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Panikkar /

DEL SIMBOLO
a cura di Milena Carrara P avan

14> Jaca Book


• Fundad6 Vìvartum
Aaimoo Panikkar
©2020
Editoriale Jaca Book Sri,
Milano tutti i diritti riservati Indice
Intemational copyright handled by
Editoriale Jaca Book Sri, Milano

per i testi ® Fundaci6 Vivarium Raimon Panikkar Prefazione di Milena Carrara Pavan 7

l. Simbolo e simbolizzazione 15
Prima edizione
ottobre 2020
2. L'esperienza artistica 43

3. Quaternitas Perfecta. La quadruplice natura dell'uomo:


Copertina e impaginazione terra, acqua, fuoco, aria 55
Paola Forini / Jaca Book
TERRA
4. Kailasa 79

ACQUA
5. Trisangam: Giordano, Tevere, Gange 97
6. La goccia d'acqua 125
Stampa e legatura
Grafiche Stella
San Pietro di Legnago (VR) Fuoco
settembre 2020 7. Bhakt~ Karunii, Agapè 149
8. Il mistero di Maria 169

ARIA
9. Ekklesia e Mandiram: due simboli della spiritualità Umana 221
10. Spazio sacro. Non c'è spazio esteriore senza spazio interiore 229
ISBN 978-88-16-60624-1 11. Gaudf. Lo spazio sacro è lo spazio reale 267
Editoriale Jaca Book
via Frua 11, 20146 Milano, cd. 02/48561520 12. Filosofia e musica (conversazione con Jordi Savall) 275
librcria@jacabook.it;www.jacabook.it
Seguici su 11 D 13. Il silenzio 285
Note 286
Prefazione
Bibliografia 290
di Milena Carrara P avan

Quando gli editori della casa editriceJaca Book mi han-


no comunicato l' intenzione di pubblicare un elegante li-
bro illustrato in omaggio a Rairnon Panikkar per il decimo
anniversario della sua scomparsa, awenuta il 26 agosto
del 2010, suggerendo come àtolo !.:arie del simbolo, non
potei che accettare, e con entusiasmo, di curarne il testo.
L'argomento infatà sarebbe piaciuto al nostro autore.

Quante volte gli ho senàto dire frasi del àpo:


«Ciò di cui l' uomo ha bisogno oggi è la coscienza sim-
bolica».
«Il grande compito per il presente è integrare il pensiero
razionale con quello simbolico».
«Esiste una consapevolezza simbolica che non può esse-
re ridotta a consapevolezza riflessiva razionale».
«L'impensabile non è pensabile, però si può essere con-
sapevoli della sua presenza».

Finalità del presente volume è quella di rawivare la me-


moria di Panikkar atàngendo dalla vasta sua produzione
letteraria e dalla ricchezza del suo pensiero, sempre illumi-
nante, una chiara lettura della realtà e una fiduciosa aper-
tura al futuro.

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A me dunque il compito di scegliere scritti attinenù lascia nel "due", che non lascia cioè la cosa simboleggiata
all'argomento dai 18 volumi della sua Opera Omnia, la cui a sé stante, separata e divisa, come fosse tutt'altro da quel-
pubblicazione è onnai prossima a completarsi. lo che sembra; ma che, al tempo stesso, non chiude la cosa
simboleggiata nell' "uno", in un' apparenza senza scampo,
Il criterio che ha guidato la selezione dej tesù non è assoluta e idolatrica, dove la cosa si perde e si dissolve.
consisùto nel produrre un' antologia, una raccolta, pur Così intesi, per il fatto cioè di dar vita a una relazio-
significativa, di argomenù relaùvi alla tematica simbolica ne a-duale secondo la quale né la verità della cosa si cela
in senso stretto; la scelta piuttosto avrebbe la pretesa di dietro il velo dell'apparenza né quella stessa verità si di-
mostrare l'ampio raggio degli interessi di Panikkar e in svela in quanto tale solo in quel modo una volta per tutte,
special modo la sua vocazione a raccogliere in una visione i simboli - come i miù ai quali sono apparentati sono «i
finalmente armonica e integrata tutù i fragmenta in cui è mattoni ulùmi - scrive Panikkar - con i quali è costruito
stata scomposta la realtà in cui viviamo. l'edificio della realtà».
Panikkar ha sempre insisùto sulla necessità di un pro- Per "intenderli" non occorre dunque fare appello al
fondo mutamento di prospetùva, di uno scuoùmento dal pensiero, spiegarli o interpretarli, perché essi ci coinvol-
torpore mentale che caratterizza il nostro modo abituale gono in un movimento ritmico, in una danza di velamento
di considerare le cose, ovvero sul bisogno di una metano- e disvelamemo irriducibile, dove dunque si rimane sem-
ia, di una "conversione" radicale di mentalità, capace di pre nel velame delle cose , che Panikkar chiama anche
andare "oltre" la mente stessa, di "trapassare" la logica "coscienza simbolica": una coscienza non riflessiva di cui
dualisùca ad essa sottesa. partecipa tanto l'umanità quanto la realtà, un'attitudine
Per non "scindere" la realtà in pezzi poi impossibili da che impedisce al nostro sguardo di chiudersi in se stesso
ricomporre, Panikkar ha parlato così dell'importante fun- e di osservare la realtà da un punto di vista distaccato e
zione del "simbolo", termine che già in origine significava neutrale.
il "mettere assieme" (sym-bdllein), il "ricongiungimento" In virtù delle sue carattecisùche, il simbolo (e la coscienza
delle due tessere in cui un oggetto era stato inizialmente simbolica) mi è parso così la chiave di volta e la guida di
diviso. A differenza del "segno", che è un modo conven- questa celebrazione di Panikkar, al punto da fare proprio di
zionale e dunque arbitrario di riferirsi a qualcosa, di nomi- uno scritto panikkariano a riguardo, Simbolo e simbolizza-
narlo, di intenderlo, il simbolo non risolve completamente zione, la vera e propria ouverture dell'intero volume. Infatti,
dentro di sé la cosa cui si riferisce (non è pura "soggetùvi- dato che il simbolo è il modo originario di presentarsi e di
tà "), né rimanda soltanto a essa come un mero strumento ricomporsi della realtà, dato che esso è la veste integrata, ar-
(non è pura "oggetùvità"), e non è nemmeno il masùce monica con cui la realtà appare, allora tale realtà si presenta
che incolla le due parti preformate. Simbolico è piuttosto cosmicamente - nella coscienza dell'uomo cosmico.
il modo spontaneo e originario di presentarsi delle cose, Sempre come introduzione, ma centrato più sull'Espe-
l'aspetto, il volto da cui non possono prescindere per es- rienza artistico, viene proposta la lettura di uno scritto
sere quel che sono, ma con cui non coincidono del rutto, inedito trovato fra le carte di Panikkar, argomento cui
con cui non si identificano totalmente. Il simbolo è pre- intendeva probabilmente dedicare un nuovo testo, con
cisamente questa relazione originaria, questa "differenza" l'intento di offrirci la sua visione dell'arte come esperien-
che viene "prima" della costituzione dei suoi poli, che non za del reale.

8 9
*** Giordano, Tevere, Gange, a testimonianza del suo pel-
legrinaggio terrestre dedicato al dialogo interreligioso,
Il filo conduttore del libro è tratto da La quaternitas o meglio intrareligioso, come Panikkar preferiva consi-
per/ecta: la quadruplice natura dell'uomo: uomo come derarlo. Per lui, sacerdote cattolico, rappresentava in-
microcosmo, specchio dell'intera real tà, costituito dai fatti il pe rcorso della "sua" religione: dall'eb ra ismo (il
qua ttro elementi - terra, acqua, fuoco e aria - , non un ab- fiume Gio rdano, in cui Gesù fu banezzaco e si riconob-
bassamen to dell' uomo a semplice ''natura", ma piuttosto be, non solo figlio dell' Uomo ma anch e figlio di D io) al
un innalzamento dei quattro elementi a ciò che effetti- cristianesimo (il Tevere, fiume di Roma, dove avvenne
vamente sono: le originarie sostanze viven ti e spirituali la cristall izzazione della cristianità) per sfociare auspi-
dell'universo. cabilmente nel fiume Gange (Ma Gangii, che tutto acco-
«L' uomo è effettivamente il rutto», recita il Rg-veda x, glie nel suo grembo e trasfo rma in pura spiritualità). Il
90,2. Gange è per Panikkar la scoperta della profondità dei
Per l'elemento terra (simbolo della materia, del co r- tes ti sacri hindii e il tuffo nel misticismo della religione
po) si è pensaco alla montagna, a lui cara. Ricordo come di suo padre, rimanendo pienamente cristiano e dedi-
Raimon dedicasse ogni martedì a una lunga passeggiata cando in seguito i suoi scritti alla visione criscofanica,
in mon tagna, e non c'erano impegni di alcun genere o l'esperienza di Cristo.
scadenze editoriali che lo potessero trattenere. Negli ul- E nel Gange ebbi il compico di spargere le sue ceneri.
timi anni le camminate si svolgevano sugli altopiani dei
pre-pirenei nell' area in cui viveva e, se aveva ospiti, l'uni- In riferimento al simbolo dell'acqua mi è parso opportu-
co modo che offriva loro per stare con lui era di accompa- no aggiungere anche lo scritto La goccia d'acqua, metafora
gnarlo: un paio di comode scarpe, una borraccia d'acqua, della vita di cui l'acqua è simbolo: scoprirsi acqua mentre
una manciata di noci e via fino al tramonto. Homo viator, ancora si è goccia è il traguardo del percorso umano.
si definiva, simbolo dell' umanità in cammino verso l' As- Per il terzo elemento, fuoco - agni della tradizione ve-
soluto. dica, ignù nella tradizione latina - , mi sono avvalsa del
Lo scritto scelto non poteva che essere il racconto del breve scritto Bhakt4 karunii e agape, tre generi d'amore
suo "ultimo" (in ogni senso) Pellegrinaggio al Kailiisa, il nelle religioni che l' autore ha approfondito nella sua vita:
monte sacro per eccellenza per molte tradizioni religiose induismo buddhismo e cristianesimo.
orientali, nel lontano Tibet. È stato aggiunto anche uno scritto dedicato alla de-
L'ho accompagnaco io stessa, così che posso testimonia- vozione a Maria che risale al 1962. Grande e profonda è
re quale profondo significato avesse assunco per lui quel sempre stata la devozione di Panikkar alla Madonna, ma-
pellegrinaggio compiuco in età avanzata, che avrebbe po- dre di Dio, simbolo della generazione divin a cui l'uomo
curo compo rtare anche un non ritorno pe r il forte rischio è chiamaro. Ricordo quando nel nostro pellegrinaggio al
cui sottoponeva il suo cuore: eventuali tà che gli era ben Kailasa, provato dalle lunghe notti insonni trascorse in
presente tanto che si diceva pronto a lasciare il corpo nel tenda a 5-6.000 metri, egli mi raccontò di aver vissuto di
raggiungimento della meta, la sorgente della vita. notte un'esperienza terribile di morte sentendo la soli-
Per l' elemento acqua (simbolo di vita, ma anche di tudine estrema e come il suo pensiero fosse andato alla
fede)) abbiamo scelto d ue scritti, il primo, Trisangam: Vergine nera di Montserrat, la Moreneta, cui era molto

10 Il
devoto. Sempre celebrò gli anniversari di sacerdozio in dei tre poli è definitivo e non riducibile ali' altro o a un
questa famosa basilica; ricordo il 50° e il 60° anniversario presunto centro. Ciononostante ciascuno di questi poli
celebrati alla presenza di tanti amici accorsi da ogni parte presuppone gli altri e li contiene.
del mondo per festeggiare il suo sacerdozio, sacramento L'essere umano è una dimensione, una relazione costi-
che visse profondamente fino alla morte. Giustamente tutiva di tutta la realtà: ogni uomo è centro dell' universo
qui, sotto lo sguardo sorridente della Vergine nera, ebbe o, più precisamente, in ogni uomo si concentra l'intera
luogo anche la funzione solenne di commiato, accompa- realtà, ma egli non è tuttavia l'unico centro. La realtà è
gnata dalla musica d'organo e dal violoncello dell 'amico centrata su sé stessa, il suo centro però non si trova in al-
Jordì Savall, in un' atmosfera gioiosa che celebrava la sua cun luogo, come dice Il libro dei 24 filosofi, cui Panikkar
lunga intensa vita sulla terra. ha spesso fatto riferimento.
Per l'ultimo elemento, aria, spirito, spazio, è stato ri- Le tre dimensioni della realtà si compenetrano recipro-
portato Ekklesia e Mandiram, due simboli della casa di camente. Cielo, terra e il "tra" i due, passato, presente e
Dio costruiti affinché il popolo incontri Dio e gli Dèi in- futuro sono formulazioni cosmologiche. Sat, cit, iinanda,
contrino il popolo: un unico popolo, la famiglia umana, e il trikaya, la trinità cristiana, sono formulazioni religiose.
un 'unica divinità, la sfera divina. Le concezioni non sono uguali ma omeomorliche.
Completa la scelta Lo spazio sacro è lo s-pazio reale. In Per Panikkar: l'intera realtà è costituita da una specie di
questo lungo scritto che sarà pubblicato nell'ultimo vo- trinità che si tiene assieme attraverso reciproche relazioni.
lume dell'Opera Omnia, Panikkar si awale della dottrina La rivelazione cristiana della divinirà è valida ab intra e
advaita per sostenere che non e'è s-pazio esteriore senza spa- anche ad extra, la struttura trinitaria del rutto corrisponde
zio interiore, ma la loro relazione a-duale, senza che l'uno a un'origine, a una realtà e a una dinamica: Padre, Figlio
o l'altro perdano la loro realtà relativa, superando così sia e Spirito santo. Cristo sarebbe il simbolo cosmoteandrico,
la visione monista che quella dualista. La tensione ultima egli è rutto in uno, indiviso e senza mescolanza tra divino,
non è tra spirito e materia ma tra libertà e prigionia. umano e cosnuco.
A completamento, come esempio di rappresentazione
artistica dello spazio sacro, non poteva mancare un ri- In linguaggio vedico:
ferimento a Antoni Gaudi le cui colonne della Sagrada
Familia simboleggiano l'armonia dell'universo, quell'ar- «Ciò che è al di sopra del cielo
monia che l'uomo è chiamato a creare e a scoprire in se e ciò che è al di sotto della terra,
stesso. ciò che è fra questo cielo e questa terra,
Appare a volte sorprendente in che misura si sia ridotta ciò che si chiama passato, presente e futuro,
l'esperienza della realtà da parte degli uomini condizio- rutto ciò è tramato e ordito su akiifa, lo spazio etereo».
nati dal complesso tecnocratico cui fanno eccezione per - lo spazio sacro.
Panikkar gli artisti e i mistici. Brhadaranyaka-upani$ad m, 8,.3
L'ùnmagine dell'uomo non è divisa dal resto della real-
tà. L'uomo non è né dominatore della natura né una sua cui fa eco quello cristiano:
manifestazione separata. Dio, uomo e cosmo sono tre pa- «Allorché di due farete uno,
role attraverso le quali è rappresentato il tutto. Ciascuno allorché farete la parte interna come l'esterna,

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la parte esterna come l'interna 1. Simbolo e simbolizzazione
e la parte superiore come l'inferiore...
allora entrerete (nel Regno)».
Vangelo copto di Tommaso, 22

Ho aggiunto infine come appendice non uno scritto ma


una conversazione spontanea e vivace su filosofia e musica
che Panikkar ebbe con l'amico catalano Jordi Savall.

***
Una "presentazione", che si dipana attraverso le maglie
del simbolo, rappresenta già di per sé un testo illustrato - con
le sue ligure magnetiche, i suoi luoghi sacri, le sue ipostasi
millenarie e le sue invisibili connessioni geografiche. E stato I.:ambito del simbolo: la pura relazione
così quasi naturale estendere l'illustrazione con l'aggiunta di
un vero e proprio materiale iconografico che documemasse Vorrei proporre alcune considerazioni sul simbolo per-
ulteriormente il resto e lo dorasse di quella potente carica vi- ché se il simbolo (nel senso che a questa parola deside-
siva che solo le immagini, com'è ormai noto, sanno offrire. ro attribuire) è qualcosa, è proprio quello che non è in se
Ne è emerso, alla fine, un ritratto che crediamo alquan- stesso, che non è a sé - che non ha aseità. Il simbolo non
to eloquente delle meraviglie del mondo panikkariano, è ciò che mette in relazione: è la relazione stessa (anteriore
dove culture distanti nel tempo e nello spazio si collegano ai termini della relazione). Il simbolo non è un segno ma
tra loro, dove lingue remore e zone geografiche periferi- non è neanche qualcosa di meramente oggettivo. Il simbo-
che balzano di colpo in primo piano, dove da ogni angolo lo non ha in sé oggettività. Alcuni mesi fa ebbi l'occasione
traspare la bellezza della natura e la "vivenza" della spiri- di partecipare a una celebrazione tradizionale hindii in cui
tualità. prima si adorano immagini considerate divinità poi le si
!:auspicio è che, meditando su questo ritratto, il lettore buttano nel fiume. Queste immagini sono un simbolo. Per
conosca meglio Panikkar e ne riceva lo stesso tocco elet- fa re un altro esempio, più consono alle nostre latitudini,
trizzante che è talvolta capitato di ricevere a chi lo ha fre- citerò san Tommaso d'Aquino dicendo (e questa è dot-
quentato da vicino. trina accettata) che, se un cane mangia l'ostia consacrata,
evidentemente non si comunica, vale a dire non riceve il
Milena Carrara Pavan corpo di Cristo. Del pari, se si spezza l'ostia, non per que-
sto si spezza il corpo di Cristo. L'eucaristia è un simbolo.

• Versi~ ridotta di SmtlxJo 1 simbo/u:;tcilm. L.t di/érenei# si.mh6/ka. Pdra u11a /«1um intnrultural
del dmholo, in Clreulo Er,uun I. A,quetiprn y slmh<J/01. a,lffli1,'0$ (Keré:n11i. Neum:ann. Scholem,
Hillman). Anthropos:, 8:atcelooa I~- In Opera omni11, VOL 1x, Tomo l , Jaca 8ook, Mil::aoo 1008.

14 15
Non dimentichiamo che l'ex opere operato dei sacra-
menti cristiani è cale grazie all'ex opere operantis Christi.
Non è l'oggettività che costituisce il simbolo.
Il simbolo, però, non è nemmeno pura soggettività: non
è formato da ciò che io vivo interiormente. Pensiamo, per
esempio, alle icone sacre che rappresentano la visione del-
la gloria divina: non possiamo conferire loro una forma
arbitraria; sono semplicemente cié che sono perché non
sono ll unicamente come aiuto psicologico.
Neanche la pura soggettività è ciò che costituisce un
simbolo. Io non sono padrone del simbolo: il simbolo non
è esclusivamente soggettivo; non dipende dalla mia volon-
tà né da ciò che vorrei fame. L'eucarestia non è il capriccio
di alcuni. Il simbolo non è indipendente dalla fede che si
ripone in esso perché non è oggettivo, ma non possiede
neanche in se stesso un' indipendenza perché non è nean -
che soggettivo. E non è nemmeno insieme soggettivo/og-
gettivo: trascende questa dicotomia 1.
È, questo, un punto che dobbiamo approfondire perché
la relazione non è solo una relazione di inter-soggettività
o di oggettività storicizzata; che, cioè, la storia ha oggetti-
vizzato nel senso di una sociologia della conoscenza: in un
determinato momento percepiamo una certa cosa come
oggettiva e la accettiamo. In fondo, però, questo non è
altro che una specie di soggettività oggettivata dalla storia,
in virtù di una oggettività più o meno relativa. Il simbolo,
in quanto pura relazione, in quanto polarità tra il soggetti-
vo e l'oggettivo, non si lascia comprendere dalla dialettica.
Il mio presupposto differisce qui dalla maggior parte
dei presupposti occidentali contemporanei (siano cristia-
ni, giudaici, agnostici o marxisti) e cioè che la struttura
ultima della realtà sia dialettica. Mi pare, questa, una con-
cezione molto interessante ma molto riduzionista. Al mo-
mento mi limito ad affermare che la struttura ultima della
realtà non ha «perché» essere dialettica, senza sostenere
che la realtà «non è dialettica», dal momento che questa t. Comunione di Abramo. Abside dipinta, chiesa della Vergine Maria, monas1ero di Baramus, Egino.

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affermazione mi farebbe ricadere nella dialettica stessa. La
2 a e b: Due manufatti di
dialettica presuppone un sic et non, un oggetto e un sog- epoca neolitica con aho
getco previi alla loro relazione. valore: il primo a forma di
disco con foro circolare
imemo e il secondo a
1-A differenza simbolica
forma di tubo troncato con
l1esrerno quadrangolare
Chiariremo ora alcune parole. Nella letteratura filosofi- e l'interno circolare.
ca contemporanea si parla di alcune differenze ultime. Chi All'inizio dell'era imperiale,
il disco forato diviene
ha letto Heidegger, per esempio, sa che cosa si intende per associato al culto del Cielo
differenza oncologica, differenza teologica e differenza [ra- e il tubo rong alla Terra.
scendentale: sono le differenze ultime tra diverse sfere del- Questi oggetti, uovati
in akune rombe. sono
la realtà che appaiono alla nostra coscienza. La differenza srati inrerprernti in vario
logica tra soggetto e predicato; la differenza epistemologica modo. Decisamente non
tra il soggetto che conosce (la cosa) e il soggetto che io co- si sapeva che significato
dessero loro gli artigiani
nosco, che è il soggetto conoscente; la differenza riflessiva e i commitrenti orig.in.ali.
tra l'oggetto della mia coscienza e la riflessione, della quale ma l'inrerprera2ione che
io sono cosciente, che riflette sull'oggetto e così via. Vorrei la Cina sressa ne dà negli
ultimi secoli prima della
ora qui introdurre un' altra differenza ultima che potrem-
nostra era. cioè nei t~ri
mo definire differenza simbolica o forse polarità simbolica. di inizio lmpero, può far
Prenderemo ora le mosse da questo nuovo punco per pro- pensare che da tempo
la preoccupazione di
seguire, poi, con altre considerazioni
simboleggiare Cielo e
Terra avesse influenzato
1-A /unzione del simbolo quesre forme, che per la
loro purezza implicavano
un a1to im..estimemo
Cosa fa il simbolo? Il simbolo rappresenta quello che, simbolico. Gli oggeui
per me, non ha bisogno di nessuna interpretazione. In di giada qui riprodotti
breve: il simbolo - in quanto simbolo - non è oggetto di appartengono alla cultura
di Liangzhu, periodo
ermeneutica. Non si può interpretare un simbolo: con che Neolitico, fra il 3000 e il
cosa lo si interpre[erebbe? In realtà, nel simbolo non c'è 2000 a.C. Entrambi sono
distanza interpretativa. Per questo il simbolo non è erme- stati rinvenuti durante gli
scavi condotti nel 1986 a
neutizzabile. Fanshan, provincia dello
Diamo un esempio. Se diciamo a un bambino: «Il corpo, Zhejiang, e si trovano
figlio mio, rappresenta lo strumento vitale attraverso cui si all'Insritute of Archaeology
and Cultura! Relics Bureau
manifesta l'anima, la materia unificata in te e che forma il
dello Zhejiang. I nomi bi
tuo essere ...», il povero bambino che, prima, capiva un po' e cong li troviamo nei testi
che cosa fosse il suo corpo, ora si sentirà perso perché ciò rituali del 300 a.C.

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che pensava di poter afferrare con le sue mani è diventato TI simbolo non spacca la realtà, non la divide in un
problematico ed elusivo e dipende da termini come «ani- simbolizzato e un simboleggiante. Questa referenzialità
ma», «essere», «materia» e altro. Il bambino ha perso così estrinseca è ciò che costituisce il segno: la freccia e la
ogni contatto con il suo corpo. Per capire il mio discorso, il bandiera, per esempio, sono per così dire, i significanti
bambino deve entrare prima nel mondo dei concetti di una («simboleggianti»); la guerra e la patria sono i significati
determinata civiltà. Ciò con cui spiego il significato di «sim- («simboleggiati»). Supponiamo però che io identifichi il
bolo» è, evidentemente, qualcosa di precedente al simbolo significante con il significato e che dia fuoco alla ban-
e che accetto senza che siano necessarie ulteriori spiegazio- diera per fare un affronto alla patria. Questa azione mi
ni. Se ho bisogno che me lo si spieghi, avrò bisogno anche manderà in carcere, ma la patria non sarà certo in fiamme
di qualcosa che possa servire da fondamento alla spiegazio- perché io ho dato fuoco solo a un segno. Non è questo il
ne. I simboli sono i mattoni ultimi con i quali è costruito caso del simbolo: non appartiene a un ordine epistemico.
l'edificio della realtà. Quando il simbolo ha bisogno di una
spiegazione è perché è finito: ha cessato di essere simbolo. Il simbolo è il simbolizzato nel simbolizzante
Il simbolo o lo si capisce o non lo si capisce; o stiamo in
lui o non vi stiamo. Se abbiamo bisogno di una spiegazio- Quale è dunque la relazione tra simbolizzante e sim-
ne, vuol dire che ci appoggiamo su qualcosa di ancora più bolizzato? Il simbolizzato non è la cosa in sé (come dice
fondamentale del proprio simbolo. Quando cominciamo a Kant) nascosta nelle apparenze del simbolo; non è qual-
cercare prove dell'esistenza di Dio, Dio si trasforma in un cosa che sta nel simbolo; non esiste nessun'altra realtà
concetto, forse probabile o provato, ma cessa di essere un alla quale io possa arrivare attraverso il simbolizzante.
simbolo vivo. San Tommaso, detto tra parentesi, non volle Ciononostante esiste una polarità tra il simbolizzante e
provare l'esistenza di Dio, ma la razionalità di quella cre- il simbolizzato. Il simbolo è quello che mantiene tale po-
denza. larità.
Il simbolo, dunque, non è oggetto di ermeneutica, non Faccio un esempio: «il mio corpo è il simbolo del mio
si lascia interpretare. Il simbolo è tale per definizione o, se essere, è il mio simbolo». In questo caso il mio viso, i
si preferisce una descrizione fenomenologica: ciò (quello) miei occhi, i miei abiti, i miei gesti, sono il simbolizzante
mediante cui cerchiamo di interpretare il simbolo è precisa- e gli altri conoscono me, il simbolizzato, tramite questo
mente simbolo per noi; è ciò su cui, in realtà, ci appoggiamo simbolo. Se però identifichiamo il simbolizzante con il
senza necessità di cercare più oltre o di chiedere «perché?». simbolizzato e pensiamo che io sono solo ciò che vedo-
Voglio dire che l'apertura al simbolo appartiene a una co- no gli altri, sbagliamo perché io sono stato bambino, poi
scienza simbolica sui generis; non può essere frutto di un ra- giovane e sarò altro ancora e perciò non mi si può identi-
gionamen to, deve essere qualcosa al cui cospetto si cade in ficare con ciò che si vede ora, con ciò che il mio simbolo
estasi, qualcosa che «sta lì»; che sta lì ma anche qui. Proprio rivela ora. Se però, d 'altro canto, pensiamo che ciò che
per il fatto che non sono cosciente né della sua oggettivi- stiamo vedendo è una specie di burattino che ospita la
tà né della sua soggettività, non mi serve altra spiegazione. mia anima o il mio vero io, sbagliamo ancora una volta:
Quando provo un dolore, credo sia oggettivo e quindi vado se mi tagliano la testa, simbolizzante e simbolizzato van-
dal dottore. no in pezzi. Non è, dunque, che io stia nel mio corpo in

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modo più o meno indipendente e che sia separabile da Gradi epùtemici
esso. Non vi è dualità: io non sono altro (alius) che il mio
corpo, non me ne posso separare; se lo abbandonassi ces- A questo punto sarà però opportuno precisare che, oltre
serei di esistere. Ciononostante, non sono nemmeno solo a non essere segno, il simbolo non è nemmeno esempio, né
il mio corpo; il mio corpo è il mio simbolo. La coscienza similitudine, né metafora, né parabola. Tutto questo richie-
simbolica è quella che, nel riconoscermi come simbolo, de una serie di distinzioni che dobbiamo chiarire per non
riconosce che io sono il mio simbolo. Il che vuol dire che cadere in confusione.
io sono al contempo meno, più, diverso, altro, di un sim- Dobbiamo stabilire una distinzione precisa - nell'ordine
bolizzante contenuto da un simbolizzato dal quale non di una univocità decrescente o di una polisemia crescente
può separarsi e con il quale non può identificarsi. - tra il concetto (che rende ad essere univoco perché, se
È la coscienza intuitiva (che tutti i bambini posseggo- incontriamo qualcosa di simile facciamo una distinzione
no) che fa dire «ques to è il mio simbolo» senza identifi- e creiamo un altro concerto per evirare equivoci), I'esem-
carmi con il simbolo stesso. Si arriva però al simbolizzato pio, la similitudine, la metafora (che distinguo in metafora
nel e tramite il simbolo e questo simbolizzato non è in- esterna e metafora interna), la parabola (che non dev'es-
dipendente, né separato né separabile dal simbolo, senza sere confusa con la metafora) e, infine, il simbolo. Da un
per questo essergli identico. Io, infatti, sono il «mio» sim- punto di vista antropologico sarebbe un movimento dal
bolo e simbolizzante e simbolizzato sono due astrazioni logos al mythos. Solo il simbolo appartiene all'ordine on-
della realtà la quale, a sua volta, è previamente simbolica. tologico; gli altri appartengono a quello epistemologico.
l simbolo è quello che ci permette di spiegare l'idola- Per non allontanarci dal nostro terna ci soffermeremo solo
tria: idolatria è quando penso che il simbolizzante (che sul simbolo.
può essere l'eucarestia, per esempio, o una pietra) è il
simbolizzato. Da qui l' idolatria che porta poi al dogmati- La comunicazione simbolica
smo, al fanatismo e ad altri «ismi». Il simbolo è tale solo
per coloro per i quali è simbolo. Detto ciò, come parlare del simbolo? Come si può comu-
nicarne la vivenza? Ci troviamo di fronte ad una difficoltà
Alcuni princìpi reale perché ogni linguaggio è già condizionato da una vi-
sione particolare e perché tutte le parole portano seco un
Che fa dunque il simbolo e quale è il suo veicolo? magma mitico che è quello che le combina in modo che
Propongo qui uno schema: lo strumento del logos è il con- abbiano un significato (nelle diverse eccezioni di questo
cetto; lo strumento del mito è il simbolo; il veicolo del lo- vocabolo). Potremmo ricorrere alla parola «intuizione»:
gos è la ragione; il veicolo del mito è la fede; l'espressione intuizione del simbolo? Nemmeno, se per intuizione s'in-
del logos è la scienza (nel senso più ampio della gnosis); tende qualcosa che viene dal di fuori. Forse «esperienza»:
l'espressione del mito è il rito. esperienza del simbolo? No, se per esperienza si intende
Non sono però, queste, resi delle quali possiamo par- soggettività. Come esprimerlo? Mi viene in mente la pa-
lare ora perché svilupparle ci porterebbe ad andare oltre rola vivenza (Erlebnis in tedesco) che, in francese, si suole
i limiti di questo testo. tradurre con «expérience vécue» (esperienza vissuta), ma

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questa traduzione non rende tutto il senso della parola significa che è il simbolo che ci fa pensare, che scatena la
perché il «vissuto» è già passato, mentre vivenza sta a si- nostra attività pensante, posso, almeno in certa misura, es-
gnificare una partecipazione alla vita di cui io non sono il sere d'accordo. Il simbolo ci fa pensare ma è anche, pro-
proprietario... Ed ecco qualcosa di molto importante: su- prio, quello che ci libera dal pensiero e che fa sì che esso,
perare il principio di proprietà che è il principio sacrosanto a questo livello, non sia più necessario. Il pensare è, senza
di tutta la tradizione giudeo-cristiana. Tutto il decalogo, alcun dubbio, necessario. Ma il simbolo ci libera da questo
per esempio, altro non è che una esegesi del principio di costante pensare. Di farro proprio Ricoeur, forse per evitare
proprietà: ci sono molti Dei, nessuno lo mette in dubbio, malintesi, dice anche che il simbolo d'abord donne à parler
nemmeno la Torah, tuttavia «io sono il tuo Dio»; ci sono (primo, dà da parlare).
molte belle donne, ma «la tua donna è la tua donna»; ci Può darsi che il simbolo liberi il pensare ma, come si di-
sono dappertutto tante vacche, ma «la vacca del vicino ceva al principio, in direzione esattamente opposta: non è
non è tua». Ci sono tanti popoli, ma «tu sarai il mio popo- che io vada al simbolo, è il simbolo che mi libera, che mi
lo!» È unilaterale e ristretto, anche se geniale. Si crea un ispira e mi assorbe, quello che mi libera dalla mia riflessività
ordine. e, nella misura stessa in cui mi lascio portare dal simbolo,
lvfioltuo: è l'esege-Si più perfetta del principio di pro- il simbolo si fa reale. Se il simbolo ci desse la materia per
prietà. Ciò che conta è il mio e il tuo, il suumcuique Oo pensare, ci porterebbe alla schizofrenia perché il simbolo,
conoscevano anche i latini!). Chiudiamo però questa pa- per sua propria costituzione è polisemico, e non possiamo
rentesi e torniamo al nostro discorso. Queste riflessioni pensare contemporaneamente pensieri diversi senza cade-
sui termini intuizione, esperienza e vivenza sono dovute re nella schizofrenia. Ogni simbolo, poi, ha innumerevoli
al tentativo di rispondere alla domanda formulata: «come significati. Non si può interpretare il simbolo perché esso è
comunicare un approccio al simbolo?». In realtà, però, la per sua natura polisemico (anche se il termine «polisemico»
parola «approccio» forse non è adeguata. Chi si avvicina a è troppo distributivo dal momento che vuol dire che ci sono
chi? Sono io che mi avvicino al simbolo o è il simbolo che molti significati e che io posso «calcolarne» il denominato-
si avvicina a me? Non si darà magari il caso che ci scopria- re comune per affermare poi che il simbolo significa, più o
mo parte del dinamismo dello stesso universo simbolico? meno, questo stesso insieme di significati). Il simbolo non
significa nulla. O, per meglio dire, il significato del simbolo
Il simbolo non è oggetto di pensiero deriva dalla nostra partecipazione al simbolo. Se mi avvici-
no al simbolo lo distruggo. Ciò che posso fare è ascoltare il
In Paul Ricoeur ricorre una frase a mio avviso significa- simbolo, lasciare che parli. Il simbolo libera il mio pensiero
tiva ma ambigua: le symbole donne à penser (il simbolo dà perché lo libera. Certo, in tal senso, il simbolo dà da pensare,
da pensare). Se questo significa che il simbolo ci fa pen- ma non mi fa pensare alla cosa in sé. Possiamo discutere la
sare nel senso di «pensare a qualcosa», a qualcosa che <<Si nozione di simbolo o discutere sul simbolo, ma non possia-
deve pensare», non sono d'accordo. Quando io penso il mo discutere il (un) simbolo. Se il simbolo è vivo, ovvero se
simbolo ne sono già fuori. Il pensare corrode e distrugge il simbolo è tale per noi, può essere una data cosa per me
il simbolo trasformandolo in oggetto (pensato). Il simbolo e un 'altra cosa per un altro e quanto è più ricco e vivo, più
si trasforma in oggetto del mio pensiero. Se, al contrario, cose consente di pensare.

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Quando il simbolo è vero simbolo, e non mero segno bolica, porremmo dire che si tratta di un rendersi conto intel-
o il rivestimento esterno di un concetto, vuol dire moire lettuale senza conoscenza di se stesso. Si porrebbe forse far
cose; l'errore però sra nella direzione dalla quale ci si awi- ricorso al linguaggio mistico e chiamarla awerrenza spiritua-
cina al simbolo, perché non sono io che debbo avvicinar- le simbolica o, semplicemente, avvertenza simbolica. Dicevo
mi al simbolo: è piuttosto il simbolo che deve awicinarsi a che la coscienza che conosce se stessa e la coscienza senza
me. Se lo lascio avvicinare, il simbolo scatenerà la mia vira, conoscenza di se stessa appartengono ambedue allo stesso
il mio amore e anche il mio pensiero. Ho parlato altrove genere, anche se in grado diverso; è la mia stessa coscienza
della nuova innocenza2. che, a un dato momento, può aver conoscenza di se stessa e
Si comprenderà forse meglio, ora, perché ho parlato del la riflessione è questa conoscenza della coscienza.
mito quale strumento del simbolo: il mito, come si sa, non è Dunque, noi non parliamo qui di questa coscienza, ma di
oggetto di pensiero. qualcosa che si suole chiamare coscienza. Dobbiamo fare
un distinguo. In effetti si chiama coscienza anche la coscien-
La coscienza simbolica za morale, anche se la coscienza morale (Gewissen o con-
science) è qualcosa di diverso dalla conoscenza (Bewusstsein
Voglio chiudere questa prima parre con una domanda: o consciousness).
che cosa è o come porremmo descrivere quella che abbiamo Stiamo parlando ora di una coscienza che è un risvegliarsi
chiamata coscienza simbolica? di ciò che la tradizione orientale indica col precetto: «siate
Anche in questo caso dobbiamo prima riflerrere sulle pa- svegli e non pensare a nulla». Debbo precisare che non si
role. In inglese esistono due termini: awareness e conscious- trarra nemmeno del concerro dell'attesa della grazia dato
ness che non corrispondono a coscienw e conoscenza. Non che, se aspettiamo qualcosa, vuol dire che ne siamo fuori.
si tratta di una conoscenza simbolica ma di rendersi conto La coscienza alla quale mi riferisco non aspetta nulla, non
della presenza che abbraccia la realtà simbolica di cui noi pensa a nulla, non chiede nulla. Si tratta, se vogliamo, di
stessi siamo parte. La definirei esperienza simbolica. una coscienza pura. È un awerrire diretto, quasi un «ren-
Questa esperienza simbolica non può trasformarsi in rifles- dersi conto» che possiamo forse chiamare esperienza. Ma
siva senza perdere la sua stessa natura, mentre la coscienza non è un pensare. Può forse essere speranza ma non è atte-
può essere coscienza riflessa senza per questo mutare natu- sa, perché non riguarda il fururo.
ra: la coscienza riflessa continua ad essere coscienza, men- Come ho appena detto, è un risvegliarsi che forse era in
tre l'esperienza simbolica riflessa cessa di essere esperienza linea con ciò che Kant, nel campo dell'estetica, chiama «ri-
simbolica. Basca ricordare che, fin da Aristotele, la coscienza flessione», cioè quella adesione non categorizzante, che tut-
pura è stara definita noesis noeseos, vale a dire coscienza del- tavia dà significato a ciò che si vive. Sarebbe qualcosa simile
la coscienza. La coscienza simbolica, però, non è di questo all'estetica trascendentale kantiana che non si riduce co-
tipo e, ancora una volta, ci mancano le parole per esprimerla munque a un problema di estetica, ma è piuttosto un modo
perché ci manca anche la cristallizzazione di una esperienza di essere della vira cosciente. In tal senso, possiamo ricorre-
culturale sufficien temente forre da ispirare queste parole. È re all'esempio kantiano del cielo stellato che sta sopra il mio
qui che si fonda il lavoro e anche la creatività di un vero capo e dire che non esiste differenza era il cielo e me: io sono
incontro interculturale. Tornando alla nostra esperienza .rim- qui e, per ciò stesso, mi entusiasmo, provo una specie di

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estasi serena perché non ho bisogno di uscire da me stesso, bene e non con quelli che fanno il male, Dio cessa di esse-
dal momento che la cosa non sta fuori di me. Questa espe- re un simbolo per ciascuno di loro: diventa un concetto,
rienza è sia ens-tasis sia ex-tasis, interna ed esterna. Questa perfettamente valido nel suo ordine, ma non è più simbo-
esperienza è la visione del simbolo, una visione che non ti lo. Il «Gott mir uns» («Dio con noi») è simbolicamente
consente di stare né fuori né dentro, che non consente né la contraddittorio nel momento in cui con questo vogliamo
conoscenza soggettiva né quella oggettiva. Per questo, un dire che «Dio non sta con noi». Quando pensiamo il sim-
simbolo senza amore, senza simpatia o, per dirla in termini bolo, esso svanisce e quando cerchiamo di sapere ciò che
più sociologici, senza partecipazione, non è un simbolo. Se significa il simbolo, esso comincia a dissolversi. La lingua
toccando il simbolo non rocco me stesso, non è un sim- parlata è più saggia. Si chiede che cosa voglia dire un sim-
bolo. C'è un simbolo solo quando stiamo e non stiamo in bolo. O meglio, che il simbolo dice, parla, e che io posso
esso, perché c'è ancora dell' altro. ascoltarne la parola se penetro in ciò che la parola vuol
dir(mi). A questo proposito ricordiamo il ben noto afori-
I;esperienza simbolico sma: «quando ti chiedi perché mi ami, hai già smesso di
amarmi»: l' ultimità dell'amore è stata sostituita dalla ra-
Nell'esperienza cui facciamo riferimento non c'è un gione espressa nel «perché?». Il valore del simbolo è que-
ritorno alla polisemia owero ai «molti significati» che si sto: esso ci permette di sapere che non abbiamo perduto
suppone costituiscano la ricchezza del simbolo perché, in del tutto l' innocenza.
realtà, benché i significati siano molti, in certo qual senso L'esperienza simbolica è, inoltre, un segno che non è
il simbolo è singolo, proprio nella pluralità dei suoi signi- egocentrica (e intendo questa parola non in senso morale
ficati e se dividiamo il simbolo, ne perdiamo il centro e ma nel suo significato letterale). Il centro dell 'esperien-
il simbolo scompare. Se si pretende di avere il monopo- za simbolica non sono io; il suo centro di gravità non è il
lio di un simbolo, affermando che un particolare simbolo mio ego psicologico. L'esperienza simbolica non dice «io
(come potrebbe essere Dio, l'Eucarestia, il corpo, e così capisco, io non capisco»; questo modo di esprimersi vale
via) significa ciò che io credo significhi, il simbolo muore. per il pensiero. L'esperienza simbolica è piuttosto una co-
Cessa di essere simbolo anche se può essere un concetto scienza che si rende conto che «io sono in lui, io non sono
personale perfettamente valido o una posizione filosofica in lui». Il centro di gravità del simbolo non sta nella mia
esplicita, ma non è più simbolo perché, se veramente è interpretazione anche se so che la mia interpretazione è
un simbolo, io non posso esserne il proprietario. Inoltre, unilaterale. Da ciò deriva l'importante conseguenza che
quanto più grande è un simbolo, tante più probabilità pre- possiamo entrare in comunicazione con il simbolo senza che
senta di avere non solo una molteplicità di oggetti (semi: le nostre interpretazioni debbano necessariamente essere le
polisemia), ma anche di soggetti che reclamano il diritto stesse. Questa diversità delle interpretazioni di uno stesso
di valersene. Un simbolo, dunque, può essere vivo in alcu- simbolo non è una povertà del simbolo (come, in fondo,
ne epoche e morto in altre. Quando si fanno nel nome di fosse meglio che tutte le interpretazioni concordassero),
Dio (anche se contro di lui) la guerra e la pace, il bene e il ma ne costituisce invece la ricchezza.
male, Dio è un simbolo. Quando Dio sta solo con quelli Il simbolo non consente quindi una metodologia uni-
di destra o con quelli di sinistra, con quelli che fanno il voca: non consente altro che la relazione personale per-

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ché io (psicanalista, guida spirituale o altro) dirò A al minciamo a pensare cose (non pensieri), esse si ritraggono
primo interlocutore e B al secondo, pur facendo riferi- e finiscono con lo scomparire: diventano concetti. Se non
mento a un problema che sembrava identico in tutte e penso a Dio, Dio può essere reale; se non penso all'anima,
due i casi. E se non sono capace di dire A, B, Ce così via, se non penso a mia moglie, se non penso al mio gioco, e
nei confronti di uno stesso problema, altro, non sono che così via ... , le cose funzionano da sole 1 Il pensiero è neces-
una macchina, un computer. Questa ambivalenza, questa sario, ma bisogna contenerlo nei suoi limiti.
polisemia, costituisce la ricchezza stessa del simbolo. Io
non posso dire A, B, Ce così via, se non entro in relazio- Il ruolo della riflessione
ne simbolica con l'altro in modo cale che le mie risposte
siano assolutamente imprevedibili: se ho un minimo di L'esperienza simbolica non è riflessivamente cosciente:
coscienza simbolica non posso sapere ora ciò che dirò poi sarebbe una contradictio in terminis. Abbiamo già detto
o quale sarà la mia reazione. La relazione personale si sta- però che ci sono varie coscienze e che ancora ci manca la
bilisce quando ambedue gli interlocutori obbediscono al parola in grado di definire l'avvertenza alla quale mi ri-
simbolo che li unisce. ferisco qui. Si tratta di un altro tipo di apertura al reale
Può essere pertinente un esempio dell'estetica. La parte che, fondamencalmence, si distingue perché ha superato
più ampia e importante dei concerti classici, in India, di il principio di proprietà privata, del mio, e così via.
solito è quella che introduce la parte centrale. Questa in- TI mio pensiero è mio e potrei arrivare a dare la mia
troduzione è un dialogo tra le «vibrazioni» del pubblico e vita per lui e, anche se qualcuno mi convincerà di qual-
quelle dell'artista e può durare molto più a lungo del con- cos'altro e mi farà cambiare opinione, resterà sempre il
certo formale. La difficoltà maggiore consiste nello stabili- mio pensiero. Al contrario, il simbolo non è il mio simbo-
re tale relazione. Il centro di gravità non può essere in me lo, la coscienza simbolica non è la mia coscienza simboli-
(maestro, paziente o che altro) o nella cosa (nella statua, ca. Io sono nella coscienza simbolica, ne partecipo; nella
nella patria, e via di seguito). Il centro di gravità sta nella coscienza simbolica il responsabile, per così dire, non è
partecipazione alla stessa coscienza simbolica. Questa co- la mia interpretazione della coscienza simbolica, ma è
scienza simbolica, però, non è una coscienza di tipo logico ciò che si impadronisce di noi e ci avvolge.
e, quindi, non è necessario essere tutti d'accordo, non è Sto cercando di descrivere questa coscienza simboli-
necessario dire: «ci comprendiamo». Al contrario, quando ca a spese del logos, della ragione. Ma qui non si tratta
comincia a verificarsi unanimità concettuale proprio allo- di una concorrenza tra i due. Si tratta di aprire l'uomo
ra il simbolo comincia a scemare. Credo che cune queste non solo alla dimensione gnoseologica o epistemologica,
affermazioni possano tradursi in prassi. Proprio per que- ma anche a questa dimensione di coscienza che è tale in
sto ho detto che i simboli sono dei mattoni che costitui- quanto appartiene all' ordine della coscienza, senza però
scono il mito nel quale viviamo e il cui veicolo è la fedeJ. appartenere alla conoscenza epistemica.
L'esperienza simbolica, sempre per lo stesso motivo, per il Tutto ciò risulterebbe forse più facile se invece di
fatto, cioè, di non essere di tipo logico - non è riflessiva: addentrarmi in queste disquisizioni parlassi della luna
non si può riflettere su di sé. Conosciamo tutti, per nostra non per fare della poesia, ma per far sorgere dal simbo-
esperienza, la forza corrosiva del pensiero. Quando co- lo-luna l' esperienza di tutto ciò che stiamo dicendo. Per

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l'astronomo la luna è un corpo celeste più o meno opa-
co; per i cani pare avere una considerevole importanza
(come possiamo constatare tutti durante il plenilunio o
le eclissi); e così pure la luna ese rcita una indiscutibi-
le influenza sui poeti, sull' agricoltura e sulle donne. In
questo caso non si tratta del concetto «luna», del corpo
astronomico, ma bensì del simbolo «luna». Accade che,
avendo separato le funzioni della luna, abbiamo perso la
ricchezza del simbolo.
Abbiamo molti concetti di «luna» ma a scapito del
simbolo luna.

La relatività del simbolo

Potremmo forse attribuire al simbolo il nome di «.rela-


zione», sempre e quando teniamo presente che l'impor-
tante della relazione non sono i poli della relazione ma la
relazione stessa. Che, cioè, la stessa relazione è centrale,
prima dei «relati.», ovvero che i poli della relazione sooo
frutti della relazione stessa. Ciò che è fondamentale, è che
la relazione sia idonea in quanto relazione. Or dunque, in
generale, l'espressione «relazione tra te e me», vuol dire:
«io sto qui, tu stai là, e tra di noi esiste una relazione più o
meno profonda». Nel caso di cui ci occupiamo, si tratta,
invece, del contrario: la relazione è primaria ed è quella
che ci costituisce in un tu e in un io. In questa relazione
ci sei tu e ci sono io. Il simbolo è questo: una relazione
vissuta.
Arrivati a questo punto, dobbiamo parlare di un proble-
ma centrale e desidero farlo non solo con molta cautela,
ma anche con molta umiltà e con un carattere di «prov-
visorietà». Abbiamo detto che tra il difendere il soggetto
assoluto (kantiano, hegeliano, vedantico) della coscienza
e l'optare per le monadi leibniziane della «coscienza mia,
3. Rilia'O di un graffito rupestre situato nel Capito] Reef National Parie dello Utah , USA.
Si tratta di un graffito della cultura Fremont (950-1200). dunque prima del contatto con gli Europei. tua ... , di ciascuno di noi», esiste una via di mezw che è
Due figure umane osservano degli astri, due mezze ]une e due cerchi concentrici. proprio quella che rende possibile la coscienza simbolica.

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Credo che si possa parlare, da una parte, di una coscienza Noi stessi, in quanto pensiamo i pensieri, siamo parte
che mi coinvolge e della quale non sono padrone e, dall' al- del pensiero e, quindi, questo pensiero va formandosi così
tra, di un io pensante che è come un lampo della coscien- come noi l'andiamo pensando. lo non solo debbo ascol-
za. Ciò che fa sì che io mi veda come un io e non come un tare questo pensiero che, più o meno, sta già ll, non solo
frammento del rutto, è il farro che, in questa esperienza, debbo essere in armonia con lui, ma debbo anche creare
io mi sento creatore. Se fossi solo un frammento del rutto e fare, debbo essere il latore della mia iniziativa, del mio
accetterei la mia impotenza di fronte alla realtà così come punto di vista, pur conscio che questo mio punto di vista
mi si presenta. Al contrario, nella prospettiva alla quale mi ha valore in quanto esiste un altro che a sua volta ha il
riferisco qui, la realtà è simbolica e io ne sono partecipe proprio punto di vista.
al contempo come attore e come spettatore. Ciò vuol dire Consentire che la verità salti fuori, parli, non ha nul-
che la relazione interpersonale è molto più che una mera la a che vedere col desiderio di catturare o «agguantare»
«relazione tra sostanze». È, piuttosto, la propria relazione ciò che ancora non abbiamo formulato, ciò che sra ll e
quella che crea questo ambito di libertà nella quale si ori- ha bisogno del nostro intervento per una più adeguata,
gina la relazione e del quale non siamo padroni né io né più precisa e concreta formulazione; è quasi il contrario:
l' altra persona. In tal senso la coscienza simbolica è una consentire che «scaturiscano le acque» quasi in una specie
coscienza che non ha soggetto: io non sono il soggetto per- di espansione della realtà. Non è il pensiero che va ali' es-
ché l'altro non è l'oggetto. Lo schema soggetto/oggetto è sere, è l'essere che parla e noi, nel recepire, nell'ascolrare
qui superato. Per un cerro pensiero logico o dialettico (lo questo «parla», lo pensiamo. L'artista conosce (sa) rutto
chiameremo così anche se questi termini possono assume- questo, i pensatori invece l'hanno dimenticato. Hanno
re diversi significati) o per il pensiero della ragione questo dimenticato che l'ispirazione è opera dello Spirito e che
superamento manca di senso: deve esserci un soggetto, un lo Spirito non si lascia ridurre a logos. Mentre, perciò, il
predicato, un oggetto. Questo superamento ha senso solo pensiero logico ha le sue leggi (se non le avesse, sarebbe
per il tipo di conoscenza al quale ci riferiamo. la confusione totale), l'atteggiamento cui noi ci riferiamo
Per dirlo in altro modo: i pensieri sono anteriori a co- non ha legge e, quindi, è pura libertà e sorpresa radicale;
lui che pensa. O , per meglio dire: coloro che pensano fan- al contempo, è tremendamente vulnerabile perché non ha
no parte del pensiero. Colui che pensa occupa un posto nessun custode, non offre nessuna garanzia, non c'è alcun
imporrante perché è parre del pensiero che in lui fluisce. criterio che le stia al di sopra e che possa dirci: «questo è
Poniamoci, dunque, in modo tale che possa sorge.re un ciò che bisogna fare ...». Non c'è una guida!
pensiero che non appartenga solo a me e che, quindi, non
sia il mio pensiero esclusivo. Precisiamo questa osserva- La realtà è simbolica
zione: pensiamo i pensieri che già sono ll, in statu nascendi
che non abbiamo creato noi ma che abbiamo contribuito Abbiamo detto più sopra che «la realtà è simbolica» e
a crea.re. Dobbiamo adotta.re un atteggiamento ricettivo, che è tale perché anche noi, in quanto esseri consapevoli,
femminile, non so se dire passivo, per consentire che l' es- siamo in lei. Ma non siamo in lei in quanto «realtà cosifica-
sere si esprima, che la realtà parli in e tramite me, in e ta», ma in quanto res nel senso etimologico (res, oltre che
tramite gli altri (dato che io non sono l' unico portavoce). cosa, significa parola). La realr.à non è unicamente ogger-

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riva: in questo senso, la realtà è simbolica. In quanto essere tre, di tornare indietro o frenare la crescita (anche se siamo
intelligente, io sono reale proprio perché capisco. Ciò che d'accordo che lo sviluppo del pensiero è eccessivo come
consente un ambito di tolleranza è il fatto che io sono il quello dei dinosauri). Si tratta piuttosto di aver conoscenza
mio simbolo e che, al contempo, non mi identifico con lui. dei princìpi che sono già nostri, si tratta di una visione-me-
Questa relazione, questa polarità è costitutiva. Per questo tafora, si tratta di uno stare nella realtà, secondo una forma
non possiamo manipolare il simbolo e, se cercassimo di far- di conoscenza che non faccia violenza a questa stessa realtà.
lo, ci scotteremmo le mani. Per questo ho scritto in altra
occasione che il vero parlare è un cantare. I.A temporalità
Parlare della realtà è un cantare, un essere in armonia.
L'armonia è fondamentale: la salute, anche la salute del cor- Tornando alla coscienza simbolica, va aggiunto che essa
po, è «essere in armonia» con se stessi, con l'ambiente che è partecipativa, forma aperta e «costruzione di forme» e,
ci circonda, con il cosmo, e anche con il divino. Per questo anche, coscienza temporale, coscienza della temporalità, di
è un «cantare». Questo essere in sintonia, però, non può es- una temporalità che è qualcosa più del passare dal passa-
sere riflessivamente cosciente né voluto. Se vogliamo balla- to/al presente/al futuro: non intendo però sviluppare ora
re, dobbiamo far sì che la musica si impossessi di noi e arrivi questo tema. Voglio dire che non esiste coscienza simbolica
fino ai nostri piedi e poi, senza pensarvi, i piedi balleranno e senza coscienza spazio-temporale. La coscienza simbolica è
noi con loro. Vuol dire, questo, tornare a un primitivismo, a sia diacronica sia sincronica ed è una coscienza del tempo
una pura spontaneità? Non credo. Significa piuttosto supe- che non è quella dell'«oggi, domani, dopodomani».
rare il riduzionismo sia della conoscenza puramente razio- Dobbiamo sottolineare anche che il pensare e il parlare
nale (e riflessiva), sia di un'antropologia separatista, quasi non possono essere separati. Non si tratta di escludere l'uno
che l'uomo sia tale senza una relazione costitutiva col mon- o privilegiare l'altro perché, in realtà, il pensare e il parlare
do e con Dio. E, da Aristotele, in Occidente si parla di mi- «convivono» nella persona e nella relazione. Detto in altro
crocosmi e del fatto che tutto è racchiuso nel microcosmo; i modo: quando l'essere si proietta verso il futuro e crea, par-
latini parlavano del carattere speculare dell'essere umanano la; quando l'essere si volge al passato e riflette, pensa. Vale a
(speculum di tutta la realtà). dire che il parlare e il pensare, sono, assieme, questa mani-
Si è detto che, così come i dinosauri raggiunsero dimen- festazione dell'essere sia sincronica che diacronica.
sioni eccessive, anche noi abbiamo sviluppato esagerata-
mente il pensiero. È certo che esiste un cancro del pensiero I.A trasparenw
e tuttavia il suo sviluppo continua ad essere qualcosa di im-
portante e necessario. L'alcolizzato sa molto bene che non Abbiamo detto che non esiste interpretazione possibile
dovrebbe bere, che bere gli reca danno: il suo pensiero è del simbolo perché è il simbolo stesso che interpreta. Va
perfetto (almeno prima che cominci a bere). Dire che «il aggiunta ancora qualche considerazione sull'interpretazio-
pensiero è chiaro, ma la volontà è fiacca e debole», è un ne. L'interpretazione, evidentemente, non esaurisce nulla.
discorso moraleggiante e poco profondo. Asserendo que- Questo mi riporta al primo passo dell'analisi della coscien-
sto, non pretendo di disprezzare il pensiero, ma scoprirne i za simbolica. Possiamo far riferimento a una nozione del
limiti all'interno dell'ordine esistenziale. Non si tratta, inol- Medio Evo occidentale, quella del vestigium che è stata

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recuperata da Lévinas con il concetto della traccia (trace).
L'uomo scopre tracce che gli consentono di andare avan-
ti. I:interpretazione è interpretazione delle tracce «da de-
tective». Queste tracce però non raggiungono la realtà,
non mostrano chiaramente ciò che stanno a indicare. Sono
vestigia di qualcos'altro che non si è visto. La vestigia può
essere l'orma dell'animale che ha lasciato le sue impronte,
ma può essere anche il simbolo di qualcosa d'altro di cui si
conosce solo l'impronta che ha lasciato, «passando veloce-
mente». Il simbolo è simbolo del mistero. Ne consegue che
nessuna interpretazione esaurisce la realtà. Ancor meglio:
se esiste una coscienza simbolica deve essere qualcosa più
dell'immagine. Cosa può essere? Mi permetto di ricorrere
ad un' altra metafora: la trasparenw. La trasparenza è non
vedere una cosa perché stiamo al suo interno. Il simbolo è
trasparente: stiamo nel simbolo e perciò non lo vediamo. È
Il come il mito.
Il simbolo, però, è anche opaco ma questa opacità è
secondaria. La trasparenza è la nuova innocenw; può an-
che essere ciò che ci guida in un determinato momento: la
mappa del territorio è molto importante ma un amico che
ti prende per mano e te lo fa percorrere ti è più di aiuto di
qualunque conoscenza teorica. Che cosa è questa traspa-
renza? È questo il problema della coscienza simbolica in cui
non c'è né interno né esterno. !.A trasparenza ci interpreta.

!.A a.-dualità

4. !.:albero è uno dei simboli più diffusi in molte culrure, riproduzione semplificata di un affresco dell'ipogeo di Torniamo all'esempio del corpo. È stato detto che la
Thurmes DI a Tebe, in Egino, fine del XIV secolo a.C. J.:alhero, che ha un braccio a cui il faraone si sostiene, porge mentalità «primitiva» è monista perché in lei rutto è sim-
al faraone stesso una mammella perché possa nutrirsi di una linfa che solo il divino può dare. Uulien Ries)
bolico, tutto è corpo, rutto è Dio, natura, vita e così via. La
5 a; Dal Nord.Est brasiliano. una pittura rupestre che si ritiene rappresenti una scena rirua]e mentalità «moderna» pare essere piuttosto dualista: ci sono
a.nomo a un albero (area di Sao Raimundo Nonaco. il corpo e l'anima, l'apparenza e la realtà, ciò che si dice e
dove le rocce dipinte possono essere datate a panire da 12.000 anni fa). (Emmanuel /\nari)
ciò che si vuol dire, il segno e ciò che il segno significa, e
5 b: Albero con tronco antropomorfo. Pittura rupestre sita a Pahi, in Tanzania, opera di gruppi che vivevano così via. Ma il simbolo non è un segno. La differenza sim-
prevalentemente deUa raccolta di frutti spontanei (12- 10.000 anni fa). (Emmanuel /\nari) bolica non identifica nel simbolo il simbolizzato con il sim-

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bolizzante (per esempio, il mio corpo e io) ma nemmeno li
differenzia. Stabilisce una differenza sui generis. Questa dif-
ferenza non può essere pensata senza entrare in contraddi-
zione. L'ipotesi potrebbe essere questa: c'è un'apertura che
chiamiamo simbolo che non è né monista né dualista. Detto
altrimenti: io non posso stare fuori dal simbolo e nemmeno
dentro, perché, in tal caso, non potrei riconoscere la diffe-
renza simbolica.
Questa nuova esperienza del reale non è una teoria nuova
nel senso tecnico della parola, all'interno di una certa con-
cezione del mondo chiamato occidentale; è, piuttosto, un
nuovo cammino. In questa visione non esiste né interno/
esterno, né mio/tuo, né vero/falso, né soggetto/oggetto e così
via. Nell'ambito della coscienza simbolica tali coppie di op-
posti non esistono. Ma allora, che cosa c'è? C'è yin/yang,
più/meno (ma non in termini quantitativi). C'è una polarità
(penso a un'ellisse, non a un cerchio); c'è relazione o relati-
vità radicale (formula con la quale ho tradotto l'intuizione
fondamentale della cultura buddhista). Questa «relatività»
non ha nulla a che vedere con il «:relativismo» che è l' at-
teggiamento epistemologico secondo il quale «una cosa o
l'altra è lo stesso», atteggiamento molto prossimo a un cerco
scetticismo o agnosticismo. La «relatività radicale» sta a si-
gnificare, al contrario, che possiamo avere un giudizio per
ogni cosa, ma che esso resta all' interno di quella relatività
radicale che non ammette assolutismi. Vale a dire che non
c'è nulla in sé, che non c'è nulla che sia isolato. La coscienza
simbolica ci fa penetrare proprio in questa esperienza del
non-isolamento. È per questo che esistono un «più» e un
«meno», uno yin e uno yang; esiste relazione, polarità (e
dicendo polarità non voglio dire che vi siano poli). Per ciò
stesso, quando parlo di «dialogo dialogico» mi riferisco a
qualcosa di diverso dal «dialogo dialettico»: non si tratta
di chiarire due punti di vista diversi e che vinca quello che
impiega una dialettica più efficace. Nel «dialogo dialogi- 6. Mare Chagall, Abramo e; tn, angeli, olio su tela, 190 x 292 an, I 966, Francia, Nizza,
co» si penetra (e mi riferisco all'etimologia della parola: 1\<lusée narional Mare ChagaU.

40 41
dia-ton-logon), nel logos; non si tratta di un duologo, ma 2 . L'esperienza artistica
di qualcosa di più primordiale, di qualcosa che è un'ori -
gine. Nel parlare, il paradosso è che non esiste un parlare
individuale: chi ha parlato per primo? Come però dicono
i testi sacri dell'Oriente e dell'Occidente: «al principio era
la parola» vuol dire che Dio non è solo. Non esiste mono-
teismo assoluto: esiste la trinità o, come preferisco dire, la
realtà cosmoteandrica.

Che cos'è ciò che sta al termine della mia esperienza arti-
stica? Qual è l'oggetto proprio che mi svela l'arte? C'è una
sfera dell'essere, c'è una realtà, che resta velata alla fredda
considerazione della mia ragione e che mi si apre quando
mi avvicino ad essa con l'arte? Cos'è allora questa Realtà e
che rapporto ba con la Realtà che mi testimonia la mia in-
telligenza? O l'arte è il mondo della chimera che ci aiuta ad
alleggerirci del peso del nostro vivere ed esistere quotidia-
no, ma alla fin fine, irreale, sogno, chimera, illusione, un pa-
radiso che ci siamo forgiati stanchi di gravitare sul pianeta?
Che non risulti alla fine che abbiamo reso la vita più dura
di quello che è o che la mutiliamo per mancanza di audacia
intelle.cruale e di fiducia in Dio che ci ha creato tanto com-
plessi! Che mutiliamo il nostro essere uccidendo l'immagi-
nazione e i sentimenti!

I/problema

Triplice impostazione e maniera di awicinarci a esso: sto-


rico-culturale, artistico-personale, sistematico-filosofico.

•Senno inedito tto-.•ato fra le Nrte di f->anikbr, argomento cui inu:ndev:t probabilmente dedic:1re
un llUO\' O testo. Si è preferito l:tscfore la forma immediata delb prima stesur...

42 43
r - Storico-culturale
Esiste una miopia intellerruale, propria degli uomini se-
micolti, che consiste nell'assolutizzare la cultura del loro
tempo e del loro ambiente. Ma il mondo è molto più ampio
nello spazio e nel tempo.
Esistono moire altre visioni del mondo di quelle che vede
- o vive - un uomo medio che è nato in un appanamento,
in mezzo a una città.
Visione allegorica, mitica, mistica, religiosa, scientifica,
filosofica ...
E tutte danno ragione di aspetti diversi del mondo. L'er-
rore sta nell 'esclusivismo, nell'estrapolazione.
Il primitivo conferisce realtà - e vita - a quello che per
noi è ente di ragione e cosa inanimata. Possedere il nome o
l'immagine è possedere la cosa (Nome di Dio - Immagini -
Amuleti - Magia).
Il bambino colpisce il tavolo sul quale si è dato un col-
po, e lo chiama cattivo e brutto. Gli passa il dolore di una
caduta nelle braccia di sua madre. Questa foro~ mio papà.
Non rutto è incosciente illusione: gioca sulla spiaggia facen-
do castelli. Se glieli distruggono, piange; ma poi li disfa lui
e tornano ad essere sabbia.
Noi. Cade accidentalmente un'immaginetta e la baciamo.
Abbiamo paura, irrazionale e ingiustificata, di andare da
soli in determinati luoghi.
Passa questa tappa, il bosco parla, il cielo piange o ride, e
i colori esprimono sentimenti e tutte le cose sentono e vivo-
no. Non si concepisce una liturgia di Pasqua con ornamenti
neri, né un ufficio dei defunti con colore rosa.
Il mondo della scienza è l'opposto. Solo il misurabile ... Il
cielo è una cappa d'aria. I corpi elettroni, pacchi d'onda ...
lo scientismo. Quello che non si può misurare, non è.
Il mondo filosofico - nemmeno forse può essere comple-
to. Quello che non parla alla ragione non ha accoglienza in 7. La grande volta dei Bisonti Policromi di Altamira, Santillana del Mar, SP"gna, capolavoro del
l\,laddaleniano cantabrico. Si cratta della p iù complessa sab cli pittura delle grotte camabriche;
esso. Tutto può essere contenuto nella ragione? In quanto il cema evidenziato da Leroi-Gourhan prende in considerazione gli animali:
essere - analogicamente e imperfettamente, sì - in quan- i bisonti stanno a1 centro. mentre i cinghiali e i cavalli sono nei contami

44 45
to tale essere, no. I:infra-razionale (individuale), il soprara- sincero, quanto meno la sua arte sia una secrezione epi-
zionale (la sfera soprannaturale), il trans-razionale (le realtà dermica. Le due realtà appaiono come incompatibili. E
emotive e senàmentali), le sfuggono. I:arte parla di un mon- l'anima artista dell'idalgo della Mancha si lanciò contro
do sui generis ... quei mulini che agitavano le loro lance minacciose, con-
tro l'altra realtà che gli annunciava gridando il suo fedele
n - Artistico personale scudiero.
Tutti abbiamo un po' la sensibilità dell'artista. Anche Non tutti gli artisti lo hanno superato. Nietsche, Kleist,
l'uomo più prosaico. (I due finanzieri del treno di ieri che si Holderlin, romantici. È l'innamorato che va alla festa. Lei
emozionarono nel sentire una vecchia musica che un ragaz- non c'è. Al ballo non c'era nessuno, gli sfugge. Lei era per
zo suonava). lui tutta la realtà.
Ricordiamo - riviviamo - l'impazienza focosa dell'artista Di questa stessa crisi partecipano i filosofi, quando
nel plasmare in qualche matena (I:arte è vincolata al sensibi- vanno penetrando nel nucleo essenziale e recondito delle
le) gli assalti della sua intuizione, del suo senàmento... Que- cose. E tragicamente, gli idealisti.
sto qualcosa che l'artista ha dentro e che lotta per incarnare, Nel "contemplatore" estetico, questa lotta non è tanto
per dare alla luce, è la realtà artistica. tragica, ma porta alla separazione di 2 mondi: è un pecca-
to contro l' unità.
Triplice momento nella sua evoluzione:
a) Il momento creatore. Nei primi fervori, l'artista sente la c) Il superamento positivo della crisi. I:integrazione
realtà che produce, che crea. Il suo mondo è per lui la realtà. della realtà che l'arte ci svela nell'unica e autentica realtà.
Quando il musicista cerca le note ascolta la sua sinfonia La realtà è più complessa di quello che il senso volgare
interna. Quando Beethoven è gravido della sua nona sinfo- ci dice (ha un fattore immaginario, come ogni grandezza
nia non fa nemmeno caso a Goethe, che gli sarebbe tanto complessa ... ). Sì, il mondo dell'arte è reale. E per questo
piaciuto conoscere. c'è errore nell'arte, se non si adegua al reale. Per questo
Quando S. Giovanni della Croce dice per esempio: c'è inautenticità, falsità, malvagità, perché non è una pura
«Il mio Amato le montagne, chimera. Come lo scienziato e il filosofo, l' artista può er-
le boscose solitarie valli, rare, non per essere in disaccordo con loro, ma con la
le isole lontane, Realtà, con se stesso, in ultima istanza.
i torrenti sonanti
il sibilo dei venti amorosi: Certamente qualcosa è quello che il sentimento e l'im-
al suo Amato nelle montagne. maginazione - principali veicoli del!' arte - ci rendono pa-
Queste valli è il mio Amato per me». tente. Così come quello che i sensi ci testimoniano esiste
- dice nel suo stesso commento. in qualche modo, ugualmente awiene con la nostra ragio-
ne. Quello che il sentimento sente esiste anche fuori di
b) Lo scontro tra questo mondo e la realtà dura del vi- esso, anche se non nella maniera come lo sente.
vere quotidiano è la crisi dell'artista. Io questo scontro in- Qual è questa forma peculiare di esistenza, questo
terviene tutto il suo essere. E sarà più grave, quanto più aspetto della realtà?

46 47
m - Impostazione sistematica (filosofica)
Non abbiamo altro rimedio che ricorrere ad essa.
Primo, c'è solo una realtà. Per definizione, in virtù del
principio di contraddizione, dell'assioma cosmologico...
Ma questa realtà è complessa. Più ancora, non è che la
realtà si presenta ai nostri occhi come spettatori estranei e
disinteressati. Siamo immersi in essa. Siamo parte di essa.
E questo porta come conseguenza che non siamo il mo-
dello di questa realtà. Secondo, questa realtà è l'essere, quel-
lo che è. Dio è colui che è; ma anche la sua opera, la sua
creazione, è. E noi siamo una particella di questa realtà, che
possediamo - a differenza degli animali e dei corpi - la fa.
coltà di riflettere, di conoscere questa realtà totale. Ma non
la afferiamo: che ci sia un po' grande?
Non possiamo captarla in maniera totale, non l' afferria-
mo con un colpo d'occhio (come un assioma geometrico).
Non possediamo intuizione, visione intellettuale perfetta.
Ne deriva che l'uomo ricorre a tutti i suoi strumenti per
captarla.
Essendo immerso tra gli esseri, l'uomo partecipa di una
doppia corrente cosmica, centrifuga e centripeta: di tutti gli
esseri verso Dio, verso la sua perfezione, e di ricapitolazione
di tutti gli esseri in ciascuno di essi, d 'influenza eterna di
ogni essere sugli altri. Attività e impressionabilità. Il primo
movimento è quello della nostra tendenza, inclinazione, vo-
lontà. Il secondo è la conoscenza. Nel primo siamo trasci-
nati - sebbene liberamente a volte - dalla corrente cosmica
degli esseri. Nel secondo conosciamo e valutiamo il resto
dell'universo.
Non possiamo prescindere da nessuna forma. 1:intelle-
zione pura l'abbiamo poche volte. Le cose non si aprono a
volte alla ragione. Non possiamo disprezzare il sentimento.
Il sentimento e l'immaginazione sono i veicoli dell'arte;
ma non dimentichiamo che sono conoscitivi in quanto pos-
8. Georges Braque, Atelier m, 1949, olio su 1ela, 144,8 x 174,6 cm. Collezione privata. siedono nel loro seno un'idea, o un 'immagine - qualcosa di
Nell'Atelier entra l'universo, anzi l'Atelier diviene unhrerso. (Jean Leimarie) intellettuale o sensibile.

48 49
I:uomo che ha sviluppato il senso artistico capta insieme La ragione umana ci dà lo scheletro anatomico delle cose,
all' idea centrale ed essenziale, una serie di relazioni acci- la loro sostanzialità, ma i senùmenà lo riempiono di carne
dentali, che arricchiscono, che perfezionano, che comple- e di vita. Può essere tutto accidentale, ma non per questo
tano la conoscenza di quella realtà. I:errore sta nel sostan- è meno reale. Al fisico basta anche un solo occhio per i
ùvare quesù aspetù. colori.; il guercio daltonico potrebbe fare fisica, ma non
Nel fatto che una madre accolga il figlio nelle sue braccia, potrebbe fare poesia né darci una concezione completa
un fisico vedrà il complemento di una serie di leggi, un fi- del mondo.
losofo la realizzazione di una legge morale e naturale come A volte la ragione può arrivare con giri e lunghi passi a
espressione di un amore interno, un arùsta completerà il porci di fronte a quello che l'arte raggiunge in un momen-
quadro ponendosi al posto del bambino o della madre e vi- to. Posso lodare la magnanimità, il rendere bene per male,
vendo - concretamente e individualmente - e dunque con il perdono generoso, il donare disinteressato per quanto
emozione personale l'affetto materno o filiale, di cui ogni mantenga il proprio pregiudizio.
uomo è capace. Scoprirà una recondita dimensione di bel- Un poeta dice semplicemente: "I: ascia del legnaiolo
lezza che soggiace a ogni essere. chiese all'albero il suo mango. E l'albero glielo diede" (Ta-
Bellezza che è un trascendentale umano, come punto di gore).
confluenza tra il nostro appeùto che rende al Bene e la no- Con uno sguardo si dice a volte più che con un lungo
stra conoscenza che aspira alla Verità. Lì dove Verità e Bene discorso, un gesto può essere più significativo che una te-
si abbracciano. stimonianza dettagliata.
Racconta Edgar Poe, in uno dei suoi racconù, che un Il mondo sensibile, oltre a stare lì, oltre ad essere mate-
uomo uccise alla fine lo zio che gli era diventato odioso ria, è simbolo, simbolizza. Il suo essere non si esaurisce in
per un occhio catùvo che glielo rendeva insopportabile. quel che presenta ai sensi, né in quello che la ragione può
Lo seppellisce sotto casa, nella sala da pranzo. Viene la ricavare. Il suo essere è pieno di significato e di simboli-
polizia. Invita sarcasticamente i poliziotti a bere e si siede smo.
proprio sopra il posto dove aveva seppellito il cadavere. Per questo c'è un conoscere più profondo delle cose,
Si sentono sempre più forò i battiti del cuore del morto; quando si riconoscono come simboli. Non per niente
egli cerca di dominarsi finché non può più trattenersi e si Gesù ci ha dato le sue più profonde lezioni in forma di
scopre. parabole, come l'espressione più universale e perfetta di
!:artista è colui che capta queste pulsazioni, questi bat- una realtà integrale.
ùti della materia, che scopre in quello che per gli altri è un Per me tutte le pecore hanno lo stesso volto. Non è così
cadavere, un soffio vitale, un caldo alito di vita. per il pastore. Lo sguardo del padre, dell'amico, del di-
Per questo il profeta è un arùsta, come pure il santo che rettore di anime, arriva molto più a fondo di quello della
scopre una nuova dimensione cosmica, divina nelle cose. semplice persona conosciuta. Questa conosce la persona,
Dice un proverbio cinese che il Profeta ha il cuore di tutto i primi riconoscono il suo interiore nell'esterno. Il fumo
il suo popolo. può riconoscersi come fumo o riconoscersi come un segno
Il mondo è carico di presagi. Non tutto è di color rosa, del fuoco, di una catastrofe, o anche come un simbolo del-
ma nemmeno tutto è di un grigio monotono e uniforme. la guerra di una tribù contro un 'altra. Chi abbia atteso con

50 51
emozione l'uscita di un fumo bianco, quando la Cristianità
intera è senza Capo visibile, comprenderà questo esempio.
Attraverso questo recondito significato il sensibile in-
fluisce sull' anùna dell 'uomo, e anche dei popoli. In questo
senso un paesaggio influisce su un popolo. Si comprende
come l' uomo basco non può essere come quello della me-
seta castigliana. Non è questione solo di geografia fisica, ma
umana.
Con l'esperienza artistica l'uomo acquista un maggiore
contatto con le cose, gli si apre una nuova dimensione della
stessa realtà, si affratella di più con il mondo intero. Per
questo l'arte umanizza, e la musica tranquillizza gli animali.
Questo sentimento cosmico è possibile perché l'uomo, seb-
bene anùna individuale e persona, è una parte del cosmo. È
immagine divina, ma è fatto solo del fango della terra. Per
questo è sensibile alle vibrazioni e palpitazioni cosmiche
del mondo intero. È la base corporale e sensibile del dog-
ma della Comunione dei Santi. Siamo diversi dal mondo
ma siamo vincolati, legati ad esso, nell'unità delle creature;
come siamo legati a Dio, nell' unità - sebbene analogica -
dell'essere.
Non siamo, né viviamo insensibili alla policromia della
realtà. Tutte le cose sono vestigia di Dio. Dio le abita nel
suo seno.
Le cose presentano aspetti e profondità alle quali non
possiamo arrivare con il nostro raziocinio. Non disprezzia-
mo il dono di Dio. Cerco, è per la vita carismatica della
mistica che ci si aprono le porte della più autentica realtà
soprannaturale; ma sicuramente nell'intuire lo spirituale
nel sensibile, funzione propria dell'arte, abbiamo la miglio-
re preparazione e allo stesso tempo è il compito più urgente
dell'arte attuale scoprire Dio stesso nelle cose più banali del
nostro vivere quotidiano.
9. Paul Cézanne, Nature morte, 1877, olio su tela, 65 x 83 cm, fwn726/r302,
prestito di Auguste Pellerin. «Le cose presentano as~ e profondità
alle quali non possiamo arrivare con i] nostro raziocinio». Musée d'Orsay, Parigi.

52 53
3 . L'uomo cosmico: la quadruplice
natura d ell'uomo
«Questa è la sua magnificenza
[delle sfere immortali),
ma ancora più grande è l'Uomo:
un quarto di lui sono tutti gli esseri viventi,
tre quarti sono gli immortali nel cielo.»
RV X,90,3.

Come possiamo creare una lingua che non sia esclusi-


va di una sola tradizione e sia al tempo stesso concreta,
comprensibile e insieme profonda? In altro contesto ho
provato ad affrontare la questione dal] ' angolatura del-
le antropologie tradizionali e ho sviluppato il concetto
di una quaternitas per/ecta, una quadruplice immagine
dell'essere umano che si ritrova in diverse tradizioni oc-
cidentali, orientali e meridionali. Potrei ricordare qui i
Versi d'oro di Pitagora:
«Lo giuro per l'Uno che scolpì nei nostri cuori
la sacra Tetrade, simbolo immenso e puro
origine della Natura e modello degli Dei»4.

Esse usano a volte un gruppo di simboli e concetti,


per esempio: fomii psyche polis eaion nell'antica Grecia;
farira, aham, iitman e brahman in India; terra, acqua, fuo-
co, aria in molte tradizioni arcaiche (come ci ricorda an-
che l'esoterismo occidentale). La quaternitas, come tota-
lità, presenta una struttura omeomor/ica, cioè un sistema

• Ed. or. Der Weisheù role ~.il,nstng ""riten, K&el. MUncben 1991. fo Ùf>"a o,,,,,;., Vol 1. 2 J11c-.l
&ok, Miboo 2011.

55
globale, che ha una funzione e un significato rispettivi in cioè divina e cosmica al pari che umana, e non della sua
ognuna delle tradizioni contemplate. particolarità specifica. L'essenza di una cosa non è la sua
differenza specifica, dice la filosofia indiana.
L'uomo è un microcosmo, un' immagine della totalità,
una scintilla del fuoco infinito. Questa immagine inter- Primo centro: Terra e corpo
culturale dell' uomo ci potrebbe permettere di superare
la scissione della realtà che oggi tanto ci tormenta e ci mi- La prima dimensione è rappresentata da vari simboli:
naccia. Potrebbe convertire in polarità creative le diverse terra, soma (corpo), farira (corpo, individualità), karman
dualità sorte da una lotta distruttiva tra uomo e terra, (azione), bonum (il bene), il risveglio e l'ambito morale.
soggetto e oggetto, conoscenza e amore, arte e scienza, Soma e farira: noi non solo abbiamo un corpo, ma sia-
maschile e femminile. Questo vale anche per l'ultima mo corpo; non solo abbiamo una individualità, ma sia-
scissione della realtà, cioè quella tra uomo e Dio, tempo mo individui; noi siamo esseri attivi e non ci limitiamo a
ed eternità, creatore e creatura. La quaternitas per/ecta esercitare alcune attività; noi siamo terra e non posiamo
deve offrirci la possibilità di scoprire una spiritualità au- soltanto i piedi su un pianeta, non abitiamo solamente
tenticamente umana, che sia la base di un nuovo atteg- in un paese, non poggiamo sulla terra come se fosse sol-
giamento spirituale della persona verso se stessa, verso tanto una piattaforma. Finché non superiamo la nostra
gli altri, verso il mondo che le sta attorno e anche verso separazione dalla materia, non saniamo la rottura, fin-
la realtà onnicomprensiva, che in tante tradizioni viene ché facciamo esercizio fisico o yoga soltanto come una
chiamata Dio. tecnica e consideriamo il nostro corpo da un lato come
Se vogliamo risolvere il problema dobbiamo affrontar- nemico e dall' altro come sovrano, non ci possiamo rea-
lo in modo diverso. C'è un atteggiamento che chiamo la lizzare come esseri umani. La scissione resta e un giorno
nuova innocenw (non la seconda) situata in uno strato si manifesterà, non soltanto sulla salute o sull'attività, ma
originario che rende inutile ogni ulteriore domanda5. anche tramite l'insoddisfazione e l'inquietudine interna.
La quaternitas rappresenta la totalità di cui abbiamo Terra: vale a dire materia; può essere un sasso, un albe-
parlato. Il saggio è colui che sperimenta e vive i quattro ro, una montagna.
centri concentricamente. I cerchi non sono identici; il Finché non considero ogni zolla di terra come mio
corpo non è l'anima e nemmeno tutta la realtà, ma sono corpo, non solo io disprezzo la terra ma misconosco an-
concentrici, così che il centro del mondo attraversa tanto che il mio corpo. È qui che inizia la conoscenza! Tutte
la mia anima quanto anche il mio corpo. le scoperte (e immaginazioni) scientifiche e antropologi-
Ci interessa indicare la sede della saggezza, il luogo che sull'essere umano - proteine, cromosomi, onde alfa
di Maria secondo la tradizione cristiana, il simbolo della - sono giunte solo più tardi. Per migliaia di anni gli uo-
purezza della natura. La vocazione di Maria è lo stesso mini non sono stati schizofrenici, possedevano una piena
destino dell' uomo - altrimenti non sarebbe awenuta una coscienza della loro personalità, senza conoscere nulla
rivoluzione tra gli angeli nel cielo. Ma l'essere umano, di fisiologia, biologia e chimica. Tutto questo sarà oggi-
che anche svolge un ruolo, dev'essere pienamente uma- giorno necessario, bello e utile, ma da un punto di vista
no, Adam, Purusa. Ci riferiamo all'umanità completa, antropologico si tratta solamente di questioni marginali,

56 57
10. Al/;, ricerca della Vti, sul/;,
montagna in autunno, rotolo
verticale, inchioscro e colore su
seta, 156,2 x 77,2 cm. Attribuito
a Juran (attivo nel x secolo),
periodo delle C inque Dinastie e
dei Dieci Regni. Taipei, National
Palace MLL<eun1. Probabilmente
grazie al fatto di essere monaco
buddista, Juran seppe tradurre
il gusto p lacido e la dolce luce
dei paesaggi a sud del Lungo
Fiume attraverso il loro caranere
evanescente. Il titolo deUa
pittura, «Alla ricerca della Via»,
che non è ce.namente di sua
mano ma dei suoi successori
immediati o più tardi, riflette le
sue preoccupazioni spirituali; vi
S:i vede un sentiero che conduce
a un minuscolo ere.mo, nascosto
sul fondo di una valle, in cui due
uomini discorrono; sentiero che
sembra proseguire nel cuore
deUa montagna per suggerire
anche la Via dell 'assoluto,
raggiunta nella comunione con
lo spirito della natura.
(Christine Kontler) I I . G iotto, Predica agli ua:elli, basilica superiore, Assisi.

58 59
aspetti non significativi per la realizzazione personale. Le bisogno di nessuna legge che ci dica che la produzione
scienze moderne col tempo possono persino rappresen- di armamenti è contraria all'umanità. Soltanto la nostra
tare un ostacolo a questa realizzazione; sicuramente non immagine dell'uomo e l'ethos non ancora così contrario
sono indispensabili per conseguire e godere della pienez- alle armi come al cannibalismo impediscono alla nostra
za umana. Per quel che concerne la natura umana, il fatto sensibilità di percepirla come aggressione contro la con-
di essere europei, passeggeri di prima classe su questo dizione umana.
pianeta, non ci rende in alcun modo eccezionali. La tec-
nologia può essere utile, ma non è un valore assoluto. Secondo centro: Acqua7 e Io
Corpo: coscienza normale, senso della nostra indivi-
dualità. Tutto questo è essenzialmente umano. Siamo Questa seconda dimensione della nostra esistenza, che
realmente soltanto quando siamo tutto questo. Quando la rende possibile, e senza la quale la nostra vita avvizzi-
devo imparare la rotazione del mio corpo o l'arte del mo- rebbe, si vale di diversi simboli descritti in vario modo
vimento con un corso di ballo, oppure quando leggo in secondo le tradizioni. Ognuno di questi simboli illumina
un libro che gli alberi qui sono belli e poi guardo fuori e uno dei suoi aspetti: acqua, psyché (anima), aham (io),
dico che è vero, vuol dire che manca qualcosa al mio es- jitiina (sapere, conoscenza, ragione), verum (verità), so-
sere umano. Non ho niente contro i libri e i corsi di ballo; gnare, lo psicologico nel senso profondo della parola.
dipende dall' uso che facciamo di essi e del nostro corpo. L'importanza dell' acqua risulta già dal fatto che essa co-
Dobbiamo cambiare rotta e sviluppare un atteggiamento stituisce il 70% del nostro corpo.
che renda possibile la spontaneità umana (non soltanto La forza simbolica dell'acqua consiste nel fatto che
quella animale), che ci restituisca la capacità di appren- essa fluisce, rinfresca, che rende possibile la vita e che si
dere, parlare, osservare, godere dal di dentro. può anche esaurire. C'è da aggiungere ancora dell' altro,
Supponiamo che i fiori non pensino né immaginino che a volte dimentichiamo mentre è molto importante
di essere belli. E noi siamo più dei fiori, come dice il in alcune tradizioni africane. L'acqua non è soltanto la
Vangelo6. Per realizzare la bellezza umana, dobbiamo fonte della vira, ma è la vita stessa. L'acqua è vira. Per
imparare da come il bocciolo produce il fiore: senza fa- questo motivo formulazioni come «acqua di vita» oppure
tica, senza sforzo, col giusto ritmo, al momento oppor- «acqua di vira eterna» non sono da intendere soltanto in
runo. Il Vangelo dice che dobbiamo osservare i gigli del senso figurato. Si tratta di qualcosa di più dell'evidenza
campo e gli uccelli del cielo, non riflettere su di loro e razionale che non possiamo esistere senz' acqua.
neanche portarli a casa per contemplarli meglio. La no- Anche il contrasto tra il dinamismo e il fluire dell'ac-
stra cultura dovrebbe essere almeno tanto naturale quan - qua, da una parte, e la sua quiete, dall' altra, non esauri-
to lo è la natura di un fiore. La violenza esiste soltanto sce del tutto questo simbolo. (In alcune tradizioni l' ac-
là dove le nost re culture sono innaturali. La contesa è qua simboleggia il cammino spirituale: l'acqua che flui-
naturale, non la guerra però. Cacciare può appartenere sce zampillante significa vita, mentre l'acqua calma come
alla cultura umana, ma non la prassi delle società moder- uno specchio diventa il simbolo dell'autocoscienza).
ne di ammucchiare artificialmente cibo facendo di que- L'acqua è vita e, per tanto, le sue caratteristiche sono
sto accumulo un'arma. Non ci dovrebbe essere davvero quelle della vira stessa.

60 61
13. Annuncio della primavera, rotolo verticale, inchiosrro su sera, 158,3 x 108, I cm. Opera di G uo Xi
(attivo tra il 1067 e il 1085), datata al 1072, dinastia dei Song del Nord. Taipei, National Palace Museum.
Debitamente intitolato, datato e firmaro, il grande rotolo di Guo Xi è l'opera più conosciuta del maestro.
p inore accreditato dall' impemore Shenzong (r. 1068- 1085). Destinato a un pannello del Padiglione di
Giada, da poco costruito in seno al collegio Haolin, esso vuole trasmettere al sovrano e agli eruditi della
eone una visione idealizzata della natura e delle sue virtù vivificami all'annuncio della primavera.
Di eccelsa maestria, la composizjone si anicola intorno a una montagna altissima le cui cime toccano
il cielo, mentre le sue acque, sorgive e tranquille, affioran o e sgorgano dalla terra~
ora evanescenti, ora più opach e, brume e vapori animano l'insieme di uno spazio aperto all'uomo,
12. Claude Monet, Ninfee blu, 1916-19 19, olio su tela 200 x 200 cm, Musée d'Orsay, Parigi. neUa diversità e vitalità delle s ue forme e nella loro unità ricreata in spirito. (Chrisrine Komler)

62 63
14. Epifania, miniatura che esprime
pienamente la Lrad.izione orientale e
b izantina delle icone della fes ta del
Battesimo dj Cristo che mettono in
immagine quanto espresso nel passo
evangelico: «Ecco si aprirono i cieli e
G iovanni vide lo Spirito di Dio scendere
come una colomba e venire sopra dj lui.
Ed ecco una ,,oce dai cidi dire "questo
è il mio figlio diletto nel quale mi sono
compiaciuto"» (M,.l,1 }-17).
Miniatura dell'Epifania. Menologio di
Basilio u, 985. Codice Vaticano G reco 161.l.
Bib lioteca Apostolica Vaticana.

64 65
«Egli li ha impregnati con l' acqua della sapienza», si
cantava nella liturgia latina del marteru di Pasqua. «Perché
non finiscono mai di fluire le acque che scorrono verso la
verità?» canta l'Atharva-veda.
Secondo molte tradizioni, inclusa quella ebraica, le ac-
que primordiali sono increate. L'acqua è «l'elisir dell'im-
mortalità» e il grembo di Dio. È la fonte dell'uomo. La
parola cinese ch'uan consiste dei segni «puro» e «acqua»,
come anche in latino /ons (fonte) significa origine.

Aham: l'Io

L'io e il tu sono intimamente relazionati. non esiste da


noi una forma grammaticale per esprimere l'io-e-tu. Il dua-
le ha una forza enorme; non è plurale anche se presuppone
un tu; forma tra loro un 'unità più complessa. Ferdinand
Ebner, Martin Buber e altri hanno esp resso questo concet-
to in modo molto suggestivo. Il tu è la capacità della per-
sona di essere interpellata, dice Ebner. L'«interpersona»
(Zwischenmensch) è la vera persona, sostiene Buber. «Se
non esiste un altro (persona o cosa) non c'è un io», ha
insegnato Zhuangzi8. Il duale è l'interpersonalità, che su-
pera la «mancanza di ru» (Ebner) dell'io. Il duale riflette la
scoperta che l'io richiede un tu, il quale è essenzialmente
diverso da un terzo, il pronome della terza persona. Il dua-
le è un'esperienza e la sua perdita è un esempio eloquente
del cambiamento del comportamento umano. Per concen-
trarsi su se stesso, per essere se stesso, aham, è necessario il
tu, senza il quale non è possibile essere un io.

Terzo centro: Fuoco, bhakti (devozione)

L 'uomo non può realizzare la sua vita, la sua natura,


se non si cura anche di qualcos' altro al di là del proprio
15. Vaso-11aloc, Teotihuacan (Stato del Messico), giadeite, h. 25 cm, Museo
nazionale di Antropologia di C iuà del Messico. 1lalocè dio dell'acqua e il vaso ed esclusivo io, se si preoccupa soltanto del controllo del
simboluza l'acqua nelle fauezze, nella rrasparenza e nel colore. corpo e dell'ornamento della propria anima e di essere

66 67
in buoni rapporti con l'altro. La ricchezza dell' uomo va
molto oltre. Non sono solo un individuo. Questo è il si-
gnificato della parola atman che in realtà è intraducibile.
Il suo equivalente abiruale, «se stesso», è tanto illuminan-
te quanto fuorviante. La scoperta della terza dimensione
dell'essere avviene quando mi rendo conto che io sono
atman, o meglio, che sono anche I' atman. Ma non può
essere una scoperta della ragione. I.:atman conosce tutto.
Fuoco e bhakti: a questo punto il simbolismo del fuo-
co è fondamentale, come hanno visto numerose tradi-
zioni dell'umanità. Il fuoco consuma, infuria, distrugge.
Converte le cose in cenere che il vento poi disperde. Il
fuoco può essere fuoco soltanto finché c'è qualcosa da ar-
dere. Come si trasforma in fuoco, smette di esistere ciò
che lo rende possibile. Il fuoco si nutre di ciò stesso che
gli dà vira. Non è come la terra. Agni indica nell' induismo
la forza autodistrutùva, quella forza che si dà la vita da sé,
che si realizza come fuoco attraverso la propria im.rnola-
zione. E nel buddhismo, nirvana significa, letteralmente,
estinzione (del fuoco). Quando non è rimasto più niente
della candela, la fiamma si estingue da sola, perché non è
più che cera non ancora trasformata in fuoco.
La tradizione crisùana parla di due libri, il libro della
vira (cioè la Sacra Scrittura, che leggono gli erudiù e per la
quale c'è bisogno di una certa preparazione) e il libro della
natura, che rucù possono leggere. Agostino afferma che il
libro della Sacra Scritrura è elitario, desùnato solo a po-
chi, mentre il libro della natura è per rutti, addirittura - se
si traduce letteralmente - per gli «idioti» (idiota significa
l'uomo comune, l'ignorante). Il primo lo leggono solo i
colù, il secondo possono leggerlo anche gli incolù.
Ma come posso comprendere qualcosa se cerco di co-
noscere (in senso quanùraùvo) tutto? Posso conoscere
qualcosa di più che aspetti particolari? Comincio a rico-
noscere che, pur nell'ipotesi che possa conoscere rutto, 16. Agni, dio del fuoco, frammento
questo sapere non mi darebbe la vera conoscenza. di stele, xr secolo ca.

68 69
Questa era l'accusa di Eraclito ai pitagorici. E anche la
tradizione indiana lo sa:
«Dove c'è dualità, là uno vede l' altro, uno sente l' al -
tro, uno parla con l' altro, uno ascolta l'altro, uno pen-
sa all'altro, uno tocca l'altro, uno conosce l'altro. Se
però tutto si converte in iitman, tramite che cosa e chi
si dovrebbe allora vedere? Tramite che cosa e chi si
dovrebbe allora sentire? parlare? ascoltare? pensare?
toccare? conoscere? Come si può conoscere quello
tramite il quale si conosce tutta la realtà? Non è così
né cosl (neti; nett). È incomprensibile perché non può
essere compreso, indistruttibile perché non può essere
distrutto, indipendente perché non si lascia legare, è
libero, imperturbabile, invulnerabile. Come si può
conoscere il conoscitore stesso?» (Bu IV,.5,15).

La domanda giusta allora è:


«Come posso conoscere quello tramite il quale tutto
viene conosciuto?» (Bu a,4,14).

«Che la pagina divina [cioè la Scrittura Sacra] sia per


te
un libro, affinché tu lo possa ascoltare [un libro "si
ascolta" !] ; che il mondo intero sia per te un libro per
vedere.»

Agostino sa che, in accordo con Paolo, la fede nasce


dall'ascolto, mentre la conoscenza dal vedere. Il libro si
può «ascoltare» e forse vi si può trovare un senso; il mondo
invece si può vedere. I codici sono per gli eruditi, l'igno-
rante invece ha tutto il mondo da leggere. Bonaventura
insegna che dopo il peccato originale «il libro del mondo
era morto, distrutto»9. Ma per mezzo della grazia le cose
del mondo furono nuovamen te «come un libro nel quale
la Trinità creatrice [Jabricatrix] risplende, si manifesta e 17. VisQu venerato dal poetaJayadeva. Tempera su carta. Pahari, 1730. Michel Delahourre spiegò che la
si lascia leggere»JO. venerazione de] poeta mostra l'esperienza della bhakti vissuta lenerariamente ed esistenzialmente.

70 71
Questa è la sapienza umana scaturita dalle tradizioni. in quelle culture dal pensiero profondamente dualistico, ci
Ci libera dai successi del nostro mondo pose-illuministi- ricordano l'esistenza di un terzo occhio che ci apre a una
co, permettendoci forse di vivere un'esperienza umana più terza dimensione della realtà. Con Platone si potrebbe chia-
universale, senza restar bloccati nel contesto ermeneutico mare la prima dimensione ta aisthéta, la seconda ta noéta e
degli ultimi tre o quattro secoli. Come possiamo disporci la terza ta mystika: la dimensione mistica.
a essere in comunione con gli uomini - per non parlare Abbiamo un terzo «organo» che ci mette, come gli altri,
della comunione con la terra - se siamo gli unici illuminati in contatto con la realtà. La dimensione materiale e spa-
del mondo? Non la raggiungeremo mai in questo modo. zio-temporale della realtà corrisponde ai sensi. La dimen-
Dobbiamo imparare a leggere di nuovo: questa volta non sione intellettuale della realtà, che è altrettanto reale della
i libri stampati, ma il libro della natura, che non contiene dimensione fisica, corrisponde all'intelletto, al nous. Ma
solo boschi e fiumi, ma una visione diretta del mondo nel esiste anche un terzo organo di percezione di una dimen-
quale ci troviamo. Ognuno può vedere - non solo nel senso sione della realtà altrimenti invisibile: è l'occhio mistico che
in cui lo fanno gli «ascoltatori» elitari di un libro (il quale in coglie l'indicibile, l' ineffabile, chiamato a volte anche «il
passato veniva letto ad alca voce), ma mediante la contem- nulla».
plazione diretta della realtà. La caratteristica essenziale di La libertà è una dimensione profonda dell'essere, un'in-
questo vedere consiste nel non essere un riflesso del visto, determinazione radicale alla base di rutto ciò che faccio e
ma puro sguardo, visione che si lascia contagiare da ciò che sono. La libertà, in questo senso, non è una questione di
è contemplato. Non è come sfogliare un album di fotogra- cromosomi dei miei genitori e dei miei nonni, della cultura
fie, le cui immagini possono risvegliare molti ricordi. Per ve- e della lingua, dei rapporti sociali e di altri condizionamenti.
dere, devo dimenticarmi che sto vedendo; altrimenti penso La sua sfera si trova là dove, metafisicamente parlando, io
soltanto di vedere, m'immagino solo di vedere un bel pae- percepisco il nulla (un'esperienza senza contenuto, un 'espe-
saggio. Ma l'autentico vedere è immediato. E questa è un'a- rienza di nulla). Questa esperienza non la si può descrivere,
nalogia universale. Non è un fenomeno ottico; non si tratta la si può soltanto irradiare. Senza questa esperienza la vita
di pensare che vedo, nemmeno di godere di ciò che vedo, non è ancora vissuta. Il viverla non dipende né da autostra-
ma semplicemente di vedere. Quello che si vede è qualcosa de né da affari né da qualsiasi altra esteriorità, ma dal nulla.
di mai visto, inesplorato: iitman, polis,/uoco, bhakti. Bhakti La libertà è l'esperienza dell'infinitudine per la quale mi
qui significa «amore», e denota la forza centrifuga di uscire rendo conto che quello che sono nessuno prima lo è stato.
da se stessi e di consumarsi come il fuoco. All'inizio è l'esperienza della mia unicità (comincio a ren-
dermi conto di essa). C'è qualche cosa dentro che mi rende
Quarto centro: Arra e Spirito capace di superare ciò che in me calvolta brama cose, valori
e persone, vuole godere, possedere; qualche cosa che si tro-
La quarta dimensione è aria (respiro, spirito, 1ik1if 1i, etere, va dentro di me, che io solitamente copro con tutta questa
lo spazio vuoto, brahman, il silenzio, nihil il nulla, il vuoto). bramosia. E questo qualcosa è unico e insostituibile e, per
Alcune culture hanno ridotto l'immagine dell'uomo e il dirla con un paradosso, mi è stato «affidato». Io sono que-
concetto di realtà a due dimensioni. Questo è il pericolo sto nucleo della realtà che non è condizionato da nient'al-
di ogni civiltà tecnocratica. Uomini di tutti i tempi, anche tro, un nucleo divino. L'esperienza di questa libertà giace

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nella convinzione che questo qualcosa mi è stato affidato è
insostituibile ed è il mio vero io. Esiste l'universo, ma anche
esisto io con la possibilità costante di non-essere.
Solo quando raggiungiamo questo livello di profondità 18. Cao.r primordiale (Hunl un), rotolo orizzomale, inchiostro su carta, 29,7 x 86.2 cm. Opera di Zh u Derun,
nel quale siamo completamente aperti, nel quale il centro datata al 1349, dinasàa Yuan. Shanghai Museum. Come molti dei suoi pari al tempo degli Yuan, il leueraro
della realtà si apre a noi nella fonna dell'esperienza della Zhu Derun (1294 • U65) conosce un riposo forzato, diviso tra studio e insegnamemo. In un rotolo che egli
intitola Hunlun. consegna alla lettura e allo sguardo la visione caoista del modo, servendosi di una scena
grazia o del carattere centrale della nostra realtà interiore, naruraJistica e di un diagramma, un g·rande cerchio tracciato al centro che raffigura il cosmo nel suo stato
nel quale l'io non è che questo ricevere, solo allora possia- originario. Come nato dalla roccia~con un cranamento in cui il vegetale non si distingue dal minera1e,
mo, paradossalmente, sperimentare la libertà che ci libera un pino, sulla sinisua., presenta una curva netta e proietta il suo tronco e i suoi rami quasi in orizzontale,
in un movimento che associa i ciuffi d'erba sparsi e le liane gemelle dal grafismo puro e morbido che lo
da ogni paura e da ogni sentimento di autosufficienza: allo-
circondano. si int.recciano, si annodano e si svo1gono nel vuoto. Con la nascita comune delle forme,
ra sperimentiamo la singolarità della nostra vita che rispec- con il loro slancio e il loro sviluppo proprio, l'artista rende percepibili i soffi in\'isibili, ma auivi, che le
chia l' universo intero. animano e che tendono a riassorbirsi nella pienezza della matrice originaria. (Christine Koncler)

74 75
19. I tre ridenti al torre,tte
della Tigre, foglio d 'album
(dettaglio), inchiostro e
colori su seta; 24,6 x 47,6
cm. anonimo. xm secolo.
dinastia dei Song del Sud.
Taipei, National Palace
Museum. Al torrente
della Tzgre, rre uomini
sono riuniti, ere risa e
le loro conversazioni:
sullo stagno dei loco
un fiore si è aperto. Un
fiore che e il Buddha.
Come ria..'isunto in questa
iscrizione popolare, il
foglio d 'album illustra
un incantevole aneddoto
che mene in scena tre
personaggi emblematici:
il monaco buddista
Huiyuan 034-416), il
poeta Tao Yuanming (Tao
Qian 365-427), cantore
della vita campestre, e
l'eminente maestro taoista
Lu Xiujing (ca. 406-
477). Dopo aver be-.'llto
insieme ai suoi amici, il
monaco li riaccompagna
e passa inavve.r titameme
il rorreme della Tigre,
animale che si ritiene
ruggisse pe.r richiamarlo aJ
rispetto della sua regola.
I tre uomini, che
scoppiano a ridere, si
rendono in tal modo
conto de] carattere fallace
dei limiti ùnposri da
turti i sistemi di vita e, al
tempo scesso, dell'innata
corrispondenza delle
vie buddiste, poetiche
e taoiste nella ricerca
dell'assoluto.
(Christine Kontler)

76 77
TERRA

4 . Kailasa

Il pellegrinaggio di venticinque giorni, svoltosi nel set-


tembre del 1994, mi rivelò un triplice potere simbolico
della sacra montagna e del santo lago che da millenni stan-
no fi immobili, atàrando popoli e sfidando le religioni a
superare le loro pesantezze dottrinali.
Trasferirò al Kailasa il potere simbolico di una invarian-
te umano. Potrebbe essere un altro pellegrinaggio qua-
lunque, fisico o semplicemente interiore, oppure un'altra
esperienza ultima. Kailasa è l'occasione, ma anche il sim-
bolo.

1. Trascendendo La storia

Il Kailasa è un tempio dell'Assoluto. A differenza di


qualsiasi moschea, cattedrale o tempio, non è fatto dall'uo-
mo. Il Kailasa semplicemente è, è n. È stato scoperto come
simbolo sacro dalla maggior parte delle religioni del Sud
dell 'Asia (bon-po, hindii, jaina, buddhisà, sikh, ecc.). Ma
era già fi. Nessuno può avanzare un diritto sul Kailasa.

• Ed. or. f>,ll.e-grin11uitJ "' K4il4Slt, lùi1non Pa11ikkar e Milena C11n--.lt'il, Setvirium Editrice, 2006;
pubblieito su«eiin'2meme in \-.ersio,,e :unplfau in f>dktrinauio ~ n·ttmt<> alla SOt'tente. Setvirium
Editrice eJ:tcu Book. Mibllo 20 1L

79
Non è proprietà privata; non è solo una massa di mate-
ria coperta di neve, non una protuberanza geografica né
tanto meno un fenomeno storico circoscritto. È un simbo-
lo sacro per tutti coloro che lo riconoscono e, riconoscen-
dolo, investono la montagna di un nuovo grado di realtà.
Molti pellegrinaggi sono rischiosi, ma questo lo è par-
ticolarmente. Metti la vita a rischio, vai per un sentiero
di non ritorno. Non sono disponibili né i moderni servizi
di soccorso né quelli tradizionali, poiché la lunga via del
pellegrinaggio da Kathmandu, Kodari, Nyalam, ecc. non
ha praticamente pellegrini. Si è soli e non c'è possibilità al-
cuna di sfuggire alla morte se il cuore viene meno. Si deve
essere pronti ad abbandonare la storia e ad accomiatarsi
dal tempo.
I.: aspetto soggettivo di questa esperienza è che si deve
essere pronti a rischiare la propria vita - specialmente se
non si è giovani e allenati a camminare a notevoli altitu-
dini. Si sfiorano diverse volte i 6.000 metri. Si può essere
pronti e preparati in teoria, ma quando sopraggiunge l'e-
sperienza reale, la sicurezza scompare e il coraggio prolet-
tico serve ben poco. La morte non è un concetto astratto.
Parole e pensieri non sono d'aiuto, ogni riflessione svani-
sce. Si è semplicemente tra essere e non-essere: asti; niisti
(K.atha-upani,rad). A nulla serve, di notte, uscire dal sacco a
pelo per respirare un po' d'aria fresca. La morte è tutta at-
torno. È l'atmosfera avviluppante che sembra cingerti da
ogni parte con le braccia della morte. Non è una minaccia.
È un abbraccio che uccide dolcemente - sebbene questa
volta mi abbia risparmiato.
Ma se durante la notte prevale la consapevolezza sog-
gettiva, durante il giorno predomina la consapevolezza
oggettiva. Per ore e giorni lo scenario è senza tempo e 20. La cima del monte Kailash, appartenente alla Clltena dell'Himlllaya, in Tibet.
il paesaggio è fuori dalla storia. Tutte le preoccupazioni È considerata sacra dall'Induismo, in quanto ritenuta la residenza di Shiva, dal Bon e
umane legate alla temporalità svaniscono. La storia uma- dal Buddhismo tibetano come centro dell\miverso, e da1 Giainismo, come luogo in cui
raggiunse la libe.razione iJ primo dei loro sancì. Perfino gli zoroastriani , 1enerano questa
na, sia personale che collettiva, sprofonda nell'irrilevanza. montagna e ]a identificano col mitologico Monte Meru. Tibecani e indiani ritengono
Le immense vallate, i picchi lontani, la mancanza di alberi, di dover compiere un pellegrinaggio presso il Kailash almeno una volta nella vita.

80 81
le rocce e i fiumi, i vasti altipiani, tutto esiste senza sto-
ria. Non provengono da un'origine e non vanno verso una
fine, un éschaton. Sono semplicemente presenti.
Nei tempi moderni la maggior parte dell'esistenza uma-
na è vissuta sulla sponda della storia. La maggior parte
delle nostre azioni wnane sono orientate verso un fine
e le nostre vite condizionate escatologicamente. Sembra
che viviamo per il domani, che lavoriamo per il futuro
e che agiamo in vista di un qualche fine da raggiungere
nel tempo. La morte spaventa perché frustra tutti i no-
stri progetti e interrompe i nostri sogni. Viviamo proget-
tando, credendo di andare in qualche posto nella storia.
Tutto questo scompare sugli altipiani del Tibet. Non è
che la storia si fermi. Semplicemente la storia non è lì.
La vita è nel presente. Se si deve vivere la vita appieno,
la si deve vive re oggi, senza attendere il domani, senza
riservare energia per il futuro. È la presenza della Terra
che sovrasta. È lì con la luna, il sole, e ci sono le stelle che
si muovono attorno, dolcemente e senza fretta. Ma non
è nemmeno un paesaggio lunare. È un ambiente senza
storia, ma non senza uomo. Non è uno scenario inuma-
no: l'uomo è presente. È stato lì, noi vi apparteniamo
con gli yak, le pecore e gli altri animali. È la rivelazione
che l' uomo non è solo storia; è anche terra, così come è
anche divino.

Il pellegrino va "lassù" solo per andarvi, per "nessun


altro scopo" - e se qualcuno nutre il desiderio segreto di
acquistare "meriti" (punya), ne è subito frustrato. Il vero
pellegrino interrompe tutti gli impegni e le attività che ri-
tiene "importanti" nella propria vi ta, e non è nemmeno
sicuro di essere in grado di riprenderli dopo il viaggio.
Ma quando l'esperienza che questo pellegrinaggio è una
via di non ritorno irrompe su di te, scopri che tutte le tue
conquiste storiche sono insignificanti. La coscienza storica
è uno dei principali fattori della crisi umana del giorno 21. Il monte Kailash dalla piana di Barkha.

82 83
d'oggi. Solo una piccola minoranza della nostra società È forse frustrazione, perché non siamo arrivati? Tristezza,
competitiva "ce la fa". Solo alcuni diventano direttori ge- perché abbiamo sprecato il passato? O è proprio I' espe-
nerali, top manager, artisti rinomati, lavorat0ri, sposi feli- rienza che, in qualunque momento del cammino, l'intera
ci, liberi da preoccupazioni economiche, o persino santi o nostra vita è presente?
persone spiritualmente realizzate. Ci si deve accontentare Paradossalmente, il pellegrinaggio ci aiuta a renderci
di svolgere un ruolo secondario o nessun ruolo affatto o conto che il cammino è verso "nessun luogo": è ora e qui
anche si può cercare consolazione in un paradiso futuro, che ogni passo è il compimento dello yiitrii. È il primo pas-
in un karman o in cose simili - il che va a prolungare il so che conta. E ogni passo è il primo - e l'ultimo.
mito della storia come canovaccio della realtà. Il senso del- Talvolta tendiamo a immaginare che sia più facile senti-
la Vita non si esaurisce nella storia. re la novità del primo passo che l'"ultirnità" di ogni passo.
Quando ci si rende conto che ogni passo potrebbe es- Mi azzarderei a dire che non c'è veramente un primo passo
sere l'ultimo, si diventa consapevoli che ogni passo è defi- se esso non è ugualmente l'ultimo. Altrimenti ogni passo
nitivo. Non lo si percepisce come ultimo, perché il passo è solo la continuazione di quello precedente e non real-
successivo è più difficile o più pericoloso. Il passo seguente mente il primo. Si diventa consapevoli che è primo quando
è praticamente uguale a quello precedente. La vita umana appare chiaro alla nostra coscienza che potrebbe essere, e
è un passo dopo l' altro e nessuno di questi è una falcata di in un certo modo lo è, l'ultimo.
Vi~i:iu, ma un passo ordinario, almeno fino all'ultimo pas-
so cosciente. Ogni momento "normale", "insignificante" 2. Sacralità dello spazio
potrebbe essere il nostro ultimo. E la nostra vita allora?
Vi sono molti posti sacri nel mondo, molti luoghi sacri di
pellegrinaggio. La sacralità del Kailasa e del Manasarovar
ci aiuta a divenire consapevoli che qualunque spazio sacro
è unico. Ma il loro carattere sacro non è un luogo delimi-
tato. È lo spazio vuoto che manifesta la sua sacralità, ossia
la sua realtà ultima. L'aspetto meraviglioso del pellegrinag-
gio è che lo spazio vuoto diventa visibile o meglio traspa-
rente: il vuoto si ricolma di pura luce, lo spazio è pieno di
vacuità. Il Kailasa non è il limite, ma il centro.
Questo spazio vuoto è però ricolmo di un'altra realtà.
È colmo d'uomo. "Il puru,a riempie tutto" . Il pellegrino
riempie quello spazio. È uno spazio umano, lo spazio che
permette all'uomo di essere libero, di muoversi fuori dalla
camicia di forza della storia.
Uomo e natura si appartengono; lo spazio è il loro lega-
22. li lago 1\<liinsarovar (4556 metri) alimentato dai ghiacciai del vicino me. L'uomo non è dentro lo spazio come in una scarola.
Monte Kailash, tappa del pellegrinaggio. Non c'è questa scatola. Ci sono pianure, montagne, val-

84 85
late, passi, fiumi, prati, rocce, alberi, animali e uomini ...
rutti si appartengono e lo spazio li unisce rutti.
Vuomo è un essere storico, ma non esclusivamente sto-
rico. I:uomo è anche un essere cosmico. Il nostro destino
è anche il destino della Terra. Il Kailasa è simbolo della
natura cosmica dell'uomo. Il Kailasa è imponente ma non
minaccioso. La sua cima è come una cupola o come un
seno femminile: rotondo, soffice, bianco come la neve, al-
lettante, invitante, seducente. Aperto alla vista ma non al
tocco. "Bellezza" porrebbe essere la parola che riassume
rutto questo. Suscita ammirazione, rispetto e reverenza.
Essere "altro" oltre alla storia non significa essere sradi-
cato dalla Terra. Significa non identificarsi con un destino
storico, non perché siamo angeli, ma proprio perché sia-
mo uomini, esseri che partecipano all'avventura cosmica
dell' intero universo.
"Una lotta grande e ultima si presenta alle anime [uma-
ne]" disse Plotino.

È una lotta cosmica. La casa della psyché è l'universo, il


campo cosmoreandrico - non solo uno scenario storico o
un luogo newtoniano-einsteniano. Noi svolgiamo il nostro
ruolo nel daivasuram, nella lotta fra Dei e Demoni. La pri-
ma azione di Gesù Cristo all'inizio della sua vira pubblica
fu, nello stesso modo, di affrontare il "principe di questo
mondo" nella guerra cosmica, e rutta la sua vita fu una lot-
ta contro le "forze delle tenebre". I demoni sono sempre
presenti nei racconti del Vangelo - così come si trovano
nelle tradizioni hindii, buddhiste e altre.
Lo spazio sacro è una grandezza cosmica. Anche la
Scrittura cristiana parla dei "cieli nuovi e terra nuova", e
non solo dell"'uomo nuovo". "Cielo e terra sono sorretti
dallo Skambha", dice l'Atharva-veda. La Terra, la devi, è la
"Madre primeva", canta il Bùmi-suk ta dello stesso Veda.
Il pellegrino al Kailasa avverte che rutto il cosmo è uno,
senza confusione panteistica. Siamo epifenomeni nell' av- 23. Colonna votiva tibetana di b andiere di preghiera e cli ex voto.

86 87
ventura cosmica del nostro destino - e nel profondo del riecheggiò in me quando mi si presentò l'occasione di
nostro essere c'è la consapevolezza di una immortalità che unirmi all' ultimo gruppo di siidhu a cui i cinesi avreb-
non è proprietà privata del nostro corpo o della nostra ani- bero permesso di varcare il confine nel 1959. Tuttavia,
ma, ma dono dello Spirito, il vero iitman non solo dentro dovetti allora rinunciare in virtù della "santa" (cristiana)
di noi, ma anche nel cuore di ogni essere. Si dice spesso obbedienza e, più tardi, per altri motivi, non ultimo un
che non possiamo godere dell'amicizia divina se non amia- incidente che rivelò come il mio cuore non fosse in grado
mo i nostri simili. Altrettanto spesso, però, si dimentica di sopportare elevate altitudini. Per un'inesplicabile sin-
che è necessaria anche la koinonfa cosmica per la nostra cronicità di eventi, mi trovai questa volta quasi condono
unione con il divino, per essere in definitiva veramente noi a intraprendere il pellegrinaggio, che probabilmente per
stessi. L'estraniamento dalla Terra porta come conseguen- me poteva essere non solo ultimo, ma definitivo.
za l'alienazione umana e l'ostracismo divino. Una triplice azione trasformante sottolineò il mio pel-
legrinaggio, ben consapevole che, se questa metamorfosi
3. Un pellegrinaggio "ultimo" avesse potuto avvenire nel microcosmo della mia persona,
avrebbe avuto ripercussioni nel macrocosmo stesso. Non
Andare al Kailasa è un pellegrinaggio definitivo, ulti- siamo monadi isolate. La nostra responsabilità è anche
mo, il pellegrinaggio supremo, la paramii yiitrii. Non si
raggiunge il Kailasa, non si scala la vetta: gli si gira at-
torno, si compie la circumvallazione, il parikrama, si fa la
pradak$i1_1a.
Come ogni cosa ultima, questo pellegrinaggio è ineffa-
bile. Non è al di là di ogni descrizione perché a noi man-
cano le parole. È inesprimibile perché questa esperienza
trascende il logos in quanto tale. Il pellegrinaggio ultimo
appartiene allo Spirito, ali' altra sponda della ragione.
Siamo in un regno libero dalla necessità logica (ananke in
greco), non perché è superiore alla mente, ma perché è al
d i Ià di essa.
Ultimo significa che è un pellegrinaggio di non ritorno.
Se mai si fa ritorno, è per pura grazia: si è un nuovo essere.
Poiché un pellegrinaggio "ultimo" non è descrivibile,
non cercherò di descriverlo. Mi sforzerò semplicemente di
lasciare trapelare il ricordo dell'esperienza. Non nutrivo
particolari intenzioni prima del pellegrinaggio. Sono sem-
pre stato più incline al pellegrinaggio spirituale. Eppure
il ricordo del padre hindu, che raccontava con en tusia-
smo al figlio adolescente del Kailasa e del Manasarovar, 24. Raimon Panikkar durame la celebra2ione eucaristica ai piedi del Kailiisa.

88 89
cosmica. L'umanità non è un agglomerato di individui, non sono sempre stati Dei di pace. Il sacrificio non serve
ma il Corpo mistico di quel Mistero che molte religioni solo per placare l'ira degli Dei nei nostri confronti. È com-
chiamano Dio. piuto anche per stabilire la pace pure nel loro regno, secon-
do l'interpretazione che di esso hanno le varie religioni.
Pace fra gli Uomini, ossia fra le religioni, perché non si In questo senso, come avevo fatto ad An.u:iacala e a
può negare che le religioni siano state le cause principali dei Gangotri con Swami Abhi$iktananda, celebrai il sacrificio
conflitti umani. Il mio pellegrinaggio fu solo un gesto ecu- cosmico della croce nello spirito dei Veda, di Melchisedek
menico: superare tutti gli esclusivismi (di ogni tradizione o e di tutti gli altri "scambi" fra cielo e terra, che per me era-
religione: il Kailasa non è solo per gli hindu); sconfiggere no simbolizzati nell'eucaristia. Furono pronunciate nella
tutti gli inclusivismi (e tutte le "teologie del compimento": liturgia tre brevi frasi tratte dalla Chiindogya-upani,ad, dal
il Kailasa è anche per i cristiani, ma non per un diritto su- prologo di Giovanni e da Nagarjuna, ricordando Prajapati,
periore ad assorbire tutte le altre tradizioni); resistere a tutti Abele e Abramo, rivivendo l'azione di Gesù il Cristo, il
i solipsismi ("noi ci occupiamo delle nostre cose e voi delle quale ci ricordò che né sul Garizim, né in Gerusalemme,
vostre": il Kailasa è per tutti); superare anche ogni eccleti- né al Kailasa ... né esclusivamente fra ebrei, hindu, cristia-
smo (il pellegrinaggio al Kailasa richiede che lo si intrapren- ni, animisti.. . dimorano lo Spirito e la Verità.
da personalmente, privi di ogni pesantezza superflua, anche Questa azione non può essere compiuta spiritualmente
ideologica). da soli. Sotto il cielo (simbolo del divino) con Milena (che
Pace con la Te"a fu la seconda trasformazione ecosofica. molto coscientemente rappresentava l'umanità) e sulla ter-
Dire che si va là per morire sembra orribile - e sarebbe sba- ra (che incorporava l' intera creazione) abbiamo celebrato
gliato. Spiegare che si va nel luogo cui si appartiene, e che (con il pane e il vino) quell'uno e unico sacrificio, come
non ci crea problemi accettare un possibile requiescat in pace canta esplicitamente il ~g-veda, e ribadisce la liturgia cri-
nel grembo della Madre Terra, è ben altra cosa. Comporta stiana: la sacra azione primordiale.
una trasformazione che ho chiamato ecosofica: una parte- Sono conscio del!' am biziosità di quest'utopia di una
cipazione alla saggezza della terra di cui l'uomo è il frutto ortoprassi religiosa. Se l'ecletticismo è il pericolo del pri-
intelligente e il portavoce. Non fu un viaggio nell'abisso: fu mo punto e l'antropomorfismo quello del secondo, la so-
un pellegrinaggio, un itinerarium verso il luogo cui anche sranzializzazione del divino sarebbe la trappola del terzo.
noi apparteniamo. È certo che siamo pellegrini su questa Siamo tutti impegnati in un 'avventura cosmoteandrica.
terra, ma allora siamo veri pellegrini e non turisti curiosi, e Come potrei io, piccolo individuo, anche solo accarezza-
nemmeno i suoi padroni con il diritto di sfruttarla per i no- re tali aspirazioni, letteralmente sublimi? Posso forse dire
stri interessi egoistici. Gaia eleison (Terra, abbi pietà di noi) che fui mosso dallo Spirito che soffia dove, quando e come
dovrebbe essere una preghiera wnana universale. vuole?
Pace fra gli De~ intesi come spiriti superiori, fu la terza Il pellegrinaggio al Kailasa apre un terzo occhio, il ter-
trasformazione e anche la più ambiziosa. Se differenti grup- tium cognitionis genus, l'esperienza (anubhava) di un'altra
pi di quello che ancora chiamiamo Homo sapiens litigano dimensione della realtà. Nell'esperienza cosmoteandrica la
fra loro, può senz'altro essere perché non c'è pace nemme- Materia è paradossalmente in correlazione con lo Spirito.
no nel pantheon delle più alte sfere, nel devaloka. Gli Dei Il Kailasa appare come una gigantesca roccia soffusa di

90 91
Spirito, così come è rivestita di neve. Qui ho udito di Raramente ho scritto poesie, ma forse questi versi
nuovo il "sermone della montagna". Era più del sermone esprimono un po' meglio ciò che rimane comunque ine-
sulla montagna, e anche più del sermone lungo il cam- sprimibile:
mino. Più di ciò che disse il poeta: «Grandi cose, non «Al Kailasa non ti puoi recare?
inferiori, sono fatte quando gli uomini e le montagne si Triste alternativa per te l'interiore percorso!
incontrano» (A.K. Coomaraswamy). Queste grandi cose Al Mansarovar sei andato?
non si fanno urtandosi per strada. Inutile fatica il tuo cammino!
Il "sermone della montagna" è il sermone della mon- Cammino è solo verso il Sé,
tagna. Non è il sermone che sento su un pendio monta- Sé e viaggio uno essendo,
gnoso, non il sermone in una ridente vallata. Può darsi come videro Buddha e Cristo.
che in questi nostri giorni di umanesimo antropomorfi- Quindi:
co non sia facile cogliere il linguaggio della montagna. "va', come se non andassi;
. . . . .
Ma potrei non essere immerso nel silenzio totale. Echi come se non nnunaass1, nnunc1a.
risuonano ancora nelle mie orecchie. Udivo soltanto: Senza pellegrinare sii pellegrino,
«Benedetti sono questi, benedetti sono rutti, benedetti; pellegrino verso il Non-luogo:
iifirviid iinandd, subhe, xara ... », tutte parole troppo uma- ora - qui!"
ne alle orecchie non ancora silenti. Eppure:
Non sarei tuttavia sincero con me stesso se nascondessi da migliaia d'anni
che, lungo tuttO il percorso, il "sermone della montagna" e da differenti tradizioni di fede
incominciò a superare il genitivo oggettivo della frase, e il Kailasa attrae i pellegrini.
divenne un misto dei due genitivi, oggettivo e soggetti- "Dio ti ha posto fra i minerali"
vo (lo dico interpretando ora ciò che non richiedeva di disse alla Ka'ba un grande maestro.
essere interpretato allora). Non fu più un sermone che È pura superstizione?
udivo sulla montagna, e nemmeno il sermone della mon- Può una montagna non essere sacra?
tagna stessa. La montagna non parlò. Era il sermone del - O un corpo non essere santo?
la montagna al vocativo, all'inizio, e al nominativo, alla È Verità solo un concetto?
fine. La montagna stessa divenne il sermone e il sermone E Bellezza solo un sentimento?
era la montagna. Solo dottrina è la religione?
Sarebbe un' interpretazione molto limitata dire che E la fede solo ideologia?
sperimentai che "il logos si fece montagna", facendo Ancora una volta noi udiamo:
sollevare un sopracciglio a chi teme il panteismo, o su- "Alzati e cammina!"».
scitando l' entusiasmo di chi crede nell'incarnazione di-
vina. Ma può essere un modo di suggerirlo, a condizione
di dimenticarne il significato letterale. Il sermone della
montagna è la montagna. Il sermone della montagna è il
sermone: Kailasa.

92 93
25 • e b. ll monumento più celebre di Ellora è il Kailiisa, la montagna
o il paradiso di Siva. Un blocco di roccia è stato svuotato e scolpito.
ll pellegrino, una volta varca!Jl la soglia accede al santuario quadrato
di Nandi, il toto, cavalcallll'll di Siva. Poi egli sa.le in una sala quadrata
a sedici pilastr1. il cui ,etto, è occupato da un loro sbocciato e da
quattro leoni. Infine, egli arriva al sanruario principale, la cui sommità
si trova esatt.ameme in linea e al di sopra della cella interna, occupata
dall'emblema di Siva: il {j11go. Così, di salita in salita, il pellegrino
accede al Kailasa, la montagna di Siva. (M. Delahoutre)

94 95
ACQUA

5. Trisangam: Giordano, Tevere e Gange


«Occorre essere spiritualmente semiti
e intellettualmente occidentali
per essere cristiani?»

In questo capitolo vorrei sintetizzare quanto ho fatto


e detto neU' arco di quasi mezzo secolo sulla questione
dell'essere cristiani oggi. Le mie esperienze e i miei in-
contri a questo riguardo sono troppo numerosi per elen-
carli qui, e \7 oglio inoltre omettere i problemi teologici
in senso stretto, per limitarmi a una descrizione filosofi-
ca generale della situazione cristiana attuale e, nello stes-
so tempo, caratterizzare più concretamente i «luoghi»
della saggezza.
Si intende quindi offrire un contributo al cristianesi-
mo odierno nella sua apertura verso il pluralismo reli-
gioso, pur mantenendosi fedeli alla propria tradizione.
Si trana della possibilità di rimanere fedeli a una tradi-
zione, preservandola tanto dall'assolutismo quanto dal
rischio che si esaurisca.
Una questione da affrontare necessariamente, altri-
menti si incorre nel pericolo che tutte le tradizioni - non
soltanto quella cristiana - finiscano diluite in una mono-
cultura generale.

• Ln '1M Mytb o/Cbris1it1.11 UnUJuenes.r. ·TO\\l'atd a f>lural.istic TI>oolo~y of ReUtions', (.1 ror.a di)j.
Hkk and P. f. Kniner. Orbis, MaryknolJ 1987, pp. 89-116. Ap,p:usoin iuli.!ioo in5'\~:l. siile
di vita. EdfaiMi Cultura della Pace, Sttn Domenico di Fiesole- (fi) l 99}. In Opera Omnia. VoL m,
2. Crùtùmesùno. U"" aim/t1ntll

97
Il dilemma

L'umanità si trova oggi in una fase di trasformazione,


di fronte alla quale la riflessione teologica non può più
continuare imperterrita a pensare con le sue categorie
abituali. I problemi sono cambiati; le questioni fonda-
mentali vanno riesaminate. Questa è la ragione per cui
mi batto per un nuovo Concilio, non un Vaticano m, ma
un Concilio di Gerusalemme un. Per poterlo realizzare
avremmo bisogno di una certa visuale della situazione
mondiale come si presenta oggi, e di una corrispondente
prospettiva intra-cristiana. Mi limiterò qui a quest' ulti-
ma.
Si potrebbe sintetizzare la storia della tradizione cri-
stiana nel suo rapporto con le altre religioni con il sim-
bolo dei tre fiumi sacri citati nel titolo. Gesù è stato bat-
tezzato nel Giordano, il Hii Yiirden, il Nahr al-Urdunnl2.
Non si può asciugare l'acqua del Giordano dal corpo di
Cristo, e quindi nemmeno da quello dei cristianiIJ. La
tradizione cristiana ha una indelebile matrice ebraica.
Gesù, gli apostoli e gli evangelisti erano tutti ebrei. Non
si possono capire i Vangeli a prescindere da una deter-
minata spiritualità ebraica. Intendo con «spiritualità», in
questo contesto, una serie di atteggiamenti/ondamentali,
prima che vengano espressi in teorie e sviluppati nella
prassi. Oggi ci si pone la domanda: può esistere una uni-
ca spiritualità universale, cioè un atteggiamento spiritua-
le umano fondamentale che sia tanto universale quanto
concreto? Una spiritualità basata sull'ebraismo porta in
sé una tale possibilità? Il Giordano è il fiume, nel senso
in cui gli egizi chiamavano «il Fiume» il loro Nilo?

Queste questioni teoriche vanno pensate alla luce di


26. Il Giordano, che sta per sfociare nel Mar Morto, e la swi valle, Mappo di Madoba (particolare),
venti secoli di storia cristiana, i quali sono altrettanto se- mosaico pavimema]e, chiesa nord di Madaha, Giordania. La carta, che nelle intenzioni de] mosaicisrn
gnati dall 'acqua di un altro fiume sacro, Tiber, il Tevere. doveva raffigurare la Terra Promessa vista da Mosè prima di morire sul Monte Nebo, è stara
Pietro e Paolo morirono presso le sue rive, e di là conti- via via attualizzata alla realtà topografica fino al VI secolo. (Michele Piccirillo)

98 99
nuano a vivere nella storia. Senza Roma il cristianesimo
è incomprensibile, perfino nei suoi aspetti anti-romani.
Il Mediterraneo è il mare cristiano, il mare nostrum, il
«nostro mare». Il cristianesimo odierno è una miscela
più o meno armonica dell'eredità ebraica e di elementi
greci, romani, gotici e occidentali. Vorrei evidenziare che
non dovremmo né ignorare né assolutizzare questo fatto.
Il cristianesimo è la religione di questi due fiumi, e non
possiamo farne a meno. Ma è giunto il momento di chie-
derci se la situazione debba restare sempre così.
Come il cristianesimo non si può staccare spiritual-
mente dal Giordano, così si sfascerebbe intellettualmen-
te senza la sua relazione con il Tevere, del quale mi servo
come simbolo per indicare la mentalità dell'Occidente,
per quanto ampia e variegata sia.
Oggi ci si pone la domanda se le frontiere teologiche
cristiane siano stabilite definitivamente tra quei due fiu-
mi, o se non dovremmo oltrepassare un nuovo Rubicone;
questa volta non per sconfiggere Pompeo, ma per rag-
giungere pacilicamente il Gange.
La domanda è duplice: i cristiani devono ammettere
che non possono conquistare il mondo - né dovrebbero
farlo, dato che rappresentano soltanto un phylum nella
storia religiosa - ma porrebbero ancora pretendere pe r sé
l' universalità, e affermare di essere l'unica vera comunità
religiosa? Oppure c'è qualcosa nel «fatto» cristiano che
è specilicamente universale; in questo caso, Cristo può
essere compreso come un simbolo universale?
Nella ricerca che scaturisce da questa duplice doman-
da utilizzerò come simbolo il fiume Gange (Ganga), per-
ché mi sembra idoneo: il Gange ha molte sorgenti, tra cui
una invisibile; va a perdersi in un delta di innumerevoli
corsi d 'acqua; e ha visto nascere sulle sue sponde nume-
27. Panoramica del Ponte ~•lilvio, che pennette'\'a alla via Flaminia di superare il Tevere.
rose religioni. Quello che mi attrae della Ma Ganga (a Parte dei piloni in tufo risa]e ancora alJ'età romana, il resto è stato più volte ricostruito.
parte le mie vicende personali) è questa origine multi- J.:aspeno armale gli è stato attribuito dal restauro di Giuseppe Valadier ( 1805). La fama del ponte è legata
forme, la unicità della sua foce e soprattutto la segreta alla batrnglia de] 312 con cui Costantino sconfisse e ucci'ìe il rivale Massenzio. impossessandosi di Roma.

101
sorgente celeste. A illahabad (Allahabad), antica città dal rie dell 'India, ma anche per tutte le tradizioni di Eurasia,
nome islamico, non sfociano nel Prayaga soltanto le ac- Africa, America e Oceania, che incarnano forme comple-
que dello Jamuna e della Ganga, ma anche quelle della tamente diverse sia nella spiritualità sia nella mentalitàI4.
invisibile e divina SarasvarI che è, al tempo stesso, una Per chi è radicato in quelle mentalità, con i loro carat-
sorgente e la dea della saggezza. Lo attestano da millenni teri tipici, la reologia cristiana standard ha poco senso.
infinità di persone con il celebre Kumbh-Mela, pellegri- Non soltanto i contenuti della Bibbia, ma anche la mag-
naggio che si compie ogni dodici anni secondo un calco- gior parte delle premesse e dei concetti cristiani risultano
lo astrologico e astronomico. estranee, se non grottesche, alle tradizioni non -abramiti-
La metafora della Ganga non deve in nessun caso ali- che. È un punto che ribadisco: malgrado appena il 10%
mentare pregiudizi di tipo «ariano» (indo-germanico) della popolazione mondiale parli correttamente l'inglese
perché ogni nazione ha i suoi fiumi che, per la maggior (e molto meno qualsiasi altra lingua europea), e malgra-
parte, sono sacri. La Ma Ganga, il fiume madre Gange, do i cristiani siano una minoranza su questo pianeta, i
qui non funge da simbolo soltanto per l'induismo, il bud- cittadini del «primo mondo» tendono a supporre che ciò
dhismo, il jainismo, il sikhismo e le altre religioni origina- che pensano corrisponda a un modello universale. Varie

- -

- -- - - -- ---
-- - -:::::,_

- -
28 a: Kumbha Mela. L'Acqua rende possibile la vita sotto rutte le forme. Il peUegrinaggio hindii di massa nel 28 b: Il saluto al dio Sole e le offerte principali agli dei, ai saggi risbi e agli antenati.
quale i fedeli si ritrovano ogni tre anni per immergersi in un fiume sacro. (Disegno di Miche! Delahoutre) Da Pierre Amado Le bairt darts le Gange. Sa significatiort. (Disegno di Miche! Delahoutre)

102 103
culture si sono lasciate irretire dalla sindrome dell'univer-
salità.
Abbiamo quindi due possibili risposte, ed entrambe
legittime. Optare per una o per l'altra non dipende solo
da una decisione religiosa individuale. La risposta che in-
fine l'orbe cristiano darà sarà una decisione politica dalla
immensa portata storica. La Realtà non è data una volta
per tutte. Il futuro delle religioni dipende, tra l'altro, da
come le diverse tradizioni comprendono se stesse e dal
tipo di decisioni che prendono. Il cristianesimo è anche
ciò che i cristiani ne fanno - e ne faranno. Bisogna distin-
guere politica e religione, ma non si possono separare
completamente.
La prima risposta sostiene che i cristiani dovrebbero
abbandonare la pretesa di universalità; dovrebbero la-
sciar fluire pacificamente i fiumi, senza riversarvi dentro
l' acqua cristiana o deviare i loro corsi dentro il Mar Morto
o il Mediterraneo; i cristiani non dovrebbero passare di
nuovo il Rubicone e inondare tutti i Paesi del mondo. Il
cristianesimo sarebbe allora una religione tra le tante e
Gesù, in ultima analisi, soltanto il salvatore dei cristiani.
I suoi rapporti con le altre religioni dovrebbero essere
affrontati come un problema interreligioso, come la po-
litica estera tra Stati sovrani. In questo caso, il cristiane-
simo tutela la propria identità per differenziazione: basa
la sua unicità sul fatto che è diverso da altre tradizioni.
Una diversità che dovrebbe essere mantenuta 15. Qui non
si mettono in discussione tolleranza, rispetto reciproco e
buon vicinato; è in questione soltanto la pretesa di uni-
versalità di una certa tradizione cristiana.
In base a questa prima risposta, i cristiani dovrebbero
riconoscere le altre tradizioni nel loro proprio buon di-
ritto. I fiwni dovrebbero conservare la propria identità
distinta, come pure le religioni. Le acque della Ganga,
del Huanghe o del Nahr on Nit (Nilo) - sottolinea la pri-
ma risposta - contengono troppo sale (o inquinamento, 29. Offena di fiori nelle acque sacre del Gange.

104 105
se si vuole) e sono troppo distanti (filosoficamente, te- La presente riflessione vuole essere un passo corag-
ologicamente, umanamente) per poterle mischiare con gioso verso la soluzione di questo dilemma, mostrando
quella dei fiumi cristiani, senza provocare ingenti cam- che i fiumi della Terra in realtà né si incontrano (neanche
biamenti chimici e fisici. Per questo motivo è meglio te- negli oceani) né banno bisogno di raie incontro per esse-
nerle separate. re fiumi veramente vivificanti. I fiumi non si incontrano,
La seconda risposta probabilmente è la più diffusa, nemmeno nel mare. Eppure «essi» si incontrano: in cie-
anche se spesso secolarizzata e ridotta alla sua forma lo. Si incontrano nelle nubi dopo aver subìto la trasfor-
più debole. E dice che la pretesa di universalità è es- mazione in vapore, che poi cade sotto forma di pioggia
senziale al cristianesimo, perché un cristianesimo senza nelle valli della Terra per rialimentare i fiumi. Le religioni
universalità sarebbe una contraddizione in termini. In non crescono insieme, sicuramente non come istituzioni
questa ottica, il cristianesimo appare come un phylum organizzate. Si incontrano dopo essere state trasformate
privilegiato, chiamato a riunire il mondo, a «convertire» in vapore, dopo aver subìto la metamorfosi in Spirito,
gli altri corsi d'acqua culturali e religiosi in un Rio del- che poi viene riversato in lingue innumerevolit6. I fiu-
le Amazzoni cristiano che irrigherebbe tutto il pianeta; mi della Terra vengono alimentati dall'alto dalle nuvo-
un processo in cui, ovviamente, il cristianesimo stesso le, come pure dalle sorgenti terrestri e sotterranee, dopo
dovrà trasformarsi in una religione ancora più univer- un'altra mutazione, quella della neve e del ghiaccio in
sale. Con quale diritto - argomenta la seconda risposta acqua. Il vero serbatoio delle religioni non consiste sol-
- dovremmo frenare gli sviluppi di questo dinamismo tanto nell' acqua dottrinale della reologia, ma anche nella
cristiano? Non è la tentazione di ogni movimento rivo- caligine delle nuvole divine (rivelazione), nella neve e nel
luzionario, quella di soffocare ogni altro sviluppo, appe- ghiaccio immanenti dei ghiacciai e nei picchi coperti di
na i suoi leader hanno preso il potere? Il cristianesimo neve dei santi (ispirazione).
è al riparo da tale tentazione? Finora i cristiani hanno La mia tesi è che il principio eristico non è un avveni-
assorbito sincretisticamente il «buono» delle religioni mento particolare né una religione universale. È piutto-
mediterranee: perché non possono procedere allo stesso sto il centro della Realtà visto dal punto di osservazione
modo con altre religioni? della tradizione cristiana. Per proseguire con la nostra
Il dilemma è il seguente: molti cristiani avranno la metafora, cercherò di mostrare come nessuna tradizione
sensazione di tradire le loro verità di fede più profonde religiosa abbia il monopolio sull' acqua viva dei fiumi (la
se abbandoneranno la convinzione di dover pensare il salvezza), e che tuttavia non dobbiamo diluire le dottrine
cristianesimo in una prospettiva universale. di alcuna religione autentica per raggiungere la concor-
D'altra parte, sono in aumenro i cristiani che diven - dia religiosa 17 • Ho approfondito alrrove 18 I' «effetto pars
tano magari oscuramente, ma dolorosamente coscienti pro toto» inerente a questa problematica. La metafora
che la pretesa di universalità è un residuo imperialistico, non vuole indicare l'unità trascendente di tutte le reli-
che ha ormai fatto il suo tempo. Anche perché la mag- gioni in modo indifferenziato. Va in quella direzione, ma
gior parte dei seguaci delle altre religioni avvertono que- non voglio confondere i fiumi veri con l' acqua distillata.
sta pretesa come una minaccia, e un insulto, alle proprie Come ogni acqua è diversa dalle altre, così ogni religio-
credenze. ne; ogni fiume contiene la sua specifica quantità di sali

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e microrganismi. Non dovremmo nemmeno dimenticare emergono con particolare evidenza in punti ben determi-
che l'acqua subisce una trasformazione (di morte e risur- nati della manifestazione temporale della consapevolezza
rezione: vapore, pioggia, di nuovo acqua), la quale sol- eristica.
tanto le consente poi di rendere fertile la terra. Storia e tradizione sono loci theologici (fonti dell' attività
Le religioni non sono costruzioni statiche. Per questo teologica). Ogni riflessione teologica contemporanea me
nessuna religione dovrebbe aver paura di lasciar evapo- ignorasse il nuovo contesto sarebbe metodologicamente di-
rare la propria acqua, quando il clima diventa insoppor- fettosa. Né il dogma né l'auto-comprensione cristiana sono
tabilmente caldo. Le nuvole la riporteranno giù appena il un fatto a-storico o a-geografico. La geografia, così come la
calore della polemica sarà passato e i flutti si saranno cal- storia, è una categoria tanto umana quanto religiosa.
mati. In altre parole: non soltanto ogni acqua è unica, ma Se è vero che il modo di manifestarsi del cristianesimo è
anche ogni fiume offre al mondo religioso il contributo del diverso nel m secolo e nel xx, esiste anche una differenza
proprio tracciato, del proprio sapore, della propria bellez- tra l'esperienza cristiana sulle sponde del Tevere e quella
za. E questo non riguarda solo qualche ambito particolare, sulle rive del Gange. La metafora del fiume è più che una
ma rutto il mondo nel suo destino ultimo. Appartengono sofisticheria geografica, è una categoria teologica. Che il cri-
al fenomeno religioso anche i meandri, i ghiit, i porti, i stianesimo sia universale o meno, l'interpretazione cristiana
luoghi balneari, gli stagni quieti, le rapide cascate, le ac- della vita elaborata in un deserto africano sarà diversa da
que movimentate e turbolente. Qualunque sia l'«essenza» quella elaborata in una città scandinava. Finora siamo stati
della religione, le religioni vive e vere non sono essenze, ma molto più sensibili alla storia cl1e alla geografia.
esistenze concrete, forti e pericolose. I fiumi religiosi sono Dovremmo renderci conto che la geografia del cristia-
molto di più che la H 20 della chimica. nesimo non può essere ridotta al Giordano in Palestina, al
Tevere in Italia o al Gange in India. Non soltanto flora e
I tre momenti geo-teologici fauna sono diverse sulle sponde dei vari fiwni del mondo,
ma cambiano anche le società umane e le religiosità. Le
Il fatto cristiano è stato sostanzialmente compreso finora coordinate geo-teologiche non sono parametri geometrici
in termini storici, però è anche e propriamente un fenome- cartesiani e neutrali; influiscono sulla natura dell'Uomo e
no trans-storico. !.:evento cristiano non si inscrive soltanto sulle sue credenze. La «geografia religiosa» è una disciplina
nel passato né esclusivamente nel futuro, poiché appartie- ancora quasi inesplorata. Senza infine dimenticare me la
ne anche ali' ordine del cuore, della vita personale del cre- geografia e la storia si intrecciano.
dente. Ha w1a contemporaneità sui generis me trascende, Il Tevere, ad esempio, non è soltanto il fiume di Roma.
in un certo modo, tempo e spazio, senza però eliminare la Anche Bisanzio è una Roma, e per secoli Mosca è stata con-
cornice spazio-temporale. È un fatto teologico. Stimola la siderata la terza Roma. Inoltre la Capitale italiana racchiude
riflessione sul «dato» di fede sia alla luce della propria tra- in sé, per così dire, una triplice Roma: la Roma dei Cesari
dizione, sia nel cono di luce di altri fari - anche se il rutto (quelli cristiani e quelli non-cristiani), quella dei Papi (con
viene sempre filtrato dai nostri apparecchi ottici. Anche i o senza potere temporale) e quella del popolo. Nonostante
tre momenti geo-teologici sono intrecciati tra loro e ognu- questo, considererò il Tevere come rappresentativo del se-
no è presente nell'altro. Tuttavia i rispettivi caratteri tipici condo ambito della geografia cristiana.

108 109
Quella che segue ora è necessariamente solcanto una bre-
ve panoramica.

Il Giordano: acqua, fede, evento, religiosità,


tensione verso l'alto, esclusivismo

«Gesù è il Cristo» è la più breve formula della creden-


za cristiana. Sebbene la parola «Cristo» sia polisemica, le
origini di questa formula sono strettamente collegate all'i-
dea ebraica del Messia, malgrado le riserve che Gesù stesso
aveva nei confronti di quel titolo. Nei termini pur granuna-
ticalmente sinonimi: «Unto» (cioè consacrato), «Messia»,
«Christos», «Christus» e «Gesù Cristo», si ha nell'uso effet-
tivo un graduale spostamento di significato.
I.:autocomprensione cristiana è collegata in modo intrin-
seco, sia in continuità sia in polemica, con la Bibbia ebraica.
Viene abolita la circoncisione, cosa che provoca una rottura
con l'ebraismo. Essa viene però «rimpiazzata» dal battesi-
mo nell'acqua - e, naturalmente, in origine era l'acqua del
Giordano. Quelle acque battezzarono Gesù, figlio di Maria,
Figlio dell'Uomo. Sono acque sante, perché lo Spirito di
Dio vi aleggiava sopra19. L'acqua è il simbolo dell'iniziazio-
ne: purifica, fluisce, si colloca in polarità con il fuoco, viene
da sorgenti e fiumi, ma anche da molto in alto e da grande
profondità nella terra, e porta sia morte che resurrezione.
Esiste un solo Giordano, però. Non tutti vengono iniziati.
Sta qui la radice del!' esclusivùmo, sebbene ogni acqua - ci
verrà insegnato più tardi - sia acqua del Giordano. Il cristia-
no è l'uomo di fede. Questa fede è centrata sulla persona di
Gesù. Perciò le discussioni teologiche dovranno delucidare
chi sia questo Gesù. Il punto essenziale tuttavia è meno la
sua natura individuale che la realtà del suo avvento/evento
stesso, in particolare la risurrezione. Questo avvenimento è
anzitutto un fatto storico nella vita di Gesù, giovane rabbi
ebreo che fu condannato dalle autorità giuridiche, religio-
se e politiche del tempo. Noi siamo saldamente radicati J O. Epifania. icona, l MII secolo, Venerabile Arciconfraternita della Purificazione, Livorno.

110 111
J I. Masaccio, So,r Pietro battew, i neofiti, particolare,
chiesa del Carmine, cappella Brancacci, Firenze. 32. Ascensione, icona. ·x v secolo, Galleria Tret'jakov. Mosca..

112 113
nella Storia, e specialmente nella storia personale di Gesù: co e si espande tutt'intorno. Purifica, ma anche distrugge.
per questo motivo la fedeltà alla sua persona rimane al cen- Videntità cristiana non può essere limitata all'esperienza
tro. Vinsegnamento di questo giovane ,abbi è affascinante, delle prime generazioni, sdegnando le realizzazioni cultu-
nonostante il fatto che la maggior parte delle sue parole le rali e religiose prodotte in venti secoli di storia cristiana. Ci
possiamo già trovare in fonti più antiche; il suo esempio troviamo qui nella seconda, terza e quarta epoca secondo
esercita una attrattiva irresistibile.I cristiani continuano a la descrizione fatta sopra: conversione, crociata e missione,
guardare verso il cielo, malgrado l'ammonimento degli an- che si estendono per ben millecinquecento anni di scoria
geli al momento dell ' Ascensione20. A penneare la loro vira cristiana.
è un atteggiamento «religioso», una particolare religiosità Il cristiano è vincolato a una determinata visione del mon-
- non religione. Guardano in alto verso il Cristo innalzato. do, che viene espressa da una serie di credenze. Essere cri-
Tra loro vigono forti speranze escatologiche. La risurrezio- stiani non significa solo professare fedeltà a Cristo, richiede
ne di Cristo rivelerà e provocherà anche la nostra. anche l'appartenenza alla comunità cristiana, la si chiami
È un privilegio trovarsi sotto l'influsso, il fascino e la gra- Chiesa o complesso di credenze. Scissioni e scismi, una
zia di Gesù. È un dono particolare e conferisce una dignità volta consolidatisi, sviluppano le proprie ortodossie. Il cri-
particolare; è una sorgente di gioia, ma anche un compito stianesimo diventa una istituzione. La comune appartenen-
che comporta responsabilità. Il Giordano, per continuare za viene in larga misura istituzionalizzata. Videale ora è la
con la metafora dei fiumi, possiede una potenza unica al Cristianità, l'Impero cristiano, la civiltà cristiana. Quando,
mondo, come sottolineano le Scritture ebraiche. «Forse all' incirca nel XVT secolo, questo ideale inizia a disgregarsi,
l' Abanà e il Parpar, fiumi di Damasco, non sono migliori viene sostituito gradualmente dal cristianesimo come reli-
di tutte le acque d'Israele? Non potrei bagnarmi in quel- gione.
li per purificarmi?» esclamava Naaman, capo dell'esercito Il Giordano è un fiume geografico e mistico; le sue ac-
arameo, a Eliseo, profeta di Israele:2 1. In altre parole, in un que sono acque battesimali. Il Tevere è un fiume storico e
mondo gerarchico la singolarità, il privilegio e addirittura politico; le sue acque simboleggiano quelle che scorrono
l'esclusività non rappresentano un problema insuperabile. nel Tamigi, nella Senna, nel Parana, nel Poromac. Il Tevere
«Esistono pochi cristiani, e ancora meno sono quelli che porta con sé una reologia, una visione del mondo ben strut-
si salvano». In un contesto gerarchico, non si trova nulla turata, anche se ampia e flessibile. È l'acqua della civiltà
di ripugnante in un certo esclusivismo. Ciò spiega anche cristiana, passata e presence. La cristianità e il suo succes-
perché, nell'ortica del «Giordano», le problematiche teo- sore, il cristianesimo, non sono soltanto affari privati. Le
logiche centrali si ricolleghino al tema dell'identità di Gesù acque cristiane scorrono dappertutto; irrigano tutti i campi
Cristo e si sviluppino sul piano cristologico e trinitario. di una civiltà cl1e pretende di abbracciare il mondo intero.
Si potrebbe citare un gran numero di personaggi contem-
Il Tevere: fuoco, credenza, z'.rtituzione, religione, poranei: Giovanni Paolo II, il presidente Reagan, la regina
introversione, inclusivismo Elisabetta, il generale Pinochet, i filosofi Marirain e Gilson,
i teologi Barth e Lonergan, gli storici Toynbee e Heer. Tutte
Ma il Giordano è l'unico fiume sacro? Non si viene bat- persone che condividono la fede nella superiorità del cri-
tezzati anche con il fuoco? II fuoco brucia ciò che è sec- stianesimo. Questa credenza non impedisce loro di ammet-

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cere la grandezza altrui e le carenze dei cristiani; anzi queste gno della natura e della grazia»; oppure, in forma più se-
ammissioni - si argomenta - sono in armonia con i valori colarizzata: «democrazia», «civiltà globale», «governance
del cristianesimo e stanno sotto l'autorità di Cristo. mondiale», «mercato unico mondiale», «diritti umani
Il cristianesimo è diventato così potente e universale, universali», una scienza naturale ovunque valida, con re-
così convinto della propria missione, da non avvertire la lativa tecnologia ... sono tutte espressioni della medesima
necessità di guardare fuori, se non per imparare qual- sindrome. Tutti i fiumi portano la stessa acqua, ma alla
cosa e perfezionarsi. Uno dei suoi tratti fondamentali fin fine è la nostra acqua, anche se le canoe che la percor-
è la introspezione, che sia mistica, religiosa o politica. rono da una parte all'altra non lo sanno.
All'interno della rivelazione, della dottrina, della pras- Naturalmente esistono molte istituzioni, Chiese e te-
si e dello stile di vita cristiani si trova - secondo questa ologie cristiane. Spesso lottano tra di loro per il potere,
opinione - tutto il necessario per una vita umana in pie- per una migliore comprensione delle proprie tesi teolo-
nezza, nonché per la valutazione delle altre religioni e giche (sia a livello interno che ecumenico), o anche per
culture. Questo è il tipo di introversione che intendo: in trovare metodi migliori di trattare con le altre religioni
noi stessi troviamo l'intera verità. del mondo. Malgrado tutte queste differenze, scopriamo
La teologia è rivolta verso l'interno. Vogliamo trova- però sempre lo stesso tipo di linguaggio. Potremmo chia-
re la risposta a tutte le questioni teologiche dentro di marlo il logos occidentale. I cristiani reagiscono irritati di
noi, dentro la nostra propria tradizione o rivelazione. fronte a questo aggettivo, in quanto affermano che il lo-
Possiamo anche parlare degli altri, onorarli, integrarli gos è un iversale (anche se può ridursi al «nostro» logos).
nel nostro sistema, ma siamo sempre noi a farlo. Ecco Se il Tevere in sé non è ovunque, la sua acqua però lo
un esempio: quando, per la prima volta nella storia della è. Per questo abbiamo bisogno del fuoco , e di rivolgerci
Chiesa, un Concilio ecumenico, il Vaticano n, non solo verso l'interno.
ha riconosciuto il diritto ali' esistenza delle altre religio- Gli sforzi per una maggiore apertura di questa posizio-
ni, ma nella dichiarazione Nostra aetate le ha addirittura ne inclusivista sono lodevoli. Abbiamo così il discorso sul
lodate, non si è comunque ritenuto necessario invitare cristianesimo invisibile, sul Cristo cosmico, sulla Chiesa
i rappresentanti di quelle religioni per farli esprimere spirituale un iversale, su un Dio che ha senso anche per
da sé. Gli esperti cattolici erano sicuri di poter parlare a i buddhisti, e su una legge che non esclude il nomos, il
nome degli altri. Il Tevere bastava e avanzava. dharma, il karman o il li. L'ideale è quello d i una «te-
Esiste un discorso teologico ad hoc per difendere un ologia universale della religione» oppure, in linguaggio
certo tipo di inclusivismo cristiano. La religione cristiana più scientifico, una Teoria del campo unificato22 . Questo
rappresenta, secondo questa opinione, l'apice dello svi- Tevere risulta più lungo del Mississippi.
luppo religioso; difende valori dalla portata universale Fin quando tale cristianesimo rimarrà invisibile, e
e reclama per sé una sorta di universalità. In breve, il Cristo ignoto, la Chiesa spirituale, Dio ineffabile, la legge
cristianesimo non necessariamente disprezza gli altri, ma non scritta e la teologia muta, non ci saranno problemi.
senz'altro si ritiene loro superiore. Homo loquens tamen (ma l'uomo è un essere parlante),
Anima natura/iter christiana, «cristiani anonimi», «te- e non possiamo parlare la «lingua in sé», così come non
ologia del compimento», «a servizio dell'umanità», «re- possiamo praticare la religione in sé. Dobbiamo invece

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parlare una certa lingua e praticare una certa religione. li, cioè ad accettarli anche se non li capiamo. Ci fidiamo.
Allora l'universalità cristiana diventa sospena, e implode Abbiamo una fiducia nel nostro destino che è maggiore
- a meno che... della certezza (sicurezza) basata sul logos. L'identità cri-
A meno che non si ritenga che il phylum cristiano pos- stiana comincia ad apparire non più come la difesa di una
siede il privilegio esclusivo di assorbire rutti gli altri e di- determinata cultura, né come l'appartenenza a una religio-
ventare un unico Rio delle Amazzoni per il mondo intero. ne istituzionalizzata, ma come religiosità personale vissuta,
Come sta avvenendo nelle molte nuove forme dei movi- vale a dire un tipo di atteggiamento religioso che costitui-
menti «di risveglio» e fondamentalisti. In rutti questi feno- sce una dimensione dell'Uomo, un fattore dell'humanum,
meni è centrale la preoccupazione per la propria identità. un aspetto del Divino.
E altrettanto ovvio che le principali formulazioni delle I cristiani non si preoccupano più solo di se stessi, ma
questioni teologiche dipendono dal dibattito su chi siano sono anche aperti agli altri e al mondo intero: tensione ver-
i cristiani e quale sia il loro destino: questioni relative alla so l'esterno. Questo momento è tipicamente estro-verso,
ecclesiologia, grazia, redenzione, rapporti con le altre reli- non allo scopo di uscire a conquistare, ma per instaurare
gioni e, in generale, l'ortodossia. un rapporto. È una mentalità per cui si vede se stessi in
relazione agli altri, e gli altri in relazione a sé. Non la defi-
Il Gange: terra, fiducia, religiosità, dimensione, nisco però «apertura» per non turbare l'equilibrio con gli
tensione verso l'esterno, pluralismo altri due momenti.
La teologia cristiana del secondo momento tendeva ad
Ci troviamo oggi di fronte alla sfida di una «teologia» accentuare la novità del messaggio cristiano e a difendere
per l'era post-coloniale. Corrisponde all'atteggiamento del la propria identità per differenza, sostenendo quindi che
dialogo esposto sopra al quinto punto. Una teologia dialo- l'amore del prossimo, e le dottrine della Trinità, della gra-
gica stabilisce il proprio tema di discussione solo dopo che zia, ecc., sono contributi specifici e unici della rivelazio-
esso - e ovviamente anche il linguaggio - è stato deciso ne cristiana2>. Senza addentrarci in casi particolari, basti
in comune o è stato creato nel dialogo stesso. Lo stesso dire che il terzo atteggiamento si troverà maggiormente a
ordine del giorno del dialogo dovrebbe essere elaborato proprio agio se scoprirà che tutte quelle donrine e inse-
all' interno del dialogo stesso. In altre parole, Gangotri è gnamenti costituiscono un bene comune dell'umanità, e
solo una delle sorgenti del Gange, e il delta non è più un che il cristianesimo non fa altro che incarnare le tradizioni
fiume, non è nemmeno in territorio «indiano». Le sorgenti primordiali, originarie, dell'umanità.
del nostro Gange sono le nevi dei monti e le nubi del cielo, Con questo voglio dire che né l'esclusivismo né l'in-
le quali, a rigore, non sono acqua. clusivismo rappresentano l'atteggiamento qualificante di
Il simbolo qui è la terra, ossia la secolarità (saeculum), questo terzo momento. Parlo qui di pluralismo.
il regno della giustizia qui in terra, che comporta la dispo- Prima di sviluppare gli aspetti positivi di questo nuovo
nibilità alla collaborazione con tutti, pur non condividen- momento, che chiamo Cristiamà, passo a descriverne alcu-
done le idee. Non esiste alcuna coscienza planetaria, però ni tratti negativi (il che ci porterà, come Mosè, alle soglie
esiste una particolare percezione dell'altro e degli altri, e della Terra promessa). Si tratta della possibile incommen-
una particolare disponibilità ad accoglierli senza soffocar- surabilità tra le visioni ultime del mondo.

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Ho più volte ribadito che, a rigore, la Filosofia com- gibile. Tuttavia non possiamo dimostrare in modo logico
parata non è possibile perché il punto di vis ta da cui (a meno di identificare l'Essere con la Consapevolezza) la
dovrebbe essere fatto il paragone apparùene già a un inesistenza di un Essere inconoscibile.
determinato orizzonte lilosofico24. Si può dire lo stesso Si può obiettare che, se tale Intelligenza infinita non
sulla Religione comparata25. Non possiamo partire dal può sapere tutto, allora non è infinita. Noi ribattiamo che
presupposto che rune le tradizioni religiose possano es- una Intelligenza infinita è infinita in quanto intelligenza,
sere appropriatamente e autenticamente misurate con lo ma non necessariamente in quanto Essere, salvo presup-
stesso metron (misura); a meno che non postuliamo che porre che, in definitiva, Essere e Intelletto coincidano -
la ragione (che in fin dei conti è soltanto la nostra idea di e questo è il punto. Il che implica, semplicemente, che
ragione) sia un criterio neutrale, universale e sufficiente potrebbero esistere aspetti della Realtà impenetrabili alla
per giudicare le religioni. Ogni tradizione religiosa, come luce dell'intelletto.
sistema relativamente completo di aurocomprensione, Mentre i problemi dei due momenti precedenti erano
racchiude in sé i propri parametri. Un dialogo fruttuoso cristologico-trinitari ed ecclesiologico-soteriologici, qui
deve anzitutto concordare sui parametri che andranno le questioni teologiche si concentreranno sui problemi
usati nel confronto, altrimenti ognuno parla per secon- dell'umanità e sul modo in cui i cristiani possono con-
d i fini. Detto semplicemente: che cosa intendiamo con tribuire a risolverli. Ciò non significa che tali problemi
le parole che usiamo? Il colloquio sul significato delle siano solo di tipo politico o economico, o solo una que-
parole precede il dialogo, lo condiziona, e lo costituisce. stione di giustizia. Sono anche di natura antropologica,
La conseguenza è che le tradizioni religiose possono in quanto l'Uomo ha raggiunto un peculiare livello di au-
benissimo essere incomparabili: possono non avere al- tocomprensione. E sono anche di carattere cosmologico,
cuna unità di misura in comune, con la quale essere va- cioè riguardano la visione del mondo e della storia.
lutate adeguatamente. Di fatto, risultano reciprocamen- Soltanto su questo sfondo storico e geo-teologico pos-
te irriducibili finché non sia stato raggiunto o stabilito siamo affrontare la sfida specifica e i problemi di una
un accordo. Una valutazione realistica della fase attuale au to-comprensione pluralistica e cristiana per il nostro
deve prendere atto che le religioni, e anche le teologie, si tempo.
ritengono spesso incompatibili tra loro.
Non abbiamo alcun bisogno di risolvere le nostre Se la spiritualità del Giordano appartiene strettamen-
frustrazioni intellettuali postulando l'esistenza di un te al cristianesimo, e quella del Tevere alla cristianità, il
Intelletto per il quale tutto, assolutamente rutto, sia Gange rappresenta il simbolo della Cristianìa26 benché
intelligibile. Questa ipotesi si limita a porsi la doman - tutte queste immagini vadano intese con un esprit de
da ultima. Pretende di rispondere al perché dell'Essere finesse alla Pascal (non de géométrie). Da tempi imme-
e, così facendo, sottomette l'Essere al perché, al logos, morabili il Gange è il simbolo non del potere politico
alla consapevolezza. Possiamo dire, in modo logicamente o intellettuale (cristianità e cristianesimo), ma dell'e-
conseguente, che tutto ciò che viene abbracciato da un sperienza personale, e l'esperienza è fondamentale nella
Intelletto infinito o supremo è intelligibile. Non esistono Cristianìa (esperienza del Cristo). A eccezione di alcuni
limiti per una Intelligenza infinita: per essa, tutto è intelli- punti sulle montagne, il Gange non è un fiume spetta-

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colare. Scaturito dall'Himalaya, fluisce tranquillo, poi-
ché scorre per più di mille chilometri quasi a livello del
mare. I peccaà saranno perdonaà se si muore con fede
nelle sue braccia. Non deàene alcun potere, ma è rive-
sàto di un'autorità immensa, al punto di purificare dai
peccati coloro che in esso credono. Alle origini il Gange
era il cielo, e si riversò sulla terra attraverso i capelli di
Aiva per non danneggiare nessuno; e prosegue ancora
per il mondo sotterraneo, proprio alla foce presso l'i-
sola di Sagar. L'esperienza dei tre regni è essenziale per
la Crisàanìa. Come abbiamo già detto, però, lvfti Gangli
sta per qualsiasi altro fiume che porà acque che finora si
consideravano non crisàane.
Quesà tre atteggiamenà mentali simbolizzano, presi
insieme, il complesso fenomeno crisàano del presente.
Oltre a ciò, la crescente consapevolezza della Crisàanìa
offre una piattaforma dalla quale il dilemma tra esclu-
sivismo e inclusivismo potrebbe essere risolto a favore
di un salutare pluralismo delle religioni - che però non
diluisca in nessun modo il contributo unico di ciascuna
tradizione umana.

33. Cli aspetti benefici del Kumbha Mela: la pioggia che cade dal cielo swl'Himalaya.
(Disegno di Miche! Delahourre)

122 123
ACQUA

6. La goccia d'acqua
«Come i fiumi che scorrono al mare
si riversano in esso. perdendo nome e forma,
così il Saggio, libero da nome e forma,
raggiunge la suprema. divina Persona.»
MundU ill,2,8

«Se una goccia d'acquagettata in un oceano


d'acqua viva potesse parlare e dire il suo stato
non g·riderebbe con grande gioia: ~o
mortali. io
vivo verameme, ma non vivo io, questo oceano
vive in me e la mia vita è nascosta in quesco abisso?.!t»
san Francesco di Sales Traité de l'Amour de Diei1

Secondo i Veda, la Bibbia e altri testi sacri, l'acqua (ele-


mento primordiale per eccellenza) precede la creazione27.
I miti di Babilonia, della Persia e dell'India descrivono le
acque primordiali, e possiamo trovare paralleli in propo-
sito nelle più differenti culture, dalla Grecia ali'Africa.
Come la vita stessa, l'acqua sta alla base di runo. «Acqua
viva», «una sorgente d' acqua che zampilla», «fiumi di ac-
qua viva» sono espressioni che ritroviamo facilmen te in
quasi rune le tradizioni del mondo28 .
L'acqua simbolizza la vita. A differenza degli indivi-
dui, piante o animali o esseri umani, l'acqua non muo-
re. L'acqua è una; si muove e si trasforma come un'unica
acqua. Il mare ha la stasis di un luogo fisso e la dynamù
del movimento costante e a prima vista immanente, con-
temporaneamente sempre Io stesso e sempre mutevole.
L'acqua è viva, è la sorgente stessa della vita29 . «Un tem-
po», ci dice Plutarco, «l'uomo era senza fuoco, ma non è
mai stato senza acqua». Nei luoghi in cui l' acqua scarseg-

• Ed. or. Thl' Drop o/Water. An lntemdtun1/ Met4phor, in S. l'hs, E. fiirBnstt (:1eur2 di), S4ma•
nnya. Studiet ;,, lndi4n Art.s, 'Pbi/()Soph, 11.nJ lnterreligiou1 DiaWgue, D.K. Prit1n1,-orld, Odhi 2005.
RieUbor:ttione di un resto assai pte<.'edeme llpP:ll'S() in ittii:ano: ~ a«IU!e •ll',,omo quando muor~.,
Una rijlnsi<me intertultuml~ Ju una meu/ora, «&22o, Roma, 5/6, pp. 117-1,6. Ora in Opera
Omnia. VoLIX, Tomo 1, Miu,, li111h<Jo e at.lto.

125
34 a: Interno della grande moschea (Ulu Carni) di Bursa (1396- 1400)
con la vasca/fontana entro 1'edi.6cio. 34 b: La corte della moschea di Bay:12id u a lnstanbul (1501-1506). Con il grai,de garebo per le abluzioni.

126 127
35. Arrigo fiammingo (Hendrick van den Broeck) su progetto di Giulio Mazwni, Allegoria dell'acqua,
olio su muro. Roma, paLuzo Capodiferro Spada, sala delle Sragioni, ca. 1550-1552.

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gia o proprio non c'è, la sua assenza fa del circondario una Tommaso dice vita viventibus est esse (la vita per i viven-
terra sterile, una «terra di morte». Molte tradizioni attribui- ti è l'essere). Ora, questo essere non è statico, è piuttosto
scono all'acqua il potere di purificazione e di rigenerazione: un divenire, un «non-essere-ancora», siccome è sulla via
si rinasce a una nuova e più alta vita tramite le acque del dell'essere - di essere. Quindi, questo essere è in cammi-
battesimo o di abhi,reka. !:acqua è necessaria per purificare no per la vita, che è un processo rischioso che può anche
se stessi - prima di entrare nel tempio, nella moschea, ecc. fallire. Alla fine, il problema è se «in principio» c'era vita
ed essere o se c'era morte e non-essere>!. La vita è un epi-
!:acqua, però, ha anche il potere di sommergere, dissol- fenomeno o forma il cuore più profondo della realtà? Può
vere e distruggere. Basti menzionare il quasi universale mito l'uomo osare di asserire un'immortalità di ordine più alto di
del diluvio, o ricordare le esperienze comuni ai contadini e quella del sole, che ha ormai «vissuto» la maggior parte del-
ai naviganti attraverso i tempi, per illustrare questo aspetto la sua vita, o di quella delle stelle, che sono corpi «mortali»
più pericoloso dell'acqua. Non dovremmo però etichettare roteanti nello spazio siderale? Si rende un cattivo servizio al
frettolosamente questo fatto come un paradosso e asserire femminismo se ci si arrende al modo di pensare prevalente-
semplicisticamente che la sorgente stessa della vita è la cau- mente dialettico dei maschi. Come dobbiamo comprendere
sa della morte. La vita che è mortale non è «pura» vita, ma espressioni di molte tradizioni che parlano di «Signore del-
semmai è la vita di esseri la cui capacità di vita è limitata. la vita» «Sorgente dell'Essere» il Padre suo che è Vita?JJ
La morte deriva dall'essere frammentati. La nostra riflessio- Significano che la vita è il più importante prodotto della
ne sull'acqua e sulla morte è imperniata sul seguente punto realtà, il suo «primogenito», la sua manifestazione primaria,
centrale: la morte è un elemento costituente della vita, dato ma non, forse, il suo mistero ultimo?
che si trova negli e fra gli esser viventi, ma non è un attribu- Lasciando da parte queste questioni, cerchiamo di capire
to costitutivo della vitaJO_ «La vita è mortale in quanto vita? come l'acqua, simbolo di vita, possa anche portare la mor-
Vi sono due risposte logiche. Se la vita non è primordiale te. Supponiamo che a un essere umano venga data «più»
(se, per esempio, è il risultato di uno sviluppo chimico e vita di quella che gli compete, questo «eccesso di vita» sof-
di un'evoluzione biologica), allora non è inerentemente im- focherebbe, per così dire, la vita stessa di quella creatura.
mortale. La vita potrebbe dunque o essere un puro caso, Una nuova vita implica un nuovo essereJ4 . In questa stessa
o un conseguimento che deve essere conquistato riperuta- prospettiva le tradizioni abramitiche asseriscono che nes-
mente. Questa idea non necessita di essere collegata esclu- suno può vedere Dio - che è, per definizione, pura vita.
sivamente alla teoria del!'evoluzione: è anche, per esempio, Altrettanto, la sapienza indiana enfatizza che la pura vita
la funzione del sacrificio nei Veda. richiede il puro essere. La luce del sole illumina, ma il ri-
Se, d'altra parte, la vita è primordiale (se cioè la vita è il verbero del sole acceca per eccesso di luce, proprio come il
principio stesso della realtà), allora è immortale per natura. buio per mancanza di luce.
È questo un punto di profondo disaccordo fra coloro che !:acqua, simbolo di vita, può anche essere simbolo di mor-
credono in una teoria assoluta dell'evoluzione e coloro che te, ma in modo differente. In sé e per sé l'acqua è viva ed è la
credono in un Dio vivente. Nel primo caso la vita è il pro- sorgente della vita, ma può anche portare la morte. C'è qui un
dotto o il sottoprodotto della realtà, mentre nel secondo è filo sottile che lega vita e morte - benché strettamente parlan-
il centro stesso della realtà. Riecheggiando Aristotele, san do questo legame non sia quello della necessità.

130 131
Molte tradizioni non considerano la morte un accadi-
mento naturale. Per di più, è precisamente la pura vita,
quella che non ha relazione con la morte, che più di una
religione chiama Dio. Da questo punto di vista, il teismo
affermerebbe l'esistenza di vita senza morte. Ma non in-
tendiamo analizzare qui l'immortalità di Dio o degli Dei.
Semmai ci concentriamo solo sulla possibile immortalità
dell' uomo.
Non abbiamo fatto di necessità virtù, e dedotto che la
vita umana deve essere mortale dal fatto che la morte è
inseparabile dalla vita? Le religioni tradizionali (tranne
che forse nelle loro espressioni mistiche) sono state fret-
tolose nel relegare la vera vita in un'altra vita, una vita ol-
tre la morte? Non ha forse l'uomo moderno, all'Est come
all' Ovest, continuato questo processo demitologizzando il
mito di una cosmologia teologica, in cui l'intero univer-
so è sacro, solo per sostituirlo col nuovo mito della storia,
in cui la vita vera è proiettata nel futuro? La storia non è
stata forse trasformata in cosmologia in modo da potervi
inserire il marchio occidentale della antropologia moder-
na? L'uomo non raggiunge più l' immortalità in uno sfondo
cosmologico (una diversa esistenza, in questo o in un altro
mondo) ma grazie al suo destino antropologico (tramite la
fama e l'influenza permanente di una persona sulla propria
società).
Queste considerazioni ad ampio raggio possono servi-
re come introduzione alle nostre riflessioni sulla metafo-
ra della goccia d' acqua, perché ci mettono in guardia dal
pericolo di fare assunzioni monoculturali quando ci si in-
terroga sul destino umano. Non possiamo semplicemen-
te aggirarci da una cosmologia a un'altra, prendendo ciò
che vogliamo da una per mischiarla all'altra, ignorando nel
contempo gli aspetà meno affascinanti o persino contrad-
dittori di entrambe. Questo vale sia nei confronti di di-
36. Il di/,,vio, "Genesi di Vienna", da Costantinopoli. Vienna, verse culture che della medesima cultura a differenti stadi
6srerreichische Nationalbibliothek, Cod. Theol. Gr. 31, ili. 3. del suo sviluppo. Dobbiamo tener conto, per esempio, che

132 133
paradiso e inferno non esistono più per una parte dell'u- umano: la goccia o l' acqua? Cosa costituisce l'uomo: la sua
manità, e che mentre lo spazio newtoniano ha perso il pro- «goccia» o la sua «acqua»? L'uomo è la differenza quanti-
prio peso metafisico, il tempo storico mantiene ancora il tativa fra le gocce o la differenza qualitativa fra le acque?
proprio potere cosmologico. Quando la goccia cade nell'oceano, la tensione superfi-
ciale che la separa da ogni altra goccia, la barriera che pre-
*** viene una cotale, profonda comunicazione e una genuina
comunione certamente sparisce. La goccia non esiste più
Torniamo alla nostra goccia d' acqua. Cosa succede come goccia. Dopo la caduca nell'oceano, questa picco-
quando cade nel mare? Cosa accade all'uomo quando la goccia d'acqua separata, insieme al tempo e allo spazio
muore? Trattiene qualcosa di se stesso o è completamen- che la individualizzavano, non è più. Altrettanto alla morte
te assorbito dall'Oceano dell'Essere (o Dio, o Nulla)? Il l'individualità dell'uomo è assorbita in Brahman o ritorna
non-essere non è. Non possiamo dire lo stesso della mor- alla sua matrice cosmica o si scioglie in Dio o è unita a Lui.
te? La morte senz' altro è, ma qual è la sua condizione on- L'individuo è annichilito, cessa di esistere, è trasformato
cologica? La tradizione vedica, così come molce altre, di- in ciò che era (o era detto essere) e via dicendo. Se l'uomo
rebbe che la morte uccide solo ciò che può essere ucciso. è la goccia, e se questa goccia cade nel mare, allora questo
Se è così, allora la morte non può uccidere «ciò» che noi individuo è veramente morto. La morte è omologica (ov-
veramente siamo. Al contrario, la morte rivela il nostro viamente nei termini dell 'essere della goccia).
vero stato. Per questo motivo la «morte» di un individuo L'acqua della goccia, però, non subisce lo stesso destino.
che non ha bruciato cucco il proprio karman, è solo uno Continua a essere, non ha perso nulla, non ha smesso di
stadio intermedio, perché la reale morte di una persona essere ciò che era. L'acqua di questa goccia è ora in co-
la libera completamente dal samsiira (il ciclo delle esi- munione con l'acqua dell' intero oceano senza aver perso
stenze). Similmente noi distinguiamo fra la morte come nulla. Cerco, può aver subìro alcuni mutamenti, ma nes-
caduca della goccia umana nell'oceano «piena della pro- suno di essi ha spogliato la goccia del suo essere in quan-
pria durata vi rale» (dirgha-iiyur) e una morte accidenta- to acqua. Lo stesso vale per l'uomo, che realizza se stesso
le, prematura (akala-mrtyu) , che impedisce la crescita e la pienamente nella morte, che diviene ciò che in realtà è
maturazione . La prima implica la sparizione della mem- sempre stato, benché prima della morte non sia (o non
brana che circonda la goccia, mentre la seconda evoca una sembri essere) questo reale essere dal momento che ha
più o meno completa e inattesa evaporazione dell' acqua. identificato il proprio essere con il suo passato temporale
La morte come dirgha-ayur rivela il Brahman o nirva ... a o con i suoi parametri spaziali. La morte sfonda le barriere
che «siamo», preserva rutto ciò che l'Uomo fondamental- dello spazio e del tempo, e forse anche quelle della limi-
mente «è», che sia Anima, Nulla, Dio, Essere... Questo tata coscienza dell'uomo. Questo cambiamento, tuttavia,
non muore: tal tvam asz>5. Tu sei quello che la morte ha non può essere così sostanziale o fondamentale da poter
rivelato. Vediamo cosa accade quando una goccia umana parlare di una mutazione o di una differente vita. L'acqua
di acqua muore, quando «si perde» nel mare. trova se stessa. L'uomo realizza se stesso. Vita mutatur, non
La nostra risposta dipende da ciò che siamo: la goccia tollitur06 La morte è fenomenica (owiamente nei termini
d'acqua o l'acqua della goccia. Cosa rappresenta un essere dell'acqua della goccia).

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La nostra domanda non ha ancora una risposta: l'uomo Di conseguenza, da questa prospettiva, l'uomo è conside-
è la goccra d'acqua o l'acqua della goccia? rato essere una goccia solo per il lasso della sua esistenza
nell'universo temporale. Di fatto questo tipo di religione
l. Se l'uomo è considerato come goccia... ha molto in comune con l'atteggiamento, sopra descritto,
che considera l'uomo come l'acqua della goccia.
Se l'uomo è considerato come goccia, cioè come la ten- Le differenze in questi credo mostrano con chiarezza
sione superficiale che la separa da ogni altra cosa, come l'ambivalenza di ogni posizione religiosa: tutto dipende
un individuo, una monade, allora l'essere umano sparisce dalla credenza del credente. Per esempio, il credo nella vita
dawero con la morte individuale, e la morte diviene una dopo la morte può essere consolante, positivo ed efficace
grande tragedia contro la quale l'uomo deve combattere per coloro che lo professano perché, mentre arrancano in
con rune le proprie forze. Possiamo descrivere due modi questa «valle di lacrime», prendono su di sé la responsabi-
in cui l'uomo ha affrontato questa lotta: il primo, ciò che è lità dell' intero universo, avendo in mente una vira migliore
staro tradizionalmente la preoccupazione della religione, il a venire. Al contrario, per coloro che non ci credono, l'idea
secondo ciò che è oggi chiamato secolarità. di un altro mondo può essere un' ideologia distruttiva che
La lotta religiosa postula una vita più autentica e defini- paralizza ogni iniziativa umana. O ancora, se I'«altra» vita è
tiva dopo la morte: la goccia sparisce per nascere di nuovo separata da «questa» in modo che la prima è indipendente
vuoi come una goccia cristallizzata e definitiva in una delle dalle «opere» di questo mondo, il mondo è abbandonato al
tante versioni della vira eterna, vuoi come una nuova goc- suo destino o, peggio, lasciato a coloro che lo sfrutteranno.
cia, in una vira temporale completamente nuova. Dentro la In questo caso la religione sarebbe dawero un oppiaceo
categoria delle religioni tradizionali, possiamo ancora di- che può forse alleviare la sofferenza individuale ma che alla
stinguere due tipologie: una che accerta l'unità spazio-tem- lunga perpetua l'ingiustizia.
porale sulla terra, e fa risorgere la goccia in seguito in qual- A differenza di queste risposte, il responso cosiddetto
che specie di stato eterno; l'altra che parla nei termini di un secolare proclama che non c'è nessun «altra» vita. La sola
ciclo cosmico di esistenza. La prima presuppone un tipo speranza per un individuo risiede nel migliorare la con-
di mutazione a un livello che è assolutamente più alto di dizione umana il più possibile qui e ora. La morte viene
quello dell'umana esistenza. La seconda crede in una legge considerata un grande scandalo perché la sua esistenza sta
di reincarnazioni successive, la legge del karman. Questo a testimoniare il farro che il progetto «uomo» non è sta-
secondo tipo crede anche che a un cerro momento, che è to ancora realizzato. È l'unico fatto inevitabile che l'uomo
il risulcato di un processo più o meno determinato, possia- vorrebbe negare e contro cui deve lottare per portare il
mo sfuggire al ciclo di nascite e rinascite raggiungendo una progetto umano un passo più vicino al suo compimento.
trascendenza pura simile a quella che è cercata dal primo In effetti, questa lotta secolare è motivata da qualcosa che
tipo di religiosità, ma con una differenza fondamentale: in potremmo propriamente chiamare un impulso religioso,
genere, le religioni del primo tipo vogliono mantenere la senza il quale l' uomo sarebbe impotente, drogato dagli op-
«goccia» (individualità) sull'«altra riva», mentre il secon- piacei dell'egotismo e della non-azione. In questo senso la
do considera, nella maggior parte dei casi, l'individualità lotta della secolarità contro la morte può essere genuina-
come una caratteristica del sa~nsiira, l'ordine temporale. mente religiosa quanto quella delle religioni «formali»H.

136 137
Sia che noi etichettiamo questa lotta come «religiosa» Questa fede ha dato origine a una grande tentazione, si-
o come «secolare», nondimeno il suo scopo principale è mile all'effetto drogante della religione sopra menzionato.
di salvare la goccia d' acqua, tenendo conto che «goccia» Consiste in una specie di monolitico monismo che meno-
può qui significare un clan o una tribù o un popolo scel- ma l'umana creatività: se la mia «goccia» è reale solo come
to, piuttosto che un singolo individuo. L'atteggiamento acqua e non altrettanto come acqua della mia goccia, che
di base è chiaro: il destino dell'uomo risiede vuoi in un cosa può mai significare «coltivate con diligenza la vostra
altro modo, dove le «gocce» umane sono cristallizza- salvezza?»40_ Senza dubbio, dobbiamo fare attenzione a
te in un 'immortalità paradisiaca, vuoi in questo stesso non confondere monismo con a-dualismo.
mondo, chiamato a trasformarsi in paradiso, anche se le Il monismo è il risultato del pensiero che soffoca la re-
generazioni che costruiscono questa «società perfetta» altà, riduce il reale a un concetto o a un'idea. L' a-dualismo,
devono essere a tal fine sacrificate: «I lavoratori periran- viceversa, man tiene i due (Essere e Pensiero) in una po-
no, ma la città sarà edificata!>>>&. larità creativa: ritiene che l'acqua di ogni goccia non può
Questa risposta alla morte è tipica delle culture abra- essere identificata con nessun concetto di «acqua». La di-
miche, o più semplicemente della civiltà occidentale. stinzione è importante dal momento che l'acqua di ogni
L'uomo è la goccia. goccia è precisamente l'acqua di ogni goccia, e non l'acqua
di un concetto astratto di acqua. Se parliamo in termini
2. Se l'uomo è considerato l'acqua della goccia ... concettuali, allora l' acqua della mia goccia deve equivalere
al concetto di «acqua» della goccia di chiunque altro. Ma
Se l'uomo è considerato l' acqua della goccia, allora la questa interpretazione concettuale non significa che que-
persona umana può mantenere il proprio carattere uni- ste gocce sono identiche come acqua reale, ma si riferisce
co dopo la morte. In un certo senso, la persona è ancora semmai a un certo tipo di concetto univoco di acqua.
più unica che se fosse la goccia, perché ogni goccia è La formula quantitativa HiO si applica certo all'acqua
se stessa non in virtù di differenze accidentali o della nei termini della sua composizione chimica, ma la realtà è
tensione superficiale, non a causa delle limitazioni spa- anche qualitativa. L'acqua è calda o fredda, dolce o salata,
zio-temporali, ma perché ogni porzione di acqua è altra metallica o solforosa. Non solo ogni acqua ha un sapore
- untca. differente, l'acqua di ogni goccia in realtà differisce da
La distinzione è ontica, non epistemica. In altre paro- tutta l'altra acqua come acqua (e non solo come goccia).
le, ciò che distingue la goccia è l'acqua stessa, non la sua Infine, dicendo acqua si implicano tutte le acque, perché in
membrana o la sua situazione nel tempo o il suo posto. effetti l'acqua non può essere etichettata come singolare o
L'acqua di ciascuna goccia è identificata dalla sua plurale, Una o Molte. Il mondo non è riducibile a quantità,
identità con se stessa (identificazione tramite identità), né a questo riguardo è riducibile a sostanza.
mentre nel primo caso la goccia è identificata differen- La tentazione sta nell'abbandonare la nostra compren-
ziandola da tutte le altre gocce (identificazione tramite sione immediata del simbolo per sostituirla con il concetto
differenza).>9. Dire che un essere umano è l'acqua, tut- di acqua e quindi dichiarare che le differenze fra le va-
tavia, non significa che il suo essere racchiude tutta l'ac- rie gocce d'acqua sono solo accidentali o pura illusione.
qua, ma solo che è (reale) dal momento che è acqua. Siccome l'Essere si suppone uno, gli esseri sono definiti

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reali nei termini di un concetto d'acqua non ambiguo, co- in cui l'acqua che cade è in equilibrio con l'acqua che si va
sicché ogni differenza va ascrina alla semplice apparenza, continuamente formando nelle gocce. Quando esse cado-
priva di ogni fondamento nella realtà: le gocce non sareb- no come pioggia, spariscono come gocce e così via ... Nulla
bero assolutamente reali, ma solo l'oceano. La materia dif. perdura: solo i cambiamenti perpetui di una momentaneità
ferenzia le gocce, afferma la Scolastica, ma questa «mate- senza fine. La relatività radicale (pratityasamutpiida) della
ria» non è «l'acqua». realtà persiste.
Stiamo cercando di scoprire cosa succede all'uomo quan- Una prospettiva atmaviidica offre un differente approc-
do muore, e cosa succede all'acqua della goccia quando è cio. Distingue fra l'Io definitivo, aham, la sorgente finale
unita (o riunita) all'oceano. Senz' altro, moire cose cambia- dell'azione che alcune tradizioni chiamano il divino o Dio
no o spariscono. Il punto è se qualcosa di ogni goccia per- o Brahman, e l'ego psicologico (ahamkara), l'origine con-
dura o, ancor meglio, persiste dopo la morte. Qualunque scia o inconscia dell'azione individuale, l'anima individuale
cosa persista avrebbe il marchio di realtà, in quanto per- (jiva) . Semplificando un po', potremmo dire che l'Io è im-
sistenza implica più del semplice perdurare. Esistenza è mortale e l'ego è mortale. !.:immortalità si raggiunge puri-
la diastole degli esseri in moro centrifugo, è l'universo in ficando l'ego, poiché è precisamente questa purificazione
espansione. !.:esistenza costituisce il tempo. I.:essere può che ci rende capaci di realizzare il «nostro» Io. O, tornando
perdurare solo attraverso l'inerzia dell'esistenza. La persi- alla nostra metafora, raggiungiamo l'immortalità divenen-
stenza, d'altra parte, è la sistole degli esseri in moro centri- do consapevoli che noi siamo acqua piuttosto che goccia,
peto, è l'universo in concentrazione, il ritorno al centro, la scegliendo di non rinforzare il muro che ci separa, otte-
sua «(sus)sistenza» oltre la barriera della morte. nendo una vittoria sull'egotismo, realizzando che la nostra
Che cosa persiste? Che cosa cambia? Un 'elucubrazione vera «personalità» o «vera natura» risiede nell' acqua che
filosofica può rispondere parlando di qualità primarie e se- siamo. Chiaramente, l'immortalità è una sorta di conquista.
condarie, o di accidenti e sostanza, o di esseri e dei loro All'inizio, così dice Brahman, anche gli Dei erano morta-
attributi. Il nostro interesse, però, è la natura della real- Ji41. Poi divennero immortali e invincibili come riswraro
tà che si rivela alla soglia della morte. Qui stiamo usando della loro fervente concentrazione e sacrilicio42 . «Nella
morte nel suo senso più ampio e generale, come cessazione morte c'è l'immortalità». Un altro resto dice «La Vita non
di ogni cosa che può cessare di essere, come l'eliminazione muore»4> vittoria sulla morte consiste nello scoprire, nel
della goccia e di ogni cosa che le impedisce di essere e agire doppio senso di gnosis e realizzazione del «nostro» Io, il
come acqua. Tutto ciò che supera questa soglia è essere, o vero Io che è unico per ognuno di noi perché è Uno senza
perlomeno possiede l'immortalità. secondo (ekam eviidvitiyam)44. Nello stesso tempo, signifi-
Come potremmo caratterizzare questo «qualcosa»? ca la morte del nostro ego, che ci dà la falsa impressione di
Che cos'è l' «immortalità»? Come abbiamo già detto, non possedere come proprietà privata qualcosa che non pos-
possiamo parlare un singolo linguaggio che sia valido per sediamo e invero non possiamo possedere. Al contrario, è
ogni clÙrura nello stesso tempo. Il buddhismo, per esem- «questo» solo che può possedere noi.
pio, non riconosce un «qualcosa» sostanziale che persiste Ora, un buddhista non parlerebbe certo in questi ter-
o mura. Ma anche in questo caso la nostra metafora è utile: mini. Potrebbe però sottoscrivere ciò che stiamo dicendo
le gocce d'acqua sarebbero parte di una pioggia torrenziale interpretando la natura dell'acqua e l' <<lo» in senso non so-

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stantivista: sia acqua che «Io» sarebbero allora simboli del stessa come acqua. In una parola, l'ego muore cosicché l'Io
dinamismo naturale non sostenuto da alcuna sostanza per- viva in noi46, il che spiega come mai molte discipline spiri-
manente. tuali insegnino l'azione disinteressara47, la rinuncia ai frutti
La nostra metafora permette ancora un'ulteriore consi- dell'azione48, la «santa indifferenza» (alle cose e agli eventi)
derazione. Anche se realizziamo che siamo acqua, dobbia- e la liberazione dalle catene che ci legano all'inautentico.
mo continuare a diventare acqua, sempre e di nuovo, per- Altrettanto, se una persona quando agisce non è purificata,
ché siamo sì acqua, ma un'acqua che non è del tutto libe- anche le sue azioni saranno impure.
rata, un'acqua che può svanire perché manca di «peso» o Siamo così abituati a identificare la seconda prospettiva
di «gravità» o, potremmo dire, di maturità. La goccia può (l'uomo come acqua della goccia) con le spiritualità indiane,
non riuscire a crescere e non cadere nel mare. Può sempli- che può valer la pena di dirigere la nostra attenzione su un
cemente sparire prima di aver avuto il tempo di raggiun- testo sorprendente di san Francesco di Sales. Notiamo che
gere l'oceano. Il risultato è ciò che qualcuno chiamerebbe Francesco usa l'acqua come simbolo per esprimere la realtà
inferno: un aborto, uno strappo nel tessuto della realtà, della creatura quanto quella del creatore. In un capitolo in-
una goccia d'acqua evaporata. Come scrive san Tommaso, titolato «De l'écoulement ou liquéfaction de !'rune de Dieu»
portando alla sua logica conclusione l'idea agostiniana del (Circa lo scorrimento o liquefazione dell'anima di Dio) tro-
male come privatio: Peccatores in quantum peccatores non viamo scritto: « ... si une gourte d' eau élémentaire jetée dans
sun/45. Questo fallimento nel crescere o maturare ha pre- un océan d'eau naffe, était vivante et qu'elle pur parler et
so anche il nome di trasmigrazione. L'acqua che è ancora dire l'état auquel elle serait, ne crierait-elle pas de grande
legata alle proprie idiosincrasie da goccia resta nell'atmo- joie: O mortefa, je vis vrairnent mais je ne vis pas moi-mème,
sfera, nel mondo temporale. Questa goccia non raggiunge ainsi cet océan vit en moi et ma vie est caché en cet abìme»
la liberazione, non «perde» se stessa in Brahman. Deve anzi (. .. se una goccia d'acqua elementare gettata in un oceano
continuare le proprie peregrinazioni in guise differenti: la d 'acqua fosse viva e se potesse parlare e dire in che stato si
sua acqua diviene parte di altre gocce fino a quando que- trova, non griderebbe forse di gioia: O mortali, io vivo real-
ste gocce non realizzano di essere acqua. La goccia «muo- mente, ma non son io che vivo, è l'oceano che vive in me e
re» ma la sua acqua, che in una vita «secca» a motivo delle la mia vita è nascosta in questo abisso).
vanità umane di un'esistenza inautentica, non è del rutto Il capitolo inizia con le parole: «Les choses humides et
perduta ma si sublima e continua il proprio cammino ver- liquides reçoi- vent aisémenr !es figures et limites qu'on leur
so la realizzazione. Invero, secondo Sal)kara, è l'acqua che veut donneD> (Le cose umide e liquide ricevono facilmente
effettivamente «trasmigra»: «In realtà non vi è nessun'altra le forme e i limiti che si vogliono dare loro) [reminiscenze
anima che trasmigra se non il Signore». taoiste?]. Per questa ragione noi possiamo avere un coeur
Cos'è la morte? La perdita dell'ego, che può sparire per fondu et liquide (un cuore fuso e liquido). E dunque per
cadere nel nulla o per trasmigrare in altre gocce. In alterna- questo Dio dice «Leverò dalla tua carne il cuore di pietra»
tiva, l'ego può morire per realizzare un passaggio ali' «lo». In e Davide confessa che il suo cuore era come cera, sciolto
questo caso la morte è la scoperta del!' acqua viva. La goccia nel suo petto. San Francesco continua nello stesso tenore,
cresce finché la sua membrana si apre come i petali di un usando immagini bibliche dell'acqua49 per parlare dell'ani-
fiore, e la goccia cade nell'oceano infinito, senza perdere se ma che «sort par cet écoulement sacré et fluidité sainte, et se

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guitte soi-meme, non seulement pour s'unir au Bien-aimé, Primo, la necessità di un'ermeneutica che renda giusti-
mais pour se meler toute et se détremper avec lui» (esce zia dei problemi interculturali. Se noi ci accostiamo a un
da questo sacro scorrere e santa fluidità e si smarrisce non sistema filosofico diverso dal nostro usando però le nostre
solo per essere unita all'Amato, ma per assorbirsi comple- categorie, non possiamo che fraintendere quel sistema.
tamente e dissolversi in Lui) - engloutie en son Dieu (as- Se, per di più, le nostre categorie sono estranee al siste-
sorbita nel suo Dio). ma che stiamo esaminando, il fraintendimento persisterà.
Concludendo il capitolo, egli cita la metafora della goc- Trovare categorie omeomorfiche è un imperativo filosofico
cia. Il testo è chiaro: la goccia d'acqua è ed esiste come dei nostri tempi. In questo studio, ho cercato di mostrare
acqua, la sua vita è la vita dell'oceano. Qui san Francesco che queste categorie non possono essere concetti ma devo-
si riferisce ai testi di san Paolo: «Non sono più io che vivo, no essere simboli e inoltre che la metafora può giocare un
ma è Cristo che vive in me»5o, e «la vostra vita è nascosta ruolo irnportante52. Il nostro esempio evidenzia che lungi
con Cristo in Dio»5I. Per timore che permanga qualche dall'esprimere solo un concetto monistico della realtà, la
dubbio interpretativo, Francesco, vescovo di Ginevra, ter- metafora della goccia ha più di un significato persino all'in-
mina affermando: «L'ame écoulée en Dieu ne meurt pas; terno di una singola cultura. Il che è come dev'essere, per-
car, comme elle pourrait-elle mourir d'erre abìmée en la ché noi non stiamo cercando l'uniformità di una singola
vie? Mais elle vit sans vivre elle-meme, parce que, comme melodia ma un'armonia sinfonica.
!es étoiles sans perdre leur lumière ne luissent plus en prés- Secondo, la morte è sempre sub specie individualitatis:
ence du soleil, aussi l'ame, sans perdre sa vie, ne vit plus solo un essere individuale muore. Inoltre, la coscienza
étant melée avec Dieu, ainsi Dieu vit en elle» (L'anima che della morte è legata alla coscienza della propria indivi-
è fluita in Dio non muore, come infatti potrebbe morire dualità. Un'intera specie non può sperimentare la mor-
dopo essersi immersi nella vita? Ma essa vive senza vivere te simultaneamente (benché noi sappiamo che le spe-
in sé perché, come le stelle smettono di brillare in presen- cie in quan to tali sono mortali e infatti si estinguono).
za del sole senza però perdere la propria lucentezza, così Ciò è vero a ogni livello: morte significa la morte di un
l'anima, senza perdere la propria vita, non vive più essen- individuo, ma questo «individuo» può essere un virus
do immersa in Dio ma piuttosto è Dio che in tal modo monocellulare nel nostro corpo, o la specie dei mam-
vive in lei). Il nostro interesse in questi estratti non risiede mut, o persino la nostra stessa specie. L'individuo può
tanto nel discorso dell'assorbimento dell'uomo in Dio, un essere anche la goccia d'acqua o l'acqua della goccia.
tema classico del misticismo sia orientale che occidentale, Noi sperimentiamo la morte come morte di una parte di
quan to nel loro utilizzo della metafora dell'acqua, e anche noi che è più piccola della totalità del nostro essere: la mor-
della goccia. Entrambi i simboli sono chiaramente inter- te di un dito, di un braccio, di un ideale, di un amore, di un
culturali. credo. Non possiamo far esperienza della morte di tutto il
Abbiamo visto la goccia di acqua trasformata in immor- nostro essere5>. È solo quando aham come iitman emerge
talità, e abbiamo visto l'acqua della goccia crescere fino e l'ego è ridotto a essere solo una parte di noi stessi che l' e-
al punto in cui la goccia scoppia e cade, come un frutto go può morire. Senza la realizzazione dell'iitman, la morte
maturo, nel mare. Concludiamo ora con alcune ulteriori dell'ego equivarrebbe al suicidio, dal momento che la morte
riflessioni sulla metafora. significherebbe la morte assoluta dell'individuo umano54 .

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Per esprimerlo in termini psicologici, cerchiamo di Può darsi che la nostra acuta consapevolezza abbia an-
prendere in esame la moderna preoccupazione nei con- che qualcosa a che fare con l'istinto inconscio di un' uma-
fronti della morte. I numerosi studi a riguardo provano nità sulla via dell'estinzione.
abbondantemente questa ossessione da parte dell'uomo Un problema interculturale già menzionato può servire
occidentale, e degli intellettuali in particolare. Con la rara da esempio di quanto vado qui dicendo. La morte storica
eccezione di ben pochi studi monografici sulla cultura dell' uomo su questo pianeta, equivale alla fine assoluta del-
non occidentale, tuttavia, l'uomo è trattato in tutti que- la vita cosciente? È senz'altro così per coloro che <<Vivono»
sti studi come la goccia, non come l'acqua; come un indi- nel mito della storia; ma non per coloro che «vivono» nel
viduo in sé, e non come portatore di vita. L'uomo pensa mito di un' altra cosmologia.
a se stesso come al proprietario della vita piuttosto che Non è facile comprendere un mito se non possiamo tra-
come al suo rappresentante e, in un certo senso, al suo scendere il nostro stesso mito. Possiamo però concordare
amministratore. L'uomo è trattato soprattutto come in- sul fatto che gran parte del mondo contemporaneo è pre-
dividuo, e morte significa la sua morte (individuale). In occupata dalla possibilità di un e.aie cataclisma, mentre al-
questa cornice, la riflessione filosofica sulla morte non tri, a malapena consapevoli del declino della razza umana,
può andare oltre la psicologia, dal momento che il sog- sono molto meno colpiti da questa possibilità. Se la vita
getto finale è la psyche umana. Forse l' antica distinzione umana è un fenomeno esclusivamente antropologico, al-
greca fra bios e zoe, cioè fra vita individuale (biologica) lora una grande catastrofe nucleare significherebbe la fine
e vi ta essenziale (zoologica) potrebbe essere qui di aiuto. della vita. Se invece la vita umana è parte di un fenomeno
due «tipi» di vita? Quando la bios individuale scopre la cosmico, allora un disastro nucleare su larga scala sul no-
zoe della totalità, non perde forse la sua personalità?55 stro pianeta sarebbe solo una delle tante esplosioni inter-
Terzo, ci troviamo oggi in un mondo interculturale. Non stellari. La vita di cui siamo i portatori continuerà sotto al-
dobbiamo più esaminare un qualsiasi problema da una tre forme in qualche altro «mondo». Riflettendo su questo
sola prospettiva né essere soddisfatti di una risposta data è forse possibile istillare una goccia di speranza cosmica
da una sola cultura. nel primo gruppo e incoraggiare un po' di responsabili-
È chiaro che le persone nel mondo non comprendono o tà storica nel secondo. Forse la metafora della goccia ha
«vivono» la morte tutte nello stesso modo. Inoltre, il du- qui un contributo da dare anche se non crediamo nel mito
plice fatto che migliaia di esseri umani muoiono ogni gior- dell' altro. Non possiamo trasmitizzarlo in un simbolo più
no di morti innaturali e che l'umanità nella sua interezza familiare?56
si trovi di fronte alla possibilità assai realistica della pro- Una quarta lezione è che il valore di questa metafora è
pria morte collettiva rende il problema ancora più acuto. molto limitato nel nostro mondo moderno. Certo, l' idea
Come abbiamo detto, lo studio della morte è diventato og- dell'immortalità individuale in qualche «altro mondo»
gigiorno quasi di moda; tuttavia le radici della nostra solle- è oggigiorno problematica per molti, ma il fatto che ci
citudine si trovano più in profondità del corrente interesse stiamo dirigendo verso un paradiso in terra è ancor più
filosofico, che per la maggior parte deve la sua esistenza dubbio. D' altra parte, la fede nell' immortalità non è solo
alla repressione della coscienza della morte nell'Occidente una sorgente di consolazione per alcuni, ispira anche virtù
moderno. eroiche. Per di più, l' alternativa secolare può essere in se

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stessa un nobile ideale e sostenere una totale devozione. In Fuoco
entrambi i casi, l'io è vin to e la persona si realizza senza che
ciò richieda l'immortalità dell' individuo.
Parimenti, se si presuppone un'immortalità che va ol-
7. Bhakti, Karuna, Agape
tre l'individuo, tanto su di un piano verticale che su un
piano orizzontale, sorgono difficoltà consimili per l' uomo
moderno. Non di meno, la fede nell'immortalità o persino
nella divinità del proprio centro più intimo può condurre
alla realizzazione della persona.
Questi due approcci sono reciprocamente esclusivi o
possono essere complementari? Qualcuno potrebbe dire
che siamo gocce mortali d'acqua immortale. Altri chiederà
se non è possibile raggiungere una reciproca fecondazione
in modo da non aspirare solo all' immortalità come acqua,
Le tre parole sono irriducibili l'una all'altra; in un cer-
ma da onenerla come goccia; e non solo come una goc-
to senso, sono incommensurabili. C'è la tentazione, in cui
cia metamorfizzata in un altro mondo, ma mantenendo la
cado sovente anch'io, di usare la parola «amore» come si-
membrana vivente di una goccia di questa terra. Forse che
nonimo di tutte e tre. Così facendo, tuttavia, impoveriamo
bios e z6e non possono coesistere? Siamo tornati al punto
l'esperienza umana. Questo infatti riduce a una singola
di partenza...
nozione i tre universi che vivono e traspaiono da quei tre
Quinto e ultimo, una lezione di umiltà, avendo in mente
termini. Servono due occhi per avere una visione bifoca-
la sua connotazione etimologica di armonia e unione con
le degli oggetti fisici. Servono ere occhi per mantenersi
la natura. Nella nostra metafora, la vita dell'uomo è omo-
in contatto effenivo con la realtà. Il «terzo occhio» non
loga sia alla goccia sia all'acqua, cioè ai fenomeni naturali. è solo un' invenzione dei Lama tibetani. Il terzo occhio,
Il destino umano è stato paragonato ad almeno una fase
come alcuni di voi sapranno già, era un concetto perfet-
del ciclo naturale. Non volendo abusare della metafora,
tamente ovvio ai teologi virtorini del xn secolo, che già
non abbiamo suggerito ulteriori comparazioni, evocando
parlavano di un terzo occhio in assenza del quale la realtà
l'ascesa dell' acqua dell'oceano al cielo e la discesa delle nu-
diventa piatta, monocolore, senza vita.
vole sulla terra sotto forma di gocce d' acqua, che nutrono
Allo scopo di conservare queste tre dimensioni nella
campi e fiumi ... Voglio dire solo questo: il destino della
loro molteplicità, bo sviluppato il concerto di «equivalen-
vita umana è legato al destino della vita naturale. Una volta
za omeomorfica», una sorta di analogia di terzo grado. In
che raggiungiamo il nostro «oceano», chi può dire che non
questo caso, agape, bhakti e karunii sono equivalenti ome-
siamo l'essenza o la vita di questo oceano? Più semplice-
omorfici. I tre non sono identici per significato e per forza
mente: noi partecipiamo al destino dell'acqua dell'intero
universo. L'uomo, il Mondo e il Divino condividono un
destino comune e sono legati da una religio fondamentale, •ln Clob:tl Public:itioos, Bi~amptoo Uni\"ersity, Ne11.• York 2002, pp. J 1-14. ln Oper,1 Omnia,
il dharma costitutivo dell'universo. Voi. \'1,2 , Dialog'1 ;,,uro,/Ju,al~e inl t"ffl'lit/Ofi().

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espressiva. D'altro canto, elencare «karunii, bhaktt; agape» Non si tratta di tre diverse nozioni, ma di tre diversi
non è la stessa cosa che dire «elefante, psiche, ufficio po- simboli appartenenti a tre universi distinti. Una prospet-
stale». C'è qualcosa in comune tra esse, eppure non sono tiva difficile da ripristinare oggi, dato che da quattro o
la stessa cosa, e neppure «simili» come in una analogia di cinque secoli la cultura dominante mondiale è quella crip-
terzo grado. Nei rispettivi universi, svolgono un ruolo equi- to-kantiana. Essa ci fa credere di poter abbracciare tutto
valente. Un solo esempio, prima di affrontare direnamen- l'ampio spettro delle spiritualità umane a partire da un
te il tema, è quello di Brahman e di Dio. Quando leggete singolo punto di vista. Un atteggiamento frivolo, a voler
«Brahman», lo traducete con «Dio»? Sarebbe una tradu- essere cortesi, e che, sul piano fenomenologico, costringe
zione goffa e fuorviante. D'altro canto, neppure tradurreste a introdurre un termine politicamente pesante: coloniali-
Brahman con «pezzo di carta» o Dio come «signor capita- smo.
no». In ogni caso, i due non coincidono. Brahman è un ter- Il colonialismo non è una «brutta cosa». I popoli colo-
mine neutro; Dio è maschile. Dio si preoccupa per le sorti nialisti erano rispettabilissimi, avevano le migliori inten-
del mondo; a Brahman non potrebbe interessare di meno. Il zioni, il migliore... tutto! Il colonialismo rappresenta una
primo è creatore, il secondo non ha bisogno di creare alcun- credenza nel monoculruralismo, ossia l'idea che una sola
ché. Perciò, non sono concetti simili. Non hanno neppure cultura sia più che sufficiente. E i simboli hanno una «for-
la stessa funzione. Svolgono però una funzione equivalente za collante» superiore ai semplici concetti. Se io dico: «Un
nel!' ambito dei rispettivi universi, ognuno dei quali è per- Re, Un Impero, Un Dio», la frase suona obsoleta. Adesso
cepito come unificato grazie ai rispenivi tipi di religiosità, o si dice: «Una Governance Mondiale, Una Banca Mondiale,
come preferite chiamarla. Agape, bhakt~ karunii sono equi- Un Mercato Globale, Una Organizzazione delle Nazioni
valenti omeomorfici. Non sono semplicemente tre diversi Unite», e si cade nella stessa trappola. Non sto promuo-
aspetti della stessa cosa. vendo l'anarchia. Il discorso vorrebbe invece significare
In campo filosofico, possiamo affermare che sullo sfondo più libertà e rispetto per l'unicità di ogni singolo essere.
del pensiero occidentale resta sempre Platone. Potremmo Se il singolo essere è unico, allora è incommensurabile. Se
anche definire la mentalità moderna come «cripto-kantia- è incommensurabile, proprio in questa unicità risiede il
na». Il cripto-kantismo concepisce l'esistenza di una «cosa suo valore.
in sé», e allo stesso tempo la ritiene puramente nominale. Ricapitolando, esistono tre diversi universi. I:agapè è
Diciamo una cosa, e insieme ne diciamo un'altra: io penso principalmente un 'idea monoteista. Consiste, in sostanza,
che la cosa stessa sia qui, poi la traslo e dico che, in se stes- nel fare esperienza che Dio ci ama. I:iniziativa parte dal
sa, non esiste. Se credete semplicemente che tutti i sentieri Divino. Si ha la percezione di essere amati, e di essere in
portino alla montagna, la montagna crollerà. Il sentiero che grado di rispondere, di ri-creare quell'amore, di abbrac-
si percorre è parte integrante della realtà, non ne rappre- ciare il mistico Sposo. Dio ti ama. È Lui a prendere l'i-
senta solo un aspetto astraibile. Magari lo chiamate karunii niziativa con te, e tu acconsenti a essere amato. Q uesta
e spiegate di intendere l'amore. Poi lo chiamate bhakti, e apertura ti purifica. Tu quindi corrispondi nella maniera
io dico: «Ah sì, ho capito»... No. Occorre un terzo occhio più passionale al Suo amore, che può avere o meno delle
per rispettare le singole cose, permettendo loro di essere ciò figure e incarnazioni umane, ma in ogni caso guida il sin-
che sono. golo sul piano affettivo. Dio ci ama per primo, e solo così

150 151
37. Banche110 eucaristico, 111 secolo, cappella dei sacramenti, catacomba di San Callisto, Roma.

152 153
possiamo capire come «amare D io con tutto il cuore, con
tutta l'anima e con tutte le forze», senza soffermarci ora
sul significato di cuore, anima e forze. Al di fuori di questo
orizzonte monoteista, che sia esplicito o implicito, l'agape
non è del tutto comprensibile.
La bhakti appartiene a un altro universo. Per dirla in
termini occidentali, tramite essa noi amiamo Dio in quan -
to siamo Sue parti, Sue scintille. Siamo scintille in un gio-
co divino a cui prendiamo parte come attori comprimari.
Non è necessario stabilire chi sia ad amare per primo. Si
entra nella danza amorosa. Tu appartieni a uno dei movi-
menti di Nataraja, e rispondi di conseguenza. Noi amiamo
Dio perché Lui ama noi, ma ci troviamo tutti allo stesso
livello. Solo gli ignoranti affermano che amore e Dio non
sono identici, perché non sanno che i due coincidono. Ma,
appena scoprono che amore e Dio combaciano, corrono
anch'essi verso il Dio-amore.
Karunii è un atteggiamento di tipo più cosmico. Lnplica
una simpatia universale. Non è qualcosa di individualiz-
zabile né di personificabile. Karunii è - mi sia concesso
tradurlo così - la rivelazione del]' amabilità di ogni cosa.
Spetta a te scoprire i disegni radiosi e nascosti che, forse
perché andavi troppo di fretta o eri troppo egoista o pie-
no di desideri, finora non eri in grado di individuare, di
scoprire, e perciò non riuscivi a «porti in-simpatia» con il
tutto.
Resistendo alla tentazione di addentrarmi in analisi
dettagliate, mettendo in mezzo un sacco di termini gre-
ci e sanscriti, fornendo un lungo elenco e facendo clas-
sificazioni che non classificherebbero granché, preferisco
38. Particolare della facciata: coppia a carattere benefico. Sulle colline del Maharashtra, a cinquanra
introdurmi direttamente nel mistero veicolato da queste chilometri da Poona, neJ primo secolo della nostra era, furano create quattro g·roue arti:ficiali. La grona n°J
tre sacre parole. Così eviterò la tentazione di fare troppe è unu cappella buddhisca (caitya). Sulla facciata, un Buddha riceve la corona che gli offrono due personaggi
analisi, proseguendo invece nella presentazione generale celesti raffigurati in volo. Due coppie umane incorniciano la scena. Talvolta sono s:cate interpretate come
figure di donatori, ma si tratta piuttosto di figure la cui presenza è intesa come benefica: rotondità delle
dell' amore come concetto formale che racchiude le espe-
membra, vica sottile nella donna, spalle larghe nell'uomo, ombelico profondo. Tutto il corpo è come
rienze fon damentali alla base delle ricchezze di queste tre dinamizZ8tO dal flusso interiore della vita. Queste sono figure che espirmono l' ideale della vita, figure
religioni. Si tratta di tre universi al cui interno è comun- mentali, che rapJ>resentano Li sintesi delle osservazioni quotidiane della bellezza. (Michel Delahoutre)

154 155
que necessario porre una se rie di distinzioni. Bhakti non è
prema, philià non è agape, ecc. Esistono distinzioni all'in-
terno di ciascun universo. La bhakti di una determinata
tradizione dell'India non coincide con quella di un' altra
tradizione. Userò quindi la parola «amore» in via forma-
le, ossia come tentativo approssimativo di indicare la tri-
plice e quasi infinita suddivisione posta dai nostri antenati
quando usavano questi termini.
Vi troviamo un certo aspetto generale che vorrei met-
tere in evidenza, allorché parlo di «mutua fecondazione
(cross-/ertilization) interculturale», che non è il multicul-
turalismo. «Multiculturalismo» è un termine adottato
ufficialmente in Canada. Ma, con tutto il rispetto, vorrei
lanciare una sfida a questa nozione. Lo Stato deJ Quebec
è fiero di presentarsi come una società multiculturale.
Bene, non credo che una società possa esserlo. «Io sono
multiculturale e tu hai una cultura sola, poveraccio. Sono
io a detenere il potere qui. Noi, il popolo multiculturale,
siamo superiori a tutti i popoli anti-culturali. Noi siamo
multiculturali perché ci innalziamo al di sopra di rutto.
Abbiamo trasformato la multi-cultura in una forma di
cultura che è forse ancora più empirica e pericolosa di
quei nanerottoli che si accontentano della loro mono-cu1-
tura».
Ciò che abbiamo oggi, però, è la intercu1turalità, il che
significa che nessuna cu1tura oggi sta in piedi da sola.
«Nessun uomo è un'isola». Non possiamo accontentarci
di uno splendido isolamento, di una squallida solitudine.
Abbiamo bisogno di una fecondazione trans-culturale.
Dobbiamo imparare gli uni dagli altri. Dobbiamo essere }9. Bodhisanva Guanyin, dertaglio di una predicazione del Buddha Amicahha, pirtura murale. lni2io
della dinastia Tang (618-712). Santuario di Mogao, grona 57, porzione centrale del muro sud, in situ.
aperti alle lezioni che ci arrivano dagli altri. È ben pos- Spiccando in un gruppo che presenta i caraneri della Terra Pura di Amitahha, la figura di Guanyin
sibile che un' altra cu1rura non sia in grado d i insegnarci mosrta un raro equilibrio rra bellezza e spiritualità, il suo corpo dalle forme delicate e dai gesti
nulla, ma proprio allora diventa imperativo per noi impa- eleganti resta come diafano sotto le ricche parure impreziosite d'oro, le vesti preziose e le sciarpe
leggere che evocano i cessuti di sera dell'epoca. Questa visione idealizzata di una figura principesca
rare da essa. I:onere ricade sul discente, la responsabilità
abolisce runavia ogni segno di mondanità; l'alone traduce la sua vocazione di saggezza; la leggera
non ricade su1 docente. È il discepolo a rendere maestro inclinazione della testa volta verso il basso. in direzione del fedele, e il movimenm \·erso i] Buddha.
il guru, non è il guru a scegliere il discepolo. illustrano la natura dell'Essere di Risveglio che guida gli uomini verso la perfe2ione del Beato.

156 157
l:interculruralirà acquista significato e vira grazie alla e il buddhismo crolla. Eliminate la bhakti, e magari l'in-
mutua fecondazione tra culture, che diven ta obbligato- duismo riesce a cavarsela, ma riducendosi a una versio-
ria in tempi difficili. Permettetemi però di dire che, a mio ne raffazzonata. Perciò, questi tre generi di amore sono
avviso, ci sono troppi preservativi culturali a impedire essenziali; non hanno carattere accidentale, non sono un
questa mutua fecondazione. Li si può riassumere nel se- optional. Non esistono solo perché tu ami questa o quella
guente arreggiamenro: «Beh, io sono migliore di re. Ho un persona, o perché ti favoriscono la digestione. No! Questo
accesso maggiore alla verità. Sono molto più sviluppato». centrale, fondamentale amore, simpatia, o qualunque cosa
È un chiaro segno dell'arroganza occidentale in campo sia per le tre tradizioni (gruppi di tradizioni), spalanca tre
politico, pensare che tre quarti della popolazione mon- universi di fronte a noi.
diale siano sottosviluppati. Viene da chiedersi con che Ancora di più. !:amore è una realtà ultima, e proprio
coraggio questa geme definisca «sottosviluppati» gli altri. qui sta la sfida. Una sfida intellettuale - sebbene non sia
E quando abbiamo voluto correggere questa espressione, questo il termine che preferirei usare - è molto più di que-
abbiamo inventato la formula ((in via di sviluppo». Sulla sto. Se non ha valore ultimo, l'amore non ha vita, non ha
strada per. Oh, fortunati, siete <® via di sviluppo»! Siete senso. In quel caso, infarti, il significato risiederebbe in
pieni di computer e di intelligenza artificiale, ma rischiate qualcosa che sta oltre l' amore, e quel significato sarebbe
la bancarotta perché il debito degli Stati Uniti è il triplo più ultimativo dell'amore stesso.
del debito di tutte le altre nazion i messe insieme. E però, Se qualcuno ti chiede: ((Perché mi ami?», e tu non sai
in nome dei crediti bancari e degli arsenali nucleari, noi trovare una risposta, il tuo amore è spacciato. Se io dico:
continuiamo a giocare ... «sulla via dello sviluppo». Se tut- (<Ti amo per la tua giovinezza», quell'amore non è desti-
to il mondo diventasse come i paesi <(sviluppati», in sette nato a durare. Se dico: «Ti amo per la tua ricchezza», al-
anni l'intero pianeta si trasformerebbe in un deserto. Se lora significa che il resto di te non è altrettanto prezioso.
rutto il mondo consumasse la quantità di carta utilizzata Se dico: «Ti amo per la tua bontà», che succede se perdo
dai paesi sviluppaci, in due anni non resterebbe un albero la pazienza? ((Ti amo perché ...» - non ci deve essere un
sulla Terra. perché. (~asciati pure attrarre dalla bontà, dalla salute,
Ma pensiamo all'amore. !:amore non è solo l'accetta- dall' intelligenza, dalla buona volontà ... ma amami». Non
zione transeunte di una famiglia. !:amore è passione. E la c'è un perché. È l'amore il senso ultimativo.
passione può lanciare sfide definitive. La mutua feconda- La domanda sul significato dell'amore è una domanda
zione è il veicolo dell'apprendimento. Temeremo ora di senza amore. Distrugge l'amore per il fatto stesso di chie-
descrivere, in breve e in forma elementare, alcune caratte- dere qualcosa che stia oltre l'ultimo. A volte manchiamo
ristiche che si presentano nei tre tipi di amore, senza tutta- di umiltà intellettuale. Sarebbe come pretendere qualsia-
via addentrarci in singole analisi approfondite. si cosa dalla propria moglie. Come continuare a mandare
Anzitutto, ritengo che tutte e tre le tradizioni - o gruppi roba in dono al Buddha perché ci faccia un favore, anche
di tradizioni - , così come vengono sintetizzare dalle nostre se potrebbe non essere per il nostro bene, e magari lui
tre parole, vedono l'amore come centrale e fondamenta- avrebbe di meglio in serbo per noi: ((F°rarello, non puoi
le. Non a caso le sorti dell'agape vanno di pari passo con esigere questo, perché non sai cosa chiedi. Non ci rendi
quelle del cristianesimo. Private il buddhismo del karunti, conto dei limiti della tua richiesta. Se non sai che cosa do-

158 159
mandare, è meglio che tu taccia». L'amore non ha perché. abbiano perso per strada una ricchezza straordinaria della
Non è nulla all'infuori cli se stesso. Non è riducibile ad saggezza umana. Ed è il duale.
altri valori. È irriducibile all'umiltà. È assenza di significa- Il duale non è singolare né plurale. Il duale è l'esperien-
to, ma a volte questo ci scandalizza perché aggrediamo la za grammaticale del tao. II tao non è il non-Io, e non è l'Io.
realtà con un freddo razionalismo, con un intelletto senza Il tao non è il non-Io (la cosa o l'esse, come si dice), ma
vita. Spesso i giovani o i romantici chiedono: «Perché?». è parte integrante dell'Io stesso quando l'Io è completo.
Mal' amore non ha un perché - ecco perché non può esse- Il soggetto può davvero dire «io» solo quando scopre il
re basato su qualcos'altro. Ecco perché è libero. Non esi- proprio Io immerso nelle parole, nell'amore del tao, e vi-
ste un motivo del!'amore, perché la realtà non deve essere ceversa.
per forza teleologica. L'amore è fondato solo su se stesso. Posso esprimere questa intuizione con parole diverse.
Non esiste un motivo a monte. È esso la forza ultima. E ci L'amore non è inferiore alla conoscenza. La dicotomia tra
voleva un poeta per scrivere: «L'Amor che move il sole e amore e conoscenza è scata fatale a più di una tradizione.
l'altre stelle». Fatale, perché ha ridotto l'amore a sentimentalismo, a pas-
Terza caratteristica. L'amore è una forza centrifuga sia sione, a impulso a un certo tipo cli istin to e di «mi piace,
nell'universo che nell'essere umano. È un aspetto dinami- non mi piace»; riducendo al contempo l'intelletto a un bi-
co della realtà. L'amore è centrifugo: va, salta, abbraccia, sturi. Solo che, come scrive Tagore: «Un uomo che abbia
bacia, esce, non ti permette di ridurti a te stesso. Ma l'a- solo intelligenza è come un coltello senza manico, che fe-
more non si ferma a te, non si muove con te, scopre sem- risce la mano cli chi lo usa». Amore e conoscenza si co-im-
pre qualcosa oltre - magari il tuo Sé autentico. L'amore plicano, cosicché, se non c'è conoscenza non c'è amore, e
ti spinge, ti trascina, ti tira. Forse proprio per questo senza amore non c'è conoscenza. Il che non significa che
Aristotele affermò che il Primo Motore è l' eròmenon. In siano l' uno un ingrediente dell'altro. Costitutivamente,
quanto «eroticamente amato», esso attira tutto. L'eros è intrinsecamente, sono la stessa esperienza umana fonda-
ciò che ama e che attrae. mentale. Tu sei solo nella misura in cui ricevi, e sei in gra-
Vi è la grande tentazione, a Oriente come a Occidente, do cli ricevere nella misura in cui sei disposto a essere. Se
cli mettere l'amore al secondo livello, dato che non si lascia l'amore è centrifugo, la conoscenza è centripeta. I due si
ridurre all'Essere monolitico. Per amare, hai bisogno ... co-irnplicano. Non puoi consumarti nell'amore, se il tuo
non dico di spaccarti in due, ma comunque hai bisogno amore non è colmo cli intelletto. E non puoi consumarti
della complessità del reale. Hai bisogno dell' altro come al- nel ricevere, se allo stesso tempo non trasmetti ciò che hai,
tro, e come non-altro. Un esempio filosofico servirà, spero, ciò che hai ricevuto.
a chiarire il concetto. L'amore più elevato è la conoscenza più elevata, in tutte
Fiche, Schelling, così come Hegel e tutti gli idealisti, e tre queste visioni del mondo. e la suprema conoscenza
hanno scoperto la potenza dell'Io. Ma di lì a Marx c'è solo è il supremo amore. Non esiste l'uno senza l' altro. Eque-
un passo. Marx mette il «non» davan ti all'Io. Essi pongo- sto, non solo sul piano psicologico: è molto di più, è una
no l'Io, lui pone il non-Io. Tutti però dimenticano qualco- realtà fondamentale e radicale. Non è possibile sperimen-
sa che ogni filologo dovrebbe sapere. A mio parere, è un tare realmente l'uno senza l'altro. Se si vanno a vedere le
segno dei tempi il fatto che la maggioranza delle lingue Upanisad, o qualsiasi altro resto, si scopre che conoscere

160 161
coincide con il diventare ciò che si conosce. Si tratta di Oggi, nel mondo moderno, i tre universi si trasfondono
parti integranti dello stesso, basilare arto umano con cui l'uno nell' altro. Vorrei citare un tes to del Dalai Lama. Nel
l' Uomo si rinnova, e ogni cosa si costituisce. 1993, dopo quegli interminabili, orrendi fatti di Bombay57,
L'amore è una potenza che salva, qualunque cosa si in- il Dalai Lama lanciò un appello che venne ripreso dai gior-
tenda con la parola «salvezza». Esso conduce a mukti, a nali. Invocò una «compassione indiscriminata, spontanea
mokra, al nirviii;ta. Conduce in paradiso, alla visione be- e illimitata verso tutti gli esseri senzienti. Non si tratta,
atifica, alla realizzazione della propria vira. L'amore ha evidentemente, del consueto amore che nutriamo per gli
intrinsecamente un potere di salvezza e di liberazione. amici o i familiari, che vive di desiderio, attaccamento e
Distrugge ogni timore e ansietà. Anche qui, tutte e tre le ignoranza. Il genere di amore che dovremmo patrocinare
tradizioni (nei rispettivi e corrispondenti modi) ci rivela- è questo amore più ampio, che si può nutrire perfino nei
no questa potenza salvifica. Un insegnamento in contro- confronti di chi ci ha fatto del male, il nemko». Se non
tendenza rispetto alla civiltà contemporanea. L'amore è avessi indicato l'autore di queste parole, molti avrebbero
indipendente dalle nostre vie. Riteniamo di poter amare probabilmente pen sato a un detto sapien ziale cristiano,
con uno sforzo di buona volontà, o di convinzione, e così o un brano del Vangelo, o avrebbero pensato: «Questa è
diventiamo un peso a noi stessi e agli altri. Se l' amore non bhakti allo stato puro». «Perfino verso i nemici». Un amo-
è spontaneo, non è amore. Se non mira al bene dell'altro, re - dice il Dalai Lama - che non vive di desiderio, attac-
non è amore. camento e ignoranza; riprendendo così la classica distin-
Spontaneità, non forza di volontà. Non è qualcosa che zione tra le due specie di amore.
avviene grazie all' io. Qui la mentalità capitalista non ha Gli autori latini medievali avevano una bellissima espres-
nulla a che fare. Se dovessi indicare questo dono con una sione: «L'amore si espande» non procede in linea retta. Se
terminologia più accademica, direi «grazia, prasiida, rua- io sono fiero di te, questo è egoismo. «Avere caro»: questa
ch», e così via. L'amore deve essere dono. Deve esserti formula (credo intraducibile in altre lingue, se non con
donato. Quando ricevi tale dono, allora ti rendi conto di lunghe perifrasi) è facilmente travisabile. La esplicitiamo
quan to sia importante amare. Non è qualcosa che obbe- riferendoci a santa Caterina da Siena, che scrisse: «In te,
disce ai tuoi ordini. O arriva, o non arriva. Se il tuo cuore io penso a te. Ma pensare a te significa che ti ho caro».
è puro, traboccherà senza chiedere perché, senza specifi- Questo è amore, e implica che l'amore è inseparabile dalla
care «per amore di Gesù, per amor di Dio, per amore di percezione di essere amati. Altrimenti non si dà amore.
chicchessia». A volte capita che, se faccio qualcosa di buo- Non funziona come una strada a senso unico: l'amore è
no, ma in vista della mia carriera, del mio prestigio, della apertura di cuo re in entrambe le direzioni.
mia ambizione, alla fine mi sento triste. A meno che la mia Ora, questo mi riporta alla sfida dell'oggi. Si è detto che
mano sinistra non ignori che cosa fa la mia mano destra, l'agape suppone la priorità del D ivino, mentre bhakti e ka-
la mia era solo propaganda. Quando l'amore esige questo runii sono, in pratica, atteggiamenti cosmici. Nell'epoca
e quello, non è amore. Vita, conoscenza, amore vanno a contemporanea si è radicata in noi una auto-comprensio-
braccetto. Sono auto-motivanti. Non hann o perché. Non ne come individui separati. L'individualismo: ecco perché
hanno una ragion-per-cui. Non sono sottomessi alla forza l'amore è stato degradato a gratificazione, o modello psi-
di volontà, alla nostra forza e alla nostra volontà. canalitico, o opzione sessuale, o elemento di secondo gra-

162 163
do per la nostra realizzazione, tra le varie cose che ci fanno
sentire meglio. Questo non è karunii né agape né bhakti.
Può essere semmai egoismo, desiderio di auto-realizzazio-
ne, o semplicemente individualismo. Di contro, il Dalai
Lama afferma che amare in maniera «discriminante»,
con anaccamento, desiderio e ignoranza, non è il genere
di amore di cui abbiamo bisogno per vivere in pace e in
pienezza. Non si tratta dell 'amore individualistico, che ge-
nera rancore. Questo di certo non è agape, bhaktz; karunii.
Non è forse vero che oggi opponiamo una innata re-
sistenza all'amore universale? Ma come si può amare in
maniera indiscriminata? Non sarei disumano se non sen-
tissi che mio figlio è diverso da ogni altro bambino del
mondo, anche se quell'altro bambino soffre la fame? Qui
occorre seguire la <<via media». Se sono incapace di amore
universale, il mio amore per mio figlio sarà solo un anacca-
mento egoistico, che mi darà qualche minima soddisfazio-
ne ma anche, con il tempo, tanti attriti e mal di testa. Ne
sorgeranno tanti feroci contrasti, dal momento che mio
figlio non intenderà vivere secondo i miei standard o le
mie aspettative. Coniugare l'amore totale, universale, con
l'amore concreto: questa è la saggezza. La saggezza è quel-
la visione della realtà che mi consente di scoprire nel con-
creto, nel mio bambino, tutti i bambini del mondo; in mia
moglie/mio marito, l'intera parte femminile/maschile del
mondo; in quel fiore, l'infinita bellezza dell'intero creato;
in quella conversazione, tutto il gusto della vita.
Se non perverremo a questo livello di intuizione e di
esperienza, allora ogni nuovo passo sarà semplicemente
identico al precedente. Allora tutto diventa telos, finale,
definitivo. Se ogni cosa non è irriducibile e incommensu-
rabile ad altro, avremo perso l'amore nelle nostre vite, ri-
ducendoci a macchine pensanti.
Uno dei nostri compiti più urgenti, in filosofia, è quel-
lo di reintrodurre l' amore nel cosiddetto mondo esterno. 40. Kiev. cattedrale della Santa Sofia, af&esro nell'abside della
Adesso non intendo avventurarmi nell'epistemologia; cappella di Gioachino e Anna, l'incontro di Maria ed Elisabetta.

164 165
penso che l'epistemologia sia un approccio sbagliato, ma
questo sarebbe un tema a parte. Quando l'amore è visto
come un elemento intrinseco alla conoscenza, allora la
conoscenza viene rimessa al posto che le spetta, perché
percepiamo che l'unione con il conosciuto non è mai ter-
minata, mai compiuta. Di fatto, la natura stessa della realtà
è polarità, è amore, è Io stesso momen to presente. Se rein -
tegreremo l'amore nella conoscenza, supereremo Io iato
epistemologico tra soggetto e oggetto; iato che altrimenti
rimane impossibile da superare.
L'amore è trinitario: né uno né due. È fare esperienza
dell'ordito stesso che costituisce la natura della realtà.
Questa è per me la grande sfida culturale, che ci permetterà
di superare l'individualismo. Allora potremo scoprire per
esperienza il modo in cui l'amore ci pervade. Scopriremo
che tale amore e conoscenza - per citare la Bhagavad-gitii -
sono appunto i due lati fondamentali di questa complessa,
fantastica, magnifica realtà.

41. Andrej Rublev, L'Ospitaltiò di Abramo, o Trinitò, G.Jleria T rec'jakov, MoSCll.

166 167
Fuoco

8. Il mistero di Maria

A un lettore amico
Scusami se ti do del tu: n on tanto per seguire la moda,
ma come segn o di confidenza, poiché credo che queste
cose si possono dire solo nell'intimità.
Tutto è ùnportante: teologia, scienza, cultura, progres-
so, tutto è molto ùnportante, ma, senza Maria, la nostra
vita cristiana è monca e qualsiasi concezione che si tenti di
dare del cristianesùno fallisce.
Dal peccato originale in poi, l'uomo ha acquisito la tragi-
ca prerogativa (per la scienza del bene e del male) di poter
possedere in un cerro modo la verità, senza essere posseduto
da essa, di potersi awicinare alla realtà e anche di poter rico-
noscere il bene, senza essere per questo vero, verace, buono.
L'unica eccezione è Maria. Quando noi uomini ci met-
tiamo in contano con Maria, l'Immacolata, sembra che il
suo privilegio originale si trasmetta anche a noi.

Ecce mater tua!


Gv 19,27

• Ed. or. Dime1ttioni marid.ne dd/4 1:il1t, La loclLi tll, Vicen:u 1972; taggrupp:uo poi in L, gffliil
palqUale, Lit pt'i'U'nVJ. di Dio t' M4rtd, )~.A Book.. MiJano 2007. O r:1 in O/lffll c,mn,4, Voi. 1, tomo 2,
Spiritual.iJJ, il tammi.no M ia v:tÌJt.

169
Si può aver fede in Cristo e non amarlo, si può essere
teologo e non essere in grazia, si può possedere la verità ed
essere nell'errore, si può, infine, essere ortodosso e andare
fuori strada. Con Maria avviene qualcosa di speciale, che
non si può esprimere a fondo; è certo però che non si può
aver fede in lei senza amarla, che non si può pensare a lei
senza che ella eserciti una forza irresistibile su di noi.
Quando gyro vallabal abyssos, aderam! («Quando recin-
geva gli abissi tutt'intorno, io c'ero!»).
Perciò tutta la tradizione della Chiesa considera la devo-
zione a Maria come la migliore garanzia di perseveranza.
Capirai, dunque, amico lettore, come io non ti possa offri-
re freddamente una meditazione sulla Vergine, senza riversa-
re in essa rutto me stesso. Ma, per non uscire troppo dai limiti
di una semplice meditazione, mi sforzerò di dirti brevemente
ciò che da tempo desideravo. Vorrei che tu mi capissi bene, e
che leggessi anche fra le righe: Legas et intus legas.

Per prima cosa voglio rivolgermi a te come a una per-


sona immersa nel frastuono della vita attuale, con preoc-
cupazioni economiche, problemi professionali, situazioni
e affari familiari, responsabilità politiche, in una parola,
con poco tempo da «perdere» in semplici elucubrazioni
che non siano subito redditizie o direttamente utili. Il tuo
intelletto può ancora essere attratto da un tema così esclu-
sivamente devoto com'è quello della Vergine, e la prova è
che mi stai leggendo!
42. !:immagine della Vergine
venerara a Monserrat. Sculrura
Sei immerso nella vita, vale a dire sei una persona atti-
lignea romanica policroma. sec. va, eppure vi è in te una tendenza contemplativa che ti fa
xn-xru. La statua nel monastero di «perdere il tempo» (che è una forma di dare e guadagnare
Monserrat, suUe montagne vicino
a Barcellona. era un'imm:1gine
la vita) su di un tema che non ha niente a che fare con i tuoi
a cui Panikkar 6n da giovane fu interessi quotidiani. Tuttavia ti potrai rendere conto che
particolam1ente devoto. Durante nella Vergine si risolvono molti problemi che in altri modi
la guerra civile che straziava
difficilmente incontrerebbero la loro esatta prospettiva.
la Spagna è alla Morenetll che
Panikkar si rivolge Anni fa, a un mio amico, uomo attivo e immerso in af-
per implorare la pace. fari importanti e urgenti, raccomandai, come rimedio alla

170 171
dispersione, secondo lui inevitabile, non soltanto di avere
una devozione filiale a Maria, ma anche di studiarne la figu-
ra intellettualmente e teologicamente. Quando, dopo una
certa titubanza e resistenza, si decise a farlo, comprese il
senso del consiglio e ne sperimentò i frutti: la reologia ma-
riana gli offriva un clima di serenità e di contemplazione,
ma soprattutto gli procurava un distacco di fronte alle sue
preoccupazioni immediate, tanto che gli permise di supe-
rarle. L'unione vitale con la Madonna gli fece inoltre sco-
prire l'inganno trascendentale della nostra intelligenza, lo
immunizzò contro la tentazione costitutiva cui è sottoposto
il nostro intelletto: da una parte partecipazione e immagine
di Dio con proiezione illimitata, e dall 'altra partecipazione
limitata, tributaria della materia e del tempo, che assolu-
tizza istintivamente tutto quello che rocca, dimenticandosi
che in questo mondo sublunare solo una cosa è necessaria.
Senza un contatto con la Vergine, la nostra intelligenza fa-
cilmente perde il rapporto e il senso di relatività e di se-
renità intellettuale che mancano abitualmente agli uomini.
Dio ci liberi dalfaror theologicus fuori del suo campo, dalla
estrapolazione dogmatica con cui alle volte si cerca di giu-
stificare azioni terrene.
Non è questa l'occasione per spiegare come un'autentica
reologia mariana possieda questa funzione catartica della
nostra mente, questa azione riposante del nostro spirito,
questa influenza femminile sul nostro intelletto. Per ultimo
dobbiamo rivolgerci all'antica sintesi integrale e perfetta
che realizza nella creazione la gratia piena, pulchra ut luna,
electa ut sol («piena di grazia, bella come la luna, eccelsa
come il sole»). Soltanto nella sedes sapientiae incontriamo
il criterio per una retta valorizzazione integrale, intellettua-
le, affettiva e assiologica del!' essere creato.
Maria, creatura perfetta nella sua natura umana e divina,
è la guida nascosta che attira naturalmente coloro che cer-
4.l. Vergiffe Eleousa, o della Tefferez,11, di Zarzma. argento dorato, Musro Starale d ' Arre Georgiana, Tbilisi.
cano una sia pur minima perfezione integralmente umana. Vicona reca nel contorno storie di Ma.ria e di Cristo.
Ab aeterno ordinata sum («Sono ordinata dall'eternità»). Nelle tipologie deUe icone dedicate a Maria la vergine desta cenerezza attraverso i secoli e i paesi.

172 173
Tu sei un membro del popolo fedele e hai il diritto e
anche il dovere di far sentire la tua voce nella Chiesa, non
tanto per esercitare un magistero, ma per contribuire al
suo orientamento. Il timoniere conduce la nave, ma sono
i fari che stanno a terra a illuminare la costa e gli scogli.
Anche i laici sono Chiesa, e ogni cristiano ha una mis-
sione personale e non trasferibile da compiere nel Corpo
mistico di Cristo. Vorrei qui ricordarti che non è necessa-
rio appartenere al magistero ufficiale della Chiesa per esse-
re un vero teologo. Dobbiamo una volta per tutte vincere
quel falso e farisaico rispetto che la nostra epoca, in questo
ancora postcartesiana, riserva ai teologi, intesi come i por-
tatori autorevoli della dottrina di una confessione religio-
sa. La teologia non è una materia di confessione o di scuo-
la, ma di fede e ogni cristiano deve essere sufficientemente
sincero da non lasciare la propria fede al margine del suo
pensiero o per utilizzarla solo come correttivo estrinseco,
quasi che la sua ragione stessa non sia illuminata da questa
forma superiore di conoscenza che ci dà la vera sapienza.
La teologia, la teologia itinerante (e i teologi lo sanno
bene, però a volte conviene ricordarlo), non è una me-
dicina già preparata che ci è stata data per curare auto-
maticamente i nostri mali. La vera teologia accompagna
l'uomo nel suo pellegrinare sulla terra, e non è altro che
il culto che l'uomo, che la sua mente, il suo logos, se così
si può dire, rende a Dio, ascoltando il suo messaggio, il
suo Verbo e cercando di chiarirlo. Questo non è un privi-
legio degli ecclesiastici, ma una esigenza della mente cri-
stiana e, come tale, patrimonio di tutti i cristiani nonché
scopo universale della Chiesa. La teologia non è soltanto
un logos rivolto a Dio, come l'esplicitazione, la rivelazione
umana del logos di Dio. lpsum audite! («Ascoltatelo!»).
Non si dimentichi che la teologia, secondo lo stesso san
Tommaso, non è che una espansione normale della vita
della fede. Fides quaerens intellectum («La fede in cerca di
conoscenza»). Occorre riprendere quella pratica cristiana, 44. Paolo Uccello, Presentav·on.e di Maria al tempio, Prato. Duomo. Straordinario esempio di Maria bambina.

174 175
mai perduta del rutto, di far funzionare integralmente, Non indugerò a teorizzare sopra l'evangelica infanzia
cioè teologicamente, la nostra intelligenza. spirituale, né a citare san Paolo che si affanna a formulare
Desidererei ora inoltrarmi per un momento un po' più la dottrina, né sane' Agostino che la commenta, e nemme-
direttamente nel mistero di Maria. no santa Teresa del Bambino Gesù che la vive, ma mi fer-
Nella letteratura mariana troviamo che, da un lato, i merò semplicemente a dire che siamo (e saremo) bambini
libri cosiddetti narrativi sono quasi vangeli apocrifi sul- nella misura in cui abbiamo una madre.
la Vergine, molto pii e poetici, che fanno dire a Maria Per le nostre madri secondo il sangue - e non dico terre-
ciò che ella non disse e le fanno sentire ciò che l'autore ne, perché terrena e corporea è anche la Vergine - saremo
personalmente sente; o sono interessanti narrazioni ar- sempre bambini. Potremo essere i personaggi più famo-
cheologiche e storiche, p iù o meno adeguate, che girano si del mondo, però esse ci considereranno sempre come
come una spirale attorno alla Vergine, ma che non sanno bambini e non ci prenderanno mai, e con ragione, troppo
darci quello che in questi libri cerchiamo; mentre, d' altro sul serio. Fin tanto che si ama la propria madre, fin tanto
canto, i libri sistematici, che lasciano l'involucro storico, che si risponde ali' amore materno, si conserva un cuore di
poiché suppongono che la parte storica sia un sempli- bimbo.
ce rivestimento, pretendono di penetrare nel nucleo di L'amore a Maria quindi è necessario per entrare nel
Maria perdendosi o in belle considerazioni personali o in Regno dei Cieli, perché solo i bambini hanno la porta
un'astratta speculazione mariologica. aperta. Ciò non significa che l'amore per Maria sia un ob-
Tutto questo non è che una scusa, perché anch' io vor- bligo stretto. Stretto nel senso che sia l'oggetto diretto di
rei parlarti di Maria, di Myriam, di quella ebrea mora, un precetto formale. Questo tipo di amore non può essere
umile e femminile, che non sapeva di essere piena di gra- comandato. Questo però non vuol dire che tale amore non
zia fino a che l'angelo non glielo rivelò, turbandola con sia già implicito nel nostro stato infantile. In tutti i mo-
il suo saluto. menti della nostra vita, dai più importanti ai più ordinari:
Questo piccolo saggio contiene molti anni di speranza quando amava il Signore, quando lavorava compiendo il
e di vita. Quello che ne rimane ora è un denso liquore suo dovere, quando esercitava la carità e le opere di mise-
decantato dall' esperienza e filtrato dalla prudenza. Sarò ricordia, quando stava sotto il fico, quando infine viveva
pertanto breve e anche schematico. Solo le passioni che nel!' amicizia divina, ella stava con te, fin dall' inizio, senza
hanno superato la fase focosa concent randosi sono quel- che tu lo sapessi, come una donna discreta, mettendo a
le che veramente meritano di chiamarsi passioni. Le altre posto tutto, intravedendo cuno, affinando tante asprezze,
sono un effimero fuoco di artificio. Lo stesso soffio che addolcendo tante cose... Non è vero? Pensa a tua madre
spegne un fiammifero accende una brace. quando eri molto piccolo e non sapevi nulla! Esiste un'al-
Sta scritto che, se non diventeremo bambini, non en- tra vita in te, che non è nata dalla carne, né dal sangue, né
treremo nel Regno dei Cieli. Però, può uno, quando è già per opera d'uomo, ma per volontà di Donna... Fiat!
vecchio, entrare un'altra volta nel seno di sua madre per L'amore del bambino mi porta a parlare dell'amore
nascere di nuovo ed essere così un nuovo nato? Questo è umano. Il cristianesimo è una religione divina, e per con-
l' interrogativo che Nicodemo, dottore della Legge, pose seguenza a noi uomini pare abissale, cosmica, insondabile,
a Gesù. misteriosa. Però è anche una religione umana e in quanto

176 177
tale possiede, fra le altre cose, una dimensione amorosa
che ooo può esserci meglio trasmessa che da una donna,
la benedetta fra tutte le donne.
Il cuore umano ha i suoi diritti e il cristiano non lo igno-
ra. Cristo è venuto sulla terra per farci più che uomini, ma
questa elevazione non significa che dobbiamo cessare di
essere umani; al contrario, proprio il cristiano ha bisogno
più degli altri di poter rivolgere su Maria tale dimensione
umana, ma che è anche più che umana, che integra la no-
stra vita sulla terra. Per questo Cristo ci dette sua madre.
La vita cristiana non è, inoltre, priva di questa dimen -
sione del cuore, che è altrettanto importante di quella ce-
rebrale. La stessa fede è qualcosa più che l'affermazione
di un enunciato che si considera come certo, è anche ed
essenzialmente un atto libero, vale a dire dell'amore. La
pienezza cristiana non viola i diritti del volere umano, è il
medesimo massimo e unico precetto della «Nuova Legge»
(per così dire), che deve essere compiuto da tutta l'esten-
sione e intensità del nostro essere. Devo amare Dio, e con
tutta 1a inia mente, con tutta la mia anima, con tutte le
mie forze, anche fisiche, con tutto il mio essere. Questo
significa che fuori di raie amore per Dio non può esserci in
me alcuna capacità di amare. Ma io, per amare Dio, non
possiedo un organo speciale, diverso da quelli che la mia
natura mi offre, per essere elevato ali' ordine stesso della
Divinità. Io debbo amare Dio con quello che sono e come
sono. Io altre parole, dobbiamo amarlo come amiamo gli
uomini, creature di Dio, con il nostro cuore di carne e di
sangue; questo cuore rimane anche se lo invade la grazia
o, per meglio dire, Cristo.
Più ancora, è con il nostro amore, vero e reale, concreto
e umano, che amiamo il nostro Dio, che si è fatto uomo e 45. Vergine in maes1à, detta "Vergine delle
amiamo anche sua madre, che ci è stata lasciata in eredità. Forze", Francia orientale, secondo quarto
o metà del xn secolo, legno (noce) e resti
A causa di una certa irreligiosità entrata a poco a poco
di policromia, Parigi, Museo del Louvre.
nella nostra cultura occidentale, abbiamo perso l'innocen- Esempio di scu1tura romanica lignea che ama
za dello spirito e, di conseguenza, il vigore spirituale del mettere in luce la maestà della Vergine.

178 179
linguaggio. E così noi oggi abbiamo pudore di parlare con
naturalezza e cerchiamo palliativi che sterilizzano la nostra
vita. La grande caraneristica della meravigliosa devozione
mariana della Chiesa medievale consiste nel fatto che il suo
amore alla Madonna, alla Vergine Madre, non è un amore
spiritualizzato, un affetto disincarnato, ma un amore premi-
nentemente umano. È lo stesso amore degli uomini quando
veramente amano. La sublimazione cristiana non è una ste-
rilizzazione giansenista, né una calcificazione manichea. E il
popolo cristiano fedele si è preoccupato fin dall'antichità di
difendere come un tesoro la purezza perfino corporale della
Vergine Immacolata, che concepì per opera dello Spirito
Santo e dette alla luce senza violazione verginale. La Chiesa
conùnua a cantare, solenne e devota, l'integrità di Maria.
La tradizione cristiana ha sempre distinto nel culto di
iperdulia dovuto alla Vergine un qualcosa di essenzialmen-
te diverso dal culto dei santi, senza che per questo sia culto
di latria, di adorazione. Dio lo si adora; i santi li si venera; la
Vergine... la Vergine la si ama.
Ci si intenda bene. Il nostro linguaggio è povero, ci man-
cano le parole. L'adorazione e la venerazione implicano un
certo amore, un voler bene, una volontaria donazione o il
riconoscimento di una superiorità. Senza questa sicurezza
d'amore non si può adorare Dio, né venerare i santi. Il cul-
to a Maria, d'altra parte, richiede un amore diverso, una
relazione nuova, che è quella che più assomiglia ali' amore
umano sulla terra, è ciò che nel mondo chiamiamo «essere
. .
mnamoran».
Questa dimensione della nostra religiosità, che mi az-
zarderei a chiamare femminile, non esclude certo gli altri
aspetti della vira cristiana. Il mistero poi dell'Assunzione in
cielo di Maria, in anima e corpo, ci permette una relazione
con lei pienamente umana. Infatti, in cielo, vale a dire in
Dio, in sinu Patris, esiste almeno un corpo di Uomo e un
corpo di Donna; e in terra il cristiano ama il Cristo, ma an -
che sua madre (la madre di entrambi), Maria. 46. Kiev, canedrale di Santa Sofia, mosaico dell'abside centrale ( 1043- 1046), la Madre di Dio Orante.

180 181
Non vorrei parlarti di Gesù in quest'occasione, ma solo
della Benedetta fra tutte le generazioni. Questa benedizio-
ne non è una formula. La Chiesa ci rivela un amore realista
e umano, che si esprime nelle sincere e semplici espressio-
ni della liturgia, insegnandoci ad amare con naturalezza
soprannaturale, a chiamare le cose con il loro nome, a non
disprezzare la materia e il corpo. Di amore ce n'è soltanto
uno.
Qualche volta abbiamo bisogno di aprire il nostro cuo-
re, abbiamo bisogno di poter piangere e ridere; abbiamo
bisogno di sfogarci ed essere veramente noi stessi smet-
tendo finalmente di nasconderci dietro una maschera o
un ruolo; abbiamo bisogno, in una parola, di poter essere
bambini. E se la nostra vita cristiana è vera, autentica, e
non degenera nel freddo riconoscimento ufficiale di un
mucchio più o meno connesso di affermazioni, come so-
stituto della vera fede, allora abbiamo necessità di Maria,
che è donna e madre.
Era necessario (benché la nostra ragione non lo veda)
che Maria avesse un corpo, che lo abbia tuttora, se deve
compiere la pienezza della sua missione nella Chiesa di
Dio. La Madonna sta nei cieli in corpo e anima per po-
ter continuare a essere persona, per poter essere madre,
perché noi possiamo trovare in lei il calore del corpo e
l'abbraccio corporale (l'amore della sola anima non ba-
sta), per poter stabilire con noi una comunicazione di
sentimenti pienamente umani, sentimenti che esigono la
collaborazione di quest'ultima emanazione di Dio che è la
realtà corporale - sono parole di san Tommaso.
Infatti, i sentimenti, questa caratteristica specifica
dell'essere umano, che né gli angeli né gli animali posseg-
gono, sorgono dall 'incontro o dallo scontro fra l'anima e il
corpo. Quello che noi chiamiamo sentire, e che non sono
47. Sopocani, chiesa della Santa Trinità, parete occidentale del naos, Dormizionedel/a Vergine, circa 1265 .
pure sensazioni né semplici conoscenze ma è un comples-
I.:Assunzione deila Vergine che va in cielo con animo e corpo. nel mondo bizantino
so conoscere e volere con tutto il nostro essere, anima e assumeva la forma di una .. donnizione", in cui si vede il corpo in rutta la sua pesantezza circondato dagli
corpo, questi profondi sentimenti e presentimenti dell'es- aposcoli. mentre Crisco appare già con in braccio l'anima della madre. che precede l'Assunzione.

182 183
sere umano, che prevede e intravede, trema e vibra, gode e
desidera, confida e teme, la Vergine non li potrebbe avere
se non avesse in sé l'integrità di rutto il suo essere, il suo
corpo medesimo. Se la Madonna deve continuare a essere
madre, allora deve percepire i nostri sentimenti, deve sen-
tirli insieme a noi, deve entrare in relazione con il nostro
essere.
Maria è «la madre del dolce amore, del timore, della
conoscenza e della santa speranza». Però, nello stesso tem-
po, insieme a Dio, è terribilis sicut castrorum acies ordinata
(«terribile come esercito ordinato nell'accampamento»), è
la guerriera che schiaccia la testa del drago, che regna sulle
stelle, che domina e governa, fin dall'inizio, i destini della
creazione. Per questo il nostro contatto con la «Piena di
grazia» deve avere una dolce intimità personale e un'abis-
sale profondità cosmica. Tutti i testi della Chiesa che par-
lano della dolce e terribile «Speranza nostra» possiedono
una doppia polarità, familiare e insolita, materna e ogget-
tiva, tellurica e celeste, inintelligibile per chi non crede e
scandalizzante per chi non l'ama.
Non è solo la liturgia, in un eccesso lirico, che attribu-
isce alla Vergine le frasi più tremende e audaci: tutta la
tradizione unanime della Chiesa attribuisce a Maria un
insieme di funzioni, nell'economia della grazia e anche
della natura stessa, che fanno della Madonna veramente
la regina dell' intera creazione. La Vergine ci genera in una
maniera reale, è madre nostra e anche madre della Chiesa,
è la Dei genitrix, la genitrice di Dio, modello e compendio
della Chiesa, mediatrice di grazie, corredentrice, e tante
altre cose.
Oggi ci sono alcuni validi resti su ciò che la Chiesa e
la tradizione dicono della madre del Signore e della sua
relazione con Dio, con Cristo, con il cosmo e con noi.
Cerchiamo di leggerli con vera e solida mentalità cristiana.
48. Tiziano Vecellio, Maria awmra, pala di 6,68 x 3,44 m, dedicata L'anima che si converte a Cristo e si battezza, afferma un
ali' Assunzione di i\>laria, 1518, chiesa dei Frati, Venezia. pensiero patristico comune, si chiama Maria, poiché an-

184 185
49. Una delle visioni più complesse, ricche
e famose del]' ApOClllisse, che ha rice,,uto
pertanto le più spettacolari soluzioni
plastiche nella storia della miniarura ispanica.
La donna fantastica in seguito diventerà
l'immagine dell'Immacolata Concezione di
Maria, e dunque sarà la Vergine, anche se ora
predomina l'idea che si tratti della Chiesa.
Certo quaJcuno doveva fornire anche allora
l'altra interpretazione. poiché, meno di un
secolo dopo, san Bernardo, il quale credeva
anch'egli che si trattasse della Chiesa, scredita
come scorretta e inappropriata l'opzione di
coloro che supponevano già allora c:ranarsi
di Ma.ria, nonoota.nte l'inte.resse che mostrò
sempre per la figura della Vergine.
Per Beaco la donna è l'«amica Chiesa dei
padri, dei profeti e degli apostoli» che
attende la seconda venuta di Cristo. U sole
è la speranza della resurrezione. e la luna «i
pericoli che corrono i santi, i quali patiscono
nelle tenebre di questo secolo». La corona
di dodici stelle rappresenta il coro dei dodici
Padri, le dodici tribù di Israele e anche la
Chiesa. U figlio della donna è Cristo. (Joaquin
Yarza l uaces)

187
eh' essa genera Cristo. Di qui la vecchia, bella tradizione che ha: il suo cuore. Si prenda sul serio ciò che la Chiesa
cristiana di aggiungere nel battesimo il nome di Maria a dice nella festa della Vergine Addolorata. La vera corre-
quello del santo patrono. denzione, anche per noi sulla terra e sotto tutti gli aspet-
La Vergine è corredentrice. Se la maternità divina è sta- ti, è la redenzione attraverso il cuore. Per questo motivo
ta una grazia, la sua maternità nei nostri confronti fu una appunto ci fu data come madre sotto la croce, ci genera
conseguenza della sua corredenzione. Maria offre quello veramente alla vita di suo Figlio, e collabora come sposa,
in questo senso, all'opera dello Spirito Santo. Tuttavia non
capiremo niente di tutto questo finché non avremo bat-
tezzato anche la nostra mente e superato il paganesimo
razionale, finché non impa reremo a pensare da cristiani
e a lasciarci penetrare, vale a dire vivificare, dalla fede.
Le prime parole del Precursore e quelle di Cristo stesso,
all'inizio della missione pubblica, furono di proclamare la
necessità di una vera metanoia, cioè di un radicale cambia-
mento di mente e di cuore.
Mi si permetta qui un breve excursus teologico. Non
vorrei rompere con la tradizione cristiana, ma, al contra-
rio, unirmi più autenticamente e profondamente con essa,
e in ultima istanza con Cristo, con colui che con la sua
persona è anche Verità oltre che Via e Vira. Finché non
superiamo i modelli razionalisti del nostro pensare, diversi
dall' «obbligo razionale» di piegare «rutto l'intelletto
all'obbedienza di Cristo»; finché non vinciamo l' idealismo
implicitamente camuffato da alcuni determinati universali,
scoloriti, disincarnati e inesistenti in sé; finché attribuiamo
50. [con• bifronte con la più realtà ad alcune idee, che per poterle accettare si è
Crodfosione, Galleria dovuto ipostatizzare in Dio ma che in sé non esistono Oe
delle icone di San
Clemente, o chiesa
idee cioè di Dio sulle cose in lui sono Dio - Creatura in
della Peribleptos, Ohrid. Deo est creatrix essentia, dice san Tommaso, In Joan. I,2 - e
li dolore estremo di fuori di lui sono le cose stesse - quando Dio, nel processo
Maria è espresso in questa
intratrinitario, pensa il logos, pensa in lui e con lui la cre-
crocifissione, che ci ripon.11
alla profezia che Maria azione intera); finché attribuiamo più realtà ad alcune no-
ascoltò presentando stre idee che alle esistenze concrete; finché non redimiamo
Gesù al ,empio e che
le categorie formali di un pensare pure essenze per farle ca-
]'accompagne.rà per rutta la
vita: "Una sl"'da distruggerà paci di aprirsi all'assoluta singolarità e palpitante realtà del
]'animo". Cristo stesso; finché, in una parola, non impregniamo di

188 189
5 1. Il Compianto di Cristo, 1164,
affresco della Chiesa di San
Pante1eimon in Nerezi vicino a
Skopje, Macedonia del Nord. È
considerato un superbo esempio di
ane Comneni de] xu secolo. Forse
il • compianto" p iù famoso dell'arte
bizantino-slava.

190 191
fede la nostra intelligenza, non capteremo mai con il nostro
intelletto il messaggio cristiano (che non è tanto una dottri-
na, quanto una vita, una persona), né il suo senso profondo.
Così, per esempio, Cristo non è il mio modello perché
egli realizza un'idea che deve essere quella esemplare per
me. Cristo non «realizza» niente; ma le varie cose si realiz-
zano in lui e in lui riposano. Tutto è stato fatto da lui e per
lui; prima che nulla fosse fatto egli esisteva, alfa e omega di
tutta la creazione e ricapitolatore cli tutto l'universo.
Inoltre, Cristo non è per me un semplice esempio, né il
più grande di tutti, come può esserlo un santo, non ha una
mera funzione di esemplarità affinché io realizzi pienamen-
te e a mio modo l'idea di uomo, ma egli è il mio modello
perché mi forgia a sua immagine e somiglianza. Non mi
spinge a essere «uomo», ma ad arrivare a essere «Cristo».
La mimesis ontologica, che costituisce il dovere fonda-
mentale della mia esistenza cristiana, è una vera omoiosis,
e consiste nel fatto che, senza perdere il mio io (e il «mio
io» non è altro che il «tu» creato da Dio), mi identifichi
con Cristo, che sia egli che viva in me e mi renda «una sola
cosa» con lui, e attraverso di lui tutta la Trinità dimori in
me. Il cristiano non è un alter Christus, ma l'ipse Christus, lo
stesso Cristo che sta arrivando, «nell'unità della fede e della
conoscenza del Figlio di Dio», all'uomo perfetto, finché,
essendo egli tutto sottomesso a Cristo, questi possa a sua
volta sottometterlo tutto al Padre, perché, alla fine, «sia Dio
tutto in rutti».
Cristo, che è vero uomo, non è da una parte Dio e dal!'al-
tra un uomo, un esemplare di più della specie; non è l'esem-
pio più perfetto della natura umana. Cristo non è un caso
particolare, una realizzazione concreta di un' idea universa-
le e immutabile, e dipendente, di conseguenza, da essa. La
priorità appartiene a Cristo e non alla «natura». Anche qui
si deve parlare della supremazia della persona. Cristo, per- 52. Kiev, cattedrale della Sanra Sofia, mosaico della cupola cenrrale, Cristo Panrocratore.
Vane russa inizia a Kiev, capicolae della Rus' e la su-a maggiore cattedrale è Santa Sofia,
Jectus homo non è un uomo, ma è l'uomo - ecce homo! - e che rende Kjev una nuova Cosraminopoli e una nuova Rom:1. Nell'abside il Cristo è posro in gloria
noi tutti lo siamo, in quanto veniamo da lui e a lui tendiamo... a compimento del mistero dell'incarnazione che si è svoho tromfre Maria.

192 193
Ma tutto questo ci porterebbe molto lontano, ci porte-
rebbe a riconoscere l'urgente necessità di pensare seria-
mente con categorie cristiane... Accontentiamoci, per il
momento, di pensare all'atteggiamento di Maria e alla sua
relazione personale, viva, diretta con noi. Myriam non è
un' idea, è lei, la madre di Dio e madre mia, che nel suo
corpo definitivo rimane accanto a suo Figlio alla destra di
Dio Padre, secondo la metafora tradizionale.
Desidererei sottolineare inoltre una duplice funzione
della madre di Dio in noi. Maria è modello di vita interio-
re, si dice spesso, ed è infatti vero, ma la parola modello
suggerisce, di nuovo, una semplice idea di esempio che io

54. Georges Rouault, Ecce Homo, 1950, Collezione diane religiosa contemporanea del Vaticano. Molto
sensibile alle miserie umana, Georges Rouault, a partire dalla sua conversione alla fede, ha affrontato spesso
53. P iero delln Francesca, Flagellazir,ne, Urbino, GaUeria Nazionale delle Marche. il tema deUa Passione di Cristo. Incompresa ai suoi esordi. la su11 pittura religiosa è stara in seguito accemna.

194 195
debbo imitare. La Vergine è maestra di vita interiore, dice Il fine della nostra vita non siamo noi stessi e, di conse-
più esattamente una terminologia cristiana. Insegna con il guenza, non è né il nostro perfezionamento, né la nostra
suo esempio e la sua azione. Maria non ha una dottrina. santificazione. Tutto questo viene e ci è dato in sovrappiù.
Vive e agisce. Spinge e sostiene. Attira e convince. Possiamo Il 6ne ultimo della nostra vira non è neppure quello di
vederlo con due esempi. dare gloria a Dio. La creatura non possiede infatti una ca-
lvii avventurerei a chiamare il primo il principio passivo tegoria tale da poter dare a Dio una vera gloria. Gli dà, se
della vita interiore. Esiste, diffusamente esteso negli am- si vuole, una specie di gloria accidentale, che non si riesce
bienti pietistici, un pernicioso egoismo spirituale e una ego- a comprendere bene che cosa sia, in un Dio che non ha
latrica avarizia pseudocristiana che sterilizza più di una vita accidenti. Il 6ne della nostra vita è semplicemente Dio,
interiore. Sembra che Cristo ci abbia predicato un mero l'unione con lui, la comunione con la Divinità. Dio creò
eudemonismo soprannaturale e si sia accontentato di darci tutte le creature non per la sua felicità o per loro stesse, ma
una semplice ricetta per riuscire nell'altro mondo a essere ad mani/estandam per/ectionem suam («pe r manifestare la
eternamente felici. Questo è l'incosciente egocentrismo di sua perfezione»), dice il Concilio Vaticano 1. Voglio dire
quelle anime che fanno la comunione per acquistare la pu- che il 6ne della mia vita non è dare gloria a Dio, ma sem-
rezza, di quelle persone che pregano per ottenere fortuna, plicemente Dio. La sua gloria, non però quella che gli pos-
di cristiani che sono buoni perché vadano loro bene le cose, so dare io, che non esiste, ma la sua. Il 6ne della mia vita
non è in fondo che pura egolatria. Deus non debet al¼uid è, perciò, la sua gloria, se si vuole o, meglio ancora, la sua
alicui nisi sibi («Dio non deve nulla a nessuno se non a se comunicazione con me, la sua unione in me. Omnia prop-
stesso»), dice san Tommaso (Sum. Theol. i, q. 25 , a. 5, a. 2). ter semetipsum operatus est Dominus 1 («Dio ha operato
La comunione è certamente alimento, però con una funzio- tutte le cose per se stesso!»).
ne precisamente inversa a quella della metafora materiale: Questo è ciò che hanno creduto, sentito e presentito
non è che l'alimento si trasformi nella mia sostanza, ma la tutte le anime che hanno seguito e seguono la strada del-
mia nella sua. Nec tu me mutabis in te, sicut czbum carnis la vita interiore, i cammini di amore, i sentieri diritti che
tuae, sed tu mutaberis in me («E tu non mi trasformerai in portano tutti al fine stesso della loro esistenza. Dunque, in
te, come cibo della tua carne, ma tu ti trasformerai in me»), quest'avventura della vita, l' uomo si rende conto che il suo
dice sane' Agostino (Conf. vii,10). «Cercate il Regno di Dio compito è predominantemente passivo, con una passività
e la sua giustizia» è quello che ci ha comandato: che non non sempre facile da accettare, ma che può essere anche
preghiamo come i gentili e che non abbiamo preoccupazio- gioiosa. L'essere umano che cammina verso il suo Dio è
ne di noi stessi perché il nostro Padre celeste, che si prende cosciente di essere piuttosto spinto, attratto, portato. Non
cura degli uccelli del cielo e dei fiori del campo, sa già di che si deve certamente cadere in un quietismo orgoglioso, ma
cosa abbiamo bisogno. Moire volte ci lasciamo sopraffare nemmeno in un attivismo ingenuo. Detto in maniera di-
da un sacco di pseudo problemi personali e anche oggettivi, versa, Dio ha più interesse di me che io raggiunga il mio
tanto da non vedere le cose teocentricamente o più ancora ultimo 6ne, se potessi esprimermi così. Più ancora, egli
cristocentricamente. Questa è, in ultima istanza, la missione è la causa principale e prima, il fattore decisivo nel mio
della fede: visione soprannaturale, ontologica, e non soltan- cammino di santificazione verso di lui. La mia perfezione
to moralmente cristocentrica, della realtà delle cose. è più cosa sua che mia. Il mio lavoro si riduce a non porgli

196 197
ostacoli, a non disturbarlo, a lasciarlo fare, a dirgli di sì - di soprannaturale naturalezza, è stato applicato a volte il
come Maria. brutto nome di «vita mista».
È in questo che la Vergine possiede una funzione La vita cristiana è prima di tutto una: se si rompe l'unità
particolare. Da sempre, in tutta la mistica, benché si non è autentica vita di Cristo nel nostro essere.
parli di amore, di sposalizio, di matrimonio spirituale o L'insegnamento vitale di Maria, vergine e madre, sposa
semplicemente di unione, fusione, comunicazione, la e consacrata a Dio, attiva e contemplativa, nel mondo e al
creatura è sempre la parte passiva, il principio negativo. In di sopra di esso, è unico e singolare. Lei, nel realizzare la
akre parole, solo la Vergine, fecondata dallo Spirito Santo, sintesi perfetta della vita umana, ci insegna che l'azione
potrà insegnarmi come debbo comportarmi. Nell'unione non è che il frutto materiale della contemplazione e la sua
di Dio con me, nel fine della mia vita, egli è il principio espressione. Non è un circolo vizioso, ma un circolo vita-
attivo e io il passivo. A me spetta dire soltanto: Fiat!, me- le. La contemplazione spinge all'attività nel mondo e di
glio: Ecce ancilla 1 quest'attività si nutrono la nostra mente e il nostro cuore
«Il Creatore si è appassionato della bellezza della sua per conoscere e amare Dio nelle creature, finché non sia-
creatura», dice santa Caterina da Siena; la Divinità ha mo arrivati ancora alla visione faccia a faccia.
incontrato alcuni riflessi ad extra e vuole quanto prima La vita non ci è stata data né per dare né per riceve-
riassorbirli tutti. re, ossia né per attuare, fare (che cosa?), né per vedere,
«Odi, figlia, inclina la tua testa e ascolta, il Re è stato contemplare, giudicare (come?); ci è stata regalata perché
preso dalla tua bellezza». Egli mi persegue e mi sorveglia, possiamo viverla, bruciarla in olocausto di lode, sacri/i.-
egli non si stanca, e mi sollecita, mi adula, mi appare e cium laudis, al Creatore. Io non mi giustifico per quello
mi si nasconde ... E chi non mi crede legga il Cantico dei che faccio , ma per quello che sono. La vita - è Cristo che
Cantici, e non si scandalizzi... lo dice - non sta in quello che uno possiede (Le 12,15). La
E chi insegnerà a me, «che sono un bimbo e non so par- priorità appartiene alla Vita, alla maggiore approssimazio-
lare», né scrivere, né amare? Questa è la missione della ne possibile alla Vita, luce degli uomini, a Colui in cui la
madre... Vita era.
Non ti dimenticare, amico, di questo principio femmi- L'autentica vita cristiana è la sintesi fra Marta e Maria.
nile della vita interiore... Certamente, Maria, la sorella di Lazzaro, scelse la parte
Anche in un secondo senso Maria è maestra di vita inte- migliore; la supremazia appartiene alla contemplazione;
riore, benché questa denominazione, consacrata dall 'uso, però non per questo cessa di essere la parte di un tutto, e
sia un po' equivoca. Di vita ce n'è una sola, che non è né il tutto è la Vita. La vera contemplazione è quella che vede
esclusivamente interiore, né esclusivamente esteriore. Una Dio nelle cose, ma per arrivare a questo punto bisogna ve-
vita esteriore non è propriamente vita, e l' autentica vita dere le cose, conoscerle, sapere come sono, sperimentarle,
cristiana, come quella di Maria, non è nemmeno unica- vale a dire che bisogna agire, fallire, vincere, soffrire, in
mente interiore. La madre di Gesù, come tutte le donne una parola, vivere.
della sua classe e del suo tempo, lavorava e realizzava le Esiste, alle volte, un'idea poco chiara sulla vita cristiana
funzioni proprie del suo stato di madre, di sposa, di vicina nel mondo, e i laici cristiani hanno vissuto per lungo tem-
in un paese ebreo. A questa vita intera, autentica e piena po con un certo complesso di inferiorità.

198 199
La Vergine è ancora l'esempio luminoso che realizza detto spesso, quando si parla di rimanere uguale in tutto, non
pienamente questa vita perfetta, naturale e soprannatura- vuol dire che qualsiasi attività debba essere considerata sullo
stesso piano, o che debbano considerarsi uguali tutti i luoghi e
le. Per l'espressione di questo spirito vorrei rifanni a un
tutti gli uomini. Questo sarebbe molto ingiusto: infatti è meglio
mistico, a un frate, non moderno ma antico. Quantunque pregare che filare, e la chiesa è un luogo più nobile della strada.
la citazione sia lunga e il tedesco arcaico sia difficile da Ciononostante, devi avere nel tuo lavoro lo stesso spirito, la
tradurre, credo che valga la pena di tentare. stessa lealtà e la stessa serietà che hai di fronte al tuo Dio.
Ascoltiamo quindi Meister Eclchart in Reden der Credimi, se tu rimani in questa uguaglianza, nulla ti im-
pedirà di avere il tuo Dio presente. Però, chi non ba il suo
Unterweisung.
D io veramente così, nel suo interno, ma lontano, sì che debba
sempre andarlo a cercare fuori, di qua o di là, chi lo cerca in
Una volta mi domandarono: parecchia gente si apparta ri- un modo diverso in un'attività o in un'altra, nei vari uomini o
gorosamente dagli uomini e rimane felice da sola e se ne sta in luoghi, costui non ha Dio. Allora può facilmente accadere che
chiesa e in questo trova la sua pace. È questo il meglio? Allora qualsiasi cosa sia un ostacolo per quell'uomo; poiché non h a
io dico : No. Ed eccone il perché. Chi è in pace, certo sta bene Dio intimamente, né cerca solo Lui, né mantiene sempre la sua
in ogni luogo e con rutto il mondo. Però colui che non sta bene intenzione esclusivamente in Lui. Per questo, non solo lo di-
con se stesso, non sta bene in nessun luogo e con nessun uomo. sturba la cattiva compagnia, ma lo danna anche la buona, non
Colui che sta bene con se stesso, costui ha in verità Dio con solo gli è di ostacolo la strada, o una parola o un'opera cattiva,
sé. Ma chi ha D io veramente lo ha in tutti i luoghi, nella strada ma certamente gli è di ostac-olo anche la parola o l'opera buo-
e con tutto il mondo così come in chiesa, nell'eremo o nella na. Quindi, l'ostacolo sta in lui, giacché in lui tutte le cose non
cella. Niente può ingannare né sviare l'uomo che possiede Dio sono diventate Dio. Se per lui tutto fosse Dio, tutto sarebbe
e tiene veramente a Lui solo. Perché? Pe rché ha soltanto Dio. retto e buono, dappertutto e con tutti, perché egli avrebbe Dio
Ma colui che ha in tutte le cose l'intenzione pura soltanto in nella sua intimità e nessuno glielo potrebbe togliere e anche
Dio, costui porta Dio con sé in tutti i suoi lavori e dappertutto. nessuno potrebbe impedirgli alcunché nel s uo agire.
E tutta l'attività di un tale uomo la realizza direttamente Dio. Ma dove si colloca quindi questo vero posses.~o di Dio, in
Infatti l'opera è più di colui che ne è la causa che non di colui modo che lo si abbia realmente? Questo vero possesso di Dio
che la realizz.a. è nello spirito e in un intimo e cosciente rivolgersi e affrettarsi
Se poi la nostra intenzione in verità è pura e soltanto in Dio, verso Dio; non però in un uguale e costante pensare a Dio, dato
Egli deve allora realizz.are la nostra attività; ma a tutte le sue che per natura sarebbe impossibile aspirare a questo e inoltre
opere niente può essere di ostacolo, né luogo, né sentimento. sarebbe molto difficile e neppure la cosa migliore. !:uomo non
Così pertanto niente può indurre un tale uomo all'e rrore, poi- deve avere esclusivamente un D io pensato e accontentarsi di
ché egli vuole e cerca solo Dio, e non si lascia soddisfare da questo. Quando il pensiero se ne andasse, allora sparirebbe an-
nulla se non da Dio, il quale si unisce a tale uomo per sua inten- che questo Dio. Al contrario, occorre avere un Dio essenziale,
zione. E così, come Dio non è disperso da alcuna molteplicità, il quale sia molto al di là dei pensieri degli uomini e di rutte le
ugualmente nulla può dissipare né moltiplicare quest'uomo, creature. Questo Dio non se ne va, né si di,;.~olve, purché non
poiché egli è unito con quell'Uno nel quale tutta la pluralità è sia l'uomo che volontariamente si allontani da Lui. Chi pos-
unità e non-molteplicità. siede Dio così intimamente nella sua essenza, costui lo capisce
!:uomo deve vivere Dio in tutte le cose e deve abituare il suo in forma divina, e per lui Dio risplende in tutte le cose, dato
spirito a tenere D io sempre presence nel s uo sentire, nella sua che tutte le cose gli appaiono divina mente, e inoltre a partire
intenzione e nel suo amore intimo. da tutto egli si forma l'immagine di Dio. In lui Dio ha costan-
È lo stesso se ti affaccendi per il tuo Dio quando stai in temente gli occhi spalancati, in lui si realizza una riposante
chiesa o nella cella. Cerca di conservare questo stesso spirito separazione dall'esterno e una penetrazione del Dio sempre
fra la gente, nel tumulto e nel mondo esterno. Ma come ho presente nella sua intenzione.

200 201
Appunto per questo occorre avere passione, attenzione pro-
fonda alla nostra intimità, coscienza sveglia, chiara e ben sicura
su come il nostro spirito deve orientarsi di fronte alle cose e
agli uomini. Ma questo l'uomo non lo può imparare fuggendo
dalle cose e ritirandosi in solitudine, lontano dall'esterno; deve
imparare a rimanere solo, intimo, dovunque o con chiunque.
!.:uomo deve imparare ad andare dentro le cose, ad afferrare
lì il suo Dio, e deve riuscire a formarselo dentro di sé efficace-
mente come uno che vuole imparare a scrivere. Per possedere
quesr' arte occorre provare molro e spesso, per amaro e difficile
che sia, e anche se può sembrare impossibile. Se uno si esercita
con applicazione e frequenza, allora impara e domina quest'ar•
te. Certamente uno deve pensare prima ogni lettera separata•
mente e rappresentarsela con decisione; ma subito, quando
ba assimilato quest'arte, allora si libera dalla rappresentazione
delle lettere e dal pensare ad esse. Allora scrive liberamente
e facilmente anche se le sue sono opere piccole o audaci. G li
basta sapere che a un dato momento deve esercitare la sua arte;
e allora, benché non pensi continuamente ad essa ma pensi in•
vece a ciò che vuole, crea ciononostante la sua opera con il suo
scrivere. Nello stesso modo l' uomo deve irradiare la presenz.a
di Dio senza sforzo speciale. Più ancora, uno deve vedere le
cose nella loro vera forma e rimanere totalmente libero da esse.
Per questo occorre, soprattutto, pensare ad esse come l'alun•
no pensa alla sua arte di scrivere. Così, se l'uomo deve essere
penetrato dalla presenza di Dio, deve essere impregnatO e mo-
dellato sulla forma del suo amatissimo D io, deve essere essen-
zializzato in Lui in tal modo che la sua presenza brilli senza il
minimo sforzo.

Chi realizza questa vita piena? Non bai visto, non t'ac-
corgi ancora di Maria, che la realizzò e che la vuole com-
pletare anche in te? Non à rendi conto della sua stessa
essenza, presente e discreta in tutte le righe vergini e fe-
conde del misàco domenicano? Maria è maestra di vita
crisàana. Donna normale e senza complicazioni, ci inse-
gna a semplificare.
Non c'è azione da una parte e contemplazione dall'al.
55. A1111unciav·one, monastero di Santa Caterina de] Sinai. Siamo all'origine
tra; proposià di qua e regole e cautele di là. Tutto è più
delrane orientale, 1u'l2i prima della separazione era Oriente e Occidente. Questa icona
semplice e più facile. C'è semplicemente vita, vale a dire è rappresentazione dello Trinità: il Padre (nei cieli), lo Spirito Santo (nei raggi)
e il Figlio {nel seno di Maria). Maria che è viatico alla Trinità.

202 203
/iat, ilfiat luminoso, doppia eco del creante e del verginale, te umano: la nostra relazione con Cristo è una relazione
che ripetiamo con le nostre vite: un sì secondo il suo logos: sui generis, teandrica, che non si può definire con i nostri
Ecce ancilla Domini' termini di uso comune e di contatto meramente umano.
Maria è qualche cosa di diverso.
Dimensioni mariane della vita La prima dimensione della vita e la prima dimensione
mariana della vita è quella umana.
Vorrei ora parlare di quelle che si potrebbero chiamare Maria è una semplice creatura, associata a rutto: alla
le dimensioni mariane della nostra esistenza umana, della redenzione come all'amore. Fu essa la prima credente. È
nostra vita. Vorrei brevemente richiamarti, perché diven- precisamente questa dimensione umana della religione
gano meditazione personale, tre dimensioni, aventi, credo, che viene come simbolizzata - incarnata, direi - in Maria.
un loro valore, e capaci di dare un certo senso alla devo- Una religiosità che non sia umana, che non sia concreta,
. .
z10ne manana. che non sia terrena, che si perda in un misticismo più o
A poco serve la devozione superficiale, che svanisce meno vago, che si dissolva in uno slancio più o meno disin-
nell'impatto con i problemi dell' esistenza. Si avvantag- carnato, che abbia magari capito il senso profondamente
gia solo quell'anima che, con visione più profonda, e cioè abissale e misterico di tutta la religione, ma che smarrisca
contemplativa delle cose, sa vedere la realtà e sa capire il il senso di naturalezza, di umanità e di concretezza, non
messaggio privo di parole, il messaggio di una semplice è più e non può essere una religiosità concreta, umana,
esistenza che è molto più di una predica o di un darsi da terrena e cioè piena.
fare. Infatti Maria non ha praticamente detto niente e ha È qui che i pericoli diventano visibilissimi: il pericolo
fatto molto poco. E nonostante tutto ciò, il suo «essere», infatti di una religione troppo sentimentale o troppo
la sua esistenza, la fa chiamare con ragione «benedetta fra debole esiste. Se si paragona la religiosità cristiana ispirata
tutte le donne». da questa dimensione mariana con la religiosità di alcune
religioni cui manca a volte un po' questo elemento umano,
1 - La dimensione umana allora si vedrà l'enorme differenza tra un cristianesimo
incarnato, umano (e che pecca tante volte per essere
La prima dimensione che una simile contemplazione di troppo incarnato e troppo umano) e una religiosità o una
Maria ci rivela è quella che sì potrebbe chiamare la dimen- trascendenza pura, di mistero affascinante ma che sta al di
sione umana della religione, della nostra fede, e quindi là e che fa che gli uomini vivano sempre con la paura o con
della nostra vita. 1'ossessione di un destino che li sovrasta. La religione appare
Maria non è l'assoluto, il Dio inaccessibile, invisibile, allora una cosa che non può essere di ogni giorno perché
che nessuno ba visto, l'ineffabile Creatore, quello che è è troppo sublime, perché è assolutamente inaccessibile: ha
infinitamente distante da noi e che l' uomo non potrà mai perso proprio questa sua prima dimensione di umanità e
raggiungere nel mistero del suo abisso. Maria non è nep- naturalezza.
pure il Cristo, che è Mediatore, che è uomo e Dio, che A tutta la più grande teologia, che verte sui grandi temi
è Redentore e col quale possiamo avere certamente un della redenzione, della creazione, dell'amore, della distri-
contatto profondo, ma che non è un contatto meramen- buzione delle grazie, della divinizzazione dell' uomo, è

204 205
stata associata una povera contadina in virtù del /iat, di che costituiscono uno dei pericoli più gravi dei nostri tem-
un'annunciazione. Il mistero dell'Annunciazione è pro- pi: il distacco dalla vita.
prio in questa dimensione umana, terribilmente umana, Allora la religione serve a chi è molto buono o a chi
per cui la religiosità del cristianesimo rischia di sembrare è molto peccatore, ma non serve per tutta la nostra vita
a volte troppo banale. umana, e quindi non potrà essere una religione completa
Ma un estremo non giustifica l'altro e un abuso non si che afferra tutta la vita dell' uomo.
elimina con un abuso contrario. Chi ha un rapporto un Maria è una donna: ogni epoca la potrà simboleggiare
poco personale con Maria automaticamente e spontanea- nella forma che meglio le si addice, ma nel fondo sarà
mente acquista un senso di naturalezza, una dimensione di sempre la stessa cosa e rappresenterà la necessità dell' e-
umanità per tutta la sua religione. terno femminino, la necessità di una vita complementare,
Difficilmente chi abbia stabilito un contatto personale la necessità che ci sia sulla terra e in cielo un solo, unico
con Maria può avere una religione o una religiosità nega- amore.
tiva, fatta di ascetismo inumano o dotato di una forza di Chi pensa di poter amare Dio in modo diverso da come
volontà che sembra lo separi dagli altri uomini. ama la sua ragazza, sua madre o un am ico o un' amica co-
mincia già a staccarsi dalla vira e comincia a fare della sua
2 - I.A dimensione femminile religione una cosa così pura, così sterilizzata e asettica
che poi non gli serve per essere uomo e per essere con gli
Una seconda dimensione della Madonna e della vita altri uomini.
cristiana è centrata sul mistero dell'Immacolata, sull'Ecce Forse può vivere la prima parte del massimo comanda-
ancilla. mento; ma dire che io devo amare il prossimo come me
È la dimensione femminile della vita spirituale, della stesso e pensare che questo amore non abbia lo stesso
vita interiore. senso dell'amore umano sulla terra, questo non è amore.
Maria è donna da una parte e madre dall' altra. !:uomo ba un solo cuore, che è fatto in un solo modo.
È donna e cioè incarna quell'eterno femminino di cui Chi ama Dio, e chi ama gli uomini per Dio, non ama in
parlano i poeti. Ella incarna l'amore umano, incarna una forma diversa da come può amare con l'amore più
tutta la polarità che sta nel sesso, rutta la necessità che ha appassionato e più sessuale che possa esistere sulla terra.
l' uomo di un complemento e di un polo uguale ma del C'è un unico amore, e questo si realizza quasi automa-
tutto diverso, a volte quasi contraddittorio. ticamente e armonicamente quando si ha una relazione
Chi non scopre questo lato, e non lo integra nella sua di fede e di amore con la Madonna.
vita personale, rischia gravi errori: è falso pensare che il Questa dimensione femminile della vita e dell'esisten-
corpo sia soltanto maschile o femminile. za, questa necessità del femminile esiste dentro di noi
!:uomo, nella sua complessità, ha questa polarità, que- perché in fondo ogni essere umano è androgino, ed esiste
sta tensione che comincia nel suo interno e che si estende anche accanto a noi.
poi al suo rapporto con gli altri. Maria è madre di Cristo e madre nostra, e anzi, secon-
Il cristiano che non ha un rapporto vitale con Maria ten- do la forma sbalorditiva e dogmatica di Efeso, è madre
de facilmente a ridurre la sua religione a uno di quei fattori di Dio.

206 207
56 a: Kiev, canedrnle della Santa Sofia, mosaico dell'Annuncia2ione, l'arcangelo Gabriele. 51. Piero della Francesca, Ann1111ciOzione, cimasa del polittico di Sanr' Antonio,
56 b: Kiev, cattedrale della Santa Sofia, mosaico dell'Annunciazione, la Madre di Dio. Perugia, Galleria Nazionale dell'Umbria.

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Forse la dimensione umana manca in alcune religioni, La devozione a Maria ci aiuta a scoprire che la religione
o almeno in alcune manifestazioni di religioni, ma la di - è per la nostra vita nella sua complessità, nella sua dimen-
mensione della dea-madre, della maternità divina, non sione umana, e quindi anche corporale. La religione non
manca in quasi nessuna religione. È curioso! Non che è per gli spiriti, né per gli spiriti puri né per gli spiriti
noi dobbiamo pensare che Maria sia la dea-madre o il so- impuri. Riguarda l'uomo nella sua unità indistruttibile e
stituto della dea madre delle altre religioni, ma la formu- consustanziale tra anima e corpo.
la Mater Dei, in tutta la sua forza, resta e resterà sempre Una religione che non sia corporale non è religione
una formula dogmatica, che non si accontenta di dire che umana e quindi non serve all' uomo.
Maria è madre di Cristo, ma che dice e ripete che Maria Una religione che voglia presentarsi soltanto come pu-
è madre di Dio. rezza spirituale sarà stoica, sarà gnostica, sarà platonica,
Secondo una mia interpretazione, Maria è «madre ma non sarà pienamente cristiana.
temporale di Dio e madre del Dio temporale». La defini- A questo proposito io sostengo che la fede nell' immor-
zione latina Mater Dei temporalis può significare «Madre talità dell'anima è dogma platonico e non dogma cristia-
del Dio fatto tempo, del Dio temporalizzato» e «Madre no. Non esiste passo né biblico né dogmatico dove si parli
temporale del Dio eterno». dell'immortalità dell'anima.
Non la dea madre, ma la madre di Dio, il che dà una È l'uomo che è immortale. È l'uomo che è unità. È
dimensione di concretezza alla nostra religione. Esiste, ri- l'uomo che ha una religione.
peto, il grande pericolo di staccare la religione dalla vita, E uomo vuol dire anche questa carne, questo corpo,
di fare della religione una cosa bella, sublime, superiore, queste ossa.
che si mantiene al di fuori affinché non si sporchi nella La resurrezione della carne non è una specie di appen-
vita quotidiana, con il pericolo di un 'atrofia dell'essere. dice aggiunta all'ultima ora, ma è una realtà che sta all'ini-
Soltanto quando scopriamo che il nostro cuore è fat- zio di tutta la vita, di tutta la vita cristiana.
to per amare non ci vergogniamo dei nostri sentimenti e La religione deve essere dunque corporale.
della nostra dimensione umana. Il dogma dell'Assunzione: Maria assunta è una crea-
Un certo rapporto e un minimo di devozione a Maria tura, è un essere umano, è corpo e anima. Non esistono
aiutano a umanizzare il nostro essere e la nostra religione. corpi da soli - un cadavere non è un corpo - e non esisto-
Dovrei forse fare un'esegesi del Cantico dei Camici no anime da sole. Le persone sarebbero allora solo delle
per spiegare bene ogni cosa, ma mi limiterò a consigliar- astrazioni.
ne una lettura attenta. Così come non c'è una volontà sola, un 'intelligenza sola:
posso parlare di intelligenza, corpo, anima, ecc., ma è solo
3 - La dimensione corporale un modo di parlare. Posso dire: dito, unghia, ecc., ma non
posso ipostatizzare e far camminare l'unghia sola o il corpo
C'è però anche una terza dimensione che la devozione solo o le anime sole, come in quei bei quadri delle vecchie
a Maria ci mostra e ci rivela. Se il primo mistero è quello chiese dove si vede soltanto la metà superiore delle anime
dell'Incarnazione e il secondo quello dell'Lnmacolata, il del purgatorio, che spingono il bambino a chiedere alla
terzo è quello dell 'Assunzione. mamma se le anime del purgatorio finiscono a punta...

210 211
Il valore del corpo è in quanto corpo e non in quanto In Maria, con il dogma dell'Assunzione, abbiamo una
serve ad altro. Il corpo non è uno strwnento, ma un costi- creatura associata alla redenzione dell' wnanità e unita in
tuente del]' uomo. corpo e anima a Dio, secondo la terminologia tradizionale.
Il valore del corpo comprende il valore dei sentimenti Corpo e anima: io non sono uno spirito, né sono spirito
wnani, della purezza umana, di tutti i sensi, della civiltà, di da una parte e corpo dall'altra.
tutto l'insieme dei valori corporali, del concreto e del tem- Quindi la mia religione, la mia fede, se sono autentiche,
po. saranno ugualmente corporali e piene dei valori del corpo
Tutto questo va divinizzato, tutto questo va trasformato, e della gravitazione, così come sono piene dei valori dello
tutto questo va «assunto». spirito.
Questa terza dimensione corporale deve essere una di- Di qui, un'altra volta, la religiosità che integra e che pe-
mensione della vita cristiana, della vita mistica, vincendo, se netra pienamente nella vi ta umana, nella vita del corpo.
necessario, l'influsso gnostico, stoico, neoplatonico e spiri- Di qui l'importanza, e non per ragioni moralistiche più o
tualista. meno buone e che poi si vogliono giustificare quasi igie-
San Paolo, culturalmente parlando, non poteva certo nicamente, del rispetto del corpo altrui come del proprio
avere il grado di conoscenza riflessiva che abbiamo noi, ep- corpo.
pure, quando ebbe l'estasi più alta, non si azzardò a dire di Di qui la funzione del digiuno e del mangiare, dell'atto
aver abbandonato il corpo. «Con il corpo o senza il corpo, della procreazione e della danza, di un correttivo del cor-
Dio lo sa». Rapito al terzo cielo, ripete: «Se col corpo o sen- po e dell'igiene e della bellezza fisica: tutti questi valori
za il corpo, Dio lo sa». Evidentemente col corpo. non possono essere al di fuori, indipendenti, ed esistere
In Cristo la Divinità abita in tutta la sua pienezza corpo- soltanto con una relazione negativa.
ralmente. Non si tratta di salvare l'anima; si tratta di salvare l'uo-
Perché si dice che Dio è spirito e non che Dio è corpo? mo!
Quando si dice che Dio è spirito, non si intende che egli sia Non è soltanto l' anima tempio dello Spirito Santo, ma
spirito sul modello del nostro spirito: è evidente! Ma perché anche il corpo!
deve valere solo la metà del mio essere, magari purificato, Nell'Eucaristia l'uomo sta, con questo metabolismo so-
sublimato? El'altra metà? O forse dirò che il corpo è peg- prannaturale, lentamente trasformando tutto il suo corpo
giore dell'anima con Plotino, con gli gnostici, con gli stoici in corpo glorioso.
e con tanti altri? Tutto il suo corpo. Il quale non sarà meno corpo perché
La dimensione corporale della vita interiore, della vita più spiritualizzato.
cristiana! Il valore divino e soprannaturale del corpo! Sarà più unito, per cui la volontà sarà sempre più in-
Dio non è un essere corporale. E sia! Ma Dio non è nem- telligente, e l'intelligenza avrà una potenza di libertà e di
meno un essere spirituale! E se si dice che Dio è un essere decisione sempre più forte.
spirituale, purificando il concetto di spirito, allora io dico Per cui lo spirito sarà più incarnato, più fatto ossa e la
che Dio è corporale, purificando anche il concetto di corpo! proteina sarà più spiritualizzata, più fatta spirito.
Si purifica, si applica in senso analogico e quindi rutto è Ci sarà quindi più unità di vita, più unione tra corpo e
risolto! anima, tra volontà e intelligenza, tra sentimenti e desideri:

212 213
59. Bearo Angelico, affresco, 14}7-1445. Convento di San Marco, cella}), Firenze.
58. La Trasfigura7.ionedi C risro, mosaico absidale e dell'arco trionfale, chiesa del monasrero di Santa La Risurrezione, pe.r le chiese orientali, qui imitate dal Bearo Angelico, è I• discesa di Cristo agli Inferi,
Caterina suJ Monte Sinai, metà del VI secolo. per portare con sé nella gloria il genere umano a partire da Adamo.

214 215
l' uomo raggiungerà un'unità ogni volta più profonda, ogni
volta più semplice.
Tutte queste considerazioni sono variazioni sull'uni-
co tema dell'Assunzione: «Perciò tutte le generazioni mi
chiameranno beata».
La dimensione del valore del corpo umano! I:importanza
dei nostri sentimenti!
Siamo abituati a considerare che l'essenza del peccato e
dell'atto umano sia la volontà, sovrana e decisiva, che fa e
disfa. Povera volontà, che balla la musica che le fanno sen-
tire! Fondamentali, almeno come la volontà, sono i senti-
menti! Almeno così fondamentali, come la decisione che
noi crediamo libera, e che sotto un certo aspetto lo è, sono
l'insieme di cause e di concause e di fattori concomitanti
che influiscono sulla realizzazione di un arto.
Dimensione corporale quindi della vita interiore.
Una religione distaccata dal corpo non è una religione
umana.
A una religione che considera questo corpo solo come
uno strumento a servizio dell'anima si potrebbe ribat-
tere che anche l'anima aiuta e sta al servizio del corpo. apostoli rivolgono lo stesso rimprovero, non parlano della
Esattamente uguale! volontà, non gli dicono che ha deciso, ha acconsentito o
Né l'uno in funzione dell'altra, né l'altra in funzione non ha acconsentito, ma che il cuore è stato macchiato per
dell'uno: essi sono un' unica cosa in una duplice manifesta- lo stesso fatto che un pensiero o un desiderio o un'idea ha
zione. È certo che chi entra in relazione personale con Maria trovato posto dentro il cuore.
trova immediatamente e istintivamente questo recupero Guai a credere che la nostra pulizia interiore consista solo
del valore della santità per rutto quello che è corpo e che è nel lavarci le mani, per poi pensare a questo o a quell'altro,
corporale, e dà un valore di trascendenza, cioè di religione, e concludere con un «siccome non acconsento a niente ...»
a tutta la vita umana. o con un «non faccio nulla ...».
Dicevo che una formazione eccessivamente volontaristi- È qui dove è necessaria una formazione molto più
ca ci aveva fatto pensare che noi siamo responsabili soltanto profonda, che ci faccia sentire responsabili e che permetta
di quello che la nostra volontà decide. a chi abbia un minimo di fede e di carità la catarsi e la
Ma noi siamo molto di più: siamo responsabili di quello purificazione dei propri sentimenti e del corpo, delle
che il nostro cuore seme. 60. Cristo e Maria al centro tendenze e dei desideri, di tutto quell'insieme di valori più
del mosaico dell'abside della
Quando Pietro rimprovera con dure parole Anania del basilica di Santa Maria in
profondi di tutta la nostra esistenza umana. È qui dove
suo peccato, della sua bugia, quando a Simone Mago gli Trastevere, Roma. anche la fede trasforma, purifica e cambia.

216 217
Epilogo

Abbiamo descritto le tre dimensioni della vita interiore


dal punto di vista mariano. Maria è simbolo vivo di una reli-
gione umana e di una religione che ha un aspetto femminile:
noi siamo il principio femminile che Dio feconda e tutta la
relazione dell'uomo con Dio non è altro che una relazione
di femminilità creata, rispetto al Creatore.
Il tema «sposalizio» è uno dei Leitmotiv di tutto l'Antico
Testamento. Maria è poi anche il simbolo della terza dimen-
sione, quella corporale della vita, della vita spirituale e della
vita di fede e della vita cristiana.
I tre dogmi mariani: il dogma dell'Annunciazione che ci
rivela questo senso umano; il dogma dell'Immacolata con
la sua dimensione femminile di ancilla Domini; il dogma
dell'Assunzione, infine, che la rende consapevole che tutte
le generazioni la chiameranno beata perché in lei Dio ha
fatto grandi cose, cioè tutto l'essere di Maria che verrà poi
assunto in corpo e in anima al cielo.
Come commiato adesso, amico lettore, vorrei ripetere
quell'unica frase di Maria agli uomini, che i Vangeli ci han-
no consegnato come un testamento: «Fate quello che egli
vi dice». Anche se dovesse dirci di riempire di acqua gli
otri destinati al buon vino, non esitiamo... e riempiamoli
completamente, usque ad summum 1

61. Le notte di Oma, Napoli, battistero di San Giovanni in l'ome.


Maria ha spinto Gesù al suo primo miracolo per un motivo tutto umano e festoso.

218 219
ARIA

9. Ekklesia e Mandiram
due simboli della spiritualità umana

Due templi e un solo popolo

Una delle parole sanscrite per indicare il tempio hind\'


è mandiram, che significa dimora, casa, palazzo... fino a
città, da una parte, e stalla (mandurii, in greco mandra, che
poteva anche significare monas tero; cf. archimandrita),
dall'altra. Il tempio è la casa del Dio, la dimora del Divino,
il recinto divino, come indie.a la parola greca temenos. Il
Divino è ovunque: iiiiviisyam idam sarvam, «questo intero
(universo) è avviluppato da Dio» (IsU 1). Ma noi mortali
possiamo ricavare grande beneficio da un luogo tangibile
in cui il Divino sia più facilmente accessibile. La religione
che insiste tan to sull'immanenza divina universale ha co-
struito i più splendidi templi per ospitare gli Dèi all'inter-
no di gopuram e garbha-grha!
Una delle parole greche per il tempio cristiano è ekkl.e-
sia, che significa convocazione, assemblea radunata dall' e-
sterno. Il verbo kaleo significa "chiamare, nominare", e
kle[i]6 "rendere noti, famosi" (cfr. in latino clamor, clarus).

•Estr.mo da Eltklnù ~ mandir.mt, dt«" Jiml,<,Ji JellA $JJ1Ì1·1wlild um11nr. ed. or. Eldtles:iJ 11nd M4n•
Jinm. Tu.,o Symooh o/ Huma.n Spiritmr/ity [Forewotdl, in .Srud~ in Formative Spi.rilldlit~, Xl,
3 (n<Wffllbtt 1990). pp. m-284. in o~,.Om.11ù, Vol. VII, lndu.iUlffl e ailJuln~imo, pp. 45)-%1.

221
Il tempio è l'assemblea, le persone debitamente raccolte
dalla chiamata divina. Così come in inglese si dice Church
(Chiesa), dal greco kyriakos, appartenente al Kyrios, al
Signore che convoca il popolo. Il Signore dimora in una
luce inaccessibile58: 0eov ou6e1ç ewpaKev 1tw1tote, «Dio,
nessuno lo ha mai visto» (Gv 1,18). La religione che tanto
insiste sulla trascendenza divina ha costruito le più splendi-
de cattedrali per accogliere il popolo.
Abbiamo qui due atteggiamenti complementari. Primo:
all'interno delle rispettive tradizioni, il tempio hindii è
una casa di Dio, il tempio cristiano è una casa dell'Uo-
mo. La divinità hindii, prevalentemente immanente, esige
una sede per gli Dèi. La divinità cristiana, prevalentemen-
te trascendente, esige una sede per il popolo. Secondo: i
due atteggiamenti sono complementari l'uno all'altro. E
così da ambo le parti sentiamo che i veri templi del Divino
sono i nostri corpi, perché, in ultima analisi, il tempio ma- 62. [mmagine di basilica con l'iscrizione Ecc/esia Mater,
teriale è solo un simbolo. «la Madre Chiesa», dal mosaico di uno tomba cristiana di Tabarka, Tunisia.
L'edificio roppresentoto è il sùnbolo deUa chieso, corpo mistico e popolo di Dio.
Questa non è un invito a radere al suolo rutti i templi.
È l' auspicio di una comprensione più profonda del fatto
che ekklesia e mandiram sono costruiti affinché il popolo
incontri Dio, e gli Dèi incontrino il popolo, e che c'è un dazione sarebbe mostruosa; e che, con l'amore, si corre il
unico popolo, la famiglia umana, e un' unica divinità, la "rischio" che nasca un nuovo bambino, il prosieguo della
sfera divina. Non possiamo scomunicare né noi stessi né il vita religiosa in forme finora impreviste.
Divino dalla realtà. Siamo intrinsecamente correlati gli uni I cristiani "illuminati" dicono che la Chiesa non è l'edi-
agli altri e al cosmo, in quanto terza "dimensione" dell'u- ficio, e analogamente i "colti" hindu ripetono che il culto
niverso - questa è l' intuizione cosmoteandrica. al tempio è la forma più bassa di religione. Comunque sia,
Ciò non equivale né a sostenere che dovremmo rutti i simboli dovrebbero parlare da soli, e qui mi limito a sot-
fonderci in un'unica religione, né a promuovere un so- tolineare il simbolismo dell'edificio in entrambi i casi.
lipsismo religioso o spirituale. Ribadisco che l'autentica In breve, le spiritualità viventi sono sempre concrete,
comunicazione umana deve sempre essere una communi- incarnate, vive nelle case degli Dèi e degli uomini. Questi
catio in sacris, una fratellanza religiosa, una condivisione due simboli della ekklesia e del mandiram esprimono inol-
più o meno esplicita delle nostre esperienze del mistero tre il fatto che le spiritualità non devono essere confuse
ultimo della Vita e della Realtà. Propongo una mutua fe- con semplici dottrine o riti. Né il cristianesimo né l'in-
condazione tra tradizioni religiose nei recessi più profondi duismo sono solo ''templi", templi materiali. Ma senza la
dell'essere umano. Sostengo che, senza amore, tale fecon - realtà di questo simbolo possono ridursi a semplici ideo-

222 223
logie. Il tempio è materiale, il cempio delimita uno spazio
e circoscrive un cempo, riunisce il popolo fatto di corpi, e
ospita anche, in certo modo, il Divino.
Un tempio è un luogo di incontro. P uò facilmente es-
se re scoperto, e distrutto. Il tempio condivide tutta la
vulnerabilità umana. Quando Paolo parla di noi come
di «templi dello Spirito santo», si riferisce esplici tamen-
te ai nostri corpi, non solo alle nostre menti (lCor 6,19).
Il lù.zgam è nel grha garbha; e anche se ci dovesse essere
il vuoto assoluto, dovrebbe essere comunque "collocato "
lì. L'invisibile prakrti è sempre accompagnata dalla vikrti
visibile con cui il supremo Spirito pervade l' universo, dice
la V1:r1:1udharmottara (m, 46,3).
Ma c'è dell'altro. Spiritualità è coinvolgimento, azione,
prassi. Il tempio è li per fare qualcosa, fosse anche solo per
attrarci o respingerci. Non è neutrale.

Trimiirga e Homo viator

Quali che siano le differenze tra questi due ricchi fasci di


spiritualità e religioni, che raggruppiamo sotto il nome di
induismo e cristianesimo, entrambi parlano di un pellegri-
naggio, di seguire una via, il sentiero verso la perfezione,
la realizzazione, la salvezza, la liberazione, il compimento,
la divinizzazione • per non usare termini sanscriti. Tutte
le vie possono condurre alla vetta, sebbene noi possiamo
discordare circa l'altezza, la natura e perfino l'esistenza re-
ale della vetta. Un unico metodo (hodos, via), una unica
siidhana (disciplina) non servirebbe. Così come sarebbe
inutile discutere per via sotto falso pretesto, o magari pas-
sare superficialmente da un sentiero all'altro, perché è p iù
63. 11 Lingaraja, il eempio più importante, più grande e p iù bello del Bhubanesvar, è facile rinunciare a scalare i rispettivi percorsi e lasciarsi
decorato all'escerno con animali fantastici: leoni stilizzati con le fauci spalancate e la zampa allenare dalle proposte dei propagandisti religiosi, che si
destra soUevata. lljdganmohana. la sala delle udienze o anticamera de] s.anruario,
presentino in veste di guru o di missionari.
accoglie i pellegrini che vogliono arrivare fino al cuore del tempio. Dalla base quadraca
alla sommitìi del tempio, si opera un passaggio progressivo verso l'unità, simbolizzara Chiunque sia addentro alla spiritualità cristiana cono-
d.all'amalaka. un cuscino tondo som1ontato da un vaso in un solo pezzo e da una punta. sce la convinzione di base delle tradizioni abram itiche,

224 225
che dipingono l'uomo (come fa anche Sal)karacarya, del o ali' altra. Solo se ho esperienza personale sarò in grado
resto) come un pellegrino verso la Terra promessa. Non di trattare dogmi e dottrine con la libertà del vero creden-
ha molro senso limitarsi a discutere sulla natura dei vari te. Solo se ho le necessarie conoscenze dottrinali sarò in
cammini. O meglio, la via è raie solranto se noi la per- grado di afferrare il significato della mia esperienza, e le
corriamo dawero, così come una canzone è raie soltanto somiglianze e le divergenze con quelle altrui.
quando viene cantata. Se siamo arrenò alla nostra siidhana, Ma sono spinto a fare un rilievo di altro òpo, sulla scorta
possiamo scambiarci le esperienze, ma difficilmente ci im- di Abhinavagupra e san Giovanni della Croce. Entrambi
pegneremo in discussioni prettamente dottrinali, per im- ci dicono, per usare le parole di Giovanni della Croce:« ...
porranti che siano nelle sedi appropriare. «Caminante, no y en el Monte nad.a»: sulla vetta, nulla; sulla montagna, il
hay camino - dice Antonio Machado - , se hace camino al nulla. Non C>è cammino; upiiya, il mezzo, è anupiiya, as-
andar» (Pellegrino, non C>è il cammino: il cammino lo si fa senza di mezzi. Il cammino, in ultima analisi, può diventa-
camminando). Siamo rutti pellegrini in cammino, anche il re l'ostacolo. Non vi può essere intermediario. Dobbiamo
jiivan-mukta (l'anima realizzata), finché sussiste il corpo. diventare noi stessi i mediatori, gli esseri inregraò, le per-
Ciò che ci riunisce non è il farro di essere d'accordo o sone realizzate, i jivanmukta, i comprehensores, avendo re-
che tutti procediamo lungo la stessa high-way, ma che an - alizzato noi stessi lo aham-brahman, l' iitman-brahman.
diamo avanò, che non ci areniamo nemmeno nelle nostre Ciò che volevo dire è più semplice: oggi, e non solo sulle
idee, che rimaniamo cercatori, viatores, anche se non sap- vette della vi ra spirituale, ma anche sulle pianure del]' e-
piamo esattamente verso quali tirtha (templi) e su quali sistenza religiosa non vi sono più senòeri tracciati. Le
k,etra (suoli sacri) andiamo. In poche parole, una spiri- inondazioni tecnocraòche e le frane modernistiche hanno
tualità autenòca è sempre dinamica, è miirga (cammino), coperto molti dei cammini tradizionali. Per dirla in altro
sadhana (disciplina), prassi con annessa teoria che la rende modo, la spiritualità per il nostro tempo non è una sempli-
aperta al cambiamento, alla metanoia (trasformazione). ce replica di vecchi schemi, per imporranti che siano, e per
quanto necessario sia conoscere in profondità le rispettive
Upiiyiinupiiya: «Ya por aquì no [h]ay camino» tradizioni. È sì la tradizione che ha forgiato le nostre ali,
ma per volare dobbiamo aprirle e muoverle noi stessi, se-
Questo non è luogo per uno volo mistico, per quanto guendo i venò dello Spirito (ancora la ridondanza). Dico
io possa essere tentato di farlo. È solo una occasione per insomma che la nostra si tuazione è nuova, e che spirituali-
sottolineare che, quando parliamo delle nostre esperienze tà non è solranto archeologia o - se è per quello - soltan-
personali, raggiungiamo un livello più profondo e profi- to religione comparata. La sintesi deve essere personale e
cuo di quando ci riferiamo a semplici esposizioni dottrina- pertanto wnile, ma non individuale. Deve essere sponta-
li - per quanto necessarie poiché, senza sforzo intellettuale nea, come manifestazione del nostro intero essere, e non
e seri studi, il resto rimane superficiale. L'intuizione misò- come risultato della nostra sola volontà. Deve essere rive-
ca non è rutto, ma senza di essa l'incontro tra spiritualità è lazione del mistero di libertà, non un collage di elemen-
incompleto e spesso deformato. L'incontro tra spiritualità ò esoòci, seppure ben inrenzionaò, e perfino variopinò
non è un confronto di dottrine, né scambio di esperienze. a volte. Deve essere reale e, pertanto, adatta alla nostra
Comprende entrambe, ma non può essere ridotto all'una situazione odierna, lasciando spazio anche ai fattori dia-

226 227
cronici presenti nelle diverse culture. Chiunque viva nel ARIA
contesto tecnocraàco della nostra epoca sa quante inon-
dazioni siano avvenute nelle vallate tradizionali. Le dighe
non serviranno. Dobbiamo lasciare che i liwni scorrano.
10. SP.azio sacro. No? ~'è SP.azio
Non ci sono sentieri sulle vette della vita spirituale, ma esteriore senza spazio interiore
non ci sono nemmeno senàeri che oggi ci conducano a
un autentico incontro tra spiritualità. Non ci sono mo-
delli. Qui non si richiede uno spostamento di paradigma,
perché non possiamo partire dal presupposto che ciò che
crediamo che lo Spirito ci ispiri a fare e a essere sia un pa-
radigma per noi, né tanto meno per gli altri. La vita vera-
mente spirituale è un rischio. Non c'è modello da seguire.
Non vi è alcun profeta da ascoltare, perché, se anche ce ne
fosse uno, la prima cosa che un autentico iiciirya direbbe
Lo spazio è il tessuto ulàmo della realtà. Noi siamo an-
è: «Non chiamarmi buono», «Non imitarmi», «Segui te
che spazio. Questo spazio si espande in nove direzioni,
stesso» (o meglio, il tuo Sé).
che cercherò di descrivere con il simbolo divino della por-
In breve, il compito di contribuire a una spiritualità per
ta (janua, da Dio Giano, e porta, dal Dio Portunus).
i nostri tempi è un compito formidabile, in tutti i sensi.
Sappiamo solo questo. Dobbiamo fedeltà alle nostre tradi-
Una porta aperta: simbolo di potenzialità,
zioni; e proprio questa fedeltà ci obbliga ad andare oltre le
ricettacolo universale
tradizioni che ci hanno nutrito, come suggerisce la stessa
parola "tradizione": dobbiamo passarla di mano in mano,
La nostra esperienza dello spazio comincia probabil-
e quindi trasformarla. Entriamo in una No-Man's l.And, in
mente con la consapevolezza delle distanze esterne. Noi
una "terra di nessuno", e per questo stesso moàvo dob-
vediamo attrave rso una porta aperta. La consapevolezza
biamo deporre tutte le armi intellettuali e spirituali, per
della distanza, nei bambini, è tutt'uno con la distinzione
incontrare l'altro che en tra dal lato opposto in questa terra
che essi pongono tra sé e gli altri. Per la coscienza indivisa
d i nessuno. Cosicché essa diventa veramente una Land o/
del bambino, la separazione (spaziale) significa anche di-
Man , Terra dell'Uomo. stinzione (intellettuale): le distanze costituiscono lo spazio
esterno e le distinzioni formano lo spazio interiore. Due
entità, inseparabili spazialmente, sono indistinguibili.
Lo spazio interiore e lo spazio es teriore sono due facce
della medesima realtà. Lo spazio interiore non è una me-

•ln ConcrpttofSpa«, Ancii.'nl ttnd Mmkm, ~ Wl'll di "K::ipifa. Vmrayan, Abbjna\• 'Publieat:iom,
Neu• ùelhi 1991. In ()pha Omni.1. Voi. :xtl.. Spati<;. temp<>~ $aht1,P.

228 229
tafora tratta dallo spazio esteriore. Il primato che alcune
culture conferiscono alla esteriorità opera - se noo è bilan-
ciata dalla interiorità - una dicotomia all'interno della co-
scienza umana. L'esperienza primordiale e universale dello
spazio, beo lungi dall'essere limitata allo spazio esteriore,
è olistica: l'interiore e l'esteriore si completano a vicenda.

Il fatto che una sola parola simbolizzi una realtà sia spi-
rituale che materiale non è eccezionale. Nel buddhismo
cinese, ad esempio, la parola agha, che proviene dal san-
scrito akiisa (spazio etereo), sta a significare sia la materia
visibile che il vuoto invisibile. In italiano esiste una parola
di origine greca che corrisponde a questa inruizione: "ete-
re", caduta in disuso perché cancellata dalla scienza mo-
derna come ipotes i superflua.
La concezione più tradizionale dell'universo è sacra-
mentale e vede ogni realtà materiale come imbevuta di una
componeote spirituale, come portatrice di forze fisiche e

• •
64. Schema di villaggio dogon, Mali. Lo spazio è o.rganizzato
amropornorficamente: l'insediamento si estende da nord a sud,
«come un uomo che giaccia supino»; la testa è la casa del consiglio 65 a: Pianta dello twklakhang di Cyantse, 1418-1425. Un ponico colossale decora In facciata e all'interno,
e si trova sulla piazza principale, che rappresenta il ~campo primordiale., su una grande saJa ipostila il1umfo11ta da un lucern11rio, si affaccia.no tre cappelle. La maggiore., in asse con la
(Ogoterumeli); a nord sta la fucina, nd luogo in cui si riteneva fosse pona d'ingresso, è consacrata a Sakyamuni, seduto tra due h<xlhisatlva, Padmapn.Qi e Maiijusr"i;
posta, appunto, la fucina del fabbro civilizzatore; a est e o,,est, un deambulatorio, alto quanto In cappella maggiore, permette di fame il giro.
al posto delle mani. sono col]ocate le case delle donne rnestruace La cappella a sinistra è consacrata a Vairocana. quella a destra a Maitreya.
(con la fom,a tonda di uteri) e al centro, ndlo posizione dd peno e dd Quest'ultima ospita il celebre gruppo dei tre re tibetani protettori del buddhismo. (Gilles Beguin)
ventre. le dimore delle famiglie; a sud, al posto dei piedi, sono gli almi. 65 b: Alzato-sezione e pianta dd kumbum di Cyantse. (1427,7474).

230 231
psichiche. Cahod in ebraico indica il peso o la preziosità o
la gloria (di Dio). Pneuma in greco sta per vento, respiro e
spirito, e in molò tesò di san Paolo non si riesce addirittu-
ra a disònguere se il termine si riferisca allo spirito umano
o allo Spirito divino. Atman in sanscrito significa corpo,
anima e il sé. Salus in latino sta per salute e per salvezza.
Quando la maggior parte delle anòche tradizioni fanno
riferimento agli elemenò primordiali, intendono indicare
una realtà che è al contempo materiale, spirituale, e anche
divina. La stessa cosa si potrebbe dire degli elementi dei
Presocratici. L'acqua di Talete, ad esempio, non è certa-
mente H20.
In breve, la separazione tra spazio interiore e esteriore,
identificati rispetòvamente con lo spirituale e il materiale,
è una concezione piuttosto moderna. Lo spazio può esse-
re concepito come il contenitore che rende possibile ogni
contenuto, perché è tanto contenente che contenuto. Lo
spazio è ciò entro cui le cose accadono e sono, perché lo
spazio è parimenti dentro le cose. Lo spazio è una realtà
primordiale che non rientra nella nostra categorizzazione
di interno ed esterno, soggetòvo e oggetòvo, materiale e
spirituale, creato e divino.
«Tutto ciò che è, l'esterno e l'interno, è dentro lo
spazio», dice una Upani.rad; «fin dove è iikiifa , là è anche
iikiifa nel cuore ... In esso sono contenuò sia il cielo che
la terra, sia il fuoco che che il vento, sia il sole che la luna,
il lampo e le stelle, ciò che si possiede qui e ciò che non si
67. Scultura in
bronzo del!' Angelo possiede; ogni cosa vi è contenuta». La tradizione upani.ra-
del!' Annunciazione (1978) dica idenàfìca iikiifa con iitman. Platone dice che lo spazio
realizzaca per Apel-les (chora) «offre un habitat a tutte le cose create».
fenosa ( 1899-1988) e
collocata nel Camino
Posso paròre da un truismo: lo spazio è ovunque, esso
del Ave Maria, nella è tanto il luogo (ubz) che il sito (situs) delle cose. Ogni
Bas(lica de MontserraL cosa è in un qualche posto perché vi è situata, in relazio-
Il vuoco al posco del cuore
del!' Angelo era per
ne con tutto. Essere è essere-con (co-esse) ma anche esse-
Panikkar l'osmosi rra re-io (in-esse). È come dire che lo spazio è ogni cosa, ma
66. Mausoleo di Galla Placidia, RJ.venna, interno, mosaico il cielo stellato della volta. interno ed esterno. non il tutto di ogni cosa. Lo spazio coesiste con ogni cosa.

232 233
Parafrasando Aristotele, potremmo dire che non c'è nien-
te che possa circondare lo spazio: sarebbe ancora spazio. 68. C ranio
Ma come potrebbe essere altrimenti, senza privare lo spa- rimodeUato in
zio di ogni intelligibilità? stucco proveniente
da Teli es-Sulran,
Il nostro primo approccio è quello di una porta aper- cioè Gerico, nella
ta. Propriamente parlando, una porca aperta non è affatto valle del Giordano
una porta. Siamo già dentro - e al contempo fuori. Giano, in Palestina,
testimonianza
il Dio della porta, aveva un doppio volco, simbolo di ambi- della consuetudine
valenza. Ciò significa che, nonostante tutti i nostri metodi riscontrata
olistici e intuitivi, abbiamo bisogno del rigore e dello sfor- di inumare a parte
gruppi di teste che
zo degli approcci parziali, cioè di aprire le porte attraverso venivano lavorate con
la specializzazione: una porta o un'altra. I problemi sor- pitture o incrostazioni
gono quando ci dimentichiamo che la nostra entrata era di conchiglie per
mettere
solo un varco che abbiamo creaco nell'incero edificio - o
in rili.-.•o gli occhi.
quando abbiamo perso di vista il facto che il nostro buco (Jwien Ries)
non solo ci introduce nell'edificio ma anche ci porta fuori,
poiché il tempio di rutta la realtà che stiamo considerando
non si trova "lassù", ma ci avvolge. Noi ne facciamo parte.

Una porta chiusa: la moderna frammentazione ignorando il fatto che la frammen razione della conoscenza
della conoscenza comporta la frammentazione del soggetto conoscente. Le
specializzazioni in se stesse non sono un male; il problema
La crescita della persona, così come la maturità culru- è che la conoscenza autentica non può essere frammentata
rale, avviene tramite le distinzioni. Il bambino cresce "di- senza coinvolgere colui che conosce.
scriminando" sempre di più. La culrura distingue e ap- Lo spazio - convertito in una nozione oggettivabile
profondisce le conoscenze attraverso la specializzazione. o specializzata - si è ridotto a una specie di estensione
Cominciamo così a distinguere tra gli spazi: destra e sini- newtoniana, una scarola vuota in cui si muovono i corpi.
stra, sopra e sotto, Est e Ovest, fisico e psichico, terrestre Quando lo spazio è concepito solamente come esteriorità,
e astronomico, interiore ed esteriore. Le distinzioni non si può parlare solo metaforicamente di spazio interiore.
dovrebbero però portare a una separazione. Non esiste "luogo" per lo spazio interiore, nemmeno per
le distinzioni tra spazio e spazio in differenti luoghi. Ogni
In alcune culture lo spazio è diventato soprattutto una spazio fisico è omogeneo e generalmente isomorfo. Si usa
nozione fisica e, solo per estensione, una nozione spi- lo stesso metro sia per le distanze stellari che per quelle
rituale. Lo spazio è, tuttavia, una categoria onni-avvol- intramolecolari.
gente, come ci ricordano ancora le culture africane. Ma Ecco dunque che ci si presenta inevitabilmente un pro-
noi moderni siamo riusciti a frammentare la conoscenza, blema politico. Dobbiamo pagare un tributo a una cerca

234 235
modernità scientifica e chiamare "spazio" solo lo spazio fisica nel senso della scienza moderna; essi non si posso-
esterno dei corpi fisici? O dobbiamo arrenerei a un uso no concepire come localizzati in uno spazio astronomico
più tradizionale e olistico della parola? È certamente un esteriore, né in uno spazio interiore puramente sogget-
problema semantico. Ma i nostri linguaggi sono linguaggi tivo - o metaforico. O il cielo e l'inferno non esistono, o
parlati dall'Uomo, animale politico, e foggiano il mondo abbiamo bisogno di un'altra nozione di spazio, di un altro
in cui viviamo. lo penso che sia un inutile tributo alla mo- dove, un 'altra concezione dell' esistenza. Non vi è reologia
dernità limitare l'uso della parola "spazio" al senso fisico, senza cosmologia, non vi è cosmologia senza teologia.
in quanto rappresenterebbe un'altra sconfitta delle culture In breve, anche la nozione di spazio è stata frammen-
tradizionali a opera del complesso tecnologico dilagante. tata. Lo spazio moderno è chiuso: per penetrarvi dovre-
Un solo esempio può bastare. La maggior parte delle mo entrare attraverso la porta filosofica che si trova alla
religioni classiche vivono in contemporaneità e in coesi- nostra destra, la direzione che solitamente indica il luogo
stenza con gli an tenati che sono attorno a noi. È ovvio che della tradizione.
essi non possono coesistere in uno spazio newtoniano: in
esso non c'è posto per i morti. Lo .wargaloka (cielo) della La porta sulla destra: tre diverse visioni filosofiche
tradizione hindii è strettamente correlato alla cosmologia
hindii. Lo stesso vale per le nozioni cristiane corrispon- Se lo spazio interiore è "spazio" solo per analogia con
denti. Il cielo e l' inferno devono essere spaziali se sono lo spazio esteriore, che cosa è allora il primum analoga-
reali, ma sarebbe assurdo ascrivere loro una localizzazione tum~
La realtà si rivela a noi attraverso i nostri organi di per-
cezione. Questi organi sono connessi l'uno all' altro, an-
che se è possibile che uno predomini o un altro sia perfino

, .J
negato. La nostra nozione di Realtà varia di conseguen-
' za. Distinguiamo tre dimensioni del Reale perché i nostri
mezzi di conoscenza in ultima analisi sono tre. Il filoso-
fo greco Platone, che rappresenta l' Occidente, li chiama
il sensibile, l' intelligibile e il mistico. Il filosofo indiano
Madhva, che riassume gran parte della speculazione fi-
losofica ìndica, li chiama i cinque sensi che percepiscono
69. I tre di""!lni di (indnya), la mente che deduce (manas) e lo spirito che
Mary E. Goodman intuisce (siik.yin).
per l'opera di James
a) Se il nostro punto di vista comincia e finisce con i
M.Goodman
Tbe Navajo Atlas, dati sensoriali, lo spazio sarà considerato fondamental-
(Oklahoma Press mente come distanza fisica tra corpi. Per estrapolazione
...... 1982). Lo Hogan è la
e metaforicamente, Io spazio si riferirà anche allo spazio

- Casa dell'incontro tra


gli uomini e lo spirito.
(Laurence Sullivan).
spirituale come "luogo" che consente la manifestazione
umana della vita.

236 237
b) Se sottolineiamo la realtà intelligibile, lo spazio si ri-
ferirà principalmente a ciò che rende possibile le distin-
zioni. Lo spazio sarà simbolo della base comune sottesa a
ogni molteplicità.
c) Se la nostra vista è rivolta all'esperienza dell 'ineffabi-
le, ciò che "giace" al di sopra e al di là (ancora una meta-
fora spaziale) del sensibile e dell'intelligibile, lo spazio sarà
il "contenitore" invisibile, la potenzialità, il vuoto in cui
è possibile la diversità degli esseri, il grembo che include
ogni cosa. Lo spazio sarà allora direttamente relazionato a
kenon, Sunyatii, asat, vuoto, non-essere.

Una filosofia dello spazio dovrebbe prendere in consi-


derazione queste tre differenù visioni e quindi renderci
consapevoli che il tempio del Reale ha molte dimensioni.
Possiamo allora entrare dal lato sinistro, considerato - nel
nostro tempo - come il simbolo della novità e di un certo
anùconformismo.

La porta sulla sinistra: uno sforzo verso l'integrazione

La nostra tesi sostiene la relazionalità advaita o a-duali-


sta tra lo spazio interiore e quello esteriore. Ciò significa
che non si identifica lo spazio interiore con quello esterio-
re, né li si differenzia al punto da considerare uno come lo
spazio reale e l' altro come una nozione subordinata. Ciò
implica che ci è dato di percepire uno spazio che è fonda-
mento sia dell'interiore sia dell'esteriore.
La dicotomia tra spazio interiore ed esteriore corri-
sponde all'opposizione tra soggetto e oggetto. Lo spazio
esterno è considerato "oggetùvo", anche se rutta l' ogget-
ùvità potrebbe essere una proiezione della mente (mo-
nismo materialista). Lo spazio interiore, al contrario, si
suppone essere dentro di noi; è "soggerùvo", anche se la
soggettività totale porrebbe cosùtuire la totalità del Reale
(monismo idealista). 70. Il chiostro del complesso abbaziale cisterciense di Staffarda, Cuneo.

238 239
Lo spazio esteriore sta a indicare principalmente le di-
stanze "fisiche". Lo spazio interiore sembra riferirsi fon-
damentalmente alla consapevolezza delle distinzioni. La
psicologia, l'epistemologia e la filosofia rivolgono il loro
interesse agli spazi interiori, mentre le scienze naturali si
interessano degli spazi esteriori, anche se si direbbe che i
"gemelli" non si parlino da molto tempo.
La comune nozione di tempo fa da ponte tra le scienze
e le discipline umanistiche. Entrambi gli spazi infatti non
possono prescindere dal tempo. Lo spazio fisico è incon-
cepibile senza tempo. Né lo spazio interiore ha alcun si-
gnificato se si esclude l'esperienza temporale. Lo schema
spazio-tempo sembra essere comune a tutte le discipline
umane, ma questo schema spazio-tempo è ancora lungi
dall'essere l'esperienza olistica dello spazio che stiamo cer-
cando.
Dovremo uscire nuovamente dal nostro tempio eden-
trare attraverso il retro - il modo p iù umile di entrare in
qualunque edificio.

I.A porta posteriore: la scienza architettonica

Focalizzeremo ora l'attenzione su una antica e fonda-


mentale disciplina che è tanto una scienza quanto un' arre,
e che nelle lingue occidentali porta il nome ambizioso di
architetrura. Archi-tektonia: l'arte dei princìpi, il primo dei
mestieri, la techné più importante, l'opera del costruttore
primordiale.
Nell'Europa del xvm secolo, la scientia architectoni-
ca equivale ancora alla philosophia prima o ontologia.
Leibniz vede Dio come l' architetto dell'universo. Anche
per Kant l'architettura ha la connotazione della totalità.
Fino a Schleiermacher, l'architettura suggerisce l'unione
sistematica di una molteplicità nel!' ambito di una totali-
71 . Granaio della grangia Vaulerem di Chaalis. Le grange sono i luoghi del lavoro agricolo costruiti come tà. L'architetto non è l'ingegnere, l'uomo di ingegno, ma
fossero chiese. Il lavoro come "secolarità sacra-", s:cando a una fondamentale intuizione di Raimon Pnnikkar. il capo degli artisti, l'imitatore del Creatore. Gaudf era un

240 241
72. La capanna di Olduvai: Tanzania, 1,8 milioni di anni fa. Piccoli massi di basalto, con un dian,etro
medio di 10-15 cm, ma a ,,o lre di 25 cm e p iù, sono raggruppati in mucchietti alci 30 cm, separati da intervalli
fra i 60e i 75 cm. Questi mucchietti disegnano un cerchio cli circa 4 mecri di diametro e quindi un'area
centrale piana quasi sprovvista di oggetti, memre pietre tagliate e resti di cucina (ossa) sono disseminati per
terra all'esterno. (Yves Coppens) La capanna è simbolo della volta celesre. (fulien Riesl

architetto. Il fatto che egli abbia costruito templi, case e


giardini è molro significativo.
!:architetto tradizionale divenne il "costruttore di case"
(oiko-domos) per Dio e per gli uomini. Una casa non è una
scarola, né tanto meno un garage. La casa per l'uomo era
il simbolo principale dello stare nel mondo, lo spazio per
vivere e maneggiare le cose. L'agricoltura era la coltura dei
campi nello spazio esteriore, mentre l'architettura servi-
va a rendere possibile la coltura dell' anima nello spazio
umano: l'habitat. La casa rappresenta il mondo culturale;
l'architettura è l' arte e la scienza di costruire un sistema
culturale, ossia la vira umana. 73, 74. Dalla citrà neolitica di çatal Hiiyiik, Konya Anatoli (Tu rchia): scorcio di una delle costruzioni
Per l'antica tradizione sapienziale ebraica, la casa non ipotizzare come sanruari pervia delfabbondante decorazione musiva, benché Ja struttura
non si discosti da altri edifici. Un enom,e roro rosso, dipinto poco dopo il 5800 a.C., occupava gran parte
è una costruzione casuale originata dai capricci dell'uo- della parete di un santuario a çaral Hiiyiik. La piccola raglia degli uomini attorno evidenzia, secondo
mo. «La casa è costruita dalla sapienza» (Prov 24,3) e la l'archeologo James Mellaart, la posizione occupata dal toro nella tradi2ione di ç.tal Hiiyiik.

242 243
76. Per Le Corbusier le
"gioie essenziali" sono
ormai entrate nell'alloggio.
La natura è compresa
nell1a..ffino. Si è sottoscriuo
un pano con la nanll'a.
Gli alberi sono entrati
75. Per Frank Lloyd Wrigh, la casa-srudio è un luogo particolare e universale. nell'alloggio.
Ancora una volta siamo alla .. secolarità sacra!" di Panikkar.

Sapienza è la primogenita di Dio, il modello di tutte le ope- il latino domare: addomesticare e anche vincolare), vale a
re di YHWH. La casa è la continuazione del potere creaùvo dire l'elemento culturale.
di Dio con la collaborazione dell' uomo. Nella tradizione L'architettura è raccordo tra ordine umano e ordine co-
cristiana, san Paolo usa questa duplice metafora: «voi siete smico, ria e dharma combinati. Qualunque autentico ar-
l'agricoltura di Dio, voi siete l'edificio di Dio» ( lCor 3,9). chitetto, anche oggi, sosterrà che la vera architettura è più
Tre le correnti di pensiero che emergono dalla saggezza di una semplice manipolazione dello spazio esterno con
dell'etimologia: mezzi tecnologici; che l'architettura è intimamente colle-
1. La casa (domus, oikos) è il focolare, la famiglia, il gata all'antropologia e non è indipendente dalla cosmolo-
gruppo umano di base (il marito è legato alla casa, la sposa gia. L'architetto non costruisce un covo per l'individuo,
è "accasata"), vale a dire l'elemento umano; ma modella piuttosto lo spazio come manifestazione della
2. La casa è l'edificio, la costruzione, lo spazio modella- vita umana nel cosmo.
to, il materiale usato per realizzarla, vale a dire l'elemento La funzione dell'architetto non è quella di creare esclu-
naturale; sivamente uno spazio esterno, né compito dell'artista
3. La casa è il cerchio circoscritto dove si è incentrati e quello di modellare semplicemente uno spazio interiore.
anche protetti (cfr. il sanscrito damayali, il greco damazo e Le due cose vanno insieme.

244 245
Questo è il motivo per cui il bravo architetto è un ar- luogo, della distanza e dell'orientamento, ossia lo "spazio
tista, proprio come il poeta autentico è molto più di uno esterno". Noi viviamo in uno spazio che noi stessi contri-
che compone versi. Le loro azioni non sono produzioni buiamo a creare. Al contempo, è lo spazio in cui ci trovia-
individuali. Costruire case esclusivamente per amore del mo a vivere che plasmerà la nostra vita, il nostro gusto, i
denaro, comporre versi, dipingere o fare vasi solo per nostri sentimenti. L'artista è la persona che rompe questo
vendere è un' aberrazione umana e cosmica. L'architetto è circolo vizioso. La tradizionale ars architectonica ci fa re-
modellatore di uno spazio in cui la gente possa respirare, spirare subito in uno spazio che non può essere "localizza-
vivere e gioire. Questo spazio è una espressione del genio to" esattamente al di dentro o al di fuori. Il corpo e l'anima
di una persona, di una generazione o di una cultura; non non sono separabili.
implica conformismo o semplice ripetizione, ma richiede Per "artistica" si intende l'attività poetica di forgiare un
creatività. La vera tradizione non ripete mai il vecchio. nuovo mondo a partire dall' ambiente stesso in cui stiamo
L'architetto "sente" lo spazio del suo tempo, mentre il già vivendo. Noi creiamo il nostro spazio nella stessa mi-
poeta rima i tempi del suo spazio. L'architetto dà "espres- sura io cui lo spazio crea noi. La spazialità è un "esisten-
sione" a ciò che "parla" alla mentalità in una particolare ziale umano". Questa spazialità, tuttavia, non è un mondo
periodo culturale. L'architetto creativo lascia emergere lo esclusivamente interiore in cui viviamo con i nostri pen-
spazio da un non-luogo, da una utopia. Il genio creativo sieri, sogni e azioni, né tanto meno è identificabile con i
permette a ciò che non ha (ancora) trovato il suo topos dì luoghi, gli edifici, le citt.à in cui abitiamo. I due mondi si
incarnarsi nello spazio, di divenire spazio. compenetrano, cosicché l'uno è impossibile senza l'altro.
Quando le tradizioni classiche affermano che l' artista, L'architetto non è un sarto; la spazialità è ben più di
prima di operare, deve passare attraverso la purificazione, una veste da indossare e anche più di un "luogo" amorfo
la contemplazione e/o compiere alcuni riti, affermano che o vuoto in cui ci muoviamo: la spazialità è parte di noi
non c'è vero spazio esterno senza uno spazio interiore, che stessi. L'architetto è il primo tecnico, il co-autore di quello
la freccia non colpirà il bersaglio se il bersaglio non è nel spazio che siamo o che diventeremo. Vivere a lungo in un
nostro cuore. Parimenti, gli aspetti esteriori che qualcun ambiente trasforma sia l'ambiente che noi stessi. Le scarpe
altro crea condizioneranno anche la nostra interiorità. prendono la forma dei nostri piedi; nelle coppie anziane,
Mi riferisco a qualcosa di molto più originario dell'in- i coniugi arrivano a rassomigliarsi. Allo stesso modo, lo
flusso psicologico esercitato da un edificio su chi lo abi- spazio è una configurazione antropologica sia attiva che
ta; ho in mente qualcosa di molto più profondo del gusto passiva.
estetico con cui l'architetto sceglie luoghi e forme in modo Tutto ciò ha effetti molto pratici. Vivere in una casa in
da compiacere gli occhi o i sensi di chi guarda o ne fa uso. affitto è come indossare gli abiti di qualcun altro o addirit-
Il vero architetto non solo crea le forme ma, in un certo tura prendere in prestito un corpo estraneo; è come avere
senso, anche lo spazio. Mi riferisco al legame intrinseco tra un arto artificiale. Aver perso questa sensibilità è uno degli
l'interiore e l'esteriore, lo spirituale e il materiale, il cosmi- effetti della civiltà tecnocratica.
co e l'umano - e anche il divino. Una casa prefabbricata è come un rene prefabbricato
È il nùo "spazio interiore", il mio senso di distinzione, (trapiantato): una soluzione di emergenza. La maggior
di discernimento (viveka), che nù dischiuderà il senso del parte degli appartamenti moderni in una grande città non

246 247
77. $ceno d i vita quotidiana dal Neolitico io cui si celebra una festa. Al centro, il villaggio con 78. Rilievo rupestre non distante dall'area natufiana. Rujum Hani, Giordania. Si tratta della straordinaria
abitazione su pal8Jitte. Pitture di Caogyuan, Yunnan (da C. Zaho Fu, 1988). descrizione di un allevamento: i ere pastori con le braccia alzate e disposti con simmerria sembrano
svolgere un rico. Non ci troviamo davanti a una semplice illustrazione cronachistica..
La sedentarizzazione si fa rinnO\rando la ritualità del \rivere. Oulien Ries)

sono più habitat naturali o luoghi culturali, ma protesi La porta frontale: lo spazio come paesaggio umano
prefabbricate. Il tempo e lo spazio non sono valori neutra-
li, oggetàvi e commerciali. La parola francese contrée (da cui deriva l'inglese
Va contro la dignità umana vendere il proprio tempo country), l'italiano e lo spagnolo contrada, il portoghese
e il proprio spazio - così come vendere il proprio corpo. e il catalano encontrada ci ricordano vagamente il latino
L'esterno non può esistere senza l'interno, e viceversa. contra. Anche il tedesco Gegend ha lo stesso significato
Abitare in un luogo non consiste nell'occupare un certo e la stessa origine. L'etimologia accettata può non essere
numero di metri quadrati di un terreno neutrale. La tragi- corretta, ma storicamente il termine ha suggerito territo-
ca espropriazione di Papua e della Nuova Guinea, il con- rio, luogo situato "davanà" a noi, il contra laàno.
flitto non meno tragico tra Israele e Palesàna, l'espulsione Gli oggetà sono tali io quanto sono situaà davanti a
degli zingari e dei poveri dai sobborghi in cui hanno vis- noi, in un territorio. Noi siamo in relazione dialettica con
suto per generazioni... sono esempi drammaàci di questo gli oggetti che sono stati "gettati davanti a noi" (ob-iecta)
conflitto di cosmologie. Lo spazio è parte di coloro che vi a formare il nostro territorio. Il territorio è qualcosa di
dimorano, del loro essere. oggettivo che si estende davanti a noi. I popoli fanno le
Fin qui siamo entraà nel nostro edificio per una via in- guerre per conquistare un altro territorio. I conquistado-
diretta, ora lo affronteremo dalla porta frontale - vale a res, come ora gli astronauti, mossero alla scoperta di nuo-
dire dal punto di vista antropologico. ve frontiere, alla conquista dell'altro, l'aliud, e la storia ci

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80. • Kiva •, sito 16, Ruins Road, parco nazionale Mesa Verde, Colorado.
Periodo Pueblo li, sec. Xl. Attorno al perimetro corre una stretta panca su cui poggiano dei pilastri
in pietra. L'architettura deUe Kiva era eJaborarn, stilizzata e varia, adeguata a ospitare circa una dozzina
cli persone come centro fisico e spiricruale del villaggi. (James Brody)

insegna quale pericolo di alienazione ciò abbia comportato


e comporti.
Il paesaggio è qualcosa di molto diverso. Non è semplice
oggettività, è parte di noi. Noi non siamo senza il paesaggio.
Il paesaggio non è senza di noi. Il paesaggio non è davanti
a noi come un dato oggettivo. Tuttavia esso non è solo pa-
esaggio interiore, uno stato d'animo puramente soggettivo.
Il paesaggio è la nostra regione nativa o naturale, ossia ciò
che ci "regge" o ci guida, non un mero dintorno, esterno al
nostro essere. Non è nemmeno esclusivamente interiore né
79. Dall'alto l'abitato cli Monr-Sainr-Jean, dipartimento della Cote d'Or, Borgogno, Francia, semplicemente attorno a noi. È la nostra spazialità.
e sotto il p iccolo centro di Montréal, dipartimento della Yonne, Borgogna, Francia. Noi abitiamo in un territorio, ma non siamo in un pae-
Sanàno Langé, neJ libro L'eredità romanica, spiega come la parte occidentale e mediterranea
dell'Europa nelJ'abimre rura]e per secoli prosegua a costcuire come in epoca romanica. saggio. Noi siamo paesaggio, ma non solo paesaggio. Il pa-
arricchendo di simboli in pietra le case e l'ambiente. esaggio è parte della nostra spazialità, che non può essere

250 251
paragonata né al topos o locus di Aristotele, né alla chora o
all'habitat generale di tutte le cose nel senso platonico.
Questa spazialità è inseparabile dal paesaggio concreto
che noi siamo e che ci permette di mu(Werci.
Noi siamo paesaggio e ci muoviamo dentro di esso, non
come turisti che vanno in una località straniera, ma come
pellegrini che raggiungono il loro vero centro. Noi non sia-
mo limitati ai nostri corpi fisiologici, e il paesaggio non è né
come un corpo più grande o più sottile né come un abito
da indossare. Lo spazio sarebbe allora il nome astratto ge-
nerale per spazialità, un "esistenziale" proprio degli esseri
umaru.
Gli animali sono in stretta simbiosi con il luogo che oc-
cupano. Essi vivono in un territorio e questo territorio è
virale per loro. L'uomo è spazialità non tanto perché ha
bisogno di un territorio ma perché, sapendo di essere spa-
ziale e corporeo, sa allo stesso tempo che lo spazio gli ap-
partiene. Questo suo spazio è il paesaggio. La spazialità
non è ciò che rende possibile la distanza, ma la vicinanza.
La spazialità consente agli uomini di innescare tra loro una
polarità, vale a dire li rende prossimi. Noi condividiamo
lo spazio perché condividiamo la parola. L'homo loquens è
l'homo spatialis; vi è una profonda relazione tra questi due
aspetti. L'esperienza del linguaggio ci può aiutare a capire
che siamo spazio. Noi abbiamo due modi di parlare: uno
è formato da chiacchiere, ripetizioni di cose apprese e opi-
nioni preconcette; l'altro prende vita quando "abitiamo" le
parole che diciamo, quando il linguaggio è la "casa" stessa
del nostro essere, quando viviamo nelle parole stesse che
pronunciamo, quando ogni frase deriva da un'esperienza
concreta nel tempo e nello spazio - un'esperienza alla qua-
le permettiamo che si cristallizzi, in un ceno senso, nelle
parole stesse che fluiscono spontaneamente da tutto il no-
stro essere.
Queste parole non le pensiamo in anticipo, non le calco- 81. Paolo Soleri, complesso di Arcosanri, Arizona, cavità racchiusa della Ceramics Apse (1971-1973).
liamo né le manipoliamo nel tentativo di fare impressione Ad Arcosa.nti, oggi sede di un'importante fondazione., Paolo Soleri ha creato una '"città ecologica".

252 253
sui nostri ascoltatori o di riflettere sul significato di ciò spondenza tra interiore ed esteriore, il qui e il là, sono la
che veicoliamo. Semplicemente le pronunciamo; sem- trama e l'ordito della Realtà, come dicono le Upanisad.
plicemente dimoriamo in quelle parole, che sono una La nostra spazialità è una caratteristica umana.
rivelazione di ciò che siamo realmente e non il risultato "Fuori" dal paesaggio non potremmo essere. Il volo in
di ciò che "vogliamo" dire. uno spazio astronomico rivela forse il desiderio dell' uo-
Quelle parole sono veri e propri sacramenti; creano mo moderno di fuggire fuori da se stesso. Tuttavia non
lo spazio ideale in cui attirano gli ascoltatori come un possiamo fuggire "nudi" nei nostri voli interplanetari;
mulinello inghiotte ciò che gli sta vicino. La loro auten- quando decidiamo di farlo, dobbiamo portare con noi
ticità dà vita a uno spazio che avvolge sia chi parla che il nostro spazio terrestre, la nostra atmosfera e la nostra
chi ascolta. È stato scritto che dovremo rendere conto di navicella spaziale.
ogni parola infondata (Mc 12,36) - di ogni parola, cioè, Le conseguenze ecologiche sono ovvie. Noi siamo
che non effettua ciò che dice, perché è priva di energia spazio; non dimoriamo semplicemente in esso, e quindi
interiore. non possiamo ignorare di avere un paesaggio: senza di
Il paesaggio è lo spazio che noi siamo e non un sempli- esso soffocheremmo.
ce spazio esterno, un dintorno. Così come la casa non è L'Uomo non è solo uo essere corporeo, è anche pae-
soltanto un posto comodo o un riparo utile, il paesaggio saggio, dentro e fuori. Il paesaggio non solo forma, ma
non è solo uno spazio interiore o un prodotto dell'im- anche "in-forma" l' essere umano. Una persona senza
maginazione. Il paesaggio trascende la nostra individua- un proprio paesaggio perde la propria umanità, come
lità, e tuttavia è parte integrante della nostra persona. si può vedere negli agglomerati urbani super-affollati e
L'individualismo moderno è il grande ostacolo che negli slum di molte metropoli. La disumanizzazione è
impedisce di essere consapevoli della nostra spazialità, collegata alla mancanza dello spazio vitale che costitui-
la quale non può essere individualizzata e privatizzata, sce parte della vita dell' uomo.
in quanto appartiene alla persona e non ali' ego. Molti dei problemi degli immigrati sono legati all'am-
Le conseguenze sono di vasta portata. Gli uomini biente. La ragione è più profonda della estraneità, è
non sono stranieri su questo pianeta: gli appartengono. legata al paesaggio interiore di ogni individuo che è, a
Meno noto dello "sfasamento temporale" (il disagio che sua volta, correlato al paesaggio esteriore. Questo vale
si avverte dopo un lungo viaggio aereo, che ha stravolto anche per l' urbanizzazione. La megalopoli tecnologica
in noi i ritmi temporali della natura) è lo "sfasamento moderna costringe la gente in camicie di forza, che ne
spaziale", dovuto allo stesso fenomeno, ma generalmen- cambiano la costituzione stessa.
te meno avvertito perché gli habitat moderni (dagli ae- L'uomo però non è tutta la realtà, né lo spazio è tutto
roporti agli alberghi) sono artificialmente omogenei. l' uomo, il quale è qualcosa più della spazialità, così come
In breve, l'Uomo non è solo anima, e neppure soltan- lo spazio è più di un semplice aspetto umano: questo è il
to anima e corpo: è anche società e cosmo. Gli animali, motivo per cui la nostra analisi frontale non è sufficien-
le piante e la terra non sono solo creature utili o dan- te. Dovremo allora salire in cima al tempio e tentare di
nose. Esse sono legate a noi profondamente, come lo gettare uno sguardo dall' alto. Dovremo rompere il tetto
stesso spazio. Ogni persona è un microcosmo. La corri- della casa per poter scoprire la dimensione divina.

254 255
83. Particolare di una superficie i.sroriarn in una grotta chiamata
82. O disegno che descrive I'agnihotra, il sacrificio svolto al manino dal capofamiglia.
G iant Horse a Laura, neOa penisola di York, Australia, dove una
A destra. il Sacrificio del cavallo, il rito più solenne svolto da] re con i sacerdmi. l famosi grandi sanruari
delle ultime istoriazioni è un cavallo bianco. Sono distinguibili più
indu non sono per Michel Delahoucre eJean Varenne che la concessione all'esigenza
di 10 strati di pitture precedenti in sovrapposi2ione: una sroria
popolare di bellezza e maestosità, ma il quadrato del sacrificio resta il luogo sacro per eccelleoza,
millenaria emerge attraverso le espressioni grafiche di generazioni.
fulcro del rapporto rra gli uomini e i1 divino.

La porta superiore: lo spazio sacro, il vero spazio spazio in cui possano aver luogo il canto, la recita e l'ado-
razione. Questo spazio non è né esclusivamente esteriore
Lo spazio sacro è semplicemente spazio reale, non un' a- né esclusivamente interiore; è l'una cosa e l'altra, come noi
strazione geometrica. Lo spazio sacro è lo spazio reale che stessi, che abbiamo al contempo un interno e un esterno.
abbraccia distanze, distinzioni e diversità. Lo spazio pro- Ricordiamo che la parola "spazio", dal latino spatium
fano è spazio parziale, ossia spazio specializzato. Lo spa- (dal verbo patere), significa giacere aperti, manifesti (cfr. lo
zio fisico è spazio profano, così come sarebbe ugualmente spagnolo patio, un cortile aperto). Questo senso di aper-
profano uno spazio esclusivamente interiore. C'è spazio tura e di libertà sembra essere comune ai vocaboli indo-
quando la nostra esistenza è aperta (spaziosa). Noi soffo. europei. Chora è la parola usata da Platone, che significa
chiamo quando ci chiudiamo narcisisticamente dentro le vuoto, spazio libero, terra aperta, ma anche regione finita,
nostre monadi. Il paesaggio che ci consente di essere in una terra abitata ma non circoscritta.
tutta pienezza è creato da una azione sacra. In sanscrito, iikiifa significa spazio libero o aperto, vuo-
Molte liturgie, da quella amerindia a quella cristiana, to. La parola suggerisce "ciò che lascia vedere le cose" e
cominciano creando un proprio spazio, in cui si possa quindi consente di vedere, di conoscere: ciò che permette
manifestare amicizia gli uni con gli altri e con il Divino. alle cose di manifestarsi. È il luogo della rivelazione, per
La musica dell'India fa lo stesso: incomincia creando uno così dire. Le cose sono nella misura in cui sono spaziali.

256 257
Lo spazio sacro come spazio reale non è né soggettivo
né oggettivo; sta a monte di queste categorie. Il viistupuru-
.rama,;Jala dell'architettura ìndica ne è un esempio: i dia-
grammi rituali (ma ... ,;/ala) descrivono la discesa concreta
di Puru,:a, la Realtà primordiale, in un essere particolare,
viistu. Lo spazio è ciò che rende possibile alla Realtà di
manifestarsi. Essa, in quanto è manifesta, è spaziale, anche
se lo spazio non è l'intera realtà.
In ebraico lo spazio, inteso come maqom e merchab, è
uno dei nomi di Dio. Più propriamente, maqom è l'habitat
degli animali selvaggi, quindi l'habitat nel senso di casa;
più specificatamente la casa di Dio, cioè il tempio, il riparo
dello stesso YHWH. Come in molte altre antiche tradizioni,
è difficile separare il tempio sulla terra dal tempio in cielo.
Nello spazio sacro si incontrano entrambi.
San Paolo dirà che il cielo è lo spazio proprio dell'uo-
mo, la sua casa genuina ed eterna, non una dimora esterna,
non una scatola vuota in cui ci si muove (cfr. 2 Cor 5 ,1-2).

84. •Giardino
Zen•. li giordino
secco, composto
unicamente di
pieue. sabbia
e rocce, è uno 85. [{ Tempio di Salomone, affresco della sinagoga di Dura Europos (Siria), m secolo, Museo Nazionale di
dei simboli più Damasco. La cost11J2ione del Tempio di Gerusalemme è legata all'idea cbe la delimitazione dello spazio
caratteristici sacro abbia un valore cosmico: «Costruì i1 suo cempio alto come il cielo e come la terra stabile per sempre»
della semplicità (Sai 78,69). Si tratta di una nozione che ha alcuni nessi con quella - diffusa nell'antichità - della
Zen. O monaco costruzione di un edificio come ripetizione della cosmogonia. [n età tardoantica, quesro concetto è ripreso
ripete un disegno esplicitameme. Giuseppe }1avio ritiene che i ue settori del Tempio corrispondano alle rre pani del mondo:
infinito adatto mare (acrio), terra (il «Santo»), cielo (il «Santo dei Santi»). [n uno serino del v secolo, il versetto dei Proverbi
alla meditazione. «La sapienza si è edificata una casa» (9,1) è ime.rpretato da quattro maestri con l'identificazione
(Laurence Sullivan) della casa con la creazione del mondo, la costruzione del Tempio, la Torah e l'Arca dell'Alleanza.

258 259
Una volta che perdiamo il nostro spazio, perdiamo il terminasse il nostro carattere), ma rapporti spaziali - di
nostro cielo. Noi siamo spazio, che è il "luogo" divino uno spazio che è sia interiore che esteriore. Le stelle si
in cui veramente siamo. Tutto questo non ha significa- nutrono del respiro della terra, dice Eraclito. Le stelle
to nella cosmologia di Galileo, di Newton e di Einstein. del firmamento - dice Origene - sono i corpi di quegli
È altrettanto ovvio che non ha più senso, oggi, l'idea di angeli che hanno accondisceso a rimanere nell'universo
"cielo" come un sublime parcheggio per anime decedute. fisico, per servire il cosmo e collaborare alla restaurazio-
Anche l'astrologia studia le connessioni spaziali tra ne di tutti gli esseri.
corpi astrali ed esseri umani, e cerca il "focolare" dell'uo- Lo spazio inreriore/esteriore è lo spazio che ci costitu-
mo. Questo spazio interiore è anche lo spazio astrologi- isce. Esso richiede un senso di orientamento che è radi-
co. Le connessioni astrologiche non sono connessioni cato nella nostra stessa esistenza. Noi non siamo entità
causali (come se l'essere nati sotto una costellazione de- solipsiste, ma umani-nel-mondo; siamo il nostro mondo,
e non tanto con il nostro mondo o in esso. Le preposizio-
ni qui sono superflue: diciamo solo che noi siamo il no-
stro mondo, anche se l'essere-mondo non ci esaurisce.
Forse la musica è l' esempio più appropriato per l'e-
sperienza dello spazio. La musica è ritmo, numero, mo-
vimento, suono. La parola "musica" viene dal greco
mousike, qualcosa che, attraverso il ritmo, unisce lingua,
verso, musica e danza. Non senza motivo due dei sistemi
filosofici classici dell'India - nyiiya e vaiie.yika - consi-
derano il suono (fabda) la qualità specifica (gu~a) del-
lo spazio (iikiifa). L'esperienza della musica è l'accesso
principale all'esperienza dello spazio, che è allo stesso
tempo interiore ed esteriore.
Senza lo spazio esteriore, non c'è musica. Senza spazio
interiore, la musica è solo rumore psicologico. Il ritmo è
al contempo il movimento dello spazio interiore ed este-
riore. È possibile che la musica sia la vera misurazione
del tempo nello spazio? Si unificherebbero allora le due
definizioni classiche della musica: la scienza dei numeri
e l'arte della melodia. «Il cielo e la terra non esistono
senza la musica», si presume abbia detto Pitagora.
Essendoci librati fino alla "musica delle sfere", dovre-
86. Ricostruzione di una casa privata rim1enuta II Cafamao. mo ora discendere alle profondità dell' essere umano ed
adibita al culto cristiano nel I secolo e ritenura I.a casa di Pietro.
Anche nella grande metropoli di Roma i cristiani si troveranno in case-chiese entrare dalla porta inferiore, che ci conduce all'analisi
prima di costruire le grandi chiese, dopo l'editto di libertà religiosa. dell' esistenza umana.

260 261
'LA porta inferiore: wspazio come estensione del!'esistenza

Se Agostino descrisse il tempo come una certa distensio-


ne della nostra esistenza, noi potremmo ricuperare il renni-
ne e definire lo spazio come la corrispondente estensione
(dilatatio, Ausdehnung) del nostro essere. Noi siamo, esi-
stiamo distesi nel tempo ed estesi nello spazio. L'esistenza
è sia distensione (temporale) che estensione (spaziale).
C'è un tempo prettamente umano che possiamo chiamare
temporalità. C'è, parimenti, uno spazio prettamente uma-
no che possiamo chiamare spazialità. Lo spazio, ho sug-
gerito altrove, presenta un carattere cosmoteandrico, cioè
materiale, divino e umano.
L'estensione spaziale del!' esistenza umana, come intesa
qui, ha poco a che fare con il dualismo cartesiano della
materia come res extensa e lo spirito come res cogitans. È
la nostra intera esistenza che è estesa e anche intellettuale.
Anzi, la nostra estensione spaziale è correlata alla disten-
sione temporale del nostro essere, anche se non riducibile
a essa.
Il fatto che i nostri esseri siano distesi nel tempo ed este-
si nello spazio significa che esistono non tutto a un tratto
o come un tutto, ma estesi e distesi lungo lo spazio e il
tempo. Viceversa, il tempo e lo spazio sono entrambi co-
stitutivi dell'esistenza e non estrinseci a essa. Questa esten-
sione è sia io teriore che esteriore; essa permette distanze,
distinzioni e diversità.
C'è una tensione io ogni essere, che si manifesta nella
distensione temporale e nella estensione spaziale. Gli es-
seri umani manifestano una tensione che si diffonde nello
spazio (simile alla loro tensione che si dispiega nel tempo);
mostrano una faccia interiore e una esteriore e, per così
dire, non hanno colmato rutto lo spazio.
Questa estensione permette la crescita, il movimento e
il cambiamento - nello spazio. Lo spazio è quell'aspetto 87. Baldassarre, uno dei tre re magi, segue la stella che indica il cammino.
dell'esistenza, e in ultima analisi dell 'Essere, che "fa po- Denaglio del paliono di Mosoll. Museo Nacional d'Art de Catalunya, Barcellona.

262 263
sto" al movimento. Il movimento è inerente all'Essere per- c'è uomo senza vita, non esiste esteriore senza interiore, non
ché è movimento nello spazio e appartiene all'Essere. Le c'è interiore senza esteriore.
cose non si muovono in uno spazio vuoto: le cose stesse I:esperienza advaita presenta una difficoltà formidabile,
sono spaziali, essendo lo spazio della stessa essenza della specialmente per i nostri tempi. Suscita timore, anzi il terro-
Realtà. re di perdere il controllo, il che disorienta la nostra ossessio-
La tensione ultima non è tra spirito e materia, ma tra li- ne di sicurezza. I.:esperienza advaita implica l'abbandono
bertà e prigionia. Lo spazio non è né materiale né immate- della guida sovrana del logos, pur senza cadere nell'irrazio-
riale, ma può essere il focus della libertà o il "luogo" della nale.
restrizione. Il dilemma razionale/irrazionale è un dilemma ultimo
dal punto di vista razionalistico. "A-razionale", tuttavia,
I.:esperienza advaita dello spazio non deve essere necessariamente irrazionale; non si tratta
di trasgredire il rigore del pensiero. La realtà non è riduci-
I.:esperienza advaita dello spazio non va fraintesa imma- bile a intelligibilità. Noi balbettiamo, supponiamo, simbo-
ginandola come una sintesi tra lo spazio interiore e quello leggiamo, parliamo per approssimazioni, allusioni, dhvani,
esteriore. Essa è invece proprio l'opposto, sebbene per ra- usiamo parabole e metafore come deboli strumenti. Il r.ri, il
gioni culturali sia sembrato conveniente procedere analiti- saggio dei Veda, canta, ma il canto è solo nel cantare e non
camente così da reintegrare i "due" spazi nello spazio. nella sua annotazione né nel pensare o nel parlarne.
I.: esperienza advaita coglie immediatamente i "due" come I:esperienza advaita dello spazio non è quindi né quella
"non-due", ed è cosciente del "loro" mutuo dinamismo co- dello spazio interiore né quella dello spazio esteriore, ma,
stitutivo: uno spazio non è senza l'altro, perché la natura per così dire, quella dell' uno e del!' altro. Nell' interiore sco-
stessa dello spazio è costituita dalla relazione originaria tra priamo l'esteriore e nell'esteriore l'interiore.
i "due". Diciamo "relazione originaria" perché non si può Dovremo allora dire che il vero architetto è colui che dà
dire che i "due" spazi formino !'"unico" spazio; né l'oppo- forma al Silenzio? «E i fratelli rimasero in silenzio dopo che
sto, cioè che !'"unico" spazio si manifesti nei "due". Si do- il Signore aveva parlato», dice un sacro testo buddhista.
vrebbe piuttosto parlare della a-dualità radicale dei "due", «Brahman è Silenzio», dice una Upani.yad. Dal Silenzio ven-
senza che l'uno o l'altro perdano la loro realtà relativa. La ne la Parola, ripete la tradizione cristiana. Wu wei, mormo-
relazione non è una, sono necessari i poli; non è nemmeno ra il saggio cinese.
due, la relazione non sono i poli. Non c'è né uno né due. Disse il saggio Jajnavalkya alla moglie Gargi:
I.:advaita non è monismo né dualismo. Vi è un rappor- <~iò che è al di sopra del cielo
to dinamico e costitutivo, così che ciascuno dei poli della e ciò che è al di sotto della terra,
relazione è il tutto, perché non si possono assolutamente ciò che è fra questo cielo e questa terra,
separare i due poli senza distruggerli, in quanto cessereb- ciò che si chiama passato, presente e futuro,
bero di essere poli. Se ne dovessimo sopprimere uno, l'altro tutto ciò è tramato e ordito su iikiifa, lo spazio etereo»
scomparirebbe automaticamente. La polarità stessa è la re- - lo spazio sacro.
altà primordiale. Dov'è il vento quando non soffia? Dove è (Brhadiira~1yaka-upani,ad m, 8,3)
l'uomo quando non vive? Non c'è vento senza soffio, non

264 265
ARIA

11 . GaudL
Lo spazio sacro è lo spazio reale
Gesù allora disse ai suoi discepoli:
«Allorché di due farete uno,
allorché farete la parte interna come l'esterna,
la parte esterna come l'interna e
la parte superiore come l'inferiore,
allora entrerete nel Regno».

Vangelo copto di Tommaso 22

Antoni Gaudi era un uomo completo. Egli non era sem-


plicemente un artista. La sua arte usciva da cuna la sua
personalità. Gaudi configurò plasticamente lo spazio che
sperimentava - e lo spazio che egli "vedeva" era lo spazio
pienamente realizzato, cioé lo spazio sacro. In Principio
era la Parola, dicono le sacre scrinure dell'India (i Veda),
del cristianesimo (i Vangeli), come pure le tradizioni afri-
cane. La Parola ha bisogno del tempo. La Parola si riem-
pie del tempo. Non c'è Parola senza tempo; perciò si dice
che era all'Inizio.
All'inizio, senza la Parola, era solo il Silenzio. Ma alla
Parola manca qualcosa: lo spazio. Lo spazio si riempie del-
lo Spirito, altrimenti è il Vuoto.
Lo spazio abitato dallo Spirito è lo spazio sacro. Antoni
Gaudi, aperto a questa saggezza plurisecolare, ha lasciato
che il Vuoto si riempisse dello Spirito e ha ri-creato lo spa-
zio sacro dell'architettura contemporanea. Gaudi non si è
limitato al campo strettamente religioso, a costruire edifi-
ci di culto, per Dio, poiché lo Spirito penetra ogni attività

267
umana. Gaudi ha creato spazi sacri anche per gli uomini,
per i «Figli di Dio». La sue case non soso tane per la privacy
e il con/ort, ma habitat per gli abitanti della città divina sulla
terra, chiamati a divenire divini, come le sue colonne che,
rettilinee o circolari alla base, diventano curve parabolidi
aperte all'infinito, simboli della trasformazione dell' uomo.
Gaudi mostra che la sacralità dello spazio può manife-
starsi nel secolare, in questo nostro saeculum. Chiunque
varchi la soglia di uno dei suoi spazi, sia tempio, casa o
giardino, sente il richiamo dello Spirito. Gaudi non ha
parlato né scritto molto, ma ha lasciato il suo spazio che ci
parla. Il tempo non contava troppo per lui.
Sapeva anche che non avrebbe potuto finire molte delle
sue opere, ma, come diceva sorridendo, il suo "cliente"
non aveva fretta, e così anch'egli non si sentiva incalzato
dal tempo. Il suo compito consisteva nel creare lo spazio
- quello spazio che ci trasforma quando ce ne lasciamo
penetrare.
In questo scritto che tratta del!' opera di Antoni Gaudi
sono felice di offrire, come omaggio ali' artista dello spazio
sacro, una riflessione più generale sul mistero di questo
elemento della realtà.
Non considero il sacro come proprietà privata di nes-
suno, neppure delle religioni ufficiali. Non soltanto le co-
struzioni religiose in senso stretto, ma tutta la produzione
dell' architetto catalano è impregnata di sacralità.
È in questo contesto, ampio e profondo, che Gaudi
potè scrivere che «l'uomo senza religione è un uomo
senza spirito, un uomo mutilato». Il sacro è lo spirito della
realtà e quindi non limitato, a meno che, come in alcune
spiritualità, non si consideri tutta la vita una liturgia. Esiste
una secolarità sacra: anche il secolare può essere sacro;
l'opposto del sacro non è il secolare, ma il profano.
Abbiamo detto all' inizio che tutta l'opera di Gaudi è 88. Parco Giiell, Barcellona, dettJ1glio del movimento a spirale delle colonne inclinate.
che delimitano uno dei porticati coperti ricavati da Gaudi. Sia le colonne
frutto di una pienezza di vita, cioè di una vita sacra; perciò sia le pareti del pon:icato sono rivestite in blocchetti di pietra dalle forme irregolari.
lo spazio da lui creato è spazio sacro. che simulano la superficie delle caverne naturali. (Mare Llimargas)

268 269
Stiamo toccando un punto capitale (quasi dimenticato
nei tempi moderni, ossessionati dall'oggettitvità), in cui ri-
splende il carattere veramente profetico del nostro artista
che scaturisce dalla sua convinzione che «senza Verità non
c'è arre»: mi riferisco all'importanza della soggettività in
qualisasi opera cosiddetta oggettiva.
Non si può ignorare l'uomo in nessuna delle opere che
egli realizza, poiché l'intenzionalità con cui fa le opere
condiziona non soltanto le sue azioni, rendendole mora-
li o meno, ma anche tutte le sue produzioni. Così come
da un cuore cattivo scaturiscono azioni cattive, anche una
mente distorta influisce negativamente sugli oggetti fatti,
sebbene in forma non calcolabile con i metodi della scien-
za moderna.
Gaudi ha sentito questa responsabilità nel proprio me-
sitere di architetto. Le sue opere riflettevano lo Spirito che
lo animava: «La creazione continua e il Creatore si awa-
le delle sue creature; che cerca le leggi della natura per
confermare a esse opere nuove collabora con il Creatore».
Così come la Creazione porta l'impronta del Creatore, le
creazioni umane conservano nel loro interno l'intenzione
di chi le ha fatte.
Non c'è da stupirsi che gli spazi di Gaudi traspirino
questa atmosfera che non può che essere chiamata sacra -
senza superstizione di alcun genere. La materia è portatri-
ce di anima, ma anche impregnata di Spirito. La realtà non
può essere spaccata in due parti, res extenso e res cogilans
(Descartes), ma anche se questo fosse vero le produzioni
dell'uomo sono frutto del suo pensiero, che impregna tut-
to quello che egli fa.
Questo riporta a qualcosa che abbiamo già affrontato
e che trova in Gaudi conferma concreta: lo spazio stesso
riflette lo spirito dell'uomo, perché anche noi siamo spa-
zio. Detto con altre parole, la sacralità dello spazio non sta
solo nell' uso che si fa di quello spazio o degli oggetti che 89. Interni della Sagrada Familia, Barcellona: le coperrure della navata centrale, realizzate sotto
vi si collocano; il contenente stesso ha una qualità sacra la direzione dell'architetto che ha diretto il cantiere del Tempio,Jordi Bonet. (Mare Llimargas)

270 271
indipendente dal contenuto o, più esattamente, esiste una
interdipendenza tra contenente e contenuto, in quanto
rutto è correlato con tutto, anche se non necessariamente
in forma causale o meccanicistica.
E rutte le opere di Gaudi sono un richiamo a vivere que-
sta relazione, non soltanto dello spazio con il suo ambien-
te, ma anche dello spazio contenente con il suo contenuto.
Lo spazio reale non è neutrale, non è un'astrazione che
può esser riempita da qualsiasi cosa. Ogni spazio richiede
una spazialità specifica delle cose che Io abitano.
Si pensi alla meticolosità con la quale Gaudi progettò
le sedie della cripta della Colonia Glieli: sono sedili per la
concentrazione religiosa, non semplici panche sulle quali
sedersi o anche inginocchiarsi. «Affinché un'opera archi-
tettonica sia bella, è necessario che tutti i suoi elementi
abbiano l'ubicazione, la dimensione, la forma e il colore
giusti» scrive lo stesso Gaudi.
Sta a noi scoprire il simbolismo dello spazio, e delle cose
nel loro proprio spazio; ma è una scoperta e non un'in -
venzione. Le colonne, per esempio, non sono solo un ele-
mento di stabilità («Architettura non è [non coincide con
la] stabilità. Questa è una parte di quella»), e nemmeno di
sola decorazione.
Le colonne creano un contenente e sono un contenuto
specifico di certi spazi. Le colonne delle costruzioni di Gaudi
racchiudono un simbolismo straordinari: esse si radicano
nella terra, ma devono raggiungere il cielo; al contempo di-
scendono dal cielo sulla terra come viene rappresentato nel
loro duplice movimiemo elicoidale, di andata e di ritorno.
Nelle sue colonne troivamo, senza soluzione di conti-
nuità, il mondo minerale, vegetale, umano, angélico e di-
vino. Non a caso, descrivendo le colonne della Sagrada
Familia, Gaudi ci parla delle stelle che «seguono l'orbita
che è la traiettoria del loro equilibrio girando su se stesse
in un movimento elicoidale... vanno e vengono ... come
la colonna va e viene», simboleggiando l'armonia dell'u- 90. I rosoni della pareti laterali della Sagrada Familia. (Mare Llimargas)

272 273
niverso; quell'armonia che l' uomo è chiamato a creare e 12 . Filosofia e musica
scoprire in se stesso mentre la crea: «La qualità essenziale
dell'opera d'arte è l'armonia». Il turista affrettaro non la
vede, il credente la sente, il contemplaùvo ne gioisce.
«Al mondo non è stato inventato nulla. La fortuna di
un' invenzione consiste nel vedere ciò che Dio ha posto
davanti agli occhi di tutta l'umanità». Gaudi ha saputo
guardare, come ci dimostra la sua arte.
È significativo che, a differenza di tanti altri personaggi
importanti della storia sia dell'arte sia della politica, della
scienza o della filosofia, in Anroni Gaudi non si possa
separare la vita dall'opera.
Leggiamo dalle biografie che egli era autodidatta.
Certamente non era un uomo sepolto sotto i libri, ma ha
superato il proprio autos, il proprio ego, imparando tutto
da tutù, in quanto il suo ispiratore è lo Spirito; lo Spiritio
. . .
non insegna, 1sp1ra.
«Nelle arù non ci sono maestri». Perciò gli spazi di Jordi Savall: Lei ha una straordinari,a visione della /un-
Gaudf sono sacri, le mura delle sue costruzioni non zione della musica. Mi ricordo dell'incontro nella chiesa di
imprigionano, i suoi tetti non soffocano, le sue forme Santa Maria del Mar, l'anno scorso. Lei cominciò citando
lasciano ampia libertà anche all'immaginazione. Platone, i filoso/i, la Musica e la Parola, situando la mu.ri-
«Questo albero è prossimo al mio Creatore: è lui il mio ca nel cuore stesso della realtà, e stabilendo dei legami con
maestro!». La frase è squisitamente ambigua, anzi advaita. gli Antichi. Mi piacerebbe che ne parlasse nuovamente. Io
Chi è il maestro: l'albero o il creatore? Certamente sono credo che spesso noialtri musicisti e coloro che amano la
inseparabili. musica non abbiamo sufficiente consapevolezza della sua
La sacralità non è frutto né dell'intelligenza, né della dimensione straordinarw, e non ne vediamo che l'aspetto
volontà, né della genialità, perché il sacro non può esse- estetico, brillante, ludico, correndo il rischio di dimenticar-
re manipolato e nessuno nasce genio. Occorre un altro ne la dimensione spirituale ed i suoi legami con la storia
elemento che insorge solo quando la persona è integra, dell'umanità.
unificata, quando lo Spirito si incarna e la realtà non gli Raimon Panikkar: Potrei cominciare dal versante nega-
pone ostacoli. La libertà delle forme, dei colori, dei sim- tivo, parlando della barbarie della specializzazione, un vi-
boli dell'opera di Gaudi, la sua «sintesi della gravità con rus che risale al Nominalismo o è addirittura precedente;
la luce» non possono che essere frutto dello Spirito. Il suo è una credenza secondo la quale per conoscere il tutto è
stile non voleva essere originale, ma "orginario" . sufficiente conoscerne le singole parti, e secondo la quale
Forse queste mie considerazioni incontrerebbero la sua per conoscere dobbiamo necessariamente specializzarci in
approvazione. qualche ambito. Così comincia la frammentazione della

274 275
conoscenza che conduce alla schizofrenia del conoscente. La musica ha a che fare con il tempo, ma la suddivisione
Al giorno d'oggi, abbiamo smarrito il metodo stesso, ov- non apparàene alla musica, la melodia non è musica se
vero, il cammino della conoscenza della realtà. La realtà non quando la si suona... la musica esiste quando la si fa,
è un rutto, e noi vogliamo dividerlo. Noi cadiamo negli essa vive quando la si suona, la si can ta, la si danza, e rutto
errori della specializzazione e diciamo: "questo è l'ambi- ciò coinvolge il tempo. La musica si dipana nel tempo.
to della scienza, questo dell'arte, questo della filosofia, ecc."
Noi siamo esperti in una sola maceria, e non sappiamo S.: Essa esiste e smette di esistere...
parlare d'altro ... Quando vogliamo conoscere il cucco, noi P.: ...e nello stesso tempo si ferma. Nella musica il tempo
estrapoliamo e ci inganniamo. Poi ci disperiamo di saper- si ferma, ma non smette di essere tempo.
ne oggi giorno di più sul sempre meno. L'in tegrale delle
conoscenze parziali non corrisponde alla realtà. La realtà S.: Perché la memoria ne resta impregnata.
non è uguale alla somma delle sue parei. All'inizio la musi- P.: Più che la memoria, perché essa impregna cucco il
ca era una rivelazione del Tutto. Presso i greci, l'educazio- nostro essere, che è riano. La musica ci fa vivere la cem-
ne consisteva nella ginnasàca e nella musica. La ginnasàca picernicà, che non apparàene né al tempo, da un laco, né
era la cultura del corpo e la musica quella dello spirito. In all'eternità, dall'altro. L'eternità non può venire dopo il
seguito, esse s'unirono a formare la danza. La danza coin- tempo. L'eternità è l'altra faccia del tempo e la musica ci
volge il corpo, anzi di più: la danza è la sintesi del corpo e apre ali' esperienza di questa a-dualità tra tempo ed eter-
dell' anima, cioè lo spirito. nità. La musica non serve a niente, perché essa è al di so-
Noi dobbiamo superare la nostra antropologia dualista: pra di ogni servitù. Essa è facca per essere vissuta, perché
anima e corpo. Dagli ebrei ai crisàani (che però in seguito se ne partecipi in maniera atàva, la si comprenda tramite
l'hanno dimenàcato), dagli inizi della Grecia preplatoni- l'ascolto, e più ancora tramite l'esecuzione. Attraverso la
ca, l'antropologia è tripartita: corpo, anima e spirito... E la musica noi partecipiamo del riano della realtà stessa, e di
musica è ciò che unisce tutte e tre le parò, e perciò essa è conseguenza realizziamo noi stessi. Parlando della specia-
Musa; essa ci mette in comunicazione con la realtà rutta, lizzazione, volevo dire che noi dividiamo, racchiudendo le
e la realtà è divina. Noi, in Occidente, abbiamo una tale cose in comparàmenà scagni, e poi ci domandiamo a cosa
paura del panteismo, che abbiamo paura di pensare che serva rucco ciò. In realtà, se non la viviamo in rutta la sua
la realtà sia divina. Ma, per tornare alla musica, Boezio integrità in pura escasi incoscieoce, la musica ci sfugge. Ed
ci parla di tre musiche: la musica del mondo, la musica aggiungerei che siamo cucci musicisti.
umana e la musica strumentale. La musica del mondo è la
musica cosmica, è la musica della realtà rutta, è la sonorità S.: LA musica si trova nell'espressione stessa dell'essere
della sistole e diastole dell 'universo, il respiro della realtà. umano...
Non la si può ascoltare se non partecipandovi. La musica . tutte.I
P.: ...m
non è una tecnica dei suoni, se si intende il suono come
qualcosa di più che una vibrazione. Vorrei farvi parte d'u- S.: Il senso della parola, a seconda di come la si canta,
na intuizione difficile da spiegare, ma che posso tradurre sarà positivo o negativo, e tutta l'affezione che le si potrà
così: la musica, ancorché temporale, trascende il tempo. trasmettere dipenderà dal modo di cantarla.

276 277
P.: Certamente. Ciascuna lingua ha la sua musica, e cia- S.: Ma i numeri scaturiscono dal fatto che vi è un'armo-
scuna parola ha la sua musicalità... come nel beli' esempio nia, un equilibrio...
delle madri africane, che insegnano ai loro bambini a can- P.: L'equilibrio è là, lo sento, e non ho bisogno d 'alcun
tare ancor prima d'aver insegnato loro a parlare... Inoltre, numero. Ma è vero, io scopro che vi è un rapporto nu-
il bambino comprende la musica prima di comprendere il merico e che esso permette di comprendere e di scrivere
senso delle parole. Ho detto "insegnare" nel senso etimo- meglio la musica. Come la dimensione di una cattedrale,
logico della parola: le madri semplicemente cantano ai loro che racchiude una pace, un equilibrio all'interno d elle sue
bambini. forme, l' altezza e la luce... È il grande segreto delle pirami-
di. Ma ritorniamo al simbolismo della musica delle sfere:
S.: Si tratta di un punto essenziale, un tema fondamentale: in fondo la musica è fatta per essere ascoltata. La m usica
è il modo di cantare che ci definisce. non si fa, si ascolta, anche da parte di colui che la suona e
P.: È il rono, è la musica che fa nascere la parola ed essa la fa. È nell' ascolto che la si può vivere.
non avrà senso finché non ne avremo scoperta l'armonia. La
radice della parola "armonia" significa: "ciò che ricongiunge S.: Lei si ritrova cosi' a quel punto della filosofia zen, del
le cose nel loro ordine", in modo armonioso, appunto. La tiro con l'arco, nel quale il gesto tanto armonioso ed allenato
parola inglese e tedesca "arm" proviene dalla stessa radice. fa sz' che senza sforzo la freccia raggiunga il bersaglio, sem-
plicemente lasciandola andare... È quello l'obiettivo ultimo
S.:Si potrebbe dire che l'essere diviene umano in primo luo- dell'atto artistico.
go attraverso la musica. P.: Certamente, l'atto libero è spontaneo. Io credo che
P.: Pienamente umano, sì. da parecchi secoli noi siamo schiavi della volontà. Sembra
paradossale. Schiavi della volontà! E noi crediamo di po-
S.: Perché la musica è la prima cosa ad essere compresa, pri- ter fare tutto tramite la volontà, ma le cose non si fanno
ma del senso delle parole. affrontandole. Spesso ci manca la dimensione femminile,
P.: Sì, ma che significa "comprendere"? Si tratta di parte- più passiva, ch e consis te nel ricevere, nell'ascoltare; in la-
cipare intenzionahnente (la parola stessa lo dice) nella forma àno, ascoltare ed obbedire vanno insieme. Ascoltare e ri-
piena del vivere. La musica non è una specialità, essa non cevere il dono che ci viene dato. Io, che non so usare altro
è patrimonio dei musicisà. La grande musica, la si ascolta. strumento che la penna, dico: "lo Spirito Santo è colui che
La musica delle sfere di cui ci parla P itagora, è la musica mi ispira, ma se non mi trova con la penna in mano, non ne
che conduce a scoprire l'armonia delle cose. Si è attribui- verrà fuori niente... e perché la penna sia nella mano, servo-
ta a P itagora la scoperta del fatto che si poteva esprimere no La disciplina, la penna, la mano e la carta davanti a sé".
e tradurre la musica in numeri, ma la musica è precedente
alla struttura matemaàca, alla sua formulazione numerica, S.: Ciò implica anche una fiducia, un'apertura e parecchia
ed anche alle proporzioni. È il cuore che scopre la propor- pazienz.a.
zione, anche se in seguito lo spirito (mens) la calcola. Se si P.: "Tramite la vostra pazienza possiederete le vostre ani-
comincia a contare, si è già perduà. Non si tratta di contare, me" dice il Vangelo. Quando parlo del carattere diaboli-
ma di lasciarsi trasportare. co della scienza moderna, mi riferisco all'interpretazione

278 279
falsa (diabolein) della nostra esperienza della realtà. Non è P.: Credo che si tratti di un problema molto importante
stato invano che la prima grande invenzione di uno dei suoi e delicato. Vorrei fare qualche distinzione. Ho già parlato
fondatori sia stata l'accelerazione; e noi viviamo in un mon- della deformazione generale della nostra epoca, l'oggetti-
do accelerato, che è il mondo meccanico. Io posso accele- vazione; ma un'altra sarebbe la soggettivazione. Aggiunge-
rare le macchine, posso andare in qualche ora a New York, rei ancora che noi siamo troppo abituati al pensiero causa-
ma non posso accelerare né la vita né la realtà. Noi abbiamo le. Il pensiero causale frantuma la libertà e riduce tutto ad
perduto i ritmi cosmici, ed il ritmo cosmico è la musica. Es- una struttura deterministica della realtà - malgrado i "gra-
sere sensibili al ritmo cosmico è ciò che ci permette di gioire di di libertà" della fisica contemporanea. La relazione, per
della vita, e di vivere ogni momento in rutta la sua pienezza. contro, non è necessariamente causale. È una correlazione
che può essere armonica o disarmonica, ma non è affatto
S.: La perfezione può essere un mezzo, ma non è indispen- necessario che sia di causa-effetto. In questa correlazione,
sabile. Il bambino che si addormenta al canto di sua madre l'ascoltatore gioca un ruolo molto attivo. La musica può
non chiede la perfezione. essere criminale, ma qui siamo in due: te che la fai e me
P.: Pienezza non vuol dire perfezione. Un disco perfetto che l'ascolto. Ed io posso essere in grado di assorbire que-
può non contenere né risvegliare alcuna emozione. Noi vi- sta forza malvagia e di trasformarla. Allora si comprende
viamo talmente in un modo d'oggettività che vogliamo ren- che non vi è relazione di causa-effetto, ma che si può tra-
dere oggettiva anche la musica! sformare la cattiveria della gente, delle cose e degli eventi.

S: Il canto della madre è un atto d'amore, un atto educati- S.: È vero che esiste della musica che genera una gran
vo, un atto medico ... pace, per se stessa'
P.: È tutto ciò allo stesso tempo! L'intenzione con cui P.: Se la si è ... voglio dire: se essa risuona in noi. La mu-
son fatte le cose influenza le cose e modifica la cosa stessa sica è relazione, come rutto nella realtà ...
che viene fatta. C'è un esempio, che voglio proporre con
prudenza, perché potrebbe essere interpretato in termini di S.: ... e dell'altra che induce uno stato d'animo negativo,
fanatismo o esclusivismo, ma ciò che mi interessa è ciò che inquieto, sgradevole.
vi è sottinteso. Un saggio ebreo, il grande rabbino Akiba, P.: Talvolta, ho provato a trasformare una musica che
vietò ai fedeli e agli ebrei di leggere la Torah o il Pentateu- non mi piaceva ... cercandone il suo lato buono, avendo
co copiato da un infedele. Colui che scrive fa parte dello compassione per il suo autore, e là ho poruto dominare
scritto. Se una cosa è fatta con amore, essa sarà diversa dalla il male che mi faceva, nonostante essa non mi piacesse.
medesima cosa fatta con rabbia o per soldi. E ciò riguarda Dunque io non oso parlare di musica buona o cattiva; sol-
rutti gli ambiti, poiché oggi noi facciamo meccanicamente tanto in modo oggettivo.
migliaia di cose senza importanza.
S.: Trovare questa connessione da parte del musicista,
S.: Può esistere un'opera che sia buona per noi nonostante tra colui che è un artista che accetta il suo dono e ne è co-
il suo autore sia un assassino? La musica e il nazismo, i campi sciente, e nello stesso tempo è l'artista della sua vi ta ... che
di concentramento, il caso di Gesualdo ... fa un'arte della sua vita, come Lei dice.

280 281
P.: Ciascuno di noi deve costruire una filigrana d'opera P.: Ma esso non sostituisce il vissuto, perché il vissuto
d' arte, a partire da quel dono che abbiamo ricevuto e che è unico, è l'atto di comunione che richiede la presenza fi-
è il nostro essere... Se l'ego è presente, allora vi è dell'egoi- sica, che implica una partecipa2ione reale, e questo noi
smo. Se per me fare della musica non è una manifestazione l'abbiamo perduto... Il grande male è l'egoismo! Se noi
spontanea e libera del mio essere, è artificiale, è qualcosa di eliminiamo l'ego, siamo liberi...
tecnologico. Ciò non è arte. Se esiste di già un disco con la
sinfonia perfetta, perché rifarla? Ma allorché la mia azione
non è altro che l'espressione del mio essere, allora non vi è
ripetizione, ma creazione. Posso io essere un buon artista
ed un cattivo cittadino, una cattiva persona? Al di là di
certe sfumature che sono qui fuori luogo, tendo a dire di
no. Si tratta di due cose che non possono essere separate.
Un gong, se ben forgiato, rende sempre un tono armonico,
e risponde armonicamente ad ogni colpo che riceve, sia
esso dato con rabbia o con delicate2za. Allo stesso modo,
se il gong che noi siamo non risponde armonicamente ai
colpi della vita, dubito che alla lunga possiamo essere dei
veri musicisti nel senso integrale di cui stiamo parlando.
È molto bello parlare di musica e di spiritualità, ma se io
non la vivo in maniera tale che la musica sia una parte di
questa spiritualità e la spiritualità una parte di questa vita,
allora c'è qualcosa che non va in me ... forse ne verrà fuori
una musica oggettivamente migliore, ma senz'anima non
vi è opera d'arte. Perciò la musica è una così grande disci-
plina, e la vita è il gran maestro, è lei che ci insegna il senso
profondo delle cose. Se noi non vogliamo essere altro che
dei grandi musicisti, non comunicheremo mai la vita.

S.: La musica coinvolge una vita interiore. Se02a questa


vita interiore, non si può immaginare una dimensione, un
suono.
P.: Ogni concerto, come ogni atto liturgico, deve essere
un fine a se stesso, è un'esperienza sempiterna.

S.: Il concerto non è uno spettacolo, è un vissuto, e il


disco ne è il ricordo.

282 283
13 . Il silenzio

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'!41.•i\~ : t . t f, Y. ~._,

Che cosa sono non so.


Vago solitario, oppresso dalla mente.
Quando la Primogenita della Verità è venuta a me
ho 0 1te11U10 di partecipare a quella stessa Parola.
RV 1,164,37

9 1. La sillaba OM considerata tra i simboli più antichi conosciuti al mondo.


U suono richiama l'origine della vira, l'espressione del sacro nella meditazione. Odi

284 285
Workl», 13 (1980). pp. }57-383; ora nd cOJTie suo Padre (Gv 5.18; 10.30; 16,28).
Note voi. n ddl'Opero 011111ia; e What if Com- s.s Da questo punto di vista si potrebbe
para/i,.-, Pbilosopby u,,r,paring? in G. I. affermare che la ri.c;u.rrcz:ionc: cristian:a
lar,;on, E. Dcutsch (cur.), «ln<erpretat- presuppone che ruomo panccipi già di
ing Acms.c; Boundarics», University Prcss. a
una vita più alta (divina); altrimenti risor•
Princctown, N. J. 1988, pp. I 16- 1l6. In to non potrebbe essere b stessa persona.
voi. X. Tomo 2 ddJ'Opera omnia, J:1e1 Similmente, il karman hindii implica wi:a
1 Cfr. R. Panikkar, Tb, Tbre,fo/J Li11g11- Jisdu Leib Cbris11: Roma 19-H , e: K Dc !look, Milano 2009. continuità di \~t:l p iù profonda di qudb
ù1ic lnlra,ruhjeclivily, in M .M. Olivetti (a Lubac, Corpus Myslicu111, Aubier, Paris 26 Per C risrianìa si intende la rdigiosit:ì che normalmente spcrimcntat3 d3 un indivi•
cura di), lnterioggellività~ Socialità~ Re- 19-19, nonché Méditalion 1ur /'Eglise, Au- si basa sull'cspcricnz:1 di Cric;to, mentre duo.
ligione, «Archivio di Filoso6a» (Roma), bier, Paris 19.54. per Cristianità si intende il periodo storico Jj CU \IJ,8-14; 16, che permette b. seguente

LIV, 1/J (1986), pp. 593-(,06. u Cfr-. p.cs. Hajime N3bmura, Ways o/ politi~rdigioso e per Cristianesimo b re- estrapolazione, perché ciò clic la Upani'ifM
2 Cfr. R. Panikkar, La nuova immcenz.a, Tbinking o/ Eortern People, Univcrsity of ligione: cristiana. \lc:r:unente rivela è che noi siamo un «tu»,
Servitium, Sotto i1 Monte ( Sg) 1?9-1. Hawaii -Prc.c;s. Honolulu 1985. 21 Cfr. Gc:n 1,2; SB oct,6.1 (iipoba và1ida111 ~ucsto sci tu».
} Cfr. R. Panikkar, La fi,i dù11e11rion cos- 1s Cfr. R. Panikkar, Le 111y.Jtèrc du culte agre). J6 r..omc cant:l la ~turgfa Jsti:n:a per i morti:
tiluti1.,-e de /'bo111me, in E. Castelli (a cura dans l'bit1douir111e et le cbristillm:u11e, 2& Cir. (',cn 4,10-11; 7,37; S8 IV,4J,15 «La vita cambia, non scomparo.
di), M)'the ,t /oi, Aubier, Paris 1966, pp. Ccrf, Paris 1970, pp. )7 ss. In Induismo (l'acqua come dic;ir d·immonalit:ì); ccc. J7 Questo soUC\r:i un problema sc:rnantico.
17-63. ln Opera Omm"a, Vol. IX, Tomo 2; e cn:ftianestino, vol. Vll dell'Opera omnia, 29 Ndh Grcci:1 cbssic.a i c:u:bve:ri c:r.mo il tc:nnine «religione» è limitato a un parti•
Jaca Book, Milano 2008. J aco Book, Milano. detti alihante:r, coloro che sono «asciug;u-i», cobre 3ttcggiamento umano o non è p iut•
.i Questa qualermìas era ben nota agli sco- t6Cfr. At 2J . che: hanno perso la p ropria acqua, la linfu. tosto una etichetta «generica. che ammette
lastici cristiani Vedi, per ~empio. Ugo di 17 t versicondusivi del Rg-veda (x, 191,4) Cfr. P!atnne, /..a Repubblica,> (387c), pur molte diffcn:n.zc, specifiche alrintemo di
San Vittore nd suo Dida.ircalicon J, 11. sono un inno alla concordi3 religiosa. se l'etimologia modcm3 mette in d:isct.mio- una posiziooc complessiva verso b rc:akà?
S Cfr. R. Panikkar, La nuova immcenz.a, 18 "'The lnvi.c;ible Harmony: A Universa.1 ne l'accur:uczza ddla interpretazione das- C'lr. b nou di R Panikkar Haw Religiom
Servitium, Sotto il Monte-Bergamo 2003 , Thcory of Rdigion or 3 f..osm ic Confi- sici cl.i alibo:r. Cfr. H. frisk, Griecbisches the Monopoly on «Religiom~, in «Joumal
nuova cd. 2005, parz.i::ùmcntc ripubbli- dc:nce in Rcalit) ?'" in Lcona.rd Swidlc:r
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erymol.ogi:rches W1o·r1erbuch, K. Wintcr, of Ecumenical Studi=, Xl, 3 (1974), pp.
cata in Mistica$ pie11e1;:z,a di Vita, voJ. 111 (cur.), T()Ward a l1111Vcrsol Theology o/ Hc:iddbcrg 1954, sub voce. Altri hanno 515-517.
ddl'Opera 0111nitJ, J ac:.1 Book, Milano Religion, Orbi,. M.ryknoU, N.Y. 1987. pensato invece a oligos con le sue: connorn• J8 Pacciamo notare che questo slogan si
2008, pp. 17-91. t•Cfr. Gcn 1,2; Mt 3,16 e paralleli. zioni di fr:igilirà e impotenza. può applicare a ogni r:imo della rdigiosità
• Mt 6 ,30. "'At 1,10-11. Jo «Piunosto di 3ffermare che gli esseri abr.unica: ebraismo, cristianesimo, i.c;lam.
7 Sulla simbologia ddl'-acqua si vccb il 21 21\c 5,12. organici muoiooo essenzialmente e: marxismo, umanesimo.
capitolo riportato più :J\lanti, La goccia 22 C fr. come voce rappresentativa pc:r necessariamente, è ~ i o sostenere che '9 Cfr. R Panikkar, Ku/JJ11)'.Sleri11m in Hin•
d'acqua: una meta/ora intercullurale. l'attuak- dibattito in Nord America: Wil- si costituiscono come esseri mortali duism 1111d Christentum, Alber, f rctburg
11 Zbuangzi u,2. Richard Wilhdm traduce: fred Cantwcll Smith, Toward a Wor/J La mortalità insomma, non è una loro 1964, passim.
Ohne jene:r Ett1,-a:r gihr es kein ich («Senza Tbeology, Westminstcr, Philaddphia proprietà costitutiva ma 005tirucnto. J. .a:, Queste sono, secondo Ja ua.dWonc, le
qud qwlco.c;a non c 'è alcun Jo»). 1981. Fcrmter Mora, El ser y la muene. Bosquejo uhime p:u-ole dd Buddha.
9 l:rte
libe,; sci/ice/ 11111ndus, quasi emortu• 2l lJ titolo di un libro. peraltro ottimo, de una filoso/fa integracionista, Aguilar, Ma- "Cir. SB n,2,2,8.
use/ Jeletus era/ (Bon3vc:ntura , Hexae111e- di Karl Priimm cscmpli6ca bene ciò che d rid 1962, p. 154. ,i Cir. SB n,2,2,9-14; o,4,2,t.
ron, col. 13, n. 12 (O.o. vJ90al). voglio dire: O,ri:rJen/11111 als Neuheitser- )1 C&. i testi ,-cdici: ~Alfinizio non c 'era •.l CU '1,IIJ.
10 (d., Breviloquium, q. 2, c. 12 (O.o. lebnis (Cristianesimo come esperienza di né essere né non essere» (RV x,129.0; «In ., cu '1,2,1.
v,230.). novi1:ì}, Hc:rdcr, Frciburg 19.39. p rincipio non vi era nulla qui di alcun ge- Thml., I, q. 20, a. 2, a.~-
.-, S1111111tJJ
11 Cfr. A, 15. Cfr. R. Panikhr, Religious Pluraliu11:
1-l nere. Tutto questo era awolto nella Mor- ._,, CTr. K3ivU u, che afferma la possibilità
"Cfr. Mt} I , 13; Mc 1,9. Tbe Me1aphysical C'.hallenge, a curn di Lc- te - ndl:1 fame, perché la fume è in verità di ra_ggiungcrc b viu eterna solo tn1mitc
1J Nondo\Temmodimc:ntic:1rc:chc l°esprcs- roy S. Rouner, Notrc: Dame Press, Paris mono, (BU t,2,1); ecc. b rinuncia; e&. anche su m,5; MaitU vt,28;
sione «Co rpo di Cristo» nella tradizio- 1984, pp. 97-115. Orn nd voi. vt, tomo 1, )2 C&. AV x,7,7 e 3.t1Chc la condusione in cc,sì oome Mt 19,21 e 29; Mc 10,29-J0; Le
ne: h3 indicato prim3 il popolo cristiano ddl"Opera omnùJ,Jaca Book, Milano 2009. x,7,41. 18, 28-30; Gv 12,24-25.
e soltanto più tardi J°eucarescia. C fr. F. l1 R Panikbr, Aporùu in tbe U nnparo.• H Cfr. le af!ennnioni di Cristo rome Virn "Cfr. BG v,2-3 : Le 6,35; 14, IJ-14; Mt
Holbock, Der eucban:fli:rche und der my:r- ,;,.., Pbilnsopby o/ R.eligiOT1 in «M•n and (Gv6J5-40; 1028: 11,25-26; 14,6)cdiDio 6,.3.

286 287
''Cfr. BG vi,1; Le 17,7-10 . Eigo (cur.), From Alienation lo A1-011e- 79 Mahàparauibbàna-sulta, \IJ, 7. Panikkar usa Ja parola le111pilemità per
.s.i
•• Num 20,8; Ct I J; 5,6; 8,6. ness, Villanova U niversicy Press, 1977. 80 Opera perduta: citata da ~3l')bra nd esprimere fintuizionc ddl' esperienza de].
••Gal2,20. 67 Cfr. ProvS, 122, ccc. Brohma-s1ilra-ha1ya, 111, 2 ,17. la realtà come temporale e come eterna,
" Gal>J. &8 La mia critica alla società moderna non 81 Cfr. lgn3Zio di Antiochia, Epist. ad M11- non separata diacronic3Jllente o ontologi-
S2 Per uno studio gcnemle sulla metafora è diretta contro b. emulaz.ionc a livello g11esio:r, \IUJ, l (PG 5, 669). camente. Tempo ed eternità sono le d.ue
vedi P. Rirocur, La Métaphore vive, ScuiJ, qualitativo ma con.tro la competizione 82 Laotzu, passim. P. es., «La via dd Ciclo fu.ccc ddla stessa medagJia:». Cf. La realtà
Paris 197S (tr. it. La 111eto/ora viva, Jaca a livdlo quantitativo. Vedi R. f>anikka r, (1"ie11 Tao) è una via d.i non-atti,ità (u:u cosmoteondnCo. Jaca Book, Milm10, 2004,
Book, Milano 1981). Altemalives to Mndern Culture in ~Inter• we,1it. p. 15J. ln Opera Omnia, Voi. vrn.
S) Di qtu l'imponanu dd simbolismo Culturo,, 77 (1982), pp. 2-68. In Voi. Xl U Chiesa goticn di Barcdlona, nd quar•
dd cuore in così tante culrurc e rdigio- dell'Opera Omnia, Jaca Book, Milano tic.re cldla Ribera.
ni. Come centro ddla persona, il cuore 2020.
non può morire senza che tutta la realtà 1h E.,;prcssione ridondante, se con "esis-
sparisca. tcnziak:'" si intende ciò che appanlene
S4 invero un nm:um dei nostri tempi è la costitutivamente a1ls struttura omologica
consapcvolo:za che l'estinzione ddfo spe• dell'Uomo, l'essere-che-esiste. Heidegger
cic umana appan ienc aJ regno dd possibi- chiama Exis1enziale11 i ·• Scinscharaktc.rc
le, o forse addirittura del probabile. dc:s Dascins• (i caratteri "di essere• • es-
s, Cfr. K. Kcrényi ncUa sua Introduzione senziali • dcll'E.ssc:.rci / Dasein).
a Dionysos, Bollingcn Series~ New Havco 70 a r.
R Panikkar. Der MemdJ, ein lrifl
1977. Jarischa My.tterium (L'Uomo, un 111is1ero
S6Cfr. R Panikk.ar, La demitologkza.vOne Jrimiorio), in R-W. Strofi (c:ur.), Die Vero11-
nelfi'namtro Ira Cri.stianesimn e lnd11ù11to, 1u:ortung de:, Menschen /iir eine bn.oohnba-
ne Il problema della dem1ìiv.mJ011e, a cura re We/J ù11 Chrislentum, Hind11is111us und
cli E. Castelli, udam, Padova 1961. In Buddhis:mus,, Hcrder Frciburg 1985, pp.
Opera 011111ia,. Voi. va. 147•190, 1n Viu0ne trinitaria e cosmoteo11-
S7 Una serie di IJ attentati dinamitardi drica: Dio-Umno-Covno, Voi. vm, dcll'()..
terroristici, che fecero 250 vittime. pera Omnia, Jaca Book, Milano 2010.
'8 ITim 6, 16. "Cfr. Mc 2,4.
s•Cfr. Le 18, 19. n Ti111eo, 52 A ss.
'° Come di frequente:, Panikkar gioca 7l Riportato da Aezio, u, 17, 4 .
sulJ'ingle.,;c yoursel/= your Sef/[11d1]. '' La nota formuk cli J. Ort"l!" r Gasset,
61 Questo è i) problema matematico e fi. «y0 soy )'O y mi c ircumstanc:irot, potreb-
loso6co ddla idenhìas i11discernihl1iUm. be: essere intcgr3ta d icendo che rnJc "cir-
Cfr. R Panikkar Si11gu"1rity and lndiviJual- costanza " è pane ddJa nostra ..in-stanza H

ity: The Douhle Princip/e o/ lndiviJuation. cd "ck-sistenz:a•.


in «Revuc intcmationalc dc p hilosophie, », » Cfr. il quid outem 111eti111ur nisi tempus
111 -112 (1975), pp. 141-165. In Pcosiem in aliquo spati() cli Agostino, Co11/essio11i,
filosofico e tcolog;co, Voi. x,2. dell'Opera Xl, 21,27: che cosa misuriamo, se non iJ
Ommtl, Jaca Book, Milano 2019. tempo in un qualche spazio?
., Cfr. cu, \stL I, }. 7"Citato cb Cassiodoro, lstiluziotti, n, 5,2.
'> BU, rr, IO. Per b tradizione cristiana cfr. n Confessioni, Xl, 23 ,.30.
I Pielro J,4, soprattutto nella interpreta• 78 O r. R. Panikbr, L:intwVl>lte rosmote-
zionc dei mistici. andrica. Le lrt! di'ntenrioni della rea/J.ii, Jaca
6-1 P!atone, 1ìmro, 52 A. Boole, M~ano 2004; cc!iziooe orij;in,}e Tb,
"Cfr. Finca, Ul, 6 (206 a 8 ss). Cosmt>theanJriC Experieuce, Orbis, New
"Cfr. R. Panikkar, ....Colligite Fragmenta: York 1993 and Mo<ilal &narsidas.s, Oc:lhi
For an lntegrarion o/ Reality~. in F.A. 1998; nel volume vm di qUOlla Opera 011111ia.

288 289
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dies in Indian Arts, Philosophy and Inter.religious Dialogue, D.K.
Printworld, Delhi 2005. Rielaborazione di un testo assai prece-
dente apparso in italiano: Che accade all'uomo quando muore?
Una rifles.rione interculturale su una metafora, <<Bozze», Roma
Simbolo e simbolizzazione: ed.or. Simbolo y simbolizaci6n. 1980, 5/6, pp. 117-136. In Mito, simbolo e culto, Voi. IX, Tomo
La diferencia simbolica. Para una lectura intercultural del 1 dell' Opera Omnia, Jaca Book, Milano 2008. Traduzione di
simbolo, in Cfrculo Eranos I. Arquetipos y simbolos colectivos Giuseppe Forzani.
(Kerényi, Neumann , Scholem , Hillman), Anthropos, Barce-
lona 1994. In Mito, simbolo e culto, Voi. IX, Tomo 1 dell'O- Bhakti-karunii e agape: ed. or. Bhakti-karunii and agape: in
pera omnia, Jaca Book, Milano 2008. Traduzione di Milena Global Publications, Binghampton Universicy, New York 2002,
Carrara Pavan. pp. 31-44. lo Dialogo interculturale e inter.religioso, Voi. vt,
Tomo 2 dell' Opera Omnia, Jaca Book, Milano 2013. Traduzio-
EsperienZP artistica: serino inedito trovato fra le carte di Pa- ne di Milena Carrara Pavan.
nikkar, argomento cui intendeva probabilmente dedicare un
nuovo testo. Si è preferito lasciare la forma immediata della Maria: ed. or. Dimemioni mariane della vita, La locusta, Vi-
pnma stesura. cenza 1972; raggruppato poi in La gioia pasquale, La presenZP di
Dio e Maria, J aca Book, Milano 2007. In Spiritualità, il cammino
!.:uomo cosmico. La quadruplice natura dell'uomo: estratto, della vita, Voi. I, Tomo 2, Jaca Book, Milano 2007.
ed. or. Der W'eisheit eine \Vohnung hereiten, Kosel, Miinchen
1991. Apparso in italiano in Saggezza, stile di vita, Edizioni Ekklesia e Mandiram: due simboli della spiritualità umana:
C ui cura della Pace, San Domenico di Fiesole (Fi) 1993. In ed. or. Ekklesia and Mandiram. Two Symhols o/ Human Spiri-
Spiritualità, il cammino della vita, Voi. I, Tomo 2 dell'Opera tuality [Foreword] , in «Studies in Formative Spirirualicy», Xl,
Omnia, Jaca Book, Milano 2011. 3 (November 1990), pp. 277-284. In Induismo e cristianesimo,
Voi. vn dell'Opera Omnia, pp. 455-461. Traduzione di Milena
Kailasa: ed. or. Pilgrimage to Kailiisa and Miinasarovar in Carrara pavan.
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pp. 2-10 e successivamente in Pellegrinaggio al Kailiisa, Raimon Spazio sacro. Non c'è spazio esteriore senZP spazio interiore: ed.
Panikkar e Milena Carrara Pavan, Servitium Editrice, 2006; in or. in Concepts ofSpace, Ancient and 1\fodern, a cura di Kapila Va-
versione ampliata in Pellegrinaggio e ritorno alla Sorgente, Ser- tsyayan, Abhinav Publications, New Delhi 1991. In Spazio, tempo
vitium Editrice eJaca Book, Milano 2011. e scienza, Voi. xn dell'Opera Omnia,Jaca Book, Milano prossima
pubblicazione 2021. Traduzione di Milena Carrara Pavan.
Trisangam: Giordano, Tevere, Gange: ed. or. in The Myth o/
Christian Uniqueness. «Toward a Pluralistic Theology of Reli- Gaudi: ed. or. Gaudi. Lo spazio sacro è lo spazio reale, io Spa-
gions», (a cura di) J. Hick and P. F. Knitter, Orbis, Maryknoll zio e segni del sacro, J aca Book, Milano 2002.
1987, pp. 89-116. Apparso in italiano in La dimora della saggez-
za, Mondadori, Milano 2005. In Cristianesimo. Una cristofania, Filosofia e musica: conversazione conJordi Savall. Traduzio-
Voi. m, Tomo 2 dell'Opera Omnia, Jaca Book, Milano 2015. ne di Paolo Calabrò.

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Crediti iconografici

P. 17: Archivio J aca Book; p. 19: Archivio 170: Archivio J aca Book; p. 173: Archivio
Jaca Book; p. 32: Archivio Jaca Book; p. Jaca Book; p. 175: Archivio Jaca Book; p.
38: Archivio Jaca Book; p. 41: © Mare 179: Archivio Jaca Book; p. 181: Archivio
Chagall, by Siae 2020, Giorgio Dettori/ Jaca Book; pp. 183-184: Archivio Jaca
Jaca Book; p. 45: Archivio Jaca Book; Book; pp. 186-187: Archivio Jaca Book;
p. 48: © Georges Braque, by Siae 2020; p. 188: Archivio Jaca Book; pp. 188-189:
p. 53: Musée d'Orsay, Parigi; p. 58-59: ArchivioJaca Book; p. 193-194: Archivio
Archivio Jaca Book; p. 62: Musée d'Or- Jaca Book; p. 195: © Georges Rouault,
say, Parigi; p. 63: Archivio Jaca Book; by Siae 2020; p. 203: Archivio Jaca Book;
pp. 64-65: Archivio Jaca Book; p. 66: pp. 208-209: Archivio Jaca Book; pp.
Archivio Jaca Book; p. 69: Archivio 214-215, 217, 219: Archivio Jaca Book;
Jaca Book; p. 71: Archivio Jaca Book; p. 223 -224: Archivio Jaca Book; pp. 230-
pp. 74-75: Archivio Jaca Book; pp. 76- 232; p. 233: Courtesy Milena Carrara
77: Archivio Jaca Book; pp. 81, 83-84, Pavan; pp. 235-236: Archivio Jaca Book;
87, 89: Archivio Jaca Book; pp. 94-95: pp. 239-240: Archivio Jaca Book; pp.
Archivio Jaca Book; p. 99: Archivio 242-243: Archivio Jaca Book; p. 244: ©
Jaca Book; p. 101: Archivio Jaca Book; Frank Lloyd Wright; p. 245: Archivio
pp. 102-102: Archivio Jaca Book; p. Jaca Book; pp. 248-249: Archivio Jaca
105: Archivio Jaca Book; pp. 111-113: Book; pp. 250-251: Archivio Jaca Book;
Archivio J aca Book; p. 123: Archivio J aca p. 253: Archivio Jaca Book; pp. 256-
Book; pp. 126-127: Archivio Jaca Book; 257: Archivio Jaca Book; pp. 258-259:
pp. 128-129: Archivio Jaca Book; p. 132: Archivio J aca Book; p. 260: Archivio J aca
Archivio Jaca Book; pp. 152-153, 155, Book; p. 263: Museo Nacional d'Art de
157: Archivio Jaca Book; p. 165: Archivio Catalunya, Barcellona; pp. 269, 271, 273:
Jaca Book; p. 167: Archivio Jaca Book; p. © Mare Llimargast'.J aca Book.

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