Sei sulla pagina 1di 2

Nel pomeriggio del 20 aprile 1945, pochi giorni prima che si concludesse la Seconda guerra

mondiale in Italia, la trentaquattrenne suor Carla De Noni aveva lasciato il convento di Villanova
per recarsi con il tram a Mondovì, dove avrebbe consegnato un rifornimento di viveri ai partigiani
che nelle Langhe stavano costringendo le truppe naziste alla ritirata. All’improvviso, un aeroplano
inglese scese in picchiata sparando raffiche di mitragliatrice contro il convoglio e la religiosa venne
colpita da diversi proiettili.
I soccorsi giunsero rapidamente e suor Carla venne trasportata nella vicina clinica Bosio, dove il
chirurgo Giuseppe Lamberti la descrisse «in stato di choc gravissimo per emorragia acuta.
Presentava una ferita lacero-contusa del mento dalla parte destra, con frattura comminuta della
porzione orizzontale della mandibola, lacerazione del pavimento della bocca e col labbro inferiore
pendente sul lato destro. La lingua era sporgente fuori della bocca, tumefatta, e la suora non poteva
articolare parola. Una seconda ferita si riscontrava all’emitorace sinistro, con foro d’entrata nella
zona mammaria e foro d’uscita nella parte posteriore del torace, con lesione polmonare e segni di
emitorace in atto. Una terza ferita lacero-contusa si constatava al braccio sinistro».
La prognosi indicata sulla cartella clinica era infausta. Lo ha confermato il racconto del dottor
Lamberti: «Si procedette alla medicazione della ferita della faccia, asportando le schegge della
frattura della mandibola e i denti, legando i vasi sanguinanti e suturando nel miglior modo possibile
il labbro inferiore. Furono fatte iniezioni cardiotoniche, ipodermoclisi e fleboclisi, giudicando però
il caso gravissimo con pericolo di morte». Diversi testimoni hanno sottolineato che le cure prestate
alla religiosa nella clinica Bosio durante la settimana di degenza furono piuttosto approssimative e
inadeguate, a causa dell’emergenza dovuta al gran numero di ricoverati e della persuasione che per
suor Carla non ci fosse più nulla da fare.
Il 26 aprile madre Margherita Lazzari, fondatrice e superiora delle Missionarie della Passione di
Nostro Signore Gesù Cristo (cui suor Carla apparteneva), prese atto della situazione: «Vedendo che
non si verificava alcun miglioramento e che le cure prestatele erano scarse, proposi a suor Carla di
tornare nel convento a Villanova (il che ella mi significò di accettare con grande gioia). Mi
muoveva in questa proposta il pensiero che ove ella fosse morta – come da tutti si temeva –
mancasse in casa nostra e venisse seppellita nel nostro cimitero».
Appena giunta in convento, la religiosa fu visitata dal dottor Matteo Fenoglio: «Potei constatare
che ella versava in condizioni gravissime, era fortemente anemizzata e aveva temperatura superiore
ai 40 gradi, con polso filiforme e frequenza a 120 pulsazioni. La coscienza era normale. La paziente
si mostrava serena, tranquilla, rassegnata, pur essendo conscia delle sue gravissime condizioni». La
spontanea reazione del medico, dopo questo primo esame, venne in seguito ricordata dalla stessa
suor Carla: «Perché fu mandata a Villanova in queste condizioni? Qui fu mandata a morire! Che
posso farci io?».
Il giorno seguente, 27 aprile, la situazione si aggravò ulteriormente, tanto che venne chiamato il
suo confessore don Giugiaro, il quale le disse parole di conforto e le diede l’assoluzione
sacramentale, senza poterle però somministrare l’ostia consacrata, in quanto ella non riusciva a
deglutire. La consorella suor Maria Celina ha ricordato con vivezza quelle drammatiche ore: «Suor
Carla parve entrare in agonia: il suo colore divenne verde, la fisionomia schiacciata, la lingua gialla.
La madre superiora mandò in cappella tutte le consorelle perché pregassero al fine di “strappare” a
Dio il miracolo per intercessione di don Rinaldi, e nel contempo mandò me a ricercare un fazzoletto
a lui appartenuto perché lo applicassi sulla morente».
Filippo Rinaldi, vissuto fra il 1856 e il 1931, era divenuto salesiano accogliendo la sollecitazione
fattagli direttamente da don Giovanni Bosco e nel 1922 fu eletto rettor maggiore, un ruolo nel quale
i contemporanei lo vedevano come l’immagine vivente del fondatore. Venne beatificato nel 1990.
Fra i tanti che don Rinaldi aveva diretto spiritualmente c’era anche madre Margherita Lazzari, che
ancor prima di fondare la propria congregazione era andata ogni settimana, per una ventina d’anni,
a confessarsi da lui.
Per tutto maggio e giugno la comunità continuò intanto a pregare con fiducia e, proprio agli inizi
dell’estate, un pomeriggio suor Carla prese sonno e dormì per circa un’ora e mezza. Al risveglio, si
accorse immediatamente che qualcosa di eccezionale era accaduto: «Provai una sensazione di
benessere, di forza: mi sentivo bene. Mi alzai, per la prima volta dopo il 20 aprile, sola; mi avvicinai
al lavandino e mi sedetti. Volli togliere le fasciature che ancora mi praticavano al mento, per
sorreggerlo, e con mia grande commozione mi accorsi che il mento non cadeva più. Vi portai le
mani e sentii che vi era dentro del duro e che la lingua stava al suo posto. Potei chiamare, per la
prima volta, la sorella che era nella camera vicina, pronunciando bene le parole».
Due esami radiografici, il 15 luglio 1945 e il 15 settembre 1946, mostrarono la presenza di un
osso formatosi al posto di quello asportato dal proiettile. Nella perizia redatta il 2 luglio 1948 dal
dentista Roberto Ferrero si legge: «All’esame radiografico della zona mentoniera, in corrispondenza
della primitiva deficienza ossea, si osserva un ponte di sostanza ossea normale e compatto, con
qualche lieve irregolarità di ossificazione dal lato sinistro nel punto di congiungimento all’osso
integro. Tutto il tratto di neo-formazione ossea presenta uno spessore notevolmente inferiore».
Il 25 maggio 1984 un nuovo esame radiografico venne eseguito dal professor Giuseppe Matlì,
primario radiologo nell’ospedale torinese San Giovanni Battista e studioso delle ferite riportate
durante la guerra del 1939-1945. La sua analisi fu dettagliata: «L’esame radiografico e stratigrafico
da me eseguito nella regione mandibolare-mentoniera rivela chiaramente che essa ha subìto un
gravissimo trauma con una doppia frattura rispettivamente a destra e a sinistra. Lo stesso esame
radiografico e stratigrafico rivela però una totale ricostruzione della sinfisi mentoniera distrutta, con
una sostanza certamente ossea: questa è fortemente saldata alle branchie orizzontali della
mandibola. Si esclude assolutamente che la mandibola ricostruita sia di sostanza diversa da quella
ossea».
Il 18 ottobre 1988 suor Carla fu inoltre sottoposta alla Risonanza magnetico-nucleare del
massiccio facciale e della regione mentoniera e alla Tomografia assiale computerizzata della
regione mandibolare. I dottori Carlo Masciocchi e Fausto Trecco, esecutori delle indagini,
sottolinearono nel referto che «la regione mentoniera presenta esiti di ampia perdita di sostanza
ossea, soprattutto in corrispondenza dell’area superiore della sinfisi, per un’estensione di circa
quattro centimetri». La Consulta medica vaticana confermò, nella seduta del 7 giugno 1989, che «il
recupero funzionale è così perfetto che si potrebbe escludere qualsiasi trauma pregresso, pertanto è
inspiegabile dal punto di vista scientifico».

Potrebbero piacerti anche