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Elaine Pagels

Karen L. King

Il Vangelo ritrovato
di Giuda
Alle origini del cristianesimo

Traduzione di Carla Lazzari

OSCARMONDADOBI
Copyright © Elaine Pagels and Karen L. King, 2007
English translation and comments on the translation
copyright© Karen L. King
Titolo originale dell'opera: Reading Judas
© 2007 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano

I edizione Saggi ottobre 2007


I edizione Oscar saggi ottobre 2008

ISBN 978-88-04-58186-4

Questo volume è stato stampato


presso Mondadori Printing S.p.A.
Stabilimento NSM - Cles (TN)
Stampato in Italia. Printed in Italy

Anno 2011 - Ristampa l 2 3 4 5 6 7


Indice

3 Introduzione

Parte prima
LEGGERE GIUDA
di Elaine Pagels e Karen L. King

17 Giuda: traditore o discepolo prediletto?

38 n Giuda e «i dodici��

57 m Il sacrificio e la vita dello spirito

70 IV I misteri del Regno

87 Nota finale

Parte seconda
IL VANGELO DI GIUDA
di Karen L. King

97 ll Vangelo di Giuda
107 Commenti alla traduzione

149 Indice dei rinvii

151 Note

165 Ringraziamenti
Il Vangelo ritrovato di Giuda
Introduzione

Del ritrovamento del leggendario vangelo attribuito a Giu­


da Iscariota si parlava da più di un decennio, quando fi­
nalmente, nell'aprile 2006, la scoperta archeologica fu resa
pubblica dalla National Geographic Society. Ora sappia­
mo che, in un momento imprecisato degli anni Settan!a
del Novecento, nei pressi di Al Minia, nel Medio Egitto, fu
rinvenuta una copia in copto del Vangelo di Giuda, tra­
dotto dall'originale greco del secondo secolo. Alcuni con­
tadini, così si dice, avevano trovato, dentro una grotta usa­
ta come sepolcro, un cofanetto di pietra calcarea nel quale
erano riposti da secoli antichi manoscritti, fra cui un rotolo
di papiro (il codice Tchacos) risalente all'incirca al quarto
secolo. Negli anni seguenti, alcuni trafficanti mostrarono
di nascosto i documenti a numerose persone, tentando di
venderli a un prezzo astronomico. Il codice, spostato da
un luogo all'altro e conservato senza la debita cura - pri­
ma in un'umida cassetta di sicurezza a Kicksville, New
York, per quasi diciassette anni e poi congelato (!) -, subì
molti danni nel periodo fra il suo ritrovamento e il 2001,
quando finalmente approdò nelle mani esperte del filolo­
go Rodolphe Kasser, il quale, insieme alla conservatrice
Florence Darbre e allo storico Gregor Wurst, ha lavorato
assiduamente per cinque anni sui frammenti per riportare
il testo il più vicino possibile alla sua condizione originale.
La nuova versione qui presentata in traduzione italiana si
basa sul loro lavoro.!
Noi, tuttavia, non ci occuperemo di come sia avvenuta
4 Il Vangelo ritrovato di Giuda

questa straordinaria scoperta, ma del suo significato. Che


esistesse un Vangelo di Giuda lo si sapeva. Nel suo Contro
le eresie, Ireneo, padre della Chiesa del secondo secolo, co­
sì scriveva a proposito di un gruppo di cristiani:
Dicono che Giuda conobbe accuratamente queste cose e proprio
perché egli solo conosceva la verità più degli altri, compì il mistero
del tradimento. Per mezzo di lui dicono che si sono dissolte tutte le
cose terrestri e celesti. Presentano una tale invenzione chiamandola
il Vangelo di Giuda.2

E dunque il Vangelo di Giuda era già noto a quel tem­


po, vale a dire intorno al 180 d.C., e si presume sia stato
scritto verso la metà di quel secolo. I commenti di Ireneo,
però, sollevano altri interrogativi. Che cosa diceva quel
misterioso vangelo, oltre a promuovere Giuda al rango di
colui che «conosceva la verità più degli altri»? Quale ve­
rità conosceva?
Quando lo leggemmo per la prima volta, questo vange­
lo ci diede l'impressione di essere stato scritto da un uomo
pieno di rabbia, il cui messaggio era offensivo, addirittura
odioso: Gesù vi è spesso ritratto nell'atto di irridere i disce­
poli e di incolparli di ogni sorta di peccati e impurità, com­
messi in suo nome. Ci parve che in realtà a macchiarsi di
queste colpe fosse stato proprio l'autore, il quale aveva
usato il nome di Gesù per propalare le sue idee omofobe e
antiebraiche. Il tono a volte stridulo e beffardo e le accuse
calunniose suscitarono in noi una repulsione immediata.
Quel papiro, pensammo, ci restituiva l'altra faccia della
durissima invettiva contro gli oppositori che conoscevamo
così bene attraverso le arringhe dei primi padri della Chie­
sa come Ireneo, formulata in quel linguaggio fazioso che
suona così inquietante in un'epoca di discordie e violenze
religiose e politiche come la nostra.
Una volta superata l'impressione iniziale, però, ci accor­
gemmo che il testo non trasmetteva soltanto la rabbia. A­
veva pagine e pagine colme di straordinari insegnamenti
di Gesù sulla vita spirituale. Perché mai, ci chiedemmo,
Introduzione 5

quell'evangelista covava tanto rancore? Che cosa lo feriva


nel profondo? E, soprathltto, che speranza offriva il suo
vangelo di placare un'ira così ardente? Non è possibile ri­
spondere a queste domande senza risalire alle controver­
sie furibonde e alle visioni esultanti di Dio dalle quali sa­
rebbe infine emerso il cristianesimo e avrebbe conquistato
gli uomini nei millenni a venire. Di questo parleremo nella
prima parte del nostro libro, il sottotitolo del quale è ap­
punto Alle origini del cristianesimo.
Le domande più ovvie sono anche quelle cui è più facile
rispondere. È stato davvero Giuda a scrivere questo van­
gelo? Rivela qualcosa di nuovo sul Giuda storico, su Gesù
e gli altri discepoli? Poiché il testo risale a circa il 150, è e­
vidente che a scriverlo non può essere stato Giuda, il qua­
le era morto più o meno da un secolo. L'autore resta ignoto.
Né il testo fornisce alcun elemento nuovo, storicamente
attendibile, su Giuda o su Gesù rispetto a ciò che già si sa­
peva attraverso la letterahtra delle origini. Apre però una
finestra sulle dispute fra i cristiani del secondo secolo in­
torno al significato del tradimento di Giuda e dell'inse­
gnamento di Gesù. E solleva una serie di interrogativi.
Perché un discepolo tormentato avrebbe tradito il suo
maestro? Come poteva un cristiano immaginare che Giu­
da, il traditore, fosse il discepolo prediletto di Gesù, il più
fidato? Per quale ragione gli altri discepoli vengono tac­
dati di assassinio e immoralità? In che cosa consistono «i
misteri del regno» che Gesù rivela a Giuda soltanto? Per­
ché è la stella di Giuda a guidare il cammino?
Per capire la passione che impregna il testo è necessario
tornare al clima di controversie e visioni in cui fu plasma­
to e in cui vivevano coloro che lo scrissero e lo lessero. Al­
cuni shldiosi, impegnati in questo processo di contestua­
lizzazione, hanno etichettato il Vangelo di Giuda come
«gnostico», attribuendolo allo schieramento dei vinti nelle
battaglie combathlte fra i primi gruppi cristiani, che ave­
vano interpretazioni, credenze e pratiche diverse, ma
ognuno dei quali pretendeva di essere l'unico detentore
6 Il Vangelo ritrovato di Giuda

dell'«ortodossia», vale a dire della verità. Che il Vangelo


di Giuda assomigli per alcuni versi ad altri testi del cri­
stianesimo delle origini scoperti in Egitto nel Novecento e
classificati come «gnostich), in particolare quelli, notevoli,
ritrovati nel 1945 vicino al villaggio di Nag Hammadi, è
innegabile.3 Anche molti di quei papiri ci hanno restituito
voci che erano perdute da quindici secoli, messe a tacere
dai vincitori, che si erano autodefiniti ortodossi. Come al­
cuni di essi, il Vangelo di Giuda considera la natura umana
essenzialmente spirituale: afferma che il corpo si decom­
porrà con la morte, mentre l'anima, in cui soffia lo spirito,
continuerà a vivere per sempre con Dio nell'alto dei cieli.
Come alcuni di essi, poi, vede in Gesù l'illuminatore divi­
no, inviato da Dio a rivelare a un'umanità ignorante e in­
giusta (quando non ipocrita) la verità sul suo regno.
E tuttavia, definire gnostico questo vangelo può dare
luogo a impressioni errate, in particolare perché fino a non
molto tempo fa gli studiosi traevano le loro informazioni
sui cristiani «gnostici)) quasi esclusivamente dagli scritti
dei primi padri della Chiesa, non avendo a disposizione i
testi scoperti di recente. Il termine <<gnosticismo)) è stato
addirittura creato nel Settecento, ben prima dei nuovi ri­
trovamenti. Le uniche fonti primarie di cui potevano gio­
varsi gli storici erano quelle di cristiani che, come Ireneo,
avevano parlato contro scritture quali il Vangelo di Giuda.
Perciò il punto di vista degli studiosi moderni è caratteriz­
zato da quella definizione di eresia. Non sorprende, dun­
que, che ancora oggi continui a risuonare soltanto una del­
le voci del dibattito, quella dei vincitori, il che rende quasi
impossibile capire come fosse, all'epoca in cui fu vergato il
Vangelo di Giuda, il cristianesimo, quando ancora non
aveva completato il suo corso e non era chiaro quali idee si
sarebbero imposte.
E non è tutto. Leggere attraverso le lenti degli avversari
i testi venuti da poco alla luce distorce il discorso e fa sì
che sia difficile individuare i nodi intorno ai quali si agita­
vano quelle diatribe così appassionate.4 Se si legge il Van-
Introduzione 1

gelo di Giuda come uno dei tanti esempi della ben nota
eresia gnostica, non si fa altro che ripetere cliché ammuf­
fiti e ascoltare ancora una volta la voce degli sconfitti. Se
invece si riesce ad andare oltre gli stereotipi, che si sono
affermati perché finora si è sempre ascoltata una sola ver­
sione dei fatti - e una versione raccontata così spesso e co­
sì a lungo che ha finito con l'apparire, ingiustamente, l'u­
nica possibile -, allora i testi ritrovati possono arricchire le
nostre conoscenze sulla diversità dell'immaginario e delle
pratiche del cristianesimo primitivo e consentirci di vede­
re con occhi nuovi non soltanto le scoperte recenti, ma an­
che la tradizione consolidata. E allora ci accorgeremo che
il Vangelo di Giuda ruota intorno a una questione scottan­
te, che i padri della Chiesa si sono ben guardati dall'af­
frontare, sviando l'attenzione su altri problemi.
Perché dunque tanta rabbia nel nostro evangelista? La
ragione è connessa, come vedremo, con la morte doloro­
sissima che i romani infliggevano ai cristiani.s L'autore del
Vangelo di Giuda non riusciva a conciliare la sua fede in
un Dio buono e profondamente amorevole con l'idea, so­
stenuta da altri cristiani, che Dio potesse volere il sacrificio
cruento di Gesù e dei suoi seguaci. Quei diaconi e vescovi
che esortavano i cristiani a «glorificarsi)) con il martirio e­
rano ai suoi occhi degli assassini, uomini che avevano
completamente frainteso l'insegnamento di Gesù e vene­
ravano un falso dio. Uno solo, fra tutti i discepoli, aveva
capito: Giuda. Ed era per questo che aveva consegnato
Gesù ai suoi carnefici. In breve, il Vangelo di Giuda ci mo­
stra in quale modo alcuni cristiani affrontassero i proble­
mi del dolore e della morte, che riguardano ciascuno di
noi, e come immaginassero un legame spirituale con Dio
che dura ora e per sempre.
Che Giuda venga presentato come il discepolo più leale
di Gesù non è un caso. Questo evangelista, chiunque fos­
se, sapeva benissimo che per la quasi totalità dei cristiani
egli era il traditore: persino il suo Gesù dice che sarà ma­
ledetto da tutta l'umanità (Giuda 9,28). Chissà che non sia
8 n Vangelo ritrovato di Giuda

stato proprio per suscitare scandalo fra i cristiani del suo


tempo che l'autore pose la figura di Giuda al centro del
suo vangelo.6 Nell'accusare i condiscepoli di compiere sa­
crifici umani, di celebrare falsi culti e commettere altre
spregevoli eresie, questo scrittore non adotta il tono genti­
le della persuasione o della discussione pacata, ma si sca­
glia con violenza e ripetutamente contro convinzioni pro­
fondamente radicate in molte comunità cristiane.
Non sempre i dissidi fra cristiani creavano spaccature,
ma i contrasti espressi nel Vangelo di Giuda erano senza
dubbio laceranti. Né poteva essere altrimenti: qui Gesù
annuncia ai discepoli che il giorno del giudizio saranno
condannati e annientati dal primo all'ultimo (Giuda 5,16;
14,16), tranne Giuda, che li sovrasterà tutti (9,29). Giuda è
il profeta della fine dei tempi, al quale Gesù dice: «Il tuo
corno è già levato, la tua collera è colma, la tua stella si è
affacciata e il tuo cuore ha prevalso» (15,5-8).
L'autore del Vangelo di Giuda parla come parlano mol­
to spesso i «veri credenti»: proclama che soltanto chi sta
dalla sua parte trionferà, gli altri saranno dannati in eter­
no. Come tutti i settari di ogni tempo e luogo, insiste che
bisogna separarsi dai falsi credenti per formare l'unico
gruppo «puro» di «veri cristiani»: il suo Gesù dice due vol­
te a Giuda che è necessario si allontani dagli altri. La sepa­
razione, che è una sentenza di condanna per il resto dei
discepoli, tradisce tuttavia l'atteggiamento difensivo dei
seguaci di questo evangelista. Le accuse che egli lancia so­
no così oltraggiose da non potersi prendere alla lettera,
ma sono anche la spia di quanto fossero accesi gli animi in
quel clima di persecuzioni, quando ogni cristiano viveva
nel timore costante dell'arresto e dell'uccisione. Era il pe­
riodo in cui capi della Chiesa come Tertulliano si scagliava­
no contro tutti coloro che tentavano di sottrarsi al martirio
con la fuga, accusandoli di codardia e di fede superficiale
e tiepida, brandendo la minaccia dell'inferno per loro e
per chi li avesse seguiti.7
Ma né Gesù né Giuda hanno evitato la morte violenta,
Introduzione 9

avrebbe potuto obiettare questo autore. Anzi, Giuda è sta­


to il primo martire cristiano. Sì, perché il suo Giuda non si
è suicidato: è stato lapidato dai «dodici» (Giuda 9,7-8). In­
colpando gli Apostoli della sua morte, egli mette le gerar­
chie ecclesiastiche sullo stesso piano dei persecutori romani,
cui rivolge l'accusa di adorare i demoni. Si ha l'impressio­
ne che l'angoscia fosse ormai esplosa da entrambe le parti
in un'acredine incontrollata. Che questi cristiani potessero
ancora riunirsi insieme a pregare nella stessa comunione
di fratellanza e amore pare impossibile.
E tuttavia il Vangelo di Giuda, pur nella sua forma fram­
mentaria, non ha soltanto il merito di aprire uno squarcio
su una particolare controversia. Getta anche luce sulla
complessità del movimento cristiano delle origini e ci con­
sente di constatare come il processo, dipinto a posteriori
dagli storici quale percorso ininterrotto di fede uniforme,
sia stato in realtà ben diverso.
La storia cristiana tradizionale, lo ribadiamo, è stata scrit­
ta quasi esclusivamente dal punto di vista dei vincitori, che
sono stati bravissimi a ridurre al silenzio o a distorcere le
voci dissonanti, distruggendo gli scritti e accusando tutti gli
oppositori di essere «eretici» pericolosi e ostinati. Invece
delle polemiche furibonde e delle sorprendenti innovazioni
in cui si è forgiato il cristianesimo, la Chiesa vincente ha tra­
smesso l'immagine di un Gesù che insegna il suo semplice
vangelo ai «dodici», i quali, a loro volta, conservano intat­
to il messaggio: «deposito della fede» lo hanno chiamato,
come denaro affidato a una banca. Poi, fissati un credo e
un canone, quel messaggio sarebbe stato trasmesso, intat­
to, dai seguaci dei discepoli alle generazioni successive di
custodi autentici della verità divina - i vescovi e il resto del
clero consacrato - in ogni angolo del mondo. Certezze ras­
sicuranti, che hanno affascinato miriadi di cristiani, con­
vinti che ciò che hanno conosciuto come «cristianesimo»
non poteva che essere la verità divina: ma quelle certezze
potevano reggere soltanto finché fossero mancate le voci
del dissenso.
lO Il Vangelo ritrovato di Giuda

Eppure, basta riflettere su come avvengano nella realtà


le rivoluzioni, comprese quelle religiose, per rendersi con­
to che questa versione non solo distorce la storia, conge­
landone il vibrante dinamismo, ma opera anche un'enor­
me semplificazione. Negli ultimi centocinquant'anni sono
tornati alla luce più di quaranta scritti del cristianesimo
primitivo, fra vangeli, lettere e testi di vario genere.a Ora è
possibile vedere con più chiarezza quanto sia stata tumul­
tuosa la storia dei primi secoli: un'epoca di intensa rifles­
sione, di sperimentazione e di lotta intorno a ogni tema
fondamentale.
Ma, potrebbe obiettare qualcuno, siamo sicuri che que­
ste «altre voci» siano davvero cristiane? Il termine «cristia­
no» viene usato spesso come se la sua definizione fosse
chiara, univoca, universale e il suo senso ovvio. E invece
in ogni controversia - nel secondo secolo come nel ventu­
nesimo - ciascuna delle parti sostiene quasi sempre di es­
sere l'autentica detentrice della verità, che nega agli avver­
sari. In passato gli storici parlavano di «Chiesa cristiana
delle origini», come se in ogni città ci fosse stato un solo
gruppo, in cui ogni fedele era unito a tutti gli altri dalla
stessa dottrina, lo stesso rituale, le stesse pratiche e la stes­
sa misericordia per i poveri e i malati. Gli studiosi odierni
ritengono, al contrario, che nei centri maggiori esistessero
più gruppi di seguaci di Gesù. Come oggi, in qualsiasi
città cosmopolita, da New York a Città del Messico, da
Johannesburg a Bruxelles, fioriscono molteplici formazio­
ni religiose, così nella Roma del secondo secolo vi erano
comunità di credenti provenienti da ogni parte dell'impe­
ro, dalla Siria come dalla Turchia, dall'Egitto e dal Nord
Africa. Quei cristiani parlavano il greco o il latino oppure
la lingua del paese d'origine; molti erano bilingui. Alcuni
immigrati erano maestri prestigiosi, che insegnavano la
«filosofia» del cristianesimo e spesso si impegnavano in
profonde controversie tra loro e con i loro allievi.9 Ora
sappiamo che quella chiamata un tempo, come fosse una
sola, «la Chiesa cristiana>> di Roma era in realtà un insieme
Introduzione 11

di gruppi residenti in differenti quartieri della città. Ogni


gruppo era un'isola, con un suo luogo di riunione, i propri
capi e spesso una propria interpretazione del vangelo. An­
che se alcune comunità si consideravano «cellule di un'u­
nica Chiesa)) e a volte collaboravano, per esempio nella
raccolta delle offerte per i poveri o nella condivisione del
dono dell'eucarestia, non esisteva però alcuna istituzione
unificata o uniforme. È soltanto negli ultimi decenni del
secondo secolo che compare un vescovo al di sopra di tut­
ti gli altri, ed è allora che cominciano a essere tracciate li­
nee nette di divisione fra i gruppi, con l'esclusione di quel­
li considerati «ereticali)). Così accadeva a quel tempo fra i
cristiani di Roma: nelle altre città la situazione era sicura­
mente diversa, ma il risultato identico.
E tuttavia, neppure l'ascesa dei vescovi eliminò la com­
petizione, né mise fine alle controversie. Man mano che si
ingrossava, il movimento risvegliava anche ostilità e so­
spetti nei non cristiani e si moltiplicavano gli episodi di
persecuzione e martirio. Maestri come il martire del se­
condo secolo Giustino tentarono di difendere i cristiani
dalle accuse dei nemici, ma non per questo rinunciarono
ad accusare alcuni confratelli di essere «eretich> e ispirati
da Satana, e non risparmiarono neppure capi rispettati co­
me il poeta e maestro spirituale egiziano Valentino. Ire­
neo, che divenne vescovo nella Gallia rurale, recatosi a
Roma per parlare con un altro vescovo, restò addolorato e
sgomento nello scoprire quanto fossero profonde le diffe­
renze fra le varie comunità cristiane della città. Prenden­
do esempio da Giustino, tentò di creare una Chiesa unifica­
ta, criticando i maestri spirituali indipendenti, insistendo
sulla necessità che tutti i cristiani seguissero le stesse dot­
trine e respingendo come spazzatura tutti i vangeli a par­
te i quattro inclusi poi nel canone.
Circa centocinquant'anni dopo, il convertito più inatte­
so, Costantmo, che diventò imperatore romano (secondo
lui, con l'aiuto di Cristo), rispose alle preghiere dei cristia­
ni ponendo fine alle persecuzioni e facendosi difensore e
12 Il Vangelo ritrovato di Giuda

protettore della loro religione in tutti i suoi domini. Ma,


da governante pragmatico qual era, tentò di risolvere i
contrasti fra le varie sette appoggiando alcuni leader po­
tenti, che esercitavano l'episcopato nelle chiese principali.
Decise perciò di finanziare soltanto quei gruppi che aves­
sero accolto la definizione del cristianesimo stabilita nel
concilio di Nicea (nell'attuale Turchia) dai vescovi da lui
riuniti nel 325. I dissidenti furono colpiti da anatema, fu­
rono cioè scomunicati, e nei secoli seguenti le loro chiese
furono confiscate o incendiate e i seguaci costretti a
conformarsi alle dottrine e alle pratiche nicene, oppure a
essere espulsi come «eretici». I numerosi scritti di quegli
«eretici», benché letti e ricopiati per secoli, furono an­
ch'essi costretti alla clandestinità e finirono, letteralmente,
sottoterra, vittime mute della guerra contro l'eresia.
Non tutto, però, andò perduto. Come il Vangelo di Giu­
da, molti altri manoscritti furono seppelliti dentro le giare
o nascosti nelle tombe, perché si conservassero per un
lontano futuro in cui le loro voci soffocate potessero tor­
nare a farsi sentire. Prima che questi scritti fossero recupe­
rati, era difficile capire, leggendo i resoconti sarcastici di
Ireneo e di altri autori, perché mai qualcuno si fosse preso
la briga di sprecare tempo e fatica per confutare idee tanto
assurde e immorali. Ora però che questi cristiani parlano
di nuovo con la loro voce che si riteneva perduta, capiamo
perché costituissero una minaccia così seria e fossero at­
taccati con tanta virulenza. Scopriamo che ponevano in­
terrogativi profondi e ineludibili - sulla natura di Dio, il
significato dell'insegnamento di Gesù, la sofferenza dei
martiri e molto altro -, interrogativi non molto diversi da
quelli che ci poniamo ancora oggi.
Il Vangelo di Giuda ci restituisce, come nessun altro te­
sto del cristianesimo primitivo, la sofferenza intensa e la
rabbia che in alcuni cristiani suscitava la morte di familia­
ri e amici, uccisi per intrattenere le folle romane e piegare
con il terrore ogni resistenza. Ma questa collera non è di­
retta tanto contro i romani quanto contro i capi religiosi
Introduzione 13

cristiani che spronavano i fedeli ad accettare il martirio


come volontà di Dio, quasi la divinità volesse a sua gloria
quei corpi torturati. Il loro rifiuto viscerale ad accettare
che un simile Dio fosse degno d'onore risuona ancora og­
gi con forza. Il Vangelo di Giuda ci ricorda che il Dio che
veneravano e la religione per cui anch'essi erano pronti a
morire erano diversi. Qui Gesù impartisce i suoi insegna­
menti sui misteri del regno e sul Dio luminoso al di là di
questo mondo di caos e morte, un Dio che ha preparato
una grande dimora eterna, fulgente di luce e lussureggian­
te di fogliame. Quando, con la conversione di Costantino,
si chiuse l'era delle persecuzioni, nella storia del cristiane­
simo delle origini trionfarono i racconti di esaltazione dei
martiri, che fornivano eroi spirituali alla nuova Chiesa
imperiale. Con il Vangelo di Giuda torna a risuonare una
voce dissenziente, un grido rivolto alla religione perché
rinunci a proclamare che la violenza è volontà di Dio e sco­
po dell'umanità.
Indipendentemente da come le si giudica, queste nuove
voci, per il solo fatto di esistere, rendono impossibile con­
tinuare a raccontare la storia del cristianesimo alla vecchia
maniera. I vangeli che non avevamo mai conosciuto fino­
ra ci invitano a entrare nel mondo straordinariamente di­
namico in cui quella religione si plasmò. Ci sfidano a guar­
dare con occhi nuovi l'insieme di quelle tradizioni così
familiari che chiamiamo «cristianesimo».
Parte prima

Leggere Giuda
I

Giuda: traditore o discepolo prediletto?

Che cosa avrà turbato a tal punto un fedele discepolo da


indurlo a tradire il maestro dopo così lunga e difficile de­
vozione e a consegnarlo ai nemici che da anni volevano
ucciderlo? Perché mai Giuda avrà indicato Gesù alla tur­
ba degli armati venuti a catturarlo e ad arrestarlo nel cuo­
re della notte, quando quasi tutti coloro che avrebbero po­
tuto difenderlo erano immersi nel sonno?
Per migliaia di anni i cristiani hanno dipinto Giuda co­
me l'incarnazione del male. Avido e ispirato dal demonio,
egli è il traditore che Dante situa nel cerchio più basso del­
l'inferno. Ed ecco che il Vangelo di Giuda ne fa il confi­
dente più intimo e fidato di Gesù, colui al quale vengono
rivelati i misteri più arcani e affidato il compito di dare
inizio alla Passione. Per quanto tutto questo possa suona­
re sorprendente all'inizio, al lettore più attento non saran­
no sfuggiti gli indizi già esistenti nei vangeli neotesta­
mentari. I quattro evangelisti sono concordi nel dire che
Gesù aveva previsto, e addirittura abbracciato, la propria
morte. Racconta Marco che prima di condurli con sé a Ge­
rusalemme, dove avrebbe sofferto e sarebbe stato crocifis­
so, Gesù aveva rivelato in segreto ai suoi seguaci che era
necessario che tutto ciò accadesse (Mc 8,31). Giovanni
giunge a suggerire che Gesù stesso concorse al proprio
tradimento perché, qualche istante prima che Giuda u­
scisse, gli disse: «Quello che devi fare, fallo al più presto)) .l
Il Vangelo di Giuda porta queste suggestioni alle estreme
conseguenze. Eppure, neanch'esso risolve del tutto la que-
18 Il Vangelo ritrovato di Giuda

stione. Riesce, però, a sollevare ancora, più forte che mai,


l'interrogativo del perché Gesù sia stato tradito e di quale
sia il significato della sua morte.
I vangeli canonici narrano che dopo lo sconvolgente ar­
resto, la tortura e la lenta, spaventosa esecuzione pubblica
di Gesù, vari gruppi di seguaci discussero più e più volte
di quegli eventi, tentando di capirne il senso. Se Gesù era
l'eletto del Signore, come era possibile che i suoi nemici
avessero avuto il potere di ucciderlo? Chi aveva architet­
tato quel complotto? Quale era stato il vero ruolo di Giuda?
Nonostante le spiegazioni offerte dai vangeli neotesta­
mentari, i vari aneddoti su Giuda in essi contenuti lasciano
aperte molte domande, che non hanno mai smesso di scon­
certare e affascinare i lettori. Il traditore incuriosisce sem­
pre di più del discepolo fedele, come dimostrano le opere
degli artisti: dal bacio del traditore nel famoso dipinto di
Giotto al racconto paradossale su Giuda di }orge Luis Bor­
ges, dal film di Martin Scorsese, L'ultima tentazione di Cri­
sto, al Satana di Michelangelo, ritratto all'inferno nell'atto
di divorare per l'eternità Giuda.
Al tempo in cui entrò a Gerusalemme per l'ultima vol­
ta, Gesù - così suggeriscono i vangeli neotestamentari - si
era ormai conquistato, con la sua fama di maestro e tau­
maturgo, un largo seguito, tanto da suscitare nei gover­
nanti romani il sospetto che fosse un agitatore. E per que­
sto l'avevano mandato a morte, perché servisse da monito
per tutti i sobillatori e ribelli. In effetti, la cattura, l'arresto
e l'esecuzione avrebbero potuto mettere la parola fine alla
sua storia. Molti seguaci abbandonarono il movimento. Il
Vangelo di Luca cerca di rimediare allo sconforto raccon­
tando la parabola dei due discepoli delusi: «Noi sperava­
mo» confidano a un viaggiatore «che fosse lui a liberare
Israele» (Le 24,21 ) ma la realtà li aveva smentiti. . . finché
Gesù stesso non era miracolosamente apparso a ridare lo­
ro coraggio. Alcuni, però, erano rimasti tenacemente ag­
grappati alle proprie convinzioni. Le voci che alcuni fede­
lissimi, come Maria Maddalena e Pietro, avevano visto
Giuda: traditore o discepolo prediletto? 19

Gesù miracolosamente vivo, infusero nuove energie ai


suoi seguaci, molti dei quali, anche se non tutti, prestaro­
no fede a quei racconti. Ma le storie della resurrezione,
anziché fare chiarezza, produssero altre domande. Perché
era stata necessaria la morte di Gesù? Che cosa doveva
portare a compimento?
Il Vangelo di Giuda, insieme a diversi altri testi antichi
scoperti di recente, dal Vangelo di Maria di Magdala alla
Apocalisse di Pietro, ci mostra che gli evangelisti del Nuo­
vo Testamento non erano i soli a essere tormentati da que­
sti interrogativi. Fra quelle prime generazioni di cristiani,
erano in molti a porsi le domande fondamentali, che anda­
vano oltre Giuda per arrivare fino a Gesù, e a cercare una
risposta. Chi era stato - o chi è - Gesù? E qual è la «buona
novella» (questo significa il termine greco evangelion) che è
venuto ad annunciare? Di questi scritti, che per oltre mille­
cinquecento anni si credevano perduti, ci avevano già parla­
to gli antichi. Ireneo, vescovo di Lione, conosceva l'esisten­
za del Vangelo di Giuda e di molti altri, fra cui il Vangelo
degli egiziani e il Vangelo di Tommaso. Sapeva che alcuni
cristiani seguivano un unico vangelo, mentre altri ne se­
guivano più di uno, insieme alle lettere dell'apostolo Pao­
lo e a vari scritti attribuiti ai discepoli di Gesù. Ireneo,
però, era sospettoso della eccessiva varietà, in cui scorgeva
i germi dell'eresia: «Si vantano» scriveva «di possedere
più vangeli di quelli che esistono . . . ma in realtà non ne
esiste uno solo che sia esente da bestemmia».2 Il vescovo
di Lione fu il primo, a quanto ne sappiamo, a insistere che
la Chiesa ha «soltanto quattro vangeli, non uno di più, né
uno di meno» e a spiegare anche perché non potevano es­
sere che quattro. Tutto dipendeva dalla cosmologia. Quat­
tro sono gli angoli dell'universo e quattro i venti della ter­
ra, e «poiché la Chiesa è disseminata su tutta la terra, e
colonna e sostegno della Chiesa è il Vangelo e spirito di vi­
ta, è naturale che essa abbia quattro colonne» a sorreggere
la verità divina.3 Ma perché proprio quei quattro? Perché i
Vangeli di Matteo e Giovanni, dichiara Ireneo, sono stati
20 Il Vangelo ritrovato di Giuda

scritti dagli Apostoli stessi, e gli altri due, Marco e Luca,


da loro discepoli, e quindi sono gli unici affidabili, i soli
che possano essere fatti risalire a testimoni oculari, ai se­
guaci più fidati di Gesù.
Oggi pochi studiosi del Nuovo Testamento sarebbero di­
sposti a prendere per buone le argomentazioni di Ireneo
sull'autenticità dei vangeli, e ancor meno quello che egli
dice degli evangelisti. Benché infatti i vangeli canonici con­
tengano tradizioni - detti di Gesù, parabole e aneddoti -
che risalgono alle origini, anche il più antico dei quattro, il
Vangelo di Marco, fu redatto una quarantina di anni dopo
la morte di Gesù, e gli altri nei tre decenni successivi. Che
gli autori, a noi ignoti, fossero discepoli contemporanei di
Gesù è molto improbabile. Fra 1'altro, anche parecchi dei
vangeli che Ireneo considerava spuri, come il Vangelo di
Tommaso e il Vangelo di Filippo, proclamano di essere sta­
ti scritti da discepoli di Gesù appartenenti alla stessa cer­
chia ristretta, ma anche nel loro caso non esistono testimo­
nianze indipendenti che permettano di risalire agli autori.
L'attribuirne la stesura a un apostolo, come fanno sia
Ireneo sia coloro che egli avversa, era tipico di quei decen­
ni del secondo secolo, in cui i vari gruppi cristiani com­
battevano una guerra delle idee per contendersi l'egemo­
nia sulla nascente religione. Su una cosa non ci sono però
dubbi: anche coloro che scrissero e diffusero i vangeli ri­
fiutati da Ireneo si consideravano cristiani, non eretici.
Ora che possediamo non soltanto la confutazione del ve­
scovo di Lione, ma anche la copia di alcuni dei testi da lui
respinti, fra cui il Vangelo di Giuda, possiamo constatare
quanto la sua versione sia unilaterale. Per la prima volta il
dibattito è a più voci.4 Se fosse possibile porre l'uno di
fronte all'altro l'autore del Vangelo di Giuda e Ireneo, for­
se assisteremmo a un dialogo del genere:
Ireneo: Voi eretici rifiutate il Dio e Creatore del mondo che ha in­
viato sulla terra Gesù a morire per i nostri peccati. E contro l'evi­
denza inconfutabile delle Scritture, negate la bontà del Creatore e
della sua creazione. Praticate un'etica rigida, ma è soltanto la prova
Giuda: traditore o discepolo prediletto? 21

del vostro odio per la carne. Negando la fisicità di Gesù e la sua


promessa che i credenti risorgeranno, sgretolate le fondamenta del­
la salvezza e SVL\Otate di senso il pane e il vino dell'eucarestia, qua­
li corpo e sangue di Gesù. Vi ritenete salvati in ragione della vostra
natura spirituale e della vostra origine celeste, per cui non avete bi­
sogno della fede in Cristo. Sostenete di possedere una conoscenza
speciale, rivelata a voi soltanto. Questo atteggiamento elitario è
non solo arrogante, ma del tutto fallace e sarete dannati in eterno.s

L'autore del Vangelo di Giuda: Ireneo, tu e i cristiani tuoi simili ave­


te grossolanamente scambiato il Creatore del mondo- che la Scrittu­
ra stessa, in modo inequivocabile, dipinge geloso, violento e vendi­
cativo- per il vero Dio e padre del Salvatore Gesù. Siete voi che
negate la bontà divina del vero Dio e Creatore di ogni cosa, che è pu­
ra bontà, luce e verità, attribuendo falsamente a Dio ogni sorta di
iniquita e mali del mondo: sofferenza, morte, ingiustizia, violenza,
brama di sangue sacrificale e chi più ne ha più ne metta. Insistendo
nel dire che il corpo fisico è la vostra vera natura, dimenticate che la
carne è innegabilmente corruttibile, mentre Dio è incorruttibile. Il
corpo, benché possa venerare Dio rettamente, non è immortale, no­
nostante sia stato impresso con l'immagine divina dell'Adamo ed
Eva celesti. Voi siete coloro che condannano al castigo eterno chiun­
que dissenta da voi, nell'arrogante convinzione di essere i soli de­
tentori della verità. Sarete voi a perire per sempre.

Ireneo cerca di controbattere questi argomenti soste­


nendo che la sua versione del cristianesimo discende di­
rettamente dai discepoli più fidati di Gesù, ma l'autore
del Vangelo di Giuda rivendica un'identica origine e in
forma estrema: soltanto Giuda, afferma, ha capito davve­
ro l'insegnamento di Gesù, a lui soltanto egli ha rivelato i
veri «misteri del regno».
Diatribe di questo genere erano frequenti nel periodo in
cui non erano ancora stati fissati né un credo, né un cano­
ne di testi autorevoli e neppure una gerarchia ecclesiastica
che dirimesse le dispute. Furono proprio i vescovi come
Ireneo a stabilire che i contrassegni della «vera Chiesa»
fossero il credo, il clero e il canone. Il vescovo di Lione fu
uno dei primi a volere che tutti i veri cristiani professasse­
ro le stesse dottrine6 e si riunissero per recitare gli stessi
principi di fede. Inoltre egli divise le comunità cristiane
22 Il Vangelo ritrovato di Giuda

fra vescovi e sacerdoti da un lato e «laici» (da un termine


greco che significa «popolo») dall'altro, sostenendo che
questi ultimi dovevano «ascoltare i presbiteri che sono
nella Chiesa>>7 e ricevere il battesimo e l'eucarestia soltan­
to dalle mani dei preti «ortodossi». Ammonì che tutti i
dissenzienti, anche se chierici, sarebbero incorsi in un pe­
ricolo mortale, perché «fuori della Chiesa non c'è salvez­
za». E fu sempre Ireneo a gettare il seme da cui sarebbe
nato il Nuovo Testamento, sostenendo che, per il culto, i
credenti «ortodossi» dovessero servirsi soltanto dei libri
approvati dall'episcopato: tutti gli altri, che egli chiamava
«apocrifi e spuri»,s andavano evitati come la peste, perché
l'eresia allontanava i credenti dalla verità. Gli storici han­
no notato che, di solito, gli insegnamenti che Ireneo classi­
ficava come «ortodossi» erano quelli più utili ai vescovi
per integrare i gruppi sparsi di seguaci di Gesù in un'u­
nica organizzazione coesa, che essi chiamavano «Chiesa
cattolica», ossia universale. La gamma eterogenea di dot­
trine tacciate di «eresia» poteva in effetti risultare antiteti­
ca al consolidamento della Chiesa sotto l'autorità dell'epi­
scopato. Vangeli come quello di Tommaso e di Maria, per
esempio, incoraggiano i cristiani a cercare Dio dentro di
sé e non fanno menzione di chiese, né tanto meno di clero.
Alcuni scritti, rinvenuti fra i testi eliminati perc hé «ereti·
cali», come l'Apocalisse di Pietro, contestano esplicita­
mente «coloro che si chiameranno vescovi e anche diaco­
ni, quasi che abbiano ricevuto da Dio la piena autorità ...
C ostoro sono canali senz'acqua!».9 Non sorprende dun­
que che, in quella fase di sviluppo, i leader religiosi, preoc­
cupati di fondare e rafforzare le strutture istituzionali, re­
spingessero queste accuse come farneticazioni di «eretici»,
esattamente come fece Ireneo con il Vangelo di Giuda, che
liquidò accusandolo di essere una finzione, il cui unico
scopo era quello di confondere i cristiani.
In effetti questo vangelo non poteva che confermare le
sue preoccupazioni. Ireneo non dice se l'avesse letto o ne
avesse soltanto sentito parlare, ma quello che sapeva ba-
Giuda: traditore o discepolo prediletto? 23

stava a indignarlo. L'aspetto che più lo indisponeva - il


giudizio su Giuda, raffigurato come il discepolo più fida­
to e degno di fiducia di Gesù - suscita ancora oggi scon­
certo. Nel Vangelo di Giuda, quando Gesù sfida i discepo­
li a confrontarsi con lui, Giuda è l'unico che osa farlo:
E tutti dissero: «Siamo forti!». Ma i loro spiriti non ebbero il co­
raggio di levarsi per sostenere il confronto, tranne Giuda Iscariota.
Egli ebbe la forza di alzarsi e porsi di fronte a lui, anche se non riu­
scì a reggeme lo sguardo, ma si girò di lato.
Giuda gli disse: ((So chi sei e da dove vieni>> (Giuda 2,18-22).

Ed è a questo punto che Gesù sceglie Giuda, dicendo­


gli: «Separati da loro. TI dirò i misteri del regno. Tu potrai
giungervi, ma conoscerai molto dolore>> (Giuda 2,25-28).
Più avanti, quando il discepolo, agitato e spaventato, rac­
conta a Gesù la visione terribile che ha avuto: «Nella vi­
sione ho visto me stesso. I dodici discepoli mi stavano la­
pidando e mi perseguitavano con violenza>> (Giuda 9,6-8),
Gesù gli dirà che quella visione è il preannuncio dell'odio
e delle calunnie che «i dodici>> gli riserveranno. Poi, però,
lo rassicura, rivelandogli che la partecipazione a quel mi­
stero divino è il suo destino, un destino superiore a quello
dei suoi condiscepoli:
Quanto a te, li supererai tutti. Perché tu sacrificherai l'uomo che
mi riveste . .. . Ecco, ora ogni cosa ti è stata detta. Alza gli occhi e guar­
da la nube e la luce che è in essa e le stelle che la circondano. E la stel­
la che indica il cammino, quella è la tua stella (Giuda 15,3-4; 15,14-16).

Il modo in cui il Vangelo di Giuda raffigura «i dodici>>,


venerati da Ireneo come fondatori dell'episcopato, è scon­
volgente: sono degli stolti, che venerano falsi dei e com­
mettono peccati di ogni sorta, compreso l'omicidio.
Che nel secondo secolo i vari gruppi cristiani legitti­
massero la propria interpretazione del cristianesimo attri­
buendola a questo o a quell'apostolo è fuori di dubbio.
Questo però non risolve la questione di che cosa sia effet­
tivamente accaduto nel corso degli eventi culminati nel­
l'arresto di Gesù. I primi vangeli cristiani offrono prove
24 Il Vangelo ritrovato di Giuda

storiche valide? E il Vangelo di Giuda rivela qualcosa di


nuovo? Per rispondere a queste domande esamineremo
prima i vangeli canonici per vedere che cosa dicono, in co­
sa concordano e in cosa differiscono: tutti e quattro infatti
si interrogano sul ruolo di Giuda e ognuno di essi raccon­
ta una storia diversa. Poi considereremo quale possa esse­
re il rapporto del nuovo vangelo con ciò che potrebbe es­
sere realmente accaduto.

tutti i vangeli c'è un evento storico virtualmente cer­


In
to: la crocifissione di Gesù di Nazareth intorno all'anno
33, sotto il regno dell'imperatore Tiberio, al tempo in cui
Ponzio Pilato era il più alto magistrato romano della Giu­
dea. Su questo concordano tutte le fonti, persino scrittori
del primo e del secondo secolo ostili a Gesù. Giuseppe
Flavio, il governatore ebreo della Galilea (ca 50 d.C.) che
scrisse la famosa Guerra giudaica, accenna a Gesù, definen­
dolo un noto sobillatore.1 o Tacito, il senatore e oratore ro­
mano che detestava i cristiani, spiega con queste parole ai
suoi lettori chi fossero e perché fossero così pericolosi:
(l cristiani) derivavano il loro nome da Cristo, condannato al
supplizio, sotto l'imperatore Tiberio, dal procuratore Ponzio Pilato.
Momentaneamente soffocata, questa rovinosa superstizione pro­
ruppe di nuovo, non solo in Giudea, terra d'origine del flagello, ma
anche a Roma, in cui convergono da ogni dove, e trovano adepti, le
pratiche e le brutture più tremende.ll

Che Gesù sia stato crocifisso è attestato non solamente


da ciascuno dei quattro vangeli neotestamentari e dalle
lettere di Paolo, ma anche da molti vangeli e scritti esclusi
dal Nuovo Testamento, fra cui il Vangelo di verità, il Van­
gelo di Filippo, il Libro segreto di Giacomo, l'Apocalisse
di Pietro e la Lettera di Pietro a Filippo, tanto per citarne
alcuni. Non appena però ognuno di essi tenta di spiegare
il senso di quella morte, ogni concordia cessa. A coloro
che abbandonarono il movimento, la crocifissione parve
la prova che Gesù non era l'eletto di Dio o che comunque
Dio l'aveva abbandonato. Paolo ammette che, quando
Giuda: traditore o discepolo prediletto? 25

predicava fra gli ebrei, la terribile morte sulla croce costi­


tuiva un ostacolo quasi insormontabile per il suo uditorio,
mentre fra i gentili gli insegnamenti di un criminale giu­
stiziato suonavano ridicoli (1 Cor 1,17-24). Che le cose
stessero così lo confermano gli scrittori non cristiani: il fi­
losofo Celso dice che molti disprezzavano i cristiani per­
ché «venerano un sofista crocifisso».l 2 Eppure, per Paolo,
il significato di quella morte era chiaro: «Cristo morì per i
nostri peccati secondo le Scritture» (1 Cor 15,3).
Il senso della morte in croce di Gesù preoccupava anche
altri devoti, come l'autore del Vangelo di Marco, il quale,
però, a differenza di Paolo, affronta la questione costruen­
do un racconto dettagliato dell'arresto e dell'esecuzione.
Come proclamare che Gesù non solo era stato ma era ancora
l'unto del Signore, quando si ammetteva che era caduto,
inerme, nelle mani dei romani per essere torturato e ucci­
so, abbandonato da tutti, persino, come gridò egli stesso,
da Dio (Mc 15,34)? Come far sì che il racconto corrispon­
desse alle attese che questo evangelista aveva suscitato,
annunciando la buona novella, cioè «il vangelo di Gesù Cri­
sto, Figlio di Dio»? Ci si aspetterebbe che Marco si dilun­
gasse sulla resurrezione, e invece egli relega quest'evento
nel futuro e vi allude soltanto.I3 Il fatto è che egli non in­
tende proporre una semplice narrazione storica: la sua è
una predicazione, sotto forma di racconto interpretativo, e
ha lo scopo di trasmettere un significato spirituale.
Il Vangelo di Marco, che fu il primo, ebbe un'influenza
enorme, tanto è vero che i Vangeli di Matteo e Luca, ver­
gati dai dieci ai trenta anni dopo, ne ripresero in gran par­
te il contenuto, a volte addirittura parola per parola. En­
trambi gli evangelisti seguirono il filo del suo racconto,
ma lo arricchirono con altro materiale, spostando in tal
modo l'accento della narrazione e modificando l'interpre­
tazione degli eventi.
Nel narrare, per esempio, l ' arresto di Gesù, tutti e quat­
tro gli evangelisti, compreso Marco, avevano la necessità
di spiegare in quale modo i nemici fossero riusciti a cattu-
26 Il Vangelo ritrovato di Giuda

rarlo. Che cosa dicono, dunque, di Giuda? Dai testi si evin­


ce che i seguaci sapessero che Gesù era stato tradito da uno
di loro: qualcuno che Marco chiama con il nome di Giuda
Iscariota. Sconcertati e turbati, i discepoli meditavano, di­
scutevano e ragionavano su questo terribile atto e sul per­
ché. li Vangelo di Marco, che è la versione più antica a noi
giunta, sembra includere Giuda fra i discepoli che udirono
Pietro dire a Gesù: «Tu sei il Cristo» (Mc 8,29). Subito dopo
questa affermazione, Gesù confida agli Apostoli che dovrà
molto soffrire e che sarà ucciso, e quando Pietro, smarrito e
sconvolto, si mette a rimproverarlo, Gesù lo riprende con
sorprendente asprezza: «Lungi da me, satana!». È come se
non potesse, e non volesse, sottrarsi a ciò che, insiste, deve
accadere: un corso degli eventi necessario, decretato da
Dio. Affinché questo sia chiaro, Gesù chiede a due suoi se­
guaci di allestire la scena messianica del re contadino: egli
entrerà come tale a Gerusalemme, a coronamento della
profezia di Zaccaria:
Esulta grandemente figlia di Sion,
giubila, figlia di Gerusalemme!
Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso,
umile, cavalca un asino, un puledro figlio d'asina (Zc 9,9}.

Poi, prima che Gesù consumasse con i discepoli la cena


pasquale - subito dopo avere ripetuto che sarebbe morto­
Marco dice: «Allora Giuda Iscariota, uno dei Dodici, si
recò dai sommi sacerdoti, per consegnare loro GesÙ>> (Mc
14,10) . Curiosamente, non fornisce alcuna motivazione.
Eppure si dilunga a spiegare che i sommi sacerdoti furono
ben contenti di accettare l'offerta del traditore, sperando
di cogliere Gesù solo con i suoi seguaci, senza la folla da
cui spesso era attorniato, per poterlo così uccidere. Ag­
giunge anche che essi si offrirono di pagarlo, evidente­
mente come ulteriore incentivo: «Quelli all'udirlo si ralle­
grarono e promisero di dargli denaro» (Mc 14,11).
Si direbbe, dunque, che l'evangelista sapesse quello che
si sussurrava in giro e che il Vangelo di Giuda proclama ad
Giuda: traditore o discepolo prediletto? 27

alta voce: Giuda aveva fatto ciò che doveva essere fatto af­
finché il piano divino giungesse a compimento, e forse
aveva addirittura eseguito un ordine del maestro. Poi, pe­
rò, Marco cancella la suggestione che proviene dal suo
stesso racconto con questa solenne dichiarazione di Gesù:
«Il Figlio dell'uomo se ne va, come sta scritto di lui, ma
guai a quell'uomo dal quale il Figlio dell'uomo è tradito!
Meglio per quell'uomo se non fosse mai nato!» (Mc 14,21).
E quando arriva al Getsemani con un manipolo di armati,
Giuda aveva già convenuto con loro un segno:
<<Quello che bacerò è lui; arrestatelo e conducetelo via sotto buo­
na scorta .>> Allora gli si accostò dicendo: <<Rabbi>> e lo baciò. Essi gli
misero addosso le mani e lo arrestarono (Mc 14,44-46).

Questa scena colpì profondamente l'autore del Vangelo


di Matteo, che la riprese quasi per intero, modificando
soltanto qualche dettaglio. Ma, ampliandola, con altri det­
ti attribuiti a Gesù e altre storie non narrate altrove, egli
creò una nuova versione. L'analisi delle aggiunte e dei
cambiamenti introdotti rivela che per questo evangelista
l'autorità suprema era la Bibbia ebraica. A essa egli si ri­
volge ogni volta che è perplesso e turbato, e a essa, natu­
ralmente, ricorre per dare un senso al comportamento di
Giuda. Rileggendo la Genesi, i Salmi e i libri profetici, in­
tanto che medita sulla figura del traditore, vi trova dei
passi e delle allusioni che gli permettono di interpretare il
tradimento come parte del piano divino. Egli riscrive dun­
que il racconto alla luce di queste suggestioni, e rielabora
il nudo episodio di Marco modificandone la sequenza tem­
porale per far sì che la correlazione fra alcuni particolari e
le profezie risulti più stretta. E dovette di certo essergli di
consolazione credere che quei terribili eventi rientrassero
in un disegno divino, che, così scrisse, Dio aveva rivelato
per mezzo dello Spirito Santo.
La novità più importante introdotta in Matteo è la moti­
vazione del tradimento: egli non si limita a seguire Marco,
il quale afferma che i sommi sacerdoti promettono a Giu-
28 Il Vangelo ritrovato di Giuda

da del denaro soltanto dopo che il discepolo si è offerto di


tradire Gesù, ma capovolge l'ordine degli eventi. Volendo
dimostrare che il tradimento è frutto dell'avidità, scrive
che è stato Giuda a prendere contatto con i sacerdoti e a
chiedere una ricompensa: «Allora uno dei Dodici, chia­
mato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti e disse:
"Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni?". E quel­
li gli fissarono trenta monete d'argento» (Mt 26,14-15). Le
trenta monete rinviano a un famoso passo del profeta
Zaccaria, come ben sa l'autore, tanto che inserisce anche
un altro richiamo: Gesù paragona il destino che lo attende
a quello dei profeti e in particolare a quello di Zaccaria,
<<ucciso» nel tempio <<fra il santuario e l'altare» (Mt 23,34-
35). Trenta denari era il misero prezzo che per i governan­
ti di Israele valeva il profeta (Zc 11,12-13): lo stesso am­
montare, con lo stesso identico disprezzo, che i sommi
sacerdoti di Gerusalemme versano per la vita di Gesù. È
questo che l'evangelista vuole comunicare. E poiché a Ge­
sù egli applica anche la visione di Isaia, che raffigura
Israele come lo schiavo sofferente di Dio (Is 53,3-12; Mt
8,17), non gli sfugge sicuramente l'ironia delle trenta mo­
nete d'argento: il prezzo pagato non soltanto per Zaccaria,
ma anche per la vita di Gesù, era nella Bibbia il costo di
uno schiavo (Es 21,32). E quando Zaccaria lamenta il suo
destino di pastore di un gregge destinato al macello (Zc
11,4), l'evangelista trasforma anche questo dettaglio in
una prefigurazione della sorte di Gesù.
Infine, mentre Marco non parla più di Giuda dopo la
consegna di Gesù ai soldati, Matteo, che lo ha ritratto co­
me un uomo dominato dall'avidità al punto di tradire il
maestro per denaro, si ispira di nuovo a Zaccaria per rac­
contare «la morale della storia». Unico fra i vangeli cano­
nici, Matteo raffigura la scena famosa del rimorso, della
disperazione e del suicidio di Giuda.t4 «lo presi i trenta si­
eli d'argento e li gettai nel tesoro della casa del Signore»
dice Zaccaria (Zc 11,13). Altrettanto tenta di fare il Giuda
di Matteo:
Giuda: traditore o discepolo prediletto? 29

Allora Giuda, il traditore, vedendo che Gesù era stato condanna­


to, si pentì e riportò le trenta monete d'argento ai sommi sacerdoti
e agli anziani, dicendo: «Ho peccato, perché ho tradito sangue in­
nocente>>. Ma quelli dissero: «Che ci riguarda? Veditela tu!>>. Ed
egli, gettate le monete d'argento nel tempio, si allontanò e andò a
impiccarsi (Mt 27,3-5).

Le monete di Giuda, al contrario di quelle di Zaccaria,


non possono essere restituite al tesoro del Tempio, perché
sporche di sangue:
Ma i sommi sacerdoti, raccolto quel denaro, dissero: <<Non è leci­
to metterlo nel tesoro, perché è prezzo di sangue». E, tenuto consi­
glio, comprarono con esso il campo del vasaio per la sepoltura de­
gli stranieri. Perciò quel campo fu denominato <<Campo di sangue>>
fino al giorno d'oggi (Mt 27,6-8).15

Si compì così «quanto era stato detto dal profeta Gere­


mia», commenta l'evangelista nel concludere il racconto
con un episodio ispirato a Zaccaria 11,12-13, inframmez­
zato da echi della visione di Geremia, in cui Dio giudica i
malvagi alla maniera del vasaio che spezza i vasi di terra­
cotta non più aggiustabili (Ger 18,1-3; 19,1-13, con l'ag­
giunta del particolare del campo del vasaio).
Anche l'autore di Luca conosce Marco e lo ingloba in
gran parte nella sua narrazione. Ma non si limita a modifi­
care i dettagli, benché spesso cruciali, aggiunge anche una
serie variegata di aneddoti su Gesù e sui suoi insegnamenti.
Come Matteo, interpreta e abbellisce le tradizioni della Bib­
bia ebraica che conosce molto bene. Racconta, per esempio,
la nascita di Giovanni Battista in modo tale che richiami la
nascita di !sacco dal vecchio Abramo e da Sara (Le 1,5-25):
anche i genitori di Giovanni, dice, erano non solo sterili, ma
molto avanti negli anni (Le 1,7). E subito dopo introduce la
storia della miracolosa concezione di Maria in maniera che
riecheggi il concepimento di Samuele, in risposta alle pre­
ghiere della madre Anna, che non poteva avere figli (Le
1,26-56). Ammantando di precedenti biblici il racconto, i cri­
stiani cercavano di contrastare le voci imbarazzanti sulla di­
scussa nascita di Gesù. Tanto Luca quanto Marco sapevano,
30 Il Vangelo ritrovato di Giuda

naturalmente, che i nemici lo accusavano di essere figlio il­


legittimo, e perciò entrambi si danno pena di dimostrare
che la sua nascita era miracolosa.I6
La storia del tradimento, dell'arresto e della morte di
Gesù era, però, molto più imbarazzante da raccontare del­
la nascita. Come si poteva pretendere che un uomo tortu­
rato e mandato a una morte ignominiosa dai romani non
soltanto fosse stato, ma fosse ancora il messia, come procla­
ma Luca? E scrivere, come fa questo evangelista, che uno
dei discepoli a lui più vicini aveva condotto i soldati a cat­
turarlo sul colle e aveva tentato di baciarlo per identificar­
lo (Le 22,47-48) non poteva che moltiplicare le difficoltà.
Così anche Luca andò in cerca di riferimenti biblici che gli
permettessero di inserire lo sconvolgente tradimento nel
contesto delle profezie, per dimostrare che niente di quan­
to era accaduto sfuggiva alla volontà di Dio e che, anzi,
ogni singolo filo apparteneva alla sua trama.
Anche questo evangelista si chiede perché Giuda sia
andato dai nemici di Gesù e abbia tradito il maestro. Am­
messo, cosa non certa, che egli conoscesse la spiegazione
fornita da Matteo, il desiderio di denaro non dovette ap­
parirgli una ragione sufficiente a motivare un atto così ter­
ribile, e perciò non accenna neppure all'avidità di Giuda.
Aggiunge invece al racconto di Marco un dettaglio che
forse rispecchia voci diffuse nel suo gruppo: il Maligno,
che seguiva furtivamente Gesù da quando aveva comin­
ciato la sua predicazione (Le 4,1-13), era tornato a prende­
re la sua preda. In quella notte fatale, quando Giuda si al­
lontanò dagli altri, «Satana entrò in Giuda, detto Iscariota,
che era nel numero dei Dodici)) (Le 22,3) e fu allora che
egli cominciò a tramare. Il potere soprannaturale del ma­
le, dice in sostanza l'evangelista, compì ciò che la sola for­
za umana non avrebbe potuto né compiere né impedire.
Nel racconto di Marco, Giuda, quando bacia Gesù, lo
saluta semplicemente con «Rabbi! )). Matteo e Luca rendo­
no più drammatica la scena, inserendo un dialogo. In Mat­
teo, Giuda dice: ((Salve, Rabbi!)) e Gesù replica (con quale
Giuda: traditore o discepolo prediletto? 31

tono è facile immaginare): ((Amico, per questo sei qui!))


(Mt 26,50). In Luca, invece, Gesù rifiuta il bacio e sfida
apertamente Giuda:
Mentre egli (Gesù) ancora parlava, ecco una turba di gente; li
precedeva colui che si chiamava Giuda, uno dei Dodici, e si accostò
a Gesù per baciarlo. Gesù gli disse: «Giuda, con un bacio tradisci il
Figlio dell'uomo?>> (Le 22,47-48).

Un altro aspetto imbarazzante era la facilità con cui Ge­


sù era stato catturato, mentre i suoi discepoli si davano al­
la fuga. Nessuno dei suoi seguaci aveva tentato di difen­
derlo? E in questo caso, come mai? Nei quattro vangeli ci
sono indizi che anche queste domande creavano turba­
mento. Marco dice: ((Uno dei presenti, estratta la spada,
colpì il servo del sommo sacerdote e gli recise un orec­
chio)> (Mc 14,47), ma subito aggiunge che Gesù, il quale in
quegli eventi scorgeva il suo destino, disse: ((Si adempia­
no dunque le Scritture! >>. Soltanto dopo queste parole,
((tutti allora, abbandonandolo, fuggirono>> (Mc 14,49-50).
L'argomento è così scabroso che Luca sorvola. Matteo, in­
vece, cerca di nuovo soccorso nei profeti. Prima, infatti,
che questo accada, Gesù predice che i discepoli lo abban­
doneranno, come aveva previsto Zaccaria (Zc 13,7):
Allora Gesù disse loro: ((Voi tutti vi scandalizzerete per causa
mia .in questa notte. Sta scritto infatti: "Percuoterò il pastore e sa­
ranno disperse le pecore del gregge">> (Mt 26,31).

Poi, come Marco, anche questo evangelista racconta che


tutti i discepoli fuggirono. Aggiunge però che Gesù fermò
il discepolo che aveva aggredito lo schiavo, lo rimproverò
per essere ricorso alla violenza e dichiarò che, se soltanto
avesse voluto, avrebbe potuto invocare eserciti sopranna­
turali a sua protezione:
((Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono ma­
no alla spada periranno di spada. Pensi forse che io non possa pre­
gare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di an­
geli? Ma come allora si adempirebbero le Scritture, secondo le quali
così deve avvenire?>> (Mt 26,52-54).
32 Il Vangelo ritrovato di Giuda

Luca arricchisce la scena, aggiungendovi un miracolo.


Dopo che il discepolo ebbe staccato l'orecchio destro allo
schiavo del sommo sacerdote, «Gesù intervenne, dicendo:
"Lasciate, basta così!". E toccandogli l'orecchio, lo guarì))
(Le 22,51).
Ogni evangelista, dunque, affronta con coraggio quello
che Paolo chiama lo «scandalo)) della morte vergognosa
di Gesù, insistendo nel dire che non soltanto Gesù doveva
morire, come afferma Marco (Mc 9,31), ma che andava
consapevolmente incontro alla morte e l'accettava come
parte essenziale del piano di salvezza divino.
Di vangelo in vangelo Gesù appare sempre più come
colui che domina gli eventi. Il Gesù vulnerabile della ver­
sione più antica diventa più potente man mano che da
Marco si passa a Matteo, a Luca e infine a Giovanni. Acca­
de così anche nella descrizione dell'ultima cena. In Marco,
Gesù, quando rivela ai discepoli che qualcuno di loro lo
tradirà, dice: «In verità, vi dico, uno di voi, colui che man­
gia con me, mi1:radirà)) (Mc 14,18). Sono parole che, con to­
no profetico, richiamano i versetti 10-13 del Salmo 40:
«Anche l'amico in cui confidavo, anche lui che mangiava
il mio pane, alza contro di me il suo calcagno)). 1 7 Ma né in
Marco né in Luca ci sono indicazioni, un gesto o un nome,
che Gesù abbia identificato il traditore in un particolare di­
scepolo. Luca si limita a dire: «Ma ecco, la mano di chi mi
tradisce è con me, sulla tavola)) (Le 22,21). È soltanto nella
versione più drammatica di Giovanni che Gesù addita il
colpevole. Quando il discepolo a lui più vicino, «quello
che Gesù amava)), gli chiede: «Signore, chi è?)) (Gv 13,25),
ottiene una risposta precisa e definitiva. Una risposta alla
quale, guarda caso, calza a pennello la profezia: <<"È colui
per il quale intingerò un boccone e glielo darò". E, intinto
il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di
Simone)) (Gv 13,26).
Gesù dirige ormai ogni atto del dramma e continuerà a
farlo durante tutta la Passione. Ancora prima di identifica­
re Giuda, Gesù aveva già detto ai discepoli che «era giunta
Giuda: traditore o discepolo prediletto? 33

la sua ora di passare da questo mondo al Padre)) (Gv 13,1).


Soltanto dopo avere mostrato che Gesù aveva previsto e
accettato la morte imminente, questo vangelo, come quello
di Luca, scrive che il potere del male si impadronì di Giu­
da: «Già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota,
figlio di Simone, di tradirlo>> (Gv 13,2). Ma poiché il Gesù
giovanneo controlla ogni cosa, incluso l'insinuarsi del de­
monio nel suo discepolo, è soltanto dopo che egli ha intin­
to il boccone e glielo ha dato che «il diavolo entrò in lui))
(Gv 13,27). E allora Gesù ordinò a Giuda: «Quello che devi
fare, fallo al più presto)) (Gv 13,27). Nessuno dei commen­
sali, osserva l'evangelista, capì il senso di quelle parole: al­
cuni pensarono si riferissero alle responsabilità di Giuda
come tesoriere del gruppo, perché qualche versetto prima
Giuda era stato descritto come un ladro, un uomo avido,
che rubava dalla cassa comune e criticava gli sprechi dei
condiscepoli per ostentare la propria misericordia (Gv
12,4-6). In Giovanni, Gesù non solo non permette a Giuda
di identificarlo con il bacio, ma è lui stesso, e non per una
volta, ma per due, a farsi riconoscere. Quando Giuda ar­
rivò alla testa di un «distaccamento di soldati e di guar­
die)), muniti di torce, lanterne e armi,
Gesù, conoscendo tutto quello che gli doveva accadere, si fece
innanzi e disse loro: «Chi cercate?>>. Gli risposero: «Gesù, il Naza­
reno>>. Disse loro Gesù: «Sono io!>>. Vi era là con loro anche Giuda,
il traditore. Appena disse: «Sono io>>, indietreggiarono e caddero a
terra. Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?>>. Risposero: «Gesù, il
Nazareno>>. Gesù replicò: «Vi ho detto che sono io. Se dunque cer­
cate me, lasciate che questi se ne vadano>> (Gv 18,4-8).

E mentre i soldati arretrano e crollano come folgorati, è


chiaramente Gesù quello che dà gli ordini fino a indicare
ai soldati chi arrestare e chi lasciare libero.
Consideriamo ora il Vangelo di Giuda. Che altro fa se
non portare alle estreme conseguenze la tendenza a raffi­
gurare in Gesù il dominus della situazione? Come in Mar­
co Gesù incarica alcuni discepoli di preparare il pasto pa­
squale e il suo ingresso a Gerusalemme, e in Giovanni
34 Il Vangelo ritrovato di Giuda

ordina a Giuda di fare al più presto quello che deve, cosi


in questo vangelo egli chiede a Giuda di consegnarlo alle
autorità, perché ciò che deve avvenire avvenga. Ma il rac­
conto degli eventi finisce qui: non ci sono né l'arresto, né
la tortura, né la crocifissione, né la resurrezione. Questo
autore non pone al centro dell'attenzione la morte di Ge­
sù, ma ciò che egli rivela a Giuda prima di morire: i miste­
ri del regno.
E la realtà storica? Dov'è finita? Nel corso dei secoli i
cristiani hanno preso alla lettera gli evangelisti: hanno
creduto non soltanto che gli eventi si siano veramente
svolti come racconta il Nuovo Testamento, ma che fossero
stati predetti centinaia di anni prima dai profeti. Credere
che tutto fosse avvenuto secondo le intenzioni divine era
rassicurante. Oggi, fra gli studiosi neotestamentari non
c'è accordo su che cosa e quanto della narrazione evange­
lica sia storicamente fondato. Da un'analisi comparata dei
testi si arguisce che gli evangelisti rielaborarono il raccon­
to della morte di Gesù in modo tale da sottolineare alcuni
concetti teologici e risolvere il problema centrale di un
messia sottoposto dalle autorità romane a una morte infa­
mante. Quale ruolo ha avuto l'invenzione? È possibile
ipotizzare che gli eventi narrati nei vangeli, con la loro
evidente consonanza con gli scritti profetici, siano stati
ispirati da questi ultimi e non abbiano nessun fondamen­
to reale? Uno studioso del Nuovo Testamento, John Do­
minic Crossan, pone la questione in questi termini: i parti­
colari della crocifissione sono «storia profetizzata)) o
«profezia storicizzata)) ?I B
Che ci siano episodi inventati, che prendono spunto dal­
le profezie bibliche è fuori di dubbio. Si confronti, per
esempio, il modo in cui Marco e Matteo narrano «l'ingres­
so trionfale)) di Gesù a Gerusalemme nel giorno che i cri­
stiani chiamano domenica delle palme. Abbiamo già visto
la versione di Marco: Gesù entra in città in groppa a un asi­
no, acclamato dai suoi seguaci come re di Israele. La corri­
spondenza con la profezia di Zaccaria non sfugge all'auto-
Giuda: traditore o discepolo prediletto? 35

re del Vangelo di Matteo, che vi aggiunge diversi versetti.


Nella sua rielaborazione egli antepone addirittura una pa­
rafrasi dell'oracolo in Zaccaria: «Ecco, a te viene il tuo re.
Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un pule­
dro figlio d'asina)) (Zc 9,9), e scrive: «Dite alla figlia di
Sion: ecco, il tuo re viene a te, mite, seduto su un'asina (e
su) un puledro, figlio di bestia da soma)) (Mt 21,5).* L'auto­
re, pur così attento a seguire le tracce dell'oracolo di Zacca­
ria, sembra non accorgersi che nell'ultimo versetto il profe­
ta ricorre all'artificio letterario della ripetizione poetica.
Era evidentemente così concentrato a fare sì che la sua de­
scrizione concordasse il più possibile con la profezia che
modificò il racconto di Marco, scrivendo che Gesù ordinò
ai discepoli di portargli un asino e un puledro, con l'assur­
do risultato che egli entra a Gerusalemme in groppa a due
animali: «< discepoli andarono e fecero quello che aveva
ordinato loro Gesù: condussero l'asino e il puledro, misero
su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere)) (Mt 21,6-7).
Fino a quale punto si spinge la finzione? Gli autori dei
Vangeli di Matteo e di Marco hanno immaginato anche il
tradimento di Giuda? Alcuni studiosi sostengono che gli
evangelisti hanno visto nell' «uomo dei dolorb) della visio­
ne di Isaia, «percosso da Dio e umiliato)) la profezia che
'
Gesù sarebbe stato tradito e «consegnato per i nostri delit­
ti)), che è quanto suggerisce la versione in greco dei Set­
tanta.t9 Altri spiegano che, quando i seguaci di Gesù chie­
devano chi mai avrebbe potuto tradirlo, i due evangelisti
ritennero di avere trovato la risposta nel Salmo 41: «An­
che l'amico in cui confidavo, anche lui, che mangiava il
mio pane, alza contro di me il suo calcagno)) (Sal 41,9).
Durante la cena, quando i discepoli domandano a Gesù
chi lo tradirà, in entrambi i vangeli la risposta evoca la
profezia di Davide:

• La versione inglese più comune recita: «. . . mounted on an ass, and on a co/t>>,


cioè «seduto su un asino e su un puledro>>, mentre in quella ufficiale italiana si
legge: «seduto su un'asina con un puledro>>.
36 Il Vangelo ritrovato di Giuda

Mentre mangiavano disse: «In verità io vi dico, uno di voi mi


tradirà>>. Ed essi, addolorati profondamente, incominciarono cia­
scuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?>>. Ed egli rispose:
((Colui che ha intinto con me la mano nel piatto, quello mi tradirà»
(Mt 26,20-23).

I fautori della tesi della <<profezia storicizzata>> sosten­


gono che gli evangelisti avrebbero effettuato una scelta di
passi profetici e li avrebbero collegati con un filo narrativo
per creare la storia di Giuda. Il racconto del tradimento di
Giuda, concludono allora alcuni, non ha quindi nessun
fondamento storico.2o
Può darsi che abbiano ragione. Ma perché mai i seguaci
di Gesù avrebbero dovuto inventare un episodio del gene­
re? Ammettere che uno dei discepoli più vicino al maestro
si era ribellato e l'aveva tradito era uno scandalo. Se non
fosse stato vero, perché avrebbero rischiato di gettare una
simile onta sul movimento? E se a inventare un personag­
gio come Giuda fosse stato qualcuno estraneo al gruppo,
non l'avrebbero forse accusato di calunnia? Poiché la sto­
ria del tradimento di Giuda era molto nota e non fu mai
smentita, è probabile che qualcuno dei suoi seguaci avesse
davvero tradito Gesù.21 I vangeli canonici, infatti, anziché
negare l'imbarazzante circostanza, cercarono solo di miti­
game gli effetti, prima di tutto affermando che Gesù cono­
sceva il suo destino e lo accettava, e poi stabilendo un nesso
fra questo evento e le profezie, per dimostrare che niente,
per quanto orrendo, sfuggiva al disegno divino.
E dunque, anche nell'accingersi a raccontare eventi che
sapevano realmente accaduti, gli evangelisti rivisitarono
le scritture ebraiche in cerca di consonanze con le profe­
zie: così, per esempio, il lamento di re Davide nel Salmo
41 per il tradimento di un amico si prestava a essere inter­
pretato come anticipazione di ciò che Giuda avrebbe fatto
a Gesù. A interessarli, più che la storicità degli eventi, era
l'insegnamento che per loro tramite volevano trasmettere:
nel caso del suicidio di Giuda, per esempio, l'insegnamen­
to era quello che il male porta la rovina.
Giuda: traditore o discepolo prediletto? 37

Ogni vangelo racconta pertanto daccapo la morte di Ge­


sù per mettere in risalto questa o quella dottrina. Marco
vuole sottolineare che la sofferenza e la morte del messia
sono necessarie per l'avvento del regno di Dio e il giudi­
zio finale; Matteo che tutti gli eventi accaduti rientrano
nel disegno divino, anche il comportamento di Giuda, no­
nostante egli agisca sotto la spinta del più terreno dei pec­
cati, l'avidità. In Luca, Gesù segue lucidamente ogni mos­
sa, persino quando Satana si impossessa di Giuda, per
portare a compimento il piano del Creatore. Giovanni si
spinge oltre e raffigura Gesù come colui che dirige ogni
cosa, compreso il proprio tradimento.22 Il Vangelo di Giu­
da, dunque, non è che una delle tante versioni di una sto­
ria più volte raccontata. Ma l 'autore vi imprime una svol­
ta radicale, rovesciando la colpa sui «dodici».
n

Giuda e «i dodici»

Ora che abbiamo constatato come tutti i vangeli neotesta­


mentari considerino il tradimento di Giuda volontà di Dio,
non sembrerà più tanto strana la tesi sostenuta dal Vange­
lo di Giuda, secondo il quale, nel consegnare Gesù, il di­
scepolo non fece che eseguire le istruzioni del maestro.
Sorprende di più il capovolgimento di ciò che sapevamo, o
credevamo di sapere, degli altri discepoli. L'autore non si
limita infatti a difendere colui che tutti gli altri definiscono
il «cattivo)) ma condanna senza appello i «dodici)). Il gior­
'
no in cui essi vanno da Gesù a raccontargli un sogno che li
ha turbati - sogno nel quale, in suo nome, i sacerdoti del
tempio sacrificavano sull'altare le mogli e i figli e commet­
tevano ogni sorta di peccati e ingiustizie - la spiegazione
del maestro li lascia esterrefatti e incolleriti. «Quelli che
avete visto ricevere offerte all'altare siete voi . . . )) dice Gesù.
«E gli animali che avete visto condurre al sacrificio sono le
moltitudini che voi sviate su quell'altare)) (Giuda 5,1; 5,4).
Ma allora quei discepoli che generazioni e generazioni di
cristiani hanno venerato e venerano ancora quali capi e
fondatori della loro religione, sarebbero i veri traditori di
Gesù? Loro, e non Giuda?
Eppure, per quanto radicale sia il rovesciamento della
tradizione, questo autore non si comporta, tutto sommato,
molto diversamente dagli altri evangelisti, ognuno dei
quali non soltanto privilegia uno o più discepoli, ma spes­
so parla anche di disaccordi fra i «dodici)): racconti pre­
ziosi per gli storici, perché lasciano intravedere le lotte di
Giuda e «i dodici» 39

potere nel movimento delle origini e mostrano intorno a


quali temi si svolgesse lo scontro.
Il Vangelo di Marco, per esempio, indica in Pietro il di­
scepolo designato a guidare il gruppo dopo la morte di
Gesù, perché è il primo a riconoscere la vera natura del
messia, anche se poi lo fraintende e addirittura lo rinnega
(Mc 8,27-33; 14,53-72). Matteo rivendica con forza il pri­
mato di Pietro e, unico fra tutti e quattro gli autori neote­
stamentari, aggiunge anche che Dio ha scelto Pietro affin­
ché rivelasse l'identità di Gesù e fosse la pietra angolare
della sua futura Chiesa:
E Gesù (a Pietro): «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la
carne, né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei
cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia
Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te
darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra
sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto
nei cieli>> (Mt 16,17-19).

Sarà questa solenne investitura a ispirare nei cristiani


delle generazioni successive l'immagine di Pietro quale
custode della soglia del cielo - colui che decide chi entrerà
nel regno dalle «porte di perla>> - e quale detentore del­
l'autorità divina sulla terra.
L'autore del Vangelo di Luca e degli Atti degli Apostoli
racconta una versione leggermente diversa: Gesù dichiara
che tutti «i dodici>> regneranno insieme a lui e «siederan­
no in trono a giudicare le dodici tribù di Israele>>. Poi però
inserisce molti episodi nuovi per dimostrare che Pietro è il
primo fra «i dodici>> e parla a nome di tutti come capo in­
discusso (Le 22,29-32; 24,34; At 1,15; 2,14).
Altri scritti delle origini, inclusi o esclusi nel Nuovo Te­
stamento, testimoniano tuttavia che alcuni gruppi cristiani
non riconoscevano il primato di Pietro, di cui mettevano
in dubbio la capacità di giudizio e il carattere, proponen­
do altri leader. Il Vangelo di Giovanni, per esempio, ne ri­
conosce il prestigio, ma lo mette sempre al secondo posto,
dopo quello che considera il più grande degli Apostoli, e
40 Il Vangelo ritrovato di Giuda

che indica semplicemente con l'espressione «il discepolo


che Gesù amava» (Gv 13,23) Questo evangelista conferma
.

la legittimità di Pietro come leader, ma gli antepone sem­


pre l'altro. Quando i due corrono verso il sepolcro, il «di­
scepolo che Gesù amava» corre più forte di Pietro e, pur
non essendo il primo a entrare, è lui, e non Pietro, il primo
a credere che Gesù è risorto. E quel che più conta, non è
Pietro a scorgere per primo Gesù e a parlargli dopo la re­
surrezione, ma è Maria di Magdala, ed è lei a essere inca­
ricata di annunciare l'apparizione agli altri discepoli (Gv
20,1-4; 8,11-18). Come testimone di questo grande evento,
dunque, Pietro, non è preceduto soltanto dal «discepolo
prediletto», ma anche da Maria.
Anche il Vangelo di Tommaso annovera Pietro fra i capi
dei discepoli, ma lascia intendere che il destinatario del­
l'insegnamento più profondo di Gesù è stato Tommaso. E
quando i discepoli chiedono a Gesù: «Sappiamo che ci la­
scerai. Chi sarà la nostra guida allora?», la risposta che ot­
tengono è: <<Ovunque siate, andate da Giacomo il Giusto».
Giacomo era, a quanto pare, il fratello di Gesù (Mc 6,3) ed
era considerato da molti il suo legittimo successore. Se­
condo la tradizione, egli guidò uno dei primi gruppi cri­
stiani di Gerusalemme fin verso il 62, quando fu gettato
giù da un parapetto e picchiato a morte.! Ancora oggi in
quella città la chiesa di san Giacomo, presieduta dal ve­
scovo della Chiesa ortodossa armena, celebra Giacomo e
non Pietro come primo apostolo di Gesù.
Il Vangelo di Tommaso racconta anche una disputa fra
Pietro e Maria di Magdala, in cui Pietro dice ai condisce­
poli: «Cacciate via Maria, perché le femmine non sono de­
gne della vita (spirituale)». Ma Gesù, anziché allontanare
la donna, rimprovera Pietro, dicendogli: «lo le insegnerò a
diventare . . . uno spirito vivo��,2 affinché anche lei, come
ogni donna, possa avere una vita spirituale al pari di
qualsiasi uomo. Diversi scritti del cristianesimo delle ori­
gini, e in particolare il Vangelo di Maria, narrano di con­
trasti fra Pietro e la Maddalena.J Nel Vangelo di Maria, è
Giuda e «i dodici» 41

lei ad assumere il ruolo di guida alla morte di Gesù, quan­


do i discepoli, presi dal timore di essere arrestati e uccisi
come lui, appaiono terrorizzati all'idea di diffonderne le
dottrine. Allora Maria si alza e rincuora i compagni, «vol­
gendo al bene la loro mente» (Maria 5,9).4 E Pietro, memo­
re del fatto che Gesù la «amava più delle altre donne», le
chiede di rivelare «le parole del Salvatore che tu conosci,
ma non noi» (Maria 6,2). Quando, però, Maria acconsente
a condividere con lui il segreto, l'apostolo, roso dalla gelo­
sia, non riesce più a contenersi: «Ha egli forse parlato real­
mente in segreto e non apertamente a una donna, senza
che noi lo sapessimo? Ci dobbiamo ricredere tutti e ascol­
tare lei? Forse egli l'ha anteposta a noi?» (Maria 10,3-4).
Ferita da tanta collera, Maria replica: «Pietro, fratello mio,
che cosa credi dunque? Credi tu che io l'abbia inventato
in cuor mio, o che io menta riguardo al Salvatore?» (Maria
10,5-6). Interviene allora Levi, che cerca di placare il com­
pagno:
«Tu sei sempre irruente, Pietro! Ora io vedo che ti scagli contro
la donna come (fanno) gli avversari. Se il Salvatore l'ha resa degna,
chi sei tu che la respingi? Non c'è dubbio, il Salvatore la conosce
bene. Per questo amava lei più di noi» (Maria 10,7-10).

Ognuno di questi vangeli, nel privilegiare uno o più di­


scepoli, sostiene di parlare nel nome di Gesù, ora che egli
non è più sulla terra. E ognuno cerca la risposta alle do­
mande più assillanti: chi possiede il suo potere ora? Chi
deve prenderne il posto? Chi ha il legame più forte con
Gesù? Quali visioni sono più affidabili? La risposta che
viene data da ciascuno ha anche l'effetto, di certo non ca­
suale, di restringere a un pugno di discepoli, elencati per
nome, la cerchia delle persone autorizzate a parlare. Furo­
no «i dodici», si legge negli Atti degli Apostoli, a imporre
le mani, autorizzando altri a trasmettere il potere divino
così ricevuto (At 6,6). Molte Chiese cristiane hanno ritua­
lizzato questo processo attraverso l' «ordinazione)): un ve­
scovo o un altro ministro trasmette, con l'imposizione del-
42 Il Vangelo ritrovato di Giuda

le mani, l'autorità divina ai candidati al sacerdozio. La ce­


rimonia, in varie forme, si ripete fin dal primo secolo nelle
chiese di tutto il mondo e spesso con la stessa finalità: pre­
venire le dispute per il potere e la primazia, autorizzando
poche voci ed escludendone altre dalla conversazione.
E tuttavia i vangeli e le lettere del Nuovo Testamento
non si limitano a eleggere alcuni discepoli: offrono anche
la testimonianza di quali fossero i temi che più divideva­
no i credenti in quei decenni fondativi. La disputa fra Pie­
tro e Maria, che abbiamo appena letto, sottintende, per
esempio, una questione controversa e potenzialmente
esplosiva: può una donna essere un leader fra i discepoli,
anzi, può essere anche soltanto un discepolo? Ancora oggi
i cristiani si appellano spesso ai vangeli neotestamentari e
ad altri testi canonici come la Prima lettera a Timoteo per
«dimostrare» che le donne non possono occupare posizio­
ni autorevoli nelle loro Chiese. E invece il problema susci­
tava dibattiti accesi già fra i primi seguaci di Cristo, come
si può arguire dalle controversie fra Pietro e Maria.s
Gli autori dei primi secoli, nel momento in cui si appre­
stavano a raccontare le rivalità fra i discepoli e sceglieva­
no quali episodi inserire e quali tralasciare, si schieravano
di fatto con un gruppo o con l'altro. A volte, la narrazione
dei conflitti fra «i dodici» era un mezzo per drammatizza­
re le tensioni esistenti all'interno delle varie comunità cri­
stiane su particolari questioni pratiche, ma il più delle
volte le divergenze non provocavano scissioni. Spesso un
autore narrava una disputa allo scopo di sottolineare e
correggere un errore dei discepoli. Nel Vangelo di Marco,
per esempio, Giacomo e Giovanni vanno da Gesù e gli di­
cono: «Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti
chiederemo». Quando Gesù chiede che cosa desiderino, i
due fratelli rispondono: «Concedici di sedere nella tua
gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gli altri,
«all'udire questo, si sdegnarono». I due non hanno capito
il significato del discepolato: Gesù spiega loro che i primi
non saranno coloro che cercano la grandezza per sé, che
Giuda e «i dodici» 43

essere discepoli significa rinunciare alla propria vita e al


potere per servire gli altri, e perciò «chi vuol essere gran­
de fra voi si farà vostro servitore e chi vuol essere il primo
fra voi sarà il servo di tutti»> (Mc 10,35-45).6
È anche vero, però, che nei vangeli neotestamentari i
contrasti fra i seguaci di Gesù, pur essendo frequenti, non
producono in genere scissioni. I gruppi cristiani, allora co­
me ora, si mostrano capaci di accogliere una gamma note­
vole di punti di vista su terni controversi. Le voci del Nuo­
vo Testamento non dicono praticamente tutte la stessa
cosa, come vorrebbe invece la tradizione successiva. Fra
l'una e l'altra ci sono molte differenze e coloro che le hanno
riunite in un canone hanno tollerato una notevole diversità
di posizioni, per così dire, «all'interno della famiglia».
La diversità, dunque, non è una novità. Tutt'altro: le
fonti più antiche attestano che, appena vent'anni dopo la
morte di Gesù, Paolo constatò con sgomento che i vari
gruppi cristiani non seguivano gli stessi maestri. Sgridò
quelli del porto greco di Corinto perché tra loro regnava­
no «l'invidia e la discordia . . . Quando uno dice: "Io sono
di Paolo" e un altro dice: "Io sono di Apollo", non vi di­
mostrate semplicemente uomini?» (1 Cor 3,3-4).
Questo però non gli impedì di aprire a sua volta una
controversia, che minacciò di spaccare il movimento. Nel­
la Lettera ai Galati, Paolo taccia Pietro di ipocrisia, accu­
sandolo di essersi rifiutato di condividere la mensa con i
non ebrei, ossia con i «pagani» (Gal 2,11-21). Quando l'a­
veva raggiunto in Siria, Pietro (qui chiamato Cefa) in un
primo tempo mangiava con lui e i suoi seguaci non cir­
concisi, il che significa che in �uel momento trascurava le
prescrizioni alimentari ebraiclie, che normalmente osser­
vava. Ma all'arrivo di cristiani del gruppo di Giacomo,
smise di farlo. Indignato, Paolo lo accusa di essere un ipo­
crita che, timoroso del giudizio degli altri ebrei, non se­
guiva più la «verità del vangelo» (Gal 2,5). «Orbene,» pro­
clama con veemenza l'autore della lettera «se anche noi
stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo di-
44 Il Vangelo ritrovato di Giuda

verso da quello che vi abbiamo predicato, sia anatema!))


(Gal l,B). E perché non si pensi che egli sia troppo impulsi­
vo, ribadisce il verdetto: «L'abbiamo detto e ora lo ripeto:
se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che
avete ricevuto, sia anatema!>� (Gal 1,9) . La morte di Gesù
era per Paolo il segno che Dio aveva esteso a tutti gli uo­
mini la promessa della salvezza; perciò continuare a os­
servare norme sul cibo esclusive di un gruppo significava
negare la verità del vangelo. Quando, come accade qui,
un leader ne stigmatizza un altro, i conflitti rischiano di
degenerare rapidamente in una frattura, e fu forse ciò che
accadde fra gruppi di convertiti convinti della necessità
della circoncisione e del rispetto delle leggi ebraiche ri­
guardanti la purezza del cibo.
Il movimento cristiano delle origini era fragile, spesso
lacerato da lotte interne: lo si capisce con chiarezza leg­
gendo il Nuovo Testamento. Come mai, allora, molti cri­
stiani hanno ancora oggi l'impressione opposta, sono con­
vinti cioè che la Chiesa primitiva fosse una comunione
unita e armoniosa di credenti, che vivevano insieme nella
gioia della preghiera e del culto con «un cuore solo e un'a­
nima sola)) (At 4,32), spartendo ogni cosa? E come mai
molti considerano ancora Pietro e Paolo fratelli che parte­
ciparono insieme alle lotte della Chiesa primitiva e non
invece, come dice lo stesso Paolo, rivali impegnati in un
duro scontro sul significato della morte di Gesù?
Questa impressione non è affatto casuale: l'ha creata con
grande abilità l'autore del Vangelo di Luca e degli Atti de­
gli Apostoli. Teso a impedire che il disaccordo sfociasse
nello scisma, questo evangelista preferì glissare sulle aspre
lotte intestine fra Pietro e Paolo, tratteggiando invece negli
Atti un quadretto esemplare, che insegnasse ai credenti la
via da percorrere per dirimere i conflitti? A Gerusalemme,
racconta quest'autore, era stato convocato un concilio con
gli Apostoli e gli anziani. Dopo avere discusso della predi­
cazione di Paolo fra i gentili, che aveva creato non poco
turbamento, Giacomo, il diplomatico del gruppo, si alzò e
Giuda e «i dodici» 45

propose un compromesso, che fu accettato all'unanimità


dall'assemblea e reso noto con una lettera a tutti i converti­
ti nel mondo «pagano» (At 15,1-35). Descrivendo l'armonia
di quella che noi spesso chiamiamo «la Chiesa primitiva»,
l'autore degli Atti mirava senza dubbio ad alimentare fra i
cristiani lo spirito unitario, e lo faceva proprio perché era
consapevole che non di una sola Chiesa si trattava, ma di
un insieme di gruppi eterogenei sparsi per il mondo. Pochi
capi pronunciarono condanne aspre quanto l'anatema sca­
gliato da Paolo contro Pietro, e tuttavia, dietro i contrasti
non c'erano soltanto rivalità personali o lotte di potere.
C'erano invece interrogativi fondamentali: Qual era l'in­
terpretazione autentica del «vangelo», e come lo si doveva
seguire nella pratica? Gli schiavi, liberi in Cristo, doveva­
no essere emancipati dai loro padroni terreni? I pagani
convertiti dovevano osservare le leggi ebraiche, e nel caso,
quali? E quali erano i leader più fidati?
Anche il Vangelo di Giuda nasce sotto il segno della lot­
ta. Che senso dobbiamo dare alle parti più strane di que­
sto testo, quelle in cui Gesù attacca «i dodici», li deride,
nega qualsiasi valore al loro culto, intima che smettano di
effettuare sacrifici e li dipinge come sacerdoti malvagi,
che scannano gli esseri umani, persino le mogli e i figli,
per compiacere il loro Dio? E come può quest'autore so­
stenere che a tradire non è Giuda, ma sono «i dodici»?
Siamo forse di fronte ai vaneggiamenti di un eretico fol­
le? Sì, avrebbe risposto senza esitare un padre della Chie­
sa come Ireneo, che di dissidenti molto più miti dice che li
ha fatti impazzire Satana con le sue astuzie. s O non siamo
piuttosto di fronte a una raffigurazione dei «dodici» e dei
loro seguaci che svela l'esistenza di questioni così impor­
tanti da dividere i cristiani in schieramenti contrapposti,
pronti a scagliarsi anatemi l'un l'altro? A differenza di al­
tri scontri in atto nella Chiesa primitiva, quello qui espo­
sto aveva sicuramente il potere di scindere le comunità. Si
tratta di una lotta mortale, letteralmente, visto che «i do­
dici» lapidano Giuda.
46 Il Vangelo ritrovato di Giuda

Che cosa si nasconde dietro queste accuse che infrango­


no l'unità dei primi cristiani? Noi, autrici di questo libro,
ci siamo convinte, dopo un periodo abbastanza lungo di
lavoro sul Vangelo di Giuda, che non lo si possa liquidare
semplicemente come l'opera di un pazzo o di un eretico.
Il suo autore, alla luce delle conoscenze odierne sui cri­
stiani del secondo secolo, periodo in cui questo vangelo fu
scritto, appare come un uomo che ha assunto una posizio­
ne forte, e in ultima analisi perdente, su una questione che
lacerava i cristiani del suo tempo: le continue persecuzio­
ni cui li sottoponevano i romani.
Il cristianesimo dei primordi era costituito da gruppu­
scoli anonimi, che non attiravano granché l'attenzione del­
l'impero. I fedeli si incontravano nelle case private e la loro
presenza pubblica, a quanto è dato sapere, era insignifican­
te. Le persecuzioni vere e proprie erano locali e sporadiche,
e dipendevano molto dall'atteggiamento delle singole co­
munità e dalle inclinazioni dei magistrati romani. Ma, no­
nostante l'esiguità del loro numero, i cristiani non furono al
sicuro fino al 313, quando l'imperatore Costantino, conver­
titosi, promulgò l'editto di tolleranza religiosa. Prima di al­
lora, chiunque rifiutasse di sacrificare agli dei di Roma era
considerato ateo e traditore. I cultori delle divinità romane
associavano ai sacrifici virtù fondamentali: l'obbedienza
agli dei, la lealtà civica e imperiale, i doveri familiari, la pa­
ce e la prosperità. I sacrifici più solenni erano occasioni
pubbliche importanti, che, accanto all'uccisione e all'offerta
delle vittime, comportavano processioni, preghiere, auspici
e banchetti, e potevano costituire grandi eventi politici, so­
prattutto quando le offerte agli dei avvenivano nel nome
dell'imperatore in segno di lealtà e di consenso. Rifiutarsi
di venerare le divinità romane era dunque considerato un
atto di ribellione contro l'impero: i cristiani che avessero at­
tirato l'attenzione delle autorità potevano venire torturati o
brutalmente uccisi in quanto atei e traditori.
Benché nei primi due secoli il numero degli arrestati e
dei giustiziati non fosse molto elevato, ogni credente av-
Giuda e «i dodici» 47

vertiva acutamente il pericolo, e pensava a come compor­


tarsi in caso di arresto. La situazione subì un peggiora­
mento drammatico nel terzo secolo (249-252), quando
l 'imperatore Decio attuò il tentativo sistematico di co­
stringere i cristiani a dimostrare la loro lealtà a Roma, im­
ponendo il sacrificio agli dei e certificandone l'attuazione
con una ricevuta chiamata libellus. Infine, nei primi anni
del quarto secolo (303-305), l'imperatore Diocleziano de­
cretò che chiunque rifiutasse di sacrificare alle divinità di
Roma fosse punito con la morte. Queste prove di forza
per estirpare il cristianesimo, anche se ebbero vita breve e
fallirono nel loro intento, lasciarono però un segno pro­
fondo nell'immaginario cristiano, tanto che ancora oggi le
Chiese esaltano la fede eroica di quei primi martiri.9
Anche l'autore del Vangelo di Giuda, come tutti i cri­
stiani suoi contemporanei, sapeva che professare la propria
fede era pericoloso. A ogni nuova persecuzione, aumenta­
va la paura.to Tertulliano, la cui comunità nordafricana fu
presa di mira all'inizio del terzo secolo, racconta che la vio­
lenza tallonava ovunque i cristiani come un'ombra, che
soldati e magistrati irrompevano nei luoghi di riunione in
cerca dei capi, disperdevano i fedeli terrorizzati e minac­
ciavano di arrestarli.ll Le comunità discutevano animata­
mente sul comportamento da tenere. Che fare? Come rea­
gire? Secondo alcuni, bisognava cercare di sopravvivere a
ogni costo, perché «Cristo è morto affinché noi possiamo
vivere••.12 Secondo i più, tuttavia, di fronte all'ingiunzione
di offrire sacrifici agli dei di Roma, era necessario testimo­
niare la propria fede, perché Gesù aveva ammonito: «Chi
mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò
davanti al padre mio che è nei cielh> (Mt 10,32-33). Alcuni
maestri, fra cui uno famoso nel secondo secolo, Eracleone,
poi annoverato fra gli eretici, raccomandavano di non
prendere l'iniziativa di proclamarsi cristiani, ma, se richie­
sti, di «confessare Cristo•• e assumersene tutte le conse­
guenze, fino all'infamia e alla tortura, cui spesso seguiva
un'esecuzione pubblica spettacolare e dolorosissima.B
48 Il Vangelo ritrovato di Giuda

C'erano però situazioni più ambigue. E se uno avesse


saputo in anticipo dell'arrivo dei romani? Poteva fuggire?
Non aveva detto Gesù ai discepoli: «Quando vi persegui­
teranno in una città, fuggite in un'altra; in verità vi dico:
non avrete finito di percorrere le città di Israele, prima che
venga il Figlio dell'uomo))? (Mt 10,23). O invece la fuga
era un atto vile, che condannava senza scampo il fuggia­
sco, come se avesse offerto i sacrifici? E per evitare il terri­
bile dilemma fra negare la propria fede o andare incontro
alla tortura e alla morte, era ammesso corrompere i fun­
zionari? E come comportarsi con i ricattatori? Era lecito
comperare il silenzio dei delatori? Alcuni citavano a que­
sto proposito Luca, in cui Gesù dice: «Procuratevi amici
con l'iniqua ricchezza)) (Le 16,9). A volte la comunità riu­
sciva a pagare un riscatto per i confratelli che si erano già
proclamati cristiani, aiutandoli così a evitare il martirio.
Ma, si chiedevano, così facendo, compivano un atto di ca­
rità oppure ostacolavano la volontà divina?I4 Che di que­
sti temi si dibattesse siamo certi, perché Tertulliano vi de­
dica un trattato, il De fuga in persecutione (212 ca), nel
quale, pur dando alcuni consigli pratici, come, per esem­
pio, di riunirsi di notte e in piccoli gruppi per non dare
nell'occhio, sostiene con fermezza che non si deve evitare
la «testimonianza)): tutto ciò che accade è per volontà del
Signore e dunque inevitabile, e a maggior ragione lo è il
martirio, che glorifica Dio e rafforza la comunità dei cre­
denti. Un cristiano, di cui si ignora il nome, esorta addirit­
tura a pensare al martirio come a un ottimo affare: con la
sofferenza di una sola ora si guadagna la vita eternaPS
I cristiani che erano stati testimoni oculari del martirio
dei loro fratelli raccontavano il coraggio straordinario del­
le vittime, affinché fosse d'esempio per tutti i seguaci di
Cristo. Nella Gallia rurale dell'anno 177 avvenne una fa­
mosa persecuzione, di cui fu testimone anche Ireneo,
giunto da poco dalla Siria per svolgervi il lavoro di mis­
sionario.l6 In due piccoli centri, Lione e Vienne, una folla
inferocita assalì i cristiani, molti dei quali furono poi arre-
Giuda e <<i dodici» 49

stati dalle autorità con l'accusa di ateismo, per essersi ri­


fiutati di sacrificare agli dei romani. Sotto la minaccia del­
la tortura e della morte, tanti ritrattarono, ma parecchi
(dai trenta ai cinquanta) non si piegarono e furono incate­
nati in un carcere fetido e buio, in attesa dell'esecuzione
pubblica. Diversi morirono di stenti o sotto tortura, alcuni
furono strangolati. I sopravvissuti andarono incontro a
una fine lenta e atroce nel circo, in un giorno che fu di­
chiarato festivo, affinché tutta la città potesse assistervi.
Una decina di anni prima, Ireneo aveva saputo che il suo
mentore amatissimo, il venerabile Policarpo, chiamato so­
vente il «maestro della Siria))' era stato imprigionato, pro­
cessato e arso sul rogo nell'arena della capitale.J7 Quelle
morti gli rimasero incise nella memoria e, una volta ordi­
nato vescovo e nominato successore del novantenne Poti­
no, anch'egli incarcerato e torturato a morte, Ireneo scris­
se un trattato, intitolato Contro Le eresie, in cui celebrava i
martiri che avevano seguito «le orme della Passione del
Signore)) e si scagliava contro gli «eretici)) che non ne ave­
vano imitato l'esempio. 1s
Ireneo non fu l'unico ecclesiastico a glorificare la morte
in difesa della fede. I magistrati romani consideravano le
esecuzioni dei cristiani un mezzo necessario per garantire
la stabilità politica e religiosa dell'impero. I cristiani inve­
ce chiamavano martiri le vittime, ossia «testimoni)) della
verità di Cristo: mentre si interrogavano su come compor­
tarsi se catturati e su che significato potesse avere la loro
morte, riflettevano anche su ciò che era accaduto a Gesù.
La sofferenza e la morte di Gesù hanno avuto molte in­
terpretazioni, diverse tra loro, nel corso dei secoli.19 Alcu­
ni hanno ravvisato in Gesù il buon pastore che offre la vi­
ta per il suo gregge, a dimostrazione dell'amore di Dio
per l'umanità, come dice il Vangelo di Giovanni (Gv
10,11). Per Paolo la morte di Gesù aveva cambiato il corso
della storia, perché permetteva a tutti gli uomini di gode­
re della salvezza promessa a Israele (Rm 9-11). Il rito del
battesimo era, ed è, per tanti cristiani, una replica della
50 Il Vangelo ritrovato di Giuda

morte e resurrezione di Gesù, un affondare nell'acqua per


morire alla vecchia vita e riemergere alla nuova vita dello
spirito. E qualcuno, già fra i primi cristiani, affermava che
la sofferenza di Gesù poneva Dio dalla parte dei poveri e
degli oppressi, proprio come hanno sostenuto di recente i
teologi della liberazione.
La morte di Gesù, però, suscitò anche rabbia e desiderio
di vendetta, come accade quando si subisce un lutto vio­
lento. Il Vangelo di Luca incolpa gli ebrei anziché i roma­
ni: un'accusa falsa, ma che con il tempo condusse a ripe­
tute e spaventose violenze antisemite.2o Altri rivolsero la
loro ira contro i romani. L'Apocalisse di Giovanni raffigu­
ra Gesù quale guerriero vittorioso, che scende sulla terra
alla testa di un esercito di angeli, per annientare i nemici e
gettarli in uno stagno di fuoco eterno. E dipinge Roma co­
me la prostituta di «Babilonia», ammantata della porpora
imperiale e seduta su sette colli, i famosi colli romani, «eb­
bra del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù>>
(Ap 17,1-6). Dio, però, rassicura l'angelo, la consegnerà al­
la bestia, che la odierà, la spoglierà, ne divorerà le carni e
la brucerà con il fuoco (Ap 17,16). Anche l'autore del Van­
gelo di Giuda ribolle di collera, ma non contro gli ebrei o
contro i romani, bensì contro altri cristiani, che il suo Gesù
condanna senza appello: «In verità vi dico, nessuna stirpe
fra voi mi conoscerà mai» (Giuda 2,11).
Perché tanta rabbia? Giuda non solo accetta la morte di
Gesù, ma contribuisce a facilitarla, pur sapendo di decre­
tare in tal modo anche la propria fine violenta. Il proble­
ma, dunque, non è semplicemente l'opposizione al marti­
rio. L'autore non critica i martiri in quanto tali, né afferma
che morire da martire sia un male. A indignarlo è piutto­
sto il significato che molti cristiani attribuiscono alla morte
di Gesù e dei suoi seguaci, quando sostengono che la
morte sacrificate è volontà di Dio e che Dio non solo vuo­
le, ma comanda.2t Una parte dei cristiani, infatti, meditan­
do sulla possibilità di andare incontro a una morte violen­
ta, era giunta a interpretare la morte di Gesù, e la propria,
Giuda e «i dodici» 51

come sacrificio. E mentre si arrovellavano alla ricerca del


senso di quella morte, nella loro mente, come in quella
dell'autore del Vangelo di Giuda, si affollavano le imma­
gini dell'uccisione rituale delle vittime. I sacrifici, che per
la maggior parte delle popolazioni dell'impero romano
costituivano l'atto fondamentale della devozione pubbli­
ca, erano uno spettacolo cruento, benché le vittime fossero
uccise con un colpo solo e subito macellate per arrostirne
le carni, non appena tolte le viscere da cui i sacerdoti trae­
vano auspici.22 Nel Vangelo di Giuda i discepoli sono raf­
figurati alla maniera dei sacerdoti nel Tempio di Gerusa­
lemme, anche se a quell'epoca era ormai stato distrutto.
Le immagini della morte di Gesù sono diffuse in tutta la
letteratura cristiana delle origini. Una delle prime versio­
ni si trova in Paolo: «Cristo morì per i nostri peccati)) (1
Cor 15,3). E Paolo raffigura Gesù come l'agnello pasquale:
«E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato!») (1 Cor
5,7) e ne associa la morte all'uccisione rituale degli agnelli,
che i sacerdoti offrivano a Dio sull'altare del grande tem­
pio di Gerusalemme. 23 In Matteo, Gesù, alla vigilia della
crocifissione, prefigura la propria morte come un sacrifi­
cio, prende il calice e lo porge ai discepoli, dicendo: «Be­
vetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza,
versato per molti, in remissione dei peccati») (Mt 26,28) . In
Marco dice: «Il figlio dell'uomo infatti non è venuto per
essere servito, ma per servire e dare la propria vita in ri­
scatto per molti)) (Mc 10,45). L'immagine dell'agnello per­
mea tutto il Vangelo di Giovanni e Gesù, fin dal suo pri­
mo apparire, viene salutato come «l'agnello di Dio, colui
che toglie il peccato del mondo!)) (Cv 1,29). Nella narra­
zione della crocifissione, l'evangelista modifica il racconto
tradizionale, per far coincidere la morte di Gesù con il
momento in cui si uccidono gli agnelli, e costruisce la sce­
na con parole che riecheggiano le istruzioni bibliche sulla
preparazione della vittima per il pasto pasquale (Cv 19,14).
Ma a connettere inscindibilmente la morte di Gesù con il
sacrificio è soprattutto la Lettera agli Ebrei, che si diffonde
52 Il Vangelo ritrovato di Giuda

in macabri dettagli su come Cristo abbia donato agli uo­


mini la redenzione eterna non «con il sangue dei capri e
dei vitelli e la cenere di una giovenca», ma con il proprio
sangue. Se il sangue e le ceneri degli animali purificano e
santificano la corrotta carne umana, afferma questo testo,
tanto più Cristo, che «offrì se stesso senza macchia a Dio,
purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, per ser­
vire il Dio vivente» (Eb 9,12-14). Era proprio questo modo
di pensare che suscitava orrore nell'autore del Vangelo di
Giuda.
Ma i seguaci di Gesù avevano ulteriormente elaborato
l'immagine dell'agnello, insegnando ai fedeli a celebrare
un pasto comunitario quale replica della morte sacrificate
di Gesù. Paolo, dopo avere citato le parole di Gesù nell'ul­
tima cena, ricorda ai Corinzi: «Ogni volta che mangiate di
questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la
morte del Signore, finché egli venga» (1 Cor 11,26). Il Van­
gelo di Giovanni aggiunge altri particolari. Nella sinago­
ga di Cafarnao, Gesù proclama: «Se non mangiate la carne
del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue non avrete
in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio san­
gue ha la vita eterna e io lo resusciterò nell'ultimo giorno.
Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera be­
vanda» (Gv 6,53-55).
Queste parole, tuttavia, racconta poco dopo Giovanni,
con il loro sentore di cannibalismo suscitarono scandalo e
molti abbandonarono Gesù. È il primo indizio che forse fu
questa interpretazione della morte di Gesù a spingere
Giuda a consegnare il maestro alle autorità: è a questo
punto infatti che Gesù separa Giuda dai «dodici)) e lo stig­
matizza come traditore (Gv 6,64-71) . L'atteggiamento di
Gesù verso coloro che smettono di seguirlo ha somiglian­
ze sorprendenti con quello che egli assume nel Vangelo di
Giuda:
••Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là
dove era prima? È lo spirito che dà la vita, la carne non giova a nul­
la; le parole che vi ho detto sono spirito e vita» (Cv 6,61-63).
Giuda e «i dodici» 53

Forse l'autore del Vangelo di Giuda aveva letto questo


passo di Giovanni e ne aveva tratto la conclusione che
Giuda era l'unico ad avere capito il vero significato delle
parole di Gesù e aveva tradito il maestro per obbedire alla
richiesta che gli era stata rivolta durante l'ultima cena:
«Quello che devi fare, fallo al più presto>> (Gv 13,27). Giu­
da non era dunque posseduto dal demonio, come qualcu­
no, sbagliando, diceva.
In che cosa, esattamente, consisteva l 'errore? Nel Van­
gelo di Giuda, come in quello di Giovanni, Gesù insegna
che «lo spirito è vita ma la carne è inutile». Eppure molti
cristiani si sarebbero convinti che la sofferenza era neces­
saria per la salvezza e l'avrebbero offerta a Dio, in imita­
zione della morte sacrificate di Gesù.
Molti, sapendo che avrebbero potuto un giorno trovarsi
a dover affrontare una fine violenta «per amore del suo
nome», vedevano nella tortura, negli insulti, nel dolore e
nella morte un modo per «seguire Cristo». Paolo dichiara
di aver rinunciato a tutto e di essere pronto a perdere an­
che la vita:
E questo perché io possa conoscere lui, la potenza della sua re­
surrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli
conforme nella morte, con la speranza di giungere alla resurrezione
dei morti (fil 3,10-11).

Così l'apostolo conforta i credenti: patire per Gesù si­


gnifica unirsi a Gesù, risorgere dai morti ed essere accolto
in cielo.
Nessuno esprime questo desiderio di «morire per Dio»
con più radicalità di Ignazio, il vescovo di Antiochia in
Asia Minore arrestato dai romani intorno al llS. Mentre
viene condotto a Roma dai soldati per essere dato in pasto
alle fiere, scrive alcune lettere alle comunità cristiane che
incontra lungo il tragitto e si fa precedere nella capitale da
una lettera ai suoi confratelli, divenuta famosa, nella qua­
le così li esorta: «Pregate il Signore per me perché con quei
mezzi io sia vittima per Dio» (Romani 4,2). Essere sbranato
54 Il Vangelo ritrovato di Giuda

dalle bestie feroci nel circo gli consentirà di «raggiungere


Dio» e garantirsi la salvezza.
Il vescovo di Antiochia si esprime come se il martirio
fosse la via migliore, se non l'unica, per «conquistare Dio»
e afferma ripetutamente che le fiere gli offriranno la gran­
de occasione di «imitare le sofferenze del mio Dio», inten­
dendo naturalmente Gesù (Romani 6,4). A imitazione di
Cristo, egli raffigura il proprio corpo come «pane puro» di
cui cibarsi nell'eucarestia: «Sono frumento di Dio e maci­
nato dai denti delle fiere per diventare pane puro per Cri­
sto» (Romani 4,1). E prega perché nulla venga a turbare
questo piano:
Il fuoco, la croce, le belve, le lacerazioni, gli strappi, le slogature
delle ossa, le mutilazioni delle membra, il pestaggio di tutto il cor­
po, i malvagi tormenti del diavolo vengano su di me, perché voglio
trovare solo Gesù (Romani 5,3).

Ignazio non fu il solo a celebrare l'eroismo dei martiri,


con il duplice scopo di fortificare la fermezza dei credenti
e di impressionare i non credenti con un'immagine asso­
lu tamente salda della fede cristiana. Tali testimonianze,
custodite gelosamente dalle gerarchie ecclesiastiche, ven­
gono lette ancora oggi. Famosa è la storia raccontata negli
Atti di Giustino, che ricostruisce con forza immaginativa
il suo processo, celebrato a Roma intorno al 165. Filosofo
convertito al cristianesimo, Giustino, noto anche come san
Giustino martire, viene arrestato insieme a sei allievi, uo­
mini e donne, che si erano riuniti nella sua casa romana
per ascoltare le lezioni di «filosofia cristiana». Vengono
condotti tutti insieme davanti al prefetto di Roma, Rusti­
co, il quale, per saggiame la lealtà all'imperatore, ordina
che sacrifichino agli dei. Gli indagati rifiutano più volte di
rispondere alle domande, limitandosi a ripetere con voce
forte e chiara: «Siamo cristiani». Perplesso e sinceramente
incuriosito da tanta perseveranza anche dopo la minaccia
di giustiziarli, Rustico si rivolge a Giustino: «Dicono che
sei istruito, che sei convinto di sapere quale sia la verità.
Giuda e «i dodici» 55

Ora ascolta: se sarai fustigato e decapitato, pensi che sali­


rai in cielo? . . . Pensi che riceverai una ricompensa prezio­
sa?». Giustino risponde: «Non lo penso: ne sono assoluta­
mente convinto». E quando anche i suoi allievi rifiutano
di nuovo di sacrificare agli dei, Rustico li condanna alla
fustigazione e alla decapitazione. Mentre vengono con­
dotti via, i condannati recitano a gran voce le lodi del Si­
gnore, forse con parole simili a quelle pronunciate da altri
cristiani sul punto di essere giustiziati: «Sia ringraziato!
Oggi siamo martiri in cielo».24
C'era, però, anche qualcuno che manifestava riserve e
persino repulsione per il martirio. Alcuni spettatori paga­
ni, che nell'agosto del 1 77 assistettero alla morte di un
gruppo di cristiani della diocesi di Ireneo, furono sentiti
chiedere: «Dov'è il loro Dio? Che hanno guadagnato dalla
loro religione, che anteposero alla vita stessa?».25 I capi re­
ligiosi come Ireneo e Tertulliano, che delle persecuzioni
erano stati testimoni, erano persuasi che fosse in gioco la
sopravvivenza del movimento cristiano, e forse non ave­
vano torto. Di fronte a un magistrato romano del Norda­
frica, Tertulliano proclamò con orgoglio che l'unico effetto
delle uccisioni era di accrescere il fervore dei cristiani e
ispirare altri a convertirsi: «Più ci falcidiate, più ci molti­
plichiamo; il sangue dei martiri è seme)) per la Chiesa.26 E
quando alcuni osarono mettere in dubbio il valore del
martirio, Ireneo li accusò di eresia e Tertulliano di viltà.27
Eusebio di Cesarea, scrittore e vescovo del quarto secolo,
nella sua storia ecclesiastica dalle origini al tempo di Co­
stantino, riservò il posto d'onore ai martiri, definendoli le
fondamenta della Chiesa, santi grandi ed eroici, esempi di
coraggio e fede, credenti che avevano testimoniato la ve­
rità con i loro corpi torturati. La campagna per trasforma­
re in eroi i martiri riuscì così bene che mise a tacere quasi
ogni forma di dissenso.
Oggi, però, sappiamo che alcuni cristiani reagirono con
rabbia e polemizzarono furiosamente con i sostenitori del
martirio. La posta in gioco era alta e le discussioni accese.
56 Il Vangelo ritrovato di Giuda

La voce che ci giunge dal Vangelo di Giuda è aspra e di­


scorde. E non è l'unica: altri proclamarono la loro opposi­
zione in scritti che furono vietati, come quelli sepolti a
Nag Hammadi, dalla Testimonianza veritiera all' Apoca­
lisse di Pietro, e in altri ancora, sicuramente perduti. Sic­
come, però, tutti gli esponenti incoronati dalla tradizione
successiva come «padri della Chiesa» militavano nello
schieramento avverso, le uniche opinioni conservate furo­
no quelle di scrittori come Ireneo, che disprezzavano e
condannavano come «abissi di follia e blasfemia» testi
quali il Vangelo di Giuda, in cui si criticava l'interpreta­
zione ufficiale del martirio.28 E finché non sapevamo pra­
ticamente nulla dei dissenzienti, dal momento che quasi
tutti i loro scritti erano stati dispersi e soppressi, poteva­
mo pensare che gli obiettori fossero pochi se non pochissi­
mi. Adesso, però, per la prima volta dopo quasi duemila
anni le nuove scoperte, e fra queste il Vangelo di Giuda, ci
consentono di udire alcune delle voci dei perdenti e cono­
scere i motivi del disaccordo. Che cosa ci dicono su Dio gli
insegnamenti contenuti in questi scritti? E che tipo di con­
dotta impongono?
III

Il sacrificio e la vita dello spirito

Perché mai l'autore del Vangelo di Giuda traccia un'im­


magine così grottesca dei «dodich>, raffigurati come sacer­
doti che offrono sacrifici umani, sviando le moltitudini?
Semplicemente per mettere in evidenza una contraddizio­
ne per lui sconvolgente: benché i cristiani rifiutino la pratica
dei sacrifici, molti di loro, sostenendo che Gesù è morto per ri­
scattare i peccati dell'umanità e che il martirio è gradito a Dio,
pongono di fatto il sacrificio al centro del loro culto. Che que­
sto evangelista avesse sentito i capi della Chiesa spronare
i credenti, magari giovani, se non addirittura membri del­
la sua stessa famiglia, ad andare incontro al martirio? Na­
turalmente non possiamo saperlo. Una cosa è certa, però:
da questo vangelo traspira un'urgenza, come se chi scrive
volesse mettere a nudo l'odiosa follia dei capi religiosi che
incoraggiano i fedeli a lasciarsi uccidere, come se la soffe­
renza fornisse la garanzia della resurrezione e di grandi
ricompense celesti. Non era così che aveva detto Giustino
al giudice romano che lo condannava?
Eppure, anche il Vangelo di Giuda raffigura la morte di
Gesù come sacrificio: consegnandolo alle autorità, Giuda
diverrà il primo dei «dodici», perché, gli dice Gesù, «tu
sacrificherai l'uomo che mi riveste» (Giuda 15,4). Dunque,
sebbene Gesù intimi ai discepoli: «Smettete di offrire sa­
crifich> (Giuda 5,17), la questione che questo vangelo solle­
va non è se la morte di Gesù e dei suoi seguaci debba o
non debba essere considera ta un sacrificio. Che lo sia,
l'autore non ha dubbi. L'errore che commettono vescovi e
58 Il Vangelo ritrovato di Giuda

diaconi sta nel predicare, alla maniera di Ignazio e di Ire­


neo, che con il martirio i cristiani «diventano perfetti>�:
conquistano cioè la certezza di essere premiati con la re­
surrezione del corpo. Costoro si ingannano due volte, ri­
guardo al «Dio» che venerano e riguardo all'idea che il
corpo possa essere innalzato alla vita eterna.
Si ingannano perché sono incapaci di concepire che
possa esistere qualcos'altro al di là del mondo visibile, mor­
tale e si ingannano perché sono incapaci di comprendere
il posto che l'uomo occupa nel disegno divino. È stato pro­
prio a causa di questa ignoranza che il vero Dio e Padre
ha inviato sulla terra Gesù a insegnare e guarire, affinché
gli uomini possano conoscere ciò che «mai essere umano
vedrà�� e di cui nessuna stirpe angelica ha mai preso la mi­
sura (Giuda 10,1-2). Gesù insegna a Giuda che esiste un
più vasto universo dello spirito oltre il mondo limitato
che noi creature terrene percepiamo, e se non impareremo
a comprenderlo, non conosceremo mai Dio né realizzere­
mo la nostra natura spirituale. Al di sopra del mondo ma­
teriale esiste un regno divino di luce e al di sopra della
stirpe mortale esiste una stirpe santa e immortale. Sono
questi, dice Gesù, «i misteri del regno» (Giuda 9,20) e, fin­
ché verranno ignorati, gli uomini si lasceranno facilmente
sviare dai falsi dei. Gesù è disceso dal cielo proprio per in­
segnare quale sia la vera natura dell'universo e annuncia­
re la fine dei tempi, cosicché, divenuti consapevoli, gli es­
seri umani abbandonino il loro culto fallace, connotato
dalla violenza e dall'immoralità dei sacrifici, e scoprano lo
spirito che è dentro di loro.
Quasi metà degli insegnamenti che Gesù rivolge a Giu­
da in questo vangelo riguardano l'esistenza e la struttura
del regno celeste, la sua origine, quella delle divinità che
lo governano e quanto avverrà alla fine dei tempi. Quello
che i «dodici» presumono sia «Dio» e venerano come tale,
dice Gesù, è soltanto un angelo inferiore che li conduce
fuori strada, spingendoli a offrire sacrifici cruenti. È que­
sto falso Dio il responsabile dell'uccisione di Gesù, ed è
Il sacrificio e la vita dello spirito 59

questo falso Dio che i discepoli seguono, quando bestem­


miano Gesù e lapidano Giuda.
Nella prima scena del Vangelo di Giuda, Gesù compare
mentre i discepoli benedicono il pane e recitano il ringra­
ziamento. E subito scoppia a ridere. Che cosa c'è di sba­
gliato in quello che stanno facendo? Perché li schernisce? I
discepoli, probabilmente, non stanno semplicemente rin­
graziando Dio per il cibo che si accingono a condividere,
ma stanno celebrando quel «ringraziamento)) che i cristia­
ni chiamano «eucarestia)) per annunziare la morte del Si­
gnore, come ha insegnato l'apostolo Paolo ( 1 Cor 11,23-
26).1 È della loro ignoranza che Gesù ride: «i dodici)) non
si rendono conto di praticare l'eucarestia a gloria del loro
«Dio))' non del vero Dio. E siccome sono convinti che Ge­
sù sia figlio di quel «Dio)) (Giuda 2,6-9), non vogliono dare
ascolto alle sue parole: « È questo il modo giusto)) ' prote­
stano (Giuda 2,5).
E quando Gesù cerca di indurii alla consapevolezza, tut­
ti, tranne Giuda, non solo oppongono resistenza ma, so­
praffatti dall'ira, imprecano, nel sentirlo deridere i loro sa­
cerdoti: non potrebbe esserci dimostrazione più chiara che
il «Dio)) da essi interiorizzato cede facilmente alle provoca­
zioni (Giuda 2,12-15). Soltanto Giuda si confronta con Ge­
sù, e pur non riuscendo ancora a reggeme lo sguardo, ne
comprende la natura divina e osa parlare: «So chi sei e da
dove vieni)) (Giuda 2,16-22). Egli dimostra così di essere in
grado di capire ciò che la visione rivelerà, e cioè che al di là
dell'universo percepito dai sensi umani vi è il regno invisi­
bile dello spirito, che dobbiamo imparare a conoscere per
conoscere Dio e la nostra natura spirituale.
È a questo punto che Gesù separa Giuda dai condisce­
poli e insegna a lui solo ciò che gli altri non sono ancora in
grado di comprendere, e cioè che oltre il mondo visibile e
noto esiste un regno celeste, nel quale un grande spirito
invisibile dimora in una nube infinita di luce. Questa
energia creativa, benché impossibile da descrivere, è la
sorgente divina di tutte le cose, tanto di quelle trascen-
60 Il Vangelo ritrovato di Giuda

denti quanto di quelle terrene. Dio ha creato anzitutto il


regno invisibile dei cieli, colmandolo di esseri divini, di
luci e di regni eterni chiamati eoni, ciascuno con innume­
revoli miriadi di angeli.
In confronto a questo luminoso regno eterno, il mondo
visibile in cui viviamo è soltanto oscurità e disordine pri­
mordiale. In principio, si legge nella Genesi, prima che Dio
creasse il cosmo, c'era unicamente il caos: «La terra era
informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso» (Gn
1,2). Nel Vangelo di Giuda, Dio, nella sua bontà, ha portato
luce e ordine in questo mondo, ponendo i empi celesti a
governarlo, allo stesso modo in cui in Genesi Egli pone
«luci» nel firmamento a regolare le stagioni e illuminare la
terra (Gn 1,14-19). Gesù rivela a Giuda anche i nomi di al­
cuni di questi ((governatori», come Nebro o Ialdabaoth,
Saklas e altri angeli. Ognuno di essi è associato a un parti­
colare corpo celeste: Nebro, il cui volto gronda fuoco, è
chiaramente connesso con il sole, Saklas e i suoi sei angeli
con i giorni della settimana, i dodici angeli, a ciascuno dei
quali è assegnata una porzione di cielo, governano lo zo­
diaco e, infine, gli angeli posti a regnare sul ((caos e l'oblio>>
sono legati ai cinque pianeti (Giuda 12,5-21).
Questa descrizione, così sconcertante per il lettore mo­
derno, riveste un ruolo fondamentale nel Vangelo di Giu­
da: spiega infatti come mai, in un mondo creato da un Dio
benevolo e onnipotente, esistano il male, l'ingiustizia e la
sofferenza. L'idea che l'universo, lungi dall'essere caotico
o casuale, sia stato costruito da Dio secondo un ordine ar­
monioso, è già contenuta in quello che è probabilmente il
significato originario del termine greco kosmos, ((ordine».
Ma a questa parola il Vangelo di Giuda attribuisce anche
la valenza di ((ciò che perisce». Il duplice senso esprime
l'idea che la creazione è cosa buona, ma i governanti del
mondo infero sono esseri imperfetti e quindi possono
sviare l'umanità. La bontà di Dio, spiega Gesù a Giuda,
consiste nell'avere ordinato e illuminato le tenebre del
caos primigenio, ma gli angeli che egli ha creato perché vi
Il sacrificio e la vita dello spirito 61

regnassero dovevano necessariamente essere partecipi


della natura del loro regno. Essi, perciò, sono limitati nel
potere e nella comprensione: la luce di cui risplendono è
quella fioca del fuoco che si consuma, non la radiosità di­
vina. E questo spiega come mai il governo del mondo sia
finito nelle mani di «angeli caduti», come affermano an­
che altre opere cristiane, come l'Apocalisse di Giovanni,
nella quale Satana e i suoi angeli esercitano il dominio sul
mondo.
Come queste apocalissi, anche il Vangelo di Giuda inse­
gna che Dio ha posto un limite temporale al governo degli
angeli minori: alla fine dei tempi, essi periranno insieme
alle stelle, ai pianeti e agli esseri umani che hanno sviato.
E come il Vangelo di Marco, anche il Vangelo di Giuda af­
ferma che, quando giungerà la fine, ciò che Dio ha creato
«al principio» si estinguerà: «Il sole si oscurerà e la luna
non darà più il suo splendore e gli astri si metteranno a
cadere dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno
sconvolte)) (Mc 13,24-25). Molti cristiani credevano (e con­
tinuano a credere) che tutto finirà nel giorno del giudizio,
in cui i malvagi e le potenze spirituali che li incitano al
male verranno distrutti. Nel momento in cui, rivela Gesù
a Giuda, terminerà il regno di Saklas, le stelle porteranno
a compimento ogni cosa e tutti coloro che adorano gli an­
geli sprofonderanno in un abisso morale, e fornicheranno
e uccideranno i propri figli (Giuda 14,2-8). Saranno questi i
segni della fine.
La cosa più sorprendente del Vangelo di Giuda è, tutta­
via, un'altra: unico in tutta la letteratura cristiana a noi
nota, questo autore scrive che quanti si macchiano di que­
sti peccati lo fanno nel nome di Cristo: sono «cristianh)!
Coloro che, come «i dodici))' praticano l'eucarestia e il sa­
crificio ed esortano i credenti a seguirne l'esempio sono
caduti sotto l'influenza di angeli che, errando, conducono
i loro adoratori all'errore e alla sofferenza. Questi angeli,
pur creati e assegnati ai loro compiti da Dio, sono esseri
imperfetti: a differenza degli angeli celesti del regno tra-
62 Il Vangelo ritrovato di Giuda

scendente, sono mortali e limitati nella comprensione, e


perciò possono sbagliare. La concezione non è nuova: al­
tre fonti ebraiche e cristiane dell'epoca introducono esseri
analoghi nel racconto della creazione per spiegare la sof­
ferenza e gli inganni così frequenti nell'esperienza uma­
na. Il male non può essere stato creato da Dio.
Chi cade sotto l'influenza funesta di questi angeli può
essere indotto, come «i dodici>>, alla violenza e all'immo­
ralità e arrivare fino a uccidere i propri figli nel nome di
qualche potenza infera, che scambiano per Dio. È questo
l'errore che Gesù rimprovera ai «dodici» nel Vangelo di
Giuda: un errore fatale, perché il nostro modo di vivere d­
specchia il nostro concetto di Dio. L'errore dei «dodici»
consiste nel credere di venerare il Dio padre di Gesù, e
pensare che questo loro «Dio» voglia dei sacrifici: non sol­
tanto la morte del proprio figlio, ma anche il «sacrificio»
delle mogli e dei figli dei suoi seguaci. L'allusione a ciò
che accadeva al tempo in cui visse l'autore, quando le ge­
rarchie ecclesiastiche incoraggiavano i credenti a morire
per la fede, è trasparente. Anche quando venerano Dio, i
«dodici» e i loro seguaci celebrano l'eucarestia come repli­
ca di una morte: la crocifissione concepita come sacrificio.
E di fronte al riso di Gesù, i discepoli, anziché chieder­
gliene la ragione o chiedersi in che cosa possano aver
sbagliato, imprecano con rabbia. L'ira violenta da cui so­
no sopraffatti rispecchia quella del «loro Dio». In questo
vangelo, però, accade anche il contrario. Quando Gesù ri­
vela a Giuda una visione differente del divino, la nuova
immagine di Dio genera in lui e in tutti coloro che lo ve­
nerano una percezione profondamente diversa di sé e di
ciò che Dio vuole.
Dunque, il problema fondamentale è che i «dodici», che
nel Vangelo di Giuda rappresentano le gerarchie ecclesia­
stiche, non capiscono chi è Gesù, e neppure chi è Dio. So­
no convinti, nella loro ignoranza, che Dio richieda sacrifi­
ci e sofferenze. Ma, si chiede l'autore di questo testo, e
come lui altri all'interno del movimento cristiano delle
Il sacrificio e la vita dello spirito 63

origini, che Dio è mai questo, che non vuole o non può
perdonare le trasgressioni senza che si sparga del sangue,
quello dei tori o dei capri sgozzati, o peggio ancora quello
degli esseri umani mandati al sacrificio?2 I cristiani devo­
no forse venerare un Dio che esige ciò che il Dio di Abra­
mo, nella Bibbia ebraica, ha rifiutato: il sacrificio di un
bambino, addirittura quello del proprio figlio? Quale Dio
chiederebbe mai a chiunque, e tantomeno al proprio fi­
glio, di morire fra atroci sofferenze prima di accoglierne i
seguaci?
Nel corso dei secoli i cristiani hanno risposto in vari
modi a queste domande.3 Hanno detto, per esempio, che
Dio è misericordioso e amorevole, ma anche giusto nel
chiedere il sacrificio in espiazione dei peccati umani: il de­
bito contratto con il peccato in qualche modo deve essere
pagato. Ma la misura dell'amore divino, proclama il Van­
gelo di Giovanni, sta proprio in questo: nell'avere «tanto
amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché
chiunque creda in lui non muoia, ma abbia la vita eterna»
(Gv 3,16). Potrebbe esserci dimostrazione più grande del
suo amore?
Eppure, il Vangelo di Giuda e altri scritti riemersi di re­
cente testimoniano che alcuni cristiani ritenevano un erro­
re gravissimo venerare un ((Dio>> così limitato, irascibile,
addirittura crudele. Quando il Gesù del Vangelo di Giu­
da, come abbiamo visto, ride dell'eucarestia celebrata dai
suoi discepoli, questi non si rendono conto che non stan­
no adorando il vero Dio, ma il ((loro» Dio. Perciò, stupe­
fatti, i ((dodici» protestano: ((Tu sei il Figlio del nostro
Dio>>. Ma si sbagliano: Gesù è figlio del vero Dio. Per que­
sto vangelo, il loro rito è raccapricciante: distorce gli inse­
gnamenti di Gesù, fraintende il significato della sua morte
e offre un'immagine falsa del divino.
Con un'abile trovata, l'autore presenta questa visione
angosciosa sotto forma di un incubo che i ((dodici» hanno
avuto e ne descrive con tocchi drammatici l'orrore. Tutti i
discepoli sono stati visitati nel sonno dalle stesse immagi-
64 Il Vangelo ritrovato di Giuda

ni: hanno visto dodici sacerdoti offrire sacrifici davanti al­


l'altare maggiore. Non si trattava però di una cerimonia
sacra, bensì di un sacrilegio. I sacerdoti non soltanto sacri­
ficavano animali ma, lussuriosi e assetati di sangue, sacri­
ficavano persino i propri congiunti. E dicevano di farlo
nel suo nome, raccontano terrorizzati i «dodici» a Gesù
(Giuda 4,2-17).
L'interpretazione che Gesù dà dell'incubo lascia i disce­
poli ancora più sconvolti. «Siete voi i dodici uomini che
avete visto)) si sentono dire (Giuda 5,3): l'incubo è lo spec­
chio del loro comportamento. Pensando di fare cosa grata
a Dio, essi in realtà appaiono schiavi di una concezione
distorta di un «Dio)) al quale attribuiscono il desiderio di
sacrifici umani (Giuda 5,13-14). Nel sonno si sono visti co­
me li vede il vero Dio: sacerdoti malvagi che conducono
al macello il proprio gregge.
Il Vangelo di Giuda non dice quale sia stata la reazione
dei «dodici)), ma da quello che sappiamo di loro non poté
che essere di orrore. L'accusa che in questo vangelo Gesù
rivolge ai discepoli sicuramente sorprese e offese molti di
quelli che lo leggevano: i cristiani efano orgogliosi del lo­
ro rifiuto dei sacrifici, che associavano al culto ebraico nel
Tempio di Gerusalemme e all'idolatria pagana. Pregare e
sacrificare agli idoli, affermavano, conduceva senza scam­
po all'immoralità. Chi pratica questi riti, afferma addirit­
tura Paolo, merita la morte (Rm 1,18-32) e un «dio)) che ri­
chieda delle vittime in realtà è un demone (1 Cor 10,20).4
I cristiani non erano i primi a condannare i sacrifici: esi­
steva già una lunga tradizione. I profeti di Israele, ma an­
che i filosofi greci e romani, avevano rimproverato alla re­
ligione convenzionale di promuovere la superstizione,
l'immoralità e la violenza, e di diffondere idee sbagliate
su Dio. I maestri ebraici denunciavano da secoli i culti pa­
gani e accusavano i popoli vicini di scolpire immagini nel
legno o forgiarle nel metallo, per poi inginocchiarsi a ve­
nerare ciò che avevano creato con le proprie mani. Questi
ebrei, compreso il cristiano Paolo, proclamavano che la
Il sacrificio e la vita dello spirito 65

devozione ai falsi dei, in realtà demoni,s portava alla vio­


lenza e alla perversione, quando non addirittura all'assas­
sinio e all'infanticidio.6
I grandi profeti d'Israele come Amos, Osea e Isaia ave­
vano stigmatizzato non soltanto l'idolatria pagana, ma
anche i sacrifici che il loro stesso popolo offriva all'unico
vero Dio nel Tempio di Gerusalemme. Osea, parlando nel
nome del Signore, proclama: « . . . voglio l'amore e non il
sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausth> (Os
6,6). E in Amos, Dio dice:
Io detesto, respingo le vostre feste . . . anche se voi mi offrite olo­
causti, io non gradisco i vostri doni e le vittime grasse come pacifi­
cazione io non le guardo . . . Piuttosto scorra come acqua il diritto, e
la giustizia come un torrente perenne (Am 5,21-24).

Molti ebrei, compreso Gesù, concordavano con Amos


che, agli uomini, Dio chiedeva soprattutto di «praticare la
giustizia, amare la pietà e camminare umilmente» con il
Signore (Mie 6,8): senza queste virtù il sacrificio era inac­
cettabile. In Marco, Gesù insegna che il primo comanda­
mento è «amerai il Si gpore Dio tuo con tutto il tuo cuore,

con tutta la tua mente e con tutta la tua forza», e il secon­
do «amerai il prossimo tuo come te stesso» (Mc 12,30-31).
Sentendo queste pàrole, uno scriba ebreo applaude: questi
comandamenti valgono più «di tutti gli olocausti e i sacri­
fici» (Mc 12,33).7
Anche i filosofi greci e romani criticavano alcune prati­
che devozionali: tutti quei miti costruiti intorno a divinità
gelose e meschine, che fomentavano le guerre e commette­
vano stupri, erano la dimostrazione che esse non merita­
vano alcuna devozione.s Taluni mettevano persino in dub­
bio che gli dei gradissero i sacrifici animali.9 Non erano
l'odore e il sapore della carne a compiacerli: «Il migliore
sacrificio agli dei» diceva il filosofo morale Porfirio «è una
mente pura e un'anima sgombra dalle passioni».IO
E per tutti coloro, non importa se ebrei, pagani o cristia­
ni, che criticavano i sacrifici, il peggiore in assoluto era
66 Il Vangelo ritrovato di Giuda

quello umano. L'autore ebreo del libro della Sapienza so­


steneva, per esempio, che Dio aveva dato la terra di Ca­
naan agli israeliti perché i cananei erano «spietati uccisori
dei loro figli» e nei banchetti divoravano la carne e il san­
gue degli umani sacrificati (Sap 12,5-6). Il governatore ro­
mano Plinio scriveva che il Senato aveva approvato la pri­
ma legge contro i sacrifici umani soltanto nel 97 a.C. e che,
fino ad allora, «questi riti mostruosi venivano ancora cele­
brati».ll E aggiunge che persone sospette, druidi e maghi,
gente selvaggia, li praticavano ancora.t2 Tutte queste accu­
se, non si sa quanto veritiere, dimostrano comunque che i
sacrifici umani suscitavano orrore.
Dato che i cristiani erano famosi, o famigerati, perché ri­
fiutavano i sacrifici, tanto che alcuni preferivano morire
piuttosto che eseguirli, sicuramente l'intenzione dell'auto­
re del Vangelo di Giuda era di scandalizzare i suoi lettori,
raffigurando «i dodici>> mentre offrivano a Dio non solo
animali, ma anche i propri congiunti. Soltanto i loro peg­
giori nemici, che evidentemente scambiavano per canniba­
lismo l'invito simbolico a mangiare il corpo e a bere il san­
gue di Cristo, arrivavano ad accusare i cristiani di uccidere
i bambini e di macchiarsi di ogni genere di turpitudine.n
Fino a non molto tempo fa era diffusa la convinzione
che le accuse di immoralità contro i cristiani provenissero
esclusivamente da fonti esterne al movimento, in partico­
lare dai filosofi greci e romani, inorriditi dalla nuova «set­
ta». Ora però il Vangelo di Giuda aggiunge una voce nuo­
va all'acre dibattito che infuriava all'interno dei circoli
cristiani, una voce non dissimile da quella di un altro con­
fratello che amava parlare chiaro: l'autore della Testimo­
nianza veritiera, che si scaglia con veemenza contro la falsa
testimonianza di quanti esaltano il martirio. La sua prote­
sta, come quella dell'autore del Vangelo di Giuda, è rima­
sta sepolta per secoli ed è tornata alla luce soltanto nel
1945 a Nag Hammadi.I 4 <<Gli stolti» dichiara questo scrit­
tore, pensano «in cuor loro che se confessano "siamo cri­
stiani"» conquisteranno la vita eterna, mentre in realtà si
Il sacrificio e la vita dello spirito 67

offrono «all'ignoranza, a una morte umana». Questi «SO­


no martiri vani . . . rendono testimonianza a se stessi sol­
tanto>>. L'unica cosa che attestano con le loro azioni è la
propria mancanza di discernimento: non sanno «chi sia il
Cristo» e nella loro cecità credono che «se offriamo noi
stessi alla morte a motivo del Nome (il nome di Cristo) sa­
remo salvi». Costoro, dicono in sostanza la Testimonianza
veritiera e il Vangelo di Giuda, ignorano il vero Dio. Im­
maginare che Dio apprezzi i sacrifici umani significa non
avere capito niente del Padre, significa essere prigionieri
dell'influsso sviante delle stelle ingannatrici (Testimonian­
za veritiera 34,1-11). Questi sono pastori che, anziché con­
durre alla salvezza le proprie pecorelle, le spingono fra gli
artigli delle autorità secolari, che le uccidono. L'unico ri­
sultato di tanta violenza è la loro distruzione.
In che cosa consiste dunque l'essere «veri testimoni» di
Cristo? Consiste nel proclamare la sue opere portentose di
liberazione e misericordia, nell'insegnare che il Figlio del­
l'Uomo ha risvegliato i morti, guarito i paralitici, restitui­
to la vista ai ciechi, sanato i malati e liberato gli indemo­
niati. A differenza degli aspiranti martiri, che sono essi
stessi «malati e incapaci di sollevarsi da soli» (Testimonian­
za veritiera 31,22; 34,11), i veri testimoni di Cristo annun­
ciano che la potenza divina è portatrice di pienezza e vita.
L'uomo è vero testimone «quando conosce se stesso e Dio
che sta al di sopra della verità». Soltanto chi si farà testi­
mone di questo messaggio di liberazione - non, invece,
come dicono alcuni, i martiri con la loro morte - conqui­
sterà «la corona che non appassisce» (Testimonianza veritie­
ra 44,23; 45,6).
Il Vangelo di Giuda non si spinge fino a polemizzare o
addirittura mettere in ridicolo i martiri come fa la Testi­
monianza veritiera: si limita a criticare le gerarchie eccle­
siastiche che spingono i cristiani ad amoreggiare con l'au­
todistruzione. Un altro testo ritrovato a Nag Hammadi,
l'Apocalisse di Pietro, ci restituisce una terza voce nemica
dell'incitamento al martirio. Questo autore si scaglia in
68 Il Vangelo ritrovato di Giuda

particolare contro coloro che chiamano se stessi «vescovi>>


e «diaconi, quasi che abbiano ricevuto da Dio la piena au­
torità . . . Costoro ... sono canali senz'acqua!)) (Apocalisse di
Pietro 79,22-31). Li taccia di eresia (Apocalisse di Pietro
74,20-22), e accusa: «Sono costoro che opprimono i fratelli,
dicendo loro: "Attraverso questo [la sofferenza] il nostro
Dio dona la sua misericordia, poiché è solo attraverso
questo che darà la salvezza))*, e non sanno che saranno
colpiti dal castigo divino per avere contribuito a mandare
tanti «piccoli)) alla morte (Apocalisse di Pietro 79,11-21).
Si ha l'impressione che nell'attaccare le gerarchie eccle­
siastiche, accusandole di essere non soltanto in errore, ma
complici del sangue versato, questo autore rivolga le sue
parole ai confratelli che vivevano sotto la minaccia della
persecuzione. L'Apocalisse di Pietro, ossia la «rivelazio­
ne)) che l'apostolo riceve dal Signore, inizia nel Tempio di
Gerusalemme. Pietro e gli altri discepoli temono per la
propria vita: «Mentre egli (il Salvatore) parlava così, io
(Pietro) vidi i sacerdoti e il popolo correre verso di noi con
pietre, come se volessero ucciderei. Io ebbi paura che fos­
simo in procinto di morire)) (Apocalisse di Pietro 72,6-9).
Ma invece di raccomandare loro di sottrarsi al martirio,
Gesù li esorta ad affrontare la morte con coraggio e spe­
ranza: «Tu, dunque, sii coraggioso. Non avere timore di
alcuno! Poiché io sarò con te affinché nessuno dei tuoi ne­
mici prevalga contro di te. La pace sia con te. Sii forte!))
(Apocalisse di Pietro 84,6-11). La «rivelazione)), offerta da
Gesù a Pietro quando l'apostolo contempla, terrorizzato,
la propria morte, ha anche lo scopo di consolare tutti colo­
ro che temevano di incorrere nella stessa sorte e tutti quel­
li che, impauriti, affrontano l'imminenza della fine.
E ora veniamo alla seconda domanda: che tipo di con-

• Si preferisce qui seguire alla lettera la versione inglese anziché riprodurre il


passo corrispettivo dell'edizione italiana dell 'Apocalisse di Pietro curata da
Luigi Moraldi (in Le Apocalissi gnostiche, Milano, Adelphi, 2005) da cui sono in­
vece tratte tutte le altre citazioni.
Il sacrificio e la vita dello spirito f

dotta impongono questi insegnamenti? Di fronte alla


realtà della persecuzione e della morte, alcuni cristiani
erano favorevoli al martirio, perché così voleva Dio per il
bene dell'umanità. I patimenti e persino la morte, diceva
per esempio Ireneo, servono a mostrare la grandezza e la
bontà di Dio, che concede la vita eterna all'umanità pecca­
trice.lS Il Vangelo di Giuda, invece, non solo nega che Dio
possa volere questo genere di sacrificio, ma reputa odiose
le conseguenze pratiche di un simile punto di vista: esso
rende gli uomini complici di omicidio. Predicando che
Gesù è morto fra atroci sofferenze «per i peccati del mon­
do», i capi della Chiesa instradano i fedeli sulla via della
distruzione, spronandoli a imitarne la sorte e, nel contem­
po, incoraggiandoli con la falsa promessa della resurre­
zione del corpo.
Il corpo non risorgerà, afferma il Vangelo di Giuda.
Qual è dunque il significato della morte di Gesù? La ri­
sposta di questo evangelista è radicale. Nel chiedere a
Giuda di «sacrificare l'uomo che mi riveste», Gesù chiede
in sostanza al discepolo di aiutarlo a dimostrare ai suoi
seguaci che, quando oltrepasseranno i limiti dell'esistenza
terrena, potranno anch'essi entrare nell'infinito, in Dio.
IV

I misteri del Regno

Il Vangelo di Giuda non si limita a condannare una conce­


zione errata di Dio e dei sacrifici, delle pratiche dell'euca­
restia e del battesimo. La critica alle gerarchie ecclesiastiche
occupa appena l'inizio del testo. Tutto il resto è dedicato
ai «misteri divini» rivelati al solo Giuda, insegnamenti che
riguardano Dio, la natura divina di Gesù stesso e in quale
modo Giuda, l'unico discepolo che lo segue, possa entrare
in quella realtà spirituale.
Con la morte, dice Gesù, il corpo si decompone: non c 'è
nessuna resurrezione della carne. E quando lo spirito si
separa dal corpo, solamente le anime della stirpe grande e
santa vengono innalzate al regno ultraterreno (Giuda 8,3-
4). In principio, Giuda non capisce il vero significato della
rivelazione, tanto è vero che, quando gli espone la visione
che ha appena avuto, Gesù scoppia a ridere, e il suo riso,
come sappiamo, è il segnale di un errore. Ma Gesù non la­
scia Giuda nell'ignoranza, anzi, promette di <<sorreggerlo))
e lo incoraggia a raccontargli quello che lo spaventa. E
Giuda narra: si è visto perseguitato, dice, addirittura lapi­
dato, dai «dodici». Però ha visto anche il Tempio celeste,
una grande «casa di luce», sormontata da una volta di
verdeggiante fogliame (Giuda 9,9-12), un'immagine in cui
i lettori del Vangelo di Giuda avranno di certo riconosciu­
to subito la casa di luce infinita in cui dimora Dio. E «casa
di Dio» gli ebrei chiamavano il Tempio di Gerusalemme,
ma quella che Giuda vede - e. il contrasto con il sogno dei
«dodici» intenti a sacrifici cruenti nel tempio terreno non
potrebbe essere più netto - è la realtà spirituale dell'aldilà,
I misteri del Regno 71

la realtà celeste che i profeti di Israele avevano spesso de­


scritto semplicemente come «luce», la gloria della presen­
za divina, cui le «case di Dio)) costruite dagli uomini, dal
Tempio di Gerusalemme alla cattedrale di Chartres, pos­
sono solamente alludere.
Subito dopo, però, Giuda chiede di poter andare nel
luogo della visione per unirsi ai grandi patriarchi che at­
torniano la presenza divina, e riceve un rimprovero: «La
tua stella ti svia)) gli dice Gesù (Giuda 9,15). Pur essendo
infatti l'unico fra i «dodich) ad avere intuito ciò che Gesù
intendeva dire, quando aveva cominciato a parlare dei
misteri dell'aldilà, cioè che Gesù viene dal regno immor­
tale (Giuda 2,22-23), neppure lui ha compreso fino in fon­
do la rivelazione. Nessun mortale, gli spiega ora Gesù, è
degno di entrare in quella casa, perché è riservata ai beati,
cioè a coloro che non sono più soggetti né al sole, né alla
luna, né agli altri angeli che governano il regno del caos. E
dunque, nonostante Gesù gli abbia già detto che potrà
raggiungere il regno immortale (Giuda 2,27), Giuda non
ha ancora colto il punto principale, e cioè che gli esseri
umani potranno conquistare la vita eterna soltanto se arri­
veranno a percepire la visione più profonda di Dio, quella
che sale dall'interiorità. Ecco perché Gesù al suo primo
apparire ha sfidato i discepoli a «portare alla luce l'uomo
perfetto)), Chi lo farà, scoprirà di possedere risorse spiri­
tuali di cui era inconsapevole.
E questo accadrà perché chi compie il processo necessa­
rio a fare emergere «l'uomo perfetto)) acquista la consape­
volezza del significato più profondo della creazione del­
l'uomo narrata dalla Genesi:
E Dio disse: «Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglian­
za . . . » . Dio creò l'uomo a sua immagine; a inunagine di Dio lo creò;
maschio e femmina li creò (Gn 1,26-27).

Ma sorge spontanea una domanda: se gli esseri umani


sono creati a immagine del divino, perché faticano tanto a
percepire questa immagine e scoprirla richiede tanto co-
72 Il Vangelo ritrovato di Giuda

raggio? La creazione «a immagine di Dio», spiega Gesù a


Giuda, riguarda la nostra natura spirituale primigenia, che
è sepolta nel profondo del nostro apparire quotidiano. È
questa qualità originaria a essere stata creata a immagine
dell'essere spirituale chiamato Adamas, che dimora nella
luce, in cui alberga il vero Dio, celato persino agli angeli
(Giuda 11,1-2). Anche la Eva umana è stata creata a imma­
gine della stirpe celeste; anch'essa, come Adamas, è un es­
sere celeste e, anzi, rappresenta con più pienezza la natura
spirituale dell'umanità, perché nella nube di luce, lassù
nell'alto dei cieli dove dimora Adamas, ha dimorato anche
Eva. In greco il suo nome è Zoe, che vuoi dire «vita», come
Eva in ebraico: «L'uomo chiamò la moglie Eva, perché essa
fu la madre di tutti i viventi>> (Gn 3,20). E tutta l'umanità,
dice Gesù a Giuda, dovrebbe cercare la vita eterna nel nome
di lei (Giuda 13,2-4). Gli esseri umani che raggiungono la
consapevolezza della loro vera natura sono, insomma, la
progenie di questi genitori spirituali: non figli come Caino
e Abele, coinvolti nel primo omicidio, ma figli somiglianti
al meno noto Set, 11 terzogenito che, secondo la Genesi,
Eva partorì a Adamo:
Quando Dio creò l'uomo, lo fece a somiglianza di Dio . . . Adamo
aveva centotrenta anni quando generò a sua immagine, a sua somi­
glianza, un figlio e lo chiamò Set (Gn 5,1-3).

E poiché ogni essere umano è figlio di Adamo ed Eva,


che furono creati a immagine e somiglianza di Dio, tutta
l'umanità appartiene alla «stirpe imperitura di Set» (Giuda
11,5).
Ma se le cose stanno così, come mai Gesù parla di due
razze umane? E come mai non è innata in ciascuno di noi
la comprensione della nostra natura spirituale? Per aiu­
tarlo a capire, Gesù spiega a Giuda che è stato Saklas a de­
cretare che la vita umana fosse a termine e si concludesse
con la morte. Gli uomini si sono lasciati fuorviare e cor­
rompere dalla stolta «sapienza» del mondo (Giuda 8,7).
Dominati dai governatori del caos e dell'oblio, si sono
I misteri del Regno 73

convinti che la vita nel corpo, questa vita qui sulla terra,
sia tutto ciò che esiste. E così, quando tentano di figurarsi
l'eternità, non riescono a immaginarla se non con il corpo,
proprio come Giustino, Ireneo e Tertulliano. Ma è un erro­
re, insiste Gesù. Benché anche il Vangelo di Giuda affermi
che l'insegnamento di Gesù indica la via verso la vita eter­
na, quella via non passa, come nei vangeli neotestamenta­
ri, attraverso le vicende del corpo, bensì attraverso la
comprensione del legame spirituale con Dio. Coloro che
intendono i segreti più riposti della creazione, che diven­
tano consapevoli di essere stati creati «a immagine» della
sorgente divina, possono giungere a dimorare nel regno
ultramondano dello spirito.
Dio, spiega Gesù a Giuda, non ha abbandonato l'uma­
nità agli angeli inferiori, ma ha fatto in modo che Adamo
e la sua stirpe apprendessero che l'immagine divina che
portano impressa nel profondo li rende superiori ai go­
vernatori del caos (Giuda 13,16-17). Giuda ascolta stupe­
fatto. Dapprima incredulo, a poco a poco comincia a com­
prendere. Poiché ogni uomo ha ricevuto lo spirito divino,
prosegue Gesù, ogni uomo può venerare Dio nella verità.
Coloro che lo fanno si sottraggono al potere degli angeli
del mondo infero, sicché, quando muoiono nel corpo, la
loro anima, unita agli spiriti della stirpe grande e santa,
sale al regno celeste (Giuda 8,2-4; 9,22; 13,12-15). Giuda ora
ha capito, e poiché ha capito, questa volta è in grado di
reggere lo sguardo di Gesù: alza gli occhi, vede la nube di
luce e vi penetra (Giuda 15,15-19).
Anche il Gesù del Vangelo di Giuda, come quello dei
vangeli canonici, non ammaestra soltanto con le parole,
ma anche con l'esempio. La rivelazione non termina alla
conclusione del suo discorso, ma con la sua morte: essa è
la testimonianza che la fine del corpo non è la fine della
vita, ma soltanto un passo nell'infinito.
Il Vangelo di Giuda insegna dunque la resurrezione,
parola che non nomina mai? Tutto sta nel vedere che cosa
si intende per resurrezione. Anche in questo caso, come per
74 Il Vangelo ritrovato di Giuda

la crocifissione, l'autore si immerge nelle controversie che


coinvolgevano i cristiani del suo tempo, e si interroga su
una questione su cui molti si arrovellano ancora oggi: co­
s'è accaduto dopo che Gesù è morto?
Che Gesù «sia risorto dal sepolcro» a nuova vita è un
caposaldo della dottrina cristiana ed è sicuramente il più
radicale. Benché infatti gran parte dei cristiani credesse
nella vita eterna, l'insistenza di alcuni, come Ireneo, nel
sostenere che il corpo sarebbe stato sepolto, si sarebbe de­
composto e tuttavia sarebbe risorto al momento stabilito
suscitava non soltanto incredulità ma anche orrore.l Nes­
suno, d'altra parte, diceva con precisione come sarebbe
stato il corpo riemerso dalla tomba. Paolo, quando parla
di resurrezione, non si riferisce affatto, come erroneamen­
te si crede, alla resurrezione fisica. Semmai afferma il con­
trario: «Questo vi dico, o fratelli: la carne e il sangue non
possono ereditare il regno di Dio, né ciò che è corruttibile
può ereditare l'incorruttibilità» (1 Cor 15,50) . Senza pre­
tendere di sapere con esattezza cosa accadrà, riconosce
che la resurrezione è un mistero, nel quale, dice, «tutti sa­
remo trasformati» dall'esistenza fisica a quella spirituale
(1 Cor 15,51-53).
I vangeli neotestamentari presentano versioni diverse
della resurrezione di Gesù: agli autori non interessava tan­
to precisare nei dettagli come fosse avvenuta, quanto e­
sprimere la convinzione che Gesù era, in qualche modo,
ancora vivente. Essi perciò riportano vari episodi di perso­
ne che sostengono di avere visto Gesù dopo la morte. Al­
cuni dicono di averlo scorto in una visione. Stefano, per
esempio, alza gli occhi al cielo mentre viene lapidato e ve­
de Gesù alla destra del Padre (At 7,55-56). Altri sono più
ambigui. I discepoli sulla via di Emmaus non lo riconosco­
no per parecchio tempo, e quando infine se ne accorgono,
Gesù «svanisce)) !asciandoli però nella convinzione che
'
egli sia, in qualche maniera (spiritualmente), ancora vivo
(Le 24,13-31). Nel Vangelo di Giovanni, Maria di Magdala
è la prima a incontrare Gesù risorto, ma all'inizio lo scam-
I misteri del Regno 75

bia per il giardiniere, e neppure lo riconoscono i discepoli


che pescano nel lago di Tiberiade (Gv 20,15; 21A). Come
potevano non riconoscerlo persone che gli erano state tan­
to vicine? Eppure c'erano altri che sostenevano non soltan­
to di averlo visto ma anche di averlo toccato, e questi era­
no certi che il suo corpo fosse risorto dalla tomba. Quelli
che dicevano così insistevano che la sua era una vera e
propria resurrezione del corpo. Il Vangelo di Matteo narra
che i discepoli «gli cinsero i piedi)) (Mt 28,9), mentre nel
Vangelo di Luca Gesù rassicura i discepoli, che, nel veder­
lo, erano stati presi da sgomento e paura, temendo fosse
un fantasma: «Toccatemi e guardate; un fantasma non ha
carne e ossa come vedete che io ho)). E siccome gli Aposto­
li non riuscivano ancora a credere che egli fosse presente
con il corpo, Gesù chiese del cibo e, sotto i loro sguardi stu..
pefatti, mangiò un pesce arrostito. Il senso dell'episodio
non potrebbe essere più chiaro: quale spirito avrebbe potu­
to cibarsi? (Le 24,37-43) Si tratta, tuttavia, pur sempre di
una fisicità particolare, perché il Gesù risorto attraversa le
pareti e le porte chiuse, e chiede di non essere trattenuto
(Gv 20,17-19).
Preoccupati di dimostrare che Gesù era comunque vi­
vente, gli evangelisti riferirono i vari episodi ·che circolava­
no fra i cristiani senza neppure tentare di tessere una tra­
ma coerente. Quei racconti, però, lasciavano aperti molti
4tterrogativi sul vero significato della resurrezione. A partire
dalla fine del primo secolo e per tutto il secondo, mentre i
vari gruppi cristiani ne discutevano, alcuni capi comincia­
rono a imporre un'unica versione: i fedeli «dovevano)) cre­
dere che Gesù era risorto con il corpo, che la sua era la «re­
surrezione della came)).2
Chi nega questo, scriveva Ignazio, trasforma la morte
di Gesù in una simulazione, ma «in realtà sono loro i si­
mulatori! )). Gesù è stato crocifisso ed è morto davvero, e
davvero è risorto, altrimenti, esclama, io morirei senza
una ragione (Ignazio, Lettera ai Tralliani IX-X). La mia mor­
te in sacrificio, come quella di Gesù sulla croce, non è una
76 Il Vangelo ritrovato di Giuda

metafora spirituale, protesta Ignazio, ma una morte con­


creta, una tortura e un'agonia dolorose. Agli occhi di que­
sti capi cristiani, concezioni come quelle del Vangelo di
Giuda e dell'Apocalisse di Pietro svuotavano di significa­
to la morte di Gesù e la sofferenza di chi andava incontro
al martirio. Offendevano il loro senso di giustizia. Poiché
la sofferenza avviene nel corpo, afferma Ireneo, i giusti
devono essere ricompensati nel corpo, altrimenti, perché
Dio dovrebbe permettere che i suoi figli diletti patiscano
tanto?J
Sono queste idee che l'Apocalisse di Pietro contesta. Un
Dio che ci conceda la sua misericordia soltanto se soffria­
mo, che Dio è? si chiede questo autore. Si ingannano, di­
chiara, quei capi cristiani che insegnano «ai piccoli» «che
il bene e il male vengono dalla stessa fonte», dall'unico
Dio (Apocalisse di Pietro 77,30-32): Gesù è venuto a liberare
gli uomini dalla schiavitù e dalla sofferenza e a perdonare
i peccati che hanno commesso perché non sapevano (Apo­
calisse di Pietro 78,8-15).
Qual è dunque per questo autore il significato della
morte di Gesù? Lo spiega Gesù stesso a Pietro, insegnan­
dogli a non temere la morte, perché è soltanto il corpo ca­
duco a perire, non lo spirito vivente. E affinché Pietro com­
prenda e si prepari ad affrontare a sua volta la sofferenza e
la morte, gli è concessa la visione della passione e morte di
Cristo. Se l'apostolo riuscirà a vedere la crocifissione non
con l'occhio fisico ma con l'occhio spirituale, arriverà a
percepire la verità. Il Gesù che gli appare, nelle cui mani e
nei cui piedi vengono confitti i chiodi, è soltanto la sua
parte carnale: il Gesù vivente non è neppure sfiorato dal
dolore e dalla morte (Apocalisse di Pietro 81,4-24).4 La visio­
ne sembra sdoppiarsi: stupefatto, Pietro vede i carnefici af­
ferrare Gesù e inchiodarlo alla croce, mentre un altro Gesù,
lieto e sorridente, è accanto a lui. Al discepolo che gli chie­
de cosa ciò significhi, Gesù spiega che, al momento del tra­
passo, si libera «il corpo incorporeo . . . pieno di luce splen­
dente» (Apocalisse di Pietro 83,9-10). Gli esseri umani, dice,
I misteri del Regno 77

non raggiungono la salvezza con il martirio, ma soltanto


accettando il perdono divino e opponendosi con fermezza
ai predicatori dell'errore e della violenza.
Ma perché non tutti i cristiani ne sono consapevoli? Per­
ché credono nella resurrezione della carne, afferma il Van­
gelo di Giuda. Eppure il suo autore, e come lui altri cristia­
ni, non rifiuta l'idea di una vita nell'aldilà, tanto è vero che
insegna modi per figurarsela, ma non è una vita nel corpo.
Il Vangelo di Filippo, per esempio, chiama «fede degli
stolti» quella convinta che la nostra forma terrena non si
dissolverà per sempre. La resurrezione di Gesù, spiega
questo evangelista, non è un evento storico, accaduto una
volta per tutte: riguarda invece il modo in cui la presenza
di Cristo può essere esperita qui e ora. Così, coloro che «ri­
nascono» simbolicamente con il battesimo «risorgono an­
che dai morti» quando si risvegliano alla vita spirituale:
<<Chi non ottiene prima la resurrezione, costui morirà»
(Vangelo di Filippo 56,18-20). Un altro maestro cristiano di
cui non conosciamo il nome, avendolo un suo discepolo,
un certo Rheginos, pregato di spiegargli la resurrezione,
risponde con un'interpretazione dell'insegnamento di
Paolo. Pur non riguardando il corpo fisico, la resurrezio­
ne, dice, è comunque una realtà:
. . . non pensare che la resurrezione sia un'illusione. Non è un'il­
lusi<;me, ma è la verità! È anzi molto più giusto dire che il mondo è
un' H lusione, non la resurrezione, che ha avuto origine attraverso
nostro Signore, il Salvatore Gesù Cristo (Trattato sulla resu rrezione
48,10-19; Nag Harnrnadi, codice Jung).

Definendola, paolinamente, un «mistero», egli suggeri­


sce che la resurrezione è «la rivelazione di ciò che è, e la
trasformazione delle cose, e la transizione a un nuovo sta­
to». Ma, ammette, definizioni del genere non sono che «i
simboli e le immagini della resurrezione»: soltanto Cristo
ci introduce dentro la sua realtà (Trattato sulla resurrezione
48,30-49,9).
La Testimonianza veritiera, come abbiamo già visto, de-
78 Il Vangelo ritrovato di Giuda

plora gli stolti convinti che «Se ci consegneremo alla mor­


te per amore del nome (di Cristo), saremo salvati». Non è
morendo da martiri che ci si garantisce la salvezza. Costo­
ro, mentre immaginano, alla maniera di Giustino, che sa­
ranno ricompensati con la resurrezione come Gesù, non
fanno che precipitare verso una morte violenta, recita il
Vangelo di Giuda.
Gli autori di queste e altre «rivelazioni» analoghe sape­
vano, naturalmente, di vivere in tempi in cui i cristiani ve­
nivano spesso uccisi per la loro fede. Pur rifiutando di
esaltare il martirio e, a maggior ragione, di considerarlo
«volontà di Dio>>, erano perfettamente consapevoli della
minaccia costante di venire arrestati, tortura ti e uccisi dal­
le autorità romane. E siccome respingevano l'idea che Ge­
sù fosse morto per redimere i peccati del mondo e non cre­
devano che il martirio assicurasse la resurrezione, erano
costretti a cercare una risposta diversa a tutti i dilemmi
che le dottrine da essi respinte avevano inteso risolvere:
Come affrontare la sofferenza? Qual è il significato, am­
messo che ci sia, della sofferenza e morte di Gesù o di
qualunque essere umano? Due testi del codice Tchacoss - lo
stesso che contiene il Vangelo di Giuda - offrono una rispo­
sta chiara a questi interrogativi. Tanto la Prima Apocalisse
di Giacomo quanto la Lettera di Pietro a Filippo raffigura­
no scene in cui alcuni Apostoli si trovano di fronte alla cer­
tezza di una morte violenta. In entrambi i casi, Gesù «ri­
vela» loro il significato della propria sofferenza e morte,
per aiutarli a capire perché anch'essi dovranno subire la
stessa sorte.
Nella Prima Apocalisse di Giacomo, per esempio, Gesù,
nell'annunciare la propria cattura e uccisione, rivela a Gia­
como che anch'egli verrà ucciso: sarà lapidato. Però lo con­
sola, promettendo che «dall'alto dei cieli>> gli svelerà «la
sua salvezza». Dopo la crocifissione, Gesù appare a Giaco­
mo e lo esorta a non darsi pena per lui: «Non ho sofferto in
alcun modo, né sono stato maltrattato, e questo popolo
non ha fatto nulla di male» (31,19-21).6 Poi si siede accanto
I misteri del Regno 79

al discepolo su una pietra e gli insegna il modo per affron­


tare la grande ira che egli ha suscitato nelle potenze che
ora ne minacciano la vita: «Ma Giacomo aveva paura e
piangeva. Era molto rattristato» (32,14-15). Gesù gli ram­
menta allora che egli proviene da una sorgente divina, alla
quale ritornerà. In questa Apocalisse, come nel Vangelo di
Giuda, la morte di Gesù ha lo scopo di liberare gli esseri
umani dal dominio di coloro che governano il mondo infe­
ro. La tua morte, dice Gesù al discepolo, ti libererà da
loro.7 Gesù si lascia crocifiggere per smascherare le forze
che governano questo mondo: quando esse infatti tente­
ranno di afferrarlo, scopriranno che è inafferrabile, ed egli
«sopraffarà ognuno di loro», svelandone la malvagità e
l'impotenza.s Finalmente, quando comprende che morire
significa soltanto restituire «la carne debole», Giacomo
asciuga le lacrime ed è confortato. Come Giuda, anch'egli
soffrirà e morirà nel corpo, ma l'esempio di Gesù insegna
a entrambi che la morte spezza le catene che li legano a po­
tenze ingiuste.
Qualcosa di analogo racconta anche la Lettera di Pietro
a Filippo. I discepoli, riuniti sul monte degli Olivi, prega­
no Gesù: «Figlio della vita, Figlio dell'immortalità, tu che
sei nella luce, Figlio, Cristo dell'immortalità, nostro Re­
dentore, dacci la forza, perché ci cacciano per ucciderei>>
(Lettera di Pietro a Filippo 134,2-9). Una grande luce illumi­
na all'improvviso la montagna e da quella luce giunge la
vpce di Gesù. Voi, dice la voce, dovrete predicare la sal­
vezza al mondo, ma così facendo soffrirete, perché le po­
tenze che lo governano sono contro di voi. «Voi combatte­
te contro l'uomo interiore», ma il Padre «vi aiuterà come
vi ha già aiutato inviando me», annuncia. La morte, ricor­
da ai discepoli, riguarda soltanto la carne, non lo spirito.9
«Non abbiate paura. Ecco che io sono con voi per sem­
pre»: le sue parole li consolano. Pietro comprende final­
mente che il Signore Gesù «è l'autore della nostra vita» e
tutti, nella «potenza di Gesù», se ne vanno rinfrancati a
predicare e guarire. Gesù, che aveva sofferto ed era mor-
80 Il Vangelo ritrovato di Giuda

to, pensavano questi cristiani, sapeva a che cosa essi sa­


rebbero andati incontro e non li avrebbe abbandonati.
I tre testi del codice Tchacos - la Prima Apocalisse di
Giacomo, la Lettera di Pietro a Filippo e il Vangelo di Giu­
da - insistono tutti sul fatto che chiunque intraprenda un
cammino spirituale e critichi le potenze ignoranti e mal­
vagie di questo mondo sarà perseguitato e soffrirà. Gesù
lo ripete più volte a Giuda. Al discepolo che chiede quale
beneficio gliene verrà, Gesù risponde che, anche se sarà
maledetto, alla fine dei tempi egli regnerà su tutti loro e
salirà fra i beati (Giuda 9,26-30). Più la sua comprensione
si approfondisce, più Giuda si rende conto che sarà ingiu­
riato ed esecrato sulla terra per avere obbedito all'ordine
di Gesù. E tuttavia, come mostrano la Prima Apocalisse di
Giacomo e la Lettera di Pietro a Filippo, il compito del di­
scepolo è insegnare e sanare, e pertanto contrastare le po­
tenze mondane, cioè tanto gli angeli caduti che governano
i cieli quanto gli esseri umani che si comportano come lo­
ro, uccidendo Gesù e lapidando Giuda.lD Infine, parados­
salmente, il Vangelo di Giuda, pur non incoraggiando il
martirio, fa dello stesso Giuda il primo martire. Conse­
gnando Gesù, egli suggella il proprio destino. Ormai però
sa che, quando lo lapideranno, uccideranno soltanto il suo
guscio mortale: la sua anima, ripiena dello spirito, ha già
trovato la propria dimora nella luce celeste. I cristiani, an­
che se dovranno soffrire e morire nel lottare contro le for­
ze del male, saranno sorretti dalla speranza di cui Cristo è
portatore. Le rivelazioni contenute in questi testi infondo­
no coraggio e conforto a tutti coloro che devono affrontare
la sofferenza e la morte, ossia a ognuno di noi.
Ma può un simile vangelo essere, come dice la parola,
«la buona novella))? Sì, perché ognuno di noi, è questo
l'annuncio, ha la possibilità di innalzarsi al di sopra delle
potenze angeliche: siamo noi, infatti, come insegna Gesù a
Giuda, a tenere lo spirito imprigionato nella carne (Giuda
13,14-15). Se andremo alla ricerca dello spirito che alberga
al nostro interno, potremo sconfiggere i governatori del
I misteri del Regno 81

caos e dell'oblio, vedere Dio ed entrare nella casa celeste.


Non solo: potremo salire in cielo anche durante la nostra
vita terrena. Come Gesù e Giuda entrano nella nube lumi­
nosa pur vivendo ancora sulla terra, così coloro che li se­
guiranno potranno condurre la vita dello spirito e cono­
scere Dio qui e ora. Il corpo non può incarcerare lo spirito
consapevole, né può farlo la morte, che è soltanto la libe­
razione definitiva per il ritorno a Dio. E così come ogni vi­
ta sembra concludersi con la tragedia della morte, anche
questo vangelo si conclude con Giuda che consegna Gesù
ai suoi carnefici. Giuda sa che con questo suo atto, anche
se compiuto in obbedienza a Gesù, si attirerà l'odio dei
condiscepoli, che lo lapideranno. Eppure «la buona novel­
la» resta, ed è quella che Giuda ha compreso attraverso
l'insegnamento e la morte di Gesù: a perire sarà soltanto il
suo involucro mortale, mentre la sua anima, traboccante
di spirito, già riconosce la sua dimora in Dio.
In questa ricerca interiore di Dio, il Vangelo di Giuda si
situa accanto a numerosi altri testi ritrovati in Egitto, i cui
autori intendevano trasmettere quello che ritenevano es­
sere il vero insegnamento di Gesù. Alcuni si ispiravano al
Vangelo di Giovanni. Il Libro segreto di Giovanni, per
esempio, affermava di rivelare «i misteri» affidati dal Sal­
vatore a «Giovanni, suo discepolo . . . fratello di Giacomo,
figlio di Zebedeo» (Libro segreto di Giovanni 2.1,2-3, noto
anche come Apocrifo di Giovanni).11 Racconta questo li­
brÒ che Giovanni, addolorato per la morte di Gesù, stava
recandosi a pregare nel Tempio, quando gli si era affian­
cato un fariseo, che l'aveva deriso, perché si era lasciato
ingannare da Gesù e allontanare dalla tradizione dei pa­
dri. Giovanni non ebbe il coraggio di entrare nel Tempio e
si ritirò solitario nel deserto, tormentato dal dolore e dai
dubbi. All'improvviso la terra tremò e una grande luce si
irradiò tutt'intorno a lui. Terrorizzato, egli vide compari­
re Gesù, prima nelle vesti di un bambino e poi di un vec­
chio, che gli disse: «Giovanni, Giovanni, perché ti stupisci
e hai paura? . . . Io sono colui che è sempre con te. Io sono
82 Il Vangelo ritrovato di Giuda

il Padre, io sono la Madre e io sono il Figlio» (Libro segreto


di Giovanni 2.9,11-12). Anche in questo caso, come nel
Vangelo di Giuda, il Salvatore conforta il discepolo, sve­
landogli la struttura dell'universo, la verità divina, l'ori­
gine e la salvezza dell'umanità. E allora Giovanni, vinto il
terrore, comprende che la vita spirituale incarnata da Ge­
sù - e che egli sperimenta dentro di sé - è viva, e si rende
conto con sollievo e gioia che essa è «la luce che risplen­
deva nelle tenebre)) e che le tenebre non possono spegne­
re (si confronti Gv 1,5).
Anche un altro vangelo noto a Ireneo, che lo condannò,
il Vangelo di Verità, parte dalla riflessione su quanto Pao­
lo e il Vangelo di Giovanni dicono sulla morte di Gesù, e
cioè che essa rivela l'amore di Dio per l'umanità. Poi però
prende un'altra strada. Senza sconfessare la dottrina se­
condo cui Gesù è morto in espiazione dei nostri peccati,
l'autore proclama che «il vangelo di verità è gioia per co­
loro che hanno ricevuto dal Padre della verità la grazia di
conoscerlo (Gesù))), Dopo avere parlato della «angoscia e
della paura)) da cui siamo sopraffatti quando viviamo se­
parati dal Padre, l'autore afferma che Gesù è venuto sulla
terra come «mistero nascosto)) per portare la luce a tutti
coloro che erano afflitti e vivevano nelle tenebre (Vangelo
di Verità 18,15-18). Ma anziché raffigurare Gesù come l'a­
gnello offerto in sacrificio per i peccati dell'umanità, que­
sto evangelista lo ritrae come «frutto sull'albero)) ' quasi
che il legno della croce fosse l'albero della conoscenza di
cui si legge in Genesi 2,17, e Gesù ne fosse il frutto. Con
questa immagine egli trasforma il significato dell'eucare­
stia: mentre, nel giardino dell'Eden, il frutto dell'albero
della conoscenza ha portato la morte a coloro che se ne so­
no cibati, «questo vero frutto dell'albero della conoscen­
za)) porta la vita . E perciò coloro che partecipano alla
mensa del Signore, condividendo il pane che ne simboleg­
gia il corpo, scoprono «il mistero celato))' ossia il loro per­
sonale legame con Dio. Partecipando a questa comunione
interiore essi giungono a conoscere Dio non con l'intellet-
I misteri del Regno 83

to ma con il cuore, e a conoscersi l'un l'altro: «Egli (Gesù)


li trovò in se stesso ed essi trovarono lui in loro stessi>>
(Vangelo di Verità 18,29-31).
Poi, poeticamente, questo evangelista offre una seconda
metafora della croce. Come in sogno, essa si trasfigura nel
legno sul quale l'impero affiggeva gli editti per renderli
pubblici, ma ciò che Gesù rende «pubblico» sulla croce è
la volontà di Dio. E come le volontà di un defunto vengo­
no aperte soltanto dopo la sua morte, così Gesù, morendo,
ha aperto il testamento divino per renderlo noto a tutti:
«Perciò Gesù apparve. Si rivestì di quel libro. Fu inchioda­
to a un legno. Rese pubblico sulla croce l'editto del Padre.
Oh, quale grande insegnamento!» (Vangelo di Verità 20,23-
28). Quello che il «libro» di Gesù contiene sono i nomi di
tutti i figli diletti di Dio, e quello che Dio vuole è sempli­
cemente che tutti imparino a conoscerlo e ad amarlo, e ad
amarsi l'un l'altro.
Che Dio è dunque quello che vuole soltanto questo?
Contraddicendo coloro che esortano a guardarsi dall'ira
e dal giudizio divini, il Vangelo di Verità proclama che
chi conosce davvero Dio «non lo concepisce piccolo, se­
vero e irascibile», come pensano alcuni, ma come un pa­
dre amorevole e dolce (Vangelo di Verità 42,4-9) . Poetico, a
volte lirico, questo vangelo proclama che Dio ha manda­
to sulla terra il proprio figlio non soltanto per salvare tut­
ti gli esseri umani dai peccati che hanno commesso nel­
l'errore ma anche per riportarli alla sorgente divina da
cui sono sgorgati, «affinché possano tornare al padre e al­
la madre, il Gesù di infinita dolcezza» (Vangelo di Verità
24,6-9). A tutti i viandanti di questo mondo, che cammi­
nano nel terrore, nell'angoscia e nella confusione, Gesù
rivela un segreto celeste: che essi sono legati con un vin­
colo profondo a Dio Padre e alla Madre divina, lo Spirito
Santo. A quanti vivono la vita sulla terra come un incubo,
egli offre questo messaggio di speranza: «Voi siete il gior­
no perfetto e in voi abita la luce inestinguibile>> ( Vangelo
di Verità 32,31-34).
84 Il Vangelo ritrovato di Giuda

Una terza interpretazione della Passione, ispirata al Van­


gelo di Giovanni, è quella proposta da un interessante poe­
metto, La danza pasquale di Cristo.12 Si direbbe che l'autore
anonimo di questo testo, non trovando nel Vangelo di Gio­
vanni il racconto dell'«ultima cena>>, nella quale Gesù invi­
ta i discepoli a mangiare il pane come suo corpo e bere il
vino come suo sangue, voglia completare la narrazione e
suggerire nel contempo che quella sera è accaduto anche
dell'altro. Gli Atti del Santo Apostolo ed Evangelista Gio­
vanni il Teologo, apocrifi, narrano che dopo la cena Gesù
condusse i discepoli all'aperto e li invitò a cantare e a dan­
zare con lui:
Prima che fosse preso . . . cì convocò insieme e disse: <<Prima che
io sia abbandonato a loro, cantiamo un inno al Padre e poi prose­
guiamo verso quanto ci aspetta>>. Ci ordinò così di fare un cerchio
tenendoci l'un l'altro per mano. Egli, stando nel mezzo, ci disse:
«Rispondetemi "Amen"''·

Non appena i discepoli si dispongono in tondo, Gesù


inizia a salmodiare un inno:
<<Gloria a te, Padre.>> E noi, che lo circondavamo, gli rispondem­
mo «Amen>>.
<<Gloria a te, Logos! Gloria a te, Grazia!>> «Amen.>>
« . . . Ti lodiamo, Padre! Ti ringraziamo, Luce, nella quale non abi­

ta alcuna tenebra.>>

Dopo le lodi, Gesù prosegue il suo canto mistico e gli


Apostoli danzano e rispondono a ciascuna invocazione:
«Voglio essere salvato e voglio salvare.>> «Amen.>>
<<Voglio essere sciolto e voglio sciogliere.>> <<Amen.>>
«Voglio essere ferito e voglio ferire.>> «Amen.>>
«Voglio mangiare e voglio essere mangiato.>> <<Amen.>>

«Voglio suonare il flauto. Danzate tutti>> dice Gesù. «Amen>> ri-


spondono in coro.
«Lampada sono io per te che mi vedi.» <<Amen.>>
«Specchio sono io per te che mi comprendi.» «Amen.>>
«Porta sono io per te che bussi.» «Amen.»
I misteri del Regno 85

E mentre la danza prosegue, Gesù invita i danzatori a


specchiarsi in lui:
«Rispondi ora alla mia danza, vedi te stesso in me che parlo, e
vedendo ciò che faccio, taci i miei misteri.))

Attraverso il canto e la danza Gesù rivela il mistero del­


la Passione: che soffrirà per diventare lo specchio della lo­
ro sofferenza, affinché essi la comprendano e perciò la tra­
scendano:
«Tu che danzi, comprendi ciò ch'io faccio, giacché è tua questa
sofferenza dell'uomo ch'io sopporterò. Tu, infatti, non potresti as­
solutamente comprendere ciò che sopporti, se, come Logos, non
fossi stato mandato a te dal Padre. Se tu conoscessi il patire, non
avresti da patire. Impara a patire e avrai il non-patire.))

E intanto che danzano e rispondono al canto, Gesù rive­


la che egli soffre al fine di svelare un paradosso, che ha una
straordinaria somiglianza con l'insegnamento di Buddha:
chi conquista la consapevolezza della sofferenza e ne rico­
nosce l'universalità, simultaneamente se ne libera. Poi Ge­
sù invita tutti a partecipare alla danza del cosmo:
«Il tutto partecipa alla danza.)) <<Amen.))
<<Colui che non danza ignora ciò che è accaduto.)) <<Amen.))

Coloro che trascrissero e considerarono sacri gli Atti di


Giovanni celebravano l'eucarestia intonando questo can­
to. Anziché mangiare il pane e bere il vino per annunciare
«la morte del Signore» (1 Cor 11,26), si prendevano per
mano e, danzando in cerchio, cantillavano queste parole
per celebrare la sofferenza di Gesù e insieme la propria,
come usano ancora alcuni gruppi cristiani.
E dunque, «la buona novella» annunciata dal Vangelo
di Giuda è che, come scrive Paolo, «le sofferenze del mo­
mento presente non sono paragonabili alla gloria futura
che dovrà essere rivelata m noi» (Rm 8,18). Benché infatti
apparentemente la vicenda terrena di Gesù si concluda
con l'atroce angoscia della crocifissione e quella di Giuda
con la lapidazione, ciascuna di esse offre la speranza. Chi
86 Il Vangelo ritrovato di Giuda

ne ascolta il messaggio capisce che non siamo soltanto cor­


pi con componenti psicologiche complesse, ma siamo fon­
damentalmente esseri spirituali: dobbiamo scoprire quan­
to in noi appartiene allo spirito. La nostra vita, suggerisce
questo vangelo, non si esaurisce in quello che la biologia o
la psicologia possono esplorare: la vita vera comincia
quando lo spirito divino trasforma l'anima.
Il Vangelo di Giuda sembra concludersi con una cata­
strofe: Gesù è tradito e Giuda sarà lapidato dai condiscepo­
li. Ma sembra soltanto, perché entrambi hanno già raggiun­
to la salvezza. Il sacrificio di Gesù, in quanto testimonianza
della nostra natura essenzialmente spirituale, segna la fine
della morte stessa. Volgendo lo sguardo al cielo e penetran­
do nella nube di luce, Giuda è il primo di coloro che segui­
ranno Gesù. La sua stella indica il cammino.
Nota finale

Affinché gli esseri umani creino le circostanze più radiose in


cui dimorare, è essenziale che la visione della realtà offerta
dalla poesia sia trasformatrice, sia più che il semplice calco
delle circostanze date di spazio e tempo.
SEAMUS HEANEY, Joy or Night, 1993

All'inizio di questo saggio ci siamo chieste se il Vangelo di


Giuda offrisse una speranza di redenzione dalla rabbia
che animava il suo autore. L'abbiamo trovata? Questo è
un testo di difficile lettura, non soltanto per lo strano lin­
guaggio dei numeri, degli eoni, dei nomi alieni e per le
sue lacune, ma anche per l'acredine che spinge lo scrittore
a dileggiare e ad aggredire quanti cercano un significato
nelle torture e nella morte inflitte ingiustamente ad amici
e familiari. A volte i suoi toni sono sgarbati e crudeli, co­
me quando si lancia in invettive antigiudaiche e omofobe,
e sembra accusare di assassinio e rapporti omosessuali i
sacerdoti ebraici del Tempio, del tutto incurante dei danni
che la sua polemica violenta e a un tempo banale avrebbe
potuto causare.
Eppure, nonostante la rabbia, questo vangelo evoca
una visione delle <<circostanze più radiose in cui dimora­
re»: un tempio vasto e luminoso sotto una vibrante volta
arborea, in un luogo distante da tutti i mali del mondo ci­
vilizzato - dal caos morale all'oblio -, un sogno splenden­
te, soprattutto per uomini e donne che vivevano in terre
aride, occupate e governate dalle legioni romane. La mi­
sura di questo vangelo sta, come suggerisce Heaney, nella
88 Il Vangelo ritrovato di Giuda

sua capacità di trasformare. Emana dalle sue pagine una


luce con questo potere? Per quel che ne sappiamo, non fu­
rono molti fra i primi cristiani quelli che la scorsero, a ec­
cezione forse di quanti lo copiarono e lo riposero con cura
- così si racconta - in un cofanetto di pietra calcarea in
fondo a una caverna, dove fu custodito per secoli soltanto
dai morti. Per tutti gli altri, il Vangelo di Giuda restò una
via non percorsa: il suo orrore dei corpi torturati nel nome
di Dio fu soppiantato da luminose storie di inflessibili
eroi morti per la propria fede.
Questo è un vangelo che può essere compreso, e letto,
come annuncio della «buona novella» soltanto se non si
prescinde dal contesto spazio-temporale in cui fu scritto,
se non si prescinde cioè dalle persecuzioni romane e dalle
dolorose controversie che innescarono. Occorre rievocare
quelle circostanze per provare una qualche empatia verso
questo autore cristiano, con il suo dolore, la sua ira e, for­
se, anche con la sua insistenza sul castigo divino, quando
immagina di consegnare i capi religiosi al cammino di
morte che hanno meritato, a suo dire, scegliendo di adora­
re un dio vendicativo. Ma come tutte le opere, il Vangelo
di Giuda può indurre noi lettori a riflettere sulla nostra
posizione nei confronti della polarizzazione e della vio­
lenza religiosa del mondo in cui viviamo. L'empatia, però,
potrebbe non bastare, e neppure la riflessione: forse la vi­
sione radiosa di questo autore è troppo ottenebrata dai
sentimenti di rabbia e vendetta per avere la capacità di
trasformare. O forse no. Chissà.
Il Vangelo di Giuda, rimasto così a lungo nascosto, ora
prende il suo posto accanto ad altre fonti, quali il Vangelo
di Tommaso e il Vangelo di Maria, e lungi dall'essere biz­
zarro e marginale come sospettavamo all'inizio, ci porta
dritto nel cuore del dibattito intorno a ciò che sarebbe di­
ventato il cristianesimo. Anch'esso, come altri testi ritrova­
ti di recente, contribuisce a offrirei un quadro della storia
del cristianesimo più dettagliato, complesso e soprattutto
umano di quello che altrimenti avremmo avuto. Tutti in-
Nota finale 89

sieme, questi scritti costituiscono un ausilio prezioso per


ricostruire il contesto spazio-temporale delle fonti a noi
più familiari, come i vangeli canonici e le opere dei «padri
della Chiesa». Anche nei vangeli neotestamentari si alter­
nano paura e speranza, e come nel Vangelo di Giuda ci so­
no passi che presentano un'immagine negativa dei sacer­
doti ebraici, così in Matteo, Luca e Giovanni ci sono passi
ispirati da antichi antagonismi, affermazioni che ancora
oggi, contraddicendo tutto ciò essi dicono sull'amore, con­
tinuano a incitare all'odio contro gli ebrei.l Con le loro ri­
cerche, gli studiosi hanno dimostrato che queste contrad­
dizioni scaturivano da un dibattito intenso, intorno a
tradizioni contestate più e più volte con foga e sostenute
invece da altri cristiani, che si proclamavano gli unici pos­
sessori della verità.
Gli scritti ritrovati ci permettono anche di capire quanto
sia stato grande l'impegno delle gerarchie ecclesiastiche
per riuscire a creare l'impressione, ancora oggi data spes­
so per scontata, che il cristianesimo delle origini fosse un
sistema unitario e statico di credenze. L'impresa cui si de­
dicarono alcuni «padri della Chiesa)) non fu certo di poco
conto. E se vi si dedicarono con tanto fervore fu proprio
perché erano consapevoli delle profonde divergenze fra i
vari gruppi cristiani e temevano che le dispute su questio­
ni fondamentali, come quelle che emergono dal Vangelo
di Giuda, minacciassero sia le fondamenta della «Chiesa
universale)) che cercavano di erigere, sia le basi dell'auto­
rità che reclamavano per questa Chiesa soltanto. Vescovi
come Ireneo lavorarono per decenni a costruire le struttu­
re del credo, del canone e del clero, nella convinzione che
da esse dipendesse la sopravvivenza del movimento. Per
alcuni versi avevano probabilmente ragione: ci sono infat­
ti dei limiti al numero di punti di vista che un gruppo può
accogliere, tanto più in tempi difficili. Ma i testi tornati al­
la luce ci offrono la testimonianza di ciò che è andato per­
duto mentre si consolidavano le istituzioni e si soffocava­
no tante voci della Chiesa primitiva.
90 Il Vangelo ritrovato di Giuda

Quanto a noi, se indaghiamo le tradizioni cristiane è


perché in esse troviamo molte cose da amare, molte cose
che parlano alle nostre convinzioni, paure e speranze più
profonde. E se ci capita di scoprire nei vari vangeli, cano­
nici e non, cose difficili da amare, stiamo imparando a con­
siderarle parte della nostra storia e ad accantonarle, oppu­
re ad affrontarle in modo critico sul piano della fede e
della pratica religiosa. Dopotutto, è da secoli e secoli che i
cristiani si confrontano allo stesso modo con le tante tradi­
zioni che costituiscono la loro religione. Ogni generazione
le interroga di nuovo e ogni gruppo le adotta, adatta e tra­
sforma proprio come facciamo noi, e fanno innumerevoli
altri, ancora oggi.
Molti si sono chiesti che sorte riservare a questi altri
vangeli: riaprire il canone e inserirvi alcuni di questi scrit­
ti rifiutati tanto tempo fa? Noi siamo convinte che non
serva, che sia irrilevante. Le gerarchie ecclesiastiche han­
no fissato il canone in un momento particolare, e cruciale,
della storia e per uno scopo preciso: stilare una lista di li­
bri «approvati» da leggere durante il rito comunitario,
unificando il movimento sotto la loro guida. Il canone ha
sicuramente contribuito al raggiungimento di questo
obiettivo, tanto è vero che ancora oggi i fedeli di un'infi­
nità di Chiese - metodisti, pentecostali, battisti, cattolici
romani, ortodossi, avventisti del settimo giorno, episco­
pali, per citarne solo alcuni - attingono alla stessa raccolta
di testi neotestamentari e li leggono dal pulpito.
Vangeli come questo, dunque, non appartengono al ca­
none, ma non sono neppure da cestinare. Il loro posto è in­
vece dove li abbiamo già situati: nella storia del cristianesi­
mo. E tuttavia, è perché molti di essi appartengono alla
letteratura della trasformazione spirituale che sono stati
scritti, letti, copiati e amati dai cristiani più di millecinque­
cento anni fa, ed è per la stessa ragione che ci coinvolgono
ancora. Persino l'autore del Vangelo di Giuda trascorre
dall'ira alla rivelazione, come quando Gesù dice ai disce­
poli di «portare alla luce l'uomo perfetto» e svela a Giuda il
Nota finale 91

regno radioso dello spirito, illuminato dall'amore divino. E


dunque, l'esplorazione di questi testi ritrovati non porta
soltanto a una comprensione più profonda del nostro pas­
sato e del nostro presente, ma offre anche una gamma di
visioni, sul significato della figura di Gesù e dei suoi inse­
gnamenti, molto più ampia di quanto si immaginasse.
Parte seconda

Il Vangelo di Giuda
Negli oltre millecinquecento anni trascorsi da quando fu
trascritto nel codice Tchacos, il Vangelo di Giuda ha subì­
to gravi danni. I peggiori si sono verificati dopo la sua d­
scoperta, negli anni Settanta del secolo scorso, quando,
in seguito a trattamenti e a metodi di conservazione inap­
propriati, è stato praticamente ridotto a un ammasso di
frammenti. Nonostante il diligente restauro effettuato da
una squadra di esperti, il testo è ancora assai lacunoso. A
volte sono scomparse solo alcune lettere, altre volte inve­
ce le perdite sono molto consistenti, anche più di mezza
pagina: nella presente edizione le lacune sono contrasse­
gnate dalle parentesi quadre e, al loro interno, da un nu­
mero di puntini corrispondente grosso modo a quello del­
le lettere mancanti. Gli studiosi hanno cercato nei limiti
del possibile di ricostruire le parti di testo perdute, e an­
che i loro suggerimenti sono posti fra parentesi quadre.
Chi scrive ha poi inserito fra parentesi tonde altro mate­
riale per rendere la prosa più fluida, oppure per indicare i
possibili referenti di alcuni pronomi oscuri.
La versione qui presentata si basa sul testo copto stabili­
to da Rodolphe Kasser e Gregor Wurst, The Gospel ofJudas.
Coptic Text, The National Geographic Society, aprile 2006
(http: //www.nationalgeographic.com/lostgospel/ docu­
ment.htlm), con modifiche basate su una copia-saggio del­
l'edizione critica del codice Tchacos edita da Rodolphe Kas­
ser e Gregor Wurst (traduzione inglese di Marvin Meyer e
François Gaudard, note di Marvin Meyer e Gregor Wurst;
96 Il Vangelo ritrovato di Giuda

ora disponibile anche in edizione italiana: Vercelli, White


Star, 2006). A Marvin Meyer, che ci ha generosamente con­
cesso di consultare il testo della futura edizione, va il no­
stro ringraziamento. Ovviamente, tutte le ricostruzioni qui
di seguito suggerite restano semplici illazioni finché non
saranno confermate dall'esame del manoscritto originale
riprodotto nell'annunciata edizione facsimile.
Per le modifiche apportate da me o da altri si rinvia ai
«Commenti alla traduzione» (p. 107).
Il Vangelo di Giuda*

l . IQuesta è la parola segreta della rivelazione, 2contenen­


te il resoconto di qua[ndo Ge]sù parlò con Giuda [l]sca­
ri[ ota] per otto giorni, tre giorni prima che egli celebrasse
la Pasqua.
3Quando apparve sulla terra, egli compì miracoli e
grandi prodigi per la salvezza dell'umanità. 4Perché men­
tre alcuni continuavano a [camminare] lungo la via della
rettitudine, saltri camminavano lungo la via della tra­
sgressione. 6Così furono chiamati i dodici discepoli 7(ed)
egli prese a parlare con loro dei misteri dell'aldilà e delle
cose che accadranno alla fine.
sspesso, tuttavia, egli non si rivelava ai discepoli, ma lo
trovavi in mezzo a loro nelle vesti di un bambino.
9Ed egli viveva in Giudea con i suoi discepoli.

2. IUn giorno li trovò riuniti insieme, mentre, seduti, fa­


cevano esercizio di devozione. 2Quando [si accostò] ai di­
scepoli riuniti insieme, che, seduti, rendevano grazie per
il pane, 3(Gesù) rise.
41 discep[o]li gli dissero: «Maestro, perché ridi della
[nostra] offerta di ringraziamento? O che altro abbiamo
fatto? SÈ [questo] il modo giusto».
6Egli rispose loro e disse: «Non è di voi che rido - 7voi
non fate neppure questo per volontà [vo]stra - sma (rido
perché) (nel fare questo) sarà il vostro "Dio" a ricevere le
lodi».

• Per le note relative al Vangelo di Giuda, si veda p. 160.


98 Il Vangelo ritrovato di Giuda

9«Maestro, tu sei [ ..... ] il Figlio del nostro Dio» dissero.


IOGesù disse loro: «(Credete veramente) di conoscermi?
In che modo? nJn verità vi dico, nessuna stirpe fra voi mi
conoscerà mai>).
I2Qrbene, quando i discepoli udirono questo, presero a
essere dispiaciuti e adirati, e a bestemmiarlo in cuor loro.
I3Ma Gesù, percependone la stoltezza, I4[disse] loro:
«Perché vi lasciate turbare dall'ira? ISil vostro Dio, che è
dentro di voi, e [i suoi .... ] sono dispiaciuti [insieme alle]
vostre anime. I6Chi fra voi è [forte] faccia emergere in sé
l'umano perfetto I7e si alzi e si ponga di fronte a me)),
I SE tutti dissero: «Siamo fortib), I9Ma i loro spiriti non
ebbero il coraggio di levarsi per sostenere il confronto,
tranne Giuda [Is]cariota. 20Egli ebbe la forza di alzarsi e
porsi di fronte a lui, 21anche se non riuscì a reggerne lo
sguardo, m [a] si girò di lato.
22Giuda gli disse: «So chi sei e da dove vieni - 23vieni
dal regno dell'immortale Barbelo - 24ma io non sono de­
gno di pronunciare il nome di colui che ti ha mandato)),
25Allora Gesù, vedendo che egli intuiva dell'altro su que­
ste cose elevate, gli disse: «Separati da loro. 26Ti dirò i miste­
ri del regno. 27Tu potrai giungervi, 28ma conoscerai molto
dolore. 29Un altro infatti prender[à] il tuo posto, così che i
dodici di[scepoli] siano di nuovo completi nel loro Dio)),
JOE Giuda gli disse: «Quando mi dirai queste cose, 3Ie
quando spunterà il grande [gior]no della luce per [ ...... ]
stirpe?)),
32Ma come ebbe detto queste cose, Gesù lo lasciò.

3. IQuando venne il mattino, egli [appar]ve ai suoi di­


scepoli, 2[ed] essi gli dissero: «Maestro, dove sei stato?
3Che cosa hai fatto dopo averci lasciato?)),
4Gesù disse loro: «Sono andato presso un'altra stirpe
grande e santa)),
SI discepoli gli dissero: «Signore, quale stirpe esiste che
sia più elevata e santa di noi e tuttavia non sia in questi
regm' ?. )),
Il Vangelo di Giuda 99

6All'udire questo, Gesù rise. 7Disse loro: «Che cosa an­


date immaginando nel vostro cuore su questa stirpe forte
e santa? Bln [v]erità vi dico, nessuna progenie [di q]uesto
regno vedrà quella [stirpe], 9né alcun esercito angelico
delle stelle regnerà su di essa, l!Jné alcuna progenie morta­
le potrà appartenere a essa. nPerché [qu]ella stir[pe] non
viene da [questo regno] che è venuto in essere [ma ..... 12la
stir]pe degli umani [che sono] fra [voi] viene dalla [stir]pe
della uman[ità] . n[ ............... ] potere che [ ....... ] qualche al-
tra for[za ....... ] poiché voi regnate i[n mezzo a loro] ».
t4Quando udirono queste cose, tutti i discepoli furono
turbati nel[lo] spirito, tse rimasero senza parole.

4. IUn altro giorno.Gesù venne fra [loro]. 2Essi [gli] dis­


sero: «Maestro, ti abbiamo visto in una [visione]. 3Abbia­
mo avuto alcuni grandi so[gn]i [la] notte». [ ... ]
4[Egli disse] : «Perché v[i ....... ] siete nascost[i]?».
SEssi a loro volta d[issero: «Abbiamo vi]sto una grande
cas[a dentro la quale c'era un g]rande alta[re e] dodici uo­
mini, che noi riteniamo sacerdoti, e un nome. 6Ma davanti
a quell'altare sostava tenace una moltitudine fi[nché] i sa­
cerdoti non ebbero [termin]ato di [ricevere] le offerte. 7E
anche noi [so]stammo [tenac]emente)).
BGe[sù disse]: «Che gen[ere] di [sacerdoti erano?])).
9Essi [dissero]: « [Al]cuni [si astengono per d]ue [s]etti­
mane. t O [Altri] sacrificano i figli e altri le mogli, nconti­
nuando per tutto il tempo a pregare e a comportarsi con
umiltà fra loro. 1 2Alcuni giacciono con gli uo[mini] . BAltri
sono intenti a uccidere. 14E altri ancora commettevano una
[inf]inità di peccati e ingiustizie. ts[E] gli uomini che stan­
no [davan]ti all'altare invocano il tuo no[me] ! 16E così con
tutto il lavoro per smembrare le vittime, quell'altare resta
colmo)). t7Ciò detto, tacquero, perché erano profondamen­
te turbati.
18(;esù disse loro: «Perché siete turbati? 1 9Jn verità vi di­
co, tutti i sacerdoti che stanno davan[ti a quell'] altare in­
vocano il mio nome. 20E una volta anco[ra] io vi dico che
100 Il Vangelo ritrovato di Giuda

hanno scritto il mio nome sopra [ ...] delle stirpi delle stelle
attraverso le stirpi umane. zt[E] nel mio nome, vergogno­
samente, essi hanno piantato alberi senza frutto».

5. tGesù disse loro: «Quelli che avete visto ricevere le


offerte all'altare siete voi. ZÈ quello il "Dio" che servite. 3E
siete voi i dodici uomini che avete visto. 4E gli animali che
avete visto condurre al sacrificio sono le moltitudini che
voi sviate su quell'al[t]are. 5[11 signore del caos] dominerà,
6e questo è il modo in cui farà uso del mio nome. 7E la stir­
pe dei devoti aderirà a lui con tenacia. soopo questo, un
altro uomo si schiererà con i for[n]ic[atori], 9e un altro con
coloro che uccidono i figli, toe un altro ancora con coloro
che giacciono con gli uomini, ne con coloro che digiunano
t 2e con ogni sorta di impurità, sregolatezza ed errore ne
coloro che dicono "Noi siamo uguali agli angeli" - t4e so­
no le stelle che portano ogni cosa al suo compimento.
t5Perché alle stirpi umane è stato detto: "Ecco, Dio ha rice­
vuto il vostro sacrificio dalle mani di un sacerdote" - os­
sia, da un ministro dell'errore. t6Ma è il Signore - colui che
è Signore dell'universo intero - a ordinare che essi siano
svergognati alla fine dei tempi».
t7Gesù disse [loro]: «Smettete di fare sac[rifici . . . . . . . . . . . . . ].
È
IB sull'al[t]are che vo[i .......... ] [perché essi sono] al di so-
pra delle vostre stelle e dei vostri angeli, essendo già stati
completati lassù. I 9Lasciate che diventino [ . . . . ] di nuovo
giusti davanti a voi e lasciate che . . .

6 . [lacuna d i circa quindici righe e mezzo nel manoscritto]


alle stirpi [ ... ] Un forn[aio] non può nutrire l'intero crea­
to sotto [il cielo]. E
[circa tre righe e mezzo indecifrabili]»

7. tGesù disse loro: «Smettete di combattere contro di


me. zognuno di voi ha la sua stella e [ognu]no . . . ))
[circa diciotto righe mancanti o indecifrabili]
Egli è venuto a coloro che [ ........ di]scendono dall'albero
Il Vangelo di Giuda 101

di [circa una riga indecifrabile] [sta]gione di questo regno


[ .... do]po un periodo [ .......... ] Egli è venuto piuttosto a ir-
.

rorare il paradiso di Dio e la [stir]pe che perdurerà, perché


[egli] non corromperà il modo di [vivere di] quella stirpe.
M[a ...... ] per tutta l'eternità.

8. tGiuda disse a [lui: «Rabb]i, quale frutto possiede


questa stirpe?».
2Gesù disse: «Le anime di tutte le stirpi umane periran­
no. 3Ma quando coloro (che appartengono alla stirpe san­
ta) avranno completato il tempo del regno e lo spirito si
separerà da loro, 4i loro corpi moriranno ma le anime sa­
ranno vive e saranno innalzate••.
SGiuda disse: «Che cosa accadrà allora al resto della
umanità?••.
6Gesù disse: «Non è possibile seminare sulla [r]occi[a] e
raccogliere i [fr]utti. 7Una volta ancora, [que]sta è la via
[ ........... ] la stirpe [che è corr]otta e la sapienza effimera.
s[ .. ] la mano che ha creato l'umanità dei mortali così che le
loro anime [sal]gano nei regni nell'alto dei cieli. 9ln verità
io vi dico ch[e nessun dominatore né a]ngelo [né p]otere
riuscirà a vedere [i luoghi di la]ssù, IOche [vedrà questa]
stirpe [grande] (e) santa••.
l l Ciò detto, Gesù se ne andò.

9. tGiuda disse: «Maestro, come hai ascoltato tutti lo­


ro, ora ascolta anche me. 2Perché ho avuto una grande
visione••.
JA queste parole Gesù rise. 4E gli disse: <<Perché ti agiti
tanto, tredicesimo dio? SMa parla anche tu e io ti so­
sterrò••.
6Giuda gli disse: «Nella visione ho visto me stesso. 7J
dodici discepoli mi stavano lapidando e s[mi] perseguita­
vano con [violenza ] . 9E sono [giu]nto anche nel luogo
[ .. ..... ] dopo di te. tOHo visto [una casa ..... ] ma i miei occhi
..

non riuscivano a [misurarne] la grandezza. 11La attornia­


vano alcuni anziani di grande statura 12e la casa aveva un
102 Il Vangelo ritrovato di Giuda

tetto di verde fogliame. t3Jn mezzo alla casa c'e[ra


una]fol[la .............. ]. t4Maestro, fa' che io sia portato [là
dentro co]n quelle persone».
t s[Gesù] rispose e disse: « La tua stella ti svia, Giuda,
16perché nessun figlio di mortali è degno di entrare nella
casa che hai visto. 17Quello infatti è il luogo riservato ai
beati, t Bil luogo in cui non saranno governati né dal sole,
né dalla luna, né dal giorno, t9ma dove essi dimoreranno
per sempre insieme agli angeli santi. 2DEcco, ti ho svelato i
misteri del regno 2te ti ho insegnato [l'er]rore delle s[tell]e
e [circa una riga e mezzo indecifrabile] sui dodici regni».
22Giuda disse: «Maestro, i conduttori degli astri sono
forse soggetti al mio seme?>>.
23Gesù rispose e gli disse: «Vieni . . . (24circa due righe in­
decifrabili] zs[m]a perché tu emetterai grandi lamenti quan­
do vedrai il regno e tutta la sua stirpe».
26Udite queste cose, Giuda disse a lui: «Quale beneficio
ho ottenuto dall'essere stato separato da quella stirpe?» .
27Gesù rispose e gli disse: «Diventerai il tredicesimo 2Be
sarai maledetto da tutti gli altri - 29ma li sovrasterai. 30Ne­
gli ultimi giorni essi < > e tu salirai fra la stir[pe] dei beati».

10. tGesù disse: «[Vien]i, ti [ins]egnerò [cose ..... che] mai


essere umano vedrà. 2Perché là esiste un grande regno e
un'immensità che nessuna stirpe angelica ha mai misurato.
J[Vi] dimora il grande Sp[irito] invis[ib]ile - 4colui che nes­
sun occhio a[ngeli]co ha mai veduto, nessun intimo pensie­
ro del cuore ha mai contenuto, né alcuno ha mai chiamato
per nome». SE una nube luminosa apparve in quel luogo.
6Ed egli disse: «Che un angelo venga in essere e mi assi­
sta». 7E un grande angelo - l'illuminato, divino Autoge­
nes - sbucò dalla nube. BE per causa sua altri quattro an­
geli sbucarono da un'altra nube 9e vennero in essere per
servire l'angelico Autogenes.
t DE l'[A]uto [genes] disse: «Che venga in ess[ere Ada­
mas]» e [ .......... ] venne in essere. 11Ed egli c[reò] il primo
luminaria per regnare su di esso. 12Poi disse: <<Che angeli
Il Vangelo di Giuda 103

vengano in essere per venerarlo, 13e innumerevoli miriadi


vennero in essere>>. t4Ed egli disse: «Che [un re]ame illu­
tninato venga in essere)) tsed esso venne in essere. t6Egli
pose il secondo luminaria a regnare sopra questo, t7insie­
me a innumerevoli miriadi di angeli per venerar[lo]. tsE
allo stesso modo egli creò i restanti regni della luce, t9e po­
se (dei luminari) a regnare su di essi, 2oe creò innumerevo­
li miriadi di angeli che li assistessero.

1 1 . t Adamas dimorava nella prima nube luminosa,


2(eppure) nessuno degli angeli, che sono chiamati «divi­
ni)), ha visto quella (nube). JEd egli [circa due righe indeci-
frabili] 4a immagine [ ..... ...... ] e a somiglianza di q[uel-
l'an]gelo. SEgli fece sì che apparisse la [stirpe] imperitura
di Set [ ..... ] i dodici [ ....... ] i venti[quat]tro [ ....... ]. 6Per vo­
.

lontà dello spirito egli fece comparire settantadue lumina­


ri nella stir[pe] imperitura. 7Poi, per volere dello spirito, i
settantadue luminari fecero sì che apparissero trecento­
sessanta luminari nella stirpe incorruttibile, affinché fos­
sero cinque per ciascuno.
SI dodici regni dei dodici luminari sono il loro padre,
9con sei cieli per ciascun regno così che vi siano settanta­
due cieli per i settantadue luminari, tocon [cinque fi]rma­
menti per ognuno [per un totale di] trecentosessanta [fir­
mamenti ..... ] . HA essi fu data autorità con un [grande]
esercito di [innumerevo]li angeli per la gloria e l'ador[a­
zione], t2[e] quindi [anche] [sp]iriti vergini per la gl[o]ria e
la [ador]azione di tutti i regni e i cieli e i loro [fi]rmamenti.

12. tE ora veniamo a quella moltitudine di immortali


che è detta «cosmo)), ossia «ciò che perisce)), 2È stato per
opera del Padre e dei settantadue luminari che sono con
Autogenes e i suoi settantadue regni che in quel luogo (il
cosmo perituro) è apparso il primo Umano con i suoi po­
teri imperituri. JPerché questo regno, insieme alla stirpe
ivi comparsa, è quello che ha in sé la nube della conoscen­
za e l'angelo chiamato «El)) 4[mancano circa tre righe].
104 Il Vangelo ritrovato di Giuda

S(D]opo questo [ .... ] disse: «Che dodici angeli vengano


in essere» [per go]vernare sul caos e l'ob[lio]>>. 6Ed ecco
ap[parir]e dalla nube un a[ngelo] con il volto fiammeg­
giante 7e il sembiante insanguinato. BEd egli ebbe nome
«Nebro», che significa «ribelle», 9ma alcuni lo chiamano
<d[al]dabaoth». 10E dalla nube uscì un altro angelo, (chia­
mato) «Saklas». 11lnsieme a Saklas, Nebro creò quindi sei
angeli perché (lo) assistessero. 12E questi generarono dodi­
ci angeli nei cieli, 13e ciascuno di essi ricevette la parte di
cieli (a lui) destinata. 14E i dodici governanti insieme ai
dodici angeli dissero: «Che ognuno di voi . . . » p scirea tre
righe indecifrabili] [cinque] angeli.
16 Il primo è [Se]t, che è detto «Cristo». 1711 [secon]do è
Harmathoth, che [ . .. . .. ps Il [ter]zo è Falila. 1911 q[u]arto è
.. . . .

Yobel. 2011 quinto è Adonaios. 21Essi sono i cinque che go­


vernavano sull'oblio e sono i primi sul caos.

13. 1Allora Saklas disse ai suoi angeli: «Creiamo un uo­


mo [a] somiglianza e a immagine». 2E formarono Adamo
e sua moglie, Eva. 3Ma nella nube, lei era chiamata «Zoe
(«Vita»). 4Perché in questo nome tutte le stirpi cercheran­
no la (vita) se ognuna di esse la chiamerà con un proprio
nome».
6Ma [Sa]klas non com[andò ...... . ] eccet[to . . . . ....... ] le
sti[rpi] [ ......... ] questa [ .............. ] 7E [l'arconte] gli disse:
«La tua vita e quella dei tuoi figli durerà (soltanto) una
stagione».
BGiuda disse a Gesù: «[Qual] è la durata massima della
vita di un uomo?».
9Gesù disse: «Perché ti sorprende che i giorni della vita
di Adamo e della sua generazione siano contati in questo
luogo? 1 0È qui che egli ha ricevuto il suo regno, con il suo
sovrano per un (certo) numero (di anni)».
11Giuda disse a Gesù: «Lo spirito dell'uomo muore?».
12Gesù disse: «Ecco come stanno le cose: Dio ordinò a
Michele di dare lo spirito in prestito agli esseri umani affin­
ché essi possano venerar(lo). BPoi il Sommo ordinò a Ga-
Il Vangelo di Giuda 105

briele di concedere lo spirito con l'anima agli spiriti della


grande stirpe non dominata. 14Jn ragione di questo, le ani­
me ri[ma]nenti . . . [circa una riga e mezzo indecifrabile] . . . lu­
ce . . . [circa una riga e mezzo indecifrabile] . . . 1Sricercare lo spi­
rito dentro di voi [che v]oi fate dimorare in questa [ca]rne
fra le stirpi degli an[gel]i. 16Poi Dio volle che [fosse data] la
conoscenza a Adamo e a quelli con lui t7affinché i domina­
tori del caos e dell'oblio non regnassero su di loro».

14. t[Poi] Giuda disse a Gesù: «Cosa faranno, dunque,


quelle stirpi?]».
2Gesù disse: «In verità vi dico, sono le stelle che portano
a compimento tutte le cose. 3Quando Saklas avrà comple­
tato il tempo a lui assegnato, 4la loro prima stella compa­
rirà insieme alle stirpi, se si compirà ciò che è stato detto.
6Allora fornicheranno in nome mio 7e uccideranno i loro
figli se . . .
(9- l Dcirca otto righe e mezzo sono indecifrabili]
[ . . . n]el mio nome, lle la tua stella gui[derà] il [tre]dice-
simo regno».
t2Ma poi Gesù [ri]se.
n[Giuda dis]se: «Maestro, [perché ridi di noi?]».
t4[Gesù] ri[spo]se. [Egli disse]: «Non è di [vo]i che
ri[d]o, [ma] dell'errore delle stelle, tsperché queste sei stel­
le andranno errando con questi cinque guerrieri,16e tutti
saranno distrutti insieme alle loro creature».
17Allora Giuda disse a Gesù: «Che cosa faranno i battez­
zati in nome tuo?)),
t BGesù disse: «In verità [vi] dico: questo battesimo
[ .......... ] il mio nome . . . )),
[circa otto righe sono indecifrabili]
. . . morire [ ........ ] a me)),

15. I«ln verità [di]co a te, Giuda, coloro [che of]frono sa­
crifici a Sakla[s ..... d]io . . . (2circa tre righe sono indecifrabili]
. . . ogni cosa [perché sono m]alvagi. 3Quanto a te, li supe­

rerai tutti. 4Perché tu sacrificherai l'uomo che mi riveste.


106 Il Vangelo ritrovato di Giuda

sn tuo corno è già levato, 6la tua collera è colma, 7la tua
stella si è affacciata se il tuo cuore ha [pre]valso.
9Jn ve[rità io ti dico]: "La tua fine . . . ".
[ tO-l lcirca cinque righe e mezzo sono indecifrabili]
. . . il sov[rano] che è distrutto. t2E allora la po[siz]ione
della grande stirpe di Adamo sarà innalzata, tJperché essa
esiste da prima del cielo e della terra e degli angeli, per
tu tti i regni.
t4Ecco, ora ogni cosa ti è stata detta. tSAlza gli occhi e
guarda la nube e la luce che è in essa e le stelle che la cir­
condano. t6E la stella che indica il cammino, quella è la tua
stella».
17Allora Giuda levò lo sguardo. tBVide la nube radiosa
t9ed entrò in essa. 20E coloro che erano sulla terra udirono
una voce venire dalla nube, che diceva: (([ . . . . . . . . . .. .] grande
stir[pe ..... imm]agine . . . ».
[circa sei righe e mezzo sono indecifrabili]

16. t[E] i sommi sacerdoti si lagnavano perché [egli (Ge­


sù)] era entrato [ne]lla camera degli ospiti per la preghie­
ra. 2E alcuni scribi erano là a scrutare per catturarlo men­
tre pregava, Jpoiché avevano paura del popolo, essendo
egli ritenuto da tutti un profeta.
4Ed essi si avvicinarono a Giuda se gli dissero: ((Che co­
sa ci fai qui? 6Tu sei un discepolo di Gesù».
7Ed egli rispose come essi volevano. BAllora Giuda rice­
vette alcune monete di rame. 9E lo consegnò loro.

toJl Vangelo di Giuda


Commenti alla traduzione

1,1. La prima parola del Vangelo di Giuda è logos, che si­


gnifica «parola», «discorso» o «resoconto». Per i lettori del
Vangelo di Giovanni, la «parola», ossia il «Verbo», è Gesù
(«In principio era il Verbo . E il Verbo si fece carne e ven­
. .

ne ad abitare in mezzo a noi. . . Dio nessuno l'ha mai visto:


proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo
ha rivelato>> (Gv 1,1; 1,14; 1,18). È probabile che il nostro
autore conoscesse questo vangelo e vi alludesse con il ter­
mine logos. Come in Giovanni, anche in Giuda è Gesù che
rivela la natura inconosciuta (nascosta) di Dio.
Anche il termine seguente, apophasis, qui tradotto con
«rivelazione», ha un duplice significato: indica sia «qual­
cosa reso esplicito» sia il «verdetto» del giudice. Nel Van­
gelo di Giuda l'insegnamento di Gesù possiede entrambe
le valenze: egli svela a Giuda ciò che è segreto, ma emette
anche un giudizio sui suoi condiscepoli. Anche in questo
caso è evidente l'affinità con il Vangelo di Giovanni, che
presenta Gesù come la rivelazione di Dio nel mondo. Al­
cuni verranno salvati dal suo insegnamento e altri saran­
no dannati: «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per
giudicare il mondo ma perché il mondo si salvi per mezzo
di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non cre­
de è già stato condannato . )) (Gv 3,1 7-18). In entrambi i
. .

vangeli Gesù è venuto a portare agli uomini la salvezza,


ma la otterranno soltanto coloro che comprenderanno la
vera natura e provenienza del Salvatore.
Apophasis megale è anche il titolo di uno scritto che Ippo-
108 Il Vangelo ritrovato di Giuda

lito, un padre della Chiesa del terzo secolo, attribuisce, in


Eresie 6,11, a Simon Mago, l'eretico esecrato di cui parlano
Atti 8,9-24. Non vogliamo con questo suggerire che il Van­
gelo di Giuda sia quell'opera spuria, ma la somiglianza
nel titolo induce a chiedersi se per caso l'autore non abbia
voluto stabilire un nesso fra il suo vangelo e altre correnti
cristiane del secondo secolo.
1,2. Lo strano computo del tempo sembra indicare che
le conversazioni fra Gesù e Giuda si siano svolte nel corso
di una settimana (otto giorni) e si siano concluse tre giorni
prima della Pasqua, quando Gesù fu crocifisso.
1,3. Il Vangelo di Giuda, a differenza dei vangeli di Mat­
teo e Luca, non racconta la nascita di Gesù, o come«si fece
carne>> (nel prologo del Vangelo di Giovanni), ma la sua
«apparizione>> o «rivelazione>>. Il linguaggio impiegato in­
dica che Gesù è divino, ma non chiarisce la questione del­
l' incarnazione.
I miracoli attestano la divinità di Gesù e la ragione della
sua venuta, e, nel contempo, contrappongono la vera na­
tura di Dio a quella dei governanti del mondo (gli arcon­
ti). Il Vangelo di Giuda proclama fin dall'inizio che Gesù è
sceso sulla terra per la salvezza dell'umanità. Tutti i cri­
stiani sapevano che egli aveva guarito i malati e i soffe­
renti, liberato gli ossessi e nutrito gli affamati. Dei mira­
coli non parlano soltanto i quattro vangeli canonici, ma
anche altri scritti: tutti raccontano i prodigi di Gesù come
manifestazione della sua natura divina. Il Vangelo di Gio­
vanni, per esempio, termina dicendo: «Molti altri segni fe­
ce Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati
scritti in questo libro. Questi sono stati scritti perché cre­
diate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, creden­
do, abbiate la vita nel suo nome>> (Gv 20,30-31). Nel Van­
gelo di Giuda, come nella Testimonianza veritiera, le
guarigioni non sono soltanto il segno della misericordia
divina, ma indicano anche che la malattia e la morte sono
mali inflitti agli uomini dai «governatori cosmici della te­
nebra>>, non da Dio. Guarendo i sofferenti, Gesù offre la
Commenti a/m traduzione 109

prova che Dio desidera la salvezza dell'umanità, cioè la


vita e la pienezza dell'essere.
1 ,4-5. Dio ha dunque inviato Gesù sulla terra perché
non tutti erano retti. Ebrei e cristiani erano soliti descrive­
re la salvezza come il passaggio dalla «trasgressione» alla
rettitudine, come fa qui il Vangelo di Giuda, il quale però
sottolinea che non tutti coloro che si ritengono giusti lo
sono veramente. Il testo prosegue introducendo temi co­
muni alle narrazioni ebraiche e cristiane sulla fine dei
tempi: la collera divina, il giudizio e il crollo dell'ordine
cosmico e morale.
1,6. Tutti e quattro i vangeli canonici affermano che Ge­
sù chiamò a sé i discepoli quando cominciò la predicazio­
ne e in tre di essi, Matteo, Luca e Giovanni, i discepoli
vengono inviati per il mondo a diffondere la buona novel­
la. Niente del genere accade nel Vangelo di Giuda: qui
«mentre alcuni continuavano a camminare lungo la via
della rettitudine, altri camminavano lungo la via della tra­
sgressione». All'inizio, Giuda è uno dei «dodici», poi però
Gesù lo separerà dai condiscepoli e da essi verrà infine
ucciso. Il suo posto verrà preso da un altro: è necessario
infatti che i discepoli restino «dodici», perché il numero
ha un valore simbolico: associa i dodici Apostoli con i do­
dici dominatori (arconti) del mondo infero. Ma la cosa più
sconvolgente è ciò che la separazione di Giuda dal grup­
po sottintende, e cioè che, dopo la morte di Gesù, a diffon­
derne la parola rimarranno soltanto i discepoli che l'han­
no fraintesa e rifiutata. L'unica speranza di ristabilire la
verità è racchiusa nell'insegnamento impartito da Gesù a
Giuda e contenuto nel vangelo che ne porta il nome.
1,7. Qui vengono introdotti i due temi principali dell'in­
segnamento segreto impartito da Gesù a Giuda: la natura
del regno dei cieli e la fine dei tempi.
1,8. Il flusso della narrazione sembra interrompersi:
l'autore si rivolge direttamente al lettore con un «tu», che
potrebbe essere una interpolazione successiva. Il Vangelo
di Giuda fu scritto originariamente in greco nel secondo
110 Il Vangelo ritrovato di Giuda

secolo, ma la sola copia a noi giunta è la traduzione in


copto del quarto secolo; si può quindi ipotizzare che nel
corso degli anni i copisti si siano sentiti liberi di alterare
(ossia «migliorare») il testo, secondo una prassi adottata
di frequente anche nei confronti del Nuovo Testamento.t
Ma in che cosa consisterebbe il miglioramento? Nel mo­
strare che i discepoli non riconoscono Gesù quando assu­
me l'aspetto di un fanciullo, un altro segno della loro man­
canza di discernimento spirituale.
L'idea che Gesù si facesse a volte bambino può sembra­
re strana oggi, ma in realtà compare in molti testi antichi. I
vangeli di Matteo e Luca narrano entrambi la nascita di
Gesù, e in Luca il Gesù dodicenne stupisce i dottori del
tempio con la sua sapienza (Le 2,41-52). Su Gesù fanciullo
sapiente si dilunga un testo leggendario del secondo seco­
lo, Infanzia di Gesù: Vangelo di Tommaso, in cui si rac­
conta fra l'altro come egli confonda il suo povero precet­
tore, il rabbino Zaccheo, e faccia morire all'istante un
bambino che lo ha offeso. Anche se poi lo resusciterà, que­
sto giovane Gesù ride degli adulti che fraintendono il si­
gnificato delle sue azioni e li ammonisce a essere più
profondi: «Ora portino frutto le cose tue e vedano i ciechi
di cuore. Io sono venuto dall'alto per maledirli e a richia­
marli alle cose dell'alto, come mi ha ordinato Colui che mi
ha mandato a voi» (Infanzia di Gesù: Vangelo di Tomaso 8,1).
Questo Gesù beffardo è molto simile a quello del Vangelo
di Giuda, che ride della stoltezza dei discepoli e li esorta a
una visione spirituale più alta. Nel Vangelo di Tommaso è
Gesù stesso a indicare i bambini come maestri di saggez­
za: «Un uomo carico d'anni» disse Gesù ai discepoli «non
esiterà a interrogare un bambino di sette giorni sul luogo
della vita, ed egli vivrà» ( Vangelo di Tommaso 4). Ma qui il
piccolo è metafora della creazione: l'universo che Dio creò
in sette giorni, di cui il neonato è il simbolo, racchiude
l'intero significato della vita. Nel Vangelo di Matteo, Gesù
dice ai discepoli che non entreranno nel regno dei cieli se
non si convertiranno e non diventeranno come bambini
Commenti alla traduzione 111

(Mt 18,1-5; 19,13-15). Nel Libro segreto di Giovanni (o


Apocrifo di Giovanni), Gesù si manifesta all'apostolo in
un raggio di luce prima come un giovane, poi come un
anziano, perché Giovanni comprenda che non l'ha abban­
donato e che chi è dotato dell'occhio interiore può scor­
gerlo sotto molteplici forme. Nel Vangelo del Salvatore,
Gesù dice esplicitamente ai discepoli: «lo sono in mezzo a
voi come i piccoli» (Vangelo del Salvatore 107,47-60) e la tra­
dizione successiva raffigurerà sotto forma di fanciullo lo
spirito che guida Paolo (Apocalisse di Paolo 18,3-22). L'im­
magine del bambino allude ovunque, anche nel Vangelo di
Giuda, alla presenza nascosta o inattesa del divino.
L'apparizione di Gesù nelle vesti di un fanciullo signifi­
ca inoltre che il corpo è malleabile e non costituisce un li­
mite per lo spirito, rispetto alla cui eterna stabilità, la na­
scita, la crescita e la morte sono soltanto apparenze.
2,1 . «Facevano esercizio»: il verbo nel testo copto è gym­
naze, che significa «addestrarsi, allenarsi>> ed è connesso
con l'italiano «ginnastica>> e con il significato originario di
«ginnasio>>: esercitarsi a diventare abili in qualche cosa.
Qui i discepoli si esercitano alla H N TNOYT6, ossia alla
«santità» o «reverenza verso Dio». In altre parole, compio­
no dei gesti (in questo caso ringraziano per il pane) con
cui intendono coltivare la pietà e la vera devozione. Vi
era, nel mondo antico, la convinzione che certe azioni
contribuissero a produrre atteggiamenti interiori corri­
spondenti: essere generosi verso il prossimo, per esempio,
portava alla vera generosità, così come indossare il velo
induceva alla modestia.
2,2. Il termine usato qui è eucharisti, che letteralmente
significa «rendere grazie», ma al tempo della stesura del
Vangelo di Giuda aveva già assunto un senso più tecnico:
indicava la celebrazione dell'eucarestia, o pasto comuni­
tario, in cui i cristiani condividevano il pane come corpo
di Cristo in memoria della sua morte.
2,3-9. In questo vangelo il riso segnala sempre che Gesù
si accinge a correggere un modo sbagliato di pensare. Qui,
112 Il Vangelo ritrovato di Giuda

però, Gesù, più che ridere, irride i discepoli per scuoteme


l'autocompiacimento e il falso orgoglio: non si rendono
conto della condizione in cui si trovano, convinti come so­
no che per essere giusti bastino le loro preghiere e prati­
che religiose. Ma il Dio che venerano, dice Gesù, non è il
vero Dio. I discepoli reagiscono con stupore, e insistono,
nella loro ignoranza, che Gesù è il Figlio del «loro)) Dio. E
invece sbagliano, come dimostra il modo in cui celebrano
l'eucarestia, quasi che Dio volesse la morte sacrificale di
Gesù. In questo passo l'autore sovrappone la situazione
del suo tempo a quella del tempo dei «dodici»): i seguaci
di Gesù cominciarono a celebrare l'eucarestia soltanto do­
po la morte' del maestro. Con questo anacronismo egli
vuole sottolineare che Gesù stesso era contrario al rito co­
sì come essi lo affidavano: quella celebrazione lasciava
trasparire il fraintendimento del significato della morte di
Gesù.
2,10. In copto esistono due termini per «conoscere)) o
«conoscenza)). Uno esprime la comprensione intellettuale
( 61H6 ) , l'altro la conoscenza interiore o esperienziale
(cooyH). Gesù usa il secondo termine e la sua domanda
potrebbe essere anche resa con «Mi riconoscete?)). Il punto
è che i discepoli sono convinti di sapere chi sia Gesù, ma
in realtà non lo sanno affatto, né lo sapranno finché non si
renderanno conto della loro ignoranza.
2,11 . Quando Gesù dichiara che nessuno dei discepoli
(«nessuna stirpe fra voh)) lo conoscerà mai, dice in sostan­
za che quanti si considerano «figli)) del falso «Dio)) non
potranno mai comprendere che egli è il Figlio del vero
Dio nell'alto dei cieli.
La parola qui tradotta con «stirpe)) è genos, che potrebbe
anche essere resa con «generazione))' «popolo)) o «razza)).
Contrariamente a quanto si crede, e cioè che i cristiani
avessero abbattuto le barriere di razza, classe e genere (si
veda Gal 3,28: «Non c'è più giudeo né greco; non c'è più
schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti
voi siete uno in Gesù Cristo))), essi continuarono a usare il
Commenti alla traduzione 113

linguaggio dell'identità etnica e razziale per indicare se


stessi come popolo, tanto che spesso affermavano di esse­
re «una terza razza».2 Il Vangelo di Giuda parla spesso di
razza, anche se molte volte al plurale, come razze umane.
Ma l'autore distingue in sostanza due sole razze: la razza
mortale (coloro che venerano i falsi dei del mondo infero
e sono destinati alla distruzione alla fine dei tempi) e la
razza immortale (coloro che riconoscono la propria natura
spirituale e si rivolgono al vero Dio nell'alto dei cieli).
Una concezione analoga compare in un altro libro ritro­
vato a Nag Hammadi, Sapienza di Gesù Cristo, in cui Ge­
sù dice: <<Tutto ciò che è venuto dalla caducità perirà per­
ché è venuto dal caduco. Tutto ciò che è venuto dalla
perennità invece non perisce ma diventa perenne. Così,
molti si sono smarriti, perché non conoscevano questa dif­
ferenza e sono morti» (Sapienza di Gesù Cristo III.98,1-9) La
morte, dunque, non sarebbe inevitabile, ma sarebbe la
conseguenza del fatto che l'uomo non ha imparato a di­
stinguere fra il mondo mortale in cui vive ora e il mondo
dell'eternità. Essendo creato a immagine del divino Ada­
mas e quindi, in tal senso, scaturito da ciò che è perenne,
l'uomo può diventare imperituro.
2,12. I discepoli, anziché accogliere l'insegnamento di
Gesù, chiedendo altri ammaestramenti, e pentirsi, cam­
biando modo di vivere, si lasciano sopraffare dalla collera
e bestemmiano. Chissà che la loro reazione non rispecchi
quella di alcuni cristiani nei confronti dell'autore del Van
gelo di Giuda, che li accusava di avere frainteso il signifi­
cato della morte di Gesù.
2,13-15. Naturalmente Gesù, che è divino, legge il pen­
siero dei discepoli. Il termine copto qui usato, t--ttiT�T2 HT,
significa «la condizione di chi è senza cuore o senza cer­
vello»: in altre parole, i discepoli sono definiti scriteriati e
sciocchi, privi di discernimento e di comprensione. L'ira
che li travolge, spiega Gesù, viene dal Dio che hanno inte­
riorizzato, non il sommo Dio nell'alto dei cieli, ma il Dio
inferiore che essi adorano. Il passo è cruciale, perché con-
114 Il Vangelo ritrovato di Giuda

tiene uno degli assunti fondamentali di questo vangelo: i


devoti diventano simili al Dio che venerano. Chi venera il
vero Dio, rafforza lo spirito divino che ha dentro di sé, sic­
ché la sua anima si plasma per la vita eterna; chi invece
adora gli dei del mondo infero diventa come loro: irascibi­
le, ipocrita, ignorante e violento.
Lo scontro fra Gesù e i discepoli sulla pratica eucaristi­
ca contiene forti echi di Giovanni 6,35-64, in cui Gesù
chiede ai discepoli da dove pensano che egli venga e spie­
ga che cosa significhi dire che la sua carne è il vero pane
di vita: «Se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e
non bevete il mio sangue, non avrete in voi la vita. Chi
mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna
e io lo resusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è
vero cibo e il mio sangue vera bevanda» (Gv 6,53-55). Gli
Apostoli mormorano e Gesù li rimprovera: «Questo vi
scandalizza? E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là
dov'era prima? È lo spirito che dà la vita, la carne non gio­
va a nulla; le parole che vi ho detto sono spirito e vita))
(Gv 6,61-63). Molti seguaci di Gesù, prosegue il racconto,
offesi dalla durezza di queste parole, lo abbandonarono,
ma «i dodich) gli rimasero fedeli. Qui Giuda, per la prima
volta, viene indicato come il traditore.
Il Vangelo di Giuda capovolge, almeno in parte, la sce­
na: i soli ad avere capito sono quelli che, come Giuda, ri­
fiutano l'idea che il corpo di Gesù porti la salvezza. Essi,
ed essi soltanto, hanno compreso il senso delle parole di
Gesù nel Vangelo di Giovanni: «La carne non giova a nul­
la)), Gesù verrà crocifisso, ma il vero significato della sal­
vezza sta nella sua ascesa in cielo e nell'ascesa di quanti lo
seguiranno. Che il passo di Giovanni adombri già il rifiu­
to da parte di alcuni cristiani del cannibalismo implicito
nel pasto sacrificale, e che uno di questi fosse Giuda? O
non sarà invece che l'autore del Vangelo di Giuda, leggen­
do Giovanni, abbia riconosciuto in Giuda il prototipo di
quei cristiani del suo tempo che rifiutavano l'interpreta­
zione della morte di Gesù come sacrificio? Possiamo sol-
Commenti alla traduzione 115

tanto avanzare delle ipotesi, ma, in un caso come nell'al­


tro, questo punto del Vangelo di Giuda può aiutarci a ca­
pire meglio perché per alcuni Giuda fosse l'unico discepo­
lo ad avere compreso l'insegnamento di Gesù.
2,16-17. Si noti come Gesù si rivolga ai ò.iscepoli chia­
mandoli «voi umani», ma poi chieda loro di fare emergere
«l'umano perfetto». La sottigliezza consiste nel fatto che
essi non sanno che cosa significhi essere veramente uma­
ni. Non sono consapevoli, come invece diverrà Giuda, che
la loro vera natura non è costituita dalla carne corruttibile:
l'umanità infatti è stata creata dagli dei minori a somi­
glianza dell'immagine divina dell'«umano perfetto», il ce­
leste Adamas, secondo l'interpretazione di Genesi 1,26-27
adottata da questo evangelista.
2,18-21. I discepoli ostentano di nuovo arroganza e igno­
ranza. Quando Gesù li sollecita a confrontarsi con lui, ri­
spondono con baldanza che sono «forti», poi però non han­
no il coraggio di stargli di fronte. L'unico a osare è Giuda.
La scena è fortemente ironica: i discepoli, sorpresi in at­
teggiamento devoto, cadono in realtà facilmente in preda
alla collera, alla blasfemia e alla viltà. Era convinzione dif­
fusa ai tempi in cui scriveva l'autore di questo vangelo
che la tempra spirituale di un individuo si misurasse in
base alla stabilità mentale ed emotiva (la «fermezza») o al­
la sua assenza. Il tema è stato studiato a fondo da Michael
A. Williams,3 che è arrivato a due conclusioni per noi im­
portanti. La prima: i filosofi greci, seguendo Platone, af­
fermavano l'esistenza di due regni, il regno divino, stabi­
le, immobile e immutabile, e il regno delle cose materiali,
mutevole e instabile. Nel Vangelo di Giuda, Gesù insegna
a Giuda che, al di là di questo nostro mondo effimero, esi­
ste un mondo divino inalterabile. La seconda conclusione:
il comportamento degli esseri umani varia a seconda che
seguano il modello della superiore stabilità divina oppure
l'agitazione della realtà materiale. Williams riporta un
esempio interessante. Il filosofo ebreo Filone di Alessan­
dria sostiene che è «nella natura dello stolto agitarsi sem-
116 Il Vangelo ritrovato di Giuda

pre contrariamente a quanto consiglia la giusta ragione,


mostrarsi ostile alla immobilità e al riposo e non restare
mai fermo. L'anima della persona indegna è "cos tante­
mente scossa", perché non ha alcun punto d'appoggio fer­
mo . . . L'uomo saggio, invece, ha quietato i fJ.utti e l'agi­
tazione dell'anima . . . Le sue azioni non . . . si lasciano
facilmente scuotere». Il prototipo della fermezza è Abra­
mo, che non vacillò davanti al Signore. Pertanto, i disce­
poli, mostrandosi incapaci di confrontarsi con Gesù, dan­
no prova di non possedere la calma spirituale che è frutto
della fermezza del carattere e della vicinanza a Dio. Giuda
si dimostra superiore: si alza e si pone di fronte a Gesù,
benché debba distogliere lo sguardo, mostrando di non
avere ancora raggiunto lo stato spirituale più elevato. Vi
arriverà alla fine, quando Gesù lo esorterà: «Alza gli oc­
chi!», ed egli, obbedendo, ascenderà nel regno spirituale
immutabile, fino alla nube radiosa nell'alto dei cieli.
2,22-24. Abbiamo qui la prima indicazione del motivo
per cui Gesù pone Giuda al di sopra degli altri discepoli.
Egli è il solo a riconoscere la vera natura di Gesù: «So chi
sei e da dove vieni» gli dice. Anche nei vangeli canonici i
discepoli cercano, spesso invano, di afferrare la vera iden­
tità di Gesù. Nel Vangelo di Marco,4 per esempio, Pietro è
l'unico a capire che Gesù è il Cristo, ma rifiuta l'idea che
pos�a essere crocifisso, tanto che Gesù lo rimprovera e,
chiamandolo Satana, gli dice: « . . . tu non pensi secondo
Dio, ma secondo gli uomini» (Mc 8,27-33).5 Anche in Gio­
vanni, i discepoli non riconoscono Gesù e, nonostante af­
fermino di avere capito, alla fine lo abbandonano tutti e
Pietro lo rinnega addirittura tre volte (Cv 14,1-11; 16,28-
32; 18,15-27).6 E come nel Vangelo di Giovanni i discepoli
si danno alla fuga quando Gesù viene arrestato, così nel
Vangelo di Giuda sono sopraffatti dalla paura. È la prova
che la loro fede non è salda: non hanno davvero capito chi
è Gesù e da dove viene.
Il termine qui tradotto come «regno» è aeon (eone), che
significa «periodo», «era», «epoca» e nella forma avver-
Commenti alla traduzione 117

biale aionios è sinonimo di «eterno». Questa definizione


compare di frequente nel Vangelo di Giuda a indicare tan­
to il regno ultramondano, eterno e immortale, quanto il
regno mondano, limitato e mortale. La parola perciò pos­
siede una fortissima connotazione spazio-temporale. In
altri testi cristiani l'eone viene a volte personificato e desi­
gna una sorta di essere eterno, come gli angeli e gli arcan­
geli, ma nel Vangelo di Giuda il suo significato principale
è quello di un regno che esiste rispetto a un determinato
tempo (sia limitato sia eterno).
Il nome Barbelo potrà suonare strano a molti lettori.
Nel Vangelo di Giuda compare questa unica volta, ma è
invece presente in altri testi antichi ritrovati nel secolo
scorso in Egitto. Molti di questi scritti appartengono a un
tipo di cristianesimo che gli studiosi hanno denominato
setiano, perché fa discendere la stirpe spirituale umana
dal terzo figlio di Adamo, Set, oppure dalla figlia di Eva,
Norea. In questa concezione, Barbelo è la madre divina, la
seconda figura della Trinità, che è formata dal Padre (lo
spirito invisibile), dalla Madre (Barbelo), dal Figlio (Auto­
genes, colui che si è autogenerato, Cristo). In diversi casi,
il «regno di Barbelo» abbraccia l'intera sfera divina, per
cui l'espressione diventa una sorta di sinonimo di regno
divino.7
2,25-32. Le parole di Giuda mostrano che il discepolo è
dotato di discernimento spirituale ed è perciò in grado di
accogliere altre nozioni, che gli consentiranno di salire fino
al luogo da cui proviene Gesù. Il Salvatore promette allora
di impartirgli altri insegnamenti sui «misteri del regno>>,
che riguarderanno l'origine e la natura dell'universo.
Chiede quindi a Giuda di separarsi dagli altri. Forse era
la stessa richiesta che l'autore di questo vangelo rivolgeva
ai suoi seguaci, probabilmente un gruppo sulla difensiva,
diviso dagli altri cristiani, che avevano una concezione di­
versa del sacrificio e del martirio. In questo passo Gesù ri­
vela per la prima volta a Giuda che i suoi condiscepoli gli
infliggeranno grandi sofferenze: forse un'altra allusione
1 18 Il Vangelo ritrovato di Giuda

alle tensioni esistenti fra i cristiani del tempo in cui que­


sto vangelo fu redatto. Quando Gesù allontana Giuda dal
gruppo per impartirgli un insegnamento segreto e affidar­
gli il compito di consegnarlo alle autorità, un altro disce­
polo ne prende il posto. In Atti degli Apostoli 1,15-26 si
legge che Giuda fu sostituito da Mattia.
Ma perché era necessario che Giuda fosse rimpiazzato?
Perché, dice il nostro vangelo, «i dodici» possano essere
«completi nel loro "Dio"». È il primo accenno all'impor­
tanza dei numeri, che diventerà molto più pronunciata
quando Gesù illustrerà a Giuda l'origine del mondo. Il si­
gnificato effettivo del numero dodici, come si vedrà, è eh:::
il vero Dio ha posto dodici angeli a governare il mondc
inferiore, e dunque i dodici discepoli rappresentano sulla
terra il numero del «loro "Dio"» in cielo.
Qualcosa di analogo propone un altro manoscritto del
codice Tchacos, la Prima Apocalisse di Giacomo, il cui testo
era già noto attraverso una copia ritrovata a Nag Hammadi
nel 1945. In essa un discepolo viene elevato sopra tutti gli
altri: in questo caso si tratta di Giacomo. Gesù gli affida il
compito di «rimproverare i dodici», sprofondati nell'auto­
compiacimento, così come nel Vangelo di Giuda lo sono
nella falsa devozione, mentre sono convinti, a torto, di pos­
sedere «la via della conoscenza» (Prima Apocalisse di Giaco­
mo NH 42,20-24). L'Apocalisse di Giacomo, però, celebra al­
tri discepoli al posto dei consueti dodici: Gesù esalta sette
donne e ammonisce Giacomo a lasciarsi «persuadere dalla
[testimonianza] di Salame e Mariam [e Marta e Ars]inoe».s
La versione del codice Tchacos è lievemente diversa (può
darsi che i rimproveri ai «dodici» fossero contenuti in una
parte del testo andata perduta, 29,12-19), ma l'elogio delle
donne è molto più netto. Le sette discepole sono «i sette
spiriti», e precisamente: la saggezza, l'intuito, il consiglio,
la forza, la comprensione, la conoscenza e il timore (di Dio)
(26,4-10). Sei di esse vengono citate per nome come modelli
di salvezza: Salame, Maria, Arsinoe, Sapphira, Susanna e
Joanna.9
Commenti alla traduzione 1 19

3,1-13. Quando lascia i discepoli, Gesù sale da «un'altra


stirpe grande e santa>>. Egli, dunque, non è affatto intrap­
polato nella «prigione del suo corpo», da cui deve essere
liberato, come invece alcuni padri del secondo secolo accu­
savano gli eretici di affermare, ma può, al contrario, muo­
versi liberamente fra questo mondo e quello trascendente.
I discepoli si stupiscono nell'apprendere che nel regno
ultrarnondano vive un'altra stirpe. La loro ignoranza e la
loro incredulità muovono di nuovo al riso Gesù: come sem­
pre, questo è il segnale che egli sta per impartire un inse­
gnamento importante. Gesù distingue nettamente fra i figli
mortali del mondo inferiore e la stirpe che proviene dal
mondo superiore. La seconda, forte e santa, non è soggetta
né agli angeli né alle stelle che governano il mondo terreno:
un concetto che Gesù ribadirà in 9,17-19. Coloro che, inve­
ce, venerano gli angeli inferiori finiscono per esserne asser­
viti; queste parole richiamano Paolo in Galati 4,8-11 : «Ma
un tempo, per la vostra ignoranza di Dio, eravate sottomes­
si a divinità che in realtà non lo sono; ora invece che avete
conosciuto Dio, anzi da lui siete stati conosciuti, come pote­
te rivolgervi di nuovo a quei deboli e miserabili elementi, ai
quali di nuovo come un tempo volete servire? Voi infatti os­
servate giorni, mesi, stagioni e anni . Terno per voi che io mi
sia affaticato invano a vostro riguardo». In sostanza, Paolo
rimprovera ai Galati di osservare nelle loro Clùese cristiane
il calendario rituale, un'osservanza in cui scorge una forma
di assoggettamento agli spiriti elernentali, associati ai corpi
celesti in base ai quali quel calendario veniva fissato. Una
posizione analoga si riscontra nell'Apocal1::>se neotestarnen­
taria: la Nuova Gerusalemme, in cui vivranno eternamente
i puri, è raffigurata come un luogo dove «non vi sarà più
notte e non avranno più bisogno di luce di lampada, né di
luce di sole perché il Signore Dio li illuminerà» (Ap 22,5).
Dalla reazione dei discepoli si arguisce che ancora una
volta non hanno capito: turbati dall'insegnamento di Ge­
sù, non trovano neppure le parole per interrogarlo su ciò
che ha appena detto.
120 Il Vangelo ritrovato di Giuda

4,1-7. Il Vangelo di Giuda presenta due sogni: il primo è


dei «dodici», il secondo di Giuda. Entrambi vengono rac­
contati a Gesù perché li interpreti, e in entrambi i casi Ge­
sù se ne serve per correggere le false credenze e pratiche
dei suoi discepoli. Il sogno dei «dodici», però, è in netto
contrasto con il sogno di Giuda: mentre essi vedono sol­
tanto la violenza e l'immoralità della vita terrena, Giuda
ha una visione, sia pure parziale, del regno celeste.
Ai «dodici>> appare in sogno una «grande casa>>, un tem­
pio (la casa di Dio) - quasi certamente un'allusione al
Tempio ebraico di Gerusalemme - in cui si offrono sacrifi­
ci: dodici sacerdoti, in piedi davanti all'altare, ricevono le
offerte di una moltitudine in paziente attesa. I discepoli
sentono anche pronunciare «un nome>> e vedono se stessi
fra i devoti.
4,8-21 . Gesù richiama la loro attenzione sui sacerdoti (o
sulla «folla>>? La seconda versione colmerebbe altrettanto
bene la lacuna, ma il significato non risulterebbe chiaro:
spetta infatti ai sacerdoti immolare le vittime sacrificali.
Non si può tuttavia escludere che l'autore intenda suggeri­
re che i fedeli adottano la condotta immorale dei loro ca­
pi). I discepoli descrivono una scena agghiacciante: i mini­
stri del culto sacrificano mogli e figli, compiono pratiche
sessuali illecite, uccidono gli animali e commettono una
«infinità di peccati e ingiustizie>>. Eppure gli altari sono
sempre ricolmi! E il «nome>> che i sacerdoti invocano è
quello di Gesù.
Finito il racconto, i discepoli appaiono di nuovo turbati
e muti. Gesù condanna i sacerdoti, che si servono impu­
dentemente del suo nome per piantare «alberi senza frut­
to>>: un'accusa che i vari gruppi cristiani si scagliavano a
vicenda. Nella Seconda lettera di Pietro, per esempio, che
fa parte del Nuovo Testamento, alcuni cristiani sono bol­
lati come «falsi profeti»> e «falsi maestri»>: «hanno gli occhi
pieni di disonesti desideri»>, e «insaziabili di peccato, ade­
scano le anime instabili>>; sono «schiavi della corruzione>>,
«animali irragionevoli», «fonti senz'acqua» e così via (2 Pt
Commenti alla traduzione 121

2,1-22). Anche le accuse di omicidio e di pratiche omoero­


tiche rientrano nel tema più generale del pensiero antico
sull'empietà, secondo cui essa conduce alla violenza e alla
immoralità sessuale (si veda, per esempio, Rm 1,18-32). 10
L'Apocalisse di Pietro, come il Vangelo di Giuda, defini­
sce «ciechi e sordi» (73,13-14) quei cristiani che esaltano la
morte in croce di Gesù: evidentemente le accuse di errori
e immoralità volavano in tutte le direzioni.
5,1-19. In questo passo Gesù interpreta il sogno: siete
voi, dice ai «dodici», i sacerdoti davanti a quell'altare e le
offerte sono le persone che voi conducete fuori dalla retta
via. Gli atti immorali e la violenza, di cui i discepoli sono
stati testimoni nel sogno, sono la conseguenza del culto di
un «Dio» inferiore, che si serve del nome di Gesù per por­
si ingannevolmente come il vero Dio. A richiedere i sacri­
fici è questo «Dio» inferiore, che è soltanto un «ministro
dell'errore» (5,15). Gesù incalza i discepoli perché si rav­
vedano e smettano di sacrificare se stessi e gli altri a que­
sto falso Dio, alla sua promessa che al momento della re­
surrezione saranno «come angeli». In Luca 20,35-36, Gesù,
parlando della resurrezione, dice: «Quelli che sono giudi­
cati degni dell'altro mondo e della resurrezione dei morti
. . . (non) possono più morire perché sono uguali agli an­
geli e, essendo figli della resurrezione, sono figli di Dio)).
Nel Vangelo di Giuda, al contrario, Gesù insegna che, se
gli uomini non cambieranno, il vero Signore dell'universo
li annienterà tutti alla fine dei tempi. L'accenno alla «fine
dei temph) rinvia alle metafore apocali ttiche e alla convin­
zione che nel giorno del giudizio Dio condannerà gli ini­
qui. E questo accadrà quando le stelle avranno completato
ogni cosa: parole che preannunciano la rivelazione sulla
sfera celeste, che Gesù effettuerà fra poco.
In 5,7 Gesù dice che i devoti aderiranno a qualcosa. Ma
a che cosa? Dal punto di vista grammaticale, il referente è
ambiguo. La frase potrebbe significare che i cosiddetti
devoti seguiranno il signore del caos, oppure il nome di
Gesù. In entrambi i casi è comunque chiaro che colui che
122 Il Vangelo ritrovato di Giuda

governa il mondo svia i credenti servendosi del nome di


Gesù.
6-7. Il testo molto lacunoso permette soltanto di avan­
zare delle ipotesi. L'unica cosa chiara è che ogni uomo ha
una sua stella, come spiegherà in seguito Gesù a Giuda. A
giudicare dai riferimenti alle sorgenti e all'albero, la parte
finale del capitolo 7 si direbbe contenga una raffigurazio­
ne del giardino dell'Eden descritto nella Genesi. Qualcu­
no (Cristo) viene a portare l'acqua (la conoscenza) alla
«stirpe che durerà» (i discendenti di Set?), affinché essa
non sia corro tta. Potrebbe tra ttarsi di un'anticipazione
dell'insegnamento che Gesù impartirà a Giuda, quando
gli spiegherà che Dio ha concesso la conoscenza a Adamo
e a quelli con lui perché potessero sottrarsi al dominio
delle potenze del mondo infero (Giuda 13,16-17).
8, 1-8. Giuda chiede a Gesù spiegazioni sul «frutto»,
presumibilmente il frutto dell'albero della conoscenza o
albero della vita del giardino dell'Eden, cui si accenna nel
capitolo 7. Gesù spiega che esistono due «razze», la «raz­
za dei mortali» e la «razza degli immortali». Tutte le ani­
me che appartengono alla razza dei mortali muoiono
quando il corpo cessa di vivere e lo spirito divino le abban­
dona. Diverso è il destino di coloro che appartengono alla
razza immortale: alla morte del corpo, lo spirito innalza le
loro anime alla vita eterna. Giuda sembra non comprende­
re, perché chiede di nuovo che cosa accade a coloro che
non salgono nel regno trascendente al momento della
morte. La risposta di Gesù è in una parte del manoscritto
molto deteriorata, ma sembrerebbe dire che anche per co­
storo è possibile l'ascesa. In qu esto capitolo lacunoso si
coglie un riferimento alla parabola del seminatore (Mt
13,1-23; Mc 4,1-20; Le 8,4-15; Tommaso 9), in cui quanti si
lasciano corrompere dal sapere mondano (vedi anche
Giuda 10,4) sono paragonati ai semi che cadono sulla roc­
cia e non fruttificano. Poi però si accenna a una «mano»
che ha creato gli esseri umani in modo tale che possano sa­
lire nel regno celeste.
Commenti alla traduzione 123

L'anima sembra avere un destino diverso a seconda


che l'individuo volga lo sguardo verso l'interiorità per
scoprirvi la scintilla dello spirito oppure segua le vie del
mondo (la saggezza corruttibile). Questo concetto era
tutt'altro che nuovo nel secondo secolo. Qualcosa di ana­
logo l'aveva già affermato Platone nel Fedone, dove So­
crate, in attesa di essere giustiziato con il veleno, discute
con i suoi amici sulla sorte dell'anima. Sostiene il filo­
sofo che, quando l'anima è schiava della carne, le pene e
i piaceri sono come chiodi che la saldano al corpo, ren­
dendola «corporea e inducendola nell'illusione che ciò
solo è vero che anche il corpo dice vero. E da questo suo
avere le stesse illusioni del corpo e godere gli stessi pia­
ceri del corpo, ella è pure costretta, io credo, a divenire
simile al corpo nelle sue consuetudini e nella sua educa­
zione, e quindi sarà tale che non potrà mai giungere al­
l' Ade nella sua purezza . . . , e così non potrà mai essere
partecipe della natura del divino, del puro, dell'unifor­
me» (Fedone cap. XXIII). Coloro che invece coltivano la
vita virtuosa dell'anima non temono la morte del corpo,
sapendo che essa non farà che liberare l'anima per la vita
immortale con il divino. Le persone dotate di spirito pro­
fetico, proclama Socrate, vanno incontro alla morte con
gioia, perché «sono destinate ad andare al dio di cui so­
no servitori».n
Nel Vangelo di Giuda, questa sarà la sorte riservata a
Giuda, l'unico discepolo dotato di spirito profetico e in
grado di accogliere la rivelazione divina. Forse anche i se­
guaci di questo vangelo si ritenevano incamminati sul
sentiero spirituale che conduceva a Dio.
9,1-5. Ora Giuda ha una grande visione e chiede a Gesù
di ascoltarlo come ha fatto con «i dodici»). Gesù scoppia a
ridere, e noi ci chiediamo dove stia l'errore. Giuda appare
molto agitato, quasi vacillante, dando così prova dell'in­
stabilità di carattere che i lettori hanno imparato ad asso­
ciare con «i dodici)), Gesù, però, promette che lo «sosterrà)),
La metafora indica che il suo insegnamento lo aiuterà a
124 Il Vangelo ritrovato di Giuda

raggiungere la fermezza e a conquistare la stabilità di cui


ha bisogno per il suo sviluppo spirituale.
Gesù chiama Giuda «tredicesimo dio». L'autore usa la
parola daimon, alla quale i cristiani di epoche successive
hanno attribuito la connotazione negativa di «demonio».
Nel pensiero greco, invece, essa indicava gli dei minori e
qualche volta la sorte o fortuna dei singoli individui. Tut­
ti, ha scritto Platone, possediamo il nostro daimon:
E della specie più alta dell'anima umana conviene pensare che
questa parte, della quale diciamo che abita nella sommità del no­
stro corpo, Dio l'abbia data a ciascuno come un genio tutelare (dai­
mon) e che essa ci solleva da terra alla nostra parentela nel cielo,
come piante non terrene ma celesti.1 2

Chi dedica la vita a coltivare il proprio daimon può di­


ventare simile a Dio e raggiungere l'immortalità, che è la
felicità suprema (eudaimonia: letteralmente, lo stato di un
buon daimon). Chi, al contrario, coltiva le parti inferiori
dell'anima, dedicandosi alle cose effimere come la ric­
chezza e gli appetiti, muore davvero.
Anche il numero tredici ha un suo significato: indica
che Giuda è al di là o al di fuori del gruppo dei «dodici>).
Fra l'altro, come si è osserva to nel commento a Giuda
2,29, il numero dodici appartiene ai dominatori del mon­
do inferiore, che i discepoli venerano. Il numero tredici
pertanto segnala che Giuda ha sopravanzato i dodici ar­
conti che governano questo mondo e si è sottratto al loro
potere.
9,6-14. Quando Giuda comincia a raccontare, si com­
prende la ragione del suo turbamento: si è visto lapidato e
perseguitato dai condiscepoli. Giuda ha paura, come ac­
cadeva, al tempo in cui fu scritto questo vangelo, a tanti
cristiani costretti a vivere sotto la minaccia della sofferen­
za e del martirio.
Ma la visione non finisce qui. Giuda si vede salire nel re­
gno celeste, probabilmente «dopo (al seguito di) (Gesù))). E
anch'egli, come «i dodici>), vede una grande casa: questa
Commenti alla traduzione 125

però non è la casa terrena di Dio, ma il tempio del vero Dio


nell'alto dei cieli.B In questo tempio non ci sono sacerdoti
né si offrono sacrifici: è invece un luogo lussureggiante, at­
torniato da sapienti (21H'Iox NpwHe, letteralmente «vecchi
alti e grandi»), parole che, non diversamente dal termine
cristiano «presbitero», sono un titolo onorifico rivolto agli
anziani, in particolare a quelli di grande statura, e riecheg­
giano i passi biblici di Daniele e Isaia in cui Dio è chiamato
«il Vegliardo» (Dn 7,9; 7,13; 7,22) e regna e manifesta la sua
gloria davanti «ai suoi anziani» (ls 24,23). Nella visione di
Giuda, gli anziani sembrano essere i membri della corte
che attornia la casa divina. Anche questo tempio è gremito
di una folla (la stirpe grande e santa?), alla quale Giuda
chiede a Gesù di potersi unire.
Non soltanto il contrasto ma anche la somiglianza fra i
due sogni - due templi, due gruppi di leader e due molti­
tudini di fedeli - non è casuale: l'analogia ha infatti lo sco­
po di indicare come ogni cosa del mondo terreno non sia
che un'imitazione scadente e ingannevole della realtà ve­
ra, quella del regno trascendente, come rivelerà Gesù a
partire dal capitolo 10.
9,15-2 1 . L'errore di Giuda consiste nel pensare che un
essere mortale possa entrare nel tempio celeste: esso, lo
corregge Gesù, è riservato ai beati. Qui, insieme agli ange­
li santi, vivranno in eterno tutti coloro che si sono sottratti
al dominio dei corpi celesti: il sole, la luna e il giorno. Giu­
da, evidentemente, pensava che dopo avere patito la mor­
te il suo corpo sarebbe risorto, ma questo è «l'insegnamen­
to>> dei corpi celesti erranti, ossia delle stelle (i pianeti) del
mondo infero. Gesù invece insegnerà che la morte non è
da temere.
9,22-25. La verità comincia finalmente a farsi strada:
Giuda si rende conto con stupore che «il (suo) seme>>, vale
a dire tutti coloro che appartengono alla stirpe immortale
dei beati, è superiore alla stirpe degli angeli che governa il
mondo. Giuda e quelli come lui possiedono infatti lo spi­
rito divino che è eterno, mentre il tempo delle schiere de-
126 Il Vangelo ritrovato di Giuda

gli angeli è a termine. Viene così rovesciato l'ordine appa­


rente delle cose: gli angeli del mondo infero sono in realtà
soggetti alla stirpe immortale. Il passo contiene un'eco
della Lettera agli Ebrei 1,3-4: «Questo Figlio . . è diventato
.

tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è


il nome che ha ereditato>> che, a sua volta, costituisce una
versione cristianizzata di quanto affermato nei Salmi: l'uo­
mo è stato fatto «poco meno degli angeli» (Sal 8,6).
La presa di coscienza di Giuda è controbilanciata da un
nuovo annuncio di sofferenza. Il ruolo che svolgerà sulla
terra gli procurerà grande dolore. La conoscenza della ve­
rità sul regno di questo mondo e sulla stirpe umana morta­
le non potrà che portarlo a piangeme la sorte.
9,26-30. Giuda si chiede allora se valga la pena patire
tanto, ma Gesù lo conforta. Certo, verrà cacciato («diven­
terà il tredicesimo») e maledetto, ma alla fine li sovrasterà
tutti e ascenderà fra i beati.
Il testo del versetto 30 è di difficile decifrazione: si di­
·
rebbe che lo scriba abbia dimenticato una o due parole
(indicate da < > ) Da ciò che rimane si intuisce che i disce­
.

poli faranno qualcosa a Giuda (forse lo lapideranno, come


ipotizzato da Stephen Emmel durante una conversazio­
ne), dopo di che egli salirà nella grande casa celeste.
10-14. Questa lunga sezione contiene la rivelazione di
Gesù sull'origine e la forma dell'universo. È il tema prin­
cipale dell'intero vangelo, di cui costituisce più del qua­
ranta per cento, ed è alla base di tutti gli insegnamenti im­
partiti da Gesù. L'autore l'ha annunciato già all'inizio,
quando ha detto che Gesù è venuto a salvare gli esseri
umani, insegnando loro «i misteri dell'aldilà e le cose che
avverranno alla fine».
Ma, si chiederanno i lettori nostri contemporanei, che
aiuto possono mai dare simili dottrine? Molte delle perso­
ne alle quali le ho esposte le hanno trovate bizzarre, quan­
do non del tutto incomprensibili. Che messaggio valido
conterranno mai? I nomi strani, gli eoni, l'uso inconsueto
e complicato dei numeri, e le molte lacune dell'antico ma-
Commenti alla traduzione 127

noscritto rendono difficile, se non impossibile, decifrare il


messaggio sottostante. Eppure capirlo è cruciale, perché
contiene le risposte a tutte le domande fondamentali sol­
levate dal Vangelo di Giuda: quale sia la natura di Dio,
che cosa significhi essere creature umane, perché si soffra
e si muoia, perché Gesù sia stato crocifisso, perché Giuda
l'abbia consegnato ai sacerdoti e molto altro.
In realtà, la concezione dell'universo che espone questo
vangelo è meno ostica di quanto appaia a prima vista.
Benché la cosmologia antica suoni arcana, il suo assunto
fondamentale - ciò che sappiamo dell'universo è stretta­
mente correlato con la nostra comprensione della natura
umana - ci è in realtà familiare. È un modo di ragionare
che ritroviamo, per esempio, nei dibattiti odierni sull'evo­
luzione e il disegno intelligente (o creazionismo). Anche
in questo caso si cercano risposte agli interrogativi essen­
ziali con cui il genere umano è costretto a confrontarsi in
ogni epoca: qual è la natura della realtà? Qual è l'origine
del mondo e dell'umanità? Qual è il posto dell'umanità
nell'universo? L'universo ha un ordine morale o è pura
casualità? Quale è la verità della Bibbia e della rivelazio­
ne, o meglio, di tutte le dottrine religiose?
Il dibattito in atto oggi dimostra con chiarezza che le di­
scussioni sulla natura dell'universo coinvolgono spesso
questioni filosofiche e religiose basilari su come vada vista
la natura umana, su come gli uomini dovrebbero vivere e
rapportarsi (se del caso) con il divino. Per quel che ci ri­
guarda, noi, come autrici di questo libro, siamo rispettose
di tutte le posizioni interne a questo dibattito, tanto quella
degli scienziati che difendono l'evoluzione e la genetica,
quanto quella di coloro che non vogliono rinunciare alla
Bibbia come àncora morale e spirituale. E tuttavia, molti si
chiedono ancora quale sia la ragione del contendere. Si do­
mandano perché mai una parte dei credenti si opponga al­
la teoria evolutiva e alla genetica, dal momento che il dise­
gno intelligente manca di prove scientifiche, e per di più,
molti scienziati e teologi sono concordi nel dire che la reti-
128 Il Vangelo ritrovato di Giuda

gione e la scienza non si escludono a vicenda.14 Qual è


dunque il problema? Per molti la questione non sta tanto in
ciò che gli scienziati dicono quanto in ciò che le loro teorie
possono implicare, dal momento che «il cosmo)) ' ha detto
papa Giovanni Paolo Il, è visto come «il risultato di una
evoluzione della materia riducibile a puro caso e neces­
sità)),ls Questa filosofia materialista, aggiunge il Dalai La­
ma, è «un invito al nichilismo e alla povertà spirituale)) ,16
E non è tutto. Alcuni settori cristiani contestano la teo;.
ria dell'evoluzione anche perché mette in discussione la
loro interpretazione della Scrittura e l'autorità della Bib­
bia stessa. I valori in gioco, essi dicono, non dipendono
dalla scienza ma da una particolare lettura di testi consi­
derati di ispirazione divina, e perciò la scienza deve ope­
rare entro la cornice fornita dalla Genesi, tutto il resto va
escluso. Il contrasto della Chiesa con Galileo, tanto per fa­
re un esempio, non riguardava le sue concezioni scientifi­
che, ma le implicazioni che esse avrebbero potuto avere
sul posto dell'uomo nel creato e sul suo modo di rappor­
tarsi con Dio. La teoria galileiana sembrava minacciare
l'insegnamento cristiano, secondo il quale l'uomo ha un
legame particolare con il divino. Non più posto al centro
dell'universo, l'uomo, sostenevano i critici, era abbando­
nato alle macchinazioni del caso, che è indifferente alla
sua sorte, oppure alla più rigida necessità.
Nel Vangelo di Giuda, Gesù rivela l'affinità degli uma­
ni con Dio e insegna a vivere rispettando l'ordine morale
dell'universo, la cui origine è divina. L'uomo possiede
dentro di sé risorse spirituali maggiori di quanto creda,
come si comprende dalla spiegazione della natura dell'u­
niverso che Gesù offre a Giuda. Esiste un altro regno, egli
dice, al di là di quello materiale ed esiste una stirpe beata
e immortale al di sopra di quella mortale umana. Chi si
rende conto di questa realtà può realizzare la sua natura
più elevata e imparare a condurre la vita del giusto sulla
terra. Gli esseri umani, prosegue Gesù, sono stati creati se­
condo l'immagine divina del Primo Uomo, il celeste Ada-
Commenti alla traduzione 129

mas. Per onorare questa immagine, Dio ha inviato un sof­


fio divino a tutti gli uomini, perché si volgessero verso di
lui e lo adorassero. Ogni uomo, se saprà guardare dentro
di sé, potrà «fare emergere l'umano perfetto))' scoprire
cioè la sua scintilla celeste e immortale.
Ma perché, allora, gli esseri umani ignorano il regno su­
periore e la propria natura spirituale? Perché, pur essendo
fatti a immagine e somiglianza di Dio, sono stati creati da­
gli angeli minori, ai quali Dio ha affidato la custodia del
mondo materiale, ossia del regno del caos e dell'oblio. E
questi angeli, essendo soggetti all'errore, hanno fuorviato,
per ignoranza e arroganza, l'umanità, inducendola a vene­
rarli. Essi confondono alcuni, spingendoli a immaginare
che l'essere giusti consista nel compiere pratiche di devo­
zione come i sacrifici, il digiuno, la preghiera e il battesi­
mo, mentre in realtà queste consuetudini ottundono, come
si vede nei discepoli, che sono incapaci di accogliere le cri­
tiche di Gesù. E questo anche perché seguire i suoi inse­
gnamenti non porta potere e gloria sulla terra, bensì male­
dizione, sofferenza e morte.
L'idea che essere discepoli di Cristo significhi imitarne
la sofferenza e la morte non è certo nuova: compare più
volte nel più antico dei vangeli canonici, quello di Marco,
e nel secondo secolo molti cristiani interpretavano a que­
sto modo anche la morte dei martiri. In che cosa dunque
differisce il Vangelo di Giuda? Nell'affermare con forza e
ripetutamente che il vero Dio non desidera il martirio.
Egli ha inviato Gesù sulla terra per dimostrare che la mor­
te è soltanto un passo dentro l'eternità. Il dolore e la morte
avvengono unicamente perché i leader del mondo e i loro
seguaci hanno smarrito la retta via. Ma il tempo loro asse­
gnato finirà un giorno ed essi saranno distrutti: è questa la
giustizia del vero Dio. Non ci sarà nessuna resurrezione
del corpo, perché la carne appartiene al mondo della ma­
teria, che è destinato a ripiombare nel caos da cui è venu­
to. Soltanto i falsi «deb) promettono l'eternità a ciò che è
perituro. Ma è una menzogna, afferma Gesù nel Vangelo
130 Il Vangelo ritrovato di Giuda

di Giuda, e i falsi dei e i loro seguaci saranno annientati in­


sieme al mondo su cui ora governano.
Se le cose stanno così, come è possibile che gli esseri
umani sopravvivano? Il Vangelo di Giuda esamina il pro­
blema in termini escatologici: Gesù parla di vita e di mor­
te in riferimento a ciò che accadrà alla fine dei tempi. Non
si tratta soltanto di vedere se i singoli abbiano una vita
nell'aldilà, ma se il mondo abbia un ordine morale, se la
giustizia prevarrà nonostante la violenza, la sofferenza
immeritata e il male. Contro ogni evidenza - la morte di
Gesù, la morte di Giuda e la persecuzione dei cristiani del
suo tempo - l'evangelista proclama che la giustizia esiste
e che la vita gloriosa dello spirito trionferà su ogni male.
I capitoli 10-14 del Vangelo di Giuda contengono il nu­
cleo centrale dell'insegnamento di Gesù. Molte cose prima
soltanto accennate vengono presentate ora in modo più si­
stematico.17 Per capire meglio il pensiero cui si ispira que­
sto vangelo, esaminiamone alcuni presupposti fondamen­
tali. L'autore, come altri cristiani del suo tempo, si rivolge
anzitutto alla Genesi per trovare una risposta alle domande
sulla natura umana, l'ordine morale e il rapporto dell'uma­
nità con Dio. I cristiani dei primordi interpretavano la Ge­
nesi alla luce del pensiero filosofico e scientifico del loro
tempo, tenendo conto particolarmente dell'astronomia e
dell'esegesi biblica ebraica, così come oggi molti interpreta­
no i libri sacri della propria religione in base alle conoscen­
ze scientifiche che posseggono. Il Vangelo di Giuda contie­
ne idee provenienti da tutte queste fonti, cui si accompagna
la nozione che il mondo terreno è stato creato sul modello
del regno superiore, quello perfetto, di Dio. Nel racconto
della creazione della Genesi questi cristiani si aspettavano
di trovare allusioni al regno celeste, a somiglianza del quale
è stato creato il mondo infero, e perciò non lo leggevano so­
lamente per conoscere la natura di questo mondo, ma an­
che per cercarvi indizi sulla natura di quello trascendente,
che Gesù descrive a Giuda nei capitoli 10-11.
10, 1 . Qui scopriamo la ragione per cui la conoscenza
Commenti alla traduzione 131

del regno divino richiede un salvatore disceso dall'alto:


l'uomo non riuscirebbe mai a comprenderlo da solo, per­
ché quel regno non è visibile a occhio umano. Gesù parla
di cose che stanno al di là di tutti i cieli e delle stelle visibi­
li. Vedremo più avanti come anche sulla terra sia possibile
conoscere Dio, ma non guardando i cieli, secondo rma cre­
denza diffusa nell'antichità, bensì cercando dentro di noi.
10,2. Il regno celeste supera la comprensione non solo
degli uomini, ma anche degli angeli. Essendo infinito, non
può essere misurato né limitato in alcun modo: il lettore
deve figurarsi rma realtà più alta e invisibile.
10,3-5. In questo regno esiste il Dio sommo, che Gesù
chiama il «Grande Spirito Invisibile», W1 Dio al di là della
nostra capacità di comprensione: non lo si può vedere e
neppure il cuore può contenerlo, ed è tale che nessun no­
me può veramente esprimerne l'essenza. Questo regno è
raffigurato metaforicamente come una nube, che ha so­
stanza, ma non può essere afferrata; è visibile, ma ciò che
sta dentro di essa è oscuro. E tuttavia è anche luce, radio­
sa, che dà la vita e illumina. È questo il vero Dio: lo «spiri­
to di Dio)) che «aleggiava sulle acque)), di cui parla Genesi
1,2, è soltanto W1 suo riflesso.
Il concetto che Dio non possa essere udito, visto o com­
preso è comune alla letteratura ebraica e a quella cristiana
(si vedano Is 64,4 e, fra i testi di Nag Hammadi, La preghie­
ra dell'apostolo Paolo 1,25-29; il Vangelo di Tommaso 17; il
Trattato tripartito 54,15-19), ma l'espressione contenuta in
questo vangelo è particolarmente affine a quanto scrive
Paolo nella Prima lettera ai Corinzi:
Tra i perfetti parliamo, sl, di sapienza, ma di una sapienza che
non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo che
vengono ridotti al nulla; parliamo di una sapienza divina, misterio­
sa, che è rimasta nascosta, e che Dio ha preordinato prima dei seco­
li per la nostra gloria. Nessuno dei dominatori di questo mondo ha
potuto conoscerla; se l'avessero conosciuta, non avrebbero crocifis­
so il Signore della gloria. Sta scritto infatti: «Quelle cose che occhio
non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, que­
ste ha preparato Dio per coloro che lo amano» (1 Cor 2,6-9).
132 Il Vangelo ritrovato di Giuda

Nel Vangelo di Giuda è Gesù a rivelare la sapienza se­


greta al discepolo, una sapienza celata ai dominatori di
questo mondo e sconosciuta all'umanità. Questa cono­
scenza rivelata si contrappone al sapere <<corrotto ed effi­
mero��, di cui si vantano coloro che sono governati dagli
angeli minori del mondo infero (Giuda 8,7).
10,6-20. Come nella Genesi, anche in questo vangelo la
creazione inizia per comando divino. Il primo a compari­
re è il grande angelo, il divino Autogenes, il cui nome si­
gnifica letteralmente «generato da sé��. In altri scritti rin­
venuti in Egitto, Autogenes è associato a Cristo.ts In questo
vangelo egli sbuca dalla nube di luce. Da un'altra nube
escono i quattro angeli al suo seguito. Insieme costituisco­
no la pentade originaria: le cinque entità più alte del re­
gno divino. Altri cinque, come vedremo, sono «i primi sul
caos�� sottostante, fra cui il più elevato è Set-Cristo. Questi
cinque forniscono il modello in base al quale viene ordi­
nato il mondo materiale.
Autogenes crea quindi Adamas e pone un luminaria a
governarne il regno. Miriadi innumerevoli vengono crea­
te per venerare l'essere più elevato, più luminoso in cia­
scun regno di luce. La struttura piramidale è significativa,
perché la gerarchia esprime l'ordine divino, in cui ogni es­
sere ha il suo posto: i superiori governano gli inferiori, che
hanno il compito di assisterli e servirli. Il modello di go­
verno e servizio risulta così non soltanto buono e natura­
le, ma anche divino. L'intero universo, tanto il regno cele­
ste quanto quello terreno, è stato ordinato in questo modo
per volere di Dio: la regola e l'ordine sono la manifesta­
zione della bontà divina.
11,1-12. Gesù torna a soffermarsi sulla figura di Ada­
mas, sottolineandone l'elevatezza: egli dimora nella pri­
ma nube, così trascendente che neppure gli angeli posso­
no vederla. L'ironia sta nel fatto che le presunte «divinità»
del mondo infero sono incapaci di percepire i regni supe­
riori, in questo caso la «nube» luminosa di Adamas.
Adamas, che è il modello celeste dell'Adamo umano de-
Commenti alla traduzione 133

scritto in Genesi 5,3, dà origine a un figlio a sua immagine


e somiglianza, Set, il capostipite di una stirpe immortale.
Compaiono qui per la prima volta i numeri dodici e venti­
quattro, ma non è chiaro a che cosa si riferiscano esat­
tamente, per via di una lacuna nel testo. Con un atto della
volontà, Adamas crea settantadue luminari. Ciascuno di
essi crea altri cinque luminari per un totale di 360.
Gesù spiega che il «padre», cioè l'origine e il sovrano di
tutti, è rappresentato dai dodici luminari e dai loro regni e
che ognuno di essi ha sei cieli per un totale di settantadue
cieli e altrettanti luminari. Questi settantadue hanno cin­
que firmamenti ciascuno, sicché il totale è di nuovo 360. A
tutti questi è stata assegnata l'autorità su un esercito di in­
numerevoli angeli, per non parlare di altri spiriti virginali,
creati per glorificarli e venerarli.I9
Perché tanta enfasi sui numeri? I numeri sono la prova
della vera natura dello Spirito Invisibile: dimostrando che
la creazione è ordinata, essi attestano la bontà divina, e nel
mondo inferiore sono la testimonianza dell'esistenza di
Dio. (Sui numeri si veda la nota a 12,5-21 .} Tutti questi lu­
minari e angeli, con il loro ordine matematico, costituisco­
no la forma del mondo della luce, immateriale e spirituale,
e forniscono il modello per la successiva creazione del
mondo materiale. Le stelle e i pianeti dei cieli visibili sono
sorti, come vedremo, quale riflesso materiale dell'eternità.
E dunque, se la si legge correttamente, la Scrittura rivela
qualcosa di questo mondo divino. Il movimento dello spi­
rito all'atto della creazione, la voce di Dio che chiama l'u­
niverso all'esistenza, i luminari celesti - così simili al sole,
alla luna, alle stelle del nostro mondo terreno - ciascuno
dei quali governa la propria sfera, l'apparizione del celeste
Adamo, di suo figlio Set (e, come vedremo, di Eva), insie­
me all'intera generazione celeste: tutti questi possono esse­
re considerati i veri modelli di ciò che esisterà nel cosmo
materiale che Gesù descrive nei capitoli 12-13.
In 12,1-3 Gesù introduce un nuovo argomento: la crea­
zione del mondo mortale, il cosmo. Sottolinea anzitutto
134 Il Vangelo ritrovato di Giuda

che il Primo Umano, Adamas, accompagnato da tutti i


suoi poteri immortali, è comparso nel mondo infero, ma­
teriale, per volontà del Padre celeste e dei suoi angeli più
elevati. Quel mondo conteneva la stirpe di Adamas insie­
me alla nube della conoscenza e all'angelo El: tutti riferi­
menti che fanno pensare al mondo materiale come a una
sorta di Eden in cui sorge (l'albero della) conoscenza, a­
bita El e nasce la stirpe di Adamo. Incomincia così, nel
Vangelo di Giuda, il racconto della creazione del mondo
inferiore, che però sposta chiaramente l'accento sugli ele­
menti di carattere divino. A differenza di altri scritti cri­
stiani, come l'Apocrifo di Giovanni, in cui a creare il mon­
do della materia sono gli angeli caduti, che agiscono
contro la volontà di Dio, in Giuda tutto avviene secondo il
suo volere.
12,5-21. Non è chiaro chi parli qui e crei gli angeli del
mondo inferiore: forse è Autogenes. Vediamo la creazione
di angeli che regnino sopra «il caos e l'oblio», il vuoto
informe descritto in Genesi 1 ,2. Non ci viene detto da do­
ve provenga questo regno: è semplicemente lì, secondo
l'antica credenza che una materia morta, amorfa, esistesse
sotto specie di una sorta di buio caos, prima che Dio vi
infondesse forma e vita. La bontà divina consiste dunque
nel mettere limiti all'essenza turbolenta e distruttiva del
caos, nell'introdurre luce e finalità nel vuoto di tenebra,
ponendo degli esseri angelici a governarlo.
Dodici angeli vennero in essere per regnare sul caos. Il
primo ha il volto di fuoco. Il fuoco ricorda la luce divina,
ma è una somiglianza che ha il colore del sangue, a ripro­
va che questa «luce» è corrotta: più che illuminare, consu­
ma. Il nome Nebro allude al carattere di quest'angelo: gli
si attribuisce infatti il significato di <<apostata, ribelle», il
che lo associa immediatamente agli angeli caduti, come
Satana.
Il secondo è Saklas, assistito da sei angeli, analogamen­
te a quanto accade ai luminari divini nell'alto dei cieli, che
hanno angeli a servirli e adorarli. Saklas e i suoi angeli as-
Commenti alla traduzione 135

segnano a loro volta una porzione dei cieli ad altri dodici


angeli. Infine compaiono cinque dominatori dell'oblio, a
imitazione della pentade formata da Autogenes e dai suoi
quattro angeli, che presiedono al regno divino. Il primo di
quei quattro angeli inferiori ha due nomi: Set e Cristo.
Per quanto strana possa sembrare, questa descrizione è
coerente con le teorie sulla struttura dei cieli ampiamente
diffuse a quel tempo. Alcuni seguaci di Platone sosteneva­
no, per esempio, che l'astronomia era l'unica scienza indi­
spensabile per i ricercatori della vera sapienza e della vera
devozione.20 Gli antichi astronomi concepivano un univer­
so geocentrico, nel quale la terra era una sfera stabile e im­
mobile, intorno a cui ruotavano il sole, la luna e le stelle.
Partendo da questa teoria, essi svilupparono formule ma­
tematiche molto sofisticate per rappresentare il movimen­
to dei corpi celesti. Come i fisici e gli astronomi odierni, i
matematici di allora si accorsero di poter esprimere con i
numeri il movimento della luna, delle stelle e dei pianeti, e
le loro relazioni reciproche. Che cosa significava questa
scoperta? Semplicemente che quello matematico è un lin­
guaggio efficace per parlare della materia e dell'energia
dell'universo? O invece che l'universo stesso obbedisce al­
le relazioni matematiche? I matematici, da Pitagora a Ein­
stein, hanno ipotizzato che i numeri descrivano princìpi
universali, fra cui la forma e il movimento dei corpi celesti.
Per gli antichi scienziati, il sole era l'astro predominan­
te, perché con il suo movimento determina il ciclo del
giorno e della notte e quello delle stagioni, mentre a deter­
minare il ritmo dei mesi è il luminario più vicino alla ter­
ra, la luna. Avevano un'attenzione speciale anche per altre
cinque stelle - Giove, Saturno, Marte, Mercurio e Venere
(Urano, Nettuno e il minuscolo Plutone non erano visibili
a occhio nudo) - il cui moto sembrava irregolare, perché,
qualunque fosse il punto di osservazione terrestre, dava­
no l'impressione di avanzare e poi arretrare. A causa di
questa irregolarità, gli osservatori antichi le avevano chia­
mate «pianeti))' dal verbo greco planeo, che significa «erra-
136 Il Vangelo ritrovato di Giuda

re» o «vagare>>. Al tempo in cui fu scritto il Vangelo di


Giuda, però, gli astronomi si erano accorti che si trattava
di una classificazione inesatta, perché il corso dei pianeti
era regolare, benché opposto a quello delle stelle. Aveva­
no anche assegnato un posto a molte altre stelle, che sem­
bravano muoversi secondo modelli fissi, dividendo i cieli
visibili in dodici parti, che noi conosciamo come zodiaco.
L'anno, in base ai loro calcoli, durava 360 giorni, cioè cin­
que giorni e un quarto in meno della realtà, per cui ogni
tanto il calendario richiedeva degli aggiustamenti.
I filosofi e gli scienziati attribuivano dunque ai numeri
la capacità di stabilire dei princìpi di ordine, contrassegna­
re gli intervalli di tempo e porre dei confini nello spazio.
Ma, pur utilizzando i dati astronomici per questioni prati­
che come la navigazione e le attività agricole, essi scorge­
vano, nell'armonia e nella stabilità dei cieli, anche la prova
dell'ordine e del disegno divini. Le descrizioni matemati­
che confermavano, ai loro occhi, che l'universo era perva­
so dall'intelligenza divina e non dal caso o dalla necessità.
Un'opera di un tardo neoplatonico, intitolata Epinomis, de­
finisce i numeri «la causa di tutte le cose buone».21
Anche l'autore del Vangelo di Giuda si affida ai numeri
per dimostrare l'ordine insito nella creazione divina. Uti­
lizza i rapporti numerici del mondo celeste per definire il
modello della creazione del cosmo inferiore con i suoi do­
dici mesi, lo zodiaco e l'anno di 360 giorni. Per il modo in
cui sono descritte e per il numero, le entità di cui parla si
possono associare con il sole (Nebro con il suo volto di
fuoco), la settimana con i suoi sette giorni (Saklas e i suoi
sei assistenti), lo zodiaco (dodici angeli, ciascuno dei qua­
li governa una porzione di cielo), e i cinque pianeti (posti
sopra il caos) . La correlazione esistente fra il nostro cosmo
e questi numeri celesti fornisce ai suoi occhi la prova che
non soltanto esiste un mondo trascendente, ma che il
mondo in cui viviamo è pervaso da una finalità divina.
Un'ulteriore conferma viene dalla lettura che questo
evangelista offre del racconto biblico della creazione. In
Commenti alla traduzione 137

Genesi 1 ,3-8, Dio creò la luce distinguendo il giorno dalla


notte, e creò il firmamento per dividere «le acque che so­
no sotto il firmamento dalle acque che sono sopra il firma­
mento)). E creò il sole, la luna e le stelle perché servissero
«da segni per le stagioni, per i giorni e per gli anni)) e re­
gnassero sul giorno e sulla notte. Quando finì, «Dio vide
che era cosa buona)) (Gn 1 ,14-18). Riprendendo questa
concezione, il Vangelo di Giuda mostra che il vero Dio, in
ultima analisi, è responsabile dell'intero universo, tanto
dei cieli sovrastanti quanto del mondo sottostante. Il no­
stro mondo è una continuazione della creazione divina
del regno ultraterreno.
Poiché nel mondo mediterraneo i corpi celesti godeva­
no di grande considerazione, le stelle venivano spesso
considerate esseri viventi, persino divini, guidati da dei o
da immagini degli dei. A queste divinità astrali gli antichi
offrivano sacrifici e dedicavano festività, con una venera­
zione particolare per il sole.
Il Vangelo di Giuda, identificando nei corpi celesti i do­
minatori del mondo inferiore, accusa i discepoli di Gesù di
venerare le divinità astrali quando «sacrificano)) Gesù e i
martiri a Saklas. «Smettetela di fare sacrifici)) ordina Gesù.
Questo autore non è il solo a scagliarsi contro l'astrono­
mia e la venerazione popolare per le stelle e i pianeti. Lo
facevano anche certi filosofi, così come un gran numero di
ebrei e di cristiani. Riferisce Plutarco che molti disprezza­
vano l'astronomia perché demolisce la divinità, «riducen­
dola a cause irrazionali, forze impreviste e occorrenze ne­
cessarie)).22 Non diversamente dagli odierni avversari della
scienza, Platone ha ammonito che la filosofia naturale por­
ta all'ateismo, perché suggerisce che «il mondo sia venuto
all'essere non per mezzo di una mente, o di una capacità
formativa, ma naturalmente e per caso)),23 Gli ebrei e i cri­
stiani che prendevano a fondamento la Genesi, in cui il so­
le, la luna, i pianeti e le stelle sono descritti come fenomeni
naturali creati da Dio, rifiutavano l'idea che le stelle fosse­
ro esseri viventi e, a maggior ragione, delle divinità. Tutti i
138 Il Vangelo ritrovato di Giuda

corpi celesti erano stati creati dall'unico vero Dio, diceva­


no molti ebrei, che ne aveva assegnato il governo agli an­
geli. I cristiani attribuivano ogni cosa alla provvidenza e
alla libera volontà divina. I fenomeni celesti erano per loro
un segno del volere divino: così erano state interpretate,
per esempio, la stella luminosissima che aveva guidato i
magi fino al luogo della nascita di Gesù e l'eclissi avvenu­
ta al momento della sua morte. E si profetizzava che il ri­
torno di Gesù sarebbe stato annunciato da grandi portenti
nei cieli.24 Coloro che credono negli astrologi, afferma il
padre della Chiesa Origene, non si accorgono che è Dio a
governare tutti questi segni celesti: «Il determinismo pre­
supposto dall'astrologia» scrive «svuoterebbe di ogni si­
gnificato la redenzione di Cristo, le azioni degli Apostoli,
gli sforzi dell'umanità, la preghiera, e renderebbe ingiusto
Dio».2s
L'autore del Vangelo di Giuda concorda. Il movimento
dei corpi celesti segue il disegno divino: sono le stelle che
porteranno a compimento ogni cosa (Giuda 14,2-5). E tut­
tavia, le stelle possono anche sviare gli uomini. Gesù no­
mina due volte la stella che guida Giuda, in termini che
suonano contraddittori. <<La tua stella ti svia» dice quando
Giuda fraintende il senso della visione del tempio celeste
(Giuda 9,15), ma poi annuncia: <<La stella che indica il cam­
mino, quella è la tua stella» (Giuda 15,16). Benché le due
affermazioni appaiano in contrasto, in realtà esprimono
uno degli assunti principali di questo vangelo: i corpi ce­
lesti sono stati messi al loro posto da Dio, ma questo non
impedisce che possano smarrirsi ed errare. Da dove nasce
un'idea del genere?
A ispirarla deve essere stata in parte l'osservazione dei
pianeti, il cui corso sembrava «erratico». Ma per quanto ri­
guarda il Vangelo di Giuda, essa discende più precisamen­
te dall'idea che gli angeli che governano il mondo, pur es­
sendo stati creati e assegnati al loro incarico da Dio, sono
esseri imperfetti, perché condividono la natura del regno
inferiore su cui governano. Questi angeli, a differenza di
Commenti alla traduzione 139

quelli del mondo trascendente, sono mortali e limitati an­


che in altro modo. Dio ha infatti stabilito un termine per il
loro dominio e li ha dotati di una comprensione finita, per
cui è possibile che errino e inducano all'errore anche gli es­
seri umani.
Questa raffigurazione delle potenze angeliche attinge
in gran parte alla letteratura apocalittica ebraica, composta
quasi interamente in un periodo successivo ai libri della
Bibbia ebraica, ma anteriore all'avvento del cristianesimo.
Nel libro di Enoc, per esempio, il grande profeta racconta
che il calcolo esatto dei tempi e delle stagioni gli è stato ri­
velato da Uriel, l'angelo che <<in cielo ha il potere sul gior­
no e sulla notte affinché egli possa far risplendere la luce
sugli uomini: sole, luna e stelle e tutti i principati (angeli)
del cielo che ruotano nei loro (rispettivi) circuiti�� (1 Enoc
82).26 Dio, spiega Uriel, ha nominato comandanti e capita­
ni angelici per ciascuna delle quattro stagioni, ciascuno
dei dodici mesi e dei 360 giorni, insieme ai nomi, agli or­
dini e ai subordinati di questi capitani. Anche questi ange­
li, come quelli del Vangelo di Giuda, sono imperfetti, e
quindi a volte errano e inducono all'errore l'umanità:
Molti dei capi delle stelle commetteranno errori rispetto agli or­
dini ricevuti; cambieranno il loro corso e le funzioni e non compari­
ranno nelle stagioni che sono state loro prescritte. Tutti gli ordini
delle stelle induriranno (la loro disposizione) contro i peccatori e la
coscienza di coloro che abitano sulla terra. Esse (le stelle) erreranno
contro di loro (i peccatori), e modificheranno il proprio corso. Poi
questi (i peccatori) erreranno e scambieranno (le stelle) per divi­
nità. E i mali si moltiplicheranno e flagelli si abbatteranno su di lo­
ro, fino a distruggerli tutti (1 Enoc 80,6-8).

Gli angeli erranti, dice dunque il Libro di Enoc, posso­


no indurre gli esseri umani alla violenza e all'idolatria.
Non diversa è la natura degli angeli cui Dio affida il go­
verno del mondo nel Vangelo di Giuda. Gesù rivela a Giu­
da che Dio ha ordinato il mondo materiale, infero, ponen­
dolo al comando di questi angeli minori per un periodo
limitato di tempo.
140 Il Vangelo ritrovato di Giuda

13,1-7. Questo passo insegna che l 'umanità è stata crea­


ta da Saklas e dai suoi angeli a immagine e somiglianza
del mondo divino. Ma siccome a plasmare Adamo ed Eva
sono stati questi angeli erranti, il genere umano è sottopo­
sto al loro comando e ne condivide le imperfezioni e la
natura mortale, per cui l'uomo compie non soltanto ini­
quità ed errori, ma la sua vita è a termine: «La tua vita e
quella dei tuoi figli durerà (soltanto) una stagione» dice
Saklas (a Adamo?). È probabile che la lacuna del testo in
13,6 contenesse l'ordine di Saklas di non «mangiare del­
l'albero del giardino))' come si legge nella Genesi, in cui
Dio ordina a Adamo di non cibarsi dell'albero della cono­
scenza del bene e del male, e poiché disubbidirà insieme a
Eva, entrambi verranno cacciati dal paradiso, affinché
non possano nutrirsi dell'albero della vita e vivere per
sempre (Gn 2,15-17; 3,1-24). La conseguenza, tanto nella
Genesi quanto nel Vangelo di Giuda, è identica: tutti gli
esseri umani sono destinati a morire.
Anche se può apparire in contrasto con il significato let­
terale del testo, l'interpretazione che il Vangelo di Giuda
dà della Genesi risolve diverse questioni che preoccupava­
no i lettori antichi ed è in armonia con le principali teorie
filosofiche dell'epoca. Fra gli ebrei e i cristiani era in atto
un dibattito su alcuni dei problemi posti dalla Genesi, in
particolare sul modo in cui è raffigurato Dio: come un esse­
re limitato, che «passeggia nel giardino alla brezza del
giorno)) e ha bisogno di chiedere a Adamo ed Eva dove so­
no, quasi non lo sapesse. Gli esegeti cercavano una spiega­
zione anche al plurale in 1,26, quando Dio dice: «Facciamo
l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza)), Perché il
plurale, se esiste soltanto un unico vero Dio? Indicare il
creatore in Saklas, con il suo corteggio di angeli, era un mo­
do per risolvere queste difficoltà.
Il Vangelo di Giuda risente anche dell'influenza del pla­
tonismo e del neoplatonismo. Il Dio trascendente, scrive­
va Platone, aveva delegato il compito di creare il mondo
materiale a un artefice di rango inferiore, il Demiurgo, e
Commenti alla traduzione 141

agli «dei più giovani>) del suo seguito. Essi avevano pla­
smato il mondo materiale prendendo a modello le idee (il
regno spirituale eterno), la cui forma avevano impresso
alla materia caotica su cui dovevano agire, conferendo or­
dine e bellezza a ogni cosa creata. Le anime immortali de­
gli esseri umani risiedevano in origine nelle stelle, un
punto di osservazione vantaggioso da cui potevano ab­
bracciare l'intero cosmo. Ma quando le divinità inferiori le
avevano poste nei corpi umani, esse avevano dimenticato
tutto ciò che conoscevano in precedenza. Il filosofo rac­
conta questo mito ai suoi allievi affinché capiscano che lo
scopo della vita è ricordare la verità su noi stessi e sulla
nostra origine, così che quando la morte libererà dalla pri­
gione del corpo l'anima dei giusti, essa potrà ritornare alle
stelle immortali e riconquistare la conoscenza dell'univer­
so di cui era dotata in origine, ossia la memoria smarrita
al momento della nascita in questo mondo.27
Il Vangelo di Giuda, come quasi tutte le concezioni cri­
stiane dell'universo, attinge ampiamente alla filosofia pla­
tonica e neoplatonica. Molte teorie cristiane adottano la
visione dualistica secondo cui gli esseri umani sono ani­
me che risiedono in corpi fisici, e concepiscono Dio alla
maniera di Platone, come un Essere trascendente, lonta­
nissimo dal mondo materiale del caos e della morte, un
Essere che delega agli angeli inferiori il contatto con que­
sto mondo.
13,8-10. Non appena Gesù rivela che Saklas ha posto un
limite all'esistenza terrena, Giuda domanda quanto può
durare la vita umana. E una volta ancora viene rimprove­
rato: «Perché ti sorprendh) gli chiede Gesù «che i giorni
della vita di Adamo e della sua stirpe siano contati in que­
sto luogo? È qui che egli ha ricevuto il suo regno con il
suo sovrano per un (certo) numero (di anni))), Giuda non
ha ancora afferrato il concetto che nel mondo della mate­
ria ogni forma vivente è destinata a essere distrutta alla fi­
ne dei tempi. La vita terrena di Adamo e della sua stirpe
non è eterna. Dio ha assegnato a Adamo (e ai suoi figli)
142 Il Vangelo ritrovato di Giuda

questo regno, in questo luogo, dice Gesù in coerenza con


Genesi 1,28, in cui Dio concede a Adamo il dominio sulla
terra e su tutte le creature in essa viventi. Gesù però rivela
a Giuda che anche la terra ha il suo sovrano, Saklas, per­
ché, come si legge in Genesi 1,16-18, Dio ha concesso il go­
verno dei cieli a due luci (luminari) grandi (il sole e la lu­
na) <<e le pose nel firmamento del cielo per illuminare la
terra e per regolare giorno e notte», e perciò la vita degli
esseri umani sulla terra è numerata (cioè ha un termine
prefissato) così come il loro dominio su di essa. Con que­
sto duplice richiamo ai numeri, l'autore sottolinea ancora
una volta che tutto ciò che accade segue leggi matemati­
che, anche nel mondo del caos e dell'oblio, perché numeri
e ordine sono stati stabiliti dal vero Dio. I numeri indica­
no che la vita degli esseri umani e la loro egemonia sulla
terra non sono state concepite per essere permanenti. Né
Giuda dovrebbe stupirsene, ora che gli è stato svelato co­
me tutto abbia avuto origine.
13,11-17. La verità comincia a farsi strada nella mente di
Giuda, come si arguisce dalla domanda che ora egli rivol­
ge a Gesù: «Lo spirito dell'uomo muore?». No, è la rispo­
sta. Morirà il corpo e morirà la terra, ma non lo spirito,
che non appartiene al regno della caducità, ma a quello
dell'eternità. Lo spirito è divino e non può morire, mentre
per il Vangelo di Giuda la morte del corpo è definitiva.
Non solo: anche l'anima muore se non si congiunge con lo
spirito immortale. Gesù ha già preannunciato che l'anima
di tutti coloro che appartengono soltanto alla razza uma­
na perirà (8,2). Ora, però, Giuda vuole conoscere la sorte
dello spirito, non del corpo o dell'anima. La risposta di
Gesù è complessa. Dio ha dato mandato all'angelo Miche­
le di limitarsi a «prestare» lo spirito agli esseri umani, af­
finché possano venerare Dio per tutta la durata del regno
materiale, e quando il tempo assegnato spira, cessa anche
la venerazione e gli individui muoiono, anima e corpo in­
sieme. Ci sono però alcuni, spiega Gesù, che ricevono lo
spirito da un altro angelo, Gabriele, e quando il loro corpo
Commenti alla traduzione 143

muore, l 'anima non muore, ma viene innalzata nel regno


celeste. Costoro hanno infatti avuto in dono lo spirito del­
la stirpe grande e non sottomessa, lo spirito del regno ul­
tramondano, su cui le forze del caos non hanno potere.
Chi possiede lo spirito immortale dimorerà per sempre
nel luogo sacro che gli è riservato (8,3-4; 13,12-13). Perciò,
alla fine dei tempi, l'anima di coloro che venerano le po­
tenze angeliche del mondo infero perirà insieme al loro
corpo, mentre l'anima di coloro che si volgono verso il
mondo trascendente resterà insieme allo spirito e si unirà
alla stirpe dei beati nell'alto dei cieli.
Benché Gesù parli più volte di due «razze», una morta­
le e l'altra immortale, per cui si ha l'impressione che ci sia­
no uomini predestinati alla morte e altri alla vita eterna,
questa non è una lettura esatta del Vangelo di Giuda. Si
tratta, in realtà, di due prospettive intrecciate. Se ci si po­
ne nell'ottica del giudizio finale, l'umanità può effettiva­
mente essere divisa in due gruppi. Tutti gli esseri umani,
spiega Gesù, ricevono lo spirito da Dio, ma alcuni l'hanno
soltanto <<in prestito», mentre altri posseggono lo spirito
della «grande stirpe non sottomessa». E se è vero che que­
ste parole sanno di determinismo, è anche vero che Gesù
esorta continuamente a far emergere la scintilla divina che
abbiamo dentro di noi. È colpa nostra, insegna Gesù, se
costringiamo lo spirito ad albergare nella carne: Dio, in­
fatti, ha dato a Adamo e a quelli con lui la conoscenza ne­
cessaria per sottrarsi ai dominatori del mondo. Tutti gli
umani sono creati a immagine del divino Adamas e tutti
ricevono lo spirito da Dio. Perderlo al momento della
morte o invece salire nel regno eterno dipende da come
avranno vissuto. Chi avrà rivolto lo sguardo al proprio in­
terno e avrà imparato a conoscere lo spirito che vi dimora
si sottrarrà al dominio degli angeli inferiori e quando il
suo corpo morirà, la sua anima continuerà a vivere con lo
spirito immortale donato da Dio. Chi invece rifiuterà gli
insegnamenti di Gesù e seguirà la via della falsa devozio­
ne, la via violenta dei dominatori del mondo, conoscerà la
144 Il Vangelo ritrovato di Giuda

morte totale, del corpo e dell'anima, perché lo spirito lo


abbandonerà per risalire a Dio. E dunque, se ci si pone
nell'ottica del presente, la salvezza è possibile per tutti. La
vera natura di ognuno - se appartenga alla «razza)) mor­
tale oppure alla grande stirpe non dominata da alcuno - si
chiarirà soltanto alla fine.
14,1-18. Al momento stabilito, dice Gesù, le stelle erra­
bonde e i governatori dei pianeti verranno distrutti insie­
me a tutte le cose da essi create, come hanno annunciato i
profeti. Tutti coloro che li avranno seguiti precipiteranno
nel caos morale, uccideranno i propri figli, compiranno
violenze e atti impuri (Giuda 14,2-7; 14-16). Saranno questi
i segni della fine (Giuda 5,8-16).
Molti cristiani, allora come ora, credevano che gli ultimi
giorni sarebbero stati contrassegnati da una terribile di­
struzione. Nel Vangelo di Marco, la fine si preannuncia
con il capovolgimento dell'ordine della creazione: «Il sole
si oscurerà e la luna non darà più il suo splendore e gli
astri si metteranno a cadere dal cielo e le potenze che sono
nei cieli saranno sconvolte)) (Mc 13,24-25). La Prima lette­
ra di Giovanni proclama che «tutto il mondo giace sotto il
potere del maligno)) (1 Giovanni 5,19), mentre, secondo la
profezia apocalittica più estesa del Nuovo Testamento,
l'Apocalisse di Giovanni, ci sarà una grande guerra nei
cieli prima della distruzione definitiva. Sul mondo regne­
ranno temporaneamente Satana e i suoi angeli, che spin­
geranno i governanti a uccidere Gesù e a dare la caccia ai
suoi seguaci. I portenti nei cieli segnaleranno che è in atto
il disegno divino. La terra, rivela Gesù, sta per essere di­
strutta insieme a tutti coloro che venerano le forze demo­
niache ora al potere.2s Soltanto i credenti saranno salvati
nel giorno del giudizio, annunciano tutte queste «rivela­
zionh). Il Figlio dell'Uomo, scrive il Vangelo di Marco,
«manderà gli angeli e riunirà i suoi eletti dai quattro venti,
dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo)) (Mc
13,27). «Sappiamo)) afferma la Prima lettera di Giovanni,
'
che «il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l'intelligenza per
Commenti alla traduzione 145

conoscere il vero Dio>>, affinché i credenti siano condotti


dall'idolatria alla vita eterna (1 Giovanni 5,20-21). Soltanto
i credenti, ribadisce l'Apocalisse di Giovanni, conquiste­
ranno la vita eterna nella nuova Gerusalemme che discen­
derà dal cielo (Ap 21): gli empi subiranno il castigo eterno
nello «stagno ardente di fuoco e di zolfo>> (Ap 20,15).
La stessa convinzione è espressa in questo capitolo del
Vangelo di Giuda: questo mondo non durerà a lungo e
tutti coloro che ignoreranno l'insegnamento di Gesù an­
dranno incontro alla morte eterna. Poi Gesù ride di nuo­
vo, questa volta dell'errore delle stelle. E subito dopo ri­
vela a Giuda che gli astri che governano i cieli e il regno
infero del caos saranno annientati insieme a tutte le loro
creature (Giuda 14,16).
Giuda chiede a Gesù: verranno annientati anche i bat­
tezzati nel tuo nome? Purtroppo il testo in questo punto è
molto lacunoso e la risposta è andata perduta. Possiamo
presumere che Gesù abbia detto qualcosa di simile a
quanto è scritto nella Testimonianza veritiera: <Ni sono alcu­
ni che, al loro ingresso nella fede, ricevono un battesimo
perché lo ritengono una speranza di salvezza . . . (ma) il Fi­
glio dell'Uomo non ha battezzato nessuno dei suoi disce­
poli . . . perché [se coloro che] sono battezzati fossero diret­
ti verso la vita, il mondo si svuoterebbe . . . Ma il battesimo
della verità è una cosa diversa: è rinunciando al mondo
che lo si trova. [Coloro che] dicono (soltanto) con la lingua
[che] vi rinunciano [mentono], e andranno nel (luogo)
della paura>> (Testimonianza veritiera 69,7-29). Non è con le
devozioni, insomma, che si conquista la salvezza, ma solo
voltando le spalle al «mondo>> e ai suoi governanti e vol­
gendosi verso Dio nell'alto dei cieli.
«La tua stella» dice Gesù «guiderà il tredicesimo regno»
(Giuda 14,11). Secondo alcuni studiosi, questa frase signi­
ficherebbe che Giuda si innalzerà al di sopra dei dodici
governanti del mondo infero e dimorerà in un regno più
alto, ma pur sempre al di fuori del supremo Tempio cele­
ste. Che il numero tredici stia a indicare che Giuda e i se-
146 Il Vangelo ritrovato di Giuda

guaci della sua stella supereranno il dominio degli arconti


e si sottrarranno alla distruzione di questo mondo, è in­
dubbio. E tuttavia, questo tredicesimo regno non sembra
essere la destinazione finale di Giuda: Gesù infatti inse­
gna chiaramente che quanti appartengono alla generazio­
ne beata e immortale dimoreranno nel regno divino (si ve­
da a questo proposito 15,12-13).
15,1-4. Tutti coloro che offrono sacrifici a Saklas verran­
no distrutti; Giuda, invece, sacrificando il corpo che rive­
ste Gesù, diventerà superiore. Con questo sacrificio, dice
infatti Gesù, egli dimostrerà che la vera natura spirituale
dell'uomo non è carne, e non può essere imbrigliata dalla
morte. E dunque, mentre il corpo umano nel quale Gesù è
racchiuso è carne, e come tale ha conosciuto la sofferenza
e la morte, quel corpo non è mai stato la realtà ultima di
Gesù, la cui essenza è spirituale, divina, come lo è quella
di tutti coloro che possiedono lo spirito immortale. La no­
stra ipotesi, anche se un poco azzardata, è che il Vangelo
di Giuda intenda suggerire che Gesù rappresenta la vera
natura di tutti i credenti nel vero Dio. Il loro corpo è reale,
e reali sono la sofferenza e la morte del corpo, ma l'essen­
za del vero credente è l'anima ricolma dello spirito, che
vivrà in eterno con Dio nell'alto dei cieli. Si potrebbe par­
lare a proposito di questa concezione di una forma di «do­
cetismo» (dal verbo greco dokeo, «sembrare»: Gesù sembrava
avere un corpo di carne e sangue, ma era soltanto apparen­
za), purché non si dimentichi che il corpo umano è reale e
soffre e muore davvero. Non è una parvenza: è semplice­
mente mortale.
15,5-13. Giuda è qui presentato come il profeta della fi­
ne dei tempi. Le immagini del como alzato e pronto per
essere suonato, dell'ira, dei portenti nei cieli e della vitto­
ria del cuore sono tutti segni ben noti del giorno del giudi­
zio. Il gesto che egli compie consegnando Gesù ai suoi
persecutori segna l'inizio della fine, con la caduta dell'u­
manità nel caos morale. Forse l'autore di questo vangelo
pensava che fossero giunti gli ultimi giorni: ne coglieva
Commenti alla traduzione 147

gli indizi nell'uccisione dei cristiani per opera dei romani


e nella condanna sua e del suo gruppo da parte di altri
gruppi cristiani che, con la morte dei martiri, offrivano sa­
crifici a Saklas.
Di nuovo Gesù svela che, quando la distruzione finale
si sarà compiuta, il luogo in cui dimora la grande stirpe di
Adamo, forse il regno del tredicesimo, sarà glorificato.
Poiché quella stirpe esisteva prima che comparissero gli
angeli minori e fossero creati il cielo inferiore e la terra,
coloro che vi appartengono sfuggiranno alla distruzione e
saranno elevati al regno celeste.
15,14-20. Giuda è giunto finalmente a comprendere pie­
namente l'insegnamento che ha ricevuto. «Ogni cosa ti è
stata rivelata)) gli dice Gesù, che lo invita ad alzare gli oc­
chi. Il discepolo non ha più bisogno di distogliere lo
sguardo come all'inizio del vangelo: ora è in grado di per­
cepire il regno divino. Lassù, dentro la nube radiosa, vede
le stelle: forse quelle stelle sono l'insieme degli spiriti lu­
minosi assegnati al momento della nascita a ciascun esse­
re umano. Ma perché è la sua stella a guidare il cammino?
Perché ora egli ha acquisito la capacità di entrare nella nu­
be luminosa. Gli esseri umani, è questo il senso, possono
conoscere Dio anche vivendo nel corpo.
16,1-9. Il Vangelo di Giuda, come il Vangelo di Giovan­
ni, si chiude con la scena in cui Gesù dice a Giuda di fare
ciò che deve.29 Gesù (con i discepoli?) è nel Tempio, den­
tro la «stanza degli ospiti)) così come nei vangeli canonici
'
egli si trova nella stanza degli ospiti e si prepara alla Pa­
squa (il termine qui usato, kataluma, ricorre in Marco 14,14
e in Luca 22,11 ). Alcuni scribi sono in attesa per sorpren­
derlo in solitudine (altrettanto fa Giuda, in Luca 22,6),
senza la folla che, considerandolo un santo e un profeta,
di solito lo attornia. Giuda è davanti al Tempio e gli scribi,
riconoscendolo per uno dei seguaci più fedeli di Gesù, gli
si avvicinano. Il discepolo accetta il denaro e consegna
Gesù. E questo è tutto.
148 Il Vangelo ritrovato di Giuda

I cristiani del secondo secolo che leggevano il Vangelo


di Giuda conoscevano certamente il seguito della storia:
l'arresto, il processo, la condanna a morte di Gesù, la re­
surrezione e l'ascensione. Ma per l'autore di questo vange­
lo, tutto ciò che valeva la pena di dire era già stato detto,
perché a interessarlo è l'insegnamento di Gesù che condu­
ce alla vita eterna, non sono la sua morte, né la resurrezio­
ne, che dimostrano solamente la verità della rivelazione ri­
cevuta da Giuda: il corpo perisce, ma lo spirito vive in Dio.
Quando uscì la prima edizione del Vangelo di Giuda, i
giornali e gli altri mezzi di comunicazione proclamarono
che la riabilitazione di Giuda (il cui nome è imparentato
con il termine «giudeo))) avrebbe posto fine all'antigiudai­
smo cristiano. Non più considerati traditori di Cristo, gli
ebrei si sarebbero finalmente liberati di questa calunnia. In
realtà questo vangelo, sebbene attribuisca valore positivo
all'azione compiuta da Giuda nel consegnare Gesù, identi­
fica nei sommi sacerdoti e negli scribi ebrei i responsabili
della sua cattura, mentre non accenna neppure ai veri ese­
cutori della sua morte, i romani. Anche in questo testo tut­
to il biasimo ricade sugli ebrei, dagli scribi che pagano
Giuda perché consegni Gesù agli stessi suoi discepoli, raf­
figurati come assassini e peccatori davanti all'altare del
Tempio di Gerusalemme. Il libro, dunque, non riscatta in
alcun modo i rapporti fra ebrei e cristiani, ma ci spinge a
considerare con occhi nuovi l'immagine neotestamentaria
di Giuda, in gran parte storicamente infondata, così come
molti altri tratti dei vangeli canonici.JO Che se ne accettino
o rifiutino i contenuti, il Vangelo di Giuda andrebbe letto
per ciò che può insegnarci sul contesto in cui vivevano i
cristiani che lo hanno scritto e seguito: la loro rabbia, i pre­
giudizi, le paure . . . e le loro speranze.
Indice dei rinvii

La prima volta che lessero il Vangelo di Giuda, gli studiosi lo nu­


merarono in base alla pagina e ai numeri di riga del manoscritto, il
codice Tchacos. Poiché il Vangelo di Giuda inizia a pagina 33 e ter­
mina a pagina 58, il primo numero era il 33. Ora, questa numera­
zione è utile per gli studiosi che leggono il manoscritto copto, ma
disorienta il lettore comune, dal momento che essa non segue la
forma letteraria del vangelo, a tal punto che ci sono pagine che firù­
scono o cominciano a metà di una frase. Per queste ragioni ho adot­
tato un nuovo sistema di computo per i numeri dei capitoli e dei
versetti, che si adegua alla struttura letteraria del testo. Le cose si
complicano quando mancano interi passi, nel qual caso è stato in­
serito il numero del capitolo o dei versetti per segnalare la perdita
di diverse righe. Chi volesse confrontare traduzione e manoscritto
copto, può utilizzare come guida le seguenti corrispondenze:

1,1-2,2a = 33 9,21-30 = 46
2,2b-15a = 34 9,30-10,10 = 47
2,15b-28 = 35 10,10-23 = 48
2,29-3,7 = 36 10,23-11,10 = 49
3,8-4,4 = 37 11,10-12,3 = 50
4,5-15 = 38 12,3-14 = 51
4,1 6-5,4 = 39 12,14-13,6 = 52
5,4-16 = 40 13,6-14 = 53
5,17-6,?? = 41 13,14-14,7 = 54
6,??-7,?? = 42 14,8-18 = 55
7,??-8,6 = 43 14,18-15,8 = 56
8,6-9,8 = 44 15,9-20 = 57
9,8-20 = 45 15,20-16,10 = 58
Note

Introduzione
l Per sapeme di più sulla scoperta e la restaurazione del codice Tchacos
cfr. Il Vangelo di Giuda, a cura di Rodolphe Kasser, Marvin Meyer e Gregor
Wurst, trad. it. e adattamento di Enrico Lavagno, Vercelli, White Star, 2006,
in particolare pp. 45-72; e Herbert Krosney, The Lost Gospel: The Quest Jor the
Gosrl of fudas Iscariot, Washington DC, National Geographic, 2006.
lreneo, Contro le eresie 1 .31,2. Tutte le citazioni da questo testo sono
tratte dall'edizione a cura di Enzo Bellini, Milano, Jaca Book, 1981. Il Van­
gelo di Giuda è citato anche nel Panarion di Epifania (38.1.5), ma la fonte è
probabilmente lreneo. Cfr. la discussione sul Vangelo di Giuda in New Te­
stament Apocrypha, vol. 1: Gospels and Related Writings, a cura di Wilhelm
Schneemelcher, Louisville, Westminster/John Knox Press, 1991, pp. 386-
387. Gregor Wurst avanza in modo convincente l'ipotesi che il Vangelo di
Giuda scoperto di recente sia la traduzione in copto dell'orginale greco ci­
tato da lreneo (cfr. «lreneo di Lione e il Vangelo di Giuda>>, in Il Vangelo di
Giuda, cit., pp. 121-127).
3 Sul ritrovamento di Nag Hammadi e su una raccolta di questi testi in
traduzione inglese cfr. The Nag Hammadi Library in English, a cura di James
M. Robinson e Richard Smith, San Francisco, Harper and Row, 1988, 3a ed.
4 Mi limiterò a un esempio. «Giuda era l'unico>> scrive uno studioso
«che poteva fare ciò che era necessario a Gesù: consegnarlo alle autorità
perché fosse giustiziato e si sottraesse alla sua prigionia temporanea in un
corpo mortale>> (Bart Ehrman, The Lost Gospel offudas Iscariot: A New Look at
Betrayer and Betrayed, New York, Oxford University Press, 2006, p. 172). È
evidente come in questo giudizio si dia per scontato che gli gnostici odias­
sero il corpo e il mondo della materia e li considerassero malvagi, per cui il
Salvatore sarebbe venuto a liberare gli esseri umani dal carcere della carne,
ma, rimasto a sua volta intrappolato, avrebbe avuto bisogno di qualcuno
che lo salvasse (un punto di vista spesso indicato con l'espressione il «Sal­
vatore salvato>>), e che quel qualcuno sarebbe stato Giuda. Nel Vangelo di
Giuda, però, Gesù non sembra imprigionato in un corpo mortale: almeno
una volta durante la predicazione egli lascia i discepoli e sale a visitare il
regno celeste (Giuda 3,4). Persino Giuda riesce a scorgere l'aldilà e a entrar­
vi, pur essendo ancora in vita. Ma se il tradimento non avviene per la co­
siddetta redenzione «gnostica>> dal corpo, allora perché? Per questo vange­
lo è possibile qui e ora vivere la vita gloriosa dello spirito, che trascende la
152 Il Vangelo ritrovato di Giuda

sofferenza e la violenza di questo mondo travagliato. Esso insegna quale


sia la vera natura di Dio e del mondo, che cosa significhi essere pienamente
umani, pienamente divini. Sovrapporre il mito gnostico del redentore di­
storce il testo del Vangelo di Giuda e ostacola la comprensione del senso di
questa presentazione di Gesù e di Giuda. Di distorsioni di questo genere se
ne potrebbero citare a iosa: si sostiene che il Salvatore è venuto a salvare «la
scintilla divina» innata negli eletti, indipendentemente dalla loro vita mo­
rale, oppure che la salvezza viene dalla gnosis, e così via. Questo deriva, al­
meno in parte, dal metodo interpreta tivo usato, per cui si ritiene legittimo
leggere tra le righe del testo idee che non sono state espresse, ma che erano
dei presupposti nella mente dell'evangelista e dei suoi lettori. Per un esame
più approfondito dell'invenzione dello gn osticismo cfr. Karen L. King,
What is Gnosticism?, Cambridge, Belknap Press, 2003.
5 Cfr. l'acuta analisi del Vangelo di Giuda condotta da Eduard Iricinschi,
Lance Jenott e Philippa Townsend in The Betrayer's Gospel, in «The New
York Review of Books>>, 53, 10, 8 giugno 2006. Gli autori sostengono che il
modo in cui sono raffigurati i discepoli in questo vangelo <<costituisce una
critica all'approvazione del martirio da parte dei vescovi e la conseguente
accettazione da parte dei primi cristiani delle condanne a morte inflitte dal­
le autorità romane. L'autore del Vangelo di Giuda sembra ritenere il marti­
rio un sacrificio inutile e accusa le gerarchie ecclesiastiche di condurre i fe­
deli al macello come pecore>>.
6 Dobbiamo questa interpretazione a Chris Wilbur, che l'ha suggerita al
forum di Arlington, Church of Our Saviour, 11 giugno 2006.
7 Cfr. Tertulliano, Defuga in persecutione 3,6.
8 I nuovi testi comprendono non soltanto il Vangelo di Giuda e l' Alloge­
no del codice Tchacos, ma anche scritti contenuti nei codici di Nag Ham­
madi, nel codice di Berlino, il Vangelo del Salvatore e altri. Per la traduzio­
ne inglese di molti di questi scritti cfr. The Nag Hammadi Library in English,
cit.; The Complete Gospels, a cura di Robert J. Miller, Santa Rosa, Polebridge
Press, 1992; Bentley Layton, The Gnostic Scriptures, Garden City, Doubleday,
1987; Charles W. Hedrick e Pau! Mirecki, Gospel of the Savior, Santa Rosa,
Polebridge Press, 1999. In italiano cfr., a cura di Luigi Moraldi, Apocrifi del
Nuovo Testamento, 2 voli., Torino, UTET, 1971; Testi gnostici, Torino, UTET,
1982; l vangeli gnostici, Milano, Adelphi, 1984; Le Apocalissi gnostiche, Mila­
no, Adelphi, 2005.
9 Le informazioni sul cristianesimo a Roma sono tratte dal recente sag­
gio di Peter Lampe, From Pau/ lo Valentinus: Christians al Rome in the First
Two Centuries, Minneapolis, Fortress Press, 2003.

l. Giuda: traditore o discepolo prediletto?


l Tutte le citazioni della Bibbia sono tratte dalla Sacra Bibbia, a cura della
Conferenza Episcopale Italiana, Roma, Edizioni Paoline, 1980.
2 Ireneo, Contro le eresie, cit., 3.11.9.
3 lvi, 3.11.8.
4 I punti di vista non erano soltanto due, ma molteplici. È Ireneo che
tenta di ridurre il dibattito a due sole posizioni: da una parte quella giusta e
Note 153

dall'altra tutte quelle sbagliate. Oggi però sappiamo che anche le dottrine
considerate <<ortodosse» contengono in realtà una notevole varietà di pro­
spettive e opinioni. La cosa curiosa è che le differenze non hanno fatto alcu­
na differenza: o i teologi sono riusciti a conciliare in qualche modo la diver­
sità di vedute, oppure essa non era percepita come significativa.
5 Per un approfondimento dei punti di vista dei polemisti cristiani cfr.
K.L. King, What is Gnosticism?, cit., pp. 22-38.
6 Ireneo, Contro le eresie, cit., 1 .10.
7 lvi, 4.26.2-5. Sull'argomento, cfr. Elaine Pagels, I vangeli gnostici, trad.
it. Milano, Mondadori, 1981. Per un'analisi più recente sul <<canone di ve­
rità» di Ireneo e sul battesimo cfr. Elaine Pagels, Ireneus, The «Canon of
Truth» and the Gospel of fohn: «Making a Difference» through Hermeneutics and
Ritua/, in <<Vigiliae Christianae>>, 56, 4, 2002, pp. 339-371.
8 Ireneo, Contro le eresie, cit., 1 .20.1; prefazione 1-3.
9 Apocalisse di Pietro 79,22-31, in Le Apocalissi gnostiche, cit.
1 0 Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, libri 18-19, trad. it. a cura di Lui­
gi Moraldi, 2 voll., Torino, UTET, 1988.
11 Tacito, Annali, XV, 44, trad. it. di Mario Stefanoni, Milano, Garzanti,
1990.
12 Origene, Contro Celso 5.6, trad. it. a cura di Pietro Ressa, Brescia, Mor­
celliana, 2000.
1 3 Gli studiosi di analisi testuale sostengono che il Vangelo di Marco si
concludeva con la fuga silenziosa delle donne dal sepolcro (16,8); in effetti,
alcuni dei testi più antichi terminano a questo punto, mentre altri aggiun­
gono finali diversi tra loro.
14 L'autore del Vangelo di Luca, cui vengono attribuiti anche gli Atti de­
gli Apostoli, presenta in questo secondo testo un'altra versione della sven­
turata morte di Giuda. Cfr. At 1,18.
1 5 Anche At 1,19 parla di un <<campo di sangue>> acquistato da Giuda con
il prezzo del tradimento di Gesù, ma spiega che il nome non era dovuto alla
provenienza delittuosa di quel denaro, bensì al fatto che Giuda «precipitan­
do in avanti si squarciò in mezzo e si sparsero fuori tutte le sue viscere>>.
1 6 Sull'argomento cfr. l'analisi, con relativi riferimenti, di Raymond E.
Brown, La nascita del Messia secondo Matteo e Luca, trad. it. di Giampaolo
Natalini, Assisi, Cittadella, 1981. Cfr. anche Jane Schaberg, The lllegitimacy
of fesus: A Feminist Theological lnterpretation of the Infancy Narratives, Shef­
field, Sheffield Phoenix Press, 1995.
17 Il <<pane>> non compare nella versione greca dei Settanta e neppure in
M1 26,23.
1 8 Cfr. John Dominic Crossan, Who Killed fesus? Exposing the Roots of An­
ti-Semitism in the Gospel Story of the Death of fesus, San Francisco, Harper,
1996, pp. 1-38.
19 Cfr. Isaia 53,6 nella traduzione in greco dei Settanta. Ringrazio per que­
sto riferimento Helmut Koestler, che me lo ha fornito in una lettera privata,
datata giugno 2006. Secondo gli esperti, gli autori del Nuovo Testamento co­
noscevano i testi veterotestamentari soltanto nella traduzione greca.
20 Cfr., per esempio, Burton Mack, A Myth of Innocence: Mark an d Chris­
tian Origins, Philadelphia, Fortress Press, 1988, in particolare pp. 271, 292-
154 Il Vangelo ritrovato di Giuda

293, 325-331, in cui si sostiene che la vicenda di Giuda rientra nella storia
dell'ostilità cristiana verso il giudaismo.
2 1 Così argomenta J.D. Crossan in Who Killed Jesus?, cit., pp. 69-75, se­
condo il quale Giuda era un seguace storico di Gesù, che lo tradì, ma non
era uno dei «dodici>>, designazione che si sviluppò in epoca più tarda.
Crossan sostiene inoltre che anche il ritratto sempre più negativo di Giuda
sia stato creato dagli autori cristiani e che esso contribuisca ad accentuare il
tono antiebraico e polemico del racconto della Passione.
22 Su come ognuno degli autori dei vangeli neotestamentari racconti la
Passione in rapporto alla comunità ebraica del suo tempo, cfr. Elaine Pagels,
Satana e i suoi angeli, trad. it. di Lydia Salerno, Milano, Mondadori, 1996.

D. Giuda e «i dodici»
l La fonte di questa tradizione tarda è la Storia ecclesiastica (2,1) di Euse­
bio di Cesarea del IV secolo, trad. it. e note di Giuseppe del Ton, Roma,
Desclee, 1964. La posizione di Giacomo e della Chiesa di Gerusalemme è
molto dibattuta oggi. Cfr., per esempio, Merrill P. Miller, «Beginningfrom Je­
rusalem . » Re-examining Canon and Consensus, in «Joumal of Higher Critici­
. .

sm», 2, l, primavera 1995, pp. 3-30, e Redescribing Christian Origins, a cura


di Ron Cameron e Merrill P. Miller, Atlanta, Society of Biblica! Literature,
2004, pp. 141-282.
2 Vangelo di Tommaso, 114, in Elaine Pagels, Il Vangelo segreto di Tomma­
so, trad. i t. di Carla Lazzari, Milano, Mondadori, 2005. Tutte le citazioni del

Vangelo di Tommaso provengono da questa fonte.


3 Per un'analisi più approfondita della figura di Maria di Magdala in
queste fonti primitive, incluse le controversie fra Pietro e Maria, cfr. Karen
L. King, The Gospel of Mary of Magdala: Jesus and the First Woman Apostle,
Santa Rosa, Polebridge Press, 2003, in particolare pp. 83-90, 141-154. Sulla
Maddalena storica e la sua raffigurazione nel Nuovo Testamento cfr. lo
straordinario saggio di Jane Schaberg e Melanie Johnson DeBanfre in Mary
Magdalene Understood, New York, Continuum, 2006.
4 Tutte le citazioni del Vangelo di Maria sono tratte da I vangeli gnostid, dt.
5 Sulla storia del conflitto fra Pietro e Maria cfr. Ann Graham Brock,
Mary Madgalene, the First Apostle: The Struggi e far Authority, Cambridge,
Harvard University Press, 2003, in particolare pp. 19-71. Per un'accurata
analisi dell'atteggiamento ambiguo del Vangelo di Luca nei confronti delle
donne, cfr. Turid Karisen Seim, The Double Message: Patterns of Gender in
Luke-Acts, Edimburgo, T.&T. Clark, 1994.
6 A questo proposito cfr. il saggio di Dorothy A. Lee-Pollard, Powerless­
ness as Power, in «The Scottish Joumal of Theology», 40, 1987, pp. 1 73-88.
7 Lo stesso Paolo, nelle lettere, accenna soltanto di sfuggita agli Apostoli
e alle loro dispute (per esempio, in Gal 1,6-9 e 1,17), mentre l'autore degli
Atti presenta due versioni diverse, e molto ampliate, della conversione di
Paolo in 9,1-23 e 22,3-21 .
8 Ireneo, Contro le eresie, c it., l, prefazione, 3.12.12.
9 Sulla storia delle persecuzioni cristiane, cfr. W.H.C. Frend, Martyrdom
Note 155

and Persecution in the Early Church: A Study ofa Conflictfrom Maccabees to Do­
tultus, Grand Rapìds, Baker Book House, 1965.
10 Sugli effetti delle persecuzioni, cfr. il vivace racconto dì Tertullìano, in
Scorpiace I.
11 Tertullìano, Apologetico 7,3-4, trad. it. a cura di Anna Resta Barrile, Mi­
lano, Mondadori, 1994; Ad Nationes 7.
12 Tertulliano, Scorpiace I.
13 Cfr. Elaine Pagels, <<Gnostic Views of Christ's Suffering: Christian Re­
sponses to Persecution?», in Yale Conference on Gnosticism, a cura di Bentley
Layton, vol. I; per un'analisi meno tecnica, cfr. la versione pubblicata da E.
Pagels in I vangeli gnostici, cit.
14 Esempi di questo genere si trovano in Tertulliano, De fuga in persecu­
tione, e in Ignazio. Il secondo, nella Lettera ai Romani, esprime il timore che
venga pagato un riscatto per liberarlo e chiede ai compagni di astenersi dal
farlo: <<lo muoio volentieri per Dio, cioè, se voi non me lo impedirete. Vi
prego di non avere per me una benevolenza inopportuna» (4,1). E più
avanti (6,1-7,3): <<Il mio rinascere è vicino. Perdonatemi, fratelli! Non impe­
dite che io viva, non vogliate che io muoia. Non abbandonate al mondo né
seducete con la materia chi vuole essere di Dio. Lasciate che riceva la luce
pura e là giunto sarò uomo. Lasciate che io sia imitatore della passione del
mio Dio. Se qualcuno l'ha in sé, comprenda questo desiderio e mi compati­
sca conoscendo ciò che mi opprime>> (Ignazio, Lettera ai Romani, in Padri
Apostolici, a cura di Antonio Quacquarelli, Roma, Città Nuova, 1978).
15 Tertulliano, De fuga in persecutione.
1 6 <<Atti dei martiri di Lione (Lettera delle chiese di Lione e Vienne)>>, in
Atti e passioni dei martiri, Milano, Mondadori, 2001.
17 <<Martirio di san Policarpo vescovo di Smirne>>, in Atti e passioni dei
martiri, cit. Sulla data del martirio, cfr. <<Notizia>>, ivi, p. 4.
1 8 Ireneo, Contro le eresie, cit., 3.18.5.
19 È impossibile sintetizzare l'infinita varietà di significati che nel corso
dei secoli i cristiani hanno attribuito alla passione e morte di Gesù. Qui inte­
ressa soltanto chiarire che non tutti, neppure al tempo del Nuovo Testamen­
to, vi attribuivano lo stesso valore: la teologia dell'espiazione, secondo cui
Gesù è morto per i nostri peccati, è una delle tante interpretazioni e a sua
volta è stata interpretata in svariati modi. Per un'introduzione sull'argo­
mento cfr. Jaroslav Pelikan, fesus Through the Centuries: His Piace in History
and Culture, New Haven, Yale University Press, 1999.
20 Gli storici sono concordi nell'attribuire ai romani l'esecuzione di Ge­
sù, pur non potendosi escludere la collaborazione delle autorità ebraiche di
Gerusalemme. Gli evangelisti, tuttavia, tendevano a spostare la colpa sugli
ebrei, in primo luogo perché erano un bersaglio meno pericoloso dei roma­
ni, e in secondo luogo perché le tensioni fra cristiani ed ebrei si stavano ac­
centuando. Quanto poi ci sia di storico nella narrazione della passione è
questione molto controversa: cfr., a questo proposito, la polemica fra Ray­
mond E. Brown, La morte del Messia. Dal Getsemani al sepolcro. Un commenta­
rio ai racconti della passione nei quattro vangeli, trad. it. di Antonio Crespi, in­
troduzione di Gianfranco Ravasi, Brescia, Queriniana, 1999, e J.D. Crossan,
Who Killed jesus, cit.
156 Il Vangelo ritrovato di Giuda

21 Sono queste, perlomeno, le obiezioni che Tertulliano attribuisce in


Scorpiace 4-8 ai cristiani che rifiutano di esaltare il martirio.
22 Sulla religione di Roma, cfr. Mary Beard, John North e Simon Price,
Religions of Rome, vol. 1: A History, Cambridge, Cambridge University Press,
1998, in particolare, pp. 36-37 sui sacrifici: «Il sacrificio animale era il ritua­
le fondamentale di molte celebrazioni religiose; su di esso possediamo una
documentazione letteraria e archeologica sufficientemente ricca per poter­
ne comprendere le fasi principali. Nella struttura, anche se non nei singoli
particolari, il rituale era molto simile a quello greco. Veniva anzitutto accer­
tata l'idoneità della vittima, che, a seconda della divinità e dell'occasione,
doveva rispondere a certe regole riguardanti il sesso, l'età, il colore e il tipo
di animale. Poi, dopo la processione fino all'altare e i riti preparatori, si re­
citava una preghiera alla divinità cui era destinato il sacrificio, quindi si
"consacrava" la vittima, cospargendole il capo con vino e farina: era questo
il momento in cui si riteneva comparissero nelle viscere gli eventuali segni
indicanti che gli dei non gradivano l'offerta. La vittima doveva essere ucci­
sa con un colpo solo; le sue exta (interiora) venivano esaminate dagli aru­

spici (sacerdoti che predicevano il futuro osservando le viscere) e se l'esa­


me era favorevole, l'animale veniva macellato, arrostito e infine mangiato
dai�artecipanti alla cerimonia».
Cfr. anche Rm 5,18-21, in cui però non si parla esplicitamente di sacri­
ficio.
24 «Martirio dei santi Giustino, Caritone etc.», in Atti e passioni dei marti-
ri, cit.
25 ••Atti dei martiri di Lione», in Atti e passion i dei martiri, cit., I, 60.
26 Tertulliano, Apologetico 50, cit.
27 Ireneo condanna coloro che accusa di evitare il martirio in Contro le
eresie, cit., 3.18.5, e Tertulliano in Scorpiace l.
2B Ireneo, Contro le eresie, cit., l, prefazione.

III . Il sacrificio e la vita dello spirito

l Che non tutti fossero d'accordo sul significato dell'eucarestia lo si de­


sume dalla lettura dei <<padri della Chiesa>> del secondo secolo. <<Gli eretici
non confessano che l'eucarestia è la carne del nostro Salvatore, Gesù Cri­
sto>> (Smirnei 7,1) scrive, per esempio, il vescovo Ignazio, per il quale, inve­
ce, il vino offre l'unione con il sangue di Cristo e il pane con la sua carne
(Filippesi 4,1), sicché l'eucarestia diventa <<il farmaco dell'immortalità, l'an­
tidoto affinché non moriamo, ma viviamo per sempre (Efesini 20,2)>>. Igna­
zio collega l'eucarestia con la resurrezione del corpo e anche con il ruolo
dei vescovi, perché essi soltanto garantiscono il retto svolgimento del rito
(Smirnei 7-8). L'autore del Vangelo di Filippo appartiene invece alla schiera
dei cristiani che attribuiscono valore simbolico all'eucarestia (<<La sua carne
è il logos e il suo sangue è lo Spirito Santo>>) e considerano la resurrezione
un processo spirituale, non fisico (Vangelo di Filippo 57,3-9). lreneo, che scri­

ve verso la fine del secondo secolo, concorda con Ignazio, ironizzando su­
gli «eretici>> che celebrano l'eucarestia ma non credono nella resurrezione
del corpo, di cui essa è invece la preparazione, il giusto nutrimento: «Come
Note 157

il pane che proviene dalla terra, dopo avere ricevuto l'invocazione di Dio,
non è più pane comune, ma eucaristia . . . così anche i nostri corpi che rice­
vono l'eucaristia non sono più corruttibili, perché hanno la speranza della
risurrezione>> (Contro le eresie, cit., 4.17.5-18.5).
2 Tertulliano in Scorpiace elenca varie domande di questo genere, come
esempi del «veleno ereticale>> sparso dai dissidenti, i quali mettevano in
dubbio che Dio potesse desiderare, o addirittura comandare, il martirio.
3 La storia della cosiddetta ••dottrina dell'espiazione>>,_ interpretata e re­
interpretata continuamente dalla Chiesa dalle origini fino ai giorni nostri, è
notoriamente molto varia. Alcuni hanno visto nella morte di Gesù il riscatto
necessario per liberare i peccatori dalla prigione del peccato e del demonio
(Gregorio di Nissa e Agostino); altri hanno detto che i peccati umani offen­
dono l'onore di Dio, e che pertanto Cristo ha pagato il debito sconfinato con
Dio con la sua obbedienza perfetta, che arriva fino alla morte (Anselmo); al­
tri ancora hanno affermato che l'espiazione di Cristo cancella i peccati del
mondo (Tommaso d'Aquino); oppure che la vita e la morte di Gesù offrono
agli uomini un modello esemplare dell'amore e dell'obbedienza verso Dio,
affinché essi si pentano dei loro peccati e riformino la loro vita (Abelardo),
e così via. Questo libro si concentrerà soltanto sulle concezioni presenti nel
primo e secondo secolo, che il Vangelo di Giuda sembra prendere di mira. I
teologi che si interessano di teorie dell'espiazione si interrogano spesso su
come pensare Dio alla luce della morte di Gesù. Sull'argomento, cfr. Pau! S.
Fiddes, Past Event and Present Sa/vation: The Christian Idea of Atonement,
Louisville, Westminster/John Knox Press, 1989.
4 Cristiani ed ebrei rivolgevano sovente quest'accusa ai pagani (cfr. il
saggio di R.P.C. Hanson, «The Christian Attitude to Pagan Religion up to
the Time of Constantine the Great>>, in Aufsteig und Niedergang der romischen
Welt, Il. Principat 23/2, a cura di Wolfgang Haase, Berlino, Walter de Gruy­
ter, 1980, pp. 910-973, in particolare pp. 925-927.
5 Dt 32,17.
6 Le accuse di Paolo appena citate sono analoghe a quelle contenute nel
libro della Sapienza (di Salomone), in cui si afferma che la devozione ai fal­
si dei ha corrotto i pagani: «Pur vivendo in una grande guerra d'ignoranza,
danno a sì grandi mali il nome di pace. Celebrando iniziazioni infanticide o
banchetti orgiastici di strani riti non conservano più pure né vita né nozze e
uno uccide l'altro a tradimento o l'affligge con l'adulterio . . . L'adorazione
di idoli senza nome è principio, causa e fine di ogni male>> (Sap 14,22-27).
7 Cfr. anche M t 9,13; 12,7.
8 Cfr. il saggio di Harold W. Attridge, «The Philosophical Critique of Re­
ligion lJnder the Early Empire>>, in Aufsteig und Niedergang der romischen
Welt, Il. Principat 16.1, cit., pp. 45-78, e R.P.C. Hanson, «The Christian Atti­
tude to Pagan Religion up to the Time of Constantine the Great>>, cit., in
particolare pp. 910-918.
9 Lo scrittore satirico Luciano descrive una scena di sacrificio che può
considerarsi tipica di una qualsiasi città dell'impero romano: «Benché . . .
non sia permesso a nessuno che non abbia le mani pulite d i avvicinarsi al­
l'acqua santa, il sacerdote se ne sta là tutto insanguinato, come gli antichi
ciclopi, a smembrare la vittima, a toglierle le interiora, a strapparle il cuo-
158 Il Vangelo ritrovato di Giuda

re, a versare il sangue sull'altare e a fare ogni possibile atto di devozione. A


coronamento del tutto, accende un fuoco e vi pone sopra il capro con la
pelle e tutto e la pecora con la lana e tutto; e il fumo, divino e santo, sale
verso l'alto e si dissolve gradualmente nel Cielo stesso» (Sui sacrifici - On
Sacrifices, trad. dall'ingl. di A.M. Harmon, Lucian, 13, Loeb Classica! Li­
brary Edition, vol. III, Cambridge, Harvard University Press, 1921, p. 169).
È davvero questo che vogliono gli dei?, ironizza l'autore. E Luciano non
è il solo a deridere certe manifestazioni del culto pagano. Il filosofo Eraclito
di Efeso scherniva gli adoratori di immagini, affermando che quanti si av­
vicinano alle cose inanimate come fossero dei si comportano in modo simi­
le a chi parlasse con le case (cit. in Origene, Contro Celso 1.5, a cura di Pietro
Ressa, Brescia, Morcelliana, 2000). Persino quando le effigi delle divinità
sono opera di artigiani di discutibile moralità, lamentava il platonico Celso,
la gente comune le ritiene degne di culto (ibid.).
1 0 Cit. in Eusebio di Cesarea, Preparazione per il vangelo, trad. dall'ingl. On
Preparation for the Gospe/ 4.14d, Grand Rapids, Baker Book House, 1981, par­
te I, p. 167. Benché lo scritto di Porfirio sia posteriore al Vangelo di Giuda, i
sentimenti che esprime erano ampiamente condivisi nel primo e secondo
secolo (cfr. H.W. Attridge, The Philosophical Critique, cit.).
11 Plinio, Storia naturale 30.12, cit. in Mary Beard, John North e Simon
Price, Religions of Rome, vol. II: A Sourcebook, Cambridge, Cambridge Uni­
versity Press, 1998, pp. 156-160.
12 Plinio, Storia naturale 30.12-13. Per altri esempi di sacrifici umani al
tempo di Roma cfr. Plutarco, Questioni romane, 83, e il saggio di James Rives,
rluman Sacrifice among Pagans and Christians, in <<The Journal of Roman Stu­
dies ••, 85, 1995, pp. 65-85.
13 Gli avversari dei cristiani li accusavano di uccidere i bambini per ci­
barsene: era questo, dicevano, il <<mistero>> al cuore del loro culto. Uno di
questi accusatori, per esempio, dopo avere affermato che per l'iniziazione
veniva richiesto l'infanticidio, prosegue: <<E, orribile a dirsi, lambiscono as­
setati il sangue, lacerano a gara quelle carni, e, associandosi nel nome di
questa vittima, con la coscienza di questo delitto, si obbligano a mutuo si­
lenzio: queste sacre cerimonie sono certo peggiori di tutti i sacrilegi>• (Mi­
nudo Felice, Octavius 9.5, introduzione e commento di Michele Pellegrini,
Torino, SEI, 1947).
Com'è potuta nascere un'accusa così infamante di assassinio rituale e di
cannibalismo? È probabile che a ispirarla sia stata la voce secondo cui i cri­
stiani mangiavano <<la carne e il sangue•• (il pane e il vino) del Figlio di Dio
(cfr. Stephen Benko, Pagan Rome and the Early Christians, Bloomington, In­
diana University Press, 1984, in particolare p. 62). Del resto, lanciare infa­
mie del genere contro le pratiche religiose altrui, condannarle come empie
e immorali rientrava nella consuetudine (cfr. J . Rives, Human Sacrifice
among Pagans and Christians, ci t.).
14 Tutte le citazioni dalla Testimonianza veritiera sono tratte dal testo a cu­
ra di Claudio Gianotto, Paidei.il, Brescia, 1990.
15 Cfr. Ireneo, Contro le eresie, cit., V.2.3.
N. I misteri del Regno

l Ireneo, Contro le eresie, cit., V.2.3.


2 Sull'argomento cfr. E. Pagels, Vangeli gnostici, cit., nel quale si sostiene
che queste dottrine contribuivano anche a legittimare le strutture dell'auto­
rità ecclesiastica alla cui costruzione si dedicavano alcuni cristiani.
3 «È giusto, infatti, che in quello stesso mondo nel quale soffrirono e furo­
no provati in ogni modo attraverso la pazienza, essi raccolgano il frutto del­
la pazienza; in quello stesso mondo nel quale furono uccisi per amore verso
Dio, siano vivificati, e che in quello stesso mondo nel quale subirono la
schiavitù, siano essi a regnare. Dio, infatti, è ricco in tutte le cose e tutte le co­
se sono sue. Dunque bisogna che il mondo stesso, ricondotto alla sua condi­
zione originaria, serva i giusti senza alcun ostacolo» (lreneo, Contro le eresie,
cit., V.32.1, dopo di che, a sostegno della sua tesi, egli cita Paolo, Rm 8,19-21).
4 Cfr. Apocalisse di Pietro, in Le Apocalissi gnostiche, cit.
5 I due testi erano già noti in seguito alla scoperta effettuata nel 1945 vi­
cino a Nag Hammadi in Egitto, ma il codice Tchacos (CT) presenta alcune
varianti significative (cfr. il testo in copto edito da Rodolphe Kasser e Gre­
gor Wurst, trad. ingl. di Marvin Meyer e François Gaudard, note di Marvin
Meyer e Gregor Wurst). Grazie alla generosità di Marvin Meyer abbiamo
potuto consultare una copia saggio dell'edizione critica prima che venisse
pubblicata dalla National Geographic Society.
6 Primn Apocalisse di Giacomo, in Le Apocalissi gnostiche, ci t., 31,1 8-22.
7 Primn Apocalisse di Giacomo, codice Tchacos 12,3-4. Il riferimento citato
non compare nelle Apocalissi gnostiche di cui sopra, che sono tratte dal codi­
ce di Nag Hammadi (dr. n. 5).
8 Prima Apocalisse di Giacomo, in Le Apocalissi gnostiche, cit., 30,1 -6; codice
Tchacos 16,15-21.
9 Lettera di Pietro a Filippo (contenente però solo alcuni brevi passi), in
Apocrifi del Nuovo Testamento, cit.; codice Nag Hammadi 1 37,21-30; codice
Tchacos 8,2-3.
10 Si confronti, per esempio, con E/ 6,12: «La nostra battaglia infatti non
è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Pote­
stà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del
male che abitano nelle regioni celesti>> .
1 1 Per altre informazioni sul «Libro segreto di Giovanni» o Apocrifo di
Giovanni, cfr. Karen L. King, The Secret Revelation of fohn, Cambridge, Har­
vard University Press, 2005. Tutte le citazioni qui riportate sono la versione
in italiano della traduzione di Karen L. King in lingua inglese.
12 Cfr. Atti del santo apostolo ed evangelista Giovanni il Teologo, in Apocrifi
del Nuovo Testamento, cit., vol. Il.

Nota finale
l Su come questi elementi finirono per essere inclusi nei vangeli neote­
stamentari cfr., per esempio, Elaine Pagels, Satana e i suoi angeli, trad. it. di
Lydia Salerno, Milano, Mondadori, 1996, in particolare pp. 109-135 e relati­
ve indicazioni bibliografiche.
Il Vangelo di Giuda
1,8 Benché il termine copto qui reso con «bambino», N:>POT, sia una for­
ma non nota altrove (cfr. Crum 631a, boairico; R. Kasser et al., a cura di, Il
Vangelo di Giuda, cit., p. 20, n. 7), Antti Marjanen ha suggerito in una e-mail
che possa trattarsi di una variante saidica, precedentemente sconosciuta,
del boairico. Le analogie riportate in R. Kasser et al. inducono, tuttavia, a
interpretare «bambino>> (nu}HI'B U)tltt) o «ragazzo•• (.)..wy). Cfr. anche il Van­
gelo del Salvatore 107,57-60, e i riferimenti in C. Hedrick e P. Mirecki, Go­
spel ofthe Savior, cit., pp. 41, 103.
3,11 «Non di questo regno», in base al restauro di Antti Marjanen e Ismo
Dunderberg in 37,9: 211 [ne1]1>.1[oN I>.N T]e.
4,16 Abbiamo seguito la ricostruzione di Iricinschi, Jenott e Townsend:
-&yc[I�>.CTHI'IOij], ora adottata anche nella edizione critica di Kasser e Wurst.
5,5 Si legga [n.).p;>;wu ttne;>;�>.]oc (il tentativo di ricostruzione è mio). L'e­
dizione critica riporta [n�>op;>;wN rimKoc]ttoc · <<il dominatore del mondo>>; la
m finale è incerta.
10,10 Iricinschi, Jenott e Townsend suggeriscono o[yl>.llu u] «Un [regno]>>.
Kasser e Wurst, con il contributo di John Turner, propongono invece Hl>.•
f'64LQWn[e] fl.-;I �>.[AI>.II.).C] �>.yw .).G!Qwne (tt .-; 1 TenpooA]oc «Che Adamas ven­
ga in essere e (la emanazi)one venne in essere». Io opterei per H.).pequ}wn[e]
ii.-;I �>.[A�>.�I�>.G] �>oyw I>.CLQwne [1161 oyt1e<j>]oc «Che venga in essere [Adamas] e
[la nu]be venne in essere)».
11,4 Ossia «a immagine dell'angelo••, oppure «degli angeli>>: sono possi­
bili entrambe le letture.
15,12 Il termine reso con «posizione•• è quello suggerito dalla ricostru­
zione di Iricinschi, Jenott e Townsend: T[o]noc.

Commenti alla traduzione


I Cfr. gli esempi molto interessanti citati da Bart D. Ehrman, The Ortho­
dox Corruption of Scripture, Oxford, Oxford University Press, 1993.
2 Cfr., in particolare, il saggio di Denise Kimber Buell, Why This New Race:
Ethnic Reasoning in Early Christianity, New York, Columbia University Press,
2005.
3 Cfr. Michael A. Williams, The Immovable Race: A Gnostic Designation and
the Theme of Stability in Late An tiquity, Leida, Brill Academic Publishers,
1985, in particolare pp. 14-18, 26-27.
4 Nel Vangelo di Marco, Gesù cerca più volte di tenere nascosta la sua
vera identità, mettendo a tacere non soltanto i demoni che lo conoscono,
ma anche i discepoli.
5 Nel Vangelo di Maria, Levi accusa Pietro di comportarsi come i suoi
avversari, quando non crede alla verità dell'insegnamento di Maria Mad­
dalena (Vangelo di Maria 18,10).
6 Neppure la folla capisce che Gesù è figlio di Dio (Gv 7,33-34; 40-52).
7 Su questa figura e la concezione setiana del mondo divino cfr. K.L. King,
The Secret Revelation of fohn, ci t., pp. 85-88.
8 Prima Apocalisse di Giacomo, in Le Apocalissi gnostiche, cit., 40,22-26, p. 44.
Note 161

Cfr. l'analisi di Antti Marjanen, The Woman ]esus Loved: Mary Magdalene in the
Nag Hammadi Library and Related Documents, Leida, Brill, 1996, pp. 122-146.
9 Prima Apocalisse di Giacomo, codice Tchacos 27,25-28,5; 29,1-6.
IO Per un'analisi approfondita di ciò che il mondo antico e il cristianesi­
mo pensavano delle relazioni omoerotiche cfr. Bernadette J. Brooten, Love
Between Women: Early Christian Responses to Female Homoeroticism, Chicago,
University of Chicago Press, 1996.
1 1 Platone, Fedone 66-69; 83d-84b;84e-85b, in Opere complete, vol. l, Bari­
Roma, Laterza, 1971.
12 Platone, Timeo 90a-b, ivi.
13 Un importante studio sul Tempio celeste e la pratica dei sacrifici è il re­
cente saggio di Jonathan Klawans, Purity, Sacrifice, and the Tempie: Symbolism
and Supersessionism in the Study of Ancient Judaism, Oxford, Oxford Univer­
sity Press, 2006, in particolare pp. 111-1 74. L'autore mostra in quale modo gli
attuali pregiudizi contro i sacrifici abbiano distorto la nostra comprensione
di ciò che il Tempio, le regole sulla purezza e il sacrificio significavano per
gli ebrei e i cristiani nel mondo antico. In particolare, evidenzia che le criti­
che rivolte al culto nel Tempio, ai sacrifici e ai «sacerdoti impuri>> non com­
portavano necessa riamente il rifiuto totale di quelle istituzioni e di quelle
pratiche in quanto tali.
14 Cfr. George Johnson, For the Anti-Evolutionists, Hope in High Places, in
«New York Times>>, «Week in Review», 2 ottobre 2005, p. 4; cfr. anche Ken­
neth L. Woodward, Evolution as Zero-Sum Game, in «New York Times>>, 1°
ottobre 2005, p. A29.
15 Cit. in G. Johnson, For the Anti-Evolutionists, cit.
1 6 lbid.
17 Molti elementi della teologia e cosmologia presenti nel Vangelo di
Giuda sono simili a quelli contenuti in una serie di scritti scoperti di recente
in Egitto, che gli studiosi definiscono espressione dello «gnosticismo setia­
no>> o semplicemente «setianesimo>>. Uno di questi è il Libro segreto di Gio­
vanni (noto anche come Apocrifo di Giovanni), che è stato messo a confron­
to con il Vangelo di Giuda da molti studiosi, in particolare da Marvin Meyer
(Giuda e la relazione gnostica, in R. Kasser et al., a cura di, Il Vangelo di Giuda,
cit.). I due testi contengono non soltanto somiglianze importanti, ma anche
differenze cruciali. Per esempio, nel Libro segreto di Giovanni non è il vero
Dio a incaricare gli esseri inferiori d i forgiare il mondo materiale. Essi al
contrario agiscono contro la sua volontà: a creare il mondo è un «aspirante
dio••, ignorante e arrogante. Un lungo episodio di questo testo racconta co­
me sia potuto avvenire: un essere femminile divino, chiamato Sophia (Sa­
pienza), agisce senza il consenso dello Spirito Invisibile e senza il suo con­
sorte, e dà così inizio alla creazione del mondo infero e all'assoggettamento
dell'umanità ai suoi malvagi reggitori. Sull'argomento, cfr. K.L. King, The
Secret Reve/ation of John, cit.; sul setianesirno cfr., della stessa autrice, What is
Gnosticism?, ci t., pp. 154-169.
18 Cfr., per esempio, il Libro segreto di Giovanni 7,1-25 (DG 29,18-32; NHC
II 6,10-11,2).
19 Anche altri scritti cristiani contenuti nei codici Nag Hammadi (NHC) e
nel codice berlinese (BG), in particolare Eugnosto il benedetto e il testo parai-
162 Il Vangelo ritrovato di Giuda

Jelo, La sapienza di Gesù Cristo, si affidano alla numerologia per descrivere


un universo che è ordinato perché creazione divina. Tu tti questi testi pro­
clamano che il modello dei numeri dello zodiaco, delle stagioni e dei giorni
si trova nel regno celeste. Analoga è anche la descrizione che il Vangelo degli
egiziani 56,22-58,23 offre della creazione degli angeli che regnano sul mon­
do infero, fra cui Saklas, Nebruel e altri noti all'autore di Giuda.
20 Cfr., per esempio, il trattato intitolato Epinomis (dagli antichi attribui­
to erroneamente a Platone), in cui si sostiene che la vita e la morte sono
controllate dai numeri e poiché i corpi celesti ci ammaestrano sui numeri,
lo studio dell'astronomia è indispensabile per raggiungere la saggezza e la
vera devozione.
21 Epinomis 978a, edizione Loeb Classica! Library. David Sedley scrive,
parlando del Timeo (90c-d) di Platone: «L'astronomia è per l'uomo la via
privilegiata per il raggiungimento della comprensione, poiché, scoprendo
le leggi matematiche sottostanti le rivoluzioni del cielo, essa porta la nostra
anima razionale a condividere i modelli di pensiero dell'anima divina del
mondo» (David Sedley, «Becoming Like God» in the Timaeus and Aristotle, in
Interpreting the Timaeus-Critias: Proceedings of the IV Symposium Platonicum
Se/ected Papers, a cura di Tomas Calvo e Luc Bresson, Sankt Augustin, Aca­
demia Verlag, 1997, p. 332).
22 Plutarco, Nicia 23, cit. in Alan Scott, Origen and the Life of the Stars: A
History of an Idea, Oxford, Clarendon Press, 1991, p. 6.
23 lvi, p. 16, con riferimento al dialogo platonico, Leggi 889b-c, afferma
che Platone confutava l'argomentazione della nascita casuale dell'univer­
so, sostenendo che «i movimenti del cielo corrispondevano alla legge mate­
matica>> dei numeri, la quale costituiva la prova più convincente dell'esi­
stenza di Dio come mente che controlla i cieli attraverso l'azione dell'anima
vivente: «l movimenti perfettamente ordinati delle stelle dimostrano l'esi­
stenza dell'anima suprema che le dirige>>.
24 Ricordiamo a questo proposito la stella dei Magi (MI 2,1-12), l'eclissi
avvenuta alla morte di Gesù (MI 27,45; Mc 25,33; Le 23,44) e i segni nei cieli
che annunceranno il ritorno di Cristo (MI 24,29; Mc 13,24-25; Le 21,25). Ma le
pratiche astrologiche (non importa se efficaci o meno) furono in seguito stig­
matizzate, e la condanna di allora influenza ancora le descrizioni degli atteg­
giamenti dei primi cristiani. Cfr. Everett Ferguson, Astrology in Encyclopedia
of Early Christianity, New York, Garland Publishing, 1998, 2a ed., pp. 136-137.
Una volta certa del suo potere, sostiene Tamsyn S. Barton, la Chiesa comin­
ciò a screditare l'astrologia, in cui scorgeva una minaccia alla propria auto­
rità. Una sintesi del pensiero del cristianesimo delle origini sull'astrologia si
trova in Tamsyn S. Barton, Power and Know/edge: Astrology, Physiognomics,
and Medicine under the Roman Empire, Ann Arbor, University of Michigan
Press, 1994, e in Ancient Astrology, Londra, Routledge, 1994, pp. 64-85.
25 A. Scott, Origen and the Life of the Stars, cit., p. 145, a proposito di Philo­
calia 23.1,2 e Geremia, frammento 49.
26 Le traduzioni e i riferimenti a 1 Enoc sono tratti da The Old Testament
Pseudepigrapha: Apocalyptic Literature and Testaments, a cura di J ames H.
Charlesworth, Garden City, Doubleday, 1983, pp. 5-89.
27 Platone, Timeo 27d-30b; 41c-42e, in Opere complete, vol. l, cit.
Note 163

28 Cfr. l'esauriente trattazione di Bruce J. Malina, On the Genre and Mes­


sage of Revelation: Star Visions and Sky ]ourneys, Peabody, Hendrickson Pub­
lishers, 1995.
29 Questa lettura si basa su un'intuizione di Stephen Emme!. contenuta
nell'inedito The Presuppositions and the Purpose of the Gospel of ]udas, saggio
presentato al convegno del <<Colloque international. CNRS-Université Paris
IV-Sorbonne» e intitolato «L'Évangile de Judas. Le contexte historique et
littéraire d'un nouvel apocryphe», 27-28 ottobre 2006. Gli atti saranno editi
a cura di Madeleine Scopello. Ringrazio l'autore per avermi generosamente
permesso di leggere in anteprima il saggio.
30 Cfr., per esempio, lo studio esauriente e scorrevole di François Bovon,
The Last Days of ]esus, Louisville, Westminster/John Knox Press, 2006, una
rassegna degli scritti sugli ultimi giorni di Gesù nel Nuovo Testamento.
L'autore assume una posizione intermedia fra i sostenitori della «storia
profetizzata>> e quelli della «profezia storicizzata>>, sostenendo che entram­
be le concezioni si inseriscono nei tentativi cristiani di comprendere il si­
gnificato teologico della morte di Gesù, e sottolinea i punti in cui a ispirare
i racconti è l'antiebraismo.
Ringraziamenti

Questo libro è il risultato di uno sforzo congiunto, il frutto di molte


discussioni piacevoli e di fatiche condivise. È il nostro primo tenta­
tivo di dare un senso a questo nuovo testo, difficile ed esaltante, e
siamo certe che studiosi e lettori contribuiranno ad arricchire la no­
stra comprensione di questa interessante opera negli anni a venire.
Nel corso della stesura abbiamo ricevuto il contributo di molte
persone. Vorremmo in primo luogo ringraziare Antti Marjanen per
le sue osservazioni di esperto sui problemi del testo copto del Van­
gelo di Giuda. Un grazie particolare lo rivolgiamo anche a Edwin
Iricinschi, Lance Jenott e Philippa Townsend, che hanno generosa­
mente condiviso con noi la loro deliziosa traduzione. Marvin Meyer
ci ha fornito, prima che fosse pubblicato, una copia dell'edizione
critica del codice Tchacos, cosa di cui gli siamo infinitamente grate.
Un grazie di cuore a Stephen Emrnel, che ci ha concesso di leggere e
di citare il suo splendido saggio sulla conclusione del Vangelo di
Giuda. Siamo riconoscenti a Sarah Coakley per averci fornito la bi­
bliografia sulla teologia dell'espiazione. A Hai Taussig va la nostra
più calorosa gratitudine per l'amicizia, l'incoraggiamento e i consi­
gli che ci ha donato. All'amico e collega James Cone, che ci ha spro­
nato e sostenuto con le sue conversazioni, rivolgiamo un ringrazia­
mento speciale.
La pubblicazione di questo libro alla scadenza prevista non sa­
rebbe stata possibile senza le tante ore di prezioso lavoro della re­
dazione Viking. Ricordiamo in particolare Clifford Corcoran per il
suo straordinario lavoro editoriale; Veronica Windholz per l'ocula­
ta correzione delle tante espressioni infelici del manoscritto, in col­
laborazione con Noirin Lucas, Jane Cavolina e Gabriel de Vries; e
ringraziamo Francesca Belanger per l'elegante grafica del testo e
Jasmine Lee per la splendida copertina; Grace Veras e Fabiana Van
Arsdell per la tempestiva opera di produzione; Nancy Sheppard,
Carolyn Colebum e Ben Petrone per il loro impegno nel marketing.
Grazie infine a Tory Klose per avere svolto la supervisione dell'in­
tero lavoro.
166 Il Vangelo ritrovato di Giuda

La nostra gratitudine più profonda va all'intrepida curatrice


Wendy Wolf, che ci ha sorretto e ci ha seguito con pacata energia e
con perspicacia dal nostro primo abbozzo fino all'opera completa.
Il suo acume, l'esperienza e l'ottimismo indomito ci hanno non so­
lo sostenuto passo dopo passo, ma hanno reso molto più piacevole
il cammino.
Elaine Pagels e Karen L. King

Questi ringraziamenti non sarebbero completi se non esprimes­


sero la mia gratitudine al presidente della Russell Sage Foundation,
Eric Wanner, e ai suoi magnifici collaboratori, per avermi permesso
di completare questo libro a contatto con gli studiosi che lavorano
presso la fondazione. Ringrazio infine con tutto il cuore Sarah e Da­
ve Pagels per avermi sorretto con tanto amore durante tutta la ste­
sura di questo libro e rivolgo un grazie altrettanto caloroso a Kent
Greenawalt e alla sua famiglia per la gentilezza e la comprensione
costanti.
Elaine Pagels

Desidero esprimere il mio apprezzamento e ringraziamento a


tutte le persone meravigliose che formano la comunità aperta e ac­
cogliente della mia parrocchia, la Chiesa del Nostro Salvatore di
Arlington, Massachusetts. La vostra partecipazione a un viaggio
spirituale condiviso, alla coltivazione della presenza di Dio in tutta
la vita, all'esplorazione della fede senza pregiudizi verso la diffe­
renza e il cambiamento, con creatività, compassione e buonumore,
ha aiutato il mio lavoro più di quanto possiate immaginare. Vi sono
infinitamente grata.
Karen L. King

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