradona, nasce a Lanús nel 1960 e muore a Tigre nel 2020, in entrambi i casi
piccoli centri della provincia argentina di Buenos Aires. E’ considerato uno dei più grandi calciatori
di tutti i tempi. Ha ricoperto anche il ruolo di Commissario Tecnico della nazionale Argentina per
un breve periodo alla fine degli anni duemila, dopo il ritiro ufficiale dal calcio nel 1997.
Riferendosi a Maradona, spesso lo si sente chiamare “el Pibe de Oro” (“il ragazzo d’oro”), un
soprannome emblematico del suo contributo allo sport del calcio che lo accompagnerà fino alla
prematura scomparsa.
Nella sua esperienza da professionista, durata oltre vent’anni, militò nell'Argentinos Juniors,
nel Boca Juniors, nel Barcellona, nel Napoli, dove raggiunse l’apice della carriera, nel Siviglia e
nel Newell's Old Boys. Con la nazionale argentina partecipò a ben quattro edizioni dei Mondiali
(1982, 1986, 1990 e 1994), vincendo da protagonista il torneo del 1986 in Messico. Contro
l'Inghilterra, ai quarti di finale, segnò una rete considerata unanimemente il gol del secolo, solo tre
minuti dopo aver messo a segno un gol irregolare con il pugno. Intervistato dopo la vittoria, disse:
“Non ho toccato io quella palla, è stata la mano di Dio”.
Maradona è senza alcun dubbio un mito a livello calcistico, con ogni probabilità la prima vera icona
globale di questo sport, per questo motivo l’attenzione dei media e del pubblico è rimasta puntata su
di lui e sulla sua vita lungo tutta la sua esistenza.
Si tratta di un personaggio complesso il cui ritratto, accanto alle folgoranti luci in ambito sportivo, è
segnato da diverse zone d’ombra, soprattutto a livello umano.
E’ stato legato a personaggi, soprattutto politici, controversi
che hanno fatto la storia del Novecento: Fidel Castro, Hugo
Chavez, il suo
successore Nicolas
Maduro. Poi ci sono gli
eccessi nel privato:
abuso di droghe e
alcool, presunte
violenze familiari,
legami con
organizzazioni
malavitose. Eppure è
anche un uomo
simbolo di riscatto.
Nato povero in Argentina, in una famiglia numerosa, fin dalla
più tenera età manifestò capacità eccezionali nel gioco del
calcio. Come è stato detto da più parti, con il pallone tra i piedi faceva poesia pura. La sua abilità
nel fare gol è leggendaria: in carriera ne ha segnati 312, da quando nel 1976, a poco più di 15 anni,
debuttò da professionista con la maglia dell'Argentinos Junior, al 1998, l'ultima stagione da
calciatore con l'amata casacca del Boca. Tra magie, “carezze” al pallone passate alla storia, giocate
impossibili e colpi di genio da lasciare a bocca aperta, la sua classe purissima non è mai stata
messa in dubbio.
Il suo enorme talento è stato la ragione del suo successo, capace di far entusiasmare e sognare
milioni di tifosi, ma anche della sua rovina. Non è stato in grado di dimostrare la stessa maestria con
cui giocava a calcio, infatti, nella gestione della sua sfera privata, di individuo; l’enorme popolarità,
l’essere costantemente sotto i riflettori in quanto considerato un fenomeno, una specie di
“marziano” si è sovrapposta alla sua quotidianità non permettendogli di avere una vita “normale”.
Le sue fragilità sono sfociate a più riprese in comportamenti non esemplari e certamente da non
imitare. Quando scendeva in campo, però, si faceva perdonare tutto, ed è stato amato, quasi
venerato, ovunque sia stato, ma principalmente in Argentina e a Napoli.
A testimonianza della sua straordinarietà
come calciatore, ci sono i numerosi e
prestigiosi riconoscimenti che ha ricevuto:
condivise con Pelé il premio ufficiale FIFA
come Miglior giocatore del XX secolo, nel
1993 venne insignito del titolo di miglior
calciatore argentino di sempre, nel 2002 fu
inserito nella FIFA World Cup Dream
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