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Nei primi giorni di agosto del 1929, la signora Petronilla Schonens, facendo il bagno al

figlioletto Louis Westland, notò che il bambino si metteva a piangere quando lei gli toccava la
gamba destra, sulla quale però non si vedeva alcunché di anormale. Nato a Tilburg, in Olanda, il 17
aprile 1928, il piccolo aveva poco più di quindici mesi e fino a quel momento era cresciuto in modo
regolare, senza malattie di rilievo.
Il 9 agosto Louis era febbricitante e, dopo altri due giorni, la mamma gli riscontrò un gonfiore
sulla parte interna del ginocchio destro. Il medico di famiglia Ermanno Ruding suggerì di mettere
sul ginocchio compresse di garza umide e, dopo una decina di giorni in cui la situazione restò
immutata, consigliò di effettuare una radiografia, eseguita il 22 agosto, che mise in luce una
rarefazione ossea iniziale in corrispondenza del condilo femorale interno.
Nei giorni successivi la tumefazione si ingrandì e nella zona malata si formò un essudato. Perciò,
il 27 agosto, il dottor Ruding operò un’incisione, dalla quale fuoriuscì abbondante pus. Da quel
momento, si andò avanti per tutto settembre e ottobre nella medicazione quotidiana della ferita. Un
giorno l’aspetto sembrava buono e il dottor Ruding non la tamponò, pensando che sarebbe guarita
da sé, «ma fu una delusione, poiché il giorno seguente ci fu una secrezione di pus molto più
abbondante e anche maggior gonfiore, rossore e dolorosità nella parte circostante».
Intanto i familiari di Louis avevano cominciato a invocare l’intercessione di padre Peerke
Donders, un religioso della congregazione del Santissimo Redentore nato proprio a Tilburg il 27
ottobre 1805. All’età di 32 anni era stato ordinato sacerdote e nel 1842 era andato in missione nella
Guyana Olandese (l’attuale Suriname, situato a nord del Brasile), dove rimase fra gli indios locali e
i lebbrosi della colonia di Batavia sino alla morte, il 14 gennaio 1887. Venne beatificato nel 1982.
Papà Paolo e il nonno materno Adriano Schonens si recarono frequentemente in pellegrinaggio
alla casa natale di padre Donders, dove prelevarono dal pozzo l’acqua per bagnare le garze prima di
metterle all’interno della piaga. Ogni domenica anche mamma Petronilla si recava nella cappella,
portando con sé in carrozzina il figlioletto malato.
Il 4 novembre, a ormai tre mesi dall’inizio della vicenda, la ferita era aperta come al solito e
durante la consueta medicazione uscì ancora il pus. Il dottor Ruding ritenne dunque opportuno un
consulto con il chirurgo Giacomo Goossens, che si svolse il 6 novembre: ne cui scaturì la proposta
di un intervento chirurgico come unica strada percorribile. Pur a malincuore, i genitori accettarono
la sentenza e l’intervento venne fissato per il 12 novembre, in quanto Ruding doveva assentarsi per
alcuni giorni.
In casa quella sera era presente anche l’ostetrica Giovanna Van der Pas, incaricata di assistere la
signora Westland, che da poco aveva portato a termine un’altra gravidanza ed era costretta a
rimanere a letto. Da una decina di giorni, ella collaborava nella medicazione del bambino. Dopo il
consulto, l’infermiera agì come in tutte le precedenti occasioni: «Fasciai la gamba di Louis con
compresse, fermate da una fascia che chiusi poi con un nodo e due spille di sicurezza». Poiché il
piccolo dormiva insieme con il fratellino di sei anni, il medico aveva anche prescritto di mettere un
tubo di cartone attorno alla gamba, per fare in modo che non ricevesse colpi.
All’alba del giorno successivo, il 7 novembre, mamma Petronilla vide il bambino in piedi nel
lettino. Svegliò il marito e quest’ultimo prese subito Louis in braccio per guardare la ferita, che
appariva completamente chiusa. La testimonianza di papà Paolo è carica di pathos: «La fasciatura
consisteva in un cuscinetto di garza tenuto fermo dalla fascia che era annodata alla fine. Attorno a
questa fasciatura si metteva cartone dal malleolo fino al sedere e questo era legato con un’altra
fascia che era annodata alle estremità. Quella mattina trovai il cuscinetto con la fascia senza nodi da
una parte del lettino e il tubo con la sua fascia, anch’essa sciolta, dall’altra parte. Non si era mossa o
abbassata, sciogliendosi da sé, ma era stata sciolta da qualcuno, il che è molto innaturale per un
bambino di un anno e mezzo».
Subito dopo, prosegue la deposizione del signor Westland, «provammo in tutte le maniere
possibili di far manifestare al bambino segni di dolore, premendo, pizzicando, torcendo e girando la
gambetta in tutte le maniere, ma Louis non diede alcun segno di sofferenza e scappò correndo dalle
mie mani, mentre fino al giorno precedente ancora non si poteva fare un segno verso la gambetta
senza che il piccolo gridasse ad alta voce. Perfino quando sentiva la macchina del medico si
metteva a gridare forte e al minimo toccamento fatto da chiunque gridava sempre».
Per il 9 novembre era stata fissata un’ulteriore visita di controllo prima dell’intervento chirurgico
e l’ostetrica portò il piccolo dal dottor Goossens, affinché controllasse l’evolversi della situazione.
Dopo un’accurata visita, il chirurgo cancellò l’appuntamento per l’operazione e disse alla donna:
«Signora, metta pure la fasciatura in tasca, perché il ginocchio è guarito molto bene». Anche il
dottor Ruding, l’11 novembre, si recò a visitare il bambino. Papà Paolo ricordò: «Quando tornò giù
disse: “La gambetta ha un bell’aspetto, ma non è possibile che sia guarita. Vedrà che il male
ritornerà”. Dopo tre giorni fece un’altra visita e non parlò più di operazioni».
Alcuni mesi più tardi, il 12 maggio 1930, il radiologo van Buchem eseguì una radiografia
comparativa dei due femori, che «non faceva più vedere l’ingrossamento del periostio del femore
destro», mentre anche le zone di rarefazione al condilo mediale apparivano in parte riparate, con un
accenno di iperproliferazione.
Il 30 novembre 1931, si svolse una visita congiunta degli ortopedici Josef Van Erp e Gerard Van
Balen. La loro conclusione fu netta: «Sul bambino completamente sano trovammo nella parte
interna del ginocchio destro una cicatrice, sotto la quale lo scheletro osseo è localmente gonfiato.
Fondandoci esclusivamente sulla visita odierna, crediamo di poter dichiarare che, in un’epoca
precedente, ci deve essere stato un processo morboso localizzato allo scheletro. Questo processo
non ha lasciato alcun incomodo nella funzione ed è da considerarsi guarito».
Durante l’inchiesta ecclesiastica, il professor Leonardo Valletti sottolineò che «in quell’epoca
non si poteva usufruire di nessuna terapia adeguata, né chemioterapica, né antibiotica; quindi
l’osteomielite veniva trattata chirurgicamente con interventi semplicemente evacuativi, come nel
nostro caso, oppure più o meno aggressivi sull’osso... Ma, a parte i rischi operatori, questi interventi
tanto demolitivi non hanno dato quei benefìci che si attendevano. L’unica metodica che si è
dimostrata di indiscutibile vantaggio è stata l’utilizzo dell’immobilizzazione in gesso». Un
provvedimento terapeutico che però, come hanno confermato tutti i testimoni, non fu adottato nel
caso in questione.
Lo studio della documentazione clinica e delle testimonianze consentì alla Consulta medica
vaticana, nella seduta del 22 dicembre 1975, la definitiva diagnosi di «osteomielite acuta della
metafisi distale del femore destro», giudicando scientificamente inspiegabile la rapida e completa
guarigione.

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