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Introduzione
C’è una vergogna che l’uomo prova quando qualcuno scopre che hai una maschera
ma te la lascia tenere (esempio del coro nella sua gioventù).
Dice che chi si illude di essere autentico un giorno si guarderà allo specchio e vedrà
la maschera di un narciso, chi sa di indossare una maschera potrà levarla dicendo
“ora sono io”, ma in realtà non si tratta che di un’altra maschera chiusa nel nostro
intimo per illudere noi stessi; Pizzorno sostiene che forse siamo tutti proprietari di
un magazzino di maschere da indossare per gli altri.
Di cosa parla
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La maschera è partecipazione al mondo del mito, all’aldilà del tempo
perché essa stessa è all’aldilà del tempo come cosa, materia. Prendiamo
in considerazione una cerimonia funeraria della Nuova Bismarck: un
uomo mascherato sorge dalle ceneri del morto appena bruciato, i
famigliari accorreranno subito ai suoi piedi, e lo riconoscono come rinato;
è lo stesso di prima ma non nel mondo di prima. Se ha una maschera è
perché appartiene al mondo del mito, degli essere identici a se stessi.
5. Parla poi dell’identi cazione, nel culto degli antenati gli esser mascherati
sono gli antenati stessi, ad esempio le maschere nelle cerimonie dei
malati identi cano le persone ai demoni fautori della malattia, per cui
impossessandosi della loro potenza i malati neutralizzano i demoni.
Oppure l’identi cazione allo spirito dell’animale guida che vediamo in
Nord America per la caccia al bisonte, dove uno mascherato mima il
bisonte e gli altri i cacciatori. Questa identi cazione non è psicologica,
non bisogna credere che chi indossa la maschere pensa di essere il dio o
lo spirito o l’antenato, però bisogna credere nella presenza.
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quello che rapporto uomo-maschera è l’eterno processo del soggetto di
farsi identico alla sua essenza (Hegel).
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vengono usate per rappresentare periodicamente i miti o per onorare i
morti.
11. Sul signi cato delle presenza della maschera nel teatro greco ci sono idee
discordanti, chi dice che serve per necessità tecniche o per poter
cambiare personaggio più velocemente; non ci interessa tanto che
intenzioni aveva il regista, bensì ci interessa la presenza obiettiva di tale
oggetto nella situazione teatrale, i dati del suo rapporto con il pubblico.
Le conseguenze teoriche non vanno escluse ma integrate, cioè la
maschera determina e distingue un personaggio, non serve a
nascondere; notiamo generalmente (sopratutto nella tragedia) che tale
essere è un eroe, un morto che viene fatto rivivere grazie a una situazione
rappresentativa, il mondo al quale appartiene è quello mitico, un mondo
di atti e azioni già compiute; la maschera non solo distingue il
personaggio, ma essa lo determina interamente.
12. Ri ette anche sul signi cato della parola latina “persona”, che
originariamente signi ca ‘maschera’, quella che l’attore porta sul volto, e
però si allarga a signi cati vicini:il personaggio, la parte; no a delineare il
ruolo e la funzione “persona regis, persona iudicis…” non vorrà più dire
l’oggetto maschera che rappresenta il Re, che rappresenta il giudice, ma
il Re e il giudice stesso, in quanto tali, cioè nella loro funzione distintiva.
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